Enrosadira Magazine

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I N R O S A D Ö R A / MAGAZINE DELLE DOLOMITI

Anno II numero 2 Estate 2010 COPIA OMAGGIO

L’ETICA DELLA DOLOMIA

Va in bici a impatto zero MARATONA DLES DOLOMITES Scala senza lasciare traccia ERRI DE LUCA Conosce il valore di una buona lettura UN LIBRO UN RIFUGIO Siamo andati a cercare l’anima del turista dell’Alta Badia e l’abbiamo trovata Deutscher Text ab Seite 74


MUSEI PROVINCIALI ALTOATESINI

Alla scoperta dei musei Museo Archeologico - Bolzano Museo caccia e pesca - Mareta - Racines Museo di Scienze Naturali - Bolzano Museo del vino - Caldaro Museum Ladin - S. Martino in Badia Museo degli usi e costumi - Teodone - Brunico Touriseum - Merano Castel Tirolo - Tirolo Museo delle miniere - Ridanna, Predoi, Cadipietra

www.museiprovinciali.it



Saûs dl isté

IN VETTA CON GUSTO

AUFSTIEG MIT GENUSS

PEAKS OF GASTRONOMY

Il nuovo trend estivo “In vetta con gusto”, nel

“Aufstieg mit Genuss” ist der aktuelle und innovative Sommertrend in Alta Badia im Herzen der Südtiroler Dolomiten. Mitten im UNESCO Weltnaturerbe bietet die Kombination aus herrlichen Bergtouren und Genüssen der lokalen Küche mit Südtiroler Produkten eine neue Qualität des Bergurlaubs. Dazu gehören die Sterneküche in den Almhütten, das Frühstück mit Sonnenaufgang, Kochkurse in der Piazza und bei ladinischen Bergbauern. Außerdem gibt es Trekkingtouren mit dem Motto „Genuss und Gesundheit“, das Picknick „Tradition und Innovation“ mit den Sterneköchen von Alta Badia und ein spezielles SportlerGericht im Rahmen des Maratona dles Dolomites. Perfekt wird der Genussurlaub mit der Initiative „Urlaub für Ihr Auto“. Mit dem Mountain Pass Alta Badia lässt man sich bequem mit Bus und Lift zu den schönsten Plätzen chauffieren. Und für den Verzicht aufs Auto gibt es noch ein Präsent.

The new summer trend “Peaks of gastronomy” taking place in Alta Badia, the heart of the South Tyrolean Dolomites - a UNESCO natural heritage site - is based on the quality local produce of South Tyrol and aims to strengthen the winning combination of enchanting mountain walks and the taste of local cuisine. This exciting initiative includes Michelin-Star cuisine in mountain huts, “Breakfast at sunrise among the peaks”, the Apenrosa - apertifs at sunset, Ladin cookery courses and courses in the main square, the nutritional dish created for the ‘Maratona dles Dolomites’ (Dolomites marathon), excursions “Saûs y Sanité” and the Picnic created by the Dolomitici “combining tradition and innovation”. In addition, the initiative “Give your car a holiday”, which awards those opting to take public transport and ski lifts with the Alta Badia Mountain Pass, also contributes to making a summer holiday in the mountains all the more inviting.

cuore delle Dolomiti – Patrimonio Naturale dell’Umanità UNESCO – si basa sulla qualità dei prodotti locali dell’Alto Adige-Südtirol e vuole potenziare e valorizzare maggiormente il connubio vincente tra incantevoli camminate in montagna e il gusto della gastronomia locale. Fanno parte dell’iniziativa i piatti stellati in rifugio, la “Colazione tra le vette”, l’Apenrosa, i corsi di cucina ladina e in piazza, escursioni alle malghe con degustazione, il piatto nutrizionale in occasione della Maratona dles Dolomites, escursioni “Saûs y Sanité” e il Pic Nic dei Dolomitici “tra tradizione e innovazione”. Inoltre, l’iniziativa “Stop ma con gusto. Anche la macchina va in vacanza”, che premia chi si sposta con i mezzi pubblici e gli impianti di risalita, grazie al Mountain Pass Alta Badia, contribuisce a rendere la vacanza estiva in montagna ancora più allettante.

www.altabadia.org


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Per un turismo sensibile all’ambiente. Für einen nachhaltigen Tourismus. For a sustainable tourism.

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Stop ma con gusto. Anche la macchina va in vacanza. Per un turismo sensibile all’ambiente. Spostandoti in vacanza solo a piedi, con gli impianti di risalita o mezzi pubblici contribuisci ad un turismo eco sostenibile e avrai diritto ad un premio da parte dell’esercizio ricettivo aderente all’iniziativa.

Lass dein Auto stehen. Auch dein Auto macht Urlaub. Für einen nachhaltigen Tourismus. Wer sich im Urlaub nur zu Fuß, mit den Aufstiegsanlagen und öffentlichen Verkehrsmitteln fortbewegt, trägt zum Schutz der Umwelt bei und wird vom Betrieb, falls dieser die Initiative unterstützt, mit einem kleinen Geschenk belohnt.

Leave the car behind. Your car is on holiday as well. For a sustainable tourism. By getting around only on foot during your holiday, using public transport or the cable cars/ski lifts, then you are contributing to a sustainable tourism, and you will be eligible for a prize awarded by the accommodation facilities signed-up for the initiative.

Corvara 1.568 m Str. Col Alt, 36 | I-39033 Corvara Tel. 0471 836176 | Fax 0471 836540 corvara@altabadia.org

La Villa 1.433 m Str. Colz, 75 | I-39030 La Villa Tel. 0471 847037 | Fax 0471 847277 lavilla@altabadia.org

San Cassiano 1.537 m Str. Micurà de Rü, 24 | I-39030 San Cassiano Tel. 0471 849422 | Fax 0471 849249 s.cassiano@altabadia.org

Colfosco 1.645 m Str. Pecëj, 2 | I-39030 Colfosco Tel. 0471 836145 | Fax 0471 836744 colfosco@altabadia.org

Badia 1.324 m Str. Pedraces, 29/A | I-39036 Badia Tel. 0471 839695 | Fax 0471 839573 badia@altabadia.org

La Val 1.348 m San Senese, 1 | I-39030 La Val Tel. 0471 843072 | Fax 0471 843277 laval@altabadia.org

www.altabadia.org


SOMMARIO

18 LE REGINE DELLE DUE RUOTE La top five dei migliori percorsi per mountain bike dell’Alta Badia di Elmar Burchia

I N R O22SMARATONA A D Ö R DLES A / MAGAZINE DOLMITES/1DELLE Il sogno eDOLOMITI la passione di Michil Costa 24 MARATONA DLES DOLMITES/2 Esserci è già una vittoria di Ulderico Piernoli 26 PERSONE E IDEE

Erri De Luca, scrittore e scalatore, si racconta di Michele Francesco Afferrante

30 SPORT E LEGGENDA Trekking nel regno dei Fanes di Giulia Castelli Gattinara 36 NATURA Tracce di vita contadina nei Larjëi, i lariceti della Val Badia di Laura Villoresi 42 CULTURA Alla scoperta dei musei dell’Alto Adige 46 UN LIBRO UN RIFUGIO Facciamo il punto con Gianna Schelotto e Joumana Haddad. Tutti i libri del 2010 52 FAUNA DELLE DOLOMITI Sul sentiero delle aquile d’oro, che fanno il nido sulla roccia di Alessandro Fregni 56 ALTA BADIA NEL MONDO La mia avventura in Patagonia di Marcello Cominetti 62 LA TAVOLA LADINA Quelle ricette che solo pochi conoscono di Concetta Bonaldi 64 NOTE DEL PASSATO Riscopriamo le origini della Banda di Badia che compie 175 anni di Carlo Suani 66 LA CASA PIÙ ECOLOGICA È fatta di paglia e si trova a La Valle di Alessandro Fregni 72 SHOPPING E TRADIZIONE Gli artigiani Ladini, spiegati a chi conosce solo i loro prodotti di Katia Pizzinini 78 SHOPPING E HIGH TECH Ritorna Badiastyle con le novità dell’abbigliamento da montagna di Chiara Maltagliati RUBRICHE

6 BadiaNews 12 Nature di Gustav Willeit 40 Com’era-com’è di Daniel Töchterle 70 99 parole in Ladino

IN COPERTINA: Foto Gustav Willeit

IMPRESSUM

Enrosadira www.enrosadira.info, Strada Pedraces, 42, 39036 Badia (BZ), Direttore Antonio Signorini Art director Gustav Willeit Coordinamento della redazione e fotografia Daniel Töchterle Coordinamento e pubblicità locale Roberto Pallestrong Grafica parterre3.com, Zh/CH Hanno scritto, collaborato, dato idee Michele Francesco Afferrante, Igor Bianco, Concetta Bonaldi, Elmar Burchia, Giulia Castelli Gattinara, Mario Clara, Marcello Cominetti, Michil Costa, Nicole Dorigo, Alessandro Fregni, Chiara Maltagliati, Gottfried Nagler, Walter Nicolussi Zatta, Giovanna Pedrollo, Ulderico Piernoli, Katia Pizzinini, Freddy Planischek, Emanuela Rossini, Tobias Saabel, Carlo Suani, Lois Trebo Mario Verin, Laura Villoresi Editore Antonio Signorini, 00136 Roma, info@enrosadira.info, Telefono e fax 06 35346959 Periodico semestrale Anno II - N. 2 ESTATE 2010 Stampatore Tipografia Graffietti. S.S. Umbro Casentinese (S.S.71), Km.4,500, Montefiascone 01027 – Viterbo Pubblicità commerciale@enrosadira.info Enrosadira – Inrosadöra, Magazine delle Dolomiti Autorizzazione 15/09 Registro Stampa Tribunale di Bolzano


Foto: parterre3.com

Bëgnodüs G

li psicologi del turismo sanno di cosa stiamo parlando. I visitatori coscienziosi si fanno mille scrupoli e, per quanto si possano comportare da ospiti rispettosi e attenti, spesso finiscono di soffrire di sensi di colpa. Chi – in particolare tra noi turisti della Val Badia – non ha mai avuto il timore di avere invaso una terra incontaminata. Di compromettere l’equilibrio, delicatissimo, dell’ambiente dolomitico. L’Alta Badia è un antidoto a questo senso di colpa e anche agli eccessi di chi vorrebbe trasformare ogni luogo dove domina il bello in un santuario chiuso all’uomo. Qui il turismo ecosostenibile si pratica da tempo. E il fatto che ogni anno quasi 350 mila persone scelgano il cuore delle Dolomiti per le vacanze, è la garanzia che la bellezza di questi posti continuerà ad essere conservata. Il cemento non ha invaso la valle, grazie al maso chiuso, istituzione dei contadini sudtirolesi che impedisce il frazionamento delle proprietà terriera, sistema un po’ crudele per i secondogeniti e al contempo un toccasana per il paesaggio. Ma anche perché chi viene qui non ama i casermoni. Il benessere che ha raggiunto la Valle a partire dagli anni Settanta, poi, non ha scalfito lo stile di vita dei ladini. A vedere certe strutture tipo agriturismo (classificazione che va bene

altrove, ma che qui rischia di sembrare riduttiva) e i masi aperti al pubblico, viene semmai da pensare che, proprio grazie al turismo, l’agricoltura locale non ha mai avuto bisogno di diventare intensiva. Invece di abbattere i fienili, sostituendoli con più pratici capannoni di cemento e lamiera, gli abitanti dell’Alta Badia hanno riconvertito le loro vecchie aziende agrarie in strutture turistiche di élite, valorizzando quanto di più bello hanno ereditato dal passato. Poi, dimostrando che sono un popolo che agisce localmente e pensa globalmente, i ladini si sono dati obiettivi più ambiziosi. La Maratona dles Dolomites quest’anno si tiene all’insegna dell’ambiente. Il motto è «Eco-logical» e da solo spiega tutto. Sarà il primo evento sportivo a impatto zero sull’ambiente. Si moltiplicano le iniziative per convincere i turisti a usare i mezzi pubblici per spostarsi nella valle, lasciando in garage l’auto. A noi che amiamo la Val Badia, non resta che dare il nostro contributo. Lasciarci coinvolgere dalla magia delle Dolomiti, conoscere a fondo l’Alta Badia e ricordare che, per un visitatore, il miglior modo per sentirsi di casa è fare come Erri de Luca quando scala il Sas dla Crusc: a mani nude, senza lasciare traccia. «Sono uno di passaggio, che ringrazia in silenzio per il lasciapassare ricevuto». Antonio Signorini


NEWS

TEO L’INVASIONE DEI «TEO» DAL PIANETA NATURA Se vi capita di passare da una fermata dell’autobus e di vedere un omino, usatelo; usatelo fino a riempirlo. Lui sará contento e la Val Badia sarà ancora più pulita. Teo è un portacenere creato dall’artigiano ceramista Roberto Pallestrong di Badia con la collaborazione di due colleghi: il falegname Erich Pescoller di Badia e il fabbro Isidoro Clara di Longiarú (San Martino in Badia). È formato da tre elementi della natura: la terra (materiale di base della ceramica della «testa» di Teo), il legno (il corpo) e il ferro (le giunzioni e la base). I materiali utilizzati per la realizzazione, per quanto naturali, sono in grado di resistere alle intemperie climatiche. L’autore definisce Teo, «l’amico della natura» anche perché l’ispirazione del disegno è arrivata dalle nervature di una sezione di albero che Pallestrong ha nel suo studio e che ricordano molto un disegno stilizzato di una figura umana a braccia e gambe aperte. La stessa che poi è stata riprodotta su decine di portaceneri di tutte le misure. Un invito a non sporcare. Ma anche un esempio di arredo urbano artistico ed ecocompatibile che non poteva che essere made in Ladinia.

Foto Daniel Töchterle

SCUOLA DI MONTAGNA AL TOP CON ALTA BADIA GUIDES Tre giorni di full immersion tra la Dolomia, nelle valli dove il ghiaccio resiste all’estate. Le guide alpine dell’Alta Badia hanno presentato per l’estate 2010 un programma multiattività per chi vuole trasformare la vacanza in uno stage nelle discipline simbolo della montagna, accompagnati dalle guide più qualificate. Iscrizioni al costo di 290 euro a persona (gruppi di tre). Mercoledì uscita su via ferrata; giovedì tecnica di arrampicata alle Cinque torri. Venerdì tecnica del ghiaccio in

Marmolada. Per i più piccoli (o per chi è alla ricerca di un’esperienza più soft) c’è l’adventure park di Colfosco. Divertimento assicurato per un percorso che aiuta a sviluppare le abilità di un perfetto arrampicatore. Per chi non è esperto, ma vuole fare il grande salto, Alta Badia Guides ha un ricchissimo calendario di appuntamenti sulle ferrate della valle. Informazioni sul sito www. altabadiaguides.com, o al numero 0471 836898.

SOLIDARIETA’ LADINA IN AFRICA E IN TIBET Tra le vocazioni dei Ladini c’è quella alla solidarietà. Anche quest’anno si terrà la festa Pan pur la Fan, organizzata dalla associazione Agape Onlus di Claudia Tolpeit con l’intendo di raccogliere fondi per la costruzione di un villaggio dei mestieri in bioedilizia in Togo e, nel dettaglio, un forno

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per il pane. L’edizione del 2010, la terza, si terrà il 22 agosto a La Villa e l’8 agosto ad Agordo. La ricetta è la stessa: grigliate di carne, polenta, turtres con la collaborazione delle volontarie di La Valle, intrattenimento e mostre. È invece il Tibet l’obiettivo di

un’altra presenza storica della solidarietà ladina, la Costa family foundation, ora impegnata nella costruzione di aule scolastiche all’interno di un college tibetano, dove le piccole perle forse un giorno saranno il prossimo Dalai Lama. Informazioni sul sito www.costafoundation.org.


NEWS

I N R O S A D Ö R A / MAGAZINE

Wellness e fitness per gli adulti, progetti pensati per fare scatenare in tutta sicurezza i bambini e sconti negli esercizi convenzionati. L’offerta di Mountain Pass quest’anno si amplia e va incontro alle esigenze di tutti. Non solo il biglietto unico per impianti di risalita e mezzi pubblici, ma iniziative destinate ai visitatori dell’Alta Badia che renderanno ancora più piacevole la vacanza e convinceranno sempre più appassionati di montagna che, per qualche giorno, l’automobile può restare nel garage. Nella zona di Corvara è stata predisposto un percorso per due ruote molto speciale. Raggiungibile con la cabinovia di Col Alt e la seggiovia di Braia Fraida, il Mountain bike track è stato pensato dalla società degli impianti appositamente per i bambini. Facile, sicuro e divertente, progettato in modo che anche i giovani ciclisti possano spassarsela ed esercitarsi in un ambiente protetto, nella cornice unica delle Dolomiti. Il Piz La Villa, raggiungibile con la cabinovia di La Villa, è invece dedicato al benessere e alla riflessologia con un percorso Kneip. Quindi a piedi nudi nell’acqua a diverse temperature e su superfici di diverso tipo: metodo sperimentato per prendersi cura del proprio corpo; un classico delle migliori Spa, proposto in uno dei panorami più belli delle Dolomiti. Per i più sportivi, l’area fitness che parte a monte della cabinovia del Piz Sorega (raggiungibile con l’impianto che parte da San Cassiano). Un percorso a diretto contatto con la natura e l’aria fresca della montagna; un intero altopiano per tenersi in forma e praticare sport in una «palestra» che non ha eguali. Con il Pass si può raggiungere il parco naturale PuezOdle, camminando tra le pagine del libro di storia geologica nelle distese di un’area che fa parte del patrimonio naturale dell’Unesco, raggiungibile con la cabinovia Plans-Frara (partenza da Colfosco). Senza toccare l’accelaratore dell’auto, si può

raggiungere un altro parco naturale, patrimonio dell’umanità, quello di Fanes - Sennes -Braies. Ancora più bello se ci si arriva attraverso i prati dell’Armentara, fino a La Valle. Un percorso fuori dal mondo che parte a monte delle Seggiovie Santa Croce. Sempre in zona ci si può dedicare a un «classico» delle Dolomiti, come la passeggiata fino al santuario ai piedi del maestoso Sas dla Crusc, dove è stato predisposto un nuovo Photo Point. Il mountain pass è venduto in varie soluzioni, da tre giorni (a scelta su quattro) all’intera stagione con prezzi che partono da 35 euro (20 euro ridotti) fino a 135 euro per lo stagionale famiglia (un adulto e un bambino). Gratis per i bambini sotto i sei anni se un adulto compra un pass. Dà l’accesso a undici impianti di risalita e comprende la Mobility card dell’Alto Adige, che permette di spostarsi in tutta la provincia e anche oltre, fino alla Svizzera. Poi comprende sconti dal 20 per cento sugli ingressi in diverse strutture come lo stadio del Ghiaccio di Corvara e la piscina di La Villa; una riduzione del 30 per cento per usufruire del lago biotopo, sempre a Corvara, e sul biglietto della cabinovia Dantercepies in Val Gardena. Sconti anche per la funivia del Lagazuoi e per l’accesso all’Adventure park di Colfosco. Poi prezzi abbattuti della metà per escursioni e gite in mountain bike con guide patentate delle associazioni turistiche dell’Alta Badia. I pass si possono comprare nelle strutture ricettive, alle casse degli impianti di risalita e negli uffici delle associazioni turistiche. Funziona come uno skipass. All’ingresso delle cabinovie e delle seggiovie basta passare con la tessera magnetica davanti al sensore e la barriera si apre. Insomma ce n’è abbastanza per seguire il consiglio del Mountain Pass: «Fate riposare la vostra auto». Si evitano code quando si comprano i biglietti, si gode del paesaggio anche negli spostamenti con i mezzi pubblici e si contribuisce a mantenere intatto l’ambiente della Val Badia.

ELLE DOLOMITI

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BENESSERE E BABY CICLISTI: IL MOUNTAIN PASS SI RINNOVA

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IL FUTURO A DUE RUOTE

Musica in movimento, come in Louisiana, reinterpretazioni audaci della tradizione delle marching band. Solo che a fare da cornice, invece del Mississippi, sono le Dolomiti. Teatro della novità 2010, la zona pedonale di Corvara che quest’anno sarà l’estensione naturale del Val Badia Jazz Festival per tre reinterpretazioni delle bande musicali multietniche che suonavano nelle parate o nei famosi funerali di New Orleans: le street band o marching band, dalle quali è nato il jazz. Musica in movimento e ritmi funky per i perugini della P-Funking Band che si esibieranno il 22 luglio. Composizioni proprie, classici hip hop e rock (per fare un esempio Highway to hell degli Ac/Dc) reinterpretati da un sestetto per fiati, percussioni e megafono. Sono i sudtirolesi Pamstiddn Kings, che sono nati come dixieband tradizionale e sono diventati una cosa completamente diversa. Divertimento live assicurato. Al rispetto delle tradizioni ci penseranno i Tiger Dixie Band, specializzati in Ragtime e Charleston (ma anche in reinterpretazioni dei Beatles). Entrambe le band, in programma il 5 e il 19 agosto. Nel programma del festival anche Red Wine bluegrass band, Alan Farrington, Michele Bonivento Nuances, 3’s amis e Mood filter.

Alta Badia a tutta bici. GIà quest’anno i segnali sono tangibili, tra nuovi percorsi e iniziatieve, ma nei prossimi anni l’Alta Badia ha intenzione di diventare il paradiso delle due ruote. All’interno del progetto Alta Badia quo vadis? (uno studio sulle prospettive del turismo e dell’ambiente)è stato creato un gruppo che si occupa dello sviluppo dell’offerta bike per l’Alta Badia. Per il futuro sono previste migliorie per quanto riguarda la segnaletica sulle passeggiate a valle e in quota. Questo comporta l’individuazione di percorsi per soli ciclisti, oppure per ciclisti ed escursionisti. A medio termine è prevista la creazione ex novo di percorsi per sole bici in quota. Si prevede il potenziamento della rete di piste ciclabili, dei percorsi a tema, con collegamenti tra le singole valli e un sistema di noleggio omogeneo.

NEWS

A CORVARA JAZZ IN MOVIMENTO

Foto Fiorenzo Capuano

Foto Daniel Töchterle

CULTURONDA: IL MITO DOLOMITICO IN DODICI TAPPE Una pubblicazione per mostrare le Dolomiti da una prospettiva nuova. L’occasione è l’inclusione dei Mondi Pallidi nella lista dei patrimoni dell’Umanità dell’Unesco. La chiave di lettura è vedere insieme la natura, gli uomini che ci vivono, la loro storia e le loro storie. Il progetto si chiama «Culturonda Dolomythos», una guida e una cartina tematica in tre lingue, che si può ritirare direttamente presso le sedi delle associazioni turistiche. Culturonda affronta 12 grandi temi. La geologia, l’Enrosadira (il fenomeno delle Alpi rosseggianti al tramonto che da il

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nome al nostro magazine), il cantore Oswald von Wolkenstein, saghe e miti, le vie del commercio, l’alpinismo, gli albori del turismo, le Dolomiti come teatro di guerra, la lingua ladina, l’acqua, i monumenti naturali, i quattro parchi naturali delle Dolomiti. Per ognuno di questi 12 temi Culturonda® Dolomythos ha scelto storie particolari che vanno dalla struttura della roccia dolomitica, formata dai coralli sedimentati, alla storia, le tracce degli eserciti che hanno attraversato queste valli, fino alle figure mitologiche delle leggede.


Piatti per veri gourmand ad alta quota, colazioni tra le vette e degustazioni nei rifugi. Corsi di cucina e mercatini tipici per chi, invece, si vuole cimentare e fare da solo. L’estate 2010 è all’insegna del gusto e dei prodotti tipici dell’Alto Adige. Dopo il successo di «Sciare con gusto», non poteva che arrivare «In vetta con gusto». La ricetta è la stessa sperimentata da un paio di anni: il connubio vincente tra i piaceri del camminare, avvolti dall’aria pura e sana delle Dolomiti, e i piaceri della buona cucina. Il tutto avviene attraverso una serie di appuntamenti e iniziative gourmet, basata sulla qualità dei prodotti. Le baite che fanno parte del progetto sono otto e ciascuna proporrà una ricetta ideata dai Dolomitici, gli chef con stella Michelin, dell’Alta Badia (Norbert Niederkofler – Ristorante St. Hubertus, Claudio Melis – Ristorante La Siriola, Arturo Spicocchi – Ristorante Stüa de Michil), in collaborazione con 5 colleghi svizzeri, austriaci e tedeschi (Reto Mathis - Ristorante Mathis Food Affairs di St. Moritz, Martin Dalsass – Ristorante Santabbondio di Lugano, Bobby Bräuer – Ristorante Petit Tirolia di Kitzbühel, Johannes King – Ristorante Doring Söl’ring Hof di Sylt e Holger Stromberg Ristorante Stromberg di Waltrop). Inoltre, il programma gastronomico comprende altri gustosi appuntamenti, quali l’Apenrosa, l’aperitivo all’Enrosadira, con degustazione di prodotti tipici altoatesini o la colazione tra le vette, che permette di scalare le Dolomiti all’alba, insieme ad una guida esperta, e di gustare una ricca colazione a base di prodotti locali presso il rifugio Jimmy. Di certo non mancheranno le escursioni con gusto, le gite guidate con degustazioni, i mercatini di prodotti tipici locali e i corsi di cucina.

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OTTO CHEF PER OTTO RIFUGI

Foto Daniel Töchterle

AMICI DEI CAVALLI

ELLE DOLOMITI

Gli appassionati di cavalli si sono organizzati in un club dal nome ladino, Amisc di ciavai Val Badia che organizza eventi per promuovere il trekking equestre. Per avvicinare i più giovani – spiega la presidente Sigrid Piccolruaz – il club organizza dei corsi estivi, con la collaborazione

dei due centri equestri presenti in Alta Badia e cioè il Maneggio Teresa a Pedraces e il maneggio Col dala Vara a San Cassiano. Altro appuntamento è quello con il trekking autunnale al quale partecipano anche gli iscritti al Haflinger e Norikerverband Val Badia.

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NEWS

BMW HA SCELTO L’ALTA BADIA Ha toccato anche l’Alta badia la settima edizione del Bmw xDrive Live, la manifestazione itinerante che, insieme ai piloti del Team di «Guidare Pilotare», ha realizzato nelle più importanti località sciistiche italiane 1900 prove delle Bmw a trazione integrale. L’ultima tappa del Bmw xDrive Live è stata proprio quella di La Villa, il 14 marzo. Il tour iniziato a Sestriere il 29 dicembre è proseguito in alcune delle più importanti località sciistiche italiane con tappe a Madonna di Campiglio e a Roccaraso. A La Villa si sono svolte le ultime due settimane della manifestazione. Le prove realizzate su percorsi stradali e misti hanno raggiunto quasi le 2000 unità, sono stati infatti condotti 1975 test drive, il 49% in più rispetto all’edizione 2009 che aveva visto un totale di 1317 prove. In Alta Badia si è svolto il maggior numero di prove, 1191 nello specifico. Il successo ottenuto nelle precedenti edizioni dell’xDrive Live è stato riconosciuto anche dalla casa madre di Bmw Group, che quest’anno, per la prima volta, ha inserito la tappa di La

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Villa all’interno di un progetto internazionale di xDrive con la realizzazione di strutture d’accoglienza innovative, come l’area test appositamente attrezzata per la simulazione di guida sulla neve in cui le vetture xDrive hanno dimostrato grande carattere nella gestione di situazioni di guida difficoltose. Anche i turisti hanno potuto provare gratuitamente un parco vetture della gamma xDrive Bmw, nello specifico alcune motorizzazioni della X1, X3, X5 e X6, in più X6M, X6 ActiveHybrid, 330xd Coupè, 750xi. Come nella scorsa edizione si riconferma essere la X6 il modello più gettonato dai clienti con il 35% delle prove totali effettuate su percorso. Una scelta che rispecchia il gradimento dei SAV (Sport Activity Vehicle) da parte della clientela, dimostrato anche dai dati di vendita della categoria in Italia. Inoltre, nei weekend della manifestazione durata 32 giorni, ad alcuni dei clienti Bmw selezionati dalle concessionarie locali del BMW Group è stata offerta l’opportunità di prender parte agli Snow Day, durante i quali oltre ad effettuare una

prova delle vetture su strada, 266 clienti hanno potuto sciare insieme ai grandi campioni italiani di sci come Kristian Ghedina, Kurt Ladstätter, Werner Perathoner, Alessandro Fattori, Luca Cattaneo, Matteo Nana, Giacomo Erlacher e Richard Pramotton. L’attenzione della Bmw per il sistema di trazione integrale xDrive è strettamente legata alla neve. Il sistema è intelligente non serve solo a migliorare la trazione in condizioni di marcia precarie, ma entra in azione in modo preventivo, prima che la ruota inizi a slittare, dando una perfetta combinazione fra trazione integrale e regolazione attiva della dinamica di marcia. Pur assicurando la trazione ottimale su fondi di qualsiasi tipo, il sistema xDrive privilegia l’agilità, la dinamicità e la stabilità con un sistema di distribuzione dotato di una frizione multi disco regolata elettronicamente. In questo modo, la potenza viene distribuita in maniera variabile tra gli assali anteriore e posteriore ed è sempre disponibile dove può essere convertita con più efficacia in movimento.


NEWS

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FEBBRE DA GEOCACHING NELLE DOLOMITI

I N R O S A D Ö R A / MAGAZINE DELLE DOLOMITI

Foto Ladinia.it Il Geocaching è una sorta di caccia al tesoro in versione tecnologica. L’obiettivo è quello di scovare dei tesori nascosti nella natura, che si chiamano appunto «cache» (parola di origine inglese che può essere tradotta come nascondiglio), con l’aiuto di un ricevitore GPS portatile, costantemente collegato a un segnale satellitare.

di optare per ricerche più impegnative. Tanto che - come ricordano dal sito Internet gli esperti è sempre meglio portare con sé acqua, cibo ed è anche prudente avvisare qualcuno, comunicandogli esattamente il posto in cui si sta per andare.

Come cercare un sito geocaching?

In Val Badia e in generale nelle Dolomiti ci sono numerose cache nascoste e un gruppo di appassionati chiamato Ladinia Geocaching Team che cura il buono stato dei tesori sparsi per la valle. Tutti possono andare a cercare i cache e siccome di solito le scatolette vengono nascoste in posti che hanno qualcosa di speciale (luoghi storici, monumenti, viste panoramiche, monumenti naturali, musei ecc.) cercandoli scoprirete non solo la scatola, ma mete inconsuete, nelle quali difficilmente si arriva. È questo il vero tesoro del Geocaching.

Innanzitutto bisogna uscire nella natura. Esattamente come i sistemi di navigazione satellitare per le auto, esistono ricevitori GPS capaci di segnalare la posizione in montagna. Il compito del geocacher sarà quello di seguire le indicazioni dell’apparecchio. Ovviamente non sarà possibile raggiungere l’obiettivo previsto in linea retta e, in ogni caso, anche in caso di deviazioni o errori, il GPS riporterà sempre nella direzione corretta. Quando l’indicatore GPS indica una distanza dalla meta di circa 10-15 metri, inizia la vera e propria caccia al tesoro. Come si gioca?

ELLE DOLOMITI

La registrazione su www.geocaching.com è gratuita e dà accesso alla lista dei tesori lasciati da altri giocatori, nella quale è indicato anche il nome dell’ultimo «cacciatore» che è riuscito a svelare gli indizi e arrivare alla meta. Una volta trovato il tesoro, le regole del gioco prevedono che venga rimesso al suo posto per consentire ad altri di vivere la stessa avventura. Come in ogni gioco che si rispetti, sono previsti diversi gradi di difficoltà in modo da consentire ai più ambiziosi

Geocaching nelle Dolomiti

Chi fa questo gioco partecipa anche a incontri che sono organizzati dai vari gruppi. Il Ladinia Geocaching Team organizza tutti gli anni meeting dove gli appassionati a questo gioco fanno nuove amicizie stando insieme e, magari, cercano qualche cache speciale nascosta per l’occasione. Per il 2010 e previsto un incontro il 6 di giungo sotto le pareti del Sas dla Crusc a 2040 metri di quota. Nel sito www.ladinia.it ci sono tutte le inforamzioni che riguardano il gruppo della zona e i consigli per chi vuole avvicinarsi e questo bellissimo gioco. Mario Clara Ladinia.it

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NATURE

Gustav Willeit PERAT RA-I, Gruppo Sella

www.guworld.com



NATURE

Gustav Willeit RUSAN, San Cassiano

www.guworld.com



NATURE

Gustav Willeit GIBOS, La Villa

www.guworld.com



Outdoor

LE DOLOMITI A TUTTA MOUNTAINBIKE di Elmar Burchia / Foto PatitucciPhoto.com

Cinque percorsi per chi, dopo mesi di Mtbk «cittadina», sogna di pedalare tra pareti di roccia, prati e boschi. Consigliati da chi, queste piste, le conosce bene

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ominciamo a salire. In sella ad una mountainbike, naturalmente. La Val Badia non è solo il regno della celeberrima competizione cicloturistica Maratona dles Dolomites, ma è anche uno dei luoghi più affascinanti per organizzare splendide pedalate. In mezzo ai boschi, nei pianeggianti prati, sugli altipiani. Sempre circondati dalle ripide pareti rocciose che s’innalzano grigie verso il cielo e che offrono un incredibile contrasto cromatico e ambientale. A tutte le ore del giorno. Un pomeriggio di sport e salute, insomma. Anche con i figli al seguito. La bici inoltre si noleggia comodamente in paese. E poi ci sono anche loro: gli sportivi estremi, quelli

del downhill: si buttano giù per le discese con le loro biciclette ammortizzate, schizzano sui sassi, sbucano dai boschi e saltano dai trampolini di legno. Paura? Ma no. Salgono con l’impianto e poi si piombano giù a tutta velocità. Percorsi segnati non ne hanno. Si sta sempre in piedi sui pedali, i muscoli delle cosce sono tesi, le braccia assorbono le vibrazioni, sassi, sterrato, buche. È fantastico. Che dire? C’è un itinerario variegato e tecnicamente alla portata di tutte le caviglie. Gli esperti di dolomitebiking.com ci presentano la Top 5 dei migliori percorsi in Alta Badia. Loro sono le «bike guides», vere e proprie guide per le due ruote.

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Outdoor

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Badia - San Linert/San Leonardo - Furnacia - Armentara - La Crusc/Santa Croce – sentiero n.13 in discesa – Badia

Corvara - Col Alto – Pralongià – Arabba – Porta Vescovo – Passo Pordoi – Canazei – Col Rodella – Selva Gardena – Dancercepies – Corvara

Durata: 2 ore e mezza Difficoltà: 6/10

Durata: 6 ore Difficoltà: 8/10

Su, su. fino a La Crusc

Sellaronda? Si può fare!

È un’escursione di media difficoltà, a tratti molto tecnica, ma gli sforzi verranno ricompensati dalla vista sul massiccio La Crusc/Santa Croce. Partiamo dal centro di San Linert/San Leonardo, vicino alla chiesa; ci dirigiamo a nord verso gli abitati di Ciastel-Valgiarëi percorrendo una strada interpoderale asfaltata. Arrivati a Valgiarëi ci immettiamo sul sentiero in direzione di La Val. Arrivati all’abitato di Arciara, proseguiamo sulla stradina asfaltata fino alle case di Furnacia. Giunti qui, voltiamo a destra sul sentiero che in salita porta ai prati dell’Armentara. Seguiamo le indicazioni verso Santa Croce e una volta arrivati al santuario (2.045 m) ci concediamo la meritata sosta. Il panorama è incredibile. Il pranzo in rifugio pure. Dopo aver riempito lo stomaco risaliamo il sella per affrontare la discesa. Imbocchiamo lo sterrato e arriviamo (in mezz’ora) a San Linert/San Leonardo.

Sì, in sella alla bici e con gli impianti di risalita aperti anche in estate. Il percorso in senso orario della Sellaronda conosciutissimo tracciato battuto dagli sciatori in inverno - è un vero e proprio highlight. Un’escursione di una giornata intera. Dunque, si parte al mattino presto. Un giro impegnativo - soprattutto nelle discese, dov’è richiesto un buon livello di preparazione. Ci sono comunque varianti più facili per i meno esperti. Percorre più di 50 chilometri su asfalto, strade sterrate e single trails attorno al gruppo del Sella nelle Dolomiti tra le valli di Fassa, Livinallongo, Badia e Gardena. Il tour (meglio se accompagnati da una guida), può partire dal centro di La Villa o Corvara.


Cabinovia Boè – Bosco Borest – Colfosco – Pescosta – cabinovia Boè

La Villa - San Cassiano Armentarola - Pralongià - discesa a La Villa - Verda - Funtanacia La Villa

La Val - Tolpei - Biei – San Vigilio - Tamers – Pederü – Giogo di Fanes/Ju de Fanes - lago Limo - malga Fanes – discesa per San Cassiano - La Villa - Badia – Valgiarëi - Furnacia - La Val

Durata: 1 ora e mezza Difficoltà: 4/10

Durata: 2 ore e mezza Difficoltà: 5/10

Durata: 5 ore e mezza Difficoltà: 9/10

Tutti alle cascate del Pisciadù

Per i prati di Störes

Un tuffo nel parco del Fanes

Questa è alla portata di grandi e piccini, esperti e meno. Ebbene, partiamo da Corvara, dalla cabinovia del Boè. Imbocchiamo il sentiero che attraversa il boschetto del Borest in direzione di Calfosch/Colfosco e che conduce ai piedi delle cascate Pisciadù. Qui ci fermiamo per cinque minuti. Un sorso d’acqua e uno sguardo alla stupenda Val d’Mezdì e le sue cascate. È pace assoluta. Ripartiti seguiamo il sentiero verso il centro del paese di Calfosch/ Colfosco. All’altezza dell’albergo Lujanta imbocchiamo la statale e la percorriamo in discesa. Arrivati alla sede dell’Associazione Turistica di Colfosco, giriamo a sinistra imboccando la stradina asfaltata che passa sotto l’hotel Sport e che porta alla chiesa di Colfosco. Proseguiamo verso l’abitato di Mersa e, una volta attraversato Pescosta, ci dirigiamo verso il punto di partenza. Da rifare, anche domani.

Cominciamo con la durata: 2 ore e mezza. Ci sta. Il via è dal centro di La Ila/La Villa. Scendiamo al torrente Gran Ega/Gadera e ci immettiamo sul sentiero sterrato che porta a San Ciascian/ San Cassiano. Giunti alla seggiovia Piz Sorega imbocchiamo la strada fino all’Armentarola. Qualche centinaio di metri oltre l’hotel Armentarola giriamo a destra passando accanto agli alberghi Valparol-Eisenöfen e Gran Ancëi. Attraversiamo gli immensi prati dei Prà de Costa e seguiamo il sentiero in direzione di Störes. Lo sterrato porta per un fitto bosco di conifere verso i prati di Störes, che percorriamo fino alla cresta, per poi avvicinarci al rifugio Pralongià. Lasciato quest’ultimo alle spalle scendiamo verso Corvara. Da qui, sulla strada che costeggia il fiume ai bordi della statale per Brunico, scendiamo verso Verda; Funtanacia e infine La Ila/La Villa - tutto d’un fiato.

Una gita impressionante con un paesaggio mozzafiato. D’altronde questo è il patrimonio dell’Unesco. Saliamo in bici partendo da La Val, proseguiamo per Tolpei e per Biei fino a Mareo/San Vigilio. Arriviati al Rifugio Pederü inizia un tipico sentiero d’alta montagna. Saliamo in bici sul sentiero in direzione Alpe di Fanes. Una seconda salita ci porta al Rifugio Fanes a 2.060 metri. Troppo presto per una sosta, proseguiamo sempre in salita verso il Passo del Limo (2.172 m) - la quota massima del nostro percorso. Il tratto dal Rifugio al Passo del Limo è impegnativo e malagevole, ma i pascoli e le rocce ovunque ci fanno dimenticare gli sforzi. Al Lago di Limo (di un colore verde smeraldo) ci riposiamo un attimo e ci prepariamo per una breve discesa verso valle. Scendiamo alla malga Fanes e avanti fino a San Cassiano; La Villa; Badia; Valgiarëi; Furnacia e infine La Val. Faticaccia? No. Ma a Col d’Locia ogni tanto ci tocca scendere dal sellino perchè assai impegnativo.

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sport

Come i nostri avi, siamo i pionieri di un sogno di Michil Costa

I

ncolta, impervia, brutale. E bellissima. Incontaminata e inaccessibile. Così si presentava la nostra Val Badia al primo cacciatore che pazientemente aspettava gli animali che si avventuravano fuori dai fitti boschi. Per centinaia di anni l’antico e misterioso popolo dei Reti, si è sentito parte del mutar delle stagioni, delle vibrazioni della terra, dei palpiti di piante ed animali. Nella buona stagione imparò a coltivare il frumento e le patate. Si dedicò alla pastorizia; aveva una missione: sopravvivere. La Natura doveva, per amore e per forza essere sua alleata. I romani, in seguito, portarono nuove tecnologie e una nuova lingua che s’innestò su quella più antica. Da questa radice evolverà il ladino, la grande lingua che si estendeva su tutto l’arco alpino centrale. Poi i ladini vennero divisi e la loro lingua quasi dispersa. Le valli subirono i flussi di slavi, unni e normanni e infine gli incendi dell’esercito napoleonico. Dopo la breve pace - le paci sono sempre troppo brevi - seguì un tempo ancor più crudele, fatto di cannoni e di atrocità senza senso, di guerra, spietata. Il genere più pericoloso che abita il pianeta ha forato le montagne, distrutto case, vite e speranze. La Grande Guerra ha portato la fame e un’altra divisione: quella dei ladini delle Dolomiti. La curiosità spinse gli esploratori prima, e gli Alpinisti dopo, a conoscere i Monti Pallidi. Quelle che, ai tempi di Maria Teresa, erano zone di rifornimento per cavalli e viaggiatori, gli «hotel Posta», offrirono albergo. Si costruirono slittovie per audaci sciatori, grandi uomini erano consci che il destino era nelle loro mani. Non sbagliarono.

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I tornanti dei passi accolsero i primi mezzi motorizzati e hanno fatto divertire appassionati ciclisti, tifosi di Coppi e Bartali. I due antagonisti su queste montagne trovarono momenti di fratellanza. Gino, toscanaccio brontolone e Fausto, chiuso e tenace piemontese hanno vinto tutto. Anche la guerra. Sembrano tempi remotissimi, ma di mezzo c’è solo una generazione, o poco più. La strada delle Dolomiti ha compiuto cent’anni. Quella strada fatta di tortuosi passi nel 1987 accolse i primi 156 ciclisti voluti da Moritz Craffonara, Heinz Kostner e Eduard Tavella. I pochi intrepidi divennero ben presto qualche migliaia, talmente tanti che rischiarono di far collassare la Maratona. Nel 1997 la svolta. Un nuovo comitato prese in mano le redini dell’organizzazione. Avevano idee alte, sembravano utopiche; sono state chiuse le strade, è arrivata la diretta televisiva, i giornalisti hanno iniziato a dimostrare interesse per quella gara. Anche noi ci sentiamo un po’ pionieri come si sentivano gli Erich Kostner e i Pizzinini prima di noi. Vogliamo essere un laboratorio di idee, ci sentiamo responsabili anche noi dello sviluppo della valle. Abbiamo capito che è giunta l’ora di preservare e valorizzare; di cogliere l’importanza della nostra lingua; di sentire l’ambiente come l’essenza stessa della nostra identità. È la logica che dice oggi di preservare, di sentire tutt’intorno la nostra terra come il giardino rosato di Laurin e non più come quell’incolta terra che la mano umana doveva trasformare. Ecco allora il tema della Maratona di quest’anno “eco? Logico!” Collegheremo i paesi dell’Alta Badia con diversi shuttle, cucineremo gli spaghetti sui valichi con pentole alimentate da


Foto: Maratona dles Dolomites - Freddy Planinschek

pannelli solari; per il pasta party, useremo sua volta viene generata da dei valori che materiali riciclabili o biodegradabili. incorporiamo. Con la determinazione e la rendicontazione La Maratona mi fa sognare. Un giorno delle emissioni, considerando tutte le vorrei rivivere qui la Maratona di New varie attività previste nella preparazione, York del ciclismo; ci sarà la gloria per la durante, e nella fase conclusiva della vittoria (il professionista), il tempo finale manifestazione – dal consumo di energia, da confrontare con gli amici (il dilettante all’utilizzo di prodotti per l’allestimento, appassionato) e la pura sopravvivenza all’impiego di materie prime per la (il ciclomataore della domenica). Tutti realizzazione dei rifornimenti ed al trasporto assieme nel silenzio della solitudine. delle persone che arriveranno in Val Badia La Maratona è passione pura. Con Lei – «neutralizzeremo» a scala locale l’impatto mi piacerebbe fare vivere a noi e ai nostri ambientale residuo dell’evento, dando ospiti sempre più le Dolomiti come vero vita a progetti di nuova forestazione e patrimonio dell’Umanità. Sogno i passi applicando alcune scelte che genereranno dolomitici chiusi per alcune ore al giorno. un effetto positivo e diffuso sul contesto Sogno i bambini che scoprono, nel grande territoriale. parco naturale sotto il Mür Frëit, il rifugio Lavoreremo insieme all’Ökoinstitut del primo cacciatore. Sogno le mamme Südtirol/Alto Adige, coinvolgeremo ancora i che salgono sul pulmino elettrico o sulla ragazzi delle scuole ladine sensibilizzandoli cabinovia e vanno ad aspettare il loro papà e comunicando l’importanza della difesa ciclista, al passo Sella. Sogno potermi Foto Daniel Töchterle del territorio e valorizzando così il sigillo sdraiare sui prati appena falciati del Pordoi Unesco. Non mancherà ovviamente, come sempre, un e ascoltare il tintinnio dei chiodi degli arrampicatori. Ad occhi importante supporto a chi sta molto meno bene di noi: aperti mi godo la Bellezza dei luoghi, a occhi chiusi sogno quest’anno bonificheremo acque in Uganda. anime sensibili. Sogno immensi intensi istanti fatti di grandi Nel futuro ci concentreremo soprattutto nel seguire la nostra silenzi. missione: rendere indimenticabile la partecipazione con il fine Nella vita, sono poche le cose facili, ma, così come il cacciatore di creare un legame indivisibile tra la Natura, il ciclista stesso prima, e come uomini di spessore poi ci hanno insegnato, e le Dolomiti. Per raggiungere ciò abbiamo una visione, che a molte sono le cose possibili.

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sport

Dal 1987 al 2010, così è nato il mito P della maratona

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Foto: Maratona dles Dolomites - Freddy Planinschek

di Ulderico Piernoli

ur di esserci, lo scorso anno qualcuno ha iscritto perfino un morto, arrivando così a chiudere il numero richiesto per fare squadra. Ci sono giovanissimi di 15 anni e anziani di oltre 80, cicloamatori che arrivano da ogni parte del mondo, perfino dal Giappone e dall’Australia, con biciclette astrali che toccano cifre che si avvicinano ai diecimila euro. È la Maratona delle Dolomiti, anzi Maratona dles Dolomites, come si dice in lingua ladina, una sfida con se stessi, un viaggio nella natura e un confronto con la maestà di un patrimonio dell’umanità: le Dolomiti, appunto. Un evento al quale ogni cicloamatore non vorrebbe mancare. Ma il numero chiuso limita i partecipanti a questa gran fondo della prima domenica di luglio in Alta Badia, la maggiore manifestazione italiana di questo tipo. Nel 2009 alla Maratona hanno partecipato 8.803 ciclisti, partiti da La Villa alle 6,30 di domenica mattina, il 5 luglio. Per il 2010 la Maratona prevede la presenza di circa 8.500 partecipanti fra italiani e stranieri, così suddivisi: 4.700 mediante sorteggio tra tutte le preiscrizioni arrivate; 3.800 iscrizioni divise tra circuiti di appartenenza, partecipanti di diritto, Tour Operator ufficiali della Maratona, iscrizioni a prezzo maggiorato con ricavato in beneficenza e invitati. I partecipanti di diritto sono i cosiddetti «fedelissimi», coloro che hanno partecipato, concludendole, ad almeno dieci edizioni della Maratona. Tre i percorsi possibili, come ormai stabilito nelle ultime edizioni, tutti con arrivo a Corvara: il lungo, di 138 chilometri e 4.190 metri di dislivello; il medio, di 106 chilometri e 3.090 metri di dislivello; il «Sella ronda», di soli 55 chilometri e 1780 metri di dislivello. Come al solito, al nastro di partenza ci saranno gli habitués delle Gran Fondo, ex ciclisti professionisti, ma anche ciclisti meno «forsennati» e personaggi famosi, non soltanto del mondo dello sport, compresi grandi imprenditori. La scorsa edizione ha visto in gara DJ Linus, Vittorio Colao, Corrado Sciolla, Fabrizio Ravanelli, Giulio Colombo, Manfred e Manuela Mölgg, Marco Pacione, Massimiliano Blardone, Karen Putzer, Christoph Innerhofer, Werner Heel, Maria Canins, Thomas Widmann, Fausto Pinarello ed anche James Murdoch, figlio del magnate dei mass media, e Gianfranco Comanducci, uno dei massimi dirigenti RAI. Comanducci sarà presente anche quest’anno e con lui il anche il Presidente della Rai, Paolo Garimberti. Campagnolo ha poi partecipato con il C11, un team composto da grandi personaggi dello sport: Antonio Rossi, Andrea Lucchetta, Rossano Galtarossa, Giulia Quintavalle, Margherita Granbassi, Yuri Chechi, Stefano Baldini, Cristian Zorzi, Troy Bayliss, Alessandra Sensini e Peter Runggaldier. Per molti la Maratona delle Dolomiti è l’unico vero evento ciclistico in Italia. Sicuramente più che una gara si può considerare un appuntamento mondano: esserci, al pari di capitani di industria, politici e vip è già una conquista, complice una scenografia unica al mondo che mette insieme tutte le montagne storiche di questo sport: Pordoi,


Foto: Maratona dles Dolomites - Freddy Planinschek

Campolongo, Falzarego, Giau, Sella e Valparola. E poi, la Maratona è anche una grande occasione di beneficenza e di amore per la natura. «Eco? Logical!» - scherza Michil Costa che ha fatto della Maratona la manifestazione clou dell’Alta Badia. E non a caso il comma 2 dell’articolo 27 del regolamento recita: «Si fa appello al senso civico dei partecipanti al fine di non gettare rifiuti lungo le strade, bensì riponendoli negli appositi contenitori ai posti di ristoro individuati da un inizio e fine ristoro. Concorrenti che gettano immondizie al di fuori degli spazi segnati, saranno squalificati per 5 anni oltre alla squalifica nella gara in corso». Nell’edizione 2009, a pochi chilometri dal traguardo, mentre era in lotta per la vittoria, Alfonso Falzarano si rese colpevole di scorrettezza ecologica: una carta gettata a terra proprio sotto l’occhio di una telecamera. Il «patron» Michil Costa, era irremovibile: squalificato. Poi la «grazia» della Federazione ha concesso a Falzarano il secondo posto. Era il primo anno del regolamento ecologico a salvaguardia del Patrimonio dell’Umanità appena stabilito dall’Unesco e quindi per Falzarano si preferì chiudere un occhio. Ma per il 2010, ventiquattresima edizione della Maratona delle Dolomiti, vale il detto: corridore avvisato mezzo salvato. Ecologia da queste parti significa anche intervento concreto. Una quota delle iscrizioni e l’eccedenza di quelle a «prezzo maggiorato», le iscrizioni classificate Gold, Platinum e Crystal, che toccano anche i 1.500 euro ciascuna, saranno devolute a due associazioni: la Sporthilfe, che sostiene veri talenti sportivi, ragazzi che non hanno la possibilità di finanziarsi le competizioni; e l’Associazione Gruppi «Insieme si può» Onlus/ ONG (www.365giorni.org) che propone il progetto «acqua pulita» da realizzare nella regione del Karamoja, nel nord-est dell’Uganda. L’obiettivo è la perforazione di nuovi pozzi d’acqua per aiutare l’Uganda a ridurre uno dei suoi tanti mali: il difficile accesso all’acqua potabile che si traduce in problemi sociali, sanitari ed economici. Non si tratta di iniziative velleitarie: i soldi arrivano davvero ai destinatari e l’utilizzazione dei fondi è accuratamente controllata, come ha constatato qualche anno fa il TG2 che ebbe modo di documentare lo sgorgare dell’acqua dai pozzi scavati in Benin proprio grazie ai fondi della Maratona delle Dolomiti. Era il 12 luglio 1987, quando prese il via la prima edizione della Maratona, con appena 166 cicloamatori alla partenza, con un percorso di 175 chilometri e 7 passi. Da allora, il numero degli iscritti è aumentato esponenzialmente, fino a rendere necessario un tetto massimo di 8800 partecipazioni a numero chiuso, con un’estrazione fra chi non ha titoli di accedervi per diritto. Per dodici anni il percorso della Maratona è sempre stato superiore a174 km, poi nel 2000 è stato ridotto a 147 e dall’edizione 2006 a 138. Recordman delle vittorie è Emanuele Negrini, vincitore di ben 5 edizioni. È suo appannaggio anche il record della corsa più veloce, alla media di 32,9 km/h registrata nel 2005.

Aperto dalle 19.00 alle 22.00, chiuso il giovedì. I mercoledì di luglio e settembre notte bianca disco Murin dalle 22.00 alle 02.00 con Dj Fiore

Corvara - Dolomites - T. +39 0471 83 10 00


persone e idee

ERRI DE LUCA

l’Alpinismo é democrazia del corpo

Alpinis di Michele Francesco Afferrante Foto di Carlos De la Fuente

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«Per me alpinismo è viaggio di superficie, scambio tra due epidermidi, la roccia e le falangi delle dita. Alpinismo è per me aria aperta». Sono parole di Erri De Luca, tra i più importanti e significativi scrittori italiani, molto amato anche all’estero, autore di libri di successo come «Non ora, non qui», «Montedidio», «Il giorno prima della felicità» e il recente «Il peso della farfalla». Nella visione di De Luca la crosta terrestre ha un’attrazione verso l’alto, dovuta agli urti colossali del sottosuolo, che innalzano le catene montuose. Sente, avverte (da poeta) che la terra vuole salire. Da qui la tentazione di seguirla fino in cima… in particolare sulle Dolomiti, le sue montagne ideali

Erri De Luca, nato a Napoli ed appassionato di montagna. Com’è potuto succedere? «Mio padre napoletano è stato soldato nel corpo degli alpini durante la seconda guerra mondiale, l’amore per le montagne gli ha salvato la gioventù, inguaiata dal fascismo e dalle stragi. Ho ereditato da lui le montagne e i libri».

smo

Lei ha iniziato a scalare tardi, intorno ai trent’anni. Che ricordo ha di quelle prime arrampicate, di quel primo sentire la superficie rocciosa della terra? «Ho iniziato a scalare in estate, erano le mie ferie da operaio e in montagna si pagava poco. Ho cominciato a salire in scarpe da città e impermeabile, salivo le ferrate così, senza imbracatura né attrezzatura. Le Dolomiti restano le mie preferite, il calcare anziché il granito. La varietà delle sue rocce, appigli, prese assomiglia a un gran vocabolario, scalo secondo l’ordine della frase scritta sulla roccia, il mio corpo legge la bella stesura aperta a libro. Ho poi imparato le tecniche della progressione in cordata, l’alleanza stretta con un nodo ai due capi della stessa corda, poi sono diventato un praticante di alpinismo, membro di una comunità sociale. Prima ero un selvaggio di città. Venivo dalle lotte e dalla militanza rivoluzionaria del decennio Settanta, ero uno dei dispersi. In montagna ritrovavo il mio passo d’inizio, di quando mi staccai ragazzo di casa, di città, di famiglia e mi inoltrai in uno sbaraglio individuale».

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persone e idee

Nella scalata conta più il corpo o la testa? «In parete è simpatico il fatto che la testa smette di essere il punto panoramico del corpo, la sua torretta di guardia. Sta invece alla stessa distanza alla superficie dei piedi, della pancia. La scalata fa democrazia nel corpo, toglie la testa dalla sua altezza, la abbassa e manda in avanscoperta le braccia, le mani, le dita, aiutate dalle spinta dei piedi. In fondo scalare è regredire all’andatura a quattro zampe». Lei ha detto che in montagna vuole sentirsi un passante e non vuole lasciare traccia. Cosa vuol dire? «Sono uno di fuori, un forestiero in montagna, non mi sento autorizzato a battere di chiodo, a esultare su una cima, a lasciare traccia di bianco su grigio, non uso magnesite per migliorare la presa, non firmo libri di vetta. Sono uno di passaggio che ringrazia in silenzio per il lasciapassare ricevuto». In cosa consiste la bellezza della montagna? «La bellezza in natura non è lì per accoglierci a braccia aperte, non è fatta per infilarle un anello al dito e fidanzarsi. È l’immenso di forze che possono spazzarci via con la stesso sorriso con cui ci carezzano. Lo stesso vento che ci asciuga la fronte può sgambettarci con un colpetto e spingerci di sotto. La bellezza è un rischio aperto. È il movente per cui si va in montagna ma non si può ammansire con nessuna esperienza e attrezzatura. La montagna è bellezza e rischio spalancato. Mi spiacciono i commenti, dopo ogni incidente micidiale, che danno la colpa all’imperizia, all’approssimazione, all’irresponsabilità. Non stanno così le cose, muoiono spesso i più valorosi e esperti, muoiono perché la montagna è una botola aperta sotto i piedi, il vuoto non è lì per sorreggerci i passi. Dispiacerà all’industria

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che fattura materiale di montagna, ma su ogni articolo venduto ci andrebbe la scritta: la montagna è rischio micidiale. Come per il tabacco, è per noi un vizio. Ognuno di noi è scampato un numero imbarazzante di volte a un pericolo, a un errore commesso. Dunque niente lezioncine ai caduti da parte di chi ha solamente avuto finora più fortuna di loro». Lei ha scritto che in montagna torna a stupirsi, a meravigliarsi… «Lo stupore fa parte di una buona educazione sentimentale. Lo stupore verso il male e il bene che gli uomini si scambiano, lo stupore per l’immenso e il minuscolo, lo stupore verso le bestie, gli alberi, l’acqua, il fuoco. Oggi lo stupore è censurato, bisogna far finta di essere indifferenti, occhi bassi, nessuna confidenza con quello che succede intorno. Vedo persone che vanno in montagna con tutto il corpo ancora prigioniero delle difese alzate nella vita in città. In montagna imparo di nuovo lo stupore, per esempio verso la magnifica andatura del camoscio su strapiombi, la sua corsa fulminea giù per ghiaioni e cenge. Imparo a spalancare gli occhi che incrociano in parete a pochi centimetri dal naso il raponzolo in fiore che si è radicato in un buco di spillo della roccia. Ho visto api sulla fioritura della sassifraga nel ghiacciaio della Marmolada, in montagna ritorno a commuovermi per lo stupore». Lei è un assiduo e attento lettore e traduttore della Bibbia. Quale rapporto c’è tra la montagna e la scrittura sacra? «La scrittura sacra dell’Antico Testamento è alpinistica. Grandiosi incontri con la divinità avvengono in quota. Noà atterra sull’Ararat Maggiore col suo barcone cesto, Abramo va sul Morià per obbedire all’ordine di sacrificare il figlio, Mosè sale sul Sinai/Horev tre volte e muore da alpinista sul monte Nebo. La divinità si rivela in luoghi appartati e ai suoi solitari che battono piste desertiche. La divinità si abbassa a quel confine


tra cieli e superficie terrestre, lì dove l’uomo sale fino all’ultimo gradino possibile, oltre il quale comincia il cielo». Lei ha marciato verso gli ottomila metri del Dhaulagiri con la sua amica scalatrice Nives Meroi e il marito Romano Benet, impresa narrata nel libro “Sulla traccia di Nives”. Quale nuovo sentimento della montagna ha maturato nel corso di quella straordinaria esperienza? «La montagna, qualunque montagna, insegna i propri limiti fisici e insegna l’umiltà della ritirata. Con Nives e Romano ho condiviso giorni sui fianchi di cime colossali, ho imparato da loro la semplicità domestica delle loro imprese, la forza della loro alleanza basata su divisione del lavoro, dei carichi, dei rischi. Ho visto un alpinismo di coppia, che smentisce l’individualismo dello scalatore. Ho il ricordo della voce di Nives che raccontava a me sprovveduto compagno di viaggio le sue mosse, come a un suo pari, facendomi sentire uno di loro. Provo per lei, per Romano, per Luca Vuerich che è stato scippato alla vita da una valanga, gratitudine e ammirazione pura». Il suo ultimo libro, «Il peso della farfalla», storia dell’antico duello tra il re dei camosci e il vecchio cacciatore, è nato dall’ascolto di racconti di montagna… «Ho ascoltato racconti di animali e uomini di montagna da Mauro Corona, da Romano Benet, da Lois Anvidalfarei, da altri che ora non ricordo. Esiste lì come altrove una grandiosa tradizione orale di storie, disavventure, colpi di fortuna e di tempesta, che le persone si trasmettono volentieri quando stanno tra simili e col gomito sul tavolo. Ci sono come ovunque frottole che ingrandiscono e discrezioni che al contrario riducono il formato, la montagna tira fuori il meglio e il peggio dalle persone, anche nei racconti. Il bracconiere del mio racconto non è un sant’uomo, non è il Santiago di “Il vecchio e il mare”, è un esemplare della nostra specie che sta agli sgoccioli, lo sa, ma come tutti immagina di poterne avere ancora un poco dalla

vita, di potersi affacciare oltre l’inverno che sta a sbarramento». I monti sono maestri muti e fanno discepoli silenziosi (Johann Wolfgang Goethe). La lotta che conduce verso le cime basta a riempire il cuore di un uomo (Albert Camus). Due aforismi, un suo commento… «Parole solenni, mi spiace guastarle, ma si è silenziosi in montagna perchè il fiato serve tutto alla salita e in discesa si è troppo stanchi per mettersi a chiacchierare. Quanto al cuore dell’uomo mi basta sapere che è pieno di ossigeno e di sangue. Già così basterebbe a liberarlo di cattivi pensieri». Qual è il suo giudizio sulla Val Badia? «Val Badia: mio campo base in estate, sulle sue pareti ho messo dita e naso. Dalla finestra di Roberta Dapunt e Lois Anvidalfarei vedo il tramonto sul Sasso della Croce, frugo da lontano le linee salite, all’ora della luce di taglio che fa risaltare le rughe, fino alle screpolature, della roccia. Sulle montagne della Val Badia faccio visite regolari, una a un albero, un cirmolo solitario che si sporge sopra un vuoto, una seconda a cima Conturines, zuccotto da dove saluto i 360 gradi del mondo». Come descriverebbe i ladini? «I ladini, sono un popolo antico che si è trovato a dover accelerare all’improvviso grazie all’esplosione del turismo di montagna. Si è arricchito, ha cambiato mestiere, ma conserva un affetto per il proprio suolo che gli permette di conservarlo, di non svenderlo. I ladini proteggono il loro patrimonio, anche se molti potrebbero dire il giusto contrario: ma in proporzione a quello che ho visto fare sulle coste calabresi, nella mia isola di Ischia, qui riconosco una premura superiore, senza paragone. Il ladino, la lingua, mi piace ascoltarlo, è svelto e intimo come il napoletano, mi sforzo di leggere i suoi poeti, Paolo Zardini, Roberta Dapunt. Mi azzardo a tavola a cantare qualche canzone».

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fuori stagione

A spasso tra le leggende

San Cassiano

Santa Croce

Testo di Giulia Castelli Gattinara / Foto di Mario Verin

Alla scoperta dei Fanes, popolo mitologico delle Dolomiti, aiutati dalle atmosfere magiche di fine estate

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hi non è della Valle conosce le Dolomiti per due stagioni: estate e inverno. Non possiamo dargli torto, dato che la griglia di impianti di risalita facilita sciatori e escursionisti, consentendogli di avvicinarsi alle montagne fin dentro al cuore delle rocce, come in pochi altri posti al mondo. Teleferiche, seggiovie e rifugi affollati non smorzano tanta bellezza, così a portata di mano di tutti, per lunghe villeggiature. Poi ci sono due altre stagioni, le stagioni «zitte», quando la neve non è ancora del tutto sciolta e gli animali si abbassano di quota a cercare la prima erba che spunta. O quando il manto bianco comincia a ricoprire le cime, e i pascoli intorno ai masi sono già stati rasati dalla falce. Sono la primavera e l’autunno, stagioni di passaggio e di promesse. La scuola non ancora finita, o appena iniziata, non permette alle famiglie lunghi periodi di vacanza, ma brevi week-end per immergersi nei paesaggi della val Badia, tornati al silenzio. In queste stagioni la contemplazione della natura è pervasa da un senso di magia che sembra condurci verso la fiaba. Camminando, il pellegrino ritrova se stesso e forse anche quel senso del sacro che la quotidianità ha perduto fra le nervose strade di città. È accolto da una foresta viva, colma di profumi mentre percorre le tappe di una via crucis dipinta a olio, incorniciata fra gli abeti e i larici ai piedi del regno di Fanes. Deve essere da questa meditazione del bello che sono nate

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le leggende delle Dolomiti. Quelle che popolano le crode di fate, di re e di nani, di rododendri e di stelle alpine, di lagune azzurre e di tramonti rosa, che appaiono e scompaiono secondo l’epica capricciosa delle antiche storie, quelle tramandate oralmente e finalmente raccolte nel secolo scorso da Karl Felix Wolff, nel celebre volume I Monti Pallidi. Il sentiero che proponiamo questa volta percorre il tratto di bosco sopra a San Cassiano, fra le montagne di Dolasilla, l’eroina-guerriera figlia del re di Fanes. Il percorso comincia nel bosco a ridosso delle Conturines, altro luogo leggendario dove la tradizione colloca l’antico castello dei Fanes, sospeso a metà parete su una cengia protetto da un tetto di roccia aggettante. Termina all’Ospizio Santa Croce (La Crusc) sotto all’omonimo Sass dla Crusc. È qui che verso la fine della saga l’aquila fiammeggiante, alleata del Regno, illuminerà la montagna con un segno di luce, quando sarà giunto il tempo promesso. Una riscossa tante volte attesa, che tuttavia non avverrà nonostante gli sforzi di Dolasilla. Perché la rovina dei Fanes è inesorabilmente segnata dalle ambizioni stolte del suo Re. Oggi il racconto è stato ripreso da una associazione culturale di La Villa, guidata da Susy Rottonara che ha ambientato un cortometraggio tra il Passo Falzarego e il Sasso della Croce mobilitando un centinaio di compaesani, tutti rigorosamente in costume, per riproporre i punti salienti della leggenda. Una volta che abbiamo raggiunto la quota, il nostro itinerario si snoda proprio sotto alle pareti che delimitano il profilo occidentale delle Alpi di Fanes, seguendo una mezzacosta, senza grandi dislivelli, che entra ed esce dal bosco ogni volta che si attraversano le piccole frazioni cresciute sugli alpeggi


alti, al confine dei pascoli che precedono le rocce. Punto di partenza è la località Glira-Corjel, a circa un chilometro da San Cassiano (direzione passo Falzarego). L’incrocio di strada Glira con la statale della Valparola si può raggiungere con la corriera che ferma al bivio. Per chi invece è in macchina, potrà ancora salire circa 700 metri, posteggiando poco dopo la pensione Rü Blanc, dove la strada termina. Il sentiero è segnalato già dal bivio in basso (fermata della corriera) con i caratteristici pannelli bianco-rossi: numero 15A. Oltre il parcheggio alto - che fa risparmiare un tratto di salita di 70 metri di dislivello - si prosegue per la stradina bianca che entra fra gli alberi diventando sentiero. Inizialmente sale per portarsi in quota, delimitato da una steccionata in legno. Supera un paio di cancelletti che ostruiscono il passaggio delle mucche e continua a mezzacosta traversando un bosco colmo di profumi di resina e muschi. È un tracciato stretto, silenzioso, poco frequentato che in un’ora consente di raggiungere le radure e i masi di Rü, protette alle spalle dall’impressionante parete grigia del Piz Lavarella. Qui comincia il «sentiero dei larici» attrezzato con pannelli didattici che spiegano la vita del bosco, dell’alpeggio e dell’uomo di montagna. Ad esempio l’abilità dei ladini nel costruire le steccionate di legno con differenti geometrie di incastro o la lettura dell’età di un albero dal numero dei cerchi all’interno del tronco principale. Il cammino

scende verso la frazione di Lüch-Rüdeferia, poco sopra casa Ciampidel: uno dei più antichi masi della valle, già citato in una pergamena del XIII secolo. Non scendiamo al maso, ma proseguiamo per il sentiero n.15 in direzione dell’ospizio Santa Croce. La strada comincia a salire, ma prima di entrare nel bosco ci regala un’ultima veduta dell’intera Alta Badia. Il magnifico view-point si trova su un poggio proprio sopra l’incrocio delle valli che scendono dal Falzarego, dal Campolongo e dal passo Gardena. Davanti ai nostri occhi la lunga bastionata del Sella e, di fronte, il monolito del Sassongher. Un panorama da non perdere, oltre il quale il sentiero si impenna ripido. Dopo circa un quarto d’ora si incontra il bivio del sentiero 12 (che evitiamo), il quale prosegue dritto alla forcella de Medesc, verso la sommità dell’altopiano di Fanes. Proseguiamo a sinistra (madonnina e panchina da pic-nic) continuando a salire fino a portarci a 2000 metri di quota. Il percorso è scandito dalle edicole della via crucis. Una passerella che attraversa un prato umido vicino a una malga, spesso frequentato dai caprioli, ci segnala che la salita è quasi finita (ore 1 da Lüch-Rüdeferia). Il sentiero, infatti, gira verso nord iniziando una lunga mezzacosta, in alcuni tratti molto panoramica, fra i mughi al confine del bosco. Passa sotto alle verticali di dolomia grigia del Sasso della Croce, molto vicino alle pareti che incombono con la loro inquietante presenza. E finalmente ci conduce all’ospizio, dove potremo ristorarci come i pellegrini del passato (quota 2100; 4 ore da Glira, 600 m di dislivello in salita. In senso opposto il dislivello è 100 m). Dall’ospizio si può scendere a piedi (sentiero n.7) o con la seggiovia fino a Badia-Pedraces per prendere la corriera.

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Di Giulia Castelli Gattinara

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l regno comincia col matrimonio fra un principe guerriero e una regina alleata delle marmotte, che l’avevano adottata da piccola portandola in una grotta sotto alla Croda Rossa. Da questa unione nascono due gemelle: Dolasilla e Lujanta. La seconda si trasformerà in marmotta e vivrà nascosta dentro la montagna, da cui uscirà solo dopo la morte della sorella. Dolasilla, invece, incarna l’eroina guerriera che cerca di salvare il Regno di Fanes dagli attacchi dei popoli vicini. È ardimentosa, ma sarà vinta anche lei dagli intrighi e dall’avidità del padre. Una notte, mentre Dolasilla ancora bambina faceva ritorno al castello di Conturines, il giovane Eyde-Net la salva dallo stregone Spina-de-Mul (che si manifestava con le sembianze di uno scheletro di mulo). Questi nel duello perde una preziosa pietra lucente, la rajetta, che il ragazzo regala alla figlia del re. Nel frattempo accadono altre cose. Gli Auroni vivevano imprigionati dentro la montagna fra indicibili ricchezze, senza mai poter vedere la luce del sole. Il Re di Contrin, Odolghes, riesce a liberare la principessa e a portarla via con sé. La punta della sua spada risplenderà sempre dell’oro dell’Aurona, mentre il popolo

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sarà disperso e il tesoro resterà sepolto sotto le rocce. Intanto il re di Fanes sugella un’alleanza con l’aquila e al castello nasce un bambino con un braccio solo. Quando Dolasilla è già una ragazza, il re la porta con sé a Canazai per cercare l’argento nascosto sotto a un lago. In una grotta trovano dei lingotti e una scatola con della polvere magica che appartiene ai Nani, i quali insistono per riaverla indietro. Dolasilla gliela restituisce e segue le indicazioni che i Nani pregano di seguire per liberarli dall’incantesimo. L’amicizia coi Nani trasformerà la ragazza in una guerriera invincibile, dotandola di frecce magiche e di un’armatura impenetrabile, a patto che non si sposi mai e che la corazza bianca non cambi colore quando è in battaglia. Dolasilla viene incoronata con la rajetta a Plan de Corones, ma una freccia tirata dallo stregone Spina-de-Mul la ferisce ugualmente. Per questo, una volta guarita, chiederà ai Nani del Latemar uno scudo che non possa essere trapassato dalle frecce magiche. Lo scudo è così pesante che richiede uno scudiero molto forte. Con un intrigo, il giovane Ey-de-Net riesce a farsi assegnare l’incarico di scudiero per essere sempre accanto alla ragazza. I due si innamorano, in battaglia sono invincibili e si promettono di non combattere mai separati. Ma nella sua smisurata avidità il Re di Fanes


Foto Parterre3.com

fa un accordo proprio col suo peggior nemico, Spina-de-Mul: gli consegnerà il regno in cambio dell’oro dell’Aurona e si farà rinchiudere dentro la montagna. Poi allontana lo scudiero, senza il quale Dolasilla, aveva promesso che non avrebbe combattuto. Prima di iniziare la battaglia, lo stregone riesce con l’inganno a sfruttare la pietas di Dolasilla inducendola a regalare le sue frecce infallibili a dei finti bambini mendicanti. La ragazza, sola, quando vede che il regno sta per capitolare sotto le armate nemiche guidate dallo stregone, decide di scendere ugualmente in battaglia. Ma la corazza cambia colore e Dolasilla, senza più frecce, muore sul campo mentre il re attende al Lagazuoi l’esito della battaglia. Oggi si dice che il suo volto di pietra sia rimasto scolpito sulla parete di roccia. Morta Dolasilla, al castello ricompare Lujanta che, alleata delle marmotte, protegge la fuga del suo popolo lungo le gallerie della montagna. La profezia predice che i Fanes combattano per sette anni riconquistando le antiche terre del regno. Dopo questo tempo, quando sono sul punto di stabilire un accordo di pace coi popoli vicini, arriva il principe da un braccio solo, alleato dell’aquila che manda tutto all’aria. Non si accontenta e vuole riprendersi anche le altre cime conquistate dal padre e dalla sorella. Ne scaturisce una guerra senza confini,

dove popoli venuti anche da molto lontano giungono per contrastare l’ambizione dei Fanes. Il regno sarà sterminato. Della nobile dinastia rimarranno solo la regina e Lujanta con una manciata di donne e bambini, che ancora una volta si rifugiano fra le marmotte nel cuore della montagna. L’aquila fiammeggiante torna col figlio del principe da un braccio solo, che nel frattempo si era sposato, per annunciargli che il Regno di Fanes risorgerà solo se il fanciullo troverà le frecce infallibili e sarà nel luogo giusto al momento in cui le trombe d’argento suoneranno dai monti la grande ora. Nel frattempo lo affida al re Odolghes di Contrin perché gli insegni il mestiere delle armi. Da qui in poi la leggenda prosegue secondo la tradizione fassana. Dopo una serie di vicissitudini il nipote del re di Fanes, chiamato Lidsanel, viene a sapere la profezia dell’aquila, ma preferirà inseguire l’amore e la vendetta per la morte della donna amata, scordando l’appuntamento per riscattare il regno del nonno. Si dice che ogni anno, in una notte di luna piena, la regina di Fanes e Lujanta facessero in barca il giro del lago di Braies per attendere il nipote con le frecce infallibili. Poi un giorno scoccarono le trombe d’argento e, non vedendolo arrivare, scesero per sempre a dormire sul fondo del lago.

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Vivèna Angana

Salvan è una sorta di fauno dei boschi né buono né cattivo. Raramente scende a valle e incontra altri esseri umani a cui può portare fortuna o sventura.

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Foto Parterre3.com

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è una ninfa che abita nella foresta e parla con gli animali che le fanno compagnia. Spesso associata alle fonti d’acqua. Scompare ogni volta che qualcuno le si avvicina, per non farsi vedere. Solitamente raffigurata con vesti chiare e splendenti. La più famosa delle leggende dolomitiche è Ondina, che vive nelle acque del lago di Carezza, da cui fa sorgere l’arcobaleno.

Personaggi della mitologia ladina Stria

una fanciulla molto bella, in alcuni casi anche diabolica. Sono famosi i raduni e le danze delle stries (streghe) durante i quali celebrano riti misteriosi.

Bregostan personaggio ripugnante che si ciba anche di esseri umani, raffigurato in modo cencioso, spettinato e con denti sporgenti. Parla una lingua primitiva.

Orco Solitario e cattivo, sembra fatto apposta per spaventare gli umani.

Pavaruk è il nano protettore dei campi e dei raccolti, che difende con le sue falci d’oro. Ha una grande testa e grandi piedi.


Susy Rottonara, la nuova Dolasilla della Val Badia Figlia d’arte - padre pittore e scultore, zio musicista alla Scala - è cresciuta ascoltando le leggende delle Dolomiti nei racconti che il genitore le faceva da piccola quando passeggiava fra i boschi e le crode vicino casa. Poi alla creatività e ai sogni ha aggiunto il lavoro e una tenacia formidabile. Così, all’età di 13 anni, comincia a frequentare il Conservatorio e oggi Susy Rottonara usa la sua voce da soprano leggero per cantare le vicende di Dolasilla, il personaggio che rappresenta e che le ha fatto vincere prestigiosi premi internazionali (per la migliore colonna sonora al Renderyard Film Festival 2007 di Londra e al Garden State Film Festival 2008 di Asbury Park, nel New Jersey, più altri 5 premi al Los Angeles Reel Film Festival 2009 ). La musica non le fa dimenticare il suo obiettivo primario: riportare alla vita le antiche storie della tradizione ladina. Per questo si laurea in lingue e letterature straniere a Trento con una tesi in filologia germanica. Poi arriva l’incontro, apparentemente casuale, con il regista Roland Verra di Ortisei, nel 2005, e il sogno diventa realtà. È in quell’occasione che Susy, età 26 anni, mette in campo oltre al suo talento poetico, le doti di una vera condottiera, alla guida di un nuovo esercito di Fanes, quello dei volontari. Coinvolge più di cento persone tra attori, costumisti, aiutanti, tecnici, giovani e anziani che si appassionano all’idea di un

film che racconti le fasi salienti della saga di Fanes, considerata una sorta di mito fondativo dell’Alta Badia e dei suoi splendidi paesaggi. Benché la leggenda - di cui lo scrittore Wolff mise insieme i vari frammenti orali, probabilmente aggiungendo anche del suo - abbia due linee fondative che si riferiscono, una alla tradizione badiotaampezzana e l’altra alla val di Fassa. La prima scena del film viene girata di notte, al passo del Falzarego. «C’erano le nebbie basse e faceva un gran freddo, nonostante fosse agosto. Ma non potevamo chiedere un’atmosfera migliore - ricorda oggi SusyDolasilla - per rappresentare l’incontro tra lo stregone Spina-de-Mul, nemico dei Fanes, e il giovane ardimentoso Ey-de-Net, innamorato di Dolasilla. A un certo punto cominciò a piovere e saltarono tutte le luci». Ma solo l’ultimo «ciak» venne girato due volte a causa del maltempo, al lago di Braies dove, secondo la leggenda, sotto la superficie dell’acqua riposa la regina di Fanes. Le riprese sono state realizzate in 18 giorni, con attori che ovviamente parlavano in ladino (nel fim: narratore e sottotitoli in italiano, tedesco e inglese). La musica l’ha composta la stessa Rottonara, pensandola appositamente per gli strumenti tradizionali: percussioni, legni e ottoni. Facendosi aiutare da Fridl Pescoller, direttore della banda musicale di Badia. l film, prodotto da Hans Peter Karbo, dura 50 minuti e narra solo alcune delle vicende della leggenda, che è la più lunga e complessa tra quelle riportate da Wolff nel celebre volume I Monti Pallidi. Il merito dell’iniziativa è soprattutto quello di aver ridato vita alla tradizione

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proponendone un’interpretazione in chiave moderna. Il prossimo progetto, su cui la Rottonara si è già messa al lavoro: “Fanes, il poema musicale delle Dolomiti”. Spettacolo già più maturo, come afferma lei stessa, di cui è stata eseguita una prima rappresentazion l’estate scorsa al lago di Sompunt a La Villa. Ripresa dalla Rai che ne dovrebbe produrre un DVD. Si tratta di una vera pièce teatrale, composta da 32 canti (scritti da Roland Verra) che narrano la leggenda del Regno di Fanes. Con tre interpreti: iI poeta narrante, la voce solista e il coro. Nel frattempo Susy Rottonara ha fondato l’Associazione Culturale Fanes e spera che l’appuntamento diventi un festival annuale intorno al tema delle antiche fiabe delle Dolomiti, invitando a partecipare anche le valli vicine. «Quando uno vede queste montagne - dice sorridendo con complicità - non può fare a meno di pensare che dietro c’è qualcosa di magico». (per approfondire: www.fanesfiction.com)


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testimoni di una civiltà scomparsa

LARJËI di Laura Villoresi

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ppartengono alla specie delle conifere e punteggiano la valle da sempre. I larici, simili ad abeti, possiedono aghi al posto delle foglie per difendersi dalla disidratazione degli ambienti alpini. Sparsi in tutto l’Alto Adige, caratterizzano l’ambiente della Val Badia dai tempi dei primi colonizzatori, intorno al 1200. Ne definiscono il paesaggio, costeggiando il bosco dalle sue più fitte rientranze, appena prima dello spaccato di roccia dolomitica. Sono lì, stagione dopo stagione, per chi abita la Valle o per l’attento escursionista. Sotto strati di neve o dal colore arancio durante la stagione autunnale. Frutto dell’opera premeditata dell’uomo, e quindi non spontanei, i lariceti, sono gestioni arboree a ridosso delle comunità propriamente rurali. Tipiche le zone di Longiarù, Antermoia, Pieve di Marebbe fino alla La Valle e San Cassiano, dove il valligiano, attraverso l’uso della pastorizia e l’attenta gestione del bosco, ne conservava l’habitat negli anni. Fattori che costituivano in sintesi le stesse viles, i complessi rurali tipici della Val Badia, attraverso lo scopo primario di un controllo sul territorio da destinare alle attività agricole, creando delle isole disboscate ad hoc. Un libro/documentazione - Larjëi, 1000 anni di gestione del larice nella Valle di Lungiarü – frutto di un intenso lavoro di ricerca fatto a più mani e durato anni, offre oggi una panoramica scientifica su questa tipologia boschiva e sui diversi utilizzi del passato; dal pascolo alla caccia, dalla raccolta di erbe medicinali, all’uso della legna da ardere, per costruire o per produrre carbone. Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad uno stravolgimento progressivo di questi usi, e dell’impiego di determinate zone, se pur rimaste con impianti rurali. Ma, evidentemente, dalle differenti logiche ambientali. Partendo dai lariceti di Longiarù, il libro comprende 320 disegni, opera di Roswitha Asche, estrema conoscitrice e abitante del luogo, completate da informazioni di carattere agrario e forestale che aiutano a comprendere questo esteso archivio del passato. Abbiamo voluto approfondire con uno degli autori, Giovanni Mischì dell’Istituto Ladino di San Martino in Badia, sperando che anche per i semplici passanti, il bosco e i suoi aspetti, rappresentino sempre una cultura di appartenenza.

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QuestO LAVORO, fattO a più mani, nasce da un esigenza specifica?

«Negli ultimi decenni la situazione socio-economica della Val Badia è cambiata notevolmente. Questo ha comportato un progressivo abbandono dell’attività pastorizia e una minore cura verso i lariceti. In passato la creazione e la conservazione dei lariceti è stata particolarmente favorita perché potevano essere sfruttati sia per l’ottima qualità del legname da costruzione, sia per la legna da ardere, sia come terreno da pascolo. Per valorizzare i contenuti di questo “archivio” e per rendere maggiormente noto il valore e l’importanza dei lariceti gaderani, l’Uniun Ladins Val Badia ha svolto un’intensa opera di ricerca in collaborazione con l’Istituto Max-Planck per la Biogeochimica di Jena. I risultati di tale ricerca hanno fornito numerose informazioni utili per comprendere il ruolo fondamentale che avevano i lariceti per i nostri antenati, ma avvalorano anche alcune teorie sulla storia della colonizzazione della Val Badia».

Durante la lunga ricerca, quali sono stati gli aspetti che l’hanno colpita maggiormente?

«Il paesaggio con i lariceti nasconde - per chi lo impara a leggere - un affascinante archivio del passato, da cui è possibile ricostruire la colonizzazione e la storia delle genti che hanno forgiato questo territorio. Sull’esempio dei lariceti di Longiarù siamo riusciti a documentare come tale tipologia boschiva si sia formata e come essa sia stata utilizzata per diversi scopi: come pascolo e prato da sfalcio, per la caccia, per la raccolta di frutti ed erbe medicinali, per produrre carbone o da utilizzarsi nelle miniere».

Riportare alla luce dati, disegni e situazioni di vita rurale, vuol dire ripercorrere un intero sistema rurale e naturalistico. Oggi quel patrimonio È a rischio?

«Senz’altro. Il libro è arricchito d’informazioni inedite di carattere agronomico e forestale e costituisce un’importante chiave per la comprensione storica di un paesaggio agrario e naturale, unico. Tratta non solo i diversi aspetti del bosco di larici della Valle di Longiarù, ma anche di un pezzo di storia della colonizzazione e dello sviluppo agricolo di questa zona».

Cosa rappresentano esattamente i disegni della signora Asche?

«La signora Asche ha eseguito nel corso della sua attività pluriennale in Val Badia centinaia e centinaia di disegni relativi ad attrezzi e costruzioni del mondo agricolo, come si riscontra ancora oggi in alcuni paesi nei paesi di Marebbe, La Valle, Longiarù, documentando anche le attività lavorative. Arnesi e attrezzi che ci hanno lasciato per eredità una fonte unica e di alto valore artistico-documentario. Il libro sui lariceti rispecchia solo una piccola parte del suo lavoro di disegnatrice, dove la signora ha fatto una selezione di disegni realizzati nell’ambito della cultura rurale, come quelli che rappresentano le incisioni fatte da contadini e pastori sulle porte d’entrata e all’interno dei fienili e delle baite nei prati sotto il Putia».

Rimarranno i larici a caratterizzare il paesaggio di Val Badia?

«Al momento, il sottobosco cresce, diversificandosi. Fra i larici si fanno largo, sempre di più, gli abeti. Si tratta di un fenomeno ormai comune a parecchie zone di queste valli, dato che la pastorizia va inevitabilmente scomparendo. Senza l’intervento dell’uomo i lariceti sicuramente non riusciranno a tenersi».

I disegni di Roswitha Asche. In alto a sinistra la sezione di un larice. A sinistra in basso lariceti e baite. A destra le incisioni fatte da contadini e pastori sulle porte di entrata dei fienili e delle baite nei prati sotto il Putia

«Larjëi, 1000 anni di gestione del larice nella Valle di Longiaru». Costo di copertina 40,00 euro Libro reperibile presso l’Istituto Ladino Micura, San Martino in Badia Librerie Athesia di Bolzano e Brunico

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TRAIL RUNNING

DI CORSA SULL’ ALTA

VIA

Foto PatitucciPhoto.com

È made in Ladinia una delle offerte più ambite dagli appassionati di Trail Runnig, disciplina in crescita in tutto il mondo. Quasi novanta chilometri sull’Alta via «1» delle Dolomiti, naturalmente tutti a passo veloce

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on è per tutti, ma per molti. Sono sempre più numerosi gli appassionati di trail running, quelli che in montagna preferiscono correre. Devoti a una filosofia più che a una disciplina sportiva, spiegano i responsabili di Holimites, che organizza una delle più interessanti iniziative del settore, anche perché si svolge nell’Altavia «1» delle Dolomiti. Con il trail running si aprono nuovi orizzonti, lontano dai rumori e assaporando il gusto dell’avventura. E la proposta degli organizzatori di Badia suona come un’avventura vera, di quelle che gli appassionati non potranno che apprezzare. In tutto 87 chilometri, oltre 5.000 metri di dislivello da percorrere in cinque tappe. Tutto, ovviamente, di corsa o con passo veloce. Ai bagagli, a parte lo zaino con un ricambio di emergenza, ci pensa Holimites: saranno trasportati ogni giorno al luogo di arrivo della tappa successiva. Così, con un carico minimo sulle spalle, si potranno percorrere i sentieri più belli, senza troppe preoccupazioni. l percorso è tra i più belli che si possano immaginare. Dal lago di Braies, fino al Passo Duran. I periodi sono dal 19 al 26 giugno, dal 17 al 24 luglio, dal 4 all’11 settembre. Su richiesta di un minimo di quattro persone si può organizzare in qualsiasi data. La prima tappa finisce nel cuore del parco del Sennes, con cena e pernottamento nel rifugio. La seconda, al Lagazuoi, ed è quella con il maggior dislivello: 1.820 in un solo giorno. La terza passa per le Cinque Torri, il Nuvolau. Il quarto giorno, dal Nuvolao al Civetta: 24,6 chilometri. Infine dal Coldai fino al Passo Duran. L’ultimo giorno, escursione facoltativa nei punti più panoramici dell’Alta Badia e cena ladina. Il tutto per 1.290 euro a persona, che comprendono guida professionale a disposizione per sette giorni, transfer, trasporto bagagli, pernottamento e snack durante le escursioni. gnuno ha il suo passo. E anche un’avventura come quella dell’Altavia - assicurano gli organizzatori - si può fare alla velocità che è più adatta al proprio livello. È consigliato essere più che in forma e allenati. Gambe indurite o vesciche possono rovinare la vacanza. L’allenamento giusto è fare 10-15 chilometri su percorsi non asfaltati almeno tre volte a settimana. Attenzione alla pressione. Il trail running è duro e il programma prevede escursioni tra i 1.500 e i 2.300 metri sopra il livello del mare. Nel caso di problemi alla pressione ad alta quota è consigliata una visita specializzata prima della prenotazione. Una volta deciso di tuffarsi, non resta che scegliere l’abbigliamento. Meglio portare sempre con se uno zainetto con un ricambio: giacca a vento, guanti e berretto invernale. Le condizioni del tempo in montagna possono cambiare in fretta. Informazioni sul sito www.holimites.com o al numero 320 0966682.

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Daniel Töchterle

Foto Ghedina

Com’era com’è

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UN GIORNO IN GITA

Natura, montagna e avanguardie al Museum Ladin Ćiastel de Tor Il Castello di san Martino in Badia, ormai uno dei principali punti di riferimento della cultura delle Dolomiti, punta tutto sul futuro con mostre fotografiche e la triennale delle avanguardie provenienti da tutto il mondo ladino di Igor Bianco

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mmerso in uno scenario incantevole, lo splendido maniero che domina San Martino in Badia è un punto di riferimento per la cultura ladina. Ed è sede di un museo. Le proposte dell’estate. Un castello da favola, famoso per la sua caratteristica torre da cui si domina la conca di San Martino in Badia. Ma anche un luogo che riassume in sé le tante anime delle valli ladine, offrendo preziose informazioni su storia, lingua, leggende, archeologia, geologia, turismo ed artigianato tipici di questa popolazione e del suo territorio. È il Museum Ladin Ćiastel de Tor. Affacciato su uno splendido panorama, il museo si propone come punto di riferimento per illustrare la Ladinia e la specificità della sua cultura, in equilibrio tra passato e futuro, tra tradizione ed innovazione, tra bellezza e storia. Oltre ad un’esposizione permanente, chi lo visita vi trova sempre qualche mostra temporanea legata al mondo ladino ed alle sue meraviglie. L’estate 2010 non fa differenza: diverse iniziative periodiche guidano - non solo i turisti - a conoscere più a fondo le valli ladine delle Dolomiti, mentre due mostre coniugano la vocazione artistica delle genti ladine con l’amore per la loro terra. Eccole. Tra il 16 giugno e l’8 settembre, il Museum Ladin propone

ogni mercoledì alle ore 10 un tour su natura e cultura nelle Dolomiti, con esplorazione mattutina del castello con audioguida e visita guidata pomeridiana alla Valle dei Mulini dove, su un facile percorso, si possono ammirare 8 mulini ristrutturati in modo esemplare. Tra il 6 luglio ed il 31 agosto, ogni martedì alle 10 è possibile scoprire la geologia della Dolomiti, in un viaggio nel tempo che riporta i partecipanti indietro di milioni di anni, quando al posto dei «monti pallidi» c’era il mare. Ad un breve momento di preparazione, con presentazione multimediale e analisi di rocce e fossili all’interno del museo, segue nel pomeriggio un’escursione guidata al Parco Naturale Puez Odle per ammirare alcune delle più importanti formazioni geologiche all’interno della roccia dolomia. Per entrambi i tour guidati è necessaria la prenotazione al numero 0474 524020. «La fotografia por comuniché…» (la fotografia per comunicare) s’intitola la mostra collettiva del Fotoclub Val Badia, che il Museum Ladin ospita fino all’11 luglio 2010. La mostra espone 50 fotografie realizzate da 18 membri del fotoclub in occasione dei 15 anni dalla sua fondazione. Le immagini ritraggono gli animali, i paesaggi e le persone della valle, ma non solo. Da qui il titolo: comunicare la terra ladina,

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Foto Othmar Seehauser

E al Museion, le pareti come tele Il nuovo Museion - museo d’arte moderna e contemporanea non vuole essere un semplice contenitore di opere d’arte, ma piuttosto un laboratorio internazionale di ricerca con una vocazione all’interdisciplinarietà che pone al centro del suo sviluppo la collezione, in forte relazione con le mostre temporanee. Una visione di grande suggestione si presenta ai visitatori di sera, quando le facciate fungono da superfici per la proiezione di opere d’arte. www.museion.it Orari d’apertura Ma-Do: ore 10-20, Gio: ore 10-22. Lunedì chiuso.


la sua gente e le sue impressioni del mondo. A corollario della mostra sono previste tre multivisioni del lavoro di altrettanti fotografi espositori. Si parte il 20 maggio alle ore 21 con gli affascinanti scatti di Alfred Erari sul tema «Natura, montagna, luce». Il 10 giugno, ore 21, è il turno di Paul Erlacher che proietta una composizione di immagini e musiche dal titolo «La natura ed i suoi quattro elementi». «Natura – Visioni» si chiama il progetto multimediale di Helmut Enzenbaumer, da vedere il primo luglio 2010, sempre alle 21. Chiude la stagione estiva delle mostre al Museum Ladin la III Trienala Ladina, importante esposizione triennale nata per valorizzare e sostenere la produzione d’arte ladina. Aperta da quest’anno anche alla partecipazione di ladini dal Friuli e dai Grigioni, la Trienala Ladina ospita le opere di sei artisti cui offre l’opportunità di farsi conoscere da un pubblico più ampio. Per questa terza edizione, una giuria internazionale ha selezionato i gardenesi Peter Demetz e Romana Prinoth, la grigionese Esther Schena, i badioti Claus Vittur e Barbara Tavella e la fassana Veronica Zanoner, che devono presentare un’opera realizzata in qualsivoglia genere d’arte sul tema «nel museo, per comunicare». L’inaugurazione è prevista per il 23 luglio,

in concomitanza con la premiazione del 2° Premio di scultura artistica Richard Agreiter, bandito dal museo per favorire lo scambio culturale degli scultori ladini con i loro colleghi del Tirolo storico. La III Trienala Ladina è aperta al pubblico fino al 31 ottobre 2010. Naturalmente, il programma del Museum Ladin Ćiastel de Tor non finisce qui. Per saperne di più, basta cliccare su www. museumladin.it. Informazioni: Museum Ladin Ćiastel de Tor via Tor 65, I-39030 San Martino in Badia telefono +39 0474 524020, fax +39 0474 524263 web www.museumladin.it, e-mail info@museumladin.it Orari: Il Museum Ladin Ćiastel de Tor è aperto al pubblico da martedì a sabato dalle ore 10 alle 18 e la domenica dalle ore 14 alle 18. Il lunedì rimane chiuso, tranne nei mesi di luglio ed agosto quando il museo non osserva alcun giorno di riposo.

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UN GIORNO IN GITA

Al museo di storia naturale per scoprire i monti di corallo Un percorso storico e scientifico sulla formazione delle montagne dell’Alto Adige. Quest’estate di scena anche l’evoluzione e un viaggio nel tempo in compagnia del fotografo Frans Lanting

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ituato nel cuore della città vecchia di Bolzano, in uno storico palazzo, il Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige offre al visitatore un percorso storico, culturale e scientifico attraverso una delle regioni europee più ricche di contrasti, illustrando la formazione e le caratteristiche delle sue zone montane e di fondovalle. Il museo si occupa principalmente di geologia, botanica e zoologia, con un’esposizione permanente arricchita di animali viventi, tra cui un Nautilo, e di un acquario corallino. Per tutto l’arco dell’anno il Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige propone un ampio ventaglio di attività didattiche e numerose mostre temporanee. Quelle attualmente in corso sono due: allestite al pianterreno del

All’archeologico Ötzi superstar e visite guidate per i bambini L’uomo venuto dal ghiaccio, la famosa mummia dell’età del Rame, è l’indiscusso protagonista. Ma il museo situato in centro a Bolzano non offre solo questo

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due passi da Ponte Talvera a Bolzano, in quella che fu la sede dell’antica Banca Asburgica prima e della Banca d’Italia poi, si trova il Museo Archeologico dell’Alto Adige. Esteso su una superficie di 1200 metri quadri suddivisi su quattro piani, il museo è celebre per ospitare in una cella frigorifera appositamente ideata, una delle mummie più importanti del mondo, l’Uomo venuto dal ghiaccio, ritrovato nel 1991 nella Ötztal e per questo ribattezzato affettuosamente Ötzi. Esposta insieme al suo straordinario corredo, la mummia risalente a 5.300 anni fa è inserita in un percorso multimediale che grazie a ricostruzioni, immagini stereoscopiche, video e stazioni multimediali permette di dare uno sguardo al più remoto passato del versante meridionale


museo, i visitatori vi accedono gratuitamente. La prima è aperta fino al 5 settembre 2010 e si chiama “®Evolution”. È dedicata all’evoluzione naturale, che mette in scena dal vivo grazie a piante ed animali veri, dimostrando che essa è un processo visibile. La seconda è “LIFE – Un viaggio nel tempo”. Visitabile fino al 12 settembre 2010, “LIFE” espone 28 scatti di grandi dimensioni del leggendario fotografo naturalista Frans Lanting che documentano l’origine e la storia della vita sulla Terra. Il Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige, si trova in via Bottai 1 a Bolzano, è aperto tutti i giorni tranne il lunedì dalle ore 10 alle 18.

Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige Via Bottai 1, I – 39100 Bolzano tel +39 0471 412964, fax +39 0471 412979 web www.museonatura.it e-mail info@museonatura.it

della catena alpina. Se all’Uomo venuto dal ghiaccio è dedicato l’intero primo piano, il Museo Archeologico dell’Alto Adige non è solo questo. Esso documenta l’intera storia dell’Alto Adige dal Paleolitico e Mesolitico (15.000 a.C.) fino all’epoca carolingia (verso l’800 d.C.). Un preciso percorso articolato in senso cronologico espone i ritrovamenti più importanti dell’età della pietra, del rame, del bronzo, del ferro, romana e carolingia effettuati in provincia di Bolzano ed illustra la storia insediativa ed economica dell’area sudalpina. Per le esigenze dei più piccoli, al museo è attivo un team didattico che propone periodicamente attività e visite guidate per bambini.

Il Museo Archeologico dell’Alto Adige si trova in via Museo 43 a Bolzano ed è aperto tutti i giorni, tranne il lunedì, dalle ore 10 alle 18. Nei mesi di luglio ed agosto il museo non osserva alcun giorno di riposo. Informazioni: Museo Archeologico dell’Alto Adige via Museo 43, I-39100 Bolzano telefono +39 0471 320100, fax +39 0471 320122 www.iceman.it, email museo@iceman.it

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eventi

Gianna Schelotto:

Sette anni con «Un libro un rifugio» E non siamo in crisi di Antonio Signorini Foto di Daniel Töchterle

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dire che qualche presupposto per fare precipitare il rapporto ci sarebbe. Gianna Schelotto, ideatrice e animatrice della rassegna «Un libro e un rifugio», ama più il mare della montanga. È genovese e arrivare in Alta Badia, per lei come per i tanti liguri che scelgono le Dolomiti, non è una passeggiata. Per trovare prati e neve le basterebbe spostarsi di qualche decina di chilometri verso nord, ma alla fine torna sempre in Sud Tirolo, anche a costo di farsi cinque ore di auto. «È una specie di malìa», spiega. Poi razionalizza: «Noi genovesi siamo di mare, ma amiamo molto la montagna. E siccome di

L’idea di una rassegna letteraria tra le montagne è nata per scommessa nel 2003 Non ci siamo più fermati montagna ce ne intendiamo, scegliamo la Val Badia». Per lei, come per tanti, l’incontro con questi luoghi è legato alle vacanze estive dell’Infanzia. L’idea di una rassegna letteraria tra le montagne, invece, nasce per scommessa nel 2003. «Fu

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competenti, diversi da quelli ai quali capita di assistere negli incontri che si tengono d’inverno in città, dove c’è sempre qualcuno che parla per voglia di protagonismo». La formula aiuta e sembra ritagliata su misura per i turisti che scelgono la Val Badia. C’è intanto la musica, la voce di Simona Bondanza e il piano di Alex Trebo. «L’idea è di associare le canzoni ai libri, offrire insieme alla riflessione, anche lo spettacolo, che diventa il dinamogeno», generatore di forza. E poi l’eterogeneità dei temi. Non c’è un filo conduttore, se non l’amore per la lettura. «Il pubblico – spiega Schelotto - è eterogeneo, se ci legassimo a un tema inchioderemmo noi e chi viene agli incontri per il piacere di ascoltare». Il criterio

La musica è il dinamogeno. E la scelta degli autori segue un solo criterio: devono piacerci di scelta è semplice: «Ci affidiamo agli autori e ai libri che amiamo». Unica regola, evitare i politici. Non che non ce ne siano di bravi, ma così, spiega la scrittrice, «evitiamo di entrare in terreni di scontro». Il binomio montagna – lettura, poi, è invincibile. E anche una scrittrice-giornalista e psicoterapeuta, Damiano Dapunt a propormelo. In quegli anni rassegne di questo tipo stavano nascendo ovunque e in Val Badia niente».

La scoperta di un pubblico attento, competente e senza manie di protagonismo. Sono i turisti dell’Alta Badia La Valle, allora come oggi, pullulava di scrittori e autori che se ne stavano un po’ per conto loro. Il timore che preferissero la privacy e l’anonimato è caduto quando sono arrivate le prime risposte agli inviti di Schelotto. «Erano tali e tante che la cosa ci è esplosa tra le mani». Da allora, una settantina di scrittori si sono dati il turno tra La Villa e Corvara. Grandi nomi del giornalismo, della saggistica e della narrativa italiana. Esordienti e grandi vecchi. Poi il pubblico, l’altra grande sorpresa. «Il livello è alto, c’è grandissima attenzione. Spesso mi sono stupita della competenza sui temi trattati, anche quelli per nulla popolari, come quando Corrado Augias ha presentato i suoi libri sulla religione e il cristianesimo. O come quando ha parlato degli stessi temi Riccardo Chiaberge. Sempre interventi di persone

che ama il mare lo riconosce: «La montagna è meno dispersiva e dal punto di vista psicologico invita alla riflessione, infonde quiete e pace interiore. Chi viene qui è alla ricerca di un diverso rapporto con la natura, cosa che al mare non sempre è facile e consentita». Non è casuale la scelta del nome dato alla rassegna. «È quasi un messaggio subliminale, il libro che è un rifugio interiore. Gioca sul doppio senso e richiama il rifugio dove si mangia lo speck e il rifugio che ognuno crea dentro di sé quando legge un libro». Anche quest’anno la lista degli invitati è di prim’ordine. La formula non cambierà, se non in direzione di una maggiore interattività, secondo un metodo sperimentato da Beppe Severgnini la scorsa estate: questionari e test da fare direttamente con il pubblico. Da decidere se sarà ripetuto l’esperimento di tenere gli incontri in quota. L’anno scorso, proprio con Severgnini, ha funzionato,

In futuro gli incontri saranno sempre più interattivi ma le sedi di Corvara e La Villa sono molto più funzionali. E poi l’importante è che ci siano gli ingredienti di base. I libri, gli scrittori e un pubblico speciale.

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Eventi

JOUMANA HADDAD

Io sono LILITH

A «Un libro un rifugio», presenterà il suo «Il ritorno di Lilith» (L’ asino d’oro edizioni). Ci può spiegare chi è Lilith?

«La prima donna, precedente a Eva. Una donna fatta dalla terra come Adamo e non da una sua costola. È libera e indipendente; a un certo punto ne ha abbastanza di obbedire ciecamente all’uomo. E se ne va dal paradiso, cacciata. A questo punto Dio crea la seconda donna, da una costola di Adamo. Quando ho letto questa storia, mi ci sono trovata dentro, ci ho trovato la mia origine, la fonte della mia essenza di donna. Raccontare la storia di Lilith, significa raccontare la mia e mostrarla alle altre donne».

Perché proporre alle donne un modello così lontano?

«Non è solo mito, è la donna moderna per eccellenza. È quello che serve in questi tempi, non nel senso della ribellione gratuita all’uomo, ma in quello della ricerca dell’essenza femminile, che non richiede compromessi così come non richiede la trasformazione dell’uomo in un nemico. Lilith è uguale all’uomo fin dall’inizio e non deve chiedere il permesso a qualcuno per ottenere l’eguaglianza».

Lei frequenta l’Europa e il Libano e quando parla di donne non fa distinzioni. Ci vuole dire che non c’è differenza tra le occidentali e le donne arabe?

La scrittrice libanese, per la prima volta in Alta Badia, si racconta. E spiega perché la donna del mito mesopotamico può insegnare qualcosa a tutti. Libanesi e italiani. Uomini e donne

«È diffusa questa idea di una differenza radicale tra donne europee e donne arabe, ma io non ci credo. Tanti dei problemi che affrontano le donne nel mondo arabo resistono anche in Italia. A parte una certa condizione avanzata a livello della legge, non vedo una vera trasformazione nella condizione della donna soprattutto nel rapporto con se stessa e nella complicità con il maschio. Anche nel mondo arabo le donne o si arrendono a un destino di sottomissione oppure si sentono costrette a provare la loro forza rifiutando l’uomo come complice e così si trasformano in una forma della forza maschile. Io invece credo nella forza del femminile e credo esista una femminilità da celebrare e proteggere».

C’è un pregiudizio dei paesi europei nei confronti delle donne arabe?

«Più che un pregiudizio, c’è un cliché europeo che riguarda le donne arabe. Ma la stessa cosa si può dire da noi sulle donne occidentali».

Lei

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frequenta

molto

l’Italia.

Che

differenza vede con il Libano?

«Vedo tante cose che abbiamo in comune. I difetti soprattutto. A volte quando sono qui devo concentrarmi per capire se sono in Libano o in Italia. Parlando delle donne, io vengo dal mondo arabo dove si parla del velo, che io vedo come un’umiliazione. Ma vedo una grande umiliazione anche nel modo in cui molte donne accettano che il proprio corpo sia trattato come un pezzo di carne in vetrina. Sembrano cose opposte, ma non lo sono; è un uso distorto del corpo».

Lei ha fondato una rivista che ha come tema proprio la cultura del corpo. È una provocazione? «Una provocazione c’è, lo ammetto, ma non è gratuita. Non è provocazione per il solo gusto di provocare. È un tentativo di fare cambiare uno stato di cose che io percepisco come ingiusto e assurdo. Dieci secoli fa nella cultura araba era semplice e naturale parlare di corpo ed erotismo, non ha senso essere arrivati ora al punto di negare il corpo tanto da trasformarlo in un tabù da nascondere come qualcosa di vergognoso».

Ha funzionato la provocazione?

«Siamo al sesto numero. Avevamo pensato che saremmo riusciti a farne uscire uno solo. I lettori sono molto diversificati, in Libano la rivista si trova dappertutto, la leggono donne e uomini. Nel resto del mondo arabo non è distribuita, ma arriva in abbonamento».

Come fa a conciliare poesia e giornalismo?

«Ho risolto il problema decidendo che io sono una poetessa, poi il resto provo a farlo nel modo più professionale possibile. Avendo scelto un certo tipo di giornalismo, mi occupo solo delle cose che mi appassionano come poetessa e ho trovato armonia in quello che sto facendo. Nel mio nuovo libro parlerò anche di questo».

Di cosa si tratta?

«È un saggio sulla donna araba, sui cliché che gravano sulla donna araba. Si chiama “Ho ucciso Sherazade” (la donna delle “Mille e una notte” che si salva dal boia raccontando ogni notte una storia al Re, ndr.). Il titolo spiega già tutto».

Conosceva già le Dolomiti?

«No, ma sono entusiasta. Ho già visto tanta bellezza nella mia vita e questo paesaggio mi manca. Sono molto contenta di poterlo scoprire questa estate».


LA CARICA DELLE DODICI PENNE Saggisti navigati e scrittrici esordienti. Storie, storia, religione e finestre aperte su paesi lontani. Ecco i titoli che verranno presentati a Un libro un rifugio 2010 Massimo Nava

Massimo Gramellini Massimo Gramellini

Il risorgimento da una prospettiva inedita: le donne, le guerre e le rivoluzioni di Nino BIxio e dei suoi due fratelli, Alexandre e Giuseppe. Un affresco affreso dell’Ottocento che parte dall’ultimo sogno del generale: costruire una nave e commerciare con le Indie. Indie

Primo romanzo per il giornalista de La Stampa che ci accompagna ogni mattina con il suo Buongiorno. Storia di Tomàs, ragazzo che crede poco in se stesso, subisce la vita, ma una sera si ritrova proiettato in un luogo sconosciuto che lo condurrà alla scoperta talento del proprio talento.

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Dodici racconti mozzafiato per raccontare il lato oscuro dell’uomo. Tutti tratti da celebri episodi di cronaca: dai gangster di Chicago al massacro di Bel Air compiuto dalla setta di Manson, fino ai grandi casi che hanno ispirato famose pellicole.

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Un viaggio a ritroso nel tempo, fino ad un’estate bretone del 1920. Romanzo ispirato a Colette, famosa scrittrice francese, che la saggista e scrittrice Fortichiari immagina alle prese con lezioni di nuoto al figlio del suo secondo marito. marito

La storia della Russia dal 1999 ad oggi letta attraverso le vicende di Putin. Una cronaca delle trasformazioni di un Paese complesso: il potere negli ultimi anni di Eltsin, la Cecenia, la morte della giornalista Politkovskaja raccontata dal corrispondente del Corsera.

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La Gloria è il sole dei morti

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Eventi

Note made in Ladinia

Mauro Corona

Il canto delle manére Santo Corona della Val Martin è un taglialegna così bravo che è capace di recidersi una striscia di peli dal polpaccio senza intaccare la carne, con la sua ascia. Corona racconta l’epica di Santo, antieroe, vittima del proprio orgoglio, figura arcaica e modernissima.

Corrado Augias

Inchiesta sul cristianesimo Cosa è accadudo dopo la morte di Cristo? Come è nata la religione che da lui ha preso il nome? Dopo il successo di «Inchiesta su Gesù», il giornalista dialoga con lo studioso Remo Cacitti e ne scaturisce una complessa e appassionante avventura umana.

Benedetta Tobagi

Come mi batte forte il cuore

È il piano che accompagna la rassegna letteraria dell’Alta Badia. Ma è anche uno dei giovani artisti ladini che si stanno facendo apprezzare fuori dall’Alto Adige. I turisti lo conoscono per la colonna sonora di Alta Badia Visions, di Gustav Willeit, ma Trebo, pianista e compositore, è l’autore di molte altre colonne sonore di cortometraggi realizzati da registi emergenti. Vive a Bologna, ma i suoi primi passi li muove in Sud Tirolo. La sua attività si concentra sul Jazz e l’elettronica, ma non disdegna il blues, tanto che il suo nome compare anche come tastierista della Spolpo blues Band di Bressanone. Collabora con Chris Costa (Chrisalidejazz), altro musicista «da esportazione» della Val Badia (del quale ci occuperemo presto). Ed è uno degli animatori del progetto nu-jazz Mop Mop, distribuito dalla tedesca Zebralution. Sonorità groovy, ma influenze che vanno da Debussy a Ravel fino a Bill Evans e Herbie Hancock.

Simona Bondanza

Una voce jazz per i libri

Del padre, assassinato nel 1980 dai terroristi, le sono rimasti pochi ricordi. Ma di Walter Tobagi, giornalista del Corriere della Sera, alla figlia sono rimasti i pensieri, racchiusi nei suoi scritti. E grazie a questi ha ricostruito la sua vita pubblica e privata.

Isabella Bossi Ferdigotti Se la casa è vuota

Come sono cambiate le famiglie? La giornalista del Corriere della Sera lo spiega in questo libro che fa tesoro di storie vere, quelle raccolte nella sua rubrica, e dal quale la solitudine emerge come la grande protagonista dei nostri giorni.

Erri de Luca

Il peso della farfalla Questa è la storia di un camoscio, magnifico animale di montagna, che rimasto orfano, impara tutto da solo, senza branco. È forte, unico, bellissimo. Sfida tutti e diventa il «re dei camosci». Ma questa è anche la storia del cacciatore che lo ucciderà.

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È una delle più interessanti voci italiane vicine al jazz. La si ascolta sempre più spesso in apparizioni curiose e preziose in situazioni sempre diverse. È lei a ricoprire il ruolo che potrebbe essere definito di «punteggiatura musicale» di Un libro, un rifugio. Simona svolge un ruolo simile in altre rassegne letterarie e musicali, ad esempio al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano. Oppure il recital sulle Isole immaginarie di Ernesto Franco, in duo con il grande contrabbassista Piero Leveratto o ancora l’esecuzione delle più amate canzoni di Gino Paoli insieme con Enrico Rava e Dado Moroni sul palcoscenico del Teatro Carlo Felice nella serata in onore del cantautore genovese. Dopo avere affrontato con una vocalità sempre più completa e matura la canzone più elegante, il rhtyhm and blues e il jazz, Simona Bondanza lavora principalmente con due formazioni. Un progetto è rivolto all’approfondimento del repertorio musicale nato in Germania tra le due guerre mescolando letteratura e jazz nella straordinaria esperienza del Kabarett e nella nuova ballata popolare, con il quintetto Entartete Zeit che rielabora prevalentemente la canzone tedesca del «tempo degenerato» – quando anche la musica poco più che leggera era bandita dal regime nazista e resa ancora più amata dalla guerra – rivista con nuovi arrangiamenti per voce, archi e percussione. L’altro è il quartetto Cronostasi formato con Alessandro Collina, pianoforte, Marc Peillon, contrabbasso, e Rodolfo Cervetto, batteria, che affronta classici moderni dei più grandi poeti musicisti americani e inglesi interpretati attraverso la chiave del jazz.


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Sul sentiero delle Aquile

Bisogna essere fortunati, ma non è impossibile avvistarle perché le Dolomiti sono il loro habitat. Ci siamo fatti consigliare da David, guida volontaria del parco naturale di Fanes-Senes-Braies

di Alessandro Fregni Foto di Walter Nicolussi Zatta

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omeriggio del 23 marzo, c’è un bel sole a scaldare la neve primaverile della Val Badia. La parte frenetica dell’inverno ci ha lasciato sulle spalle entusiasmo e fatica. Ora che l’aria fresca è riscaldata dai raggi della nuova stagione e che con il loro riverbero sul candido manto ci fanno apprezzare le ultime corse sugli sci, si scoprono immagini di grande afflato. Le nostre belle pareti dai vivi colori ed il cielo azzurro ci invitano a volare. Quale giorno migliore per parlare del più maestoso abitante dei cieli? Siamo a San Vigilio, sede dell’ente parco Fanes – Sennes – Braies: il suggestivo parco delle Dolomiti orientali che domina il lato destro (a Est) della Val Badia. La nostra curiosità è incentrata sull’Aquila Reale. Ad accoglierci è Gotti, attivissimo ragazzone biondo che con parole composte ed un bel sorriso accoglie gli ospiti. È il nostro riferimento nel Parco, «la persona giusta» a cui sgraffignare alcuni insider tips per i vari vagabondaggi estivi. Ora, subito, arriva la sorpresa: «a voi non serve una persona interna all’istituzione, ma un appassionato autentico. Un uomo che conosca il suo ambiente e rispetti la natura». Gotti ci introduce alla nostra guida. David è un giovane albergatore con uno spirito avventuroso ed acuto. Per quanto camere, ristoranti e centri wellness gli diano un bel po’ di incombenze, il suo tempo libero è tutto rivolto allo studio ed alla scoperta dei bellissimi luoghi in cui viviamo. Già studente di scienze naturali e zoologia ha investito molto nel conoscere la fauna alpina e farla apprezzare ai turisti più sensibili che popolano le Dolomiti. Abbiamo a che fare con un valido volontario del Parco, capace di guidarci sul sentiero delle aquile. «Benissimo» esordisce subito David «questo è un ottimo momento per parlare delle aquile, poiché sta cominciando uno dei periodi più importanti dell’anno». Di cosa si tratta? «È il momento della cova, una fase di grande delicatezza per un animale sensibile come l’aquila. I rapaci sono particolarmente vulnerabile nel lungo periodo in cui l’uovo viene deposto, covato (incubazione esterna) ed il pulcino viene svezzato. La fase d’incubazione può durare fino a 45 giorni, mentre il piccolo, prima di lasciare il nido, può richiedere 10 settimane di attenzioni. Un lunghissimo ed intenso lavoro». Infatti nel mese e mezzo d’incubazione la madre è costretta nel nido: un vero affronto per una specie fiera e libera come questa! Il buon padre non è comunque assente, due volte al giorno si presenta a dare il cambio alla compagna, poiché l’uovo non deve mai rimanere incustodito.

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«La vita nel nido è affascinante» ci spiega David «intorno alla coppia e agli aquilotti si crea una sorta di simbiosi con altri animali. Piccoli uccelli nidificano vicino al grande nido dell’aquila. Passeriformi, che normalmente sarebbero potenziali prede, si preoccupano di tenere pulita la casa dell’aquila da insetti e parassiti. In cambio sono protetti dalle possibili insidie di vari predatori». Stiamo parlando dell’aquila reale, in latino Aquila chrysaetos ed in inglese detta Golden Eagle, che fornisce una bella protezione, ma dà un bel da fare: «Sono stati trovati nidi alti 3 metri e larghi 2 metri». Può essere il momento per scoprire qualcosa di più sulle mete della prossima estate.. basta scoprire dove si trova il nido. «Come saperlo? Le aquile non si accontentano di un sola casa. Il nido viene ristabilito alla fine di ogni accoppiamento e spesso è diverso dalla posizione dell’anno precedente. Difficile scoprire dove nidificherà di volta in volta: una coppia può considerare fino a 13 nidificazioni per territorio». La faccenda è decisamene complicata.. Bisogna arrampicarsi sulle varie vette e sperare d’incontrarla? «Un metodo salutare dal punto di vista fisico, ma poco efficace per l’osservatore. Meglio dunque informarsi presso il centro visite del parco. L’habitat del nostro rapace è molto vario: dalle scogliere di Scozia fino alla Sardegna ed alle Dolomiti; ma al di là dell’immagine collettiva che le vede abbarbicate sempre e solo su imprendibili rocce, le aquile reali nel mondo nidificano prevalentemente sugli alberi!». Forse si potrebbe seguirne il volo? «Certamente bisogna fare così, ma neppure questo è semplice. Per leggere il volo dell’aquila prima bisogna avvistarla. Per questo scopo non ci si può basare solo sul colore, in quanto è facile farsi trarre in inganno ad esempio dagli effetti luminosi del sole. Spesso si scambiano poiane per aquile. Simile è il colore in virtù degli abbagli solari e quasi identico il moto circolare che la poiana compie per individuare le sue prede. Infine le altezze vertiginose a cui si muovono questi rapaci non permettono di distinguere le dimensioni». Insomma, come fare per vedere queste aquile? «Venite a seguire le visite che organizzo d’estate assieme al Parco». A presto allora, sul sentiero delle aquile. Riferimenti: Centro del parco naturale Fanes-Senes-Braies (Tel. 0474 506120 - info.fsp@provinz.bz.it ) www.provincia.bz.it/natura/2803/parchi/fanes/default.htm


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natura

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Le aquile si muovono e cambiano nido decine di volte nella vita. Nel grafico del parco natuale di Fanes Sennes Braies, le aree dove si possono trovare. Meglio comunque osservarle in volo. Inutile e dannoso mettersi a caccia dei nidi.

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alta badia - mondo

PATAGONIA BY WATER Testo e foto di Marcello Cominetti

Una guida alpina di Corvara alle prese con una traversata, dall’Oceano Pacifico all’Atlantico, dai fiumi, laghi e ghiacciai della Patagonia cilena alla pampa argentina. Un’avventura affrontata a bordo di una canoa pneumatica e con scorte di «pücia» dell’Alta Badia sottovuoto

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l mio amico Lorenzo Nadali e a me venne un’idea fantastica: attraversare da un capo all’altro la Patagonia. Era il 1996 e iniziammo a pensare a come realizzarla. Mare, ghiaccio, fiumi, laghi, ancora fiumi e ancora mare: dal Pacifico all’Atlantico. Per rendere realtà questo nostro sogno ci occorrevano un’ottima salute e , ahimé, dei soldi . Buona parte delle spese di viaggio le abbiamo coperte grazie al premio che abbiamo vinto partecipando al Polartec Challenge, concorso che premia le spedizioni sportive più originali e in sintonia con l’ ambiente. Il mezzo per navigare lo immaginavamo senza sapere che esisteva già. Si trattava di una canoa pneumatica costruita da una ditta austriaca. I nostri sponsor personali, visto che siamo due alpinisti professionisti, ci hanno vestito dalla testa ai piedi e grazie alla qualità dei loro prodotti non abbiamo lamentato nessun problema.

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Puerto Natales, in Cile, ci imbarchiamo su una scomodissima nave cargo e dopo due giorni di viaggio, la notte del 24 dicembre 2000, sbarchiamo a Puerto Eden sull’isola Wellington: 200 persone e una manciata di case lungo i circa 1500 chilometri di costa che si affaccia sull’Oceano Pacifico tra i famosi «40 ruggenti e 50 urlanti». Che questo sia il mare più tempestoso del mondo non facciamo fatica ad accorgercene quando salpiamo il giorno di Natale a bordo della «Sandìa», la nostra canoa stracarica, così battezzata perché dal colore somiglia a una grossa e succosa fetta di anguria – sandìa, appunto, in spagnolo. Leviamo gli ormeggi sotto una pioggia battente e dal molo ci osservano preoccupate poche persone. Qualcuno ci saluta con affetto, altri ci danno già per annegati; per fortuna la Capitaneria di Porto non si accorge di nulla (la visibilità è di pochi metri) perché non abbiamo con noi dotazioni di sicurezza, che peserebbero troppo. Abbiamo soltanto due salvagenti gonfiabili che ha prodotto per noi la una ditta di Genova, modificando un modello approntato per gli aerei di linea (a cosa serviranno lassù non si sa) e che noi speriamo vivamente di non collaudare! Piove a dirotto e lo farà ininterrottamente per 16 giorni, se si escludono una decina di minuti. Appena lasciata la baia di Peurto Eden forti correnti ci spingono nella direzione giusta, e, nonostante la pioggia, pagaiare è un piacere: siamo soli dove avevamo tanto desiderato di essere. Non abbiamo con noi nessun mezzo di


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alta badia - mondo comunicazione né di navigazione. Una bussola, che non useremo quasi mai, è l’unico nostro strumento tecnico. Con molta fortuna e, bisogna dirlo, altrettanta perizia, in cinque giorni raggiungiamo il luogo dove dovremmo sbarcare per inerpicarci dentro alle foreste che risalgono i pendii che delimitano l’altipiano glaciale dello Hielo Continental Sur – il grande ghiacciaio che dobbiamo attraversare per oltrepassare la catena delle Ande Patagoniche Australi, e raggiungere così la pampa argentina solcata da grandi laghi e fiumi. Ma dopo diversi giorni e tanti disperati tentativi siamo costretti a rinunciare. La selva è impenetrabile ed è cresciuta a dismisura negli ultimi decenni rispetto alle indicazioni e alle foto in nostro possesso. Altrettanto respingenti sono due ghiacciai, il Trinidad e il Pio XI, che hanno dimensioni molto maggiori rispetto a quanto segnato sulle carte. Il Trinidad ha inghiottito il rio omonimo e si tuffa in un lago di recente formazione che comunica direttamente con il mare. Il Pio XI misura ben 12,5 chilometri.

in più di quanto descritto sulla carta dell’Istituto Geografico Militare Cileno aggiornata al 1974. Non sto qui a raccontare le peripezie dei nostri tentativi di raggiungere l’altipiano glaciale, ma posso garantirvi che decidiamo di tornare indietro solo quando il buon senso ce lo suggerisce. Quasi trenta chilometri sul Pio XI, tra crepacci, seracchi e traballanti torri di ghiaccio che ogni tanto precipitano a pochi metri da noi, ci fanno capire che non è il caso di insistere. Laghi enormi formatisi da poco e dalle sponde poco rassicuranti, ci costringono a lunghe e estenuanti digressioni. Un ultimo tentativo ci metterebbe in condizioni di non poter tornare e i viveri non sarebbero sufficienti per portare a termine la traversata. Puntiamo così la prua nella direzione da cui eravamo partiti, ma questa volta la fortuna non ci è amica. Nelle prime ore di navigazione un vento da Nord gonfia la nostra vela ma presto prende a soffiare con una forza che diventa troppa per la nostra piccola e instabile imbarcazione.

«Nessun apprecchio tecnico. Solo una bussola»

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Purtroppo la costa occidentale del Seno Eyre è per molti chilometri priva di approdi naturali e le pareti rocciose precipitano verticali sul mare. Così, per una intera giornata, siamo costretti a navigare a velocità impressionante planando su onde enormi che non ci permettono un controllo ideale del nostro mezzo. Eppure non ci rovesciamo, e riusciamo a percorrere tutto il fiordo più inospitale del Cile in un giorno solo! Doppiamo quello che noi battezziamo il Cabo de Paura, ci immettiamo nel Canal Grappler, e una famiglia di delfini ci scorta fino quando, a notte fonda, raggiungiamo esausti una spiaggetta dove ci possiamo accampare. Il rientro fino a Puerto Edèn è durissimo perché non abbiamo mai corrente favorevole e perché il nostro morale non è dei migliori. Aspettiamo una settimana e finalmente la nave ripassa e ci riporta a Puerto Natales. Si tratta ora di ritrovare la motivazione giusta per andare fino ai piedi del Fitz Roy e da lì riprendere la traversata, preso atto che l’idea originaria è fallita perché non siamo riusciti ad attraversare

«Ci accorgiamo che il mezzo che avevamo pensato esisteva già»:


«Si spengono le luci sul Cerro Torre. Le acque del lago diventano nere»

i ghiacci. In pochi giorni ci ritroviamo sulle rive del Rio Electrico, le montagne sono avvolte nella solita tormenta e il vento patagonico soffia forte e puntuale. Anche il Rio de Las Vueltas scorre rapido sotto la nostra chiglia pneumatica e non ci pare vero di avere corrente sempre a favore e velocità costante anche quando non remiamo. Altro che oceano! La corrente si fa più forte e le rapide più aggressive in prossimità di una stretta gola sulle pendici del Cerro Cangrejo: una cascata fragorosa ci impone una deviazione di un paio di chilometri via terra e poi via di nuovo in discesa. In un solo giorno siamo laddove sapevamo fin dall’inizio che sarebbe stato tutt’altro che facile avanzare: il Lago Viedma. Questo enorme lago pedemontano di origine glaciale ha dimensioni tali che sembra un mare e a noi tocca attraversarlo tutto nel senso della lunghezza (90 chilometri) e poi della larghezza (35 chilometri) per venire infine risucchiati dalle acque del suo emissario, il Rio La Leona. La catena delle Ande Patagoniche Australi costituisce la sponda occidentale di questo enorme bacino dove si getta il Ghiacciaio Viedma proveniente dallo Hielo Continental e i forti e freddi venti dell’ovest fanno

formare onde di qualche metro di altezza che presto ci costringono a una navigazione piuttosto accorta. Passa un intero giorno mentre in bilico sulle creste ondose cerchiamo disperatamente di non imbarcare acqua quando queste ultime si infrangono spontanee in perfetti «tubi» orizzontali. Questo lago, se non fosse per la bassa temperatura dell’acqua, sarebbe il paradiso del surf. Noi però, e per fortuna, abbiamo solo l’attrezzo sbagliato. Anche se fa più freddo, questo ambiente è molto più gradevole dei fiordi piovosi del Cile, e noi lo attraversiamo soddisfatti nel vento che soffia da ovest ad est: la nostra direzione. Il morale è risalito al massimo e iniziamo a pensare che, se pure abbiamo fallito i nostri propositi originari, stiamo facendo una cosa davvero bellissima. Sul Viedma il tempo però è scandito dalla paura e raffiche di vento irregolari e fortissime sembrano darci la caccia. Siamo in mezzo al lago e non abbiamo nessuna possibilità di ripararci. Quando il vento aumenta sappiamo che, poco dopo, arrivano onde più grandi, perché l’aria viaggia più veloce dell’acqua. È facile capire che la velocità del vento supera sovente di molto i cento chilometri orari e la nostra piccola vela

rigida ci fa letteralmente volare sulle onde fino a quando una più grossa delle altre, con la complicità del vento, ci ribalta come fossimo stati un fuscello. Non diciamo una parola, nuotiamo senza affanno, recuperiamo pagaie e raddrizziamo la nostra canoa con una coordinazione perfetta - come quando si fa un gesto ripetuto migliaia di volte. Solo quando ci guardiamo negli occhi sappiamo di essere quasi salvi, sulla nostra Sandia. Con qualche centinaio di litri d’acqua dentro, la canoa è ingovernabile sulle onde e remando come ubriachi intirizziti dal freddo ci spingiamo a fatica verso riva, ma un altro gigantesco muro d’acqua gelata ci catapulta sulla spiaggia sassosa. A terra ci lecchiamo le ferite, accendiamo un fuoco e montiamo la tenda. Indossiamo vestiti asciutti e stendiamo al vento quelli bagnati che si asciugano in un minuto. La radiolina AM trasmette che l’Europa è messa in ginocchio dalla catastrofe «mucca pazza» mentre Lorenzo cucina un cous cous con tonno e io rimescolo le braci nel fuoco scaldando il pane per la cena: le «pücie» del forno di Corvara messe sottovuoto. Per un momento mi sembra di essere a casa, ma manca per fortuna ancora molto tempo.

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alta badia - mondo Si spengono le ultime luci sul Cerro Torre e sul Fitz Roy e il lago diventa da blu a nero prima che le stelle della notte australe lo ridipingano di una luce metallica colore argento che fa risaltare le onde sempre più grandi e che ci fa sentire sempre più piccoli e dispersi in questo fantastico luogo. Ci piace essere qui circondati da questa «ruvidità» che fa sentire vivi. Il giorno seguente si fa fatica a stare in piedi per il vento, le nuvole lenticolari corrono all’impazzata nel cielo e si disperdono nella pampa come in un film a velocità aumentata e non ci costa nulla fermarci un giorno ad aspettare che il vento plachi la sua furia. L’alba del giorno seguente è calma e limpida e le montagne si esibiscono in uno spettacolo sublime, le luci radenti e le forme della Terra ci lasciano senza parole: abbiamo paura di disturbarci a vicenda. Si riparte! La sera siamo all’hotel La Leona, una baracca che accoglie i viaggiatori e che una volta, prima che fosse costruito un ponte in cemento armato, dava ospitalità

a chi aspettava la chiatta per essere traghettato dall’altra parte del Rio. Il Rio La Leona è il più bel tratto d’acqua che abbiamo percorso: veloce, mai preoccupante, soleggiato e ventoso. In un giorno ne percorriamo tutti i 70 chilometri prima di entrare nel lago Argentino, il più grande del paese. Percorriamo piacevolmente i dieci chilometri di lago in totale assenza di vento prima di venire risucchiati dal potente Rio Santa Cruz, che circa quattrocento chilometri dopo sfocia nell’Oceano Atlantico. A scandire il passare dei chilometri sono le numerose «estancias» abbandonate dai coloni che vennero ad abitare queste terre dopo averle rubate agli indios Teuelches. Sono giorni indimenticabili che scorrono lenti e gorgoglianti, come le acque di questo grande fiume. Ci perdiamo e perdiamo la nozione del tempo tra mille anse dal raggio indefinito, crediamo di vedere il mare dietro ad ognuna di esse, quando, finalmente, all’orizzonte si staglia contro l’infinito l’Oceano.

Quando siamo ormai certi di essere arrivati ci imbattiamo nella marea oceanica atlantica che ci costringe ad atterrare su quella che credevamo essere la costa e che invece è un banco di sabbia isolato. Rischiamo di annegare a poche ore dalla meta ma ci imponiamo di continuare fino a quando non raggiungiamo Puerto Santa Cruz. A notte fonda ci ritroviamo nella discarica della città: ci tocca ancora scalare un altissimo recinto metallico costellato di pezzi di spazzatura che il vento spiaccica contro il filo spinato. In cima sventola un grosso reggiseno di pizzo viola. Dall’altra parte le luci della città. Sono passati quasi sessanta giorni dalla nostra partenza. Un ristorante d’altri tempi è ancora aperto, una cameriera dall’aspetto dimesso ci serve ricche bistecche e ci chiede da dove veniamo. Poi, senza ascoltare la nostra risposta, riprende a guardare stancamente la televisione a volume altissimo e a fumare una sigaretta. L’acqua è finita, ci beviamo una birra, purtroppo siamo arrivati davvero.

LE GUIDE ALPINE DELL’ALTA BADIA Chi vuole mettere alla prova la sua passione per la montagna, chi vuole condividere avventure ed emozioni in massima sicurezza, non ha molte alternative, gli serve una guida alpina. In zona il punto di riferimento è Alta Badia Guides. La scuola di alpinismo che in ogni stagione propone attività sempre nuove ed avvincenti, organizzate con persone preparate ed entusiaste. Per l’estate vengono proposte varie attività: semplici escursioni su sentieri di vario livello, le tradizionali ascensioni su vie ferrate e inoltre sono previsti corsi di gruppo per varie attività, lezioni arrampicata su struttura artificiale e palestre naturali. Ogni settimana viene proposto un corso base di alpinismo per principianti della durata di due giorni durante il quale sarà possibile apprendere le nozioni di base per affrontare la montagna in massima sicurezza. Le Alta Badia Guides si trovano a Corvara, strada Col Alt 94 o sul sito www.altabadiaguides.com. CHIARA MALTAGLIATI



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Bun apetit L

a cucina ladina è nota per le sue ricette semplici, ma allo stesso tempo gustose e facili da preparare. Data la sua particolarità, spesso molti turisti si incuriosiscono e ci si avvicinano partecipando a dei corsi di gastronomia che vengono organizzati, durante tutto l’anno, in alcuni masi della valle. I piatti, non elaborati e creati con ingredienti semplici e legati al territorio, sono sempre molto graditi all’ospite che soggiorna nella terra ladina. Molte sono le caratteristiche che denotano questa cucina tradizionale e la genuinità delle sue pietanze. Tra le zuppe più rinomate troviamo la «panicia», ossia la zuppa d’orzo, mentre tra i primi abbiamo molti cibi fritti, come i «cajincì arestis» ripieni di spinaci e ricotta oppure patate e un pizzico di cipolla, solamente ricotta o papavero, «les turtres», delle tipiche frittelle ripiene con spinaci e ricotta oppure con crauti che vengono cotte nell’olio bollente o le «fëies da soni» accompagnate dai crauti e che venivano preparate un tempo da alcuni contadini come pasto per il sabato. Oppure altri piatti più leggeri come i «cajincì t’ega», delle mezzelune che possono avere come ripieno spinaci e ricotta, e, ancora, «les bales» ossia i canederli. Molti sono anche i dolci ladini che presentano una loro singolarità, tra i più noti ci sono «les furtaies», un dolce fritto che veniva preparato un tempo in occasione di un matrimonio come segno di buon auspicio, o le «cütles da pom», un impasto di mele tagliate a fettine e successivamente fritte. La cucina ladina usa i prodotti che la terra offre e che i contadini ricavano dal loro lavoro quotidiano, come ad esempio il burro o il formaggio zigher, un formaggio particolare e forte che viene usato per preparare gli «gnoch da zigher», degli gnocchi morbidi simili ai canederli. Inoltre vi sono delle pietanze che non sono conosciute da tutti i turisti o che spesso non si riescono a degustare nei ristoranti della zona, alcuni di essi sono piatti che le famiglie contadine preparano ancora oggi, quali lo «scartè», un piatto a base di latte e farina d’orzo o di frumento oppure la «jüfa», una zuppa preparata con latte fresco, che in passato veniva usata come alimento per i bambini.

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Breve guida alla cucina ladina, dai piatti famosi come i cajincì, allo scartè, per soli indenditori di Concetta Bonaldi Foto di Daniel Töchterle


Così si fanno i «cajincì arestis» Tempo di preparazione: 2 ore e mezzo Difficoltà: media Porzione: per 4 persone Ingredienti per l’impasto: 500 gr di farina, 200 ml di latte, 30 gr di lievito, un cucchiaio di zucchero, 3 uova, 50 gr di burro, una scorza di limone grattugiata, mezzo bicchierino di grappa bianca, 300 gr di ricotta, un pizzico di sale e 400 gr di patate lesse passate. Ingredienti per il ripieno: 300 gr di spinaci, 200 gr di ricotta, sale. Preparazione: Prendete il latte, il lievito, lo zucchero e mischiate il tutto lasciandolo riposare per 20 minuti. Aggiungete la farina e tutti gli altri ingredienti, mischiate con un mestolo di legno fino a conseguire una pasta densa che lascerete riposare per altri venti minuti circa. Successivamente stendete la pasta e con l’aiuto di un formino ritagliate dei dischetti alti circa un centimetro, riempiendoli con il ripieno a base di spinaci e ricotta. I cajincí assumeranno la forma di mezzelune, quindi poneteli su una superficie a debita distanza e lasciateli lievitare per un’ora, dopodiché friggeteli nell’olio bollente.

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La banda musicale di badiA Di Carlo Suani

È risaputo che i ladini abbiano grandi doti musicali. Se essi godono di questa fama fuori valle, vuol dire che i vicini hanno apprezzato e ancora apprezzano la loro musica e il loro canto. Senza talento musicale, nelle valli ladine non avrebbero potuto affermarsi musicisti quali Jan Batista Runcher di Badia, Matî Ploner della Val Gardena e Luigi Canori della Val di Fassa.

I primi musicanti

Foto: archivio Banda musicale di Badia

Un documento dell’archivio parrocchiale di Badia, risalente al 1705, riferisce che già nel 1703 a Badia c’erano cantori e violinisti che abbellivano le celebrazioni liturgiche. Secondo la vox populi pare che una banda musicale abbia suonato nel 1758 in occasione della messa novella del reverendo V. M. Mayerhofer di Coburg e Anger, così come nel 1774, in occasione della messa novella del reverendo Baldassè Costalta (1745 – 1809). Mancano tuttavia testimonianze scritte in proposito. Molte persone delle generazioni addietro hanno sempre sostenuto che la banda musicale di Badia

sia decisamente più antica di quanto le testimonianze scritte attestino. Si sa che nel 1835 la banda di Badia eseguì una «solenne funzione di Rorate con musica», come dimostra un documento coevo dell’archivio parrocchiale. Con ogni probabilità la colonna portante di allora era il contadino Felix Valentin (1765 – 1836) del maso Schwarz di Valgiarëi. Più avanti si trova la testimonianza che Sepl Valentin (1796 – 1872), un figlio del suddetto contadino, andò nella Foresta Nera a imparare il mestiere di orologiaio e costruttore di strumenti. Non è chiaro se il nome del maso Schwarz a Valgiarëi abbia origine o meno da questo fatto: già prima del 1800 c’era una famiglia Schwarz a Sotvalgiarëi. Dopo i due Valentin, dal 1853 al 1867 la banda musicale fu diretta dal maestro e organista del paese, Jan Evangelist Flatscher, del maso Valacia (da tempo abbandonato). Questi per primo insegnò ai musicanti a leggere gli spartiti, poiché fino ad allora si suonava a memoria e si improvvisava a orecchio. La banda musicale, costituita agli inizi da appena una dozzina di elementi, si esibiva in occasione delle principali festività, suonando durante la processione e offrendo un concerto all’aperto dopo la messa.

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Il 12 giugno 1912 la banda di Badia ebbe l’onore di rivolgere un saluto musicale al principe arciduca Eugen di Asburgo che, in rappresentanza dell’imperatore, si stava recando all’inaugurazione del monumento di Catarina Lanz a La Pli de Fodom / Pieve di Livinallongo. Non pochi musicanti caddero nel corso della prima guerra mondiale. Il maestro Vittur, scampato alla guerra, morì però nel 1922, neppure cinquantenne, minato nella salute dagli stenti seguiti agli eventi bellici. Il vuoto fu colmato per breve tempo dal contadino Sepl Pitscheider da Sotćiastel.

Nuovo maestro e nuovi costumi Nel giovane contadino Giuvani Valentin da Valgiarëi (1904 – 1994) la banda di Badia trovò un maestro assai valido e dotato: si può dire che egli avesse la musica nel sangue. Diresse la banda per più di 40 anni, portandola ad alti livelli. La banda ha potuto dimostrare la sua bravura in occasione di numerosi concerti e concorsi. Valentin non ha lesinato tempo e fatiche nel mettere a disposizione degli altri il suo grande talento musicale. Per recarsi alle numerose prove, affrontava anche sotto le intemperie la lunga strada che

separa il maso dal centro del paese. Nel 1958 è stato eletto il primo presidente Felize Flatscher da Ćiaminades, il quale stilava i verbali e teneva la cassa. Per interessamento del neopresidente i musicanti hanno ricevuto nel 1958 un costume nuovo, e assieme a esso nuovo slancio e nuove motivazioni. A partire dal 1966 la banda è stata diretta per pochi anni da Franz Valentini, del maso Frëinademez. Da anni è attivo anche il complesso da ballo, la cosiddetta Böhmische che suona occasionalmente ai matinée negli alberghi locali e in svariate manifestazioni. Il gruppo è composto da circa 20 elementi e indossa un proprio costume.

L’era dei fratelli Pescoller Nel 1969 Felize Flatscher ha passato la presidenza a Erich Pescoller, figlio del sagrestano. Nel ruolo di capobanda si sono avvicendati Lois Willeit di la Pli de Mareo / Pieve di Marebbe e Bruno Pescoller, fratello del presidente. Nel 1978 la direzione è passata al giovane, talentuoso e dinamico Fridl Pescoller, fratello di Bruno, incarico che egli ricopre tutt’oggi. Con sapere e diplomazia Fridl ha portato la banda a un alto livello, trasmettendole motivazione, gioia ed entusiasmo. Ciò spiega perché il sodalizio conti oggi più di 70 membri, tra i quali molti giovani talenti. L’entusiasmo dei più giovani è accresciuto dall’esecuzione di melodie e brani più moderni. Non resta altro che auspicare successo crescente alla banda musicale di Badia che festeggia il suo giubileo, augurando ai suoi numerosi membri entusiasmo, generosità e gioia nel fare musica. A essa spetta il compito di conservare e valorizzare un pezzo importante di storia della musica che proviene in gran parte da compositori locali.

Foto: Freddy Planinschek

Nel 1875 padre Ujöp Freinademetz disse la sua prima messa a Badia, e la cerimonia venne abbellita dalla banda musicale. Nella persona del maestro e organista Paul Vittur (1872 – 1922) la banda di Badia ricevette nel 1893 un direttore molto competente. All’epoca, dato che in valle si celebravano numerose messe novelle, la banda di Badia veniva invitata spesso anche in altre località, per rendere più solenni le cerimonie con le sue melodie. Soltanto pochi paesi disponevano di un proprio gruppo strumentale.

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ABITARE ECOLOGICO di Alessandro Fregni Dal risparmio energetico di Casa Klima alla bioedilizia, fino all’ultima frontiera delle case ecocompatibili. Partita dagli Stati Uniti, in Europa è arrivata da un po’ e l’Alta Badia si candida a diventare un punto di riferimento anche in questa tecnica che coniuga elementi naturali e ricerca scientifica

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’Alto Adige da lungo tempo si presenta come culla di evoluzioni architettoniche ed innovazioni nell’arte delle costruzioni. Alla tradizionale politica accorta e lungimirante nelle questioni legate al territorio si accorda bene lo spirito innovativo e precursore della popolazione e degli imprenditori locali. Questa

attitudine si è ampiamente esaltata con l’ultimo decennio, all’insegna delle sfide «verdi», in cima al dibattito pubblico in tutto il mondo occidentale. Investimenti importanti si sono susseguiti per raggiungere standard di eccellenza nell’edilizia, con numerose aziende che si sono affermate a livello internazionale. L’espressione più riconosciuta in questo senso è la Casa Klima, un concetto che racchiude una serie di elementi che garantiscono un cospicuo risparmio energetico rispetto alle tecniche di costruzione tradizionali. Oggi tutti i nuovi edifici in Alto Adige sono tenuti ad essere certificati Casa Klima. ltre a questi standard di qualità in provincia si sono anche impostati dei modelli di cultura abitativa più radicali che cambiano il concetto di spazio utile in spazio di benessere. Il benessere coincide con una ritrovata armonia con la natura, seguendo criteri che conducono a migliorare l’abitazione non solo nel senso del risparmio energetico, ma anche in quello di uno studio ergonomico delle architetture in senso antropico-ambientale. Non a caso nasce ancora nel lontano 1991, a Bolzano, l’Istituto Nazionale di Bioarchitettura, ad opera del celebre Ugo Sasso recentemente scomparso. n termini di nuova architettura molto viene fatto da anni anche in Val Badia, con una ritrovata attenzione per le caratteristiche anche strutturali e non solo decorative del legno è stato riscoperto il materiale più nobile e tipico della montagna. Uno dei modelli più innovativi che rendono ancora una volta la nostra terra all’avanguardia nella sperimentazione si sta avverando in questi mesi a La Valle, in località Furnacia. Stefano Serafini,

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agrotecnico e commerciante, è un socio fondatore della Cooperativa Casa di Paglia (Casadipaglia. it), nata nel 2009 con l’intento di promuovere una nuova tecnica, basata sull’utilizzo delle balle di paglia. «Ho scoperto questo nuovo sistema di costruire qualche anno fa», ci spiega Stefano. «In realtà questa tecnica non è nuova ma nasce negli Stati Uniti già a metà dell’800. Come spesso a c c a d e i motivi sono indotti dall’ambiente: difficile trovare il legname o le pietre adatte ad elevare le case nel mezzo delle sterminate praterie del Nebraska! Sono le prime macchine imballatrici a fornire l’idea di utilizzare il ricavato della lavorazione come “mattone” per costruire le case. La nuova casa si basa su ballette di paglia 35x45x90cm circa». l risultato è un edificio a basso impatto ecologico con dei coefficienti di coibentazione degni dei più alti standard Casa Klima. In particolare uno scorcio alle caratteristiche tecniche fa emergere la capacità d’isolamento termico molto superiore rispetto ai materiali più comunemente usati, rispetto al peso specifico del materiale che è molto minore. In altre parole una casa in paglia isola di più rispetto al mattone, pur pesando la metà. Ci sono importanti ripercussioni, come spiega Stefano Soldati, il primo promotore in Italia delle balle di paglia: la paglia costa molto meno. Inoltre la paglia, con la sua particolare compressione in balle, ha anche una funzione portante, riesce cioè a sostenere la costruzione coniugandola immediatamente con il valore isolante. na delle cose che mi hanno maggiormente incuriosito riguarda la possibilità di portare questa tecnica, nata e valorizzata in pianura, sui pendii dolomitici. Come può un materiale, apparentemente così fragile e sensibile, resistere alle severe condizioni climatiche della montagna? La casa che Serafini sta costruendo è a circa 1.550 mt. slm. in prossimità di un pendio. «Ci sono case di paglia sulle montagne tedesche ed austriache. Anche nella vicina Val Venosta abbiamo un bel esempio. Le performace sono eccellenti». Stefano racchiude con un’immagine

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tutto il discorso: «La casa deve avere un buon cappello e delle ottime scarpe. L’edificio deve essere rialzato almeno 30 cm da terra, parliamo di un “vespaio areato” verso le fondazioni. Il tetto invece può essere costruito in varie modalità purché abbastanza spiovente». Un altra caratteristica importante e specifica di questa tecnica è l’intonacatura che può essere fatta con materiali assolutamente ecologici e biologici. Nel caso di Stefano gli intonaci esterni sono in calce, i quali si adattano con estrema facilità alla paglia. Per far aderire l’intonaco al legno ci avvaliamo di un canniccio come quelli utilizzati una volta per i soffitti, una sorta di fodera di canne. Le pareti interne invece vengono intonacate con argilla, che ha un effetto catalizzatore per le caratteristiche traspiranti della paglia. omandiamo a Stefano Serafini se per la sua Cooperativa ci sono prospettive di lavoro anche in altre parti della penisola. «Questo sistema è applicabile sia in contesto urbano che rurale e l’interesse in ascesa verso il risparmio energetico contribuisce a far lievitare le richieste, a Luglio 2010 saremo in Liguria, in Val di Vara (SP) per realizzare un’agriturismo. Il nostro obiettivo è quello di costruire case capaci di far vivere bene, e non far ammalare, la gente che le abita e fare risparmiare. La nostra forza sta nel coniugare tecnica e pratica grazie al lavoro di squadra di un ingegnere e di un geometra. Non ci sono dubbi sul fatto che la paglia e il legno siano di gran lunga più salutari rispetto al cemento armato oggi così utilizzato ed abusato. Tutto questo viene garantito evitando l’uso di metalli che provocano distorsioni magnetiche e scegliendo in ogni caso tipi di cemento e calce naturali senza l’utilizzo di componenti chimici che producono esalazioni tossiche». Cari lettori, ora a voi la scelta di come costruire la vostra prossima casa.

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Gli artig del iani l’Alta B adia

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atura, cultura, folclore sono solo alcuni degli elementi che caratterizzano l’Alta Badia e che rendono questa località dolomitica famosa in tutto il mondo. Una località, la cui economia si fonda sul turismo, ma che non ha dimenticato le sue origini e le sue tradizioni: una fra queste, l’artigianato. La realizzazione a mano, o per mezzo di semplici strumenti di lavoro, di utensili decorativi e non, accompagna da sempre la storia e la cultura del popolo ladino. mestieri artigianali in Alta Badia e, più in generale nelle vallate ladine, hanno origini molto lontane. I primi stanziamenti umani caratterizzati da attività agricole e pastorizie, risalgono all’età del Bronzo e del Ferro. Per trasformare i boschi in prati e campi coltivabili, l’uomo iniziò a costruire degli strumenti da lavoro: nacque così l’artigianato. I contadini vivevano in masi, gruppi di case isolate; dovevano produrre i mezzi necessari per sopravvivere utilizzando le materie prime che avevano a disposizione. Con il lino e la canapa realizzavano stoffa; con la lana, il loden. Scarpe, funi, cinghie e fruste venivano fabbricate con le pelli degli animali. Il grano veniva macinato e usato per preparare un tipo di pane che veniva cucinato una sola volta all’anno e poi consumato secco. Il mestiere del contadino non era molto

di Katia Pizzinini

remunerativo. In inverno, quando non dovevano lavorare la terra, i contadini esercitavano perciò un secondo lavoro. Un lavoro artigianale, per cui si improvvisavano tessitori, sarti, carpentieri, funaioli. Alcuni di loro erano giorovaghi, artigiani itineranti. Calzolai, sarti e merlettaie venivano ospitati nelle case per sistemare o creare abiti e calzature. Carpentieri

Tessuti e legno, come un secolo fa

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e falegnami riparavano e costruivano abitazioni, mezzi di trasporto e strumenti di lavoro. Il mestiere del girovago era molto aprezzato: per gli adulti era un’ottima occasione per trascorrere del tempo in compagnia e i bambini osservavano con grande stupore i maestri all’opera. a tecnologia e la modernizzazione hanno portato alla crisi di molti mestieri artigianali. Mestieri, che hanno caratterizzato la storia delle vallate ladine, ma che stanno ormai scomparendo. I mestieri del bottaio (produttore di botti), del cardatore (filatore addetto alla cardatura della lana), del conciatore e del funaiolo non esistono più. Ricordi e vecchie fotografie sono gli ultimi testimoni di questi antichi mestieri. Molti artigiani sono costretti a cambiare lavoro, non riuscendo a far fronte ai ritmi forsennati del progresso. L’industrializzazione ha tuttavia dato

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vita a nuovi mestieri artigianali come quello del meccanico, dell’elettricista e dell’idraulico. n Alta Badia, nei comuni di Corvara e di Badia, ci sono varie aziende artigianali che contribuiscono al panorama economico in modo incisivo, pur non dominandolo. Il centro artigianale più importante si trova nel comune di La Valle, nella frazione di Pederoa. Si tratta di un centro artigianale in forte espansione, nato all’inizio degli anni Novanta. Il successo di quest’area è dovuto soprattutto alla posizione geografica. Infatti, artigiani come il mugnaio, il conciario e il fabbro impararono a sfruttare l’energia idrica e si stabilirono vicino a fiumi e ruscelli. La zona artigianale di Pederoa è costeggiata dal fiume Gadera. In questa zona si insediarono anche altri artigiani: falegnami, carpentieri, elettricisiti, pittori, pavimentisti, restauratori, piastrellisti, tessitori artistici, muratori, e molti altri. L’area artigianale vanta una lunga tradizione di tessitura a mano, un’attività che ha tuttora un grande successo. L’artigianato di La Valle è rinomato anche per la tradizione della falegnameria: le cassapanche finemente intagliate sono degli esempi di cultura popolare. Non poteva mancare la decorazione muraria e di grandi facciate, il restauro del legno, in particolare delle Stuben. E poi, più recentemente, tutte le attività legate alla bioedizia. Passato e futuro si fondono nei lavori degli artigiani ladini.

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Alcune delle produzioni degli artigiani dell’Alta Badia. Il legno è sempre presente, protagonista dell’artigianato artistico. Frequente il recupero di vecchi mobili dell’Alto Adige e lavori di restauro legati all’edilizia sudtirolese. La tessitura non tramonta mai e mantiene il meglio dei tempi passati. Una lavorazione a mano, spesso su telai di legno, e texture uniche. Foto: Daniel Töchterle

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DEUTSCH

S ommerwanderung von San Cassiano zum Heilig-Kreuz-Hospiz Text von Giulia Castelli Gattinara Foto von Mario Verin

Wer fremd im Tal ist, kennt nur zwei Jahreszeiten in den Dolomiten: Sommer und Winter. Verständlicherweise - denn das außergewöhnlich gut ausgebaute Netz der Lifte erleichtert den Aufstieg für Skifahrer und Wanderer enorm, sodass sie sich wie kaum irgendwo sonst auf der Welt sogleich mitten im Herzen des Felsenlandschaft wiederfinden. So viel für jeden zugängliche Schönheit auf einmal besteht auch gegen die überlaufenen Hütten und klobigen Liftstationen. Dann aber gibt es noch zwei andere, eher stumme Jahreszeiten, wenn der Schnee entweder noch nicht ganz weggeschmolzen ist und es die Tiere Richtung Tal zieht, auf der Suche nach den ersten, frühen Grashalmen - oder wenn die ersten Flocken fallen und langsam die Gipfel eindecken, während von den Alpen rund um die Stadel bereits das Heu geerntet wurde. Das sind Frühling und Herbst, Zwischenspiele reich an Hoffnungen und Vorahnungen. Noch ist die Schule nicht vorbei, oder sie hat erst gerade begonnen, lange Ferienzeiten sind unmöglich, nur kurze Wochenenden inmitten der Landschaften des still gewordenen Gadertals. In diesen Jahreszeiten durchzieht ein Zauber die Natur, der unsere Sinne in die Welt von Fabeln und Märchen entführt. Der Wanderer findet auf seinem Weg zurück zu sich selbst und vielleicht auch ein wenig von jenem Gespür für das Heilige wieder, das in der Hektik des städtischen Alltags verlorengegangen ist. Ein lebendiger Wald empfängt ihn mit seinen Düften, während er die Etappen eines in Öl gemalten Kreuzwegs unter Tannen und Lärchen zu Füßen des Reiches von Fanes nachvollzieht. Aus dieser berückenden Schönheit müssen die Legenden der Dolomiten entstanden sein. Sie bevölkern die Felsgrate mit Feen, Königen und Zwergen, Alpenrosen, Edelweiß, dem Azur der Bergseen und rosa Sonnenuntergängen, in deren ungewissem Licht sie neckisch auftauchen und wieder verschwinden. Ihre umständlichen Verstrickungen wurden über Jahrhunderte nur mündlich übermittelt und erst im vergangenen Jahrhundert endlich durch Karl Felix Wolff in seinem Band Die bleichen Berge schriftlich fixiert. Die Wanderung, die wir diesmal vorschlagen, führt durch

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den Wald oberhalb von San Cassiano und durch die Berge von Dolasilla, der tapferen Heldin, Tochter des Königs von Fanes. Wir starten im Wald an den Conturines, einem weiteren legendären Ort, wo auf halber Höhe der Steilwand unter einem Felsendach die alte Burg von Fanes gestanden haben soll. Unser Ziel ist das Heilig-Kreuz-Hospiz (La Crusc) unter dem gleichnamigen Sass dla Crusc. Hier hat der mit dem Reich verbündete Flammenadler gegen Ende der Sage den Berg mit einem Lichtzeichen erleuchtet, wodurch das Eintreten des ersehnten Tages signalisiert wurde. Trotz der Anstrengungen Dolasillas gelang die Zurückeroberung des Reiches allerdings nicht, denn infolge der Gier ihres Königs war der Untergang der Fanes unwiderruflich beschlossen. Die Sage wird heute von einem Kulturverein in La villa unter der Leitung von Susy Rottonara (siehe Kasten) gepflegt und nacherzählt. Ein Kurzfilm, der zwischen dem Falzaregopass und dem Heilig-Kreuz-Massiv spielt, wurde mit der freiwilligen Unterstützung von gut einhundert kostümierten Einheimischen gedreht, die die wichtigsten Episoden der Legende nachgestellt haben. Einmal in der Höhe angelangt, verläuft unsere Wanderung genau unterhalb der Wände, die das Westprofil der Alpen von Fanes begrenzen, wobei wir einen Abhang mäßigen Gefälles queren, der uns jeweils in der Nähe der auf den oberen Alpen angewachsenen Ortsteile aus dem Wald hinaus und wieder hinein führt. Dabei bewegen wir uns auf der Grenze zwischen Weiden und Felsen. Ausgangspunkt ist die Ortschaft Glira-Corjel, circa einen Kilometer von San Cassiano (Richtung Falzaregopass) entfernt. Die Kreuzung der Glira-Straße mit der Staatsstraße durchs Valparola kann mit dem Bus erreicht werden, der an der Abzweigung hält. Wer hingegen mit dem Auto anreist, kann noch etwa 700 Meter weiter hinauf fahren und kurz hinter der Pension Rü Blanc parken, wo die Straße endet. Der Wanderweg wird bereits ab der Abzweigung unten (Bushaltestelle) mit den typischen weiß-roten Schildern markiert: seine Nummer ist 15 A. Nach dem oberen Parkplatz - dessen Erreichen einem etwa 70 m Höhenunterschied erspart - geht es weiter über die weiße Piste, die unter den Bäumen dann zum Pfad wird. Zunächst geht es bergan, geschützt durch eine Holzbrüstung. Wir durchqueren einige Gatter, die die Kühe am Durchgang hindern und queren am Abhang entlang einen nach Harz und Moos duftenden Wald. Der Pfad ist schmal und still, man stößt kaum auf andere Wanderer und erreicht in einer knappen Stunde die Lichtungen und Stadel von Rü, die geschützt unterhalb der mächtigen Felswand des La-Varella-Gipfels liegen. Hier beginnt der “Lärchenweg” mit seinen Informationsschildern, in denen dem Wanderer das Leben des Waldes, das System der Alpen und der Alltag der Bergbewohner nähergebracht werden. So zum Beispiel die Geschicklichkeit der Ladiner, Holzzäune mit unterschiedlichen Verbundsystemen herzustellen, oder auch das Ablesen des Baumalters aus den Jahreskreisen des Hauptstammes. Unser Weg führt nun abwärts zum Ortsteil Lüch-Rüdeferia, wenig oberhalb des CiampidelHauses: einem der ältesten Stadel des Tals, das bereits in einem Pergament des 13. Jahrhunderts belegt ist. Wir gehen nicht ganz bis zum Stadel, sondern folgen dem Wanderweg Nr. 15 in Richtung Heilig-Kreuz-Hospiz. Langsam geht es bergauf, doch bevor wir in den Wald treten, erhalten wir noch einen wunderbaren Panoramablick über das gesamte obere


Gadertal. Der atemberaubende Aussichtspunkt befindet sich auf einem Plateau oberhalb der Kreuzung der beiden Täler, die sich vom Falzaregopass, vom Campolongosattel und vom Grödnerjoch hinab furchen. Vor unseren Augen erhebt sich der langgestreckte Sella-Bergstock, gegenüber der Sassongher. Hinter dieser Aussicht, auf die man nicht verzichten sollte, steigt unser Pfad steil an. Nach etwa einer Viertelstunde stoßen wir auf die Abzweigung des Wanderwegs 12 (den wir nicht einschlagen), der geradenwegs auf die Medesc-Scharte, in Richtung des höchsten Punktes des Fanes-Plateaus, zuläuft. Wir wenden uns nach links (Madonnenfigur und Picknickstelle), wo es weiter bergan geht, bis wir uns auf etwa 2000 Meter Höhe befinden. Die Strecke wird durch die Bilder des Kreuzwegs gegliedert. Bei einem Steg, der die Überquerung einer Feuchtwiese in der Nähe einer oft von Rehen besuchten Alm gestattet, ist der Aufstieg beinahe zu Ende (eine Stunde von Lüch-Rüdeferia). Jetzt wendet sich der Pfad in der Tat nach Norden und beginnt unter den Latschenkiefern am Waldrand eine lange Querung eines Abhangs, die an einigen Stellen großartige Aussichtspunkte erschließt. Wir wandern unter der grauen Dolomit-Steilwand des Heilig-Kreuz-Massivs entlang, deren bedrohliche Höhe uns beunruhigend überragt. Und letztendlich gelangen wir zum Hospiz, wo wir wie die Pilger der Vergangenheit Rast halten dürfen (2100 Meter Höhe; 4 Stunden ab Glira; 600 Meter Höhenunterschied beim Aufstieg, in die Gegenrichtung 100 Meter Höhenunterschied.) Vom Hospiz aus kann man nun zu Fuß absteigen (Wanderweg Nr. 7) oder mit dem Sessellift nach Badia/Pedraces fahren, wo sich eine Bushaltestelle befindet. Traduzione Tobias Saabel

Die Legende von Fanes

Das Königreich von Fanes entsteht durch die Hochzeit zwischen einem tapferen Prinzen und einer Königin, die mit den Murmeltieren verbündet ist, weil sie in ihrer Kindheit von ihnen aufgenommen und in einer Grotte unterhalb der Hohen Geisel beschützt worden war. Aus ihrer Ehe entspringen Zwillinge: Dolasilla und Lujanta. Letztere wird sich selbst in ein Murmeltier verwandeln und verborgen in den Bergen leben, die sie erst nach dem Tod der Schwester wieder verlassen wird. Dolasilla hingegen wird zu einer tapferen Kriegerin, die das Reich von Fanes gegen die benachbarten Völker zu verteidigen versucht.

So kühn sie auch ist - gegen die Listen und die Gier ihres Vaters wird sie nicht ankommen. Eines Nachts, während Dolasilla, die zu jenem Zeitpunkt noch ein Kind war, zur Burg von Conturines zurückkehrte, rettete sie der junge Ey-de-Net vor dem bösen Zauberer Spina-de-Mul (der sich hinterlistig in ein Mautiergerippe verwandelt hatte). Während des Zweikampfs verlor der Zauberer einen leuchtenden Edelstein, Rajetta genannt, den der Knabe der Königstochter zum Geschenk machte. In der Zwischenzeit geschehen weitere Dinge. Die Auronen lebten in den Bergen gefangen inmitten unglaublicher Reichtümer, vermochten jedoch niemals das Sonnenlicht zu erblicken. Dem König von Contrin, Odolghes, gelingt die Befreiung der Prinzessin, und er holt sie an seinen Hof. Die Spitze seines Schwertes wird immer im Gold der Aurona glänzen; das Volk wird zerstreut und sein Schatz für immer und ewig unter den Felsen begraben. Unterdessen schließt der König von Fanes ein Bündnis mit dem Adler, und in der Burg wird ein einarmiges Kind geboren. Als Dolasilla bereits ein junges Mädchen ist, nimmt der König sie mit sich nach Canazai, um das unter einem See verborgene Silber zu suchen. In einer Grotte finden sie Barren und einen Schrein mit Zauberstaub, der jedoch Zwergen gehört, welche ihn zurückverlangen. Dolasilla kommt diesem Wunsch nach und folgt den Anweisungen der Zwerge, um sie von ihrem Bann zu befreien. Durch die Freundschaft mit den Zwergen wird das Mädchen zu einer unbesiegbaren Kämpferin; sie erhält Zauberpfeile und eine undurchdringliche Rüstung, darf jedoch niemals heiraten und muss unbedingt darauf achten, dass ihr weißer Harnisch im Kampf nie die Farbe wechselt. Dolasilla wird mit der Rajetta in Plan de Corones gekrönt, doch ein Pfeil des bösen Zauberers Spina-de-Mul vermag sie dennoch zu verletzen. Daher bittet sie nach ihrer Genesung die Zwerge von Latemar um einen Schild, der auch den Zauberpfeilen zu widerstehen vermag. Dieser Schild aber gerät dermaßen schwer, dass sie nun einen besonders kräftigen Knappen benötigt. Mit List gelingt es dem jungen Ey-de-Net, sich zum Knappen ernennen zu lassen, sodass er sich von nun an stets an der Seite des Mädchens befindet. Die beiden verlieben sich, sind im Kampf unbesiegbar und versprechen einander, nie getrennt zu kämpfen. Doch aufgrund seiner grenzenlosen Gier schließt der König von Fanes ein Bündnis mit seinem schlimmsten Feind, dem Zauberer Spina-de-Mul: diesem soll das Reich übergeben werden, wenn der Zauberer dem König das Gold der Aurona verschafft; sich selbst will der König in den Berg verschließen lassen. Den Knappen, dem Dolasilla versprochen hat, nie ohne ihn zu kämpfen, lässt er fortschicken. Vor dem Kampf gelingt es dem Zauberer mit einer Finte, das Mitleid Dolasillas zu erregen, die deswegen falschen Bettelkindern ihre Zauberpfeile schenkt. Obwohl Dolasilla erkennt, dass das Königreich gegen die Truppen des Zauberers dem Untergang geweiht ist, beschließt das Mädchen, trotzdem den Kampf aufzunehmen. Doch der Harnisch ändert seine Farbe, und Dolasilla, die ihre Zauberpfeile nicht mehr hat, stirbt auf dem Schlachtfeld, während der König am Lagazuoi den Ausgang des Kampfes abwartet. Heute erzählt man sich, dass sein versteinertes Gesicht noch als Relief in der Felswand zu erkennen ist. Nach dem Tod Dolasillas taucht Lujanta wieder an der Burg auf und schützt gemeinsam mit den verbündeten Murmeltieren die Flucht ihres Volkes durch die Berggänge. Einer alten Sage zufolge sollen die Fanes sieben Jahre lang kämpfen müssen, bevor sie ihr ehemaliges Reich zurückerobern.


DEUTSCH Als sie nach dieser Zeit dabei sind, mit den Nachbarvölkern ein Friedensabkommen zu schließen, taucht der einarmige Prinz, der Verbündete des Adlers, auf und sorgt für erneutes Chaos, da ihm die eroberten Gebiete noch nicht genug sind. Er will auch die anderen Gipfel in Besitz nehmen, die einst dem Vater und der Schwester gehörten. Ein grenzenloser Krieg wallt auf; auch ferne Völker stoßen herzu, um die Machtgier der Fanes einzudämmen. So ist das Reich dem endgültigen Untergang geweiht. Von dem Adelsgeschlecht werden lediglich die Königin und Lujanta mit einer Handvoll Frauen und Kindern übrigbleiben; sie suchen unter den Murmeltieren im Herzen der Berge Zuflucht. Der Flammenadler kehrt mit dem Kind des - inzwischen verheirateten - einarmigen Prinzen zurück, um ihm zu verkünden, dass das Reich von Fanes nur wiedererstehen wird, wenn der Knabe sich wieder der Zauberpfeile bemächtigen kann und sich in dem Moment, da die Silberposaunen von den Bergen die große Stunde verkünden werden, am rechten Ort befinden wird. Einstweilen übergibt er ihn der Obhut des Königs Odolghes von Contrin, damit dieser ihn zum Krieger ausbilde. Von hier an wird die traditionell im Fassatal überlieferte Version der Legende berichtet. Nach einer Reihe von Ereignissen erfährt der Enkel des Königs von Fanes, Lidsanel genannt, von einer Vivena die Prophezeiung des Adlers, bevorzugt es jedoch, seiner Pflicht nachzukommen, die verstorbene Geliebte zu rächen. Dadurch versäumt er den Zeitpunkt, zu dem er das Reich des Großvaters hätte zurückgewinnen können. Man erzählt sich, dass alljährlich in einer Vollmondnacht die Königin von Fanes und Lujanta auf einem Boot den Pragser Wildsee umrundeten, um auf den Enkel mit den Zauberpfeilen zu warten. Eines Tages dann ertönten die Silberposaunen, und als sie ihn nicht kommen sahen, sanken sie für alle Zeiten auf den Grund des Sees, wo sie heute noch schlafen.

Stria: ein wunderschönes, in etlichen Fällen teuflisches Mädchen (Hexe). Bekannt sind die Hexentreffen und -reigen, mit denen geheimnisvolle Rituale gefeiert werden. Bregostan: widerwärtiges Wesen, das sich unter anderem von Menschen ernährt; wird gerne struppig, zerlumpt und mit vorstehenden Zähnen dargestellt. Es spricht ein primitives Kauderwelsch und lebt hoch oben bei den Felszacken auf den letzten Alpen. Einige Forscher leiten seinen Namen vom gallischen broga, Grenze, her: “Grenzbewohner”. Orco: Eigenbrötlerisch und böse, scheint dieser Dämon wie dafür geschaffen, den Menschen Schrecken einzujagen. Pavaruk: ein Zwerg, der über Felder und Ernte wacht und sie im Bedarfsfall mit seinen goldenen Sicheln verteidigt. Hat einen riesigen Kopf und enorme Füße. Traduzione Tobias Saabel

Die Musikkapelle Abtei

Traduzione Tobias Saabel

Figuren der ladinischen Mythologie

Es ist weit und breit bekannt, dass die Ladiner sehr musikalisch sind. Wenn sie diesen Ruf auswärts geniessen, dann sind sie bei den Nachbarn infogle ihrer Musik und des Gesanges positiv aufgefallen. Ohne musikalische Talente wären aus den ladinischen Tälern nicht bekannte Musiker hervorgegangen wie Jan Batista Runcher aus Abtei, Matî Ploner aus Gröden und Luigi Canori aus dem Fassatal.

Die ersten Musikanten Salvan: eine Art Waldgeist, der weder böse noch gut ist. Nur selten begibt er sich ins Tal; wenn er dabei auf Menschen trifft, kann er Glück oder Verhängnis bringen. Vivèna-Angana: eine Waldnymphe, die mit den Tieren spricht, die ihr Gesellschaft leisten. Erscheint oftmals in der Nähe von Wasserquellen. Die Nymphe ist sehr scheu; sobald man sich ihr zu nähern versucht, verschwindet sie. Gewöhnlich wird sie in hellen, leuchtenden Gewändern dargestellt. Ondina: Die berühmteste aller Dolomitenlegenden ist die der Ondina, einer Fee, die im Karersee lebt, von wo aus sie den Regenbogen auf die Wasseroberfläche des Sees zaubert.

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Ein Dokument im Kirchenarchif von Abtei aus dem Jahre 1705 berichtet, dass es 1703 in Abtei „ Singer und Geiger „ gab, die den Gottesdienst verschönerten. Volkesstimme will wissen, dass bei der Primiz des Hochw. V.M.Mayerhofer von Coburg und Anger im Jahre 1758 in Abtei bereits eine Musikkapelle gespielt habe, ebenso wie bei der Primiz von Hochw. Baldessé Costalta ( 1745 – 1809 ) im Jahre 1774; einen schriftlichen Nachweis darüber gibt es nicht. Bereits ältere Generationen haben immer wieder behauptet, die Musikkapelle Abtei sei bedeutend älter als die schriftlichen Quellen dies zeigen. Es ist erwiesen, dass die Musikkapelle Abtei bereits im Jahre 1835 „ ein solemnes Rorateamt mit Musik „ bestritten hat , was ein Dokument aus demselben Jahr im Kirchenarchiv von Abtei beweist. Treibende Kraft soll der Bauer Felix Valentin ( 1765 –


1836 ) vom Hof „ Schwarz „ im Weiler Valgiarëi gewesen sein. Ferner wird berichtet, Herr Josef Valentin ( 1796 – 1872 ), ein Sohn des genannten Bauern, habe im Schwarzwald Uhrmacher und Instrumentenbauer gelernt. Ob der Hof in Valgiarëi deshalb den Namen „ Schwarz „ trägt, ist nicht erwiesen; es gab in Sotvalgiarëi bereits vor 1800 eine Familie Schwarz. Nach diesen beiden Valentin hat Jan Evangelist Flatscher vom Hof Valacia ( längst aufgelassen), Lehrer und Organist im Ort, die Musikkapelle von 1853 – 1867 geleitet. Dieser Stabführer hat den Musikanten die ersten Noten beigebracht, während man bisher alles auswendig nach Gehör improvisiert hatte. Die Musikkapelle, die anfänglich wohl nur aus kaum einem Dutzend Musikanten bestand, spielte während der Prozessionen an hohen Festtagen und nach der kirchlichen Feier folgte ein Konzert auf dem Dorfplatz. 1875 hat Pater Ujöp Freinademetz seine Primiz in Abtei gefeiert, die von der Musikkapelle verschönert wurde. Mit dem Lehrer und Organisten Paul Vittur ( 1872 – 1922) bekam die Musikkapelle 1893 einen recht fähigen Musikdirigenten. Bei den damaligen zahlreichen Primizfeiern im Tal wurde die Musikkapelle Abtei eingeladen, auch in anderen Ortschaften des Tales das große Fest mit ihren Klängen zu verschönern. Nu wenige Dörfer hatten damals schon eine eigene Kapelle. Am 12. Juni 1912 hatte die Musikkapelle Abtei die Ehre, den Prinzen Erzherzog Eugen von Habsburg musikalisch zu begrüssen; er war als Vertreter des Kaisers auf dem Weg zur Einweihung des Denkmals von Catarina Lanz in La Pli da Fodom / Buchenstein. Nicht wenige Musikanten hatten im ersten Weltkrieg den Tod gefunden. Kapellmeister Vittur ist mit dem Leben zwar davongekommen, die Strapatzen des Krieges hatten seine Gesundheit aber derart in Mitleidenschaft gezogen, dass er 1922 kaum 50 –jährig verstarb. Die aufgerissene Lücke konnte die Musikkapelle mit dem Bauern Sepl Pitscheider vom Hof Sotćiastel als Kapellmeister kurz überbrücken.

Die Ära der Brüder Pescoller Im Jahre 1968 übergab Herr Flatscher die Präsidentschaft der Kapelle an Herrn Erich Pescoller, ein Sohn des Pfarrmesners. Kapellmeister waren abwechselnd Lois Willeit aus Enneberg ( La Pli ) und Herr Bruno Pescoller von hier. Im Jahre 1978 hat der junge, dynamische und sehr musikalische Fridl Pescoller, ein Bruder der vorgenannten Pescoller, die Stabführung übernommen, die er heute noch innehat. Mit grossem Können und Diplomatie hat er die Musikanten auf hohes Nioveau gebracht. Motivation, Freude und Begeisterung konnte er immer den Musikanten beibringen, ansonsten wäre die Kapelle nicht auf über 70 Mitglieder angewachsen; sehr viele junge Talente sind dabei. Die jungen Kräfte werden auch mit moderneren Melodien für die Musik begeistert. Der jubelnden Musikkapelle Badia / Abtei kann man nur weiterhin viel Erfolg wünschen, den zahlreichen Musikanten weiterhin viel Elan,Begeisterung und Freude beim Musizieren. Die Kapelle bewahrt und fördert ein Stück Musikgeschichte, welche zum Großteil von einheimischen Komponisten stammt. Traduzione Lois Trebo

Neuer Dirighent und neue Tracht Mit dem Jungbauern Giuvani Valentin ( 1904 – 1994 ) vom Weiler Valgiarëi hatte die Musikkapelle einen tüchtigen und sehr musikalischen Dirigenten gefunden; er hatte die Musik im Blut. Über 40 Jahre hat er den Stab geführt und die Kapelle auf hohes Niveau gebracht. Bei zahlreichen Konzerten und Wettbewerten konnte sie ihr Können unter Beweis stellen. Valentin scheute weder Zeit noch Mühe , seine ganzen musikalischen Talente zum Wohl der Kapelle einzusetzen. Der lange Weg vom Berghof herunter und dies bei jeder Witterung bis ins Dorf zu den vielen Proben war ihm nie zu beschwerlich gewesen. Unter diesem Kapellmeister konnte die Musikkapelle 1940 die erste Tracht anziehen. 1959 wurde zum erstenmal ein Präsident gewählt in der Person des Herrn Felize Flatscher vom Weiler Ćiaminades, der die Rechnungen und Protokolle führte. Eine neue Tracht konnte 1959 ohne grössere Probleme angefertigt werden, was den Musikanten neuen Auftrieb und Motivation bescherte. Ab dem Jahre 1966 leitete für wenige Jahre Herr Franz Valentini vom Hof Frëinademez die Musikkapelle. Auch eine Tanzkapelle „ Die Böhmische „ ist seit Jahren recht aktiv und spielt gelegentlich zum Frühschoppen vor manchem Gasthof des Ortes und bei geselligen Veranstaltungen. Sie besteht aus za. 20 Mann und trägt eine eigene Kleidung.

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