Inattuali

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GIORGIO TONELLI

INATTUALI ENRICO LOMBARDI

di Enrico Lombardi e Giorgio Tonelli

Traduzione/Translated Angela Lombardi, Alan Nelson

LA PROSPETTIVA COME DISPOSITIVO DI CATTURA di Rocco Ronchi

PERSPECTIVE AS CATCHING DEVICE

Traduzione/Translated Angela Lombardi

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“Da un certo punto in là non vi è più ritorno. Questo è il punto da raggiungere.” (Kafka)

“Evidentemente il visivo riguarda il nervo ottico, ma non per questo è immagine. La conditio sine qua non dell’immagine è la relazione con l’alterità.” (S. Daney)

INTRO

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L’idea originaria di questa mostra, come di questo te-

insieme a tanti colleghi ‘pittori’, ha rafforzato in noi

sto, nasce da desideri ed esigenze profonde. Prima, fra

l’esigenza di marcare teoricamente e fattivamente una

tante, l’esigenza di testimoniare, con un’opera corale,

nostra specificità e differenza. Naturalmente non nel

una lunga e straordinaria amicizia e un sodalizio arti-

senso di una pura affermazione autoreferenziale che

stico che dura, senza crepe, da tanti anni. Due pittori,

risulterebbe infondata e velleitaria. Al contrario: l’idea

come noi, che si sono riconosciuti sulla soglia dei loro

di questa mostra nasce proprio dall’esigenza autentica,

silenzi, della loro comune esigenza di risolvere tutte le

sentita fortemente da entrambi, di reinterrogare lo sta-

domande e le risposte, estetiche e non solo, in seno al

tuto dell’immagine oggi in relazione alla sua storia e

gesto primario del dipingere e che hanno ostinatamente

ai suoi risultati, teorici e pratici, per capire se questa

difeso questa loro perenne inattualità come una grande

nostra sensazione di distanza e perenne inattualità ab-

possibilità di pratica del senso e della verità, realizzano,

bia qualcosa di fondato. La mostra, coi suoi importan-

con questo progetto, il desiderio di vedere, allestiti in-

ti contributi storico-iconografici e filosofici, dovrebbe

sieme, gli esiti del loro lavoro. La presenza di entrambi

essere una sonata a più mani proprio intorno al senso

al Padiglione Italia della 54esima Biennale di Venezia,

dell’immagine, per tentare di circoscriverne lo statuto


etico ed estetico in questo tempo abusato di urti retinici,

un sapere, un segno, una testimonianza particolare, un

ma sostanzialmente privo di immagini. Per noi, natural-

contributo che , spesso, si è rivelato fondamentale per

mente, una simile indagine serve anche a comprendere

comprendere non solo le latenze culturali, ma il senso

il territorio che un’opera come la nostra può occupare

più vero e centrale di ogni epoca stessa; un contributo

oggi nella produzione di cultura e sapere. L’orgogliosa,

che merita sempre una sua visibilità e un’apertura er-

ostinata e, a volte, aristocratica rivendicazione di quel-

meneutica. Con la nostra analisi tenteremo dunque di

la che abbiamo definito la nostra “perenne inattualità”

capire e spiegare, nel modo più onesto possibile, come

sancisce già di per sé una volontà di separazione che

si è venuta formando in noi la consapevolezza di appar-

non ha radici snobistiche o narcisistiche, ma risponde

tenere a tale condizione.

ad una profonda e vitale esigenza di autenticità del fare e del vivere, ad una domanda fondamentale di concentrazione e silenzio, di isolamento sostanziale e produttivo. Come in altre epoche, storicamente verificabili, gli artisti perennemente inattuali hanno sempre prodotto

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1 L’INATTUALITÀ COME CONDIZIONE, COME DESTINO.

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Ci sono tanti modi per essere ‘inattuali’, in relazione all’attualità di ogni epoca e ai suoi linguaggi dominanti che la definiscono come tale. Ad esempio fra gli inattuali perfetti potremmo mettere la marea dei cosiddetti ‘artisti della domenica’: quella vasta popolazione che si diletta in pratiche creative -che dell’arte hanno solo la superficie-, senza la ben che minima consapevolezza della relazione che il loro fare intreccia col pensiero, col linguaggio, con la storia, con la tradizione, con le problematiche dell’epoca e, insomma, con tutto ciò cha fa di un manufatto umano generico un’opera d’arte; preoccupati solo della povera soddisfazione egotistica di essere stati in grado di riprodurre qualcosa che si avvicini il più possibile ad un’idea superstiziosa e stereotipata di reale o di una qualche estetica orecchiata. Potremmo definirli, così, per gioco, ‘inattuali loro malgrado’. Vi sono poi gli ‘inattuali per scelta’: ovvero quelli che, consapevoli dei paradigmi qualificanti il loro tempo, decidono di contrapporvisi intenzionalmente, collocandosi idealmente ed esteticamente in un’altra epoca, a cui i loro gusti e desideri somigliano di più, oppure semplicemente di smarcarsi e ribadire una differenza rispetto ai linguaggi dominanti. Questa, in realtà, non è che una forma più sofisticata e camuffata dell’attualità stessa, poiché

la nostra contemporaneità si fonda proprio sugli scarti e le contrapposizioni a ciò che, di volta in volta, viene considerata come la tradizione da rinnovare e superare. Questi ‘inattuali’ sono alla ricerca, in fondo, solo di una attualità per loro più reale, forse più stringente, in cui ritagliarsi un posticino: di un’attualità più attuale. Senza dare un giudizio di valore sulle opere nate da tale atteggiamento, che potremmo definire ingenuo, nel migliore dei casi, quando non intellettualmente disonesto, ci viene alla mente, parafrasandolo, un noto aforisma di Salvador Dalì -certamente non privo di ironia-, che stigmatizzava l’inutilità e vanità di ogni tentativo di collocarsi fuori o dentro l’attualità, in quanto essa, già da prima, tutti li conteneva. Alla fine, questo tipo di inattualità si traduce quasi sempre in un atteggiamento anacronistico, sia tecnico che ideologico, quando non in una vaga e inutile nostalgia di un eden creativo che, in realtà, non è mai esistito, tanto che, ogni epoca, a modo suo, ne ha vagheggiato uno. E inoltre, dal punto di vista estetico, si traduce generalmente in una ripetizione vieta e sempre un po’ pigra di linguaggi già ampiamente collaudati, in cui nulla di destinale ed individuale viene innestato per rianimarli, e in cui dovrebbe essere la decisione anacronistica stessa ad avvalorarli come nuovi e come attuali,


perché, come ho detto prima, di questo si tratta alla fine della fiera: fondare e ribadire, ad ogni modo, una propria attualità. Non c’è quindi inattualità meno inattuale di questa. Siamo ancora nello stanco gioco moderno delle contrapposizioni, dei falsi antagonismi, delle definizioni, degli ismi, delle tradizioni da demolire o da idolatrare: siamo nella più pura e stringente attualità. Non ce ne vogliano tanti valorosi colleghi! Ma la categoria più occulta, più estesa, più travestita, più involontaria di inattuali è certamente quella che chiameremo, sempre per gioco, naturalmente, degli ‘inattuali per eccesso di attualità’. Si tratta di tutti quegli artisti che, più o meno consapevoli dei paradigmi qualificanti l’attualità di una certa epoca, ad essa, o alla sua leggenda, sono così scrupolosamente fedeli da produrre sempre una sorta di morto conformismo accademico. Il terrore di uscire dalla possibilità di essere compresi e accettati nel gioco della mondanità estetica li obbliga ad una applicazione così morbosamente, acriticamente, piattamente ideologica degli schemi dominanti da non rendersi conto che proprio questa aderenza coattiva al proprio tempo ve li colloca fatalmente fuori, poiché si possono dire realmente ‘attuali’, secondo i loro stessi paradigmi, solo quegli artisti originali che hanno prodotto quegli scarti nel linguaggio, quelle innovazioni che hanno fondato l’attualità come tale e non tutti coloro che vi si accomodano dentro senza alcuna fatica, come parassiti nel legno. Questi ‘inattuali per eccesso di attualità’ costituiscono la massa inerte che frena ogni epoca nella sua possibilità di indagare l’attualità da ogni sua angolatura, fosse pure la più inedita, la più inattesa, di portare vera innovazione al linguaggio, in quanto brucano tranquilli nei prati seminati da altri, sempre ben attenti, come servi di un regime totalitario, a mostrare la propria fedeltà untuosa

al capo, alla congrega, al dominante. Forti del fatto di essere protetti dalla critica militante, dalle parole d’ordine, dagli schemi precostituiti, dal gusto più diffuso, sono ben felici di demandare ad altri il duro compito della libertà, della coscienza, dell’analisi, della responsabilità e, se vogliamo, anche della vera eversione che consiste sempre nel produrre differenza. Infine ci sono gli ‘inattuali per condizione, per destino’, i quali, pur perfettamente consapevoli delle problematiche, delle tendenze, delle estetiche del proprio tempo si trovano condannati esclusivamente alle proprie ossessioni formali. Senza alcuna ansia di contrapporsi a chicchessia, né di produrre novità, né di apparire in alcun modo dialettici rispetto ai paradigmi fondanti qualsiasi epoca, gli inattuali per destino percorrono solitari la propria strada, piccola o grande che sia e si danno come unico compito, unico e totalizzante, la realizzazione dell’opera che li trascenda e dia loro senso. In essa e solo in essa, al di fuori di ogni ragione ad essa estranea, questi inattuali trovano la propria dimora. Si potrebbe dire che questi inattuali lo sarebbero rispetto ad ogni epoca nella quale si trovassero a vivere ed a operare, realizzando così una perfetta inattualità perenne. Penso anzi che in ogni epoca siano presenti, sempre in larga minoranza, inattuali di questo genere che, producendo un linguaggio del tutto originario, individuale e riconoscibile, abbiano costituito una specie di margine, di pellicola contenitiva, di limite col quale ogni epoca ha pur sempre dovuto fare i conti per definirsi come tale. Non relegabili in nessun genere, etichetta, ismo o delirio critico, essi viaggiano, portati dalla corrente della propria inalienabile vocazione, verso un superbo isolamento spesso accompagnato da sontuosi fraintendimenti. Questa condizione produce una differenza organica, originaria. Ad essa noi apparteniamo.

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2 ALCUNE BREVI E BANALI CONSIDERAZIONI SULL’ATTUALITÀ. (ovvero di tutto ciò che non ci appassiona)

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Senza scomodare il vocabolario si potrebbe dire che rientra nell’attualità tutto ciò che accade contemporaneamente, nel presente, nel proprio tempo, nella propria epoca, che dir si voglia. E che quindi ogni fenomeno contemporaneo, anche questa nostra inattualità irosa e aristocratica, in fondo non è che un aspetto, seppur estremamente marginale, dell’attualità tutta intera. Cosa che ci tocca accettare filosoficamente, ma non senza qualche mal di pancia! Detto questo potremmo anche affermare, senza tema di smentita, e con innumerevoli prove alla mano, che questa epoca scellerata si distingue da tutte le altre per la compresenza di tutti i linguaggi, di tutte le estetiche, di tutte le modalità creative, senza che nessuna di esse sia realmente in grado, se non supportata da imponenti sforzi finanziari e grandi campagne di propaganda, di divenire paradigmatica dell’epoca stessa. Ne potremmo dedurre che oggi tutto, assolutamente tutto, è attuale. Ahimè anche noi! Perché allora questa nostra ostinazione a voler individuare proprio in una particolare specie di inattualità il luogo di azione e di crescita della nostra opera? Proveremo a spiegarlo cercando di analizzare alcune caratteristiche fondanti e trasversali dei maggiori linguaggi artistici attuali e del cosiddetto ‘mondo dell’arte’, mettendo in luce

i perché di una nostra naturale avversione per ognuno di essi. a) Dal secondo dopoguerra, eredità in parte fraintesa delle avanguardie storiche, una delle categorie estetologiche più importanti e qualificanti della contemporaneità é quella del “nuovo a tutti i costi”. L’opera d’arte, dunque, diventa tale e degna di interesse ed attenzione solo quando, contrapponendosi sempre e in ogni modo ad ogni tradizione, fosse anche la più recente, produce una novità, uno scarto rispetto a ciò che è venuto prima. Nata come strategia dinamica di rivoluzione permanente del linguaggio ha finito per somigliare prestissimo alle tecniche di marketing del peggior consumismo, che è obbligato a perpetuarsi con la continua creazione di prodotti sempre nuovi in grado di eccitare il nostro parossismo accumulativo di cose inutili. Di questa tendenza si sono accorti immediatamente e naturalmente i grandi gruppi mercantili mondiali, che hanno oscurato la naturale metamorfosi dei linguaggi artistici sostituendola con accurate invenzioni e programmazioni di fenomeni del momento, supportati da mega campagne di promozione e finanziamento, atte a creare tensione, domanda e plusvalore commerciale intorno ad essi. Or-


renda nemesi! Quei linguaggi che, a partire dalla rivoluzione duchampiana, avrebbero dovuto testimoniare di una eversiva tendenza non commerciale di produzione di una differenza non riducibile a nessun addomesticamento borghese, sono diventati prestissimo i servi esemplari del mercato e della merce. Merce strana! Ma pur sempre, irrimediabilmente, tragicamente merce. E in quanto merce condannata ineluttabilmente allo statuto di prodotto, ricattata dalla sua vendibilità. Eppure non è questo il lato peggiore di questa tendenza al “nuovo a tutti i costi”: in questo gioco sono pur cresciuti anche artisti importanti! La necessità, che le nuove generazioni di creativi ha dovuto affrontare, per essere ascoltata -per avere successo- , di produrre ininterrottamente novità, inaudito, mai visto ecc., ha condotto inevitabilmente ad una proliferazione inutile e metastatica di invenzioni superficiali, di trovate circensi, di abomini, di brutto, di patologico, di aneddotico, di autobiografico, di psicologico, di inutilmente spettacolare e complicato, insomma ad una costellazione di insensatezze che non solo ha tradito le intenzioni stesse del primo concettuale, ma ha finito per minare, forse per sempre, la capacità di produrre , leggere e interpretare il gesto della creazione artistica. Generazioni di distruttori -per lo più non veri e consapevoli scellerati, ma solo piccoli, miserabili garzoni di bottega- hanno cercato di demolire il peso responsabile della tradizione, di ogni tradizione possibile, anche quella da loro stessi inaugurata, con l’arroganza di essere sempre i primi e gli unici, ottenendo solo di brancolare , accecati dal sole, in un deserto senza parole e senza alcuna verità possibile. Così, nell’oceano delle creazioni umane, un’enorme inquinante macchia di plastica e di rifiuti, soffoca i pesci e toglie ossigeno alle acque. A questa devastante tendenza noi abbiamo rispo-

sto con la fissità assoluta delle nostre ossessioni e vocazioni, con la consapevolezza della natura radicalmente non antropocentrica delle immagini, con la ripetizione incessante e differente del medesimo, col silenzio e l’isolamento, con un rapporto consapevole e responsabile col linguaggio specifico della pittura e la sua tradizione, con una convivenza dignitosa ma senza compromessi col mercato, evitando ogni possibile complicità, lavorando instancabilmente per la bellezza , il senso e la cultura -ben conoscendo l’inattualità e forse impraticabilità di tutto questo e persino di queste stesse parole!- . Da ciò, presumibilmente, la nostra perfetta inattualità. Per noi “il nuovo a tutti i costi” non è che un agente patogeno che speriamo esaurisca presto la sua carica infettiva, per riconsegnare gli artisti alla possibilità di una vera libertà, che implica sempre responsabilità, presenza e relazione con l’alterità. Tuttavia il nostro fare non è e non sarà mai dettato da nessuna contrapposizione ad esso, perché proprio di queste contrapposizioni la nostra attualità si nutre . Denunciamo soltanto un male di cui non siamo neppure portatori sani. Semplicemente andiamo per la nostra strada. b) Nella contemporaneità (come in ogni altro momento storico), al “nuovo”, all’atteggiamento perfettamente consono (o servile) ai canoni del proprio tempo, o a ciò che la storiografia più recente individua come linguaggio di svolta, a ciò dunque che qualifica l’attualità come tale, si è sempre affiancato, in modi di volta in volta differenti, quello che potremmo definire un “atteggiamento anacronistico”, volontario o involontario che fosse. Mentre Giotto e i Senesi ridefinivano lo spazio dell’iconografia medievale, nella maggior parte d’Italia i pittori continuavano a dipingere alla maniera greca.

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Mentre Piero della Francesca, Masaccio, Brunelleschi sistemavano l’immagine e il mondo nella sua perfetta e metafisica griglia prospettica, in tante parti del nostro paese, neppure troppo periferiche, stuoli di pittori attivi e celebrati dipingevano ancora alla trecentesca. E persino in piena rivoluzione impressionista la maggior parte dei pittori continuava a lavorare secondo i canoni accademici dell’ottocento celebrativo e bituminoso. Nella modernità , il cosiddetto “ritorno all’ordine” in Francia e il “novecento” italiano rappresentarono, di fatto, una tendenza a ribellarsi alle avanguardie più radicali per ritornare alla pittura e all’opera. Questi, per grandi tagli e genericamente, i precedenti di un movimento di

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cosa”, la “Transavanguardia” stessa, l’ “Anacronismo” e la “Nuova figurazione italiana” sono, nella storia più recente dei movimenti artistici, l’espressione più evidente e consapevole di questa reazione all’imperio dei linguaggi concettuali. Tuttavia per non cadere nella trappola di un’analisi troppo frettolosa e generica, che condurrebbe solo alla solita logica delle contrapposizioni, dobbiamo individuare alcune differenze sostanziali. Per quanto riguarda la pittura antica, dal medioevo sino al settecento circa, non si può parlare propriamente di resistenze e contrapposizioni consapevoli e militanti ai linguaggi innovativi -come vorrebbe certa storia dell’arte di stampo illuminista e ovviamente marxista- (queste

reazione all’attualità estetica che ha il suo equivalente

sono categorie storicistiche impostesi più recentemen-

anche oggi. Dato che dal secondo dopoguerra in avanti

te, che giudicano retroattivamente coi propri criteri

la tendenza dominante è stata quella di un progressivo,

movimenti di tutt’altra origine e natura), ma semplice-

ma ineluttabile dominio dei linguaggi concettuali - au-

mente sviluppi di tradizioni e culture parallele, sacche

diovisivi, installazioni, performance, linguaggi ibridi,

di resistenza involontaria, quando non, semplicemente,

mescolanze mostruose, riciclaggi di vario genere, foto-

contemporaneità di linguaggi differenti. Dall’insorgere

grafie, e chi più ne ha più ne metta - a scapito dell’opera

delle prime avanguardie, invece, il problema cambia ra-

e, soprattutto, della sua realizzazione attraverso i mezzi

dicalmente: un linguaggio si definisce come nuovo e in-

della pittura e della scultura tradizionali -considerati,

novativo perché si contrappone volontariamente e con-

spesso a torto, e qualche volta a ragione, obsoleti e non

sapevolmente a ciò che lo ha preceduto. Così, arrivando

atti a testimoniare il nostro tempo - , la nostra più stretta

alla più stretta attualità, si viene consumando l’orrenda

contemporaneità ha visto un fiorire continuo di atteg-

nemesi a cui già prima abbiamo accennato: quell’atteg-

giamenti di contrapposizione a questo dominio in cui,

giamento “eversivo” perenne, che nasce e si giustifica

di volta in volta, viene messo l’accento su un aspetto

in contrapposizione ad ogni tradizione, diventa sempre

del recupero del fare manuale, del primato dell’opera,

di più istituzionale e totalitario, fino a stabilire con re-

dell’uso di linguaggi e strumenti tradizionali, del sen-

gole ferree e paradigmi rigidissimi quali sono i segni

so stesso dell’immagine dipinta o scolpita. La “Meta-

distintivi del nostro tempo e con quali mezzi realizzarli.


Solo negli ultimi 40 anni, ma soprattutto oggi, si può

art. Ma se si decide di restare dentro la pittura, ben sa-

parlare realmente e propriamente di un “atteggiamento

pendo quanti ostacoli questo comporti, occorre starvi in

anacronistico” consapevole. Tuttavia, a nostro parere,

modo completo e destinale. Se alla pittura si è chiamati

la maggior parte di questa nuova pittura che nasce per

occorre rispondere senza infingimenti, trucchi o ipocri-

contrapposizione violenta alla sfera concettuale, finisce

sie. Se ne vede troppa, oggi, di pittura piena di sensi di

per somigliare troppo a ciò che dice di combattere, e

colpa che, per affermare una propria timida e colpevole

non recide realmente il cordone ombelicale del gioco

attualità, si avvelena con modi e segni che non le appar-

perverso delle filiazioni per contrapposizione: ripeti-

tengono. Per noi non è questione di ispirarsi alle imma-

zione, oramai esausta, di quel movimento sistolico che

gini prodotte dal cinema, dal fumetto, dalla fotografia,

abbiamo visto inaugurarsi con gli impressionisti. Per

come fanno oramai stuoli di “pittori” -che finiscono per

queste ed altre ragioni, più individuali ed etiche, noi,

assomigliare sempre di più a pittori della domenica alle

pur esprimendoci coi mezzi della pittura più tradizio-

prese col vasetto di fiori o col paesaggino oleografico!-,

nale, non sentiamo di appartenere ad alcun “atteggia-

ma direttamente allo sguardo che inaugura la nostra re-

mento anacronistico” di recupero o contrapposizione

lazione col mondo e la testimonia attraverso l’opera. Per

che ci collocherebbe, comunque, nella finta dialettica

noi l’unica cosa che conta veramente è l’immagine che

dei movimenti dell’attualità. La nostra perenne e perfet-

nasce dalla relazione con l’altro (fosse anche cinema,

ta inattualità utilizza il suo sguardo periferico solo per

fumetto o fotografia!) e che, nel suo modo del tutto par-

individuare i limiti dei luoghi dipinti e il loro senso. E

ticolare e sempre uguale da Lascaux ad oggi, inaugura

se questi luoghi appaiono ai più come privi di tempo,

il mondo e lo rende visibile: quell’immagine che la mag-

e quindi assolutamente anacronistici, essi non lo sono

gior parte dei nuovi pittori desume in modo stereotipato

per scelta estetica, ma solo per destino e vocazione

da altri linguaggi (che, spesso, afferma di combattere),

dell’immagine stessa.

quasi che si fosse persa la speranza nella possibilità di uno sguardo originario, di un gesto veramente indivi-

c) Forse è più onesto, nell’epoca dell’audiovisivo, se si

duale, di un destino figurale assolutamente personale!

vuole partecipare della più stretta attualità, operare at-

Noi questa speranza non l’abbiamo mai persa, anzi, la-

traverso i mezzi più aggiornati che la tecnologia ci of-

voriamo perennemente e ostinatamente nella certezza

fre e tentare di realizzare creazioni artistiche con essi.

vertiginosa e rischiosa dell’apertura inaugurata dall’im-

Dal cinema, infatti, sono venuti alcuni dei più grandi

magine originaria, del sapere prodotto dalla sua ecce-

capolavori contemporanei; dal documentario di storia;

denza, della sua possibilità ermeneutica infinita. Anche

a volte dalla fotografia; più raramente dalla computer

e soprattutto da ciò la nostra perfetta inattualità.

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d) Nel critichese comune il termine “citazionista” vie-

nell’amarezza di non poter fare nulla di nuovo perché

ne riferito essenzialmente alla cosiddetta pittura colta

“tutto è già stato fatto” e galleggia, dolente o felicemente

e anacronista, quella in cui i riferimenti ai modelli anti-

opportunista, in una marea di spazzatura citazionista!

chi sono espliciti e voluti. Noi pensiamo invece che una

Forse per questo, per la resistenza a morire di questo

sorta di perversione citazionista, oggi, in realtà, perva-

paradigma del nuovo come valore assoluto, vediamo

da trasversalmente tutti i linguaggi artistici: dal con-

la perversione citazionista così diffusa e capillare! In

cettuale più radicale sino alle espressioni più estreme

fondo, chi affida la sua espressione ai resti delle opere

di recupero della manualità. E che questa perversione

altrui, spesso non dimostra altro che una mancanza di

sia figlia sostanzialmente di un disincanto diffuso nel-

mondo proprio, di sogno proprio, di propria inelutta-

la possibilità di creare qualcosa di realmente nuovo -la

bile vocazione. Per noi la citazione, il cui uso non co-

grande, incurabile ossessione contemporanea!-. Quante

stituisce di per sé un dato negativo in assoluto, anche

volte abbiamo sentito , sulla bocca dei sacerdoti dell’i-

quando è più visibile e leggibile, è implicita nell’atto

naudito, che “tutto è stato fatto”, “che nulla di nuovo è

del dipingere, come segno d’amore verso nostri maestri,

possibile”, solo per lanciare, un attimo dopo, sul mer-

che abbiamo tentato di introiettare e metabolizzare alle

cato, la nuova trovata circense dell’ultimo fenomeno

maggiori profondità possibili, e come riconoscimento e

abilmente costruito allo scopo di fare quattrini e riem-

devozione responsabile ad una tradizione a cui siamo

pire la bocca di tanti perdigiorno! Certo, questa storia

orgogliosi di appartenere e che abbiamo la presunzio-

del “tutto è già stato fatto” è estremamente funzionale

ne di proseguire. L’amore per i grandi maestri produce

a quel mondo che fa profitti dall’invenzione di nuove

nell’artista autentico e vocato un profondo desiderio di

macchine spettacolari e dalla creazione di nuovi biso-

emulazione che però non ha come suo esito la citazione

gni inutili! Ma, oltre

esplicita, che, in fondo, anche nei migliori, non è che

che in mala fede e disonesta, questa espressione, così

una scorciatoia, ma la frustrazione di un perenne falli-

diffusa anche fra chi non sa neppure di cosa stia parlan-

mento che conduce inevitabilmente alla propria strada,

do, non corrisponde alla realtà nella sua complessità.

alla propria verità, al proprio limite. Su questo limite,

Noi pensiamo che l’artista autentico e originario, chia-

sempre abitato con attenzione e presenza, su questo

mato dal suo linguaggio e dalla sua sensibilità e visione,

sottile filo rosso, si può ancora produrre differenza.

a produrre immagini, a dare forma ai luoghi, aggiunga

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sempre, inevitabilmente, qualcosa di nuovo e partico-

e) C’è un solo dio, oggi, a cui si genuflettono trasversal-

lare al linguaggio che sta utilizzando per esprimersi.

mente tutti i popoli del mondo, l’unico sopravvissuto

Forse davvero lo schiavo del “nuovo a tutti i costi” vive

alla morte di Dio e in questa cresciuto smisuratamente,


oncologicamente, come una enorme concrezione totali-

velino particolarmente inadatti, tranne qualche rarissi-

taria e totalizzante: il Mercato. A questa divinità assolu-

mo caso, a far crescere un vero, grande artista. I tempi

tamente trascendente e incomprensibile -nonostante la

della realizzazione di un immediato e facile plusvalore

sua innegabile immanenza nelle nostre vite-, sfuggente

sono quelli del consumo rapido, dei ricambi veloci, del

e crudele, l’umanità sta sacrificando il pianeta con tutti

nuovo più nuovo del nuovo e così via. L’artista invece,

i suoi tesori. Nel mondo dell’arte, questo dio dalla po-

qualsiasi cosa faccia e con qualsiasi mezzo decida di

tenza biblica, da molto tempo ha dettato le sue leggi e i

esprimersi, ha bisogno di tempo vero, di tempo reale,

suoi criteri di valutazione, a cui tutti, nessuno escluso,

e non della velocità folle, fagocitante e compulsiva del

siamo soggetti (“il denaro ha sostituito il significato”

mercato contemporaneo. Per questo, al di là di ogni faci-

R.Hughes). Dall’ operina venduta nei mercatini, all’o-

le e inutile giudizio di valore sul mercato in quanto tale,

pera venduta in Gallerie importanti (e non) o nelle aste

al quale, come si è detto sopra, nessuno può sottrarsi,

di ogni livello, ogni cosa ha un valore di mercato e que-

la nostra perfetta inattualità sta anche nel non farsi det-

sto potrebbe avere una sua giustezza se non fosse che

tare i tempi da nessuna contingenza esterna all’opera,

questo valore è, via via, divenuto sempre di più il valo-

neppure da quella mercantile. Mantenere un rapporto

re paradigmatico dell’opera stessa. C’è stato un tempo

dignitoso e sano col dio mercato significa dunque non

in cui la difficoltà commerciale dell’opera era il segno

sacrificargli nulla dell’opera -né quantitativamente, né

del suo valore, della profondità della ricerca, della sua

qualitativamente-, ma pensare, con una certa aristocra-

irriducibile differenza. Oggi, purtroppo, solo la vendi-

tica incoscienza, che dovrà essere lui ad adattarsi ad

bilità dell’opera è il segno non solo del suo valore asso-

essa o altrimenti dimenticarla.

luto, ma della possibilità della sua stessa sopravvivenza. Naturalmente se l’opera d’arte è solo merce come

f) Se una larga parte -non tutta naturalmente!- della cri-

merce va trattata e deve sottostare alle leggi che gover-

tica d’arte contemporanea mostra di avere , da tempo,

nano la merce e i suoi spostamenti. Compreso questo,

dimenticato il compito che essa stessa si era assegnato:

i mercanti d’arte non hanno fatto altro che utilizzare

di essere il primo filtro ermeneutico fra opera e fruitore

le grandi strategie di marketing applicate alla vendita

ed iniziare così il circolo infinito delle interpretazioni,

delle opere, con la complicità colpevole di una critica

analizzando e catalogando i fenomeni con cui, di volta

sempre più compiacente e delle grandi Istituzioni Cul-

in volta, veniva in contatto, agli artisti è venuta per con-

turali del pianeta. Senza approfondire questa analisi,

tro a mancare, via via, la prima e più naturale interlocu-

che meriterebbe da sola un intero volume di doglianze,

zione. Il progressivo e ineluttabile asservimento della

è comprensibile come i tempi del mercato attuale si ri-

critica al mercato o, per dirla con meno crudezza, la

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sempre più stretta collaborazione economica fra le due

biamo mai cercato, né provocato. Evitando, per quanto

entità, ha svuotato sempre di più il ruolo e la lingua del

possibile, ogni aderenza e complicità.

critico d’arte sino ad un suo completo rovesciamento,

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sino alla rinuncia all’esercizio critico vero e proprio. I

g) Infine, per concludere questa piccola e generica car-

danni provocati da un simile atteggiamento sono ora-

rellata di smarcamenti dall’attualità, vorremmo dedi-

mai sotto gli occhi di tutti e criticare la critica non è

care una postilla ad una tendenza che, soprattutto dal

cosa che ci appassioni. Una cosa, però, vorremmo sotto-

secondo dopoguerra in avanti, si è andata consolidando

linearla con forza: nel tempo, l’uso di parole svuotate e

sempre di più: la rappresentazione e l’ enfatizzazione

intellettualmente disoneste, di espressioni stereotipate

del brutto, del deforme, del patologico, come tema tra-

e modulari, di un gergo vuoto e inutilmente complica-

sversale dell’arte contemporanea. Sarebbe stato diffici-

to ha sostituito, quasi completamente, il sano esercizio

le, sino a qualche secolo fa, immaginare -al di fuori di

ermeneutico, provocando una specie di olocausto della

certa pittura di genere- che il brutto avrebbe potuto es-

lingua a cui dobbiamo una parte rilevante dell’imbar-

sere un soggetto interessante e un tema praticabile per

barimento della nostra civiltà (... portare le parole già

l’opera d’arte. Eppure, da qualche tempo a questa parte,

esauste nei forni crematori). Per quanto ci riguarda il

dal concettuale più spinto, alla pittura più tradizionale,

nostro rapporto con la parola che si affianca alla pittura

alla fotografia -almeno per rimanere in ambito di arti

è stato sempre risolto in maniera perfettamente inattua-

figurative- il brutto, il cattivo, il deforme e il patologico

le: quando è stato possibile, come ora, abbiamo affian-

si sono imposti come temi dominanti e come soggetti di

cato noi le parole alle opere; in altre occasioni abbiamo

grande e sublime fascinazione. I motivi per cui questo

affidato l’interpretazione e la lettura del nostro lavoro a

è accaduto meriterebbero ben altro spazio e un’analisi

persone -critici, filosofi, scrittori, poeti- coi quali si era

globale delle tendenze epocali in cui fossero impegnate

instaurato un rapporto serio, autentico e ricco di pos-

tutte le discipline . Noi vogliamo solo porre l’accento sul

sibilità interpretative; ogni volta che è stato possibile

fenomeno, facendo però un piccolo, ma sostanziale, di-

abbiamo lavorato per costruire rapporti veri, di stima e

stinguo. Vi sono artisti che , con la forza autentica della

di affinità, percorsi realmente paralleli in cui lo scritto

loro ossessione, hanno saputo fare del resto, dell’ im-

non fosse che la testimonianza della relazione produt-

mondizia (Mattia Moreni ad esempio)(1), del brutto, del

tiva intercorsa tra la sensibilità e la cultura dello scri-

deforme (Lucien Freud, Bacon ed altri) motivo di gran-

vente e l’opera che aveva di fronte. Altre volte ancora,

de raffigurazione poetica, oppure pretesto per una forte

per essere onesti, anche noi abbiamo subito l’insulto,

denuncia sociale, perché, e questa è una delle grandi

spesso in buona fede, delle parole morte. Ma non lo ab-

conquiste dell’arte moderna, nulla può essere escluso


in essa delle cose del mondo come tema di raffigurazione, riflessione filosofica e rappresentazione. Ma la maggior parte degli artisti che oggi si crogiola nel brago del patologico non mostra di farlo con vere e profonde motivazioni poetiche: anche tutto questo repertorio di storture, abiezioni, sangue e vivisezioni da sala autoptica , purtroppo, è divenuto da tempo moda e retorica di vario genere, perdendo tutta la sua forza eversiva e riflessiva, per rientrare interamente nello statuto della merce. Questa vicenda non ci riguarda, nĂŠ ci appassiona in alcun modo. Col massimo rispetto per chi rovista nella spazzatura con grande arte, ma senza alcun rispetto per chi lo fa superficialmente e per danaro, noi vorremmo ancora produrre senso attraverso un’idea di bellezza, e tentiamo, con tutta la concentrazione possibile, di fare questo in ogni istante della nostra vita creativa. Certo! Probabilmente anche gli oggetti della nostra rappresentazione sono resti, ma noi cerchiamo di dare loro almeno una parvenza di redenzione -o, forse, di resurrezione!- nella forma; probabilmente anche noi brancoliamo nel deserto delle lingue morte, guidati con infinita dolcezza solo dal nostro miraggio e dalla certezza di avere giĂ da sempre perduto: ma non possiamo fare altro e dobbiamo farlo sino in fondo.

17A


3 IL PUNTO DI VISTA DELLA BALENA SPIAGGIATA.

E così la balena, dopo avere solcato gli oceani e soffiato solitaria nel deserto dei mari, dopo aver perduto i compagni di viaggio ed aver emesso vanamente il suo canto straziante, che attraversa secoli ed ere, nel cavo di notti infinite, disorientata dai sonar delle navi, dagli agenti inquinanti e, forse, da un’immensa stanchezza e da un disincanto senza rimedio, ha finito i suoi giorni arenata sulla spiaggia. Il suo grande, inquietante occhio umido si è spento lentamente guardando quella terra sconosciuta che non avrebbe mai dovuto conoscere. Tuttavia, nella breve, folgorante stagione di quello sguardo morente, tutto è divenuto chiaro, limpido e lucido. Forse, a ben guardare, in quella narrazione che viene chiamata storia dell’arte, gli artisti più autentici sono sempre stati, in qualche modo, inattuali. Forse, anzi sicuramente, nell’epoca della doxa, le nostre parole verranno sottomesse con brutalità al senso comune che governa la circolazione della merce e, di conseguenza, ignorate, fraintese o utilizzate per altri scopi.

18A

Ma noi non abbiamo mai amato i sofisti e ci ostiniamo a credere in un principio di verità e nella maggiore onestà possibile del fare e del vivere. E poi, in fondo, non è che il punto di vista della balena spiaggiata.

Enrico Lombardi Giorgio Tonelli estate 2012

1) cfr. Rocco Ronchi, L’ignobile splendore: bellezza e abiezione, In Il Luogo della mente. Mattia Moreni a Santa Sofia, Comune di Santa Sofia, 2005, pp. 22-33. Sullo stesso argomento si veda anche di Rocco Ronchi, Filosofia della comunicazione, Bollati Boringhieri, Torino 2008, pp. 27-58.


19A


From a certain point onward, there is no longer any turning back. That is the point that must be reached.” (Kafka) “Clearly what concerns the visual relates to the optic nerve, but it is not in itself image. The sine qua non condition of the image is its relation to otherness.” (S. Daney)

INTRODUCTION

20A

The original idea for this show, including this

truths. This two-man show is the result of that ongoing

introductory text, springs from long standing and

project. That we were both participants in the recent

earnest desires and necessities. First among these is the

54th Venice Biennial as a part of the Italian Pavilion

necessity to testify with this joint production to a long

show and thus in the larger context of many other

and extraordinary personal friendship intermingled

‘painters’ colleagues, has strengthened our desire to

throughout with a consistent artistic fellowship. Two

demonstrate in theory and practice our own specificity

painters such as us, who have recognized each other

and difference. Rather than originating in what some

on the threshold of their own silences and agreed to

might see as a purely self-referential statement, the

confront the mutual necessity of a search for answers

idea for this show instead begins with a true and

are thus united. The questioning originates in the

strongly shared urge to question the status of the image

primary act of painting and its sources, both aesthetic

today. In this, we mean the image’s relationship with

and not. We are two artists who have, with stubbornness,

its own history and its consequences, both theoretical

chosen the defense and pursuit of their everlasting out-

and practical in order to better understand if our

datedness as an opportunity to reach toward higher

shared sense of distance and out-datedness are founded


in greater truths. This show, with its philosophic,

in a fundamental call for silence, concentration and a

iconographic, and historic elements, is intended as an

fruitful isolation.

orchestral piece, exploring the true sense of the image.

Artists of previous eras who were perennially outdated

Here we address its ethical and aesthetic status in a

consistently produced a knowledge, a style, and a peculiar

time such as ours where our retina is constantly being

account which has often proved itself fundamental in

abused but is void of true images. As for ourselves,

understanding not only cultural latencies, but the truer

an investigation such as this helps us understand the

meaning of their own time. The result is a contribution

place in the production of culture and knowledge that

worth its own visibility and hermeneutic openness.

our work can occupy today. What we have defined as

Through our analysis, we will attempt to understand

our “everlasting out-datedness,� is a proud, stubborn

and explain, as honestly as possible, how we became

and even somewhat aristocratic claim to our desire to

aware of the fact that we inevitably share the same

be separate. This desire is not grounded in narcissism

condition.

or snobbishness, but rather in the vital and earnest necessity to be authentic in the making and living,

21A


1 OUT-DATEDNESS AS A CONDITION, AS FATE.

22A

There are many ways in which an artist can be outdated in relation to the actuality of any era and the ruling language which defines it as such. For instance, we could include the swarm of the so-called “amateur painters” who delight in practicing creativity, but share with art only the surface. In this they have no awareness of the relationship of their work to the thinking, the language, the history, and the tradition which might turn a generic human artifact into a work of art. Thus, they are overwhelmed by their own poor and self-centered desire to reproduce something which mimics the superstitious or stereotypical idea of what is real or fashionable. In this, they might be jokingly classified as “outdated in spite of themselves.” Then, there are the “outdated by choice,” those aware of the qualifying paradigms of their time, who choose to place themselves ideally and aesthetically in another time more conducive to their tastes and desires, thus reaffirming their difference in respect to the ruling languages. This is, in reality, just a more sophisticated and disguised fashion of actuality itself, since our being contemporary is literally founded on the shifts and contrasts to what each time, is considered as the tradition to be renewed and overcome. These versions of

the ‘outdated’ are, in fact, only looking for an actuality more real for themselves and perhaps more stringent, where they can find their own space within that topical reality, in short for a more topical actuality. With no desire or intention to be overly judgmental of works born from such a stand, they nevertheless could be described, in the best case scenario, as naïve if not intellectually dishonest. A well-known aphorism by Salvador Dali comes to mind, an aphorism not void of humor: “Don’t bother about being modern. Unfortunately, it is the one thing that, whatever you do, you cannot avoid.” In the end, this version of out-datedness always results in an anachronistic stance, both formal and ideological. It may also manifest itself as a vague and useless nostalgia for a creative Eden that has never existed in reality, demonstrated by the fact that every era, in its own fashion, has longed for one. Furthermore, from an aesthetic point of view it represents an outmoded and always lazy repetition of familiar languages in which nothing intrinsic to the artist’s personal destiny and being is triggered to reanimate them. Thus, the anachronistic design itself should define them as “new and up-to-date.” Here, as I have mentioned before, what is central and of fundamental emphasis is founding and


stressing, no matter what, one’s own actuality. There is, in fact, no out-datedness less outdated than this one. We are again playing that tired modern game of seeking the superficially different: of false antagonisms, of definitions, of the many “isms,” of those traditions to be destroyed or worshipped. The result is the purest and most stringent actuality. May our esteemed colleagues forgive us! But the largest and best disguised category of outdatedness is the unintentional one that we will term, as a joke of course, of those that are “outdated due to an excess of actuality.” I am talking about all those artists who, though more or less aware of the respective paradigms of a certain era, are so loyal to it or to its myths that they can only produce a version of a longdead academic conformism. Their terror at being cast out and no longer understood or accepted in the mundane game of contemporary aesthetics forces them to morbidly and uncritically work within that dominant aesthetics. They are unaware that it is this very forced adherence to their own time that fatally throws them out of it. Thus, and utilizing their own paradigms, only those artists who have created shifts in language and innovations and have founded the actuality as such can be considered up-to-date, not those who have sheltered themselves within it, like termites. These artists “outdated due to an excess of actuality” are the idlers who forgo the investigation of the actuality of their own time, especially the uncommon or unexpected angles from where such an investigation may come. Instead of bringing real innovation to the language, they peacefully graze in fields farmed by others and show their obsequiousness to the regime. There they exhibit their oily loyalty to the boss, the hierarchy, and power

as such. Made strong by the protection of the dominant critics, predetermined patterns, and popular taste, they are more than happy to give to others the hard tasks of freedom, conscience, analysis, responsibility, and, allow me, true subversion, which always seeks to create a difference. And finally we have those artists fated by their own condition so that, even though perfectly aware of the issues, trends and fashions of their time, find themselves doomed by their own formal obsessions. With no desire to contrast themselves with anyone or anything, or create something new or engage in the dialectic encounter with the paradigms of any era, these artists have no choice but to go their own way in pursuit of the treasured goal of producing work that transcends them and, in so doing, provides meaning to them. In the work and only in it, and by excluding all externalities can these outdated find their true home. It might be said that these artists would be outdated in respect to in any era they would find themselves living and working, hence achieving a perfect, ever-lasting out-datedness. I believe that surely the ‘outdated’ such as this have always existed, though not in large numbers, in every era. By producing a particularly original, personal, and distinguished language, they have created a buffer, a protective film that acts as a border and yet must be dealt with by the era in defining itself. These outdated, impossible to include in any genre, ism, or critical delusion, travel within the flow of their own inalienable vocation towards a superb isolation. It is only natural that with this often comes many sumptuous misunderstandings. This condition inevitably produces a primary, essential organic difference and it is to this condition that we belong.

23A


2 A FEW BRIEF AND BANAL CONSIDERATIONS ON THE CONCEPT OF ACTUALITY. (in other words on all that does not interest us)

Without needing to consult a dictionary, we can include

and secondary features of the dominant current artistic

in what we define as actuality everything that happens

languages and the so-called ‘art world’ itself. In doing

concurrently, in the present, in its own time, in its own

this we can clarify the reasons why we quite naturally

era, whichever you wish. Therefore any contemporary

dislike them both.

phenomenon, even our wrathful and aristocratic out-

24A

datedness, is fundamentally but an aspect, however

a) Since the end of the Second World War the

borderline, of the entire actuality. This is a fact that we

inheritance of the historical avant-gardes has been

must accept philosophically, no matter how upsetting

partially misinterpreted and thus, one of the main and

it may be! That being said, we can state, without fear of

most qualifying aesthetical-ideological categories of

contradiction and with considerable evidence, that this

being contemporary, has been “new at all costs”. The

debased era is unique in the simultaneous coexistence

work of art is considered such and thus interesting only

of all aesthetic languages and creative modes. In fact,

in so much as it opposes or discards style and tradition,

it is hard to imagine one movement dominating the

even the latest one, in its quest for recognition as

discourse again without the considerable financial

something new. Born as a dynamic plan for an ongoing

support of the market and a concurrent propaganda

revolution in aesthetic language, it has come, in no time

campaign. We can, therefore, recognize that everything,

at all, to resemble the worst in consumerist marketing

absolutely everything, is up-to-date. Alas, this is

strategies, perpetuating itself with the endless creation

also true for ourselves. So, why are we so stubborn

of accumulative novelty items. This has inevitably

in wanting to identify with this peculiar type of out-

allowed global merchandising to overwhelm the organic

datedness, the site of our artistic creativity and growth?

growth of aesthetics replacing it with evanescent

Let us try to explain it by analyzing some fundamental

products, supported by sumptuously funded mass-


marketing campaigns, created to stir excitement,

staggering alone in a bright and wordless desert, empty

demand, and profits both locally and worldwide. What a

of truths. Just so, the vast ocean of human creation has

sorry state! Say goodbye to the Duchampian revolution

now found itself choked by a huge poisonous mass of

and those aesthetic languages that should have been

rubbish and plastic, leaving the once fecund waters

the bearers of a non commercial subversive tendency

now sterile and the fish strangling. In this creative

to produce a difference and instead have become a

biosphere, on land or in the sea, it is difficult if not

domesticated bourgeois status quo, subservient to

impossible to take a creative breath. To these nihilistic

the market and its commodities. A strange kind of

trends we have replied with an absolute fixity of

commodity, indeed! But nevertheless a commodity and

concentration on our vocation and obsessions, with the

thus reduced and quantified to the inevitable status of

awareness of the radically non-anthropocentric nature

products, merchandisable products. This is not to say

of the image, with the ceaseless and harmonic beauty of

that some very important artists have indeed emerged

repetition, with the solitude of the space enfolding and

from this “new at all costs” situation, but the pressure

delineating the image, and a responsible and dignified

on new creative generations, a pressure to be heard,

relationship to aesthetic tradition, underscoring our

to become successful, to constantly create something

own self-awareness toward it. By doing so, we have

new, unprecedented and never seen before, has

tried to live within the commerce of the market without

demanded a series of sleight-of-hand card tricks, circus

compromise, standing upright and working tirelessly

entertainments, horror, ugliness, pathologies and

to promote culture, beauty, and meaning, certainly

autobiographical exposures, needlessly complicated

aware of how old fashioned and impractical it may

and spectacular - in short, a constellation of mad, waking

all sound, including even these very words! Here,

complications. It may not be exaggerated to say that

perhaps is where the source of our out-datedness can

not only the basics of the first Conceptual movement

be found. We can only hope that the “new at all costs”

have been lost but that the very creative impulse itself-

is a pathogen soon to lose its virulence and so then

reading, interpreting and creating essential art has

give back to the artists their health and a true freedom

been, may be forever, undermined.

found in responsibility, immanence and a relationship

Generations of destroyers, most of them not even self-

to otherness. That being said, we are not now and will

aware villains, but only minor functionaries, have

never be motivated by antithesis, that ceaseless feeder

undermined every facet of responsible tradition,

of actuality. We can only report on a disease to which

including their own, all in the pursuit of some novel

we are not even immune carriers. Our response is, as

“uniqueness.” All too often they discover themselves

much as artistically possible, to walk our own road.

25A


26A

b) In our time (as in every other era before) the concept of

collage, and so on, all at the expense of artistic tradition

what is “new” has embodied and been servile to certain

and its two primary mediums, painting and sculpting.

rules that reflect what is declared by the dominant

The dominant arguments in favor of this aesthetic have

contemporary aestheticians as the pivotal language.

centered, mainly incorrectly, but sometimes with some

Contrasting this actuality as such has been an artistic

truth, to the inappropriateness of traditional forms to

response, whether voluntary or compulsive, and in

speak to our times. Inevitably, there has been a plethora

ways from time to time different, best described as the

of artistic responses to this new conceptual hegemony.

“anachronistic stance.” While Giotto and others from

These have included an emphasis in the centrality of

around Siena were redefining the use of space of the

the craft, the tools and handiwork required to produce

Middle Ages iconography, most Italian artists were still

traditional art, and with that the essential meaning of

painting spatially as had the Classical Greeks. While

the created image itself. So, ranging from the “Metacosa”

Piero della Francesca, Massaccio and Brunelleschi were

and the “Transavanguardia” itself to “Anachronism”

setting the image and the world in their metaphysically

and the “New Italian Figuration,” we see a focused,

perfect perspective grid, throughout the countryside

contemporary, and self-aware response to the dominant

could be found known and sometimes famous artists

empire of conceptual languages. Nevertheless, in order

still painting in the style of the Trecento. Later, in the

to not fall into the trap of hurried and generic analysis,

midst of the Impressionist Revolution, the majority of

with its inevitable and facile contrasting lists, we

painters adhered to the self-celebratory and murky

must instead point out some substantive differences.

rules of the Nineteenth Century Academy. The Modern

When examining the history of classic painting, from

Age has seen in France a “return to order” and in Italy

the Middle Ages up to the Eighteenth Century, we

a rediscovery of the Nineteenth Century, as an act

cannot really talk of self-aware and active resistance

of rebellion against a perceived overreaching avant-

and antithesis to the contemporary creative language,

garde and thus a return to the centrality of the image

despite what certain optimistic Marxist art history

and medium of the painting. These were, generally

might wish to assert. In this we see certain more

speaking, the precedents of a movement in reaction

recently established historicist categories used to judge

to the aesthetic actuality that can be found even these

retroactively and, using their own contemporary criteria,

days. The entire movement in art since the end of the

movements of a completely different nature and origin.

Second World War has been inexorably toward the

Instead, what we see are the influences of tradition

supremacy of conceptual aesthetics in art- audiovisual,

and parallel cultures creating pockets of unintentional

performance, installation, mixed-media, photographic

resistance, if not, simply, the simultaneity of different


languages. This scenario radically changed with the

anachronistic, they are so not because of aesthetical

advent of the first avant-gardes: now, a language is

choice, but rather from the inherent fate and vocation

defined as innovative and new because it is conscious

of the image itself.

and willing in its opposition to what has preceded it. Thus, we arrive again at contemporary actuality, that

c) To be frank, in this age of technological media, if

horrifying foe, with its constant “subversive” stances

one wishes to be a part of the strictest actuality, one

against any and all traditions, and its inevitable

should utilize the most cutting-edge technologies

totalitarian growth in strict rules and rigid paradigms

and techniques and use them fully to attempt to

in what can be considered as the representing signs

bring forth art. From cinema, for example has come

of our time and the mediums to achieve them, which

great contemporary works uniting technology and

in the end, does nothing else but merely reflect our

vision. Similarly, much can be said of the works of

times instead of actually subverting them. Only in the

documentarians and photographers, though perhaps

last 40 years, but these days more than ever before, we

rarely of computer artists. If one chooses to remain

can talk of a real conscious “anachronistic stance,” yet

a painter, with all the difficulties that choice entails,

most of the art produced from this violent opposition to

one must be a complete painter. This calling must be

the conceptual aesthetic has been, in our opinion, very

pursued without resort to dissimulation, trickery, or

much like its opponent. It has not cut the umbilical cord

insincerity. We can daily see painting fully culpable of

of the twisted aesthetic game of creation by opposition,

these failings, seeking a guilty and furtive actuality by

instead reflects an already well-worn repetition of

appropriating signs and fashions foreign to it. For us, it

systolic extremes first begun by the Impressionists.

is not a question of finding inspiration in the products

For these and other reasons, deriving more from the

of cinema, cartoons, or photography, as occurs with so

personal than the ethical, we do not feel that our use

many so-called “painters,” who instead seem not unlike

of traditional painting fates us to an “anachronistic

amateur hobbyists, struggling to represent a vase of

stance,” with its desire to be contrasted to movements

flowers or a paint-by-numbers landscape! Instead, we

or individuals, inevitably leading to the false and

relate directly to the gaze which opens our relationship

artificial dialectics of the unfolding of the actuality. Our

with the world and bears it through the work of art.

perennial and perfect out-datedness relies exclusively

For us, the central truth is the image, born from its

on its peripheral gaze to identify the limits of the

relationship with the other (also including cinema,

painted place and its meaning. Thus, if to most observers

cartoons or photography!) and the unique way that,

these places appear timeless and, therefore, absolutely

unchanged since Lascaux, it creates the world and

27A


makes it visible. It is this same fundamental image

has worked remarkably well for those who have grown

that most novice painters unimaginatively appropriate

wealthy from marketing the latest wonder-work and its

from other aesthetic languages (even while declaring

manufactured controversy! This approach, so grounded

themselves at war with them) and thus lose any hope

in dishonesty and bad faith and so commonly echoed by

of finding a primordial vision, a uniquely individual

the ignorant, has no bearing on reality as a whole. We

gesture, an absolutely personal figural destiny!

believe that the truly original artist, called by his innate

We, personally, have never lost this hope and work

language, sensibility and vision to create and form

stubbornly and relentlessly in the both giddy and risky

image and space, inevitably contributes something

certainty that here can be found the opening provided

individual and new to the language he is using to

by that primordial image, of the knowledge produced by

express himself. It may be true that whosoever is a

its surplus, and its endless hermeneutic possibilities.

slave to the “new at all costs” dwells constantly in the

Thus we find our perfect out-datedness.

bitterness of being unable to produce anything new, for “everything has already been done” and instead floats,

28A

d) In general critical usage, the term “appropriation

either in pain or happy opportunism, in a rising sea of

art” refers to the historically aware and learned usage

appropriation art rubbish! It may be that this is why,

of antique images in contemporary art. We strongly

due to the persistence of the paradigm of “the new” and

believe that today a perversion of this usage runs

its survival as an absolute value, that this appropriation

across all extremes of aesthetic language, from the

art perversion is so widespread! After all, whosoever

radically conceptual to the handcrafted neo-traditional.

trusts in leaving his own creative expression to the

This perversion derives substantially from the

debris of someone else’s art often displays the lack of

disillusionment accompanying the perceived inability to

a unique worldview, of an individual dream, and of an

create anything truly new- that great, incurable modern

inevitable vocation. As for ourselves, we believe that

obsession! And yet, how many times, after hearing from

appropriation is not a negative per se, even when made

the preachers of the inconceivable that “everything has

obvious, rather, it is implicit in the act of painting, for it

already been done” and that “nothing new is possible,”

stands as an homage to the true masters. By aspiring to

do we then immediately see promoted on the market

synthesize and metabolize its essence within ourselves,

the latest circus spectacle by the newest genius, all

we perceive it as a responsible act of acknowledgement

carefully calibrated to make money and thus feed the

and devotion to a tradition we esteem and wish to

many open mouths of the idlers! There is no doubt that

continue. This love for the great masters produces

this approach, used and abused time and time again,

in the true and authentic artist a profound desire to


emulate them, not so much in direct appropriation,

value, but often its very survival. Obviously, if art is

which even in a best-case scenario is only a shortcut,

only a commodity, it should be treated as such and so

but rather in what ensues from the attempt. That is,

subjected to the laws of commerce and the marketplace.

that the frustrating and constant failure resulting from

By affirming this view, art dealers have gone on to apply

the very act of emulation leads back to your own path,

marketing strategies to the merchandising of works of

your own truth, and your own limit. And it is exactly at

art, with their willing accomplices, the compliant critics

this limit, carefully and consistently inhabited, on this

and the grand Cultural Institutions across this planet.

thin red line, that one can still make a difference.

Without going any further into this line of analysis, which could easily be worth an entire book devoted to its

e) Today, there is only one god, a god that all the peoples

many complaints, it seems obvious that the modern art

of the world kneel down to, the god surviving God’s

market, with only a few rare exceptions, is unsuited to

death, which has blossomed and flourished beyond

fostering the growth of a truly great artist. The pace for

all limits as a giant concretion of totalitarianism

the marketing of easily realized surplus value (profits)

and totalization: the Market. To this absolute and

requires a rapid velocity of sale and resale and the

incomprehensible (despite its undeniable immanence

constant replacement of the new with the newer and

in our life) divinity, to this cruel and illusive divinity,

the newer still and so on… Any artist instead, regardless

mankind is sacrificing the planet and its treasures. In

of what he does and the medium in which he works

the art world, this god of quasi-biblical powers has long

to express himself, requires real time, true time rather

held sway with its rules and scales of value. We are all,

than this insane, compulsive, and engulfing speed of

with no exception, subject to it (“Money has replaced

the contemporary market. This is why, leaving aside

meaning.” R. Hughes). From minor works displayed at

facile arguments regarding the value of the market as

street fairs to ambitious works in major (and minor)

such, in seeking to achieve our perfect out-datedness,

galleries or at auction, everything has a market value.

we have chosen to take our own good time, rather than

There would be at least some sort of justice to this, if not

fall under the dictates of any externalities or the hectic

for the fact that monetary value has largely supplanted

and contingent market. To maintain a dignified and

the paradigmatic value of the artwork itself. There was

healthy rapport with the market god does not require

a time when the difficulty in selling a work of art was

the sacrifice of the art itself, either in quality or quantity,

a signal of its aesthetic value, of the rigor of its ideas,

but rather to believe, with a certain aristocratic naiveté,

of its essential difference. Now, unfortunately, it is only

that it is the market that should adjust to the artist and

the sales potential of the work which marks its absolute

not vice versa: otherwise, forget it!

29A


f) If the majority (of course, not all!) of contemporary

have been other instances where we have relied on the

critics have long shown that they have forgotten the

interpretation and understanding of our work provided

very reason for their own existence, the very function

by those-critics, philosophers, novelists, and poets-

that they assigned themselves, of being the first

with whom we have established a serious and authentic

hermeneutic filter between the work of art and the

liaison, rich in interpretive possibilities. When possible,

observer and thus beginning the endless spiral of

we have worked with the intention of constructing true

interpretation, analysis and naming of all the artistic

intellectual relationships based on mutual esteem and

phenomena they come in contact with, artists have

affinity, where parallel paths sustain and reinforce each

been therefore deprived of their initial and most natural

other, carrying forth the mutuality of the writer and

interjection. The constant tailoring of the critique to the

the artistic work which they contemplate. There, have

demands of the market, the soft-pedaling of negative

been other times, to be honest, where, often with the

opinion, or, to be a little less harsh, the closer and

best of intentions, the relationship has not worked, the

closer economic collaboration between the two entities,

words have arrived unsought and already dead, and we

has diminished the role and language of art criticism

have been forced to emphasize our distance and lack of

to the point that they scarcely exercise the critical

complicity in them.

function at all. The damaging effects are obvious and,

30A

though pointing out the shortcomings of art critics is

g) In conclusion, and in attempt to end this brief and

not particularly enjoyable, it is necessary to point out

somewhat generic attempt to differentiate ourselves from

the results. Over time, the repeated use of empty and

actuality, we would like to devote this final observation to

intellectually dishonest terms, of stereotypical and

another prevalent contemporary phenomenon in art: the

clichĂŠd expressions, of meaningless though uselessly

depiction of ugliness, deformity, and the pathological. It

complicated language, has replaced almost completely

would have been unimaginable just a few centuries ago,

the healthy exercise of the hermeneutic function. The

other than in the occasional genre work, that ugliness

result has been a sort of linguistic holocaust, leading

could be such an interesting and relevant topic for art.

inexorably to the barbarization of our society (... taking

Yet, for some time now and in various media, ranging

already exhausted words to the crematoriums). As for

from conceptual art to photography, and then to the

ourselves, our relationship with words as well as art

most traditional painting- and this is just to mention

has found its eternal solution in a perfectly outdated

the visual arts- the ugly, the ill, the misshaped, and the

fashion: given the choice, as in this essay, for instance,

pathological have become a central theme and subject

we have chosen to ally the works with the words. There

of great and sublime fascination. The reasons why this


has occurred would fill a much larger and more wide-

that true, it may only be a mirage, but we have no other

ranging multi-disciplinary analysis, but we would like

choice but to pursue it until the end.

to point out one distinct aspect of this phenomenon. There have been artists who, supported by the innate power of their obsessions, have been able to alchemize remains and rubbish (Mattia Moreni) and ugliness and deformity (Lucien Freud and Francis Bacon) into poetic and socially conscious works of art. This has been one of the great accomplishments of modern art- nothing is taboo as a theme for philosophical investigation and representation. However, artists who today delve into degradation and the pathological seem to lack powerful and authentic poetic motivations. The repertoire of deformities, abjections, gore, and vivisections have instead become fashion and rote rhetoric losing their thoughtful and subversive power and becoming subsumed into the commodity. This neither involves nor fascinates us in the least. With all due respect to those who choose to rummage through the detritus with great skill but with no respect for those who do it just for the sake of cash, we have different priorities. We have a simple wish to produce meaning through the ideal of beauty and so we aspire to it in every moment of our creative life. It must be admitted that our own subject matter is often ruins or remains, but our formal intentions toward them are of redemption, or, even better- resurrection in the form! We too may be staggering through the desert of dead aesthetic languages, but gently and solely led by our own vision, the certainty of having already lost and the awareness

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3 THE POINT OF VIEW OF A STRANDED WHALE.

And so, witness the whale, after having swum the oceans alone, solitarily spouting in the desert of the seas. And after having sung its heartbreaking chant to its lost companions, echoing across eras and centuries, echoing in the hollow, empty nights. And after being confused by the sonar of distant boats and choking on the pollution pervading the waters. And so, witness the whale, with its immense weariness and disenchantment without remedy, after ending its days stranded on the beach. Its immense and unsettling wet eye has gradually dimmed while staring at a land it never sought. Yet, there can be found a rare clarity within the dimming of the light. Perhaps, in a more insightful reading of the history of art, the truest artists have always been outdated. Perhaps, or even certainly, in this era of the doxa, our words will be brutally subjected to the common sense rulings of commodity circulation and either ignored, misunderstood, or their meanings perverted. Nevertheless, we have no love for sophists

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and stubbornly maintain our faith in the principle of truth through the practice of the maximum possible honesty in what we do and how we live. And yet, in the end, this is nothing more than the point of view of a stranded whale.

Enrico Lombardi Giorgio Tonelli summer 2012

1) cf. Rocco Ronchi, L’ignobile splendore: bellezza e abiezione, In Il Luogo della mente. Mattia Moreni a Santa Sofia, Santa Sofia City Hall, 2005, pp. 22-33. On the same subject by Rocco Ronchi also refer to Filosofia della comunicazione, Bollati Boringhieri, Torino 2008, pp. 27-58.


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ENRICO LOMBARDI

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Cnosso 49 - La ragione della forma 2005 - cm 85x60 acrilico su tela (Collezione privata ForlĂŹ)

Knossos 49 -The reason of the form 2005 - cm 85x60 acrylic on canvas (Private Collection ForlĂŹ)

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Cnosso 53 -La carezza del tempo 2005 - cm 85x60 acrilico su tela

Knossos 53 -The caress of time 2005 - cm 85x60 acrylic on canvas

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Cnosso 75 - Meditazione sullo spazio del raccoglimento 2008 - cm 75x50 acrilico su tela (Collezione privata Bologna)

Knossos 75 - Meditation on the space of contemplation 2008 - cm 75x50 acrylic on canvas (Private Collection Bologna)

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Cnosso 76 -Meditazione sullo spazio del pudore 2008 - cm 75x50 acrilico su tela (Collezione privata Bologna)

Knossos 76 - Meditation on the space of decency 2008 - cm 75x50 acrylic on canvas (Private Collection Bologna)

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Cnosso 79 -Meditazione sullo spazio della consapevolezza 2008 - cm 80x60 acrilico su tela

Knossos 79 -Meditation on the space of awareness 2008 - cm 80x60 acrylic on canvas

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Dulcis in fundo 2007 - cm 100x80 acrilico su tela (Collezione privata ForlĂŹ)

Dulcis in fundo 2007 - cm 100x80 acrylic on canvas (Private Collection ForlĂŹ)

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Dolcezza del silenzio 2008 - cm 50x30 acrilico su tela (Collezione privata ForlĂŹ)

The sweetness of silence 2008 - cm 50x30 acrylic on canvas (Private Collection ForlĂŹ)

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Trasparenze del mattino 2008 - cm 50x30 acrilico su tela (Collezione privata ForlĂŹ)

Morning transparencies 2008 - cm 50x30 acrylic on canvas (Private Collection ForlĂŹ)

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Giardino esoterico 2008 - cm 100x80 acrilico su tela (Collezione privata ForlĂŹ)

Esoteric garden 2008 - cm 100x80 acrylic on canvas (Private Collection ForlĂŹ)

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Infanzia della sera 2008 - cm 100x80 acrilico su tela (Collezione privata Rimini)

The childhood of the evening 2008 - cm 100x80 acrylic on canvas (Private Collection Rimini)

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L’ultima sera d’estate 2008 - cm 100x80 acrilico su tela (Collezione privata Meldola-Fc)

The last summer evening 2008 - cm 100x80 acrylic on canvas (Private Collection Meldola Fc)

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L’ora di vetro 2009 - cm 100x80 acrilico su tela (Collezione privata Forlì)

The glass hour 2009 - cm 100x80 acrylic on canvas (Private Collection Forlì)

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La città delle parole mai dette 2009 - cm 110x80 acrilico su tela (Collezione privata Forlì)

The city of the unsaid words 2009 - cm 110x80 acrylic on canvas (Private Collection Forlì)

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L’apparizione del silenzio 2008 - cm 110x90 acrilico su tela (Collezione privata Rimini)

The apparition of silence 2008 - cm 110x90 acrylic on canvas (Private Collection Rimini)

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Visioni parallele 2009 - cm 120x100 acrilico su tela (Collezione privata ForlĂŹ)

Parallel visions 2009 - cm 120x100 acrylic on canvas (Private Collection ForlĂŹ)

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Congedo 2010 - cm 110x90 acrilico su tela

Farewell 2010 - cm 110x90 acrylic on canvas

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Custode del transito 2010 - cm 110x90 acrilico su tela (Collezione privata ForlĂŹ)

The transit keeper 2010 - cm 110x90 acrylic on canvas (Private Collection ForlĂŹ)

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Custodi dell’ombra 2010 - cm 100x80 acrilico su tela

The shadow keepers 2010 - cm 100x80 acrylic on canvas

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Fine dello sguardo. Inizio del mondo (1) 2010 - cm 110x160 acrilico su tela (Collezione privata Meldola-Fc)

The end of the gaze. The beginning of the world (1) 2010 - cm 110x160 acrylic on canvas (Private Collection Meldola Fc)

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Fine dello sguardo. Inizio del mondo (2) 2010 - cm 110x160 acrilico su tela (Collezione privata Forlimpopoli- Fc)

The end of the gaze. The beginning of the world (2) 201o - cm 110x60 acrylic on canvas (Private Collection Forlimpopoli Fc)

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Custode dell’estinzione 2011 - cm 85x60 acrilico su tela

The extinction keeper 2011 - cm 85x60 acrylic on canvas

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Custode dell'eterno presente 2011 - cm 85x60 acrilico su tela

The eternal present keeper 2011 - cm 85x60 acrylic on canvas

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Face au rien 2012 - cm 80x100 acrilico su tela

Face au rien 2012- cm 80x100 acrylic on canvas

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Entrare fuori 2012 - cm 90x110 acrilico su tela (Collezione privata ForlĂŹ)

Coming-in in the outside 2012 - cm 90x110 acrylic on canvas (Private Collection ForlĂŹ)

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Infinita deriva 2012 - cm 90x110 acrilico su tela

Endless drift 2012 - cm 90x110 acrylic on canvas

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LA PROSPETTIVA COME DISPOSITIVO DI CATTURA

a Giorgio Tonelli La prospettiva lineare è una tecnica non innocente. In

della macchina. Se la macchina è un gioco, è, tuttavia, un gioco pericoloso.

essa c’è qualcosa che affascina e seduce il pittore che

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ad essa indulge. Si cede al suo meccanismo proiettivo

come si cede ad una tentazione alla quale si dovrebbe

tica significava di fatto una pericolosa ricaduta nel tec-

invece resistere. Parlo un linguaggio quasi religioso a

nicismo, in quella dimensione “meccanica” del fare,

ragion veduta. Ogni apprendista storico dell’arte lo sa:

dominante nel mondo medievale che di “arte” nel senso

fin dall’inizio, per fare della grande pittura, era scon-

moderno e romantico del termine poco o nulla sape-

tato che si dovesse deviare dalla norma prospettica.

va, dal quale egli voleva riscattare la pittura, dandole,

Nella grande arte rinascimentale l’eresia era la regola,

appunto, la dignità di arte liberale. La pittura doveva

mentre l’ortodossia rappresentava l’eccezione. Vasari

ambire, insomma, al rango della poesia. Ai fini di una

mostrerà infatti ben poca stima per gli “effetti speciali”

trasvalutazione poetica, la tecnica prospettica, con tutto

di un Paolo Uccello troppo obbediente a un principio ri-

il suo bagaglio di conoscenze pratiche e di saperi em-

gidamente proiettivo. L’inflessibile ossequio alla norma

pirici, costituiva più un ostacolo che una risorsa. Sul

prospettica ha allora il senso di una trasgressione che

piano morale e religioso, poi, tale tecnicismo esasperato

svia il pittore dal cammino della grande arte, compro-

aveva il senso quasi di una rivalutazione anticristiana

mettendolo tanto sul piano artistico quanto, anche se la

e antipaolina della “lettera” nei confronti della potenza

cosa è meno evidente, su quello morale. La sua integrità

dello “spirito” e, seppure non apertamente denunciato,

è insomma intaccata da una eccessiva fedeltà al dettato

implicava un’attitudine di cui si avvertiva il carattere

Nell’opinione di un Vasari l’ortodossia prospet-


perversamente voyeuristico. Il “vedere attraverso” (per-

si proietta uno spazio unitario visto attraverso di esso

spicere) che la prospettiva lineare prometteva a chi ad

e comprendente tutte le cose, la sostanza (ousia), dice

essa si votava sarà infatti, fin da subito, avvertito come

Panofsky, si trasformerebbe, senza residui in fenomeno

un vedere profano, come uno sguardo che desacralizza

(phainomenon), il mondo diverrebbe integralmente im-

la natura. Per questo emigrerà ben presto al Nord dove

magine. La distanza tra umano e divino sarebbe perciò

otterrà forse i risultati più eclatanti. Lì potrà coniugarsi

definitivamente ridotta, se non cancellata, e ci si trasfe-

con l’emergenza di una nuova sensibilità borghese la

rirebbe su di un piano che al suo centro ha l’uomo. Il

quale, incrociandosi a sua volta con la critica protestan-

divino fenomenologicamente “ridotto” dalla prospettiva

te dell’idolatria cattolica, libererà finalmente il sogget-

diventerebbe, secondo Panofsky, semplice contenuto

to della pittura da ogni riferimento al trascendente. Si

della coscienza umana, il cogitatum del suo infinito co-

dice, non senza ragione, che tale naturalismo profano

gitare. Ma tale antropocentrismo indotto dalla pratica

abbia a che fare con un umanesimo radicale. In veri-

della prospettiva lineare è solo apparente, dal momento

tà, insieme al soddisfatto decoro borghese dei coniugi

che l’annullamento di ogni trascendenza comporta infi-

Arnolfini, la tecnica prospettica rimette in gioco, come

ne la liquidazione della trascendenza stessa dell’uma-

vedremo, forze demoniche non umane, se non aperta-

no. Dalla tecnica prospettica il soggetto è ormai ridotto

mente anti-umane.

a un punto, a semplice punto di fuga inscritto nel piano di immanenza assoluta del quadro.

La critica novecentesca del procedimento pro-

spettico darà a tale antica ostilità la sua adeguata cor-

nice teorica. Basta rileggere le pagine conclusive del

suo celebre dispositivo descritto da Antonio di Tuccio

celeberrimo saggio del 1927 di Erwin Panofsky, per

Manetti nella sua Vita di Filippo Brunelleschi (1475 ca).

ritrovarla operante. Nel limpido stile di una filosofia

Qui a raffigurare il soggetto in modo “bastardo” (uso

dell’arte ispirata al neokantismo di Cassirer, vi si tro-

l’espressione nel suo senso platonico come sinonimo

va infatti enunciata la tesi secondo la quale la conce-

di indiretto) è un minuscolo buco che si apre nel pun-

zione prospettica sbarrerebbe “ogni accesso per l’arte

to all’infinito in cui convergono le linee di fuga per-

veramente religiosa alla regione del visionario”. Tra-

pendicolari al piano del quadro. Da questo non-luogo

sformando la superficie in piano figurativo, sul quale

bisogna guardare per vedere nello specchio posto di

Come tale ce lo presenta Brunelleschi con il

87A


fronte all’immagine l’effetto prodotto dalla costruzione

mano, per il suo “valore” assoluto. Nello spazio sistema-

prospettica. Ben strano effetto è quello che verrà così a

tico generato dalla tecnica prospettica non ci sono infatti

prodursi! Guardando da questo strano buco della serra-

più luoghi come invece ve n’erano nell’antica concezio-

tura – siamo infatti dietro al pannello – si sarà testimoni

ne aristotelica e scolastica dello spazio: le sole differenze

di uno sguardo senza soggetto, uno sguardo anonimo

sono oramai solo differenze di posizione, sono differenze

che non si riflette in se stesso e che non ha la forma

di scala, non differenze di valore. L’assiologia ha lasciato

del videre videor, che non è cioè cogito riflessivo. Hu-

definitivamente il posto alla geometria. Ben nota, perché

bert Damisch osserva che, in qualche modo, il disposi-

ampiamente ripresa e sviluppata dalla fenomenologia

tivo brunelleschiano risolve il paradosso rappresentato

novecentesca, è la critica formulata da questi autori agli

da un occhio che posto di fronte ad uno specchio voglia

effetti alienanti, è cioè disumanizzanti, della costruzione

guardare senza vedersi. Non può essere detto meglio! E

prospettica. Essa si incrocia con la critica fenomenologi-

infatti, è come se dal buco del dispositivo di Brunelleschi

ca dell’obiettivismo scientifico. In entrambi i casi e per

sbirciassimo un fuori senza relazione con la soggettività

le medesime ragioni l’esperienza vivente della visione

vivente, un fuori assoluto, dunque, che preesiste ad ogni

sarebbe stata sostituita da una sua ardita trascrizione

intenzionalità e che la tecnica prospettica ci permette

simbolico-concettuale. Per sintetizzare in una battuta il

di ritrovare. Ce lo fa ritrovare, appunto, come immagine,

senso della critica fenomenologica, possiamo dire che

ma come immagine pura, completamente desoggettiviz-

essa consiste nella posizione della seguente domanda:

zata.

possiamo ancora chiamare uomo, coscienza, soggettività vivente e incarnata, quell’occhio ridotto alla (non)

Come Panofsky, anche Pavel Florenskij nella pro-

dimensione di un punto geometrico, un punto che la tec-

spettiva vede agente la tecnica diabolica che liquida il

nica prospettica deve presupporre a fondamento della

sacro dalla dimensione dell’esperienza vivente dell’uo-

“costruzione legittima”? Quell’occhio solitario immobile,

mo e che con esso liquida infine anche l’uomo che di dio

mondato di ogni vita e di ogni storia, è ancora l’organo di

è immagine e luogotenente terreno. Nel nuovo spazio in-

un essere vivente?

finito, omogeneo, isotropo, inaugurato dalla prospettiva,

88A

infatti, non c’è letteralmente luogo per la trascendenza

di dio ma non ce n’è nemmeno per la differenza dell’u-

do le obiezioni alla prospettiva che erano già state mosse

C’è tutto un Novecento filosofico che, riprenden-


al momento della sua nascita (non per altro Vasari esi-

quindi, non può ri-conoscere niente) e, forse, nemmeno

tava di fronte agli “eccessi” di prospettiva e Leonardo la

un puro occhio, perché l’occhio, dopotutto, è uno sfero,

correggerà in senso “atmosferico”), si è chiesto se questo

mentre la piramide visiva ha bisogno solo di un punto

punto geometrico privo di sostanza – i punti non hanno

da cui tracciare delle rette...

infatti dimensione, sono pure astrazioni limite – da cui si dovrebbe guardare il mondo fosse fatto veramente “a

similitudine dell’occhio” (come pretendeva Filarete nel

occhio si tratti, si è costretti a ricorrere a degli anacro-

suo Trattato d’Architettura, 1460-1464 ca.), se insomma

nismi. Bisogna cioè retrodatare alla tecnica prospettica

fosse ancora un occhio umano o se non annunciasse,

ciò che la tecnica ha prodotto dopo. Quell’occhio, dirà ad

invece, un altro occhio, questa volta non più umano, che

esempio Florenskij, è piuttosto la lente di vetro di una

con quello reale ha solo un rapporto di omonimia. La

camera oscura, oppure è l’occhio di un obiettivo foto-

relazione di omonimia, ricordo, non è una relazione di

grafico. Quell’occhio è, insomma, già cinema. Giocando

similitudine, ma una differenza di natura nell’apparen-

con le parole: il suo video è già il video del video, ben

te analogia. Così Aristotele diceva essere soltanto “omo-

prima dell’arrivo della video-arte e delle sua mirabo-

nima” la mano tagliata del cadavere rispetto alla mano

lanti installazioni le quali rappresentano forse l’eredità

del vivente o il cadavere rispetto al vivo. E la riposta

più profonda della grande rivoluzione rinascimentale (a

pressoché unanime che il Novecento ha data a questa

questo proposito non posso che rimandare al bellissi-

domanda – da Panofsky a Florenskij, a Merleau-Ponty,

mo saggio del grande video artista Bill Viola sull’origine

solo per citarne alcuni – è che non era affatto “simile”.

della prospettiva). Insomma, anticipando le conclusioni

La relazione è di omonimia. Il punto-occhio sembra l’oc-

del mio discorso, direi che quell’occhio-punto funziona

chio di un uomo, è presentato come tale dagli apologeti

come dispositivo automatico di registrazione, del tutto

del metodo, ma non lo è. Potrebbe semmai essere l’oc-

indipendente dallo sguardo. Il concreto atto del vedere

chio di un ciclope, ma in realtà non è nemmeno quello,

funge semmai da detonatore di un processo, oppure da

perché quel mostro lo dovremmo poi immaginare asso-

fonte, tra le altre, di alimentazione del meccanismo. Ora,

lutamente immobile e disincarnato,senza tempo né me-

cosa fa il dispositivo “acceso” dallo sguardo? Il dispositi-

moria, un puro occhio destro aperto su uno spettacolo

vo preleva meccanicamente dal mondo circostante una

che non può comprendere (infatti non ha memoria e,

pellicola superficiale che viene chiamata “immagine”.

Per provare allora a immaginare di che razza di

89A


Anche in questo caso la relazione tra questa immagine

la riproducibilità tecnica per essere messe in questio-

e l’immagine psicologica è solo di omonimia. A differen-

ne. Già il dispositivo prospettico mostrava che si dà la

za delle immagini che affollano il mio sguardo, le qua-

possibilità di immagini generate automaticamente con

li sono sempre immagini che mi presuppongono come

quella “democraticità esecutiva” che faceva inorridire il

loro soggetto – sono, cioè, mie immagini di qualcosa che

Baudelaire testimone sgomento dell’avvento della foto-

è mi è dato –,l’immagine catturata dal dispositivo non

grafia (dio mio! Adesso tutti possono fare e avere delle

è letteralmente l’immagine di nessuno, è un’immagi-

immagini! Non va però scordato che è stato però lo stes-

ne anonima, un’immagine rigorosamente impersonale

so Baudelaire a individuare nella “perdita d’aureola” lo

(senza ego e anche senza mondo). Se riconsideriamo l’i-

specifico della modernità, forse proprio perché contem-

potesi che abbiamo avanzato a proposito del dispositivo

poraneo della fotografia). Possiamo allora riformulare

di Brunelleschi, potremmo allora dire che il foro è stato

la domanda di partenza. Dove ci porta, ci chiedevamo,

aperto sul retro del pannello perché si ristabilisse, gra-

quella particolare eresia che consiste nella ortodossia

zie allo specchio, un contatto visivo con quanto la mac-

prospettica? O, dal momento che la prospettiva artifi-

china aveva registrato senza atto intenzionale di sintesi

ciale, come si usa dire, trasforma il quadro in finestra,

visiva.

su che si apre questa famosa finestra? Sul “mondo”, si è soliti rispondere; ma è veramente “mondo” quello che,

Se tale è la natura del dispositivo prospettico,

come spettatori, vediamo attraverso la prospettiva?

era del tutto naturale che, fin dall’inizio, se ne percepis-

90A

se il carattere non antropomorfico, la sua indifferenza

alla misura dell’uomo, e, infine, la sua diabolicità e la

diamo in considerazione un caso limite di costruzione

sua capacità di pervertire la buona natura. Inoltre, fin

prospettica. Mi riferisco alle cosiddette “prospettive

dall’inizio di questa storia, non poteva non essere per-

urbinati” che sono tra le più rigorose e perturbanti ap-

cepito il carattere profondamente antiartistico del pro-

plicazioni dei principi della prospettiva. La loro storia

cedimento. Appunto perché procedura codificabile e di

è misteriosa. Esse resistono ad ogni tentativo di decifra-

fatto codificata, la tecnica esautora infatti la demiurgia,

zione. La storia dell’arte va in folle quando si imbatte

mette in mora il prestigio della mano. Le grandi mitolo-

in esse. Che cosa rappresentano, quel è il loro soggetto,

gie umanistiche dell’opera d’arte non devono attendere

quale la loro funzione, quale il loro significato? Sono

Per provare a rispondere diversamente, pren-


tutte domande che restano sostanzialmente senza ri-

Nemmeno lui sarebbe in grado di dare le risposte che

sposta. Financo quella più semplice, quella che chiede

lo storico cerca. Anche lui se ne resterebbe in silenzio

chi mai fosse il loro autore. C’è da riflettere, credo, su

davanti a quelle creature che paiono venire da un altro

questo mutismo ostinato. Sembra quasi che il mondo

mondo o, forse, da un non-mondo. È stato giustamente

a cui abbiamo accesso attraverso la tecnica prospettica

notato che tale mutismo tenace è consustanziale alle

non sia più un mondo umano, non appartenga alla sto-

prospettive urbinati. Esso è anzi sfacciatamente esibito

ria, la quale è evidentemente una teleologia del senso.

ne La città ideale della Galleria Nazionale delle Marche,

La storia, che è solo storia dell’uomo, è infatti un lungo

dove le iscrizione sui frontoni dei palazzi di destra e

incompiuto discorso. I suoi attori sono turni conversa-

di sinistra sono scritte con caratteri inventati, quasi ad

zionali. A dispetto della luce che le illumina, rendendo

irridere anticipatamente ogni pretesa decifratoria. La

gli angoli degli edifici così nitidi, le prospettive urbinati

volontà ermeneutica del lettore è così messa fuori gioco

sono invece opache, non vogliono dire nulla. Se allo-

da una scrittura che non dice nulla. La scena è come li-

ra non hanno un “autore” non è, forse, solo perché ne

berata dalla tirannia del testo: è il rovescio del principio

abbiamo perso memoria, ma perché contestano con la

umanistico ut pictura poesis.

loro mera esistenza il principio stesso dell’ “autorialità”. L’autore è infatti un padre premuroso che accompagna

la sua opera spiegandola, illustrandola, completandola

ve urbinati, Jean Cocteau (che ne trovava un’eco in De

con una parola ulteriore. Gli autori non si stancano mai

Chirico) ha usato il verbo francese “méduser” che nor-

di parlare. La loro verbosità è proverbiale. Le prospettive

malmente viene tradotto con sbalordire, stupire, ma che

urbinati, invece, nascono orfane, proprio come è orfano

ha anche il senso di catturare, quasi pietrificando, nel

l’inconscio secondo L’Anti-Eipo di Gilles Deleuze e Felix

proprio incanto. Cocteau intendeva dire che in quelle

Guattari. Non hanno padre-autore: la loro generazione

città ideali, come nello specchio della Medusa, era all’o-

è spontanea come le icone acheropite che ossessionano

pera un effetto paralizzante di meraviglia, un’attrazione

gli spiriti mistici. Se il cosiddetto autore fosse scovato

fatale in uno spazio astratto, nel quale tanto lo spetta-

da qualche parte e se con una ingegnosa macchina del

tore quanto il cosiddetto autore si sarebbero immanca-

tempo fosse possibile intervistarlo, credo non avreb-

bilmente perduti. Si sarebbero perduti non senza, però,

be nulla da dire su quello che ha mirabilmente fatto.

uno specifico “godimento”, che si situa certamente al

A proposito dell’effetto indotto dalle prospetti-

91A


92A

di là del principio del piacere, fuori dal dominio della

Legge (cioè di Dio e dell’Uomo). Hubert Damisch, nel

del critico francese: 1) Dietro al dispositivo prospettico

suo notevole libro sull’origine della prospettiva, al qua-

assunto nella sua purezza ideal-tipica non c’è occhio

le devo moltissimo ma sulle cui tesi ultime non concor-

umano o c’è solo accidentalmente. La tecnica prospet-

do, spiega questo effetto di incantamento e di godimen-

tica esautora lo sguardo. La sua utopia è la macchina

to con un paragone efficace. Come spesso capita nei

che vede o, come meglio sarebbe dire, la macchina che

testi eruditi che trattano la prospettiva lineare – quasi

registra, che scrive, che traccia, senza nessun fantasma

sempre per denunciarne l’artificialità – anche Damisch,

dotato di occhi nascosto in essa a dirigerla. La sua uto-

che la prospettiva invece l’apprezza, tira in ballo la

pia nel senso letterale del termine – utopia significa in-

fotografia e, più precisamente, il suo “obiettivo”: “Un

fatti “non luogo” – è un campo di immanenza assoluta

obiettivo, però, dietro il quale non è necessario che si

che non si incurva su di un soggetto che lo vede. È piut-

nasconda un occhio. Potrebbe – aggiunge –, sostituirlo

tosto il campo ad essere in quanto tale già in ogni suo

un computer: si vedano le fotografie dei pianeti che ci

punto una visione assoluta, che solo per omonimia si

inviano le sonde spaziali della NASA e che a ogni tappa

può riferire alla nostra visione umana. “In altri termini,

del loro viaggio aprono nuove prospettive sull’universo

l’occhio è nelle cose” e se c’è fotografia “è già presa, già

disabitato. Médusées, ces sondes, et nous avc elles”. La

scattata, all’interno stesso delle cose e per tutti i punti

natura del godimento implicato allora si chiarisce. An-

dello spazio”. 2) Il mondo sui cui si apre la famosa fi-

cora una volta si tratta di guardare come Alvaro Vitali

nestra non è più il nostro mondo. Anch’esso è mondo

dal buco della serratura per sorprendere, però, grazie

solo per omonimia. In realtà quanto “si vede attraverso”

al dispositivo, il mondo prima dell’uomo o dopo l’uomo,

è un universo disabitato dall’uomo, dal senso umano

“pura visione di un occhio non-umano, di un occhio

del mondo, anche quando materialmente, come di fatto

che sarebbe nelle cose”, scrive Deleuze. Non c’è nulla

accade nelle prospettive urbinati, è fatto dagli edifici,

di stupefacente, continua Gilles Deleuze, nel fatto che

dalle chiese, dalle piazze e dalle fabbriche che incon-

questo occhio sia un artificio - la prospettiva è infatti

triamo abitualmente (penso, parlando di fabbriche, a un

costruzione – poiché il mondo prima dell’uomo “è dato

quadro di Giorgio Tonelli ispirato al pannello di Berlino

solo all’occhio che non abbiamo”. Il terzo occhio ce lo

dello Staatliche Museum, nel quale al posto del mare c’è

dobbiamo inventare.

appunto una fabbrica).

Due sono le tesi che vanno evidenziate nel passo


Non si può non essere colpiti dal vuoto della sce-

Sto forse sostenendo che il dispositivo prospet-

na che le prospettive pure sempre presentano. Non c‘è

tico è all’origine dell’obiettivo cine-fotografico, soprat-

mai nessuno in quelle città. Nella Piccola storia della

tutto quando questo cessa di piegarsi alle esigenza

fotografia, Walter Benjamin, parlando della fotografia di

narrative, alla letteratura, al teatro, alla storia, per farsi

Atget, diceva che le nuove forme ultramoderne di veg-

promotore di una immagine ottico-sonora pura? Si. A

genza – fotografia e cinema – dopo aver declassato la

patto però di non intendere questa filiazione in senso

mano, dopo aver messo alla berlina “le grandi vedute

empirico, ma solo relativamente all’ontologia dell’im-

e i cosiddetti simboli rivelatori”, avevano stretto una

magine. Non è in questione l’origine dell’obiettivo fo-

laica alleanza con le città disabitate. “Ma curiosamen-

tografico in quanto medium dalla camera oscura, ma il

te – scrive – quasi tutte queste immagini sono vuote.

nuovo statuto dell’immagine resa possibile dal disposi-

Vuota la Porte d’Arcueil, vuoti gli scaloni d’onore, vuoti

tivo prospettico. La continuità tra i due dispositivi è data

i cortili, vuote le terrazze dei caffè, vuota, come si con-

dal non-mondo che essi ci costringono a “disabitare”.

viene, la Place du Tertre. Tutti questi luoghi non sono

È il non-mondo incessantemente battuto dai veggenti

solitari, bensì privi di animazione; in queste immagini

nostri contemporanei, i quali non sono “artisti” se non

la città è deserta come un appartamento che non ha an-

per comodità di classificazione e necessità di colloca-

cora trovato gli inquilini nuovi. Sono queste le opere in

zione istituzionale. Piuttosto sono macchine registratri-

cui si prefigura quella provvidenziale estraneazione tra

ci del “reale”, sonde sensibilissime capaci di prelevare

il mondo circostante e l’uomo, che sarà il risultato della

un po’ di reale allo stato puro, isolandolo dal mondo-

fotografia surrealista. Essa libera il campo per l’occhio

ambiente, straniandolo e facendolo finalmente appari-

politicamente educato, un campo in cui tutte le intimità

re. Médusées, ces sondes, et nous avec elles. A questo

scompaiono a favore del rischiaramento del particola-

anacronismo – il dispositivo prospettico come obiettivo

re”. Michelangelo Antonioni , trent’anni dopo, fornirà

fotografico –siamo autorizzati proprio dai critici della

una strabiliante verifica della intuizione di Benjamin

artificialità della costruzione prospettica. Si rilegga un

sulla natura non umana della fotografia nella sequenza

testo per tanti versi mirabile come La prospettiva rove-

conclusiva de L’Eclisse (che, non a caso, richiama alla

sciata di Pavel Florenskij. Che cosa racconta il grande

memoria dello spettatore di oggi l’opera fotografica del

prete russo? Che la prospettiva nasce come un esorci-

suo conterraneo Luigi Ghirri).

smo contro una concezione naturale del mondo. È un’a-

93A


strazione che grazie ad un duro tirocinio è sovrapposta

Benjamin chiamava con grande precisione “inconscio

abusivamente alla percezione concreta, mutilandola e

ottico” questo sistema di registrazione semiautomatico

perfino accecandola. Costruisce un quadro fittizio del

di quanto la nostra percezione naturale non coglie né

mondo “che bisogna vedere, ma che, nonostante l’ad-

è interessata a cogliere. L’inconscio freudiano è un di-

destramento, l’occhio umano non riesce assolutamente

spositivo, un sistema di registrazione delle tracce, che

a vedere”. I congegni splendidamente rappresentati da

procede per choc, per traumi .

Dürer nelle xilografie del suo Unterweisung der Messung ne sono la prova.

Florenskij di fronte a tutto questo trattiene a

malapena il suo sdegno. Congedare lo sguardo gli ap

94A

“Per quanto siano belle quelle incisioni, con

pare una vera e propria bestemmia nei confronti di dio

il loro spazio ristretto, in sé conchiuso, – commenta

e dell’uomo, costruito a sua immagine come signore del

Florenskij – altrettanto anti-artistico è il senso delle

creato. Il suo disappunto per i congegni dureriani, dicia-

istruzioni che vengono date in esse”. Lo scopo di quei

molo francamente, non è dissimile da quello che aveva

disegni è infatti quello di illustrare un procedimento se-

spinto un noto pittore accademico francese ad abban-

mimeccanico che può aiutare anche il più maldestro dei

donare l’aula dell’Institut de France dove, il 18 Agosto

disegnatori a diventare un provetto pittore di prospetti-

1839, François Arago aveva resa pubblica l’invenzione

ve. Sono vere e proprie macchine che guidano la mano

della fotografia. Tutti da questo momento si sarebbero

senza essere preordinate ad un atto di sintesi visiva e,

infatti potuti arrogare il diritto di autoproclamarsi pitto-

in un caso, il quarto (Il disegnatore del liuto), perfino

ri! E cioè, nessuno lo sarebbe più veramente stato. Addio

senza il ricorso all’occhio. Cercavamo l’autore delle pro-

all’Accademia. Addio alle amate gerarchie. Lo sdegno

spettive urbinati? Eccolo! È una macchina per “vedere”.

del prete russo traduce in termini teorici raffinatissimi

Le virgolette sono d’obbligo. Qui vedere non è coscien-

il più comune spaesamento dei tanti che aggirandosi da

za, non è intenzionalità, non è atto, ma traccia, scrittu-

ormai un secolo nei padiglioni delle esposizioni di “arte”

ra, forse dovremmo dire trauma, intendendo con tale

contemporanea vi trovano solo procedimenti meccanici

espressione l’avvenimento, quasi sempre annunciato

senza vita, oggetti belli e fatti, rifiuti del mondo quoti-

dallo choc, di una impressione. Nel celeberrimo saggio

diano. Gli studi della Krauss, tra i tanti che potrebbero

sull’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità,

essere citati, hanno definitivamente mostrato come sia


a stato il paradigma fotografico a determinare il moder-

chio dietro l’obiettivo come nella macchina raffigurata

nismo in arte. Dopotutto quello di cui i frastornati visi-

nella xilografia di Dürer (Il disegnatore del liuto, 1525).

tatori avvertono la mancanza in quelle sale è l’”arte”,

Diderot, nel XVIII secolo, nelle Lettres sur les aveugles à

proprio come accadeva a Florenskij posto di fronte agli

l’usage de ceux qui voient, si era già perfettamente reso

effetti democratici prodotti dalla tecnica prospettica.

conto di questa esautorazione dello sguardo. Il dispo-

Nella loro ingenuità piccolo borghese, hanno ragione.

sitivo prospettico, scrive, non ha bisogno di occhi che

Essi vi fiutano la catastrofe non solo di un mondo, ma

vedano. Un cieco dalla nascita lo può apprendere effica-

del “mondo”. Tale latitanza di arte, tale assenza d’opera,

cemente. Il mondo messo in prospettiva non è infatti un

fa segno infatti ad altre assenze, ben più inquietanti: la

mondo visto da qualcuno, non si radica nell’esperienza

fine dell’”uomo”, quella della “storia” e, infine, quella di

visiva del soggetto. È un mondo costruito. A poco più di

dio. Vi fiutano “l’anarchia incoronata” di Artaud, il cha-

un secolo dalla sua nascita artistica sarà infatti assor-

osmos di Deleuze-Guattari (la Comune di Parigi che bru-

bito negli schemi assoltamente astratti della geometria

cia il Louvre! Come, mentendo, raccontavano i giornali

proiettiva. Non è più nemmeno un mondo perché non

borghesi per disumanizzare i rivoluzionari e aizzare al

c’è mondo quando viene meno il correlato trascenden-

massacro indiscriminato). Ma quanto essi percepiscono

tale del mondo, vale a dire il soggetto che lo abita e che

solo sotto il profilo della perdita fa segno anche ad un

lo costituisce con i suoi atti. È piuttosto “un dominio

Grande Fuori che i piccoli borghesi, troppo impegnati a

senza sguardo” (la formula è di Michel Foucault) che

rimpiangere il mondo evaporato, non possono nemme-

trova nella fotografia e nel cine-occhio il suo perfetto

no intravedere. Sentono infatti che attingendolo perde-

medium. La prospettiva “pienamente realizzata” è la fo-

rebbero anche se stessi.

tografia, scrive Florenskij. Florenskij è un metafisico di razza. Per lui “realizzata” significa attualizzata, portata

Florenskij da genio qual è rintraccia dunque

al suo compimento. Il dispositivo fotografico è perciò

l’origine della evaporazione della trascendenza nel di-

la forma di cui il dispositivo prospettico, illustrato dai

spositivo prospettico in quanto generatore di un effetto

congegni di Dürer, è ancora la privazione. Il cine-occhio

paradossale: la tecnica prospettica rende infatti acces-

del suo contemporaneo comunista Dziga Vertov è, per

soria la funzione dello sguardo fino a eliderla di fatto.

parlare la lingua di Aristotele, il telos di quella tecnica.

Al limite non c’è nemmeno bisogno di supporre un oc-

È il congegno perfetto che permette di registrare sen-

95A


za vedere, senza atto di sintesi visiva. Certo, si guarda

“icone”). Dunque niente “arte”, niente “artista”, ma solo

nell’obiettivo, (quando lo si guarda: Florenskij non pote-

l’affermazione di una immanenza assoluta senza punti

va conoscere le sonde spaziali né gli enormi apparati di

salienti di trascendenza, senza varchi da cui la differen-

registrazione del reale che affollano le nostre metropoli

za del divino possa interpellare la differenza dell’uma-

procedendo in modo del tutto automatico), ma lo sguar-

no, senza differenza ontico-ontologica. Una conclusione

do funziona solo come detonatore di un’esplosione, è

impeccabile, che accomuna il russo alla riflessione hei-

parte della macchina non suo “autore”. Potremmo dire

deggeriana sulla tecnica, ma che è incapace di cogliere

che ne è l’operatore.

la portata straordinaria della rivoluzione inaugurata dal dispositivo prospettico.

96A

La conclusione che ne trae il prete russo è scon-

solata: il dispositivo fotografico mostra cosa è sempre

stato il dispositivo prospettico, anche quando si autoin-

cetti di incollare il proprio occhio destro al buco scavato

terpretava come celebrazione della grande cultura uma-

nel punto in cui le linee di fuga convergono all’infinito

nistica. Nient’altro che astrazione generalizzata che si

– tale, ricordiamolo, è la postura del soggetto nell’archi-

sostituisce abusivamente all’esperienza vivente. Finge

dispositivo brunelleschiano – non mostra un “mondo”.

di esserne il supplente, quando invece, come le mac-

I critici dell’innaturalezza della prospettiva artificiale

chine nella distopia di Samuel Butler, Erewhon,ne esau-

hanno qui perfettamente ragione. La prospettiva come

tora la funzione. Se la piramide visiva albertiana è una

la fotografia non mostra nulla. Piuttosto, il dispositivo,

finestra, è una finestra che, secondo Florenskij, non si

una volta che è stato fatto detonare da uno sguardo, cat-

apre sul mondo, semmai è un battente che si chiude,

tura, proprio come fosse una trappola lasciata nella sel-

separandoci definitivamente da esso e chiudendoci in

va, un pezzo di reale, bello e fatto (ready-made). Il reale

un soggettivismo sfrenato e claustrofobico, al limite del

catturato , secondo l’autorevole opinione di Jacques La-

narcisismo patologico. La tesi che ritorna più frequen-

can – al quale dobbiamo la più adeguata presentazione

temente nei suoi magnifici testi è che il vero oggetto

del “realismo” nel pensiero contemporaneo – è esatta-

della grande “arte” moderna non sia altro che l’”artista”

mente quanto inizia quando il mondo tramonta, quan-

come colui che mette in scena, proprio come un regi-

do l’ordine simbolico-linguistico cessa di organizzare lo

sta, il rifiuto dell’ontologia (a differenza del pittore di

spazio dell’esperienza umana, quando dio e l’uomo ven-

Esso è in realtà una finestra aperta. Ma a chi ac-


gono meno. Solo così si può spiegare il nesso profondo

le nel venir meno di ogni mondo; e si dimentica il nesso

che esiste tra rivoluzione “prospettica” e rivoluzione

altrettanto profondo che la ricerca estetica contempo-

“scientifica” universalmente rilevato da chiunque abbia

ranea, proprio nelle sue forme più radicali, mantiene

anche solo un poco meditato sulla questione. Solo così

con l’impresa scientifica e con il grande passato rinasci-

si comprende perché fosse nella direzione della verità

mentale. Non a caso chi si nutre di questi autori e della

scientifica che i grandi del Rinascimento intendessero

loro interpretazione del moderno indulge normalmente

la prospettiva e perché, a distanza di più di un secolo,

in ambito estetico ad atteggiamenti conservatori se non

la prospettiva dei pittori potesse essere riassorbita nel-

apertamente reazionari.

la geometria proiettiva di Girard Desargues ed essere ricollocata all’interno di un dibattito formidabile che in

tutti gli ambiti del sapere reintroduceva l’infinito in atto

scientifica moderna – scrive Gilles Deleuze – è consisti-

(quell’energeia apeiron che il punto di fuga esibiva sulla

ta nel ricondurre il movimento, non più a degli istanti

superficie del quadro).

privilegiati, ma all’istante qualunque. Anche a costo di

Altra è la strada da percorrere. “La rivoluzione

ricomporre il movimento, non lo si ricomponeva più a Ciò che hanno in comune le due rivoluzioni è

partire da elementi formali trascendentali (pose), ma a

stato colto dal prete ortodosso Florenskij come dal neo-

partire da elementi materiali immanenti (sezioni)”. Quel-

kantiano Panofsky e, seppur indirettamente, dallo Hei-

lo che vale per la rivoluzione scientifica moderna vale

degger del saggio su L’Epoca della immagine del mondo.

anche per il cine-occhio e vale, a maggior ragione, per il

Tutti costoro interpretano questo carattere comune nel

dispositivo prospettico in quanto dispositivo di cattura

senso della “metafisica della soggettività”. Il dispositivo

del reale. In tutti questi casi è confutata la pretesa me-

prospettico infatti avrebbe trasformato il mondo in un

tafisica di ricomporre un movimento – ad esempio la

Grande Oggetto posto a distanza infinita e dato in spet-

corsa di un cavallo – a partire da quello che Florenskij

tacolo ad un soggetto che sorvola su di esso senza ineri-

chiamava il suo “punto di fioritura” o il suo “acme”.

re in alcun modo ad esso. Insomma, Brunelleschi come

Il cavallo non se ne sta più, insomma, in posa. Il che,

Descartes. Ecco tutto. E non è poco, lo riconosco, ma

tradotto nella lingua della filosofia, significa che il ca-

così si manca lo specifico di quelle due rivoluzioni, vale

vallo scende dal treppiede dell’idea dove se ne rimane-

a dire il rapporto che entrambe intrattengono con il rea-

va impettito a esibire la sua incorruttibile “cavallinità”.

97A


Il filosofo scolastico come il pittore accademico avrebbe

senso che solo il grande simbolo è in grado di espri-

dovuto rappresentarlo proprio in questo istante privi-

mere compiutamente. È un momento, quello raggelato

legiato che esce dal flusso del tempo per ricongiunger-

dal fotogramma, “strappato al processo e preso in sé,

si all’eterno. Avrebbe dovuto cioè scegliere la via del

senza passato e senza futuro, nella sua contrapposizio-

“simbolo”, che è il segno nel quale l’idea si comunica.

ne a tutti gli altri”. “(L’istantanea), continua Florenskij

Il dispositivo prospettico e la scienza dei moderni han-

nella sua requisitoria, afferra un solo momento con tutte

no invece battuto un’altra via. Provano ad attingere

le sue situazioni immanenti, comprese quelle che non

il reale a partire dall’istante qualunque, al di fuori di

ci interessano affatto e di cui non saremmo altrimenti

ogni gerarchia assiologia. Quando Etienne Jules-Maray,

coscienti; ma per questo ciascun momento viene preso

alla fine del secolo XIX, “scansiona” la corsa del caval-

al di fuori della sua relazione con quello successivo”.

lo con uno dei suoi strumenti proto-cinematografici dal

In quel ready-made prodotto dall’inconscio ottico del

nome buffo (zootropio) cattura un pezzo di reale allo

dispositivo non c’è effettivamente più mondo. Non può

stato puro. Proprio come aveva fatto Galilei assume il

infatti essere perché lì c’è del reale. Lì c’è l’immagine

movimento – l’istante qualunque – come assoluto e non

pura, desoggettivizzata ed estranea al senso. C’è l’im-

più come degradazione dell’idea. Per la metafisica tutto

magine che tenta il pittore, invitandolo a dismettere i

questo non può che suonare scandaloso, dal momento

suoi panni di artista per diventare veggente, cioè umile

che la metafisica si definisce proprio come sistematica

operatore della macchina.

confutazione di questa ipotesi anarchica. Posto di fronte al proto-fotogramma di Etienne Jules-Maray, Florenskij ne vede tutta la mancanza di grazia, tutta l’innaturalezza, soprattutto se comparato ai meravigliosi cavalli del fregio del Partenone, e insorge indignato contro l’astrazione dal movimento reale operata dal dispositivo fotografico e, più in generale, prospettico. Per lui il movimento reale può essere solo quello che prende a modello l’azione demiurgica dell’uomo, vale a dire il movi-

98A

mento orientato alla manifestazione di un senso, quel

Rocco Ronchi


Rocco Ronchi è professore ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università degli Studi di L’Aquila. Svolge attività didattica e di ricerca in numerosi istituti italiani e stranieri. Tra le sue ultime pubblicazioni: Bergson. Una sintesi, Christian Marinotti Edizioni, Milano 2011 e Come fare. Per una resistenza filosofica Feltrinelli, MIlano 2012. Collabora alle pagine culturali del quotidiano “Il Manifesto”.

99A


PERSPECTIVE AS CATCHING DEVICE

to Giorgio Tonelli

excessively loyal to what the machine dictates. If the

Linear perspective is no innocent technique. There is

machine is a game, it is nevertheless a dangerous game.

something that fascinates and seduces the painter who

100A

lingers in it. You surrender to its projective mechanism

In Vasari’s opinion what perspectival Orthodoxy

as one would surrender to a temptation that should

really meant was a dangerous relapse into pure technique,

instead be resisted. I am deliberately using an almost

into that purely “mechanic” dimension of the making,

religious language. Any art history apprentice would tell

that was so dominant in Medieval time, when little, if

you that right from the beginning, in order to generate

in fact any of what “art” in its modern and romantic

truly great painting, it was clear that deviating away

meaning is, was known and from which he wanted to

from perspectival laws was necessary. Heresy was the

rescue the art of painting, giving it thus the dignity of

rule in the great Renaissance art whereas Orthodoxy

liberal art. Painting had to aspire to become like poetry.

represented the exception. Vasari, would in fact, show

In order to reach such a poetic transvaluation, the

very little appreciation for Paolo Uccello’s “special

perspective technique, with all its baggage of practical

effects”, far too loyal to an overly rigid projective

skills and empiric knowledge, represented more an

principle. The strict observance to perspectival laws

obstacle than a resource. On a moral and religious level,

represents then a transgression that diverts the painter

such an exasperated technicality carried with it almost a

from achieving great art, jeopardizing him both on an

sense of an antichristian and antipaulinian revaluation

artistic level and, maybe just less obvious, a moral one

of the mere “letter” in respect to the power of the

too. His integrity is therefore undermined by being

“spirit”, and even though not openly stated it implied


an attitude in which one could perceive a perversely

the magical”1. Turning the surface into a figurative

voyeuristic quality. The possibility to “see through”

plane onto which a unitary space is projected seen

(perspicere), that linear perspective was promising to

through it and containing all things, the substance

those who would embrace it, was immediately perceived

(ousia), according to Panofsky, would be transformed

as a profane way to see, as a vision that deconsecrated

with no residues into appearance (phainomenon) and

nature. This is the reason why it would very soon move

the world would become integrally image. The distance

to Northern Europe where probably the best result were

then between human and divine would be permanently

achieved. There, the possibility to join the emerging

reduced, if not completely cancelled, and we would

new bourgeois sensibility, which in turn, intermingled

move onto a level where man is at the centre. The divine

with the Protestant critique of Catholic idolatry, would

phenomenologically “reduced” by the perspective

finally free the subject of painting from any reference

would become, according to Panofsky, just matter for

to the transcendent. It is said , with reason, that such

human consciousness, the cogitatum of its endless

profane naturalism had something to do with a radical

cogitare. And yet such anthropocentrism induced by

humanism. In reality, along with the satisfied bourgeois

the use of linear perspective is only superficial, given

decency of the Arnolfini, the perspective technique

that the cancellation of any transcendence would

puts into play, as we will see, inhuman evil forces if not

eventually result in the end in the cancellation of

clearly anti-human.

human transcendence itself. The perspective technique has already reduced the subject to a point, a simple

During the 20th Century the critique of the perspectival procedure gave this old-outstanding

vanishing point inscribed in the plane of absolute immanence of the painting.

hostility its proper theoretical frame. It is enough to read the ending pages of Erwin Panoksky’s renowned

As such it was presented by Brunelleschi

1927 essay to see how real this is. Written in the clear

with his famous device, so well described by Antonio

style of an art philosophy inspired by Cassirer’s Neo-

di Tuccio Manetti in his book The life of Brunelleschi

Kantianism , you can find the thesis according to which “perspective seals off religious art from the realm of

1 E. Panofsky, Perspective as Symbolic Form, Zone Books New York, 1997, p. 72.

101A


(approx. 1475). Here the subject is represented in a

As well as Panofsky, Pavel Florenskij too, sees

“bastard” way (I am using this expression in its platonic

at work in perspective that evil technique that disposes

sense as a synonym of indirect) by a tiny hole that opens

of the sacred from the dimension of man’s living

to a point at infinity where all the vanishing lines,

experience and along with it, it also disposes of man,

perpendicular to the plane of the painting, converge.

who is created in God’s image and is his lieutenant on

It is from this non-place that one must look in order to

earth3. In the new infinite, homogeneous and isotropic

see, in the mirror placed in front of the image, the effect

space created by perspective, there is in fact, literally

produced by the perspectival construction. Indeed a quite awkward effect will then be produced! By looking through this strange keyhole – we are in fact behind the panel – we will witness a vision void of subject, an anonymous gaze which does not reflect in itself and does not have the form of videre videor, that it is not thus reflexive cogito. Hubert Damisch observed that, somehow, the Brunelleschi device gave a solution to the

difference, for its absolute “value”. In the systematic space created by the perspective technique places, such as those existing in the old Aristotelian and academic conception of space, no longer exist: the only differences are those of positions or scale but not of value. Axiology has forever been replaced by geometry. Well known is the critique, because many times widely considered and developed by the phenomenology of the

paradox represented by an eye, that placed in front of

20th Century, formulated by these authors regarding

a mirror, wants to see without seeing itself . No better

the alienating and thus dehumanizing effects of

words could have been used! It is in fact, as if through

perspective and crossing the phenomenological critique

the keyhole of the Brunelleschi device we would peek

of scientific objectivism. In both cases and for the

at an outside with no relation to the living subjectivity,

same reasons the living experience of the vision would

an absolute outside, and thus, an outside that exists

have been replaced by its daring conceptual-symbolic

beyond any intentionality and that the perspective

transcription. The following question summarizes what

technique allows us to find again. It lets us find it, in

the phenomenological critique is about: can we still

2

fact, as image, as pure desubjectivised image.

102A

no space for god transcendence as well as human

2 H. Damisch, L’origine de la perspective, Flammarion, Paris 1987, p.147.

3 Please refer to P.Florenskij, La prospettiva rovesciata e altri scritti, Cangemi Editore, Rome 1990 and by the same Lo spazio e il tempo nell’arte, Adelphi, Milan 1993. Original writings from the 1920s.


call man, conscious, living and incarnated subjectivity

answer, more or less unanimous, that was given in the

that eye reduced to the (non) dimension of a geometric

20th Century, from Panofsky to Florenskij and Merleau-

point, a point the perspective technique must assume

Ponty among others, is in fact that it is not “similar” at

as foundation of the “costruzione legittima”? Is that

all. The relation is based on homonymy. The point-eye

motionless and solitary eye, void of any life and history,

just looks like the eye of a man, it is presented as such

still the organ of a living human being?

by the apologists of the method, but it is not. If anything it might be the eye of a Cyclops, but in reality it is not

During the 20th Century there were philosophers

even that, because then we would imagine that monster

who drawing on the objections to perspective, objections

as absolutely still and disincarnated, with neither time

that had already been raised right from its beginning

nor memory, a pure right eye open on a spectacle it

(as a matter of fact Vasari was skeptical in front of those

does not understand (in fact it has no memory and thus

perspectival “excesses” and Leonardo would correct it

it cannot recognize anything) and maybe, not even a

through the “atmospheric perspective”), had wondered

pure eye, since the eye is after all spheroid, whereas

if this unsubstantial geometric point (in fact points do

the visual pyramid only needs a point from which lines

not have dimensions, they are pure limit abstractions)

are drawn…

from where we should watch the world was truly “similar to the eye” (as asserted by Filarete in his Treatise on

If we want to try to imagine what kind of an eye

Architecture, about 1460-1464), if it was thus still a

it is we are then forced to resort to some anachronisms.

human eye or else if instead it was introducing another

We must backdate to the perspective technique what

eye, this time not human anymore but one that only

the technique has produced afterwards. That eye, as

shared a homonymy with the human eye. As I recall, to

Florenskij would say, is rather the glass lens of a dark

be related by homonymy, does not mean to be related by

room, or else the eye of a camera lens. That eye is in

likeness, but by a difference of nature in the apparent

short already cinema. Playing with words: its video is

analogy. Thus Aristotle would call the chopped hand of

already the video of the video, long before the coming

the cadaver only “homonymous” as opposed to the hand

of video-art and its astonishing installations which may

of the living being or the cadaver to the living. And the

represent the truest inheritance of the great Renaissance

103A


revolution (concerning this I cannot avoid mentioning

If this is the nature of the perspective device,

the especially noteworthy essay by Bill Viola, a great

then it was absolutely natural that, right from its

video artist, on the origin of the perspective4). In short,

start, one would perceive its non anthropormorphic

anticipating the end of my discourse, I would say that

quality, its indifference to the human dimension, and

that eye-point acts as an automatic recording device,

finally its evilness and ability to pervert good nature.

completely independent of the gaze. The factual act of

Moreover, from its very beginning it was impossible not

seeing acts as the fuse of a process, or else as a feeding

to perceive the anti-artistic quality of such a procedure.

source, among others, of the mechanism. So what

Because such a procedure can be coded and is factually

does the device “triggered” by the gaze do? The device

coded, the technique indeed divests the demiurge of

mechanically takes a superficial film called “image” from

authority and diminishes the prestige of the hand.

the world around. Here, too, the relationship between

Great humanistic mythologies of the work of art do not

this image and the psychological image is purely based

have to wait for technical reproducibility in order to be

on homonymy. Unlike the images that crowd my eyes

questioned. The perspective device had already shown

which are always images that presuppose me as their

the possibility of images automatically created with that

subject - namely, they are my images of something that

“factual democracy” that so much horrified Baudelaire

has been given to me-, the image caught by the device is

when he witnessed the coming of photography in

literally the image of nobody, it is an anonymous image,

total dismay (my God! Now anyone can make and have

a strictly impersonal one (with no ego and thus with no

images! Let us not forget however that it was Baudelaire

world). If we again refer to the theory we have spoken

himself who identified the specificity of modernity in

about concerning Brunelleschi’s device, we could assert

the “loss of halo”, maybe because he was concurrent to

then that the hole had been drilled on the back of the

photography). We can now reword our initial question.

panel because, thanks to the mirror, a visual contact

We were asking ourselves, where is that particular

with what the camera recorded, void of any intentional

heresy, that is perspectival Orthodoxy, taking us? Or,

deed of visual synthesis, would be restored.

if one may say, since artificial perspective turns the painting into a window, what does this window open

104A

4 Bill Viola, Reasons for Knocking at an Empty House. Writings 1973-1994, The Mit Press, Cambridge, Massachusetts, 1995, pp. 200 ff.

onto? Onto the “world” would be the common answer,


but is it really “world” what we, as spectators, see

The author is in fact a loving father who cares about

through perspective?

his work by explaining, illustrating and completing it with words. Authors are never tired of talking. Their

In order to answer otherwise, let us take as an

wordiness is proverbial. Urbinian perspectives instead

example a borderline perspective case. I am talking

are orphan by birth, exactly as orphan is the unconscious

about the so-called “Urbinian perspectives” . They are in

according to the Anti-Oedipus by Gilles Deleuze and

fact some of the strictest and most disquieting examples

Felix Guattari5. They have no father-author, their birth

of perspectival laws. Their background is a mystery

is spontaneous as those divine (not man-made) icons

and they resist all deciphering attempts. History of Art

haunting mystical souls. I am sure that if the author

comes to a deadlock when faced with them. What do

were to be found somewhere and with a time machine it

they represent? What is their subject, their function,

would be possible to ask him about them, he would have

their meaning? These are all questions doomed to

very little to say about what he so amazingly produced.

remain unanswered. Even the simplest one, who created

Not even he could give historians the answers they are

them? There is much to reflect on this stubborn silence.

looking for. Even he would just stare at those creatures

It seems as if the world we have access to through the

that come from another world or, maybe, from a non-

perspective technique is no longer a human world, it

world. It has been rightly noted that such stubborn

does not belong to history which is clearly a teleology

silence is consubstantial to Urbinian perspectives.

of the meaning. History, which is after all only man’s

It is in fact boldly shown in The ideal city in Marche

history, is nothing else but a long and unfinished matter

National Gallery, where the inscriptions on the gables

and its players are just conversational turns. In spite of

of the buildings on the right and left are written in

the light that shines over them, giving such preciseness

nonexistent scripts as if to make fun in advance of any

to the building corners, Urbinian perspectives are

pretext to decode them. The hermeneutic willingness

instead opaque, they do want to say anything. If they

of the reader is challenged by a writing which says

have no “author” then, might it be because on top of

nothing. It is as if the scene has been freed from the

having lost all memory of it, they themselves deny with their own existence the principle of “authorship”?

5 G. Deleuze – F. Guattari, L’Anti Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Einaudi, Turin 1975, p. 51.

105A


tyranny of the text: it is the opposite of the humanistic

planets that NASA space probes send and that open,

principle ut pictura poesis.

at every step of their journey, new perspectives of the unmanned universe. Médusées, ces sondes, et nous avec

Talking about the effect produced by the

elles”6. The nature of that implied pleasure becomes

Urbinian perspectives, Jean Cocteau, who found an

clear then. Once more it is that looking through the

echo of them in De Chirico’s work, used the French

keyhole to find, thanks to the device, the world before

verb “méduser”, normally translated as astonishing,

man or after it; “it is the pure vision of a non-human

amazing but also catching, almost transfixing in one’s own enchantment.Cocteau meant that in those ideal cities, as in the Medusa mirror, a paralyzing wonder effect was at work, a fatal attraction in an abstract space where both viewer and the so-called author would have inevitably got lost. They would indeed have got lost but with a specific “pleasure” , beyond the principle of pleasure itself, beyond the domain of the

There is nothing astonishing, Gilles Deleuze added, in the fact that this eye is an artifice – perspective is in fact construction – because the world before man “ is given only to the eye which we do not have”8. We would have to invent the third eye. In this passage by the French critic our attention should be drawn to two specific thesis: 1) behind the

Law (that is of God and Man). In his remarkable book

perspective device taken in its ideal-typical purity there

on the origin of perspective, Hubert Damisch, whom I

is no human eye, or if there is, it is only by accident.

deeply respect without sharing his thesis, explained

The perspective technique divests the gaze of authority.

this effect of enchantment and pleasure by drawing

Its utopia is the camera that sees, or better, the camera

a very successful comparison. As it often happens

that records, writes and traces without a ghost with

in learned texts about linear perspective, which are

hidden eyes in charge. Its utopia literally speaking,

almost always to denounce its artificiality, Damish, too,

utopia in fact means a “non place”, is a field of absolute

who instead praises it, brings photography into play, or

immanence that does not bend on a subject that sees

more precisely its “lens”: “A lens, however, that does

6 H.Damisch, op cit., p. 284. 7 G. Deleuze, Cinema 1:The movement-image, University of Minnesota Press, 2009, p. 81 Copyright The Athlone Press. 8 Ibid.

not need an eye behind it. He adds, a computer could easily replace it, let’s just think of the pictures of the

106A

eye, an eye which would be in things Deleuze7 wrote.


it. It is rather the field that is as such in each of its

views and the so-called revealing symbols”, formed a

points an absolute vision and that can only be referred

secular alliance with unmanned cities. “Remarkably

to our human vision by homonymy. “In other words,

however, almost all these pictures are empty, empty the

the eye is in things”9 and if there is photography, it is

Porte d’Arcueil by the fortifications, empty the triumphal

“snapped and taken in the interior of things and for

steps, empty the courtyards, empty, as it should be, the

all the points of space”10. 2) The world onto which our

Place du Tertre. They are not lonely, merely without

window opens is no longer our world. Even that world

mood: the city in these pictures looks cleared out, like

is such only on the ground of homonymy. In fact what

a lodging that has not yet found a new tenant. It is in

“we see through” is an unmanned world, a world void

these achievements that surrealist photography sets

of the human sense of the world, even when materially

the scene for a salutory estrangement between man and

speaking, as it happens in the Urbinian perspectives,

his surroundings: it gives free play for the politically

this world is made up of buildings, churches, squares

educated eye, under whose gaze all intimacies are

and factories we come across daily (and speaking of

sacrificed to the illumination of detail.”11. Thirty year

factories a painting by Giorgio Tonelli comes to mind,

later, Michelangelo Antonioni , would supply amazing

inspired by the Berlin panel of the Staatliche Museum

evidence of Benjamin’s intuition of the non-human

where the sea has been replaced by a factory).

nature of photography in Eclypse’s final sequence which in fact reminds today’s viewer of the work of his fellow

It is impossible not to be struck by the empty

photographer, Luigi Ghirri.

scene that perspectives always show. Those cities are always empty. Walter Benjamin, speaking about

Am I here supporting the idea that the perspective

Atget photography, in his book A Short History of

device is at the origin of the cine-photographic lens,

Photography, stated that the new ultra-modern fashions

especially when it ceases to serve narrative needs,

of clairvoyance – photography and cinema – after having

literature, theatre and history and become the promoter

diminished the hand and practically cancelled “great

of a pure optical-sound image? Yes, provided that such

9

Ibid.

10 H. Bergson, Matter and Memory, 1896, in G.Deleuze, Cinema 1: The movement-image, op cit, p. 85.

11 W. Benjamin, A Short History of Photography in W. Benjamin, The Work of Art in the Age of its Technological Reproducibility and Other Writings on Media), Harvad University Press, 2008, pp. 285-286.

107A


a legitimacy is not intended empirically, but only

of the world. It is an abstraction that thanks to hard

related to the ontology of the image12. Here it is not

training is illegally superimposed on the concrete

the origin of the camera lens, as the medium used

perception, mutilating it and even blinding it. It builds

in dark rooms, that is at stake, but the new statute of

up a fictitious portrait of the world that “we must see,

the image made possible by the perspective device.

but no matter how hard we try, the human eye cannot

The continuity between the two devices is given by

see at all”13. Evidence of this are the contrivances so

that non-world they force us to “uninhabit”. It is the

magnificently depicted by Dürer in the xylographs of

non-world ceaselessly pursued by our contemporary

his Unterweisung der Messung.

clairvoyants, who are “artists” only for the sake of being conveniently classified and necessarily institutionally

“For as beautiful as those xylographs are with

placed. They are, instead, machines that reproduce

their constricted space, concluded in itself – Florenskij

the ‘real’, extra sensitive probes able to withdraw a

commented – as anti-artistic is the meaning they carry

little ‘of the real’ in its purest state, isolating it from

with them”14. The main aim of those drawings is in fact

the world-environment, alienating it and making it

to illustrate a semi-mechanical procedure that can help

finally visible. Médusées, ces sondes, et nous avec elles.

even the worst craftsman to become a learned painter

We have been authorized this anachronism, that of

of perspectives. They are real machines guiding the

the perspective device as a photographic lens, by the

hand without being predetermined to a deed of visual

critics themselves of the artificiality of the perspectival

synthesis and, one of them, the fourth to be exact (Man

construction. It would be enough to read once more La

drawing a Lute) does not even resort to the eye. Were

prospettiva rovesciata (Reverse Perspective), a book, for

we looking for the creator of the Urbinian perspectives?

many reasons admirable, by Pavel Florenskij. What is

Here it is! It is a machine made “to see”. The quotation

the great Russian priest telling us? That perspective is

marks are mandatory. Here seeing is not consciousness,

born like an exorcism against the natural conception

or intentionality, it is not a deed, but a trace, writing, maybe we should say trauma, meaning with it the event,

12

Here the expression “ontology of the image” is used in

almost always announced by the shock, of an impression.

the meaning given by André Bazin, in its fundamental essay from 1945 (The Ontology of the Photographic Image), in What is cinema?

108A

Volume 1 University of California Press, 1967 pp. 9-16.

13 14

P. Florenskij, La prospettiva rovesciata e altri scritti, op cit, p. 111. Ibid.


Benjamin, in his remarkable essay The Work of Art in

among the many I could quote, have shown once and

the Age of its Technological Reproducibility and Other

for all, that it is the photographic paradigm that has

Writings on Media, called with great precision “optical

determined modernism in art15. This is exactly what the

unconscious” this semi-automatic recording system

many bewildered visitors feel in those rooms, that is

of what our natural perception neither catches nor is

the absolute lack of “art”, exactly like what happened

interested in. The Freudian subconscious is a device, a

to Florenskij faced by the democratic effects produced

recording system of traces that progresses by shocks,

by the perspective technique. In their petty bourgeois

by traumas.

naivety they are right. In this they feel the catastrophe

Faced with all of this Florenkij could hardly withhold his indignation. In his opinion dismissing the gaze is blasphemous to both God and man, created in his image. His contempt for Dürer’s contrivances, let us be blunt, is similar to the reaction that prompted a famous academic French painter to leave the room at the Institut de France on August 18th, 1839 where François Arago had publicly announced the invention of photography.

not only of a world, but of the “world”. Such latency by art, such lack of works of art, presupposes in fact other absences, far more disquieting: the end of “man”, that of “history” and lastly that of God. They perceive Artaud’s “crowned anarchy” and Deleuze-Guattari chaosmos (the Common of Paris is burning down the Louvre! This is what the bourgeois newspapers used to write, lying of course, to dehumanize the revolutionaries and arouse a wholesale massacre). What they perceive only as a

Everyone, from that moment on would have had the right

loss presupposes a much Bigger Outside, that the petty

to call himself a painter! And therefore nobody would

bourgeois, so overwhelmed by their regret for a lost

have ever been one afterwards. Goodbye to the Academy.

world, cannot even glimpse. They feel in fact that if they

Goodbye to the loved hierarchies. The contempt felt by

were to draw from it, they would lose even themselves.

the Russian priest translates in extra-refined theoretical terms the more common estrangement felt by many

Florenskij, who was undoubtedly a genius,

who, for almost a century now, have wandered in the

could trace the origin of transcendence disappearance

pavilions of contemporary “art” exhibitions, to find only

back to the perspective device inasmuch as it produces

lifeless mechanical processes, well made and beautiful objects, everyday society’s refuse. Krauss’ studies,

15 R.Krauss Teoria e storia della fotografia, Bruno Mondadori, Milan 1996.

109A


a paradoxical effect: the perspective technique

brought to its completion. The photographic device is

transforms the function of the gaze into an accessory as

therefore the form whose perspective device, illustrated

far as annulling it completely. At the most, you do not

by Dürer’s apparatus, is still privation. The cine-eye

even need to suppose the existence of an eye behind

of Dziga Vertov, his communist contemporary is, by

the lens, as it was depicted in Dürer’s xylograph (Man

using Aristotle’s language, the telos of that technique.

drawing a Lute, 1525). In the 18th Century, Diderot in

It is the perfect device that allows recording without

his Lettres sur les aveugles à l usage de ceux qui voient,

seeing, without a deed of visual synthesis. Certainly,

had already become perfectly aware of the loss of authority by the gaze. He wrote that the perspective device needs no eyes that see. Someone who is blind at birth can effectively learn that. The world placed in perspective is not in fact a world seen by anyone, it is not rooted in the visual experience of the subject. It is a constructed world. A little over a century from

we look through the lens, (when one looks through it, Florenskij could not have known space probes or the huge recording apparatus that crowd our metropolis and record non-stop), but the gaze is simply used to trigger the explosion, it is part of the machine and not its “author”. We could therefore call it its operator.

when it was artistically born, it would in fact be merged into the schemes completely abstracted of perspectival

The conclusion the Russian priest came to is

geometry. It is not even a world because no world exists

beyond remedy: the photographic device shows what

when you lack its correlated transcendental, that being

the perspective device has always been, even when it

the subject living in it and that establishes it with its

was interpreting itself as celebration of great humanistic

deeds. It is rather a “visionless domain” (taken from

culture. Nothing else but generalized abstraction that

Michel Foucault) that finds in photography and the

illegally replaces the living experience. It mimics being

cine-eye its perfect medium. The “fully achieved”

its replacement, when instead, like in the machines of

perspective is photography Florenskij wrote16 and he

the dystopia by Samuel Butler, Erewhon, it divests its

certainly comes from a good stock of metaphysicians.

function. If the visual pyramid by Albert is a window, it

What he means by “achieved” is in fact actualized,

is a window then according to Florenskij that does not open onto the world, if anything it is a single shutter

110A

16 P. Florenskij, La prospettiva rovesciata e altri scritti, op cit., p. 126.

that closes, keeping us separated from it and closing us


in a claustrophobic and wild subjectivism so similar to

according to Jacques Lacan’s influential opinion – to

a pathological narcissism. The recurring thesis in his

whom we must grant the most suitable presentation

remarkable books is that the object of great modern

of “realism” in contemporary thinking17 - is exactly

“art” is nothing else but the “artist” itself, as he that acts out, like a film director, the refusal of ontology (opposite to the painter of “icons”). Thus, no “art”, no “artist”, but only the affirmation of an absolute immanence with

what begins when the world sets, when the symboliclinguistic order ceases to organize the space of the human experience, when God and man die. Only in this way, it is possible to explain the profound connection between “perspective” revolution and “scientific”

no salient points of transcendence, with no openings

revolution, universally detected by whoever has given it

from which the difference of the divine might consult

even a slight thought. Only in this way, it is possible to

the difference of the human, with no ontic-ontological

understand the reason why the masters of Renaissance

difference. An impeccable conclusion, that the Russian

intended perspective towards scientific truth and why,

priest shared with Heidegger’s considerations on

over a century later, perspective by painters could

technique, but incapable of catching the extraordinary

be reabsorbed in the projective geometry by Girard

extent of the revolution introduced by the perspective device.

Desargues and thus placed within an amazing debate that in all learned areas would reintroduce actual infinity. (the energeia apeiron that the vanishing point

It is in fact an open window. But who accepts

showed on the surface the painting).

to glue their own right eye to the hole dug where the

What the two revolutions had in common was

vanishing lines converge to the infinite – such is, let us

understood by both the orthodox priest Florenskij and

recall, the position of the subject on the Brunelleschi

the neo-Kantian Panofsky and even though indirectly,

archi-device – does not show a “world”. The critics of the

by Heidegger, in his essay The Age of the World

lack of naturalness of artificial perspective are perfectly

Picture18. They all interpret this common quality in

right about this. Perspective as well as photography shows nothing. Rather, the device, once triggered by the gaze, catches, exactly as if it were a trap left in the woods, a ready-made piece of the ‘real’. The ‘real’ caught,

17 Essential for the understanding of Lacan “realism” is the interpretation of the great French psychoanalyst by Jacques-Alain Miller in his seminars. 18 In M.Heidegger, Off the beaten tracks, Cambridge University Press, UK, 2002, pp. 83 ff.

111A


terms of “metaphysics of subjectivity”. The perspective

is even truer for the perspective device inasmuch as

device would in fact turn the world into a Great Object

it is a catching device of the ‘real’. In all these cases

located at an infinite distance and shown to a subject

the metaphysical pretext to recompose a movement

that flies over it without being connected to it at all.

is refuted, for instance in the famous example of the

In short, Brunelleschi as Descartes. That is all. And

horse’s gallop – starting from what Florenskij used

it is a lot, let me say, but by doing this we would end

to call its “culminating point” or “acme”. In short the

up missing the special characteristics of those two

horse no longer poses. Which means, when translated

revolutions, that is the relationship they both entertain

philosophically, that the horse steps off the tripod of the

with ‘the real’ by failing any world, and forgetting the connection just as meaningful that contemporary aesthetic research, exactly in its most radical fashions, keeps with the scientific enterprise and the great past of the Renaissance. It is no coincidence that who feeds on these authors and their interpretation of modernity indulge themselves, as far as aesthetics, in conservative if not openly reactionary stances.

idea where it stood rigid to show off its “horsehood”. The academic philosopher as well as the academic painter should have depicted it in this privileged instant which moves from the stream of time to rejoin the Eternal. He thus should have chosen to use a “symbol” that is the sign through which an idea is communicated. Instead the perspective device and modern science have chosen a different path. They have been trying to draw the ‘real’

112A

The path to follow is to be found elsewhere. “The

starting from any-instant-whatever, beyond any axiology

modern scientific revolution – Gilles Deleuze wrote – has

hierarchies. When at the end of the 19th Century

consisted in relating movement not to privileged instants,

Etienne Jules-Maray “scanned” the horse race with one

but to any-instant-whatever. Although movement was still

of his proto-cinematographic devices called amusingly

recomposed, it was no longer recomposed from formal

(zoetrope) he caught a piece of ‘real’ at its purest

transcendent elements (poses), but from immanent

state. Exactly as Galileo did, he took the movement –

material elements (sections)19. What is true for modern

the whatever instant – as absolute and not any longer

scientific revolution is also true for the cine-eye and it

as degradation of the idea. According to metaphysics

19 G. Deleuze, Cinema 1:The movement-image, University of Minnesota Press, 2009, p. 4 Copyright The Athlone Press.

all this can only be considered as outrageous since metaphysics defines itself as the systemic refutation of


this anarchic hypothesis. Placed in front of Etienne JulesMaray’s proto-photogram, Florenskij can only see the total lack of grace and naturalness, especially if compared to the wonderful horses decorated in the Parthenon, and rebels with indignation against the abstraction from the real movement performed by the photographic device and more generally speaking by the perspective device. According to him, the only real movement can be the one that models itself on man’s demiurgic deed, that is the movement directed to manifesting a meaning, the meaning that only great symbols are able to completely express. That, frozen by the photogram, is a moment “torn from the process and taken as it is, with no past or future, in its contrast to all the others”. “(The snapshot), Florenskij continued in his speech, catches only a moment with all its immanent situations, including those we are not interested in and wouldn’t otherwise be aware of and this is why every moment is taken outside its relationship with the next”20. In that ready-made produced by the optical unconscious of the device there is indeed no world. It cannot be otherwise because the ‘real’ is in it. There you can find only pure image, desubjectivised and foreign to meaning. There, the image tempts the painter, inviting him to abandon his artist’s role and become a clairvoyant, that is a humble machine operator. Rocco Ronchi 20

P. Florenskij, Lo spazio e il tempo nell’arte, cit., pp. 176-177

113A


114A


GIORGIO TONELLI

115A


N.Y Power Station 2002 - cm 52x44 olio su tavola (Collezione Privata Bologna)

N.Y Power Station 2002 - cm 52x44 oil on panel (Private Collection Bologna)

116A


117A


Silent Factory 2002 - cm 52x48,4 olio su tavola (Collezione Privata Milano)

Silent Factory 2002 - cm 52x48,4 oil on panel (Private Collection Milan)

118A


119A


Alba sui docks 1996 - cm 43x95,2 olio su tavola (Courtesy Galleria Jannone Milano)

Dawn over the docks 1996 - cm 43x95,2 oil on panel (Courtesy Galleria Jannone Milan)

120A


121A


Imbrunire 2012 - cm 27x65 olio su tavola (Courtesy Galleria Forni Bologna)

At dusk 2012 - cm 27x65 oil on panel (Courtesy Galleria Forni Bologna)

122A


123A


Il cielo sopra N.Y 2012 - cm 50x50 olio su tavola (Courtesy Galleria Forni Bologna)

The sky over N.Y. 2012 - cm 50x50 oil on panel (Courtesy Galleria Forni Bologna)

124A


125A


Ottobre 2012 - cm 33,1x59,1 olio su tavola (Courtesy Galleria Forni Bologna)

October 2012 - cm 33,1x59,1 oil on panel (Courtesy Galleria Forni Bologna)

126A


127A


N.Y blues 2012 - cm 60x50 olio su tavola (Courtesy Galleria Forni Bologna)

N.Y. blues 2012 - cm 60x50 oil on panel (Courtesy Galleria Forni Bologna)

128A


129A


Alba downtown 2012 - cm 33x59 olio su tavola (Courtesy Galleria Forni Bologna)

Downtown dawn 2012 - cm 33x50 oil on panel (Courtesy Galleria Forni Bologna)

130A


131A


Tramonto sulla Skid Row 2012 - cm 40x50 olio su tavola (Courtesy Galleria Forni Bologna)

Sunset on Skid Row 2012 - cm 40x50 oil on panel (Courtesy Galleria Forni Bologna)

132A


133A


Stasi 1998 - cm 72x168 olio su tavola (Collezione privata Bologna)

Stasis 1998 - cm 72x168 oil on panel (Private Collection Bologna)

134A


135A


Pier 47 1994 - cm 27,2x73,6 olio su tavola (Collezione Privata Bologna)

Pier 47 1994 - cm 27,2x73,6 oil on panel (Private Collection Bologna)

136A


137A


Aspettando la notte 2010 - cm 100x140 olio su tavola (Collezione privata Bologna)

Waiting for the night 2010 - cm 100x140 oil on panel (Private Collection Bologna)

138A


139A


Alba alle Junghans 2005 - cm 45,1x61 olio su tavola (Collezione Privata Bologna)

Dawn in the Junghans 2005 - cm 45,1x61 oil on panel (Private Collection Bologna)

140A


141A


La cittĂ di Dio 1995 - cm 50x132 olio su tavola (Collezione Privata Bologna)

The city of God 1995 - cm 50x132 oil on panel (Private Collection Bologna)

142A


143A


Temporale alle Junghans 2005 - cm 54,8x91,8 olio su tavola (Collezione Privata Roma)

Storm in the Junghans 2005 - cm 54,8x91,8 oil on panel (Private Collection Roma)

144A


145A


La cittĂ ideale n 2 1995 - cm 50x132 olio su tavola (Collezione Privata Bologna)

The ideal city n 2 1995 - cm 50x132 oil on panel (Private Collection Bologna)

146A


147A


K221 1997 - cm 34,5x93,8 olio su tavola (Collezione Privata Bologna)

K221 1997 - cm 34,5x93,8 oil on panel (Private Collection Bologna)

148A


149A


K227 1998 - cm 60x46,2 olio su tavola (Collezione Privata Bologna)

K227 1998 - cm 60x46,2 oil on panel (Private Collection Bologna)

150A


151A


K321 1997 - cm 34,5x93,8 olio su tavola (Collezione Privata Bologna)

K321 1997 - cm 34,5x93,8 oil on panel (Private Collection Bologna)

152A


153A


Il pioppo 1999 - cm 27x28 olio su tavola (Collezione Privata Bologna)

The poplar 1999 - cm 27x28 oil on panel (Private Collection Bologna)

154A


155A


L’ascolto del silenzio 2012 - cm 65x175 olio su tavola (Courtesy Galleria Forni Bologna)

Listening to silence 2012 - cm 65x175 oil on panel (Courtesy Galleria Forni Bologna)

156A


157A


Il grande albero 2012 - cm 33,1x74,7 olio su tavola (Courtesy Galleria Forni Bologna)

The giant tree 2012 - cm 33,1x74,7 oil on panel (Courtesy Galleria Forni Bologna)

158A


159A


Il rumore del silenzio 2012 - cm 27x63 olio su tela (Collezione Privata Brescia)

The sound of silence 2012 - cm 27x63 oil on panel (Private Collection Brescia)

160A


161A


Congedo infinito 2011 - cm 65x200 olio su tavola (Collezione Privata Bologna)

Endless farewell 2011 - cm 65x200 oil on panel (Private Collection Bologna)

162A


163A


Lo sguardo convocato 2012 - cm 65x175 olio su tavola (Collezione Privata Bologna)

The summoned gaze 2012 - cm 65x175 oil on panel (Private Collection Bologna)

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BIOGRAFIE/BIOGRAPHIES

167A


168A


ENRICO LOMBARDI Pittore e scrittore, nasce nel 1958 a Meldola (Forlì) dove lavora. Vive a Forlì. Esposizioni principali: Personali 1984 1984/85 1987 1989 1991 1992 1993 1994 1996 1997 1999 2000 2002

Apocalipsis cum figuris Forlì, Spazio Arte Ulisse Bologna, Galleria Mascarella Specchi pericolosi Rimini, Museo Civico, Galleria dell’Immagine - Testo di M.V.Cardi. Le ore dimenticate Ravenna, Galleria Il Patio Testo di Claudio Spadoni Monumenti Ravenna, Galleria Il Patio Testo di Loredana Lega Doppio sogno Meldola (Fc), Chiesina Ospedale. L’acqua dello sguardo Modena, Galleria Benassati, Testi di Fulvio Abbate, Alessandro Riva, E. Lombardi L’acqua dello sguardo Milano, Spazio N.O.A. Pitture su carta ‘90/92 Milano, Spazio N.O.A. Fonti teologiche Forlì, Nuovo Ruolo Testo di Silvia Arfelli Fontane Milano, Spazio N.O.A. Luoghi del mai Ischia (Na), Galleria Carolina Monti Testi di Claudio Spadoni e Andrea Gibellini Castelli d’acqua Bologna, Accademia Cattani Testi di Umberto Fiori, Rocco Ronchi, E. Lombardi Luoghi Postumi Bologna, Galleria Molducci Testo di Rocco Ronchi “.....di puro nulla.” Antologica Bologna, Spazio Lanzi Galleria delle Arti. 1989-1999. Dieci anni di silenzio -Antologica- Montpellier (Francia), Galleria Wimmer, Testo di Rocco Ronchi “Lo sguardo” Milano, Galleria Forni Testo di Rocco Ronchi Dimore Avellino, Centro Culturale L’Approdo Testo di Alessandro Riva Lo spazio ritrovato Bologna, Galleria Forni Testi di Federico Leoni, Alessandro Riva Memorie - Antologica- Premio Nella Versari 5°Edizione

2002 2004 2005 2006 2007 2009 2011 2012 2013

Meldola (Fc), Ex Chiesina dell’ Ospedale Testo di Silvia Lagorio Le ultime lacrime di Bisanzio Forlì, Galleria Nuovo Segno Testo di Rocco Ronchi. Distanze Apt (Francia), Teatro “Vélo” Pitture di Enrico Lombardi, Musiche di G. Cheneviér. Diario Intimo. Figure del congedo Bologna (S. Lazzaro), Galleria Molducci. L’oro della memoria. La memoria dell’oro” Londra, Art Bank Gallery. Piccola antologia San Benedetto del Tronto, Galleria Blu Art Testo di Alessandro Riva. Voci nel buio Milano, Galleria Jannone Presentazione del volume “Voci nel buio” con Edoardo Albinati, Ed. Charta Italian Factory. Aria di vetro Milano, Galleria Forni Testo di Marco di Capua. Il grido silenzioso Forlì, Oratorio di San Sebastiano Con il patrocinio del Museo San Domenico e dell’Assessorato alla Cultura di Forlì, a cura di Rocco Ronchi, organizzazione Italian Factory. Catalogo Edizioni Electa Nella città del silenzio Altedo (Bo), Hosteria Il Truciolo Il tempo dell’ombra Ravenna, Santa Maria Delle Croci Con il Patrocinio del Museo di Ravenna e dell’Assessorato alla Cultura di Ravenna, a cura di Chiara Canali testo di Antonella Anedda, con la collaborazione di Italian Factory. La pazienza dell’ombra Bagnacavallo (Ra) Chiesa del Pio Suffragio, Musei Civici presentazione di Carlo Sini, Danilo Montanari editore La pazienza dell’ombra Biella, Galleria Sant’Angelo, La pazienza dell’ombra Pagani (Sa), Baccaro Art Gallery, Autoritratti del tempo Marina di Ravenna, Galleria FaroArte Bassa marea Piacenza, Galleria Nuovospazio Artecontemporanea, Testi di Ruggero Pierantoni e Matteo Zattoni. Inattuali Enrico Lombardi - Giorgio Tonelli, Museo della Città, Rimini

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Rassegne Collettive

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1984 1984/85 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993

Informe-Abnorme Ferrara, Sale Boldini Biennale Giovani Faenza (Ra), Palazzo delle Esposizioni Bologna, Galleria Comunale d’Arte Moderna Eclissi: l’unione di ciò che deve restare separato Bologna, Galleria Mascarella. Tendencies Biennale del Mediterraneo, Barcellona Casa de la Caridad. Estensioni Ferrara, Sale Boldini. Italian festival for multi-media work” New York, P.S 122 Gallery. Il confine Poppi (Ar), Castello dei Conti Guidi Premio Alto Appennino I°Premio, Santa Sofia (Fc) Under 35, 100 artisti da 100 critici Bologna, Arte Fiera, con Claudio Spadoni Indagine ‘87 Bologna, Salone del Podestà Segnali e Premonizioni XXXI Ed.Premio Campigna, Santa Sofia (Fc) Palazzo Giorgi e Forlì Palazzo Albertini, a cura di Enrico Crispolti, Claudio Spadoni, Adriano Baccillieri. Giovani artisti italiani e bulgari, XL Ed. Premio Michetti Francavilla Mare (Ch), Torre Ciarrapico e Sofia (Bulgaria), a cura di Claudio Spadoni, Maurizio Calvesi, M.G.Tolomeo Speranza Figure del fiume Adria (Ro), Palazzo Buzzolla a cura di Claudio Spadoni. Intercity I Venezia, Fondazione Bevilacqua La Masa XXXVI Premio Campigna Santa Sofia, Scuole Medie a cura di Claudio Spadoni, Vittoria Coen Paraxo ‘90 Andora (Sv), Centro Culturale. Orizzontale Forlì, Castello Sforzesco. Erranze Milano, Spazio N.O.A. Sogno d’ombra Riolo Terme (Ra), Ex Chiesa di S. Giovanni XIX Premio Sulmona Sulmona (Aq), Palazzo dell’Annunziata Utopie Metropolitane Milano, Politecnico Facoltà di Architettura Paesaggi Fermignano (Urbino), Sala Bramante L’arte contemporanea a Bologna, Prima Biennale Bologna, Palazzo Re Enzo Museo Esule Rimini, Museo d’Arte Contemporanea.

1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2003 2004 2005 2006

Omaggio a Melozzo Forlì, Palazzo Albertini 50° anniversario della liberazione di Cesena -2°Premio - Cesena (Fc), Palazzo del Ridotto Prima Edizione Biennale Romagnola -3°Premio-(Fc) Palazzo del Ridotto, a cura di Claudio Spadoni. Amabilis insania Bruxelles, Centre Albert Borschette Rassegna itinerante: “Della leggerezza” a cura di Nicola Miceli PITTURE Il sentimento e la forma Treviso, Bologna a cura di Marco Goldin (Catalogo Electa) Il Castello dei visionari - Biennale di figurazione fantastica e meravigliosa I°Ed. Poppi (Ar), Castello dei Conti Guidi, a cura di Michele Loffredo Biennale d’Arte Romagnola 2°Ed. Cesena a cura di Claudio Spadoni Attorno all’Arte Contemporanea Bologna, Galleria Forni Una donazione per un nuovo Museo Conegliano Veneto (Tv), Palazzo Sarcinelli a cura di Marco Goldin - Catalogo Electa è ancora calda l’erba sui miei prati Milano, Galleria Forni Emergenti Milano, Galleria Forni. Ex - Voto per il millennio Pisa , Certosa di Calci a cura di Nicola Micieli Percorsi comunicanti - Aspetti dell’arte contemporanea forlivese Forlì, Palazzo Albertini a cura di Orlando Piraccini Sui generis, La ridefinizione del genere nella nuova arte italiana Milano, P.A.C. a cura di Alessandro Riva Figure del ‘900 (2) Bologna, Sale Belle Arti di Pinacoteca e Accademia Pittura in Romagna - Aspetti e figure del ‘900 Cesena (Fc), Palazzo del Ridotto, a cura di C. Spadoni Città Milano, Galleria Forni, a cura di Alessandro Riva Le città Torino, Galleria Davico Urban Landscape Parigi (Francia), Carrousel du Louvre, Galleria Forni. Miracolo a Milano Milano Palazzo della Ragione a cura di Alessandro Riva Labirinto: mito, edificio, danza Sant’Agostino (Fe), Antico Oratorio


2007 2008 2009 2010 2011 2012

Più opere al MAR. Le nuove acquisizioni del museo Ravenna, Museo D’ Arte della città di Ravenna a cura di Claudio Spadoni La nuova figurazione italiana ... to be continued Bollate (Mi), Fabbrica Borroni, a cura di Chiara Canali Arte italiana 1968. 2007. Pittura Milano - Palazzo Reale Una mostra ideata e curata da Vittorio Sgarbi The new italian art scene Taipei - Fine Art Museum a cura di Alessandro Riva RONCAGLIA. Biennale d’arte” XXX edizione San Felice sul Panaro (Mo) Castello estense Decennale Milano, Studio Forni Rumors Torino, Caserma Cavalli Ex Arsenale Borgo Dora Il diavolo e l’acqua santa Sarsina (Fc), Museo Archeologico NoLand-Scape Fondazione Bandera per l’arte, Busto Arsizio Pittura d’italia. Luoghi veri e dell’anima Rimini, Castel Sismondo, a cura di Marco Goldin Rassegna d’arte contemporanea Londra, Blackheat Gallery Elegia della casa. Poetiche dell’abitare nella pittura romagnola del ‘900, Forlì, Palazzo Albertini Premio Maretti. Valerio Riva memorial. III edizione Prato, Museo Pecci Les arbres Bologna, Galleria Forni Padiglione Italia alla Galleria Forni Bologna, Galleria Forni. BIENNALE D’ARTE DI VENEZIA. 54esima edizione Padiglione Italia, Venezia, Corderie dell’Arsenale, a cura di Vittorio Sgarbi, nominato da Carlo Sini The first Italian Show Roma, First Gallery a cura di Luca Beatrice Biennale delle Chiese laiche Cervia (Ra), Sala Rubicone Altrove. Luogo o poesia Catania Art Gallery, a cura di Beatrice Buscaroli

Si sono occupati della sua opera: Fulvio Abbate, Ruggero Pierantoni, Matteo Zattoni, Marina Corona, Antonella Anedda, Silvia Arfelli, Chiara Canali, Vittorio Sgarbi, Marco di Capua, Marisa Zattini, Alberta Fabbri, Davide Argnani, Patrizia Zambrano, Giordano Viroli, Claudio Spadoni, Carlo Sini, Adriano Baccillieri, Giorgio Seveso, Rocco Ronchi, Alessandro Riva, Orlando Piraccini, Maria Virginia Cardi, Mario Nanni, Alberto Mingotti, Nicola Micieli, Giovanna Maria Mascetti, Giorgio Celli, Vittorio Mascalchi, Michele Loffredo, Federico Leoni, Loredana Lega, Claudio Cerritelli, Silvia Lagorio, Marco Goldin, Francesco Giardinazzo, Andrea Gibellini, Umberto Fiori, Sabina Ghinassi.

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GIORGIO TONELLI

nasce a Brescia il 5 settembre 1941. Vive e lavora a Bologna e a Venezia. Esposizioni principali: personali 1978

Galleria dell’Incisione, Brescia.

1980

Galleria Tino Ghelfi, Vicenza.

1982

Galleria Trentadue, Milano.

Galleria Mercurio, Biella.

1986

Galleria Forni, Bologna

1988

Galleria Trentadue, Milano

1989

Galleria Davico, Torino.

1991

Torre del Lebbroso, Aosta.

Galleria Ghelfi, Vicenza

Appiani Arte, Milano

Palazzo Sarcinelli, Conegliano.

1993

Galleria dello Scudo, Verona.

1994

Galleria Antonia Jannone, Milano.

1997

Galleria Antonia Jannone, Milano

1998

Silentium, Galleria Forni, Bologna

1999

Galleria Ghelfi, Vicenza

2002

Dal tramonto all’alba, Galleria Antonia Jannone, Milano

2003

Lagune e altri percorsi, Galleria La Quadra, Brescia

2005

New york blues, Galleria il Polittico, Roma

2006

Opere recenti, Studio Forni, Milano

2007

Disegni, Galleria Jannone, Milano

2008

Lo sguardo fisso, pastelli, Galleria Forni, Bologna

2009

Lo sguardo fisso, pastelli, Galleria Antonia Jannone, Milano

2012

L’immobilità dello sguardo, Galleria Forni, Bologna

2013

Inattuali, Enrico Lombardi - Giorgio Tonelli,

Museo della Città, Rimini

Mostre collettive 1976 1979 1980 1982 1983 1984 1985 1986 1987

Triennale di grafica, Palazzo della Permanente, Milano. Pittura Italiana. Bedford House Gallery, Londra. 6 pittori (Bartolini, Ferroni, Luino, Luporini, Mannocci, Tonelli), Galleria dell’Incisione, Brescia. 6 pittori (Bartolini, Ferroni, Luino, Luporini, Mannocci, Tonelli), Galleria Il Fante di Spade, Milano. Espressione dell’arte figurativa contemporanea in Italia, L’Aja. Art-82, Galleria Forni, Basilea. Fiac 82, Grand Palais, Galleria Forni, Parigi. Una Donna, a cura di Alberico Sala, Castel Ivano. Giovani pittori-scultori italiani, Rotonda della Besana, Milano. Bartolini, Janson, Tonelli, Galleria Il Gabbiano, Roma. Espressione dell’arte d’immagine contemporanea, a cura di R. Tassi, Galleria dello Scudo, Verona. Obiettivo Immagine, a cura di F. Solmi, Galleria Davico, Torino. La metacosa, Palazzo Paolina, Viareggio. International Contemporary Art Fair, Galleria Forni, Londra. La metacosa, Teatro della Società, Bergamo. Segni paralleli, a cura di Floriano De Santi, Cà Vendramin Calergi, Venezia. La poétique de l’imagine dans l’Italie d’aujourd’hui, a cura di F. Solmi Galerie Paul Vallotton, Losanna Fiera Internazionale d’Arte Contemporanea, Galleria Forni, Milano Architetti-pittori, pittori-architetti, Galleria Apollodoro, Roma Un panorama di tendenza, a cura Luciano Luisi, Castel Sant’Angelo, Roma Paesaggio senza territorio, a cura di Vittorio Sgarbi, Castello di Mesola, Ferrara Fiera Internazionale d’Arte Contemporanea, Galleria Forni, Milano Arte Segreta, a cura di Vittorio Sgarbi, Galleria Forni, Bologna

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1989 1990 1992 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001

VIII Biennale d’Arte Contemporanea, Piacenza Lo spazio del silenzio, a cura di Vittorio Sgarbi, Fiera di Milano Natura Morta, a cura di Vittorio Sgarbi, Castello di Mesola, Ferrara Fiera Internazionale d’Arte Contemporanea, Galleria Forni, Milano ABC-Artisti Bresciani Contemporanei, a cura di Giannetto Valzelli, Cellatica, Brescia Realtà e sogno nella pittura contemporanea, a cura di Vittorio Sgarbi, XXX Premio Suzzara, Suzzara XLII Premio Michetti, Francavilla a Mare. Ma è calda l’erba sui miei prati, Galleria Forni, Bologna Arte Fiera, Galleria Forni, Bologna. I grandi mercanti, Tiziano Forni, Galleria Marieschi, Monza. Continuità del talento, Galleria Forni Tendenze, Bologna. Arte Fiera, Galleria Forni, Bologna. Gli anni ’80, Tendenze figurative, a cura di Mauro Corradini, A.A.B., Brescia Arte Fiera, Galleria Forni, Bologna. XII Quadriennale Nazionale d’Arte, Roma Arte Fiera, Galleria Antonia Jannone, Bologna. Arte Fiera, Galleria Forni, Bologna. Continuità dell’immagine, a cura di Marco Di Capua, Mole Vanvitelliana, Ancona. I Buddenbrook e Roma, Galleria Don Chisciotte, Roma. Più vero del vero: iconografie della mente, a cura di Mauro Corradini, Palazzo Comunale, Calcio. Neovedutismo, a cura di Fabrizio Magani e Claudio Malberti, Galleria Marieschi, Monza Ma è ancora calda l’erba sui miei prati, Galleria Forni, Bologna Arte Fiera Bologna, Galleria Forni Miart, Studio Forni, Milano. Arte Fiera Bologna, Galleria Forni Miart, Studio Forni, Milano. Arte Fiera Bologna, Galleria Forni

2002 2003 2004 2005 2006 2008

Giuseppe Bergomi-Giorgio Tonelli, 2 Maestri da Brescia, Galleria Davico, Torino XIII Ed. Incontro con l’artista, Hotel Fortino Napoleonico, Portonovo. Il Po in controluce, a cura di Laura Gavioli, Complesso degli Olivetani, Rovigo. Europei Erranti, Galleria Forni, Bologna Surralismo Padano, Palazzo Gotico, a cura di Vittorio Sgarbi, Piacenza. Da De Chirico a Leonar Fini–Pittura Fantastica in Italia, a cura di V. Sgarbi, Galleria Arte Moderna, Trieste Arte Fiera Bologna, Galleria Forni e Galleria Antonia Jannone Miart, Studio Forni, Milano Arte Fiera Bologna, Galleria Forni e Galleria Antonia Jannone Miart, Studio Forni, Milano Città, a cura di A. Riva, Studio Forni, Milano Arte Fiera Bologna, Galleria Forni Nudo, a cura di Enzo Siciliano, Galleria Forni, Bologna I pittori delle Metacosa, Spazio Oberdan, Milano Arte Fiera Bologna, Galleria Forni Art Paris, Galleria Forni, Parigi Miart, Galleria Forni Centenario Fabbri, Bologna Francoforte, Die Galerie, Un’estate italiana - arte figurativa italiana Comune di Gubbio, Palazzo Ducale, Il paesaggio italiano contemporaneo Bologna, ex Chiesa di San Mattia, A.A.A. Ambiente, Arte, Architettura - Appunti di un viaggio per immagini Barcellona, Galleria Sala Parés, Giuseppe Bergomi, Giovanni La Cognata e Giorgio Tonelli Bologna, Galleria Forni, Giuseppe Bergomi e Giorgio Tonelli Arte Fiera Bologna, Galleria Forni Bologna si rivela, Palazzo Fava, Bologna Arte Fiera Bologna, Galleria Forni Fondazione Michetti Unicredit Bank, Bologna


2010 2011 2012

Arte Fiera Bologna, Galleria Forni LUNICA Omaggio alla luna, fotografie di M. Alemanno e pastelli di G. Tonelli, Ca’ Rezzonico, Venezia LUNICA Omaggio alla luna, fotografie di M. Alemanno e pastelli di G. Tonelli, Galleria Forni, Bologna Arte Fiera Bologna, Galleria Forni 54° Biennale di Venezia, Padiglione Italia Palazzo Fava, Palazzo delle Esposizioni, BonOmnia 2006 rivisitata, in occasione dei 1000 della Biennale di Venezia Landscape, Museo Civico di Chiusa Ermetiche presenze, a cura di Giovanni Faccenda, Centro culturale Le Muse, Andria (Brindisi) Arte Fiera, Bologna Arte Fiera Bologna, Galleria Forni Temporary Art Gallery, Palazzo Valfrè, Chieri Do ut do, Arte per Hospice, Palazzo Zambeccari, Bologna Nel segno dell’immagine, Museo Palazzo de’ Mayo, Chieti Altrove: luogo e poesia, a cura di Beatrice Buscaroli, Catania Art Gallery Biennale delle Chiese laiche, Ravenna, biblioteca Classense

Hanno scritto di lui: Adriano Antolini, Natalia Aspesi, Tino Bino, Francesca Bonazzoli, Liana Bortolon, Elvira Cassa Salvi, Pasquale Chessa, Mauro Corradini, Raffaele De Grada, Silvia Dell’Orso, Marco Di Capua, Angelo Dragone, Marco Goldin Giovanni Faccenda, Laura Gavioli, Janus, Paolo Levi, Enrico Lombardi, Claudio Malberti, Giorgio Mascherpa, Ignazio Mormino, Elisabetta Muritti, Alcide Paolini, Roberto Pasini, Marilena Pasquali, Alessandro Riva, Marco Rosci, Alberico Sala, Maurizio Sciaccaluga, Enzo Siciliano, Vittorio Sgarbi, Giorgio Soavi, Franco Solmi, Giovanni Testori, Armando Torni, Antonello Trombadori.

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Un ringraziamento particolare a Isabella Seragnoli la cui amicizia e disponibilità ha reso possibile la realizzazione di questo volume. Si ringraziano inoltre per la loro fattiva e preziosa collaborazione gli amici Angela Lombardi, Lara Vitali, Massimo Pulini, Olimpia Lalli, Rocco Ronchi, Alan Nelson, Amanda Litterio. Grazie anche a tutti i Prestatori delle opere.

We owe special thanks to: Isabella Seragnoli whose friendship and generosity has made the publication of this book possible. In addition we would like to thank for their active and precious collaboration our friends: Angela Lombardi, Lara Vitali, Massimo Pulini, Olimpia Lalli, Rocco Ronchi, Alan Nelson, Amanda Litterio. And all the people who have lent paintings from their private collections.

Crediti fotografici Foto opere: Antonio Romualdi e Rocco Casaluci Foto ritratto Lombardi: Monica Spada Foto ritratto Tonelli: Paola Forni Doppio ritratto: Olimpia Lalli Progetto grafico: Lara Vitali

Photographic Credits Paintings photos by Antonio Romualdi and Rocco Casaluci Lombardi’s portrait by Monica Spada Tonelli’s portrait by Paola Forni Double portrait by Olimpia Lalli Graphic design Lara Vitali

Stampato in 1500 copie 2013

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Stampa: Grafiche Damiani Bologna




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