UN TANGO PER TE Maurizio Bergamini romanzo 2014 Maurizio BergaminiPrima Edizione ebookMassetti Publishing ISBN 978-1-312-02556-1
UN TANGO PER TE Maurizio Bergamini Copyright Maurizio Bergamini 2014 Published by Enrico Massetti at Smashwords All Rights Reserved�
Libri, ebook, DVD, CD-mp3 rari di tango: http://tango-dancers.com La vicenda narrata in questo libro attinge liberamente dall’epistolario mai ritrovato del protagonista e dal suo ipotetico diario intimo. Tutto il resto è frutto dell’immaginazione dell’autore.
1 Posò la penna nell’apposito incavo del calamaio non senza una certa soddisfazione; guardò il foglio di carta azzurrina zeppo dei segni che aveva appena tracciato e si domandò se fosse il caso di fare qualcosa per accelerare l’asciugatura dell’inchiostro. Poi però restò lì, come incantato, ad ammirare la propria opera: aveva in mano la prima lettera dalla sua nuova vita, da un altro mondo, dall’America! Quanto tempo era passato da quel 27 novembre? Non aveva più importanza ormai, così come non interessava più a nessuno la morte di quell’uomo in una via qualsiasi di una città dell’Italia del nord: Torino, antica capitale ed ora da pochi decenni retrocessa a provincia decentrata, che solo grazie all’affetto del re manteneva una qualche rilevanza nelle cronache mondane. Quindi a chi poteva importare ormai la morte di un ufficiale certamente gradasso e spaccone? Molto di più lo tormentava il ricordo della signorina Clarissa, così giovane e per questo tanto ingenua da lasciarsi corteggiare da un simile esemplare in divisa da ufficiale del Regno. Del Regno d’Italia, poi! Eppure lei sapeva del suo amore; sapeva che quel giovane studente di giurisprudenza non aveva occhi che per lei. E lei lo incoraggiava ridendo delle sue maldestre uscite, accompagnate da quel buffo accento un po’ francese ma non proprio, che forse, altrove, magari in quel sud così sconosciuto e lontano, poteva suonare bello ed esotico, ma lì a Torino era indice inequivocabile di rozzezza montanara. Di dove poteva essere quello studentello? Dell’entroterra cuneese? Della misteriosa Val d’Austa? O magari un barbetto delle valli Chisone e Germanasca? Non aveva sbagliato, la Clarissa: evidentemente era una ragazza che la sapeva molto più lunga di molte altre donne, anche più vecchie di lei. Forse lo stare a bottega con i genitori le permetteva di raccogliere voci e pettegolezzi ed imparare così, un po’ per sentito dire, come funzionava il mondo al di là delle poche vie della vecchia Torino che le era permesso di frequentare sotto la vigile scorta della sua affezionata balia, Clementina, che ormai vigilava su di lei da ben sedici anni! E poi c’erano tutte quelle signore eleganti che passavano in negozio a provare i gioielli che suo padre faceva arrivare da Valenza, ma anche da più lontano: da Napoli o da Firenze, città famose, un po’ misteriose, che solo qualche decennio prima si trovavano all’estero. Ma in fondo che importava cosa pensava Clarissa? Con i suoi sedici anni poteva permettersi di civettare con chiunque le dimostrasse interesse. Non è così che fanno le giovani donne per mascherare i loro veri sentimenti e contemporaneamente mettere alla prova la costanza dei loro spasimanti? E lui c’era cascato. Magari avrebbe anche accettato di avere uno o più rivali. Fa parte delle schermaglie d’amore. Invece quella sera la seguiva a non troppa distanza, e come lui anche quell’ufficiale, che invece fu tanto intraprendente da abbordarla per strada, Clementina o non Clementina! La ragazza sembrava nervosa e guardava in giro in cerca di comprensione, come dire: «Non è colpa mia! Non l’ho incoraggiato io... Che posso fare?». Jean-François, studente in giurisprudenza, valdostano timido e riservato colse quello sguardo e cercò disperatamente una scusa per irrompere in quella conversazione e dare modo alle due donne di allontanarsi indisturbate. Fatica inutile. Non ci fu bisogno di nessuna scusa: il soldato le prese un braccio. Lei si ritrasse prontamente, a testimonianza che un simile atteggiamento non poteva
essere accettato da una signorina perbene come lei. Ma tanto bastò a fare scattare il giovane a soccorso dell’onorabilità dell’amata. Poi parole in libertà. E quell’idiota (perché anche i militari sanno esserlo) che mise mano al fianco, pronto ad estrarre la sua sciabola d’ordinanza. Il montanaro era sì un aspirante giurista, ma le mani erano quelle della sua razza, le braccia potenti. E quando si colpisce per far male non si bada a spese.
2 La lama restò nel fodero. A ben vedere, tutto del militare restò composto, salvo alcuni lembi di pelle bluastra in un paio di punti del volto e quel collo piegato in maniera così poco naturale, frutto del contraccolpo ricevuto dal profilo di un gradino di pietra, così poco gentile da trovarsi proprio in direzione delle vertebre del malcapitato che stava cadendo al suolo, già privato dei sensi da un paio di sonori e popolari cazzotti. Un filo di sangue rosso scuro uscì dal naso dell’ufficiale a conferma che le sue pretese di vita nobile e brillante stavano definitivamente colando via. Il buio dei vicoli non era mai stato così invocato ed un largo giro per la vecchia Torino non poteva che risultare rassicurante: nessuno era stato così malevolo nei suoi confronti da rincorrerlo o anche solo seguirlo. Ma fino a quando poteva garantirsi l’anonimato? Clarissa avrebbe certo confessato tutto al primo interrogatorio; e se non lei, l’avrebbe fatto Clementina. Glielo si sarebbe letto in faccia, che sapevano qualcosa di quel morto! Forse non sarebbero andate a denunciarlo di loro iniziativa per paura dello scandalo che ciò avrebbe comportato, ma di certo se il più stupido investigatore avesse incrociato il loro sguardo avrebbe letto sui loro volti il panico di chi sa tutto e non vuole essere compromesso. Come dire: il terrore di chi sa di dover confessare di lì a poco. Jean-François non voleva ammetterlo neanche a se stesso: era perduto. Poteva solo attendere che i gendarmi raccogliessero un paio di testimonianze e lo venissero ad arrestare. La vittima era di certo di famiglia sufficientemente influente da indurre il tribunale a calcare la mano nei suoi confronti: nella migliore delle ipotesi avrebbe dovuto rallegrarsi se riusciva a scansare la forca. Qualche idea su come funzionavano certe cose se l’era fatta nei corridoi della facoltà. Il pensiero corse ovviamente alle sue montagne natie, ma certo quello era il primo posto dove la polizia avrebbe cercato di inseguirlo. Serviva un altro piano, ed anche in quello che escogitò in tutta fretta i monti erano l’unica speranza. Bisognava arrivarci, però. Per questo non perse tempo: un montanaro che si rispetti ha sempre il proprio zaino a portata di mano e questa volta andava riempito per bene. Un po’ di cibo, il vestito buono (quello per recarsi a lezione), una coperta, il coltello a serramanico, un pentolino di rame stagnato, tabacco, zolfanelli, i soldi affidatigli dal padre e gelosamente conservati in un barattolo con la scritta “caffè”. Poi via in strada prima che potesse arrivare l’alba. I suoi passi lo portarono in vista della chiesa della Gran Madre. Sarà stato per essersi raccomandato a lei o per la sua prudenza nel non viaggiare se non di notte, ma in pochi giorni fu a Bellino, tra le Alpi cuneesi. Là viveva Anièce, la sua vecchia balia, maritata con un ex sergente degli alpini, che con il matrimonio l’aveva portata al suo paese natio, strappandola alla sua Valle d’Aosta. Erano diversi anni che le loro vite si erano separate, ma la corrispondenza non era mai cessata e la famiglia del notaio di Châtillon aveva sempre aiutato quella della buona balia del loro primogenito: qualche soldo, perché in montagna non gira moneta, un pacco a Natale ed a Pasqua con i vestiti ed i giochi smessi dai figli ed infine, per Jean- Paul il quasi coetaneo di Jean-François, la lettera di raccomandazione per essere assunto come garzone nella bottega di certi parenti a Nizza. Chi mai l’avrebbe cercato proprio lassù? Era sicuramente un buon posto per far sparire le proprie tracce. Poi avrebbe escogitato un nuovo piano.
3 Buenos Aires 15 septembre 1899 Mon cher père, ma chère maman, mes frères et soeurs, J’imagine la peine que je vous ai donné. Vos journée auront été bien tristes et angoissées. Les miennes l’étaient autant. Je me trouve en bonne santé et, après ces mois de silence, j’espère que vous aussi vous vous portez tous bien. J’ai beaucoup prié le Bon Dieu qui vous puisse aider dans cette épreuve et aussi Notre-Dame de Guérison, souveraine de notre village, pour que la santé et le courage vous soutiennent. A présent vous connaissez le malheur qui m’a frappé par mon insouciance. Anièce vous a certainement mis au courant, mais elle ne peut pas vous informer de ce qui c’est passé après ma fuite par la montagne. Le mari d’Anièce, le bon Belfrond Joseph, m’a offert toute l’assistance possible en me faisant passer en France par des chemins détournés, les mêmes que les montagnards de ces vallées utilisent pour émigrer sans papiers ou pour s’assurer quelques rentes avec la contrebande. M. Belfrond m’a offert aussi le passeport de son fils ainé, qui a mon âge et qui me ressemble un peu par la taille, les yeux gris et les cheveux frisés. Il avait toutes les autorisations pour se rendre en Argentine comme ouvrier saisonnier, pour faire la “consétcha”, c’est-à-dire la moisson du blé, qu’ici en Argentine est énorme (vous n’y croiriez jamais!). Enfin il m’a offert de l’argent et deux napoléons d’or, probablement toutes ses économies, ce qui par la suite m’a été bien utile! Que de sacrifices a fait cette famille pour moi! Voilà donc que je vous demande, mon père, de bien vouloir les indemniser avec toute la générosité que vous sera possible: ils m’ont sauvé la vie. Je suis donc parti pour l’Argentine sous le nom de Jean- Paul Belfrond, ouvrier. Quel horreur ce bateau! J’ai passé un mois presque toujours enfermé dans une sorte de cave à l’intérieur du bateau, peu de lumière par des petites fenêtres toujours fermées; des gens partout, surtout des hommes, des saisonniers comme moi (ce que j’avais laissé croire). Beaucoup d’entreeux avaient déjà connu ce pays et certains parmi eux parlaient quelques mots d’espagnol. J’ai passé ce mois de navigation à leur poser des questions, à apprendre tous les mots espagnols que je pouvais et à rendre à l’eau une bonne partie de la mauvaise nourriture que je pouvais m’acheter. Plus le temps passait et plus la chaleur était étouffante: dans l’émisphère sud c’était l’été. Voilà pourquoi tous ces ouvriers s’y rendaient. Pour la moisson. Enfin nous fûmes à Buenos Aires. Une ville énorme. Je n’avais jaimais vu autant de maisons. Bien qu’il n’y a pas de montagne, de la mer je n’arrivais pas à voir où ces maisons pouvaient se terminer. Pour moi, au contraire, le voyage termina dans un énorme hotel où l’on entasse tous les émigrés en attendant de les autoriser à rentrer dans le pays. (Par ironie il s’appelle “Hotel des Inmigrantes”) Je vous passe l’horreur de lasaleté, les pous, les odeurs… La pluspart des piémontais partait pour la campagne, où il parait il y avait plein de travaux à faire. J’en doute pas, mais je ne voulais pas croire d’avoir traversé l’Océan pour faire le campagnard. J’ai décidé de rester en ville et, grâce à ces fameux Napoléons, j’ai pu louer une pièce dans un hotel dans un quartier pas trop sordide. Parce que à Turin j’en avais vus de pauvres dans les rues, mais ici c’est tout plus grand, même la misère. Par contre le centre ville est incroyablement chic. J’ai beaucoup pensé à vous, mes soeurs:
quelles toilettes ces dames, quelle foule dans les cafés, quelles boutiques des meilleures marchandises du monde entier! Et c’est justement dans une de ces boutiques que j’ai trouvé mon boulot, et ça parce que je parle français: il paraît que tout ce qui est français est à la mode… les employés aussi! Pour l’instant je vous laisse. Je vous écrirais le plus souvent possible sans attendre votre réponse. Pour l’instant je le ferai en passant par Anièce: je crains encore la police. Ce serait bête de se laisser attraper maintenant que le plus difficile est fait. Mon père, envoyez-moi votre pardon et votre bénédiction. Je sais que je vous ai déçu, mais moi aussi j’ai été victime d’un destin cruel et méchant. Mère, je vous embrasse de tout mon âme. N’ayez pas peur pour moi: votre fils est fort et bien décidé à jouer ses atouts. Frères, veillez sur nos parents aussi de ma part. Je prie beaucoup le Seigneur pour qui me donne la possibilité de me racheter et de vous revoir enfin. Soeurs, soyez sages et pensez à grandir dans l’amour de Dieu et de votre famille. Rappelez-vous de moi dans vos prières, car votre frère ainé est tout seul à l’autre bout du monde. Je vous embrasse tous et je vous rencontre chaque jour dans mes prières. votre Jean-François Traduzione:Buenos Aires 15 settembre 1899Mio caro padre, mia cara madre, fratelli e sorelle miei posso immaginare il dolore che vi ho procurato.Le vostre giornate saranno passate ben tristi ed angosciose. Anche le mie lo sono state. Io mi trovo in buona salute e, dopo tutti questi mesi di silenzio, spero che anche voi stiate tutti bene. Ho molto pregato il Buon Dio di aiutarvi in questa prova e anche Nostra Signora della Guarigione, regina del nostro paese, perché vi soccorra la salute ed il coraggio. Ormai conoscete la disgrazia che mi è occorsa a causa della mia sventatezza. Anièce vi avrà sicuramente informati, ma ella non può informarvi di ciò che mi è successo dopo la mia fuga attraverso le montagne.Il marito di Anièce, il buon Belfrond Joseph, mi ha fornito tutto l’aiuto possibile facendomi passare in Francia attraverso i sentieri più remoti, quelli che i montanari di quelle valli utilizzano per emigrare senza documenti o per procurarsi qualche reddito con il contrabbando. Il signor Belfrond mi ha anche dato il passaporto di suo figlio maggiore, che ha la mia età e un po’ mi rassomiglia per statura, occhi grigi e capelli ricci. Aveva già tutte le autorizzazioni per andare in Argentina come operaio stagionale, per fare la “consecha”, cioè la mietitura del grano, che qui in Argentina è una cosa enorme (non lo credereste mai!). Ed infine mi ha donato dei soldi, più due napoleoni d’oro, probabilmente tutti i suoi risparmi, cosa che mi è stata molto utile!Quanti sacrifici ha fatto codesta famiglia per me! Ecco dunque che vi domando, padre, di volerli indennizzare con tutta la generosità che vi sarà possibile: mi hanno salvato la vita.Sono dunque partito per l’Argentina sotto il nome di Jean-Paul Belfrond, operaio. Che orrore quella nave! Ho passato un mese quasi sempre chiuso in una specie di stiva, poca luce solo da alcuni piccoli oblò sempre chiusi; gente ovunque, uomini soprattutto, stagionali come me (come avevo lasciato intendere).Molti di loro conoscevano già il paese e alcuni parlavano qualche parola di spagnolo. Ho trascorso un mese di navigazione a far loro delle domande, ad imparare tutte le parole spagnole che potevo e a rigettare nel mare una buona parte del pessimo cibo che riuscivo a comperare.Più il tempo passava, più il calore diventava soffocante: nell’emisfero sud era estate. Ecco perché tutti quegli operai vi si recavano. Per la mietitura.Infine giungemmo a Buenos Aires. Una città enorme, Non avevo mai visto tante case. Non ci sono montagne e dal mare non riuscivo a vedere dove terminassero le case. Per me, invece, il viaggio finì in un enorme rifugio, dove ammucchiano tutti gli immigrati in attesa di fornire loro l’autorizzazione allo sbarco nel paese. (Ironicamente si chiama “Hotel des
Inmigrantes”).Non sto a descrivervi l’orrore della sporcizia, i pidocchi, le puzze...La maggior parte dei piemontesi partiva per le campagne, dove pareva che ci fosse molto lavoro. Non ne dubitavo, ma non potevo pensare di aver traversato tutto l’oceano per fare il bracciante. Ho deciso di rimanere in città e, grazie a quei famosi napoleoni, ho potuto affittare una stanza in una pensione in un quartiere non troppo sordido. Perché a Torino ne avevo visti di poveri nelle strade, ma qui è tutto più grande, anche la miseria.Invece il centro città è incredibilmente elegante. Ho molto pensato a voi, sorelle mie: che splendidi abiti le signore, che folla nei caffè, che negozi con le migliori mercanzie dal mondo intero! E infatti è proprio in uno di questi negozi che ho trovato lavoro, perché parlo francese: sembra che tutto ciò che è francese sia alla moda... anche gli impiegati!Ora vi lascio. Vi scriverò il più sovente possibile, senza attendere la vostra risposta. Per ora lo farò tramite Alice: ho ancora paura della polizia. Sarebbe stupido farsi prendere ora che il più difficile è fatto.Padre mio, mandatemi il vostro perdono e la vostra benedizione. So che vi ho deluso, ma anch’io sono vittima di un destino crudele e cattivo. Madre, vi abbraccio con tutta l’anima mia. Non temete per me: vostro figlio è forte e deciso a giocarsi le sue carte. Fratelli, vegliate sui nostri genitori anche da parte mia. Prego molto il Signore che mi conceda la possibilità di riscattarmi e di rivedervi infine. Sorelle, siate brave e crescete nell’amore di Dio e della vostra famiglia. Ricordatevi di me nelle vostre preghiere, perché vostro fratello maggiore è tutto solo dall’altro capo del mondo. Vi abbraccio tutti e vi ritrovo ogni giorno nelle mie preghiere.Il vostro Jean-François.