I prodotti del mare

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La Dieta Mediterranea made in Basilicata

I PRODOTTI DEL MARE



e-nutrition... ...consiste nella realizzazione di uno strumento «web based» di divulgazione scientifica in ambito nutrizione. Temi del progetto sono la nutraceutica (studio di alimenti che hanno una funzione benefica sulla salute umana), la valorizzazione dei beni culturali e commercializzazione dei prodotti enogastronomici, mediante l’utilizzo della dieta mediterranea quale filo conduttore. La Fondazione Eni Enrico Mattei, soggetto attuatore del progetto, è affiancata MedEatResearch - Centro di Ricerche Sociali sulla Dieta Mediterranea dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, e da SAFE - Scuola di Scienze Agrarie, Forestali, Alimentari ed Ambientali dell’Università Degli Studi Della Basilicata.

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Indice 7

Tra passato e presente

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Cosa succede quando si pesca troppo?

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Lo stato dei mari: gli impatti ambientali delle attività dell’uomo

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La pesca illegale

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Non solo dal mare aperto

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Pesca oggi

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Pesce di allevamento

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Dal merluzzo ai bastoncini

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Il trasporto

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Consumi sostenibili

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Il tonno

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Tonno nella storia

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Tonno: cronache di un tempo

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Tonno: ricette di un tempo



Tra passato e presente Sin dai tempi più antichi, la pesca è stata una delle principali fonti di cibo per l’umanità, oltre a essere fonte di lavoro e ricchezza. Lo sapevate che le prime testimonianze di lavorazione del pesce risalgono addirittura al 3.500 a.C.? In quell’epoca, infatti, ci si cibava già di pesce lavorato, per la precisione, di pesce salato e la pesca rappresentava uno dei principali mezzi di sussistenza per le popolazioni vicine all’acqua. Tra il primo e il secondo millennio d.C., è avvenuta l’industrializzazione della pesca, con un miglioramento dell’efficienza di pesca, imbarcazioni più grosse e più potenti e quantità sempre maggiori di pesce catturato e commercializzato in tutto il mondo. Nel XX secolo le attività di pesca sono state condotte in modo indiscriminato, considerando le risorse presenti nei laghi, nei fiumi e soprattutto negli oceani un illimitato e infinito patrimonio naturale a disposizione dell’uomo. Dopo la seconda guerra mondiale, grazie anche ad una conoscenza più approfondita dei fenomeni marini, questo approccio ha cominciato a modificarsi per lasciare spazio alla consapevolezza che, sebbene rinnovabili, le risorse marine non sono infinite e richiedono di essere gestite in modo appropriato. Intanto, però, lo sfruttamento intensivo praticato per decenni ha portato a conseguenze notevoli in tutto il Pianeta: la FAO – Food and Agricolture Organization - ha calcolato che il 76% delle riserve mondiali di pesce è già sfruttato completamente (l’attività di pesca opera al livello di resa ottimale, senza spazio per ulteriori espansioni), o sovrasfruttato (l’attività di pesca cioè opera a un livello non più sostenibile con un serio rischio di scomparsa delle specie interessate) e che alcune sono anche in via di estinzione.

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Questo andamento non sembra però migliorare: ai giorni nostri, infatti, la domanda di pesce è in costante crescita. Per comprendere la dimensione del fenomeno basti pensare che la produzione di pesce mondiale è più che quintuplicata in circa 60 anni: siamo passati infatti da 18 milioni di tonnellate di pesce (sia pescato che allevato) nel 1948, a 167 milioni di tonnellate nel 2014. Da un lato le nuove tecnologie hanno reso la pesca più efficiente e produttiva, dall’altro l’aumento delle quantità ittiche pescate è proporzionale alla crescita della popolazione mondiale e, quindi, alle richieste di pesce per l’alimentazione. A questo occorre poi aggiungere che nei paesi sviluppati si sta verificando negli ultimi anni un cambiamento nella dieta: si mangia più pesce perché fa bene alla salute. I benefici per la salute umana derivanti dal consumo di pesce e degli acidi grassi insaturi in esso contenuti, infatti, lo hanno reso un cibo consigliato dai medici in sostituzione della carne.


Cosa succede quando si pesca troppo Per capire meglio cosa si intende con sovrasfruttamento delle risorse, immaginate un antico villaggio con alcuni terreni a disposizione di tutta la comunità per portarvi le proprie vacche al pascolo. Questi pascoli comuni avevano erba a sufficienza poiché tradizionalmente ogni famiglia del villaggio possedeva una sola mucca, in grado di produrre latte e formaggio per tutti. Quando però alcune famiglie capirono che, una volta soddisfatti i propri bisogni alimentari, avrebbero potuto vendere il latte e il formaggio prodotti in più alle cittadine vicine, iniziarono a condurre al pascolo un numero maggiore di vacche. Dopo poco tempo fu chiaro a tutti che il pascolo non poteva fornire sufficiente erba per così tanti animali. Le mucche iniziarono a produrre di meno, poiché l’erba del pascolo non era più sufficiente. Di conseguenza, per poter vendere la stessa quantità di latte e formaggi, le famiglie aumentarono il numero di vacche da portare al pascolo. Così facendo, il nutrimento per le vacche divenne sempre meno e la situazione divenne insostenibile per tutte le famiglie, ma la maggior parte delle persone diceva: “È vero, sui pascoli comuni ci sono troppe mucche, però se togliamo le nostre guadagniamo meno e comunque le bestie degli altri mangeranno l’erba che avrebbero mangiato le nostre. Perché mai dovremmo farlo?” Il risultato fu che il pascolo divenne un terreno spoglio ed eroso, le mucche non avevano più da mangiare e gli abitanti stavano peggio di prima. Se solo avessero stabilito delle regole per utilizzare meglio il pascolo, forse il terreno sarebbe stato in grado di nutrire le loro mucche per molto tempo ancora.

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la storia del merluzzo Questa storia è del tutto simile alla quella del pascolo comune. Al largo delle coste di Terranova la corrente calda del Golfo del Messico incontra quella fredda del Labrador, creando le condizioni per la presenza di ricche sostanze nutrienti per i merluzzi. Nel 1497, quando l’esploratore Giovanni Caboto scoprì quelle coste, essi nuotavano in banchi fitti e numerosissimi. Per secoli costituirono la fonte di nutrimento di molte nazioni e si racconta che a quei tempi bastasse sporgersi dalla barca con una retina per poter catturare decine di merluzzi in una volta sola! A partire dagli anni ’50, la pesca divenne ancora più semplice e redditizia, grazie ai nuovi sistemi radar in grado di individuare e catturare indiscriminatamente interi banchi di merluzzi. Nel 1992, però, alcune ricerche dimostrarono che la popolazione dei merluzzi era diventata l’1,1% rispetto a quella dei primi anni ‘70. Ad oggi i merluzzi non si sono ancora ripresi e forse non si riprenderanno mai: ne restano così pochi che tra i pescatori del New England circola la battuta che bisognerebbe cambiare il nome a Cape Cod (Capo Merluzzo)! Quello dei merluzzi è solo uno degli esempi di specie in pericolo: è stato calcolato infatti che, allo stato attuale di pressione esercitata sui mari dalla pesca, la maggior parte delle riserve mondiali di pesce collasserà intorno al 2048 . La complessa situazione dei mari ha cominciato a porsi al centro dei dibattiti internazionali agli inizi degli anni novanta. Risale infatti al 1995 il Fish stock agreement delle Nazioni Unite, accordo per la conservazione e lo sfruttamento sostenibile delle popolazioni ittiche interfrontaliere e degli stock ittici migratori, ossia di specie come il tonno. Oggi il tema della “sostenibilità della pesca” è al centro della programmazione politica delle istituzioni nazionali e internazionali, come la FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, l’ICCAT, la Commissione Internazionale per la Conservazione


del Tonno Atlantico e l’Unione Europea. Quest’ultima, ad esempio, si è dotata della Politica Comune della Pesca (PCP), uno strumento per gestire la pesca e l’acquacoltura. L’obiettivo principale è quello di limitare l’impatto ambientale della pesca, proteggere gli stock ittici (ossia le riserve di pesce), le specie non bersaglio (dette anche “nontarget”, cioè quelle specie che vengono accidentalmente pescate ma poi non vengono commercializzate, come i delfini e le tartarughe), il novellame (gli individui giovani di una popolazione ittica) e salvaguardare gli habitat vulnerabili. Inoltre si vuole impedire che gli stock ittici vengano sfruttati eccessivamente, attraverso alcune misure dette “di conservazione”, per limitare la quantità massima di pesce che può essere prelevata da uno stock specifico (Totale Ammissibile di Catture) e per evitare che i pesci pescati non siano troppo piccoli e quindi troppo giovani, regolando le dimensioni delle le maglie delle reti e di altri attrezzi da pesca.

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Lo stato dei mari: gli impatti ambientali delle attività dell’uomo Industrializzazione, urbanizzazione, deforestazione, agricoltura intensiva, utilizzo indiscriminato di suolo e acqua sono i fattori di pressione che rappresentano la maggior fonte di rischio per gli ecosistemi marini e d’acqua dolce. La pesca indiscriminata e prolungata nel tempo si somma agli effetti provocati dall’inquinamento antropico, dalla presenza di microinquinanti organici persistenti come i pesticidi, di scarichi di sostanze organiche e di sversamenti accidentali di idrocarburi: il degrado delle risorse marine e degli ecosistemi in cui queste vivono comporta effetti negativi sull’ambiente e, quindi, sulla salute stessa dell’uomo, in primo luogo per quelle popolazioni già in difficoltà per le quali la pesca è una delle uniche fonti di sostentamento. I cambiamenti che negli ultimi decenni stanno interessando le condizioni climatiche del Pianeta influenzano anche gli oceani, innalzando la temperatura della loro superficie, oltre che il livello degli oceani stessi (a causa dello scioglimento dei ghiacciai), alterandone la salinità e i flussi circolatori delle correnti. Tutti questi cambiamenti comportano degli impatti anche sulla produttività degli ecosistemi acquatici a cui si aggiunge la pressione esercitata dall’attività della pesca. Le reti a strascico ne sono un esempio: utilizzate per la cattura della maggior parte delle specie ittiche commercializzate, esse prelevano continuamente grandi quantità di pesce (di cui molto rigettato morto in mare poiché di scarso interesse economico), insieme a tutti gli organismi marini animali e vegetali che incontrano. I grandi pescherecci, anno dopo anno, trascinano queste reti sempre nelle stesse aree, desertificandone i fondali marini e riducendo le riserve ittiche al di sotto della loro capacità di sopravvivenza. Inoltre, molte delle reti utilizzate dall’industria della pesca vengono danneggiate durante l’attività e talvolta si strappano dall’imbarcazione diventando “reti fantasma”, come dei corpi fluttuanti nei mari, estremamente pericolosi per gli animali che le incontrano: trasparenti e molto resistenti, diventano delle trappole capaci di ferire mortalmente le loro vittime. Gli organismi vegetali e animali che vivono nelle acque dolci e salate si trovano a fronteggiare anche le forme di inquinamento più subdole derivanti dalle attività industriali, quelle che non si vedono e che il metabolismo di batteri e animali non è capace di distruggere: le molecole di sintesi, come i pesticidi, i PCB, i metalli pesanti, danno origine al bioaccumulo, fenomeno per cui gli animali che assumono accidentalmente pesticidi, non sapendo degradare queste sostanze, si difendono “accumulando” le molecole tossiche nel proprio organismo per non farle più circolare. Il mercurio, ad esempio, è un metallo estremamente tossico, persistente e volatile, liberato nell’ambiente da processi naturali (eruzioni vulcaniche, incendi, giacimenti minerari), ma soprattutto da attività antropiche, come la combustione del carbone per produrre elettricità, l’estrazione di metalli come oro e argento e lo smaltimento incontrollato di prodotti industriali contenenti mercurio (batterie, prodotti a base di cloro e di soda caustica). Esso è l’unico metallo che a temperatura ambiente si trova allo stato liquido (per questa sua proprietà viene utilizzato nei termometri) e, una volta trasportato dalle acque di fiumi e

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laghi, ha la capacità di passare velocemente dagli oceani all’atmosfera e farsi trasportare per migliaia di chilometri per poi precipitare nuovamente nei corsi d’acqua e nei mari, dove alcuni batteri lo “metabolizzano” e lo trasformano in una forma molto tossica, il metilmercurio. Il metilmercurio viene assorbito nei tessuti grassi dei pesci che si nutrono dei batteri che hanno catturato e trasformato il mercurio: così questo metallo inizia il percorso attraverso la catena trofica, concentrandosi sempre di più nei tessuti degli animali, fino ad arrivare ai grossi pesci predatori di cui ci cibiamo noi esseri umani, come tonno, pesce spada, luccio, marlin, squalo. Ecco come gli abitanti di Qaanaaq, in Groenlandia, hanno raggiunto dei livelli di mercurio nel sangue 12 volte superiori a quelli consigliati dagli organi di controllo, pur non avendo fonti di inquinamento da mercurio nelle vicinanze: foche, balene e pesci dei mari in cui essi pescano sono ormai contaminati dal metilmercurio che viene a sua volta trasferito e accumulato nei tessuti degli uomini. Le persone maggiormente a rischio sono le donne in gravidanza, poiché anche bassi dosaggi di metilmercurio vengono trasferiti al feto impedendo al sistema nervoso di svilupparsi in modo corretto e provocando malformazioni e paralisi. Molti dei prodotti che ogni giorno utilizziamo contengono mercurio, a volte senza che nemmeno lo sappiamo: le otturazioni in argento per i denti cariati, i vaccini per la loro conservazione, le batterie per gli elettrodomestici, i componenti elettrici degli interruttori. La tecnologia sta lavorando per sostituire il mercurio con altre sostanze, ma molte migliaia di tonnellate vengono “perse” nell’ambiente ogni anno, con un danno che si ripercuote nello spazio e nel tempo.


La pesca illegale Negli ultimi anni, sono state attuate misure per tutelare riserve di pesce in pericolo di estinzione, quali ad esempio lo stabilire il limite massimo di cattura di alcune specie o il divieto di utilizzare alcuni sistemi di pesca particolarmente impattanti. Purtroppo tali misure nulla possono contro il fenomeno dalla pesca illegale, gestita principalmente dalle grandi organizzazioni criminali. La pesca di frodo avviene principalmente nelle acque internazionali, dove i controlli sono pressoché impossibili, poiché non sono sotto il diretto controllo di uno stato. A volte i controlli sono scarsi persino nelle acque della cosiddetta “Zona Economica Esclusiva”, una fascia di mare su cui lo stato di appartenenza possiede il diritto esclusivo di sfruttamento delle risorse ittiche. Gli stati occidentali dell’Africa, ad esempio, non hanno sufficienti risorse economiche per poter pattugliare le proprie acque e quindi accade che i pescatori di frodo stranieri a volte giungano a pescare illegalmente persino a 4 miglia dalla costa (solo 6 Km)! Il danno per le aree interessate dal fenomeno è immenso, sia da un punto di vista sociale, in quanto popolazioni già molto povere vengono private di una fondamentale fonte di sostentamento, sia da un punto di vista economico: si calcola infatti che l’Africa da sola perda ogni anno 1 miliardo di dollari per le attività di pesca illegale.

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Non solo dal mare aperto Una grande quantità di pesce proviene dagli allevamenti: pensate che delle 167 milioni di tonnellate di pesce pescato in tutto il mondo nel 2014, più del 40% proveniva infatti da attività di acquacoltura. Il pesce di cui ci cibiamo non è, però, solo quello che viene pescato nei mari: ci sono anche i pesci d’acqua dolce, come la trota, il luccio e il pesce persico. Per milioni di persone nel mondo la pesca d’acqua dolce rappresenta, infatti, un’importante fonte di cibo, nonostante i fiumi e i laghi in cui peschiamo rappresentino solo l’1% dell’acqua dolce sul totale delle risorse idriche mondiali. Gli stock alimentari di acqua dolce sono, ad esempio, in grado di fornire fino all’80% delle proteine alimentari per 60 milioni di persone del bacino del Mekong, il dodicesimo fiume più lungo del mondo che attraversa l’Indocina. Tuttavia la cattiva gestione di laghi e fiumi ha portato ad un eccessivo sfruttamento delle risorse naturali e all’inquinamento delle acque. L’Unione Europea ha istituito degli strumenti di gestione a sostegno economico del settore della pesca e dell’acquacoltura (Strumento Finanziario di Orientamento della Pesca – SFOP), per consentire di raggiungere un equilibrio durevole tra le risorse ittiche disponibili e il loro sfruttamento e per promuovere le aree fortemente dipendenti dalla pesca. In questo modo, attraverso il cofinanziamento dello Stato e della Regione, si aiutano gli operatori ad intervenire nelle diverse fasi della filiera ittica con flotte adeguate e attrezzature portuali, impianti di acquacoltura, di trasformazione e di distribuzione dei prodotti. In Italia, negli ultimi anni il consumo di pesce è andato aumentando, ma non quello delle specie d’acqua dolce: infatti i consumatori preferiscono acquistare pesce surgelato (in particolare il sfilettato o precotto), oppure pesce fresco di mare.

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Questa riduzione dei consumi verso le produzioni ittiche d’acqua dolce ha provocato una stagnazione verso i consumi di specie commerciali molto diffuse, come la trota e lo storione. La preferenza verso pesci d’acqua dolce sembra essere, comunque, legata ad alcune aree geografiche particolari, dove esiste una tradizione storica al consumo di luccio, persico, cavedano, come la zona del medio e basso corso del Po, i laghi alpini e, in misura minore, Umbria e alto Lazio. In Lombardia si trovano i laghi più estesi e più profondi d’Italia: i grandi laghi prealpini che comprendono il lago Maggiore (o Verbano), il lago di Lugano (o Ceresio), il lago di Como (o Lario), il lago d’Iseo (o Sebino) e il lago di Garda (o Benaco). Quest’ultimo è il lago più


grande d’Italia, sia per superficie con i suoi 368 km2, sia per volume, contenendo circa 49 km3 d’acqua. Il lago di Como, con i suoi 410 m di profondità (ben 212 m sotto il livello del mare), è il più profondo lago europeo. L’acquacoltura e la pesca professionale nei grandi laghi prealpini rivestono un ruolo molto importante nel sistema economico lombardo. Oltre 70 impianti di acquacoltura producono più di 5 mila tonnellate di pesce all’anno, tra le quali spiccano la trota, l’anguilla e lo storione. La pesca professionale interessa tutti i laghi lombardi, dove sono impegnati oltre 200 pescatori di professione. L’elemento che influisce maggiormente sul sapore del pesce è la salinità delle acque nel quale vive l’animale. I pesci d’acqua dolce hanno dei sapori delicati e trovano riscontro in preparazioni gastronomiche tradizionali, spesso con abbinamenti e condimenti marcati per rafforzare i sapori. I laghi poi, a causa del loro isolamento, danno luogo alla presenza di vere e proprie forme endemiche tipiche ed esclusive di una zona, come la trota sarda e la trota del lago di Garda. Così come nei mari e negli oceani, anche nei laghi e nei fiumi l’inquinamento delle acque comporta gravi impatti sulla fauna e sulla flora, a causa della presenza di pesticidi, erbicidi e fertilizzanti di sintesi che vengono “bioaccumulati” nei tessuti dei pesci di cui poi ci nutriamo, con danni anche alla salute umana.

Come e cosa si pesca nel laghi e nei fiumi? La pesca d’acqua dolce è, oggi, per lo più orientata verso l’attività sportiva, più che commerciale, provenendo da acque dolci solo il 4% del pesce consumato annualmente in Italia. La “pesca a fondo” in acqua dolce è la tecnica di pesca più semplice e antica che esista: essa consiste nella semplice azione di mettere una zavorra all’estremità della lenza della canna da pesca, affinché l’amo coperto dall’esca se ne resti adagiato sul fondale in attesa che qualche pesce, come la carpa, la tinca, il barbo, il cavedano, il pesce gatto o l’anguilla, grufolando sul fondale alla ricerca di cibo, rimanga impigliato nell’amo. Le esche da fondo possono essere molteplici: mais, lombrico, bigattino, formaggio, amarena,

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polenta. A seguito dell’introduzione anche in Italia di tecniche più selettive ed evolute della vecchia pesca a fondo, come il “carpfishing”, una tecnica di pesca specifica per la cattura della carpa, la pesca a fondo classica ha iniziato a subire un inesorabile lento declino, con una diminuzione costante di suoi praticanti.. La pesca per mezzo delle reti prevede, invece, tipologie di rete simili a quelle utilizzate in mare, come le reti da posta, le reti volanti e le reti a strascico. Vi sono poi alcune reti specifiche per specie di acqua dolce. In acque poco profonde, per la cattura dell’anguilla, del luccio, del pesce persico e dell’alborella, viene ad esempio utilizzato il “bertovello”, una rete a forma di cilindri concentrici che intrappolano il pesce senza farlo più uscire. Gli impianti di acquacoltura sono, invece, principalmente destinati all’allevamento della trota iridea (Salmo gairdinerii o Onchorhynchus mykiss), l’unico pesce d’acqua dolce con un mercato consolidato in Italia, molto consumata nel Nord e nel Centro Italia, meno nota nel Sud. Il primo allevamento in Italia di trote risale addirittura al 1860.


Tecniche di conservazione: tradizioni d’acqua dolce Oltre ai processi di affumicatura e di essiccatura, applicati anche su pesci di mare (come il salmone e il merluzzo), esistono tecniche specifiche per la conservazione di pesci di acqua dolce come la “carpionatura” che deriva dal carpione, un pesce molto pregiato, parente della trota, ormai pressoché scomparso (si trova solo nel lago di Garda, dove la sua pesca è rigidamente regolamentata). Fin dall’antichità si usava conservare le sue carni delicatissime cuocendole e unendole ad una salsa di aceto e verdure. Questo tipo di preparazione è stata, poi, applicata anche ad altri pesci quali coregone, agone, cavedano, pigo, gardon, tinca e alborella. Altro tipo di lavorazione è previsto, invece, per i “missoltini” del lago di Como. Gli agoni, pesci conosciuti dai tempi del Medioevo, vengono pescati nei mesi di giugno e luglio, dopo la deposizione delle uova su fondali sassosi, per poi essere salati ed essiccati. I missoltini rappresentano una specialità gastronomica tipica delle tradizioni del lago di Como, in cui la lavorazione è esclusivamente artigianale: i pesci vengono privati delle interiora, strofinati con sale e deposti in una marmitta, con sale abbondante, in cui vengono girati ogni dodici ore. Dopo un paio di giorni, vengono risciacquati e infilzati in uno spago, così da poterli essiccare all’aria aperta. L’essiccamento procede per alcuni giorni, poi i pesci sono disposti in una latta (detta “misolta”, da cui deriva il nome dell’alimento lavorato), insieme a foglie di alloro, chiuse da coperchi di legno e sassi. La leggera pressione elimina l’olio fuoriuscito e rende il prodotto pronto per essere consumato accompagnato da fette di polenta abbrustolita, o polenta taragna.

Crediti: www.laghiditalia.net

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La pesca dei mari di oggi Una rete per ogni pesce: metodi di pesca e conseguenze sull’ambeinte marino Il sovrasfruttamento delle risorse ittiche può ridurre il grado di biodiversitĂ degli organismi animali e vegetali di un dato ecosistema e portare una specie al di sotto dei livello minimo di sopravvivenza e, quindi, anche al di sotto dei livelli desiderati di pesca.

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Una pesca eccessiva può, infatti, indurre cambiamenti nella composizione della specie, poiché vengono catturati in grandi quantità individui non ancora sessualmente maturi (stadi giovanili) e che, quindi, non contribuiranno mai alla riproduzione della propria specie. Queste variazioni possono consistere anche in una alterazione degli equilibri della rete trofica, dove la riduzione degli individui di specie predatorie di elevato valore, di taglia grande e dal ciclo vitale lungo, lascia il posto a specie preda di ridotto valore, caratterizzate da individui di piccola taglia e dal ciclo vitale breve (processo definito “fishing down the food chain”). Importanti e macroscopici cambiamenti in questo senso sono stati registrati nel Mare del Nord, nell’Oceano Atlantico, nel Golfo di Tailandia e nell’Oceano Pacifico. Fenomeni di pesca intensiva possono, inoltre, ridurre la variabilità genetica delle popolazioni selvatiche rendendole più fragili nell’affrontare eventi esterni come le epidemie, o alterare gli equilibri preda-predatore, innescando dei meccanismi di competizione per il cibo. Le modalità di pesca sono molteplici, alcune con impatti sull’ambiente più significativi di altre. Ogni tecnica è nata e si è raffinata negli anni (molte nei secoli) al fine di concentrare gli sforzi su determinate specie ittiche: si spazia da attrezzature legate alla piccola pesca, come ami, lenze, trappole, reti da posta, a strumenti complessi e costosi, come le reti a strascico, le reti a circuizione e le reti da traino volanti.

Le reti a strascico La pesca a strascico, metodo di pesca introdotto negli anni ’60, è responsabile della cattura del 60-80 % del pesce pescato nel Mediterraneo e nel mondo. Si avvale di tecnologie elevate ed è un metodo di cattura molto efficiente a livello quantitativo, ma spesso anche poco selettivo, poiché, oltre alle specie oggetto di prelievo a fini commerciali (dette “specie target”), raccoglie anche quelle specie che restano coinvolte nei processi di cattura e che vengono rigettate in mare spesso ferite o morte (dette “nontarget”). Questo fenomeno, definito bycatch o pescato secondario, che riguarda circa il 40% del


Crediti: Public Domain by National Oceanic & Atmospheric Adminstration (NOAA) US Department of Commerce

contenuto di ogni rete a strascico, esercita forti impatti sull’intero ecosistema interessato dall’attività di pesca. L’utilizzo di reti a strascico altera, infatti, le abitudini alimentari di alcuni predatori che, come i delfini, attratti dall’abbondanza di prede, approfittano di varchi nelle reti per nutrirsi, o attendono il momento in cui il bycatch viene rigettato in acqua, attività che li rende dipendenti dall’uomo. Le reti a strascico, enormi sacchi con una bocca di 50 m di larghezza

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(quanto una piscina olimpionica), vengono trascinate sui fondali a profondità maggiori di 50 metri, per poter catturare tutto il pesce che nuota nella colonna d’acqua. Per fare questo le reti “arano” il fondale prelevando tutto quello che incontrano (alghe, spugne, coralli, pesci, tartarughe, etc.), provocando, negli anni, la desertificazione delle aree battute dalla pesca. Negli USA, dagli anni ’80, è obbligatoria per la pesca del gambero la presenza sulle navi di dispositivi che individuano ed escludono le tartarughe marine e i delfini dalle reti a strascico. Da notare che la bassa selettività di queste reti esercita molteplici danni: obbliga da un lato i pescherecci a salpare pesanti reti cariche solo al 60% del prodotto da commercializzare e a effettuare quindi una cernita del pescato, con conseguente dispendio di tempo e risorse, dall’altro lato concentra in mare grandi quantità di materiale organico in decomposizione, modificando profondamente gli ecosistemi naturali. Nel Mar Mediterraneo, la pesca con reti a strascico viene utilizzata per prelevare gamberi bianchi, moscardini, seppie e naselli.

Le reti a circuizione Le reti a circuizione (a chiusura) si presentano come un enorme rete rettangolare che raggiunge anche gli 800 m di lunghezza e 120 m di altezza. Se vengono impiegate delle fonti luminose per attirare il pesce sotto l’imbarcazione si chiamano “lampare”. Sono utilizzate per la cattura del pesce azzurro (principalmente acciughe, sardine e sgombri) e per la pesca di grossi pesci pelagici, come il pesce spada e il tonno. Per quest’ultimo un tempo si usavano le “tonnare fisse”, diverse dalle reti a circuizione, fatte di labirinti e stabilmente ancorate al fondale marino davanti alle coste mediterranee per intrappolare i tonni al termine della loro lunga migrazione dall’Oceano Atlantico. Oggi esiste una versione moderna della tonnara, detta “tonnara volante”, che è appunto una rete a circuizione a chiusura, trainata dal peschereccio in mare aperto per catturare i tonni mentre ancora nuotano verso il Mar Mediterraneo. Come le reti a strascico, questo tipo di pesca è molto efficiente, al punto da aver indotto il


Crediti: UniversitĂ degli Studi di Padova - Banca dati della pesca a Chioggia

sovrasfruttamento degli stock di pesce azzurro (acciuga peruviana, sardina giapponese, sardina sudafricana, aringa atlantica e scandinava) e aver reso le popolazioni di tonno rosso prossime al collasso. Nel Mar Mediterraneo, con queste reti si pescano acciughe, sardine e tonni.

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Le reti da posta Le reti da posta sono reti lasciate in mare, nell’attesa che il pesce vi rimanga impigliato. Le reti fisse sono calate sul fondo marino ed ancorate ad esso mediante opportuna piombatura. A seconda delle specie da catturare e della profondità di esercizio variano nella forma, nella dimensione e nell’assemblaggio. Alcune di queste, chiamate “mura della morte”, sono state vietate nel Mar Mediterraneo sia dall’Unione Europea che dall’ICCAT - International Commission for the Conservation of Atlantic Tuna. Nonostante il divieto, questa tipologia di rete continua ad essere utilizzata illegalmente per la cattura di specie pelagiche di grande valore, come tonno e pescespada. Si è stimato che nel Mediterraneo operino ancora circa 600 navi per reti da posta, di cui 100 circa appartengono all’Italia. Le conseguenze ambientali dovute all’utilizzo di queste reti sono devastanti, soprattutto per la biodiversità. Tra il 1986 e il 1990, infatti, queste reti sono state responsabili dell’83% dei mammiferi intrappolati in operazioni di pesca (balene e delfini). Solo per quanto riguarda i mari italiani è stata stimata una cattura accidentale di oltre 8 mila cetacei. Nel Mar Mediterraneo, si pescano con queste reti seppie, polpi, triglie, naselli, gallinelle, scorfani e saraghi. In Italia circa 9 mila battelli di piccola dimensione utilizzano reti da posta, ami, lenze e trappole, incidendo solo per il 15% sul totale del tonnellaggio ittico nazionale. L’attività di pesca industriale esercita, quindi, molteplici impatti sui mari e sui loro abitanti: i pescherecci necessitano di grandi quantità di carburante, sia per raggiungere i siti, sia per portare a termine il processo di pesca vero e proprio, oggi completamente automatizzato. Durante queste manovre, oltre ai carburanti dispersi in mare e in atmosfera, vengono “persi” in acqua molti materiali plastici e rifiuti di vario genere, che impiegheranno anche centinaia di anni per sminuzzarsi in piccole particelle e non essere più un pericolo per gli organismi marini. Inoltre, il continuo passaggio di numerose imbarcazioni è fonte di inquinamento acustico:

Crediti: Università degli Studi di Padova - Banca dati della pesca a Chioggia


sott’acqua il rumore dei motori delle navi è amplificato dal mezzo acquoso e si propaga come una sfera con un raggio di centinaia di metri; a ciò si aggiunge l’elevata sensibilità degli organismi marini che possiedono apparati uditivi molto sviluppati attraverso cui, in condizioni ottimali, si orientano, cacciano o sfuggono ai loro predatori.

Cosa si pesca in italia e nel mar mediterraneo? Il gruppo delle specie ittiche più importanti pescate in Italia è composto da: • vongole, naselli, sardine, gamberi bianchi e seppie; • triglie di fango, pesci spada, pannocchie, sugarelli, lumachini, alalunghe, scampi, tonni rossi, moscardini muschiati e triglie di scoglio; • polpi e totani. Nel Mar Mediterraneo ci sono cinque principali specie di piccoli pelagici, di cui la sardina rappresenta la quota più cospicua della pesca, ma l’acciuga ottiene i prezzi più elevati, rappresentando, quindi, una delle più importanti risorse nell’ambito dell’industria della pesca pelagica (seguito da altre specie come alaccia, sgombro, boga e suro). Le specie dei piccoli pelagici come l’acciuga e la sardina costituiscono più di un terzo della pesca marina mondiale complessiva, il che le porta ad essere annoverate in una categoria di notevole importanza nell’ambito dell’industria della pesca e dell’industria conserviera ittica internazionale, pensate alla pasta d’acciughe o alle acciughe sottolio. La triglia bianca è una risorsa molto sfruttata nelle acque mediterranee, pescata soprattutto dalle flotte di Spagna,

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Francia, Italia e Grecia. Lo scampo e i gamberi rossi del Mediterraneo (Aristeus antennatus e Aristeomorpha foliacea) sono una risorsa assai preziosa, pescata da imbarcazioni specializzate con reti a strascico provenienti da Spagna, Francia, Italia e Grecia. Il nasello viene catturato in tutto il Mediterraneo e costituisce la principale risorsa sfruttata commercialmente nella regione. Una parte sostanziale degli sbarchi di nasello del Mediterraneo è però composta da novellame di taglia inferiore alla taglia minima di sbarco autorizzata (lunghezza totale: 20 cm), con seri rischi di collasso per le popolazioni di nasello.


Il tonno bianco è pescato principalmente da flotte italiane e greche. Il pesce spada sin dai tempi antichi è stato pescato con l’aiuto di arpioni e reti da posta derivanti (spadare).

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Pesce di allevamento La rivoluzione blu: tipologie e tecniche di acquacoltura La “rivoluzione blu”, come viene chiamata l’acquacoltura, cioè l’allevamento in acqua di mare o in acqua dolce di pesci, crostacei e molluschi, nasce negli anni ‘70 come soluzione al rapido e imponente sfruttamento degli stock ittici dei mari e alla parallela e inarrestabile crescita della domanda di pesce. Il sistema off-shore si differenzia dagli altri in maniera sostanziale perché è praticato in mare aperto e non coinvolge direttamente la fascia costiera. Si tratta di moduli ancorati sul fondale, formati da una struttura galleggiante alla quale è collegata una rete che costituisce la gabbia. Oltre a necessitare di minori quantità di energia e di inferiori investimenti iniziali, questa soluzione è sicuramente quella che genera anche minori problemi d’inquinamento. Le tecniche di allevamento intensivo regolano le fasi del ciclo biologico della specie e inducono in modo controllato la riproduzione dei genitori nel momento desiderato. Si può suddividere l’allevamento in tre distinte fasi:

1) la riproduzione;

2) lo stadio larvale;

3) l’allevamento.

1) Nella fase della riproduzione, tenendo sotto controllo precisi fattori ambientali come la temperatura dell’acqua e l’alimentazione, si induce la maturazione dei gameti e la loro emissione (ossia la liberazione in acqua). In alcuni casi vengono anche praticate delle iniezioni di ormoni naturali.

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2) Lo stadio larvale è una fase delicatissima e necessita di alta specializzazione ed attenzioni costanti. Oltre ai parametri relativi alla luce e alla temperatura, è di grande importanza la scelta del tipo di alimentazione (per lo piĂš plancton) e del momento nel quale iniziare a somministrarla. 3) La fase di allevamento ha inizio in corrispondenza dello svezzamento, quando dall’alimento naturale si passa a quello artificiale. In genere dalla nascita alla vendita sono necessari tra i 12 ed i 24 mesi.


Gli impatti ambientali dell’allevamento ittico La FAO prevede che nel 2030 la produzione globale di pesce dovrà aumentare di altri 40 milioni di tonnellate , per soddisfare l’eccezionale aumento della domanda globale di pesce. Ciò comporterà un raddoppiamento della produzione di pesce da allevamento, con conseguente aumento della contaminazione ambientale, che rappresenta uno dei maggiori problemi delle attività di acquacoltura: acque reflue, deiezioni animali, mangime non consumato e residui di farmaci o disinfettanti eventualmente utilizzati che possono rimanere sia nell’ambiente che nei tessuti dei pesci; inoltre, il mangime, se non adeguatamente controllato, può veicolare contaminanti chimici ambientali, come metalli pesanti, PCB e diossine. L’acquacoltura implica anche uno sfruttamento consistente delle risorse idriche sia per via diretta, come nel caso degli impianti off-shore in cui la popolazione ittica è allevata direttamente in mare, sia per via indiretta, come nel caso degli impianti a terra in cui l’allevamento avviene in vasche artificiali alimentate attraverso sistemi di captazione dell’acqua a mare. Da non dimenticare è il rischio di interazione genetica di animali fuoriusciti dalle gabbie con le popolazioni selvatiche della stessa specie. Una possibile soluzione agli impatti ambientali esercitati dalle attività di allevamento di specie ittiche è l’acquacoltura biologica, che, oltre a tutelare maggiormente l’ambiente marino, offre inoltre al consumatore garanzie sulla qualità organolettica del prodotto, un sapore migliore ad esempio. Il sistema si basa infatti su un rigoroso controllo di tutte le fasi di produzione del pesce, in impianti strutturati in modo da mantenere inalterate le caratteristiche del territorio circostante, mantenendo un alto livello di salute e benessere degli organismi allevati e interferendo il meno possibile sul comportamento naturale degli animali.

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Come “rintracciare” un pesce Un’ulteriore garanzia per il consumatore della salubrità e qualità del prodotto è offerta dal processo di rintracciabilità: a ogni prodotto in uscita è associato un numero di lotto che consente di ottenere in ogni momento tutti i dati relativi alla “storia” del prodotto stesso (dall’origine delle uova e degli avannotti, al tipo di alimentazione e ai trattamenti terapeutici). I pesci vengono identificati singolarmente mediante sigilli apposti sulle branchie e sulla cassa viene apposta un’etichetta riportante il numero di lotto e tutte le informazioni previste dalla normativa vigente.


L’etichetta riporta le seguenti voci: • la denominazione commerciale del prodotto; • la denominazione scientifica; • il sistema di produzione; • l’origine; • lo stabilimento di produzione; • il bollo CE; • la data di pesca; • la vasca di pesca.

La rintracciabilità affronta il problema della sicurezza degli alimenti a livello di sistema, promuovendo rapporti più trasparenti tra tutte le aziende che partecipano alla filiera produttiva. Consentendo di conoscere con esattezza sia il luogo di provenienza che il flusso dei prodotti, la rintracciabilità migliora infatti la sicurezza del sistema alimentare, permettendo alle istituzioni competenti di intervenire rapidamente in caso di possibili rischi per la salute dei consumatori. Allo stesso modo, la rintracciabilità tutela i consumatori da possibili rischi di alterazione o cattiva conservazione del prodotto, che potrebbero comportare rischi per la salute. Consente, inoltre, di conoscere la qualità del prodotto acquistato.

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Dal merluzzo ai bastoncini Cosa succede al pesce una volta pescato? Quasi tutto il pesce, una volta pescato, subisce dei processi di conservazione; una parte viene ulteriormente lavorata, per soddisfare le richieste dei consumatori che prediligono prodotti pronti da mangiare o che richiedono una breve preparazione prima di essere serviti. Il pesce abbandona quindi il suo aspetto originale per trasformarsi nei bastoncini di merluzzo, oppure nelle scatolette di tonno che tutti noi conosciamo bene! I processi di lavorazione effettuati sui diversi tipi di pesce sono molteplici, a seconda della specie e del prodotto che si vuole ottenere. Il pesce, dopo essere stato pulito ed eviscerato, viene sfilettato, precotto (come i gamberi e le mazzancolle che in origine sono grigie e, una volta cotte, diventano rosa) o impanato (come il merluzzo dei famosi bastoncini). Poi, a seconda delle modalitĂ di conservazione scelte, il pesce può poi essere ulteriormente lavorato: il tonno e lo sgombro vengono solitamente conservati sott’olio, gamberetti e filetti di pesce vengono surgelati, il merluzzo viene conservato sotto sale (prendendo il nome di baccalĂ ) oppure essiccato ed eventualmente affumicato (stoccafisso).

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Alcuni esempi: i bastoncini di pesce e le farine Vediamo cosa accade, ad esempio, al merluzzo nel suo percorso per arrivare nel vostro supermercato sotto forma di bastoncini di pesce: una volta pescato, subisce un primo processo di pulitura e di conservazione al fresco sulle navi. Arrivato in stabilimento e superati i controlli igienici, il pesce viene pulito ulteriormente (vengono eliminati residui di pelle, lische e spine ) e ridotto in filetti, successivamente surgelati e quindi tagliati, a “bastoncino”. A questo punto i bastoncini vengono impanati, fritti velocemente in olio di semi bollente e infine confezionati. Forse non sapevate che dal pesce si ricavano anche farina e olio, partendo dagli scarti di pesci e molluschi, oppure da piccoli pesci molto grassi come acciughe, aringhe e sardine, appositamente pescati per questo scopo. Farina e olio servono principalmente per la produzione dei mangimi, utilizzati sia negli impianti di acquacoltura, sia in allevamenti di mammiferi, come i maiali. Le quantità di pesce pescato per questo scopo sono davvero notevoli: nel 2003 costituivano il 30% delle catture totali di pesce! Qualunque sia il prodotto finale, le operazioni di lavorazione del pesce producono una grande quantità di rifiuti, sia solidi (come le carcasse, le viscere, le pelli e le teste), sia liquidi (acqua utilizzata per pulire il pesce e i suoi contenitori) che devono essere smaltiti molto accuratamente per evitare contaminazioni dell’ambiente.


Il trasporto Quanto viaggiano i pesci? Il commercio mondiale di pesce è cresciuto in modo significativo negli ultimi decenni grazie ai miglioramenti nel campo della tecnologia, dei trasporti e della comunicazione. Dopo la cattura, il pesce affronta un viaggio, che può essere più o meno lungo a seconda della sua destinazione finale: la nostra golosità di gamberoni, ad esempio, fa sì che ogni anno l’Italia ne importi dalle coste tropicali dell’Equador più di 13 mila tonnellate. I lunghi viaggi sono resi possibili dai moderni sistemi di refrigerazione che consentono al pesce fresco o congelato di viaggiare via mare, su strada, in treno o in aereo. La maggior parte del pesce viene trasportato via mare o via terra: il problema di questa tipologia di trasporto, oltre alle emissioni di gas serra dovuti all’utilizzo di carburante, è principalmente legato alla necessità di assicurare sulle lunghe distanze il funzionamento della catena del freddo che serve per preservare la freschezza del pesce. Il trasporto aereo è in aumento a causa della crescente domanda di pesce fresco: basti pensare alle tonnellate di tonno fresco che vengono spedite in Giappone dal Mar Mediterraneo o di quelle di pesce persico spedite dalla Tanzania via aereo in tutta Europa. Il trasporto aereo è però uno dei metodi più impattanti dal punto di vista ambientale: gli aerei, infatti, secondo il DEFRA – Department for Environment, Food and Rural Affaires - generano gas serra 177 volte in più delle navi, contribuendo in modo significativo all’aumento dell’effetto serra.

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Dove compriamo il pesce? Se un tempo le famiglie italiane compravano il pesce fresco prevalentemente nelle pescherie, oggi invece, anche i grandi supermercati hanno cominciato a venderlo, per andare in contro ai nuovi stili di vita delle famiglie che hanno meno tempo da dedicare agli acquisti presso i diversi negozi alimentari . Oggi, infatti, in Italia, la maggior parte degli acquisti di pesce (il 68% circa) si effettua nei punti vendita della Grande Distribuzione Organizzata (GDO), solo il 20% circa viene acquistato in pescheria. Il restante 12% viene venduto nei mercati o tramite altri canali, come le vendite porta a porta. Questo fa sĂŹ che la GDO a volte influenzi e orienti in qualche misura il settore della produzione, alimentando un mercato della pesca basato su prodotti ittici di lontana provenienza (e non su quelli locali) acquistabili in grandi quantitĂ e a prezzi vantaggiosi: i costi ambientali e sociali spesso, però, non sono inclusi nel prezzo d’acquisto di questo tipo di prodotto!


Consumi sostenibili Quanto ne mangiamo? Il pesce è una fonte molto importante di micro-nutrienti, sali minerali, proteine e acidi grassi essenziali e contribuisce quindi in modo significativo alla dieta di molte comunità. Nel 2014, a livello mondiale, il consumo pro-capite di pesce, crostacei e molluschi è stato di circa 20 kg. La quantità e le differenti tipologie di pesce consumato variano a seconda dei paesi e delle regioni, riflettendo la disponibilità in natura di determinate specie, i gusti, le culture alimentari e i livelli di reddito. Per alcune nazioni insulari, come il Giappone e l’Islanda, ad esempio, il pesce è un elemento cruciale della dieta, visto che localmente non sono disponibili molte altre fonti di proteine animali. In Italia, i consumi di prodotti ittici interessano la quasi totalità delle famiglie: l’indice di penetrazione è del 99%: infatti chi non ha in casa una scatoletta di tonno in scatola! Pensate che ogni famiglia Italiana ne consuma in media 25,9 kg.

Se non sai che pesci prendere... Le attività di produzione di pesce non sono prive di rischi per l’ambiente e le comunità interessate. Il consumatore ha, tuttavia, a sua disposizione diversi strumenti per compiere un acquisto responsabile e consapevole. Esistono infatti etichette e certificazioni che assicurano che il prodotto risponda a determinati requisiti in materia di sicurezza, salubrità e rispetto per l’ambiente.

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Ad esempio, oggi sentiamo tanto parlare di alimenti biologici e anche il pesce da qualche tempo può rientrare in questa categoria. Ma che cosa si intende esattamente con l’espressione “biologico” e che vantaggi ci sono per il consumatore? Innanzitutto dobbiamo chiarire che il pesce biologico non si identifica con il pesce selvatico: la produzione ittica biologica richiede infatti il completo controllo del processo produttivo, dall’uovo fino al pesce adulto. Quindi questa definizione riguarda solo il pesce di allevamento che, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, ricoprirà negli anni futuri un ruolo sempre più importante nell’approvvigionamento mondiale di specie ittiche. L’allevamento di pesce biologico ci promette un prodotto garantito e sicuro, ottenuto senza compromettere l’ambiente e le risorse naturali, nel rispetto del pieno benessere degli animali allevati. Dal momento che gli organismi internazionali, come la FAO o l’Unione Europea non hanno redatto una normativa in materia per l’acquacoltura biologica, svariati enti privati di certificazione hanno creato disciplinari per l’allevamento di alcune specie secondo i principi del biologico, creando marchi che rendono riconoscibili i prodotti. Inoltre, come tutto il pesce di allevamento, ogni esemplare è etichettato per garantire le tracciabilità di tutto il ciclo produttivo. Oltre al marchio di certificazione biologica, un altro interessante strumento per aiutarci a compiere acquisti più responsabili riguarda il tonno in scatola e si chiama etichetta “dolphin safe”. La pesca può essere molto dannosa per l’ecosistema marino, ne è un noto esempio quello che accade per la pesca dei tonni, durante la quale capita che vengano uccisi i delfini che nuotano insieme ai loro. Le confezioni che riportano l’etichetta “Dolphin safe” oppure “Amico dei delfini” assicurano quindi il consumatore che i metodi di cattura usati sono tali da non provocare la morte dei delfini.


Cosa fare per mangiare in modo sostenibile? Bisogna comunque ricordare che il modo migliore per essere consumatori responsabili è informarsi sempre sulle caratteristiche del prodotto che si desidera acquistare: se è una specie a rischio, da quali aree proviene, quali impatti ha la sua produzione sull’ambiente e sulle comunità locali, e basare su questi dati le proprie scelte. Inoltre ricordate sempre che, se si tratta di pesce proveniente dal lontano, che sia d’allevamento o pescato, avrà comunque sull’ambiente un impatto in termini di gas effetto serra dovuto al trasporto sulle lunghe distanze! Quale pesce mangiare? E cosa scegliere tra pesce pescato e pesce allevato? Non è facile rispondere a queste domande, la scelta dipende da molti fattori. E’ consigliabile cercare di evitare il pesce non sostenibile, cercando di orientarsi leggendo i numerosi siti web sul tema, e le numerose guide, tra cui: • Guida ai consumi ittici di Greenpeace http://www.greenpeace.org/italy/Global/italy/report/2008/7/guida-consumi-ittici.pdf • Slowfood http://www.slowfood.it/wp-content/uploads/blu_facebook_uploads/2014/09/ACQUACOLTURA_web.pdf In generale possiamo dire che sono considerati sostenibili prodotti come le sardine e gli sgombri, specie collettivamente riferite con il nome di “pesce azzurro”, di solito pescate con le reti a circuizione. Questo metodo di pesca non provoca danni ai fondali e di solito le catture accessorie (bycatch) sono trascurabili. Riguardo ai prodotti dell’Acquacoltura, tra i più sostenibili è probabilmente la produzione nazionale di cozze.

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Il tonno Cosa sai del tonno? Il tonno è una specie pelagica che abita le acque dell’Oceano Atlantico, dell’Oceano Indiano e Pacifico e del Mar Mediterraneo. Ne esistono di diverse specie, ma quelle più note a livello commerciale sono il tonno pinne gialle e il tonno rosso che può raggiungere 3 metri di lunghezza e 700 Kg di peso. È in grado di nuotare fino alla velocità di 115 km orari e di accelerare da 0 a 100 Km orari in 7 secondi, come un’auto sportiva! Vive in mare aperto a profondità anche superiori ai 500 metri e, in estate, si sposta più vicino alla costa durante la stagione riproduttiva. Nel Mar Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico settentrionale vive, in particolare, il tonno rosso , il vero gigante di questa specie, così nominato per il colore rosso vivo delle sue carni (in inglese chiamato, invece, bluefin tuna per il colore blu delle sue pinne), da cui si rivano i piatti della cucina giapponese (sushi e sashimi). È un forte nuotatore e ogni anno compie una migrazione di 5 mila Km, dalle coste degli Stati Uniti al Mar Mediterraneo, attraversando l’Oceano Atlantico in 120 giorni senza soste (è come percorrere 5 volte l’intera lunghezza dell’Italia a nuoto!): in questi mesi si nutre dei banchi di pesce azzurro (alici e sardine) che incontra durante la migrazione per arrivare infine nelle acque più calde delle coste del Mediterraneo per riprodursi. Vive fino a 20 anni ma raggiunge la maturità sessuale solo tra i 5 e gli 8 anni di età. Nei mari tropicali e subtropicali (Oceano Pacifico, Indiano e Atlantico meridionali) si trova un’altra varietà di tonno, il tonno pinne gialle (nome comune inglese: yellowfin tuna), così

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chiamato per il colore giallo brillante delle pinne dorsali, che diventa ancora più intenso durante la stagione riproduttiva. Esso raggiunge un peso medio di circa 40 Kg e vive in banchi, come suo “cugino”, il tonno rosso. La riproduzione avviene principalmente durante i mesi estivi, ma nelle zone più calde inizia anche a gennaio. Questo è il tonno comunemente trasformato in “tonno in scatola” e venduto in tutto il mondo.


Tonno rosso in pericolo: le tonnare volanti Il tonno rosso è una specie ormai ridotta alle soglie minime di sostenibilità, tra i casi più emblematici degli effetti negativi dell’industrializzazione della pesca. Negli ultimi anni il tonno rosso si è infatti trasformato da specie dominante a specie rara e le sue riserve riproduttive si sono ridotte del 90% . Responsabile della decimazione di questa specie è la pesca industriale che, con pescherecci e attrezzature moderne, cattura i tonni nell’Oceano Atlantico prima che si riproducano: la maggior parte degli esemplari catturati non ha, quindi, la possibilità di raggiungere i siti riproduttivi del Mar Mediterraneo e le popolazioni di tonno decrescono in numero.

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La cattura dei tonni ha quasi abbandonato ad oggi l’uso delle tradizionali “tonnare fisse” per lasciare spazio alle “tonnare volanti”, reti trainate dai pescherecci che ostacolano e circondano il banco di tonni durante la migrazione dall’Atlantico al Mediterraneo. Queste reti vengono utilizzate sia nell’Oceano Atlantico che in Mar Mediterraneo. La flotta di tonnare volanti nel Mediterraneo è piuttosto numerosa ed è composta da barche italiane, francesi e spagnole. La campagna di pesca inizia a Malta, a febbraio, e le barche rimangono in quella zona fino ad aprile, catturando tonni dai 100 ai 300 Kg, per poi spostarsi lungo le coste della Calabria da maggio fino a metà luglio, per arrivare alle Isole Baleari. La campagna in Liguria, nel Santuario dei Cetacei, è l’ultima: inizia normalmente a metà agosto, continua fino a inverno inoltrato e cattura per lo più tonni sulla rotta di ritorno, dopo la riproduzione. Le tonnare volanti hanno, quindi, il vantaggio, rispetto alle tradizionali tonnare, di essere mobili e di poter essere portate dove vengono avvistati i tonni senza aspettare che essi raggiungano le coste per riprodursi. Le “tonnare fisse” (o semplicemente tonnare) rappresentano, invece, un metodo molto antico di cattura dei tonni e, anche se in numero ridotto, sono ancora attive oggi: in Italia, da aprile a giugno, vengono poste in mare le tonnare siciliane e sarde di Favignana, Carloforte, Portoscuso e quella di Stintino. Le tonnare fisse sono reti stabilmente ancorate al fondale marino lungo le coste italiane e mediterranee formate da un labirinto di corridoi e camere che intrappolano i tonni per poi condurli nella “camera della morte”. L’attività di pesca nelle tonnare si conclude con la “mattanza” dei tonni, che consiste nel salpare la rete della camera della morte, arpionare i tonni ed issarli a bordo di apposite imbarcazioni. L’uso delle tonnare cela un antico mestiere e secolari tradizioni mediterranee, in cui, un tempo, si pescavano solo i tonni che erano giunti al termine della loro lunga migrazione dall’Atlantico e che restavano impigliati nelle reti della tonnara. Oggi, invece, i tonni, dopo essere stati individuati e prelevati dalle tonnare volanti, vengono uccisi all’interno delle reti con un colpo di fucile per non rovinarne le carni, o trasferiti in gabbie per “ingrassare” prima di essere venduti.


Divoratori di tonno rosso: il mercato giapponese Il Giappone, maggior importatore di tonno mondiale, è particolarmente goloso del tonno rosso proveniente dagli allevamenti del Mar Mediterraneo, la cui carne, contenente un elevato tasso di grassi, è perfetta per preparare il sushi e il sashimi. I giapponesi lo chiamano “toro” e lo apprezzano al punto che al mercato del pesce di Tsukiji, a Tokyo, il primo tonno venduto nel 2016 è stato pagato ben 14 milioni di yen, pari a 118.000 dollari! Ogni anno il Giappone importa circa 15 mila tonnellate di tonno rosso, che arrivano congelate via mare oppure freschissime via aerea.

Tonni rossi rubati Al fine di gestire in modo sostenibile la pesca del tonno rosso, la Commissione Internazionale per la gestione del Tonno in Atlantico e acque adiacenti (ICCAT), stabilisce annualmente le quantità di tonno che ogni Paese membro può pescare (per maggiori informazioni, clicca qui https://www.iccat.int/en/). Questo sistema non appare essere del tutto efficace, poiché il declino delle riserve è ugualmente in corso, soprattutto a causa della pesca illegale: infatti, le catture di tonno, secondo l’ICCAT, sono superiori alle quote stabilite e assegnate ai diversi paesi! Oltre ai grandi pescherecci appartenenti al commercio mondiale della pesca di frodo, la pesca illegale del tonno è praticata anche da alcuni piccoli pescherecci, che, non riuscendo più a sostenere gli alti costi della pesca (se si considera anche il continuo aumento del costo dei carburanti), si sentono in qualche misura costretti a superare le quote legali di pesca assegnate, per poter riuscire a mantenere la propria attività.

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Tonni all’ingrasso: lo sapevi che il tonno si puo’ “quasi” allevare? Una parte dei tonni rossi catturati tra l’Oceano Atlantico e il Mar Mediterraneo vengono convogliati in gabbie di allevamento galleggianti, dove rimangono ad “ingrassare” per 4-5 mesi (a volte fino ad 1 o 2 anni). Non si tratta di veri impianti di acquacoltura, perché i tonni che finiscono nelle gabbie provengono dagli stock selvatici e non vengono utilizzati per la riproduzione in cattività, come accade invece negli allevamenti di spigole e orate. Nel Mar Mediterraneo, il tonno rosso destinato agli allevamenti viene, quindi, pescato principalmente utilizzando reti a strascico e a circuizione, metodo in grado di mantenere i tonni vivi in vista del loro trasferimento nelle gabbie, diffuso negli anni ’60 e oggi responsabile della cattura del 60-80% del pesce pescato nel Mar Mediterraneo. È un metodo di cattura così efficiente e selettivo che l’ICCAT ha dovuto porre delle limitazioni al suo utilizzo: dal 2001 è, infatti, vietato utilizzare gli elicotteri che dall’alto individuano i banchi di tonno, soprattutto nei mesi di giugno e luglio, periodo in cui si riproducono. I tonni in gabbia vengono nutriti con alici e sardine (infatti anche il pesce azzurro risulta in forte diminuzione), per essere poi ripescati e venduti come “prodotto di allevamento”, un escamotage che permette di aggirare le norme internazionali sulle quantità massime di pescato.

Quanti pesci per sfamare un tonno? Il costo energetico e ambientale derivante dall’attività di pesca di piccole specie pelagiche, come il pesce azzurro, destinate agli allevamenti di tonno è molto alto. Le quantità di pesce appositamente pescato per alimentare i tonni sono notevoli, mentre è modesto l’aumento della biomassa dei tonni stessi: per ottenere 1 kg in più di tonno occorrono dai 10 ai 25 kg di piccoli pesci. L’influenza sugli stock dei piccoli pelagici può aumentare ulteriormente, poiché talvolta i tonni, per esigenze di mercato, sono mantenuti negli allevamenti per periodi più lunghi di qualche mese: si attende, infatti, il momento favorevole in base alla legge della domanda –


offerta per commercializzarli. Inoltre, specie commercialmente poco pregiate sono oggi oggetto di forti pressioni di prelievo che alterano gli equilibri ecosistemici, come avviene per la sardella d’Africa nel Mare di Alboran (la parte piÚ occidentale del Mediterraneo), in natura principale fonte di cibo per le colonie di delfini del Mar Mediterraneo.

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La pesca del tonno pinne gialle... e dei delfini I tonni pinne gialle vivono in grandi banchi nelle acque oceaniche subtropicali, in prossimità della superficie (tra poche decine di metri di profondità e la superficie). Spesso nuotano insieme ad alcune specie di delfini, tanto che per molto tempo questi ultimi hanno fatto da segnalatori ai pescatori: dove si avvistano delfini molto probabilmente ci sono anche banchi di tonni. Proprio per questo, però, i delfini sono spesso vittima dei pescatori insieme ai tonni. Nel 1972 è diventato operativo un sistema di monitoraggio che obbliga i pescherecci ad avere a bordo un osservatore, presenza che permette di rilevare la situazione e limitare la mortalità “accidentale” dei delfini. L’industria conserviera americana, quella europea e molte altre acquistano tonno pescato secondo questa definizione di “dolphin safe”. Anche l’industria italiana si è allineata al programma internazionale di conservazione dei delfini per la pesca nell’oceano indiano (Idcp) e richiede ai propri fornitori di ottemperare a quelle richieste mettendo in atto le tecniche di pesca con l’utilizzo di reti speciali e manovre tali da permettere la fuga a tutti i delfini. Inoltre, solo il 20% del tonno importato in Italia proviene dall’Oceano Pacifico orientale.

Tonno in scatola: come si produce? Per la produzione di tonno in scatola si utilizza principalmente il tonno pinne gialle: le sue carni rosa e tenere sono molto adatte e prelibate. Il tonno viene congelato appena pescato direttamente sul peschereccio e, una volta arrivato allo stabilimento, viene classificato in base alla taglia, identificato e immagazzinato in celle frigorifere. La successiva lavorazione prevede che venga scongelato in vasche con acqua calda, sviscerato, sezionato in pezzi e cotto al vapore.


Dopo la cottura, i grossi pezzi vengono “mondati” a mano, ossia vengono eliminate la pelle, le lische e le interiora (le parti scure) del tonno. Alla fine di questa fase, il tonno si presenta sotto forma di “filetti”: una lama affilata taglia il filetto in “pastiglie”, dell’altezza desiderata, che vengono immesse nella lattina. Al tonno viene poi aggiunto olio e sale e le lattine vengono poi sigillate. A questo punto la lattina chiusa viene sottoposta ad un processo di sterilizzazione ad una temperatura di 110° - 120° C per eliminare eventuali microrganismi presenti all’interno della lattina che potrebbero risultare nocivi o compromettere la buona conservazione del prodotto.

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Tonno in scatola: quanto ne mangiamo? Il tonno in scatola è tra gli alimenti piÚ consumati dalla popolazione italiana. Fa parte della spesa principale e viene acquistato in modo regolare e periodico. Il 94% delle famiglie italiane mangia tonno in scatola e il consumo medio annuo - ben 2,2 kg pro capite, pari a circa 27 lattine da 80g - si colloca ai primi posti nel mondo insieme a Stati Uniti, Giappone e Spagna.


Lo sapevi che... ? I tonni sono pesci “a sangue caldo”. Il nome scientifico del tonno richiama le sue doti di grande nuotatore (dal greco thuno = correre con potenza) che, per far funzionare al meglio i propri muscoli, può riscaldarli irrorandoli di più sangue e mantenendoli ad una temperatura più alta di quella dell’acqua (8-10 gradi C° in più dell’acqua). Questo adattamento agevola il funzionamento di quei muscoli che lo rendono un primatista di velocità e di resistenza, ma al contempo richiede che grandi quantità di ossigeno vengano convogliate nelle branchie per l’attività fisica. Per questo il tonno non può mai fermarsi, altrimenti soffoca: solo il movimento gli garantisce di far entrare la giusta quantità di ossigeno nelle branchie! I tonni rossi si riproducono in cerchio Nei mesi di giugno e luglio, durante la fase riproduttiva, i banchi di tonni iniziano a nuotare vorticosamente e formano un enorme cilindro rotante da cui i pesci scattano a turno verso il centro. Addome contro addome, emettono i loro gameti, che la forza centripeta prodotta dal turbinio dei tonni concentra lungo l’asse verticale, facilitandone l’incontro e la fusione. La girandola deve aver luogo più di una volta poiché gli animali non emettono tutti i loro gameti contemporaneamente: al termine della stagione riproduttiva le femmine hanno prodotto decine di milioni di uova!.

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Tonno nella storia Quando vengono create le prime tonnare? Le tonnare sono parte integrante della civiltà mediterranea, per secoli importanti realtà produttive in Italia (ed in particolare in Sicilia e Sardegna), Spagna, Francia, e nelle coste nordafricane del Maghreb. Esse appartengono ad una cultura tradizionale, eredità del mondo antico, che per secoli è rimasta viva in questo bacino. È proprio nel mondo antico, e più precisamente tra il III secolo a.C. e fino alla metà del III secolo d.C. che si sviluppa la prima industria tonniera, localizzata tra le isole greche, la Tunisia, la Sicilia, la Sardegna e Gibilterra, Cotta a sud e Cadice a ovest. Impianti di pesca, saline, fornaci per anfore si completano a vicenda, potenziano le proprie capacità produttive e sono al centro dello sviluppo di importanti centri abitati.

Gli arabi in Sicilia (IX-XI secolo) La caduta dell’impero romano (476 d.C.) e i successivi avvenimenti determinano una contrazione dell’attività economica, della pesca e del commercio. Il mondo è molto insicuro, dominato da ricorrenti cambiamenti politici e dal pericolo della pirateria. Gli scambi hanno dimensione locale. È in questa realtà che irrompe la cultura araba. Nell’827 Abad-al-Furat sbarca a Mazara e da lì giunge a Favignana dove vengono edificati un castello ed una tonnara “da posta”, base per operare lungo tutto il litorale siciliano. Gli arabi, assecondando la varietà geomorfologica delle coste siciliane, brevi ed in genere scoscese, con ampie insenature e buoni ridossi, sviluppano il sistema di pesca dei tonni con reti da posta fisse. Essi danno vita alla struttura da pesca chiamata tonnara, simile a quella che ancora oggi conosciamo, che se perde in flessibilità, assicura continuità di pesca, resistenza alle correnti e al mare grosso e maggiori capacità di tenuta.

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La conquista normanna (XI – XII secolo) Al loro arrivo in Sicilia i normanni trovano una realtà in grande fermento e immediatamente ne colgono le potenzialità. Impongono la concentrazione nelle mani del sovrano dei diritti di pesca lungo tutti i litorali del regno, nei golfi e nelle insenature e ne stimolano quindi lo sviluppo con misure apposite. I grandi impianti per la pesca che gli arabi hanno ammodernato o costruito ex novo vengono inventariati, classificati, assegnati a vassalli o amministrati da rappresentanti del sovrano a favore di diocesi, santuari e monasteri. Le attribuzioni inizialmente dettagliate perdono con il tempo le caratteristiche originali, per risolversi nel prelievo di una decima : 1 tonno ogni 10 catturati in ciascuna mattanza, o ancora e più semplicemente nel corrispettivo in denaro. I registri degli introiti delle diocesi costituiscono dunque oggi una fonte di prima importanza per stabilire seppur approssimativamente le catture del tempo.

La nascita di nuovi stabilimenti In epoca normanna, la pesca al tonno è condotta da un rais (comandante dei pescatori) al quale compete la scelta del luogo, sperimentato come fruttuoso per il passaggio di tonni, dove creare l’impianto a mare. Accanto ad esso vengono costruite strutture, dette marfaraggi, per il deposito dei materiali e delle scorte, il ricovero dei natanti, di reti e di sugheri, per la salatura ed il confezionamento dei prodotti di tonno e lo stoccaggio prima del trasporto. È qui, intorno ai futuri stabilimenti, che si radicano le comunità specializzate. Al loro interno si sviluppano nuclei di maestranze qualificate molto richieste. La gestione della stagione di pesca in un impianto per la cattura di migliaia di tonni è molto complessa. Essa richiede capitali ingenti per far fronte alle spese per i materiali occorrenti: la ciurma è composta da circa 300 persone; 100 sono i marinai e tonnaroti veri e propri, gli altri occasionali con le loro famiglie. Costose sono le scorte necessarie per lavorare il pescato nello stabilimento annesso e prepararlo all’esportazione il cui mercato è in continua espansione e ancora costosa è la manodopera a questo destinata: 40-50 persone tra tagliatori, annettatori, salatori, barilari, timpagnatori, ecc. Il commercio del tonno sotto sale


cresce e conosce grande diffusione tanto da attirare in Sicilia molti imprenditori soprattutto amalfitani, genovesi, pisani, catalani, ma anche ebrei, che operano soprattutto come finanziatori. Il loro denaro permette l’elaborazione di un prodotto più o meno differenziato per qualità, tagli e preparazione, adatto ad una clientela che si caratterizza per la diversità del gusto, come per esempio quello dello “speziato alla moda di Siviglia”. È il XV secolo il periodo d’oro per la costruzione di nuovi impianti, anche per impulso della monarchia, malgrado gli assalti dei pirati e le guerre di corsa condotte appositamente contro le tonnare concorrenti. I dati desunti dai registri delle decime portano gli studiosi a valutare per ogni tonnara la cattura di almeno 1.000 tonni all’anno. Nella prima metà del Seicento, le sole tonnare trapanesi producono in media 25.000 barili all’anno per l’esportazione e una quantità inferiore di un terzo per il consumo diretto in fresco, il compenso in natura ai tonnaroti, gli obblighi e i gravami e le ruberie. Contribuisce in modo importante al successo di questo prodotto il calendario liturgico che prevede il magro, e quindi il consumo di pesce, per molti giorni all’anno.

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Il tonno conservato sott’olio La grande espansione della pesca del tonno e della sua trasformazione precede tuttavia l’inizio della sua crisi, i cui primi segni sono evidenti a partire dal Settecento. Gli anni in cui la pesca è scarsa si susseguono; nei decenni centrali dell’Ottocento su 85 tonnare esistenti in Sicilia, oltre la metà sono chiuse; a fine secolo ne rimangono attive una ventina. Se diminuisce la quantità di tonni pescati, un’importante novità è tuttavia quella della commercializzazione di tonno conservato sott’olio, inizialmente (dal 1838) in barili, quindi in grosse scatole da 1-5-10 kg di banda stagnata, prima etichettate, quindi litografate in loco. I Florio intuiscono l’avvenire industriale e commerciale di questo prodotto e sviluppano già dagli anni 1850 questo settore nuovo e dinamico dell’attività conserviera esportando tonno in tutto il mondo.

Il tonno conservato sott’olio La grande espansione della pesca del tonno e della sua trasformazione precede tuttavia l’inizio della sua crisi, i cui primi segni sono evidenti a partire dal Settecento. Gli anni in cui la pesca è scarsa si susseguono; nei decenni centrali dell’Ottocento su 85 tonnare esistenti in Sicilia, oltre la metà sono chiuse; a fine secolo ne rimangono attive una ventina. Se diminuisce la quantità di tonni pescati, un’importante novità è tuttavia quella della commercializzazione di tonno conservato sott’olio, inizialmente (dal 1838) in barili, quindi in grosse scatole da 1-5-10 kg di banda stagnata, prima etichettate, quindi litografate in loco. I Florio intuiscono l’avvenire industriale e commerciale di questo prodotto e sviluppano già dagli anni 1850 questo settore nuovo e dinamico dell’attività conserviera esportando tonno in tutto il mondo.


Il secondo dopoguerra Negli anni cinquanta del Novecento pescano solo 12-14 tonnare “di andata” per tonni in via di riproduzione e 3-5 “di ritorno” nella Sicilia ionica e meridionale. In tutto vengono superati gli 8-9.000 esemplari di grande taglia, tra i 9 e 15 anni di età mediamente. La diminuzione e l’estrema irregolarità delle catture comportano per le tonnare la chiusura dell’attività collaterale della conservazione sottolio e questo sia a causa degli alti costi gestionali per lavorazioni stagionali di breve periodo, sia e soprattutto per l’arrivo sui mercati di tunnidi oceanici congelati o surgelati, di specie affini al tonno, ma meno pregiate, quali il Neothunnus albacare (yellowfin) e il Parathunnus obesus (bigeye), non presenti nel Mediterraneo e vendute a prezzo più basso di quello del tonno rosso, assai ricercato e venduto fresco. Negli anni settanta la diminuzione della specie Thunnus thynnus (tonno rosso o bluefin), la più apprezzata, è generale nei mari del mondo, pescata con strumenti tecnologici sempre più avanzati e produttivi. La crisi è più evidente e grave nel Mediterraneo per la conformazione dei siti pescosi. Le catture crollano (negli anni novanta sono pari al 40% di quelle degli anni settanta). Il traffico di piccolo cabotaggio, l’aumento di attività pescosa con impiego di fonti luminose, di reti da posta, di strascicanti in acque poco profonde, la mancanza dell’applicazione delle norme disciplinari, l’inquinamento delle acque costiere e l’alto costo di una manodopera sempre più reticente davanti ad un impiego stagionale contribuiscono alla chiusura delle tonnare. Alla fine degli anni novanta sono ancora attive la tonnara di Favignana, di San Cusumano, sostenuta da un efficiente stabilimento conserviero per tunnidi surgelati di provenienza estera e la tonnara di Capo Passero, “di ritorno”, nella Sicilia sudorientale. A bilanciare in parte questa situazione è l’attività delle tonnare volanti, attestate negli anni settanta nelle isole Eolie, oggi concentrata nel Mediterraneo centrale tra Malta, Sirti e Lampedusa a causa dello spostamento dell’area di riproduzione dei tonni.

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Tonno: cronache di un tempo Pesca lombarda Nell’articolo riportato di seguito viene brevemente presentata la pesca nell’area lombarda: dopo l’introduzione dedicata alla pesca in generale, considerata come materia da annoverare nell’agricoltura perché ricava prodotti dalla natura, delinea la situazione delle acque della zona e della loro pescosità. Vengono fornite cifre a corredare lo scritto, il quale riconosce l’utilità dell’importazione del pesce di mare dalle zone costiere, ma allo stesso tempo elogia i prodotti dei numerosi canali, fiumi e laghi della Lombardia. Tratto da: “Giornale agrario del Lombardo-Veneto e continuazione degli Annali universali di Agricoltura, di Industria e d’Arti economiche” (fasc. 7, luglio 1849) “Fino dall’infanzia del mondo degli uomini si occupavano dei campi, degli armenti, della pesca, della caccia: erano le prime arti, e saranno certamente le ultime. Noi che pacificamente attendiamo a queste patriarcali abitudini nate e cresciute coi secoli non siamo né i primi, né gli ultimi: meditando sui costumi di quelli che ci precedettero sulla scena, lasciamo ai nostri nepoti quello che abbiamo operato noi nei pochi giorni che viviamo. L’industria che si procaccia i prodotti della natura, sicchè questi emergano spontanei, siacchè dalle mani del lavoratore si ottengano, è appellata a ragione industria agricola, o agricoltura Ammesso un tale principio, che ci sembra affatto ovvio e consentendo ai lumi della scienza contemporanea, ne viene di conseguenza la più diretta, che debbansi classificare coll’industria agricola tutti i lavori che hanno per iscopo di trarre dalla natura quelle materie, qualunque esse siano, che possono servire ai nostri bisogni, e quindi anche quelle le quali non suppongano la coltivazione del suolo: sono di tale specie le cure del cacciatore, quelle del pescatore, i quali s’impadroniscono degli animali, che non sono stati allevati colle loro mani: del minatore, che cerca nelle viscere della terra quei minerali, che là posavano prima ch’egli se ne occupasse. Sebbene gli uomini non abbiano fatto nulla direttamente per la formazioni dei pesci, dei volatili in generale, e dei minerali, tuttavolta non sono prodotti, di essi si possa usare gratuitamente, asserisce un benemerito economista. Costano il valore delle cure, che abbisognano per trarre questi oggetti dal luogo, ove li ha alloggiati la natura, per metterli nelle mani del consumatore. Così il prezzo di alcuni pesci di mare, sulle sue spiaggie, non è altro che il rimborso delle spese di produzione, spese occorse per condurre alla riva questi animali. Come il prezzo dei cavoli, o dei pomi di terra è il rimborso dei dispendii di produzione sostenuti per mettere queste leguminose sui mercati. In Lombardia la pesca è un ramo d’industria agricola d’assai importante, ove si vogliano considerare tanto i prodotti, che diventano elementi di materia commerciale, quanto quelli che rappresentano la consumazione privata, la quale alla campagna principalmente è d’assai considerevole, e quasi incalcolabile: dacchè ogni campagnuolo in certi giorni principalmente della settimana diventa pescatore. Ove poi si parli di quella classe di campagnuoli che vivono sulle costiere dei nostri bei laghi, o lungo i nostri fiumi, i nostri torrenti, l’industria della pesca è certamente più rimarchevole. L’area della Lombardia, abbiamo accennato in altra scrittura, essere di milioni 31,881,946 pertiche

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censuarie, cioè 20,704 chilometri quadri. In questo bellissimo paese sono le acque così incantevoli dei nostri laghi, si ammirano le limpide correnti de’ nostri fiumi, de’ nostri torrenti: in pochi luoghi si riscontrano i paduli, che rapidamente vanno a scomparire d’anno in anno, di mese in mese, si può dire, di giorno in giorno. L’estensione coverta dalle surreferite acque è calcolata di pertiche censuarie 656,593. qui non sono calcolate tutte le acque d’irrigazione, che arrivano certamente a somma rilevante, ma che difficilmente si potrebbero estimare stante gli intricatissimi serpeggiamenti dei diversi canali piccoli e grandi, e l’immensa divisione delle acque irrigatorie sui campi delle nostre basse.

La pesca propriamente detta però, ossia quella che vien esercitata in grande, può considerarsi avvenire precisamente nei laghi e nei fiumi o torrenti. L’altra che certamente non è meno profittevole, e che si esercita nei canali d’irrigazione, è la piccola pesca, cioè quella che si versa per la minor parte nel circolo commerciale, e pel resto a profitto di chi la esercita. Sonvi certe epoche, che ritornano diverse volte in un anno, in cui buona parte dei campagnuoli delle basse vivono per delle settimane, e talvolta per qualche mese esclusivamente della pesca: e questi periodi tornano, quando vengono asciugati i canali d’irrigazione onde operarvi gli spurghi, e le riparazioni occorrenti, o quando torna la stagione dell’asciugamento delle risaje. In Lombardia il prodotto della pesca è in grande e calcolato in massa di libbrei metriche circa un milione e 200,000, e rappresentato da un valore pecuniario d’un milione circa, cifra che certo è al di sotto alquanto del vero. Ove si volesse la cifra speciale per ciascuna provincia avremo per la provincia comasca lire 270,000 circa; per Lodi e Crema 160,000; per Mantova 130,000; Cremona 95,000; Bergamo 80,000; Brescia 66,000; Milano 50,000; Pavia 50,000; Sondrio 20,000. Queste cifre approssimative rappresentano un valore che diremo commerciale, certamente inferiore al vero, come dicemmo, non mai maggiore. A questa somma di più d’un milione di rendita sarebbe d’aggiungersi un’altra, la quale dovrebbe rappresentare la consumazione di tutte le famiglie dei pescatori di professione, e di tutti gli altri che per bisogno, o per divertimento esercitano la pesca: e questa altra cifra noi non la supponiamo minore della già espressa di circa un milione. […] Noi lombardi non abbiamo paese che serva di costiera ai mari, e quindi manchiamo di pesce marino; per cui siamo debitori ad altri dell’importazione di questo ricercato commestibile. Però se confrontiamo la nostra pesca d’acqua dolce, con quella identica d’altri paesi, abbiamo argomento di consolarci, mentre si trovavano gli altri certamente al disotto di noi, e nella quantità di pesci, e nella qualità squisita, proprietà che sembra riservata alle nostre acque. […] Le nostre acque, le scaturigini delle quali si rinvengono nel sistema delle patrie montagne, si distinguono in potabili o dolci e non potabili. Le acque che servono all’uso comune degli animali si derivano dai fiumi, sia chiusi, come nella città, nelle borgate i pozzi servienti all’uso domestico ed all’abbeveraggio degli animali. Queste acque, torbide più o meno, pregne di sostanze animali o vegetabili quasi sciolte si adoperano pure alla generale irrigazione della nostra campagna; e queste hanno maggiore o minor valore a seconda delle loro intrinseche proprietà, e delle terre e dei vegetabili cui debbono alimentare. […] La pesca nostrale è più o meno preziosa, più o meno apprezzata in confronto delle buone o cattive prerogative delle acque. Le stesse specie di pesci tolte dalle acque dei nostri fiumi, dai limpidissimi torrenti, o dai nostri laghi hanno maggiore valore che non quelle prodotte dai cavi delle nostre basse, ove frequenti fanghiglio ed avanzi di animali e vegetabili vi si tramescolano.


[…] Le specie dei pesci che vivono nelle nostre acque dolci vantano le più ricercate proprietà per la loro squisetezza sulle più doviziose mense del paese e fuori. Le principali sono: gli storioni che vivono nei principali nostri fiumi e laghi (sturio), le trotte (trutta), il lucio (lucius), il persico (perca luviatilis), l’agone (clupeo alosa major), celebrità del lago di Como; sardella (clupeo alosa minor), l’anguilla (murena anguilla); temolo (thymallus); la tinca (cyprinus tynca); il barbo (barbus), la scardova (ruttilus), la lampreda (petromyzon). Molte altre specie abbiamo passato sotto silenzio, dacchè sono di minor momento. Abbiamo fiducia di aver annunziate cose interessanti per nostro paese; vorremo però pregare i nostri pescatori, i nostri dilettanti di pesca e rassegnarci quelle notizie ulteriori che non ci fossero note ancora o che concorressero ad illustrare vieppiù la nostra Lombardia.”

Pesce affumicato L’articolo che segue tratta in modo semplice ma efficace il processo di affumicazione del pesce, descrivendone i vari stadi e gli utensili impiegati e introducendo il lettore a un tipico piatto della città di Kiel. Tratto da “Letture della domenica” (vol. 4, fasc. 14, aprile 1911). “La città di Kiel – il famoso porto di guerra prussiano, teatro della non meno famosa settimana di regate - è il centro dell’affumicamento del pesce; e di questo, come d’un cibo di stagione, vogliamo occuparci oggi, lasciando da parte i grassi prosciutti, le lombate e le salcicce di maiale. L’azione conservatrice del fumo sulla carne è data dal contenuto di creosoto – proprio il creosoto, il medicamento che a questa sua particolarità deve anche il nome, composto da kraos, carne, e sozein, salvare – che è nel fumo stesso; dall’antica forma primitiva, consistente nell’appendere semplicemente nella cappa del camino la carne da affumare, s’è svolto poi, coll’andar del tempo, il sistema moderno, pel quale il fumo, prodotto in focolai post nelle cantine, si raccoglie in una camera sul solaio; dal camino, il fumo entra nelle camere per un condotto lungo e stretto, posto in basso, e per un altro, aperto in alto, ne esce; alle volte, sopra questa prima camera da affumare ve n’ha un’altra; nella prima stanza il fumo è tiepido, nella seconda è quasi freddo. Date le due aperture, il fumo circola continuamente, cosicchè la carne ne riceve ad ogni momento di nuovo, e quello che è carico d’umidità e che potrebbe produrre fuliggine se ne va dal tubo di scarico. Come la carne, prima d’essere affumata, dev’essere salata, così anche i pesci; a questo fine, s’immergono in una soluzione di sale, la cui densità è determinata empiricamente col gettarvi una patata: quando la patata galleggia, la soluzione è forte abbastanza. In questa soluzione il pesce resta per qualche ora, talvolta anche un giorno intero, poi si sala ancora e quindi s’espone all’azione del fumo per cinque o sei ore. Dato il breve tempo di fumigazione richiesto dai pesci – in confronto colle carni, che devono stare nella camera d’affumamento da una a dieci settimane, secondo la grossezza dei pezzi – per questi s’usano camere speciali, molto più piccole e vicinissime al focolaio generatore del fumo. Quando il pesce è ben affumato, lo si dispone in iscatole o barili per la spedizione; le scatole sono riservate al pesce piccolo come gli sprotten – una specie d’aringa, clupea sprattus, che misura dai 10 ai 15 centimetri e vive nel mare del Nord e nel Baltico – gustosissimi a mangiarsi insieme col burro; le aringhe – che affumate prendono il nome di Bucklinge – si spediscono in casse, e le più ricercate sono quelle di Kiel.”

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Pesce al posto della carne Grande attenzione è posta, in questo articolo, al risparmio: incentivare il consumo di pesce, soprattutto d’acqua dolce, al posto della carne il cui costo è nettamente superiore. Tratto da: “La lettura” (febbraio 1936).

“Fu detto: «Bisogna convincersi di questo, che tutti i popoli i quali si sono dati a rispettare il pesce, a coltivarlo e a moltiplicarlo, sono riusciti a risolvere l’arduo problema della vita a buon mercato, essendo l’ acqua, per chi ne abbia cura, molto più produttiva della terra». Naturalmente ciò si riferisce alle così dette acque interne, perché per i mari la questione è più complessa. Ma abbiamo volutamente accennato alla pesca non marina che è la più trascurata presso di noi, perché è da essa, forse più che dai mari, che l’Italia può trarre un immediato vantaggio per la sua economia alimentare. Esaminando le statistiche vediamo che le popolazioni le quali consumano poco o punto pesce sono quelle dell’Italia continentale. I miseri tre chilogrammi in media di pesce (contro i diciotto di carne bovina) mangiati dai quarantaquattro milioni d’Italiani si riducono a meno di uno nelle regioni dell’Emilia, del Piemonte, dell’Umbria. Due fatti principali determinano lo scarso uso del pesce nel Regno: il suo costo troppo elevato e il cattivo modo di presentarlo in vendita nelle città secondarie e nei piccoli centri. Ricordiamo che fino a ieri noi abbiamo importato, tra fresco e conservato, più di un milione di lire di pesce al giorno. Lasciamo stare quello conservato (del quale parleremo in seguito) ma che l’Italia importasse pesce fresco dalla […] Svizzera, Francia, Olanda, Norvegia, è incomprensibile. Incomprensibile per noi, non per il commercio il quale ubbidisce alle leggi della concorrenza. E se Basilea mandava […] a Genova il pesce di mare è perché gli alberghi, le trattorie, i privati stessi trovavano la loro convenienza ad acquistare pesce fresco e ottimamente presentato da così lontano piuttosto che al mare di casa loro. Il trasporto del pesce richiede mezzi celerissimi e attrezzatura particolare. In tutti i Paesi più progrediti in fatto di pesca oggi non si vende altro che pesce vivo. Il nostro pubblico non esige tanta raffinatezza ma desidera che il pesce sia almeno fresco e fragrante. Nei grandi mercati ciò si è ottenuto, ma nei centri secondari no. Le botteghe, e specialmente i banchi a vento delle piccole città non sono certo i più acconci ad invogliare la gente all’uso del pesce. Peggio i paesi dell’interno, dove, anche se si trovano due o tre beccherie, il pesce è affatto sconosciuto. Si noti che le popolazioni lontane dal mare non è vero che rifuggano dall’alimento ittico, anzi


sembrerebbero l’opposto se si consideri che, appena pongono piede sul litorale, gradiscono e gustano in modo tutto particolare i saporosi e stimolanti manicaretti di pesce. Primo dovere, in quest’ora severa della Patria, è quello di far giungere il pesce fresco e a buon mercato in tutti i centri dell’interno, anche i più piccoli e remoti. Nei paesi dove esiste un beccaio e non lo spaccio di pesce, il macellaio dovrebbe avere obbligo, nei giorni in cui gli è vietato di vendere carne, di sostituirla con i frutti delle acque. Nelle grandi città, accanto al mercato del pesce, devono sorgere friggitorie dove le rimanenze possano venire utilizzate subito. Altre friggitorie ambulanti porteranno intorno, all’ora dei pasti, il loro caldo e dorato carico a cui la nostra gente fa sempre ottima accoglienza. Ma sopra tutto bisogna dare alle popolazioni dell’interno la loro pesca, quella delle acque dolci. I laghi, i fiumi, i canali, gli stagni, le risaie, le paludi, occupano 1.567.200 ettari di superficie d’Italia. L’elemento liquido che dovrebbe rappresentare una incalcolabile ricchezza ittiologica è, dobbiamo confessarlo, sterile o quasi. La Germania, non molto più copiosa di acque dolci della Penisola, avrebbe potuto vivere un anno con i soli prodotti delle sue acque. Noi, avendo trascurato nel passato questo ramo dell’attività sociale, ci troviamo oggi a non potere fare che un minimo assegnamento sui prodotti ittiologici. La pesca di frodo, gli inquinamenti industriali, le razzie e le devastazioni compiute quasi impunemente da persone di tutte le condizioni, hanno finito per distruggere una ricchezza della quale solamente ora si rileva l’importanza. Pensate che dalle scaturigini alla foce tutti i corsi d’acqua danno ricetto a una quantità incalcolabile di pesci commestibili, il cui valore nutritivo, ricco di sostanze azotate e di grassi, è superiore a quello della carne bovina. Dai salmonidi del tratto superiore dei fiumi, al cavedano e alla carpa del tratto medio, alle anguille, agli storioni del corso inferiore, è tutta una vita acquatica che comprende una infinità varietà di animali. Non parlo dei laghi, veri serbatoi e vivai di pesci anche di grossa mole e di qualità pregiate ed elette, delle valli dove l’industria più importante è quello della pesca. I canali, le rogge, i fossi, qualunque rigagnolo potrebbe albergare pesci e rappresentare per le popolazioni del luogo un’inesauribile fonte a cui attingere gratuitamente da vivere. Le risaie e le paludi, seminate di carpe, tinche e anguille, fornirebbero tanto cibo da arricchire i mercati di intere regioni.

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La carpa, questa vera macchina da carne, che può crescere di mezzo chilo in un anno e che dà fino a 250.000 uova, era già stata introdotta nelle nostre risaie ed aveva preso un notevole sviluppo. Ma, qualunque altra impresa ittica, essa fu abbandonata per il semplice fatto che le carpe allevate dall’agricoltore venivano regolarmente razziate dai pescatori di frodo, i quali, prosciugando le piane, cagionavano un doppio gravissimo nocumento. Nessuno, se non quelli che hanno profonda pratica di pesca e di piscicoltura, s’immagina il danno enorme e talvolta irreparabile procurato dal pescatore clandestino. L’avvelenatore, l’inquinatore, il prosciugatore del torrente e del fiume distruggono in una sola notte quintali di pesci, rovinando il fondo, fanno strage di uova e avannotti, rendendo sterili talvolta per lungo tempo vasti tratti del corso d’acqua. Tutti i provvedimenti che in quest’ora gli enti pescherecci, i consorzi, le cooperative, le associazioni sindacali saranno per prendere al fine di dare nuovo incremento alla pesca delle acque interne riusciranno inutili se prima e sollecitamente non si cercherà di debellare la pesca di frodo. […] Dicevamo che la gente dell’interno, gli abitanti dei piccoli centri e delle campagne, non consumano pesce perché non hanno comodità di acquistarlo, mentre la carne la trovano dovunque a portata di mano. È con la pesca delle acque dolci che si rimedia a questo inconveniente. Se tutti i nostri bacini fossero ricchi, come dovrebbero, di fauna, le nostre popolazioni troverebbero il pesce abbondante e a miglior mercato della carne ogni giorno della settimana. […] La pesca delle acque interne era tanto scaduta nel suo valore che oramai non veniva più considerata che un pretesto di riporto e di svago. Pescatore non era altro che un perdigiorno il quale andava con la canna o la rete a insidiare il solitario pesciolino. Al punto che oggi, in un momento tanto importante per la nostra economia, c’è ancora chi non presta fede al valore delle pesca di mestiere nei bacini interni. La canna e la bilancia sono bellissimi ordigni per chi è amante della vita sana e libera in tempi normali, ma ora è alle grandi reti, ai mezzi di forti prese, alle cooperative pescherecce che noi dobbiamo rivolgere le nostre speranze perché rechino ai mercati la maggior quantità possibile dei prodotti delle acque. Tutti gli impacci che furono creati per favorire il dilettante a scapito talvolta della pesca professionale devono cadere di fronte alle condizioni straordinarie del momento attuale. […] Un altro lato importante del problema è la propaganda peschereccia. I tre chilogrammi in media di pesce che noi consumiamo, se non potranno salire ai 73 che si consumano in Germania o ai 130 in Norvegia, potranno e dovranno essere almeno triplicati.


Come dicevamo, la migliore propaganda si ottiene con le friggitorie. Far gustare al pubblico un cibo ben preparato, stimolante, leggero, e a buon prezzo, è il mezzo più pratico e convincente per introdurre il pesce nella nostra cucina. […] Anche il dottor Natalius e sua moglie in una recente manuale «dedicato alle modeste mense italiane» abbinano i due più sani frutti delle acque, pesce e riso. Le loro 635 ricette sono ciò che di più semplice ed economico si possa immaginare, e noi vorremmo che le nostre donne, massaie e cuciniere, imparassero quanto varie, impensate ed ingegnose saranno le maniere per far apprezzare il pesce ai loro familiari. Un’altra forma efficacissima di propaganda potrebbe essere il cinematografo.

Pellicole che mostrassero al pubblico tutta la vita che si svolge attorno alla pesca, da quella atlantica alle tonnare, dalla caccia al pesce-spada con la fiocina nei mari siculi all’insidia a traino del dentice, dalle spaderme ai palamiti, dalle reti a strascico alla modesta canna; l’industria della conservazione, della salagione, dell’affumicatura, dell’essicazione; i trasporti celeri per acqua, terra, cielo; l’arrivo ai mercati, la distribuzione, la vendita, infine la dimostrazione pratica del modo di condizionare il pescato e di servirlo in tavola, riuscirebbero interessantissime e utilissime al pubblico italiano il quale ha il dovere, per la sua salute fisica e morale, di fronte a se stesso e al mondo incivile dei sanzionisti, di sostituire alla carne bovina quella più sana, vitale e nazionale del pesce.” (Eugenio Barisoni)

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Tonno: ricette di un tempo Tonno brasato in salsa legata Preparazione: 1. Vuota un tonnetto di almeno 1 kg. 2. Polverizza 10 grani di pepe, altrettanto di cumino e timo,1 cucchiaio di coriandolo, 1 cipolla fresca e 25 gr. di uva passa. 3. Trasferisci in un casseruolino, aggiungi 2 cucchiaini di miele, 1 cucchiaio di aceto, 2 cucchiai di salsa di soia e 2 cucchiaini di pasta d’acciughe, 3 cucchiai d’olio e 4 cucchiai di Marsala secco. 4. Cuoci fino a che la cipolla si disfa e la salsa diventa omogenea. 5. Aggiungi 1 cucchiaio colmo di amido di frumento, batti per disperdere gli eventuali grumi. 6. Scalda senza far bollire, mescolando bene fino a che si rapprende; aggiungi mezzo bicchiere d’acqua e continua a scaldare mescolando finché si rapprende di nuovo. 7. Spalma con qualche cucchiaio di salsa il fondo di una grande pirofila di portata. 8. Apri in due il pesce dalla parte del ventre, togli la spina dorsale e le altre spine. 9. Disponi il pesce pulito nella pirofila con la pelle sotto. 10. Spalma la salsa sulla polpa del pesce e con la salsa in più copri il di sotto del pesce, in modo che tutta la pelle sia protetta. 11. Cuoci in forno medio (140°) per tre quarti d’ora. Servi caldo, ma non troppo. 12. Salsa per il pesce: pepe, lingustico, timo, coriandolo verde, aceto, miele, vino, “liquame”, defrito, olio. Scalda e agiterai con un rametto di ruta e legherai con amido*. * Il liquame è la salsa base della cucina apiciana; è un prodotto liquido che si ottiene dalla filtrazione del garo (o garum), ovvero di una salsa risultato della macerazione per 65 giorni delle interiora di pesce a cui si uniscono sale e spezie (fino a 16 spezie diverse). Ai giorni nostri potrebbe assomigliare ad una miscela di pasta d’acciuga e salsa di soia. Il ligustico invece è una comune pianta perenne della famiglia delle ombrellifere, che dona un aroma piccante; non viene più coltivata in Italia. Il defrito é un mosto concentrato a caldo. Tratta da... Marco Gavio Apicio, De Re coquinaria, libro X, Il libro del pesce, a cura di A. Del Re, Viennepierre edizioni, Milano 2002. Questa ricetta è una versione moderna di un piatto proposto nell’unico testo, giunto a noi, di gastronomia dell’antica Roma, il De re coquinaria (L’arte culinaria) attribuito a Marco Gavio, detto Apicio, un ricco patrizio che visse sotto gli imperatori Augusto e Tiberio. L’opera raccoglie 450 ricette che spaziano dalla preparazione delle carni tritate alla conservazione della verdura, della frutta, dei formaggi, fino ad arrivare ai farinacei, base dell’alimentazione dei romani; dai suggerimenti per cucinare la cacciagione (compresi struzzi, gru, fenicotteri, pavoni e pappagalli) a come cuocere il pesce.

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