L'allevatore di farfalle. Le storie non scritte sono destinate a non essere lette.

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~atropo 路 narrativa~ 6



stefano bruccoleri

l’allevatore di farfalle le storie non scritte sono destinate a non essere lette

illustrato da daniele la placa


Questo libro è rilasciato con la licenza Creative Commons: "Attribuzione − Non commerciale − Non opere derivate, 3.0" consultabile in rete sul sito www.creativecommons.org Tu sei libero di condividere e riprodurre questo libro, a condizione di citarne sempre la paternità, e non a scopi commerciali. Per trarne opere derivate, l'editore rimane a disposizione.

Collana Atropo Collana diretta da: Anna Matilde Sali Grafica: Gabriele Munafò, Sonny Partipilo Illustrazione di copertina: Daniele La placa

© Copyright 2012, Ass. cult. Eris via Reggio 15, 10153 Torino info@erisedizioni.org www.erisedizioni.org Prima edizione ISBN 9788890693922




Prefazione

Ho conosciuto Stefano Bruccoleri dentro a un Centro diurno, nella primavera del 2005, a Bologna. Io cercavo storie di vita ai margini e persone che volessero scrivere su Piazza Grande, che è il primo giornale delle persone senzatetto in Italia. Mi trovo davanti questo ciclista tecnologico con la faccia da sindacalista anni ’70. Dalla diffidenza presto siamo passati all’amicizia, poi ho scoperto la sua scrittura, il suo artigianato delle parole. I suoi testi sono di una forza primordiale e Stefano è uno scrittore, oggi. È uno strano tipo di scrittore: non gli piace leggere, non ha studiato molto, perde le cose, ha scarsa memoria e non è innamorato della sua scrittura (e questa è una grande dote per uno scrittore), ma Stefano “Bici” è un artigiano, un robivecchi, un essiccatore di emozioni, un collezionista di parole, è un trasformatore di lacrime; è uno scrittore per necessità prima ancora che per talento; lui va in giro, con quel naso da pugile suonato, puntato per terra e nelle ascelle degli esseri umani. Poi si siede in un angolo di mondo con tabacco, cartine, birra e una zuppa su un fornello 7


da campeggio e comincia il suo difficile lavoro di estrazione, lavaggio, smontaggio e riassemblaggio. Finché non escono questi preziosi gioielli di rara bellezza, che non sono altro che vita vera, depurata dalla paura. Stefano è un testimone con il dono del racconto ed è una rarità che va assolutamente difesa e valorizzata. È un testimone viaggiatore capace di parlare più lingue e non ha mai dimenticato le sue vite precedenti. Cioè: lui raccoglie immagini e storie da angoli di strada, come anche dalle sue budella, le prende, le porta in officina, le mette nel mucchio giusto, poi prende la sua cassetta degli attrezzi costruita in anni di lavoro e comincia a lavorarci. Pulisce, leviga, smonta, lubrifica, poi assembla di nuovo, dando nuova luce e dignità a quel mondo altrimenti definito “degrado”. Stefano fa tutto questo non dimenticando mai che chi lo ascolta vive in quel mondo fatto di case pulite, piccole economie domestiche, affitti, cucine accoglienti, lavoro, serate davanti alla televisione, bambini, vecchi, amanti, biancheria pulita e vacanze al mare. Di freaks talentuosi ce ne sono, ma quasi tutti scivolano nella mitologia del “buon barbone”: esaltando una pseudo libertà (del tutto ideologica) della vita di strada, relegandosi così in una riserva indiana ad uso e consumo di sociologi, giornalisti ed educatori frustrati. Stefano ha sempre rifiutato 8


tutto questo. Lui sa come vive la gente ed è lui che mi ha insegnato a vedere la continuità che esiste fra il senzatetto da marciapiede, il forzato dei servizi sociali, il border che vive in camper, il barbone in affitto, lo studente fuori-sede che dorme al centro sociale, la ragazza di buona famiglia fidanzata del “punkabestia”, il padre di famiglia ciclista che passa otto ore lontano da casa ogni domenica su per le montagne, il muratore che butta i soldi dello straordinario nelle macchinette nei bar di periferia, fino alla famiglia che frequenta i gruppi di acquisto nei mercatini a chilometri zero. Stefano è un cantore sì dei margini, che sono di quell’Italia fatta di strade provinciali, bar, cinema a luci rosse, centri massaggio cinesi, reparti psichiatrici, baracche con vista sulla tangenziale, ma è anche uomo da garage, da capolinea, da sesso nei cespugli, ammiratore e innamorato delle mignotte; è boy scout prima ancora che vagabondo; è viaggiatore e mai turista e vorrebbe essere cliente invece di utente. Quando l’ho conosciuto e raccontava: «Gli ultimi tre anni li ho vissuti in bicicletta, pedalando a tratti felicemente e a tratti da idiota, sono stato la cosa più simile a me stesso che mi è stato possibile essere e l’ultima immagine che mi resta è quella di uno Stefano tenero, ironico, maturato, a tratti ingenuo, ma informato». 9


Questo è Stefano “Bici” Bruccoleri, o almeno ne è una mia versione. Come tutti noi è anche altro e molto di più. Oggi è diventato un Allevatore (anche se di Farfalle) capace di godere dei frutti del suo lavoro e se passa dalle vostre parti abbassate le difese e andatelo a incontrare. Una sola avvertenza: non scappate né alla prima, né alla quinta parolaccia. Stefano è un uomo che sa come fare per innamorarsi e lo fa ogni volta che ne vale la pena. Massimiliano Salvatori operatore sociale

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Alla giovane pallavolista del Valentino



l'allevatore di farfalle



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Non riesco più a raccontare. Sbattuto nello stupore di una vita nuova che indosso come un cappotto sulla vita di sempre. La paura della morte, del declino, gli amori terminati e mai finiti che appaiono in REM. L’ossigeno di ricongiungimenti dal sapore di funerale, non c’è nulla di più doloroso di vedere seppellite persone ancora vive. E la distanza, scandita da palate di terra e tempo, non copre.

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Scopro che la vita mi sospende con una certa leggerezza.

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Ho avuto incontri fugaci casuali e obbligati. Avrei voluto chiedere parole, tempo e forse un frammento d’amore a donne sole, impegnate, sposate, a donne in lutto o gioiose. Ma tutto è rimasto un pensiero dolce come un amore finito in fretta.

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Val di Susa

Ancora con il sellino sotto il culo. Dopo sei anni la storia sembra replicare se stessa. Un inverno di stanzialità in cui timidamente spuntano radici che con i primi soli primaverili si sbriciolano. Un’ora scarsa per montare la bicicletta, gli oggetti accumulati durante l’inverno perdono senso lasciando solo piccoli vuoti; non mi affeziono agli oggetti dal giorno in cui ho subìto lo sfratto. Questa volta però sono tornato sui miei passi per via della gatta che ho preso in affidamento prima dell’inverno, la Nina. Ho lasciato la casa e mi sono rifugiato con lei in una casa in disuso che alcuni amici mi hanno ceduto. Non immaginavo che questo legame fosse così forte tanto da ritardare la partenza. L’unica concessione che mi sono fatto è stato di scendere a Bologna con la casa viaggiante per circa dieci giorni, in cui il mio unico pensiero era per la Nina. Al mio ritorno ho preso il portatile, le crocchette, la lettiera e con la Nina ci siamo trasferiti. Pochi minuti, una valanga di oggetti lasciati al loro posto compresi l’uni21


tà centrale del computer, la stampante, il fornetto elettrico, la televisione e altro ancora. Ordinarli non avrebbe avuto senso. Chi dovesse entrare adesso immaginerebbe che io stia per tornare da un momento all’altro. Ho lasciato persino i piatti da lavare, un pezzo di salsiccia nella padella, quattro vasi di rose regalati da un amico ancora da travasare e dieci gerani comprati l’estate scorsa. Ho consapevolezza e nessuna strategia se non quella di addomesticare la mia vita emotiva sui pedali attraverso scenari sempre nuovi. La stanzialità sarebbe possibile solo attraverso gli psicofarmaci a cui rispondo con i ventuno rapporti della bicicletta e la rilettura del mio libro che mi conforta e mi ricorda che qualcosa di buono alla fine sono riuscito a farlo. Non c’è gara rispetto a se stessi. Posso solo fare lo spettatore in attesa dello spostamento e della riflessione successiva. In questi anni mi sono staccato da amici e amori in tre quarti d’ora e adesso mi trovo sorpreso in una relazione con la Nina che mi commuove e che non conoscevo. Non posso e non voglio andarmene senza averle trovato una famiglia che la accolga e che le voglia bene. Se abbandonassi la Nina sarebbe come abbandonare me stesso. 22


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Notturni. Porto con me immagini e pugni come la morte, che non possono deperire, indelebili, pungenti da togliere il fiato, una polvere sottile che dopo una spazzolata si rideposita sulla mia pelle, e che se inalata brucia il respiro. Da giovane sognavo l’immobilità della sedia a rotelle nell’illusione che così avrei potuto non crescere, ora sogno la cecità perché tutto ciò che vedo mi graffia.

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Con le parole non ci puoi litigare, o arrivano o non arrivano. C’è uno spazio nel quale le parole si scaldano tra di loro, la A ci prova con la C che viene a sapere che prima ci aveva provato con la B. La S percepisce qualcosa, si allarma e per un periodo non rivolge parola al resto della famiglia. Poi un giorno qualsiasi la Q sfiora la S anoressica di parole, le sorride, e per un attimo la famiglia sembra riunita. In quell’attimo devi sperare di avere carta e penna a portata di mano per registrare il matrimonio. E solo a quel punto hai una traccia su cui costruire un racconto, sempre che quella pettegola della L non decida di raccontare tutto a C su A e B, per incazzarsi come una bestia e coalizzarsi con l’anoressica S. Ok, ho segnato tutto sulla carta, adesso fate che cazzo volete.

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Giorni di inaspettato stupore. Cammino fra le case di questi paesini della Val Susa e fra un tetto crollato e un balcone fiorito, scopro di essere felice come non mai. Diciamo che fa piacere scoprire che passeggiare fra le case di Sant’Ambrogio vale l’attesa di una vita. Cedo, depongo le armi, dismetto la corazza e mi lascio sorridere.

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Giornate di montagna, il solito Ben Harper per sciogliere lacrime antiche e nuove. La mia bimba lontana, qualche sogno sbagliato e l’inquietudine del mattino appena distratta da un caffè macchiato di un latte che pare non voglia scadere. La paura della morte. Eppure non avrei paura di morire, ne ero convinto fino a ieri ma oggi mi sorprende. L’Italia del «Sei nazioni» gioca l’ovale, marca avversari e termina il primo tempo in parità. Io non mi placo e mentre l’Italia apre il secondo tempo per un sorpasso tutto da ricordare, il mio avversario non mi dà pace. Forse è questa la morte: aver paura anche quando tutto è sereno. Ben aiutami tu, strappami la pancia, svuotala, puliscila. Non voglio più addormentarmi per ritrovarmi con una tazza calda in mano a fare il domatore di mostri per il resto della giornata. Stanotte mi sono sognato piccino. La cura sarebbe la perdita della memoria. 26


«Dottore faccia qualcosa.» La memoria mi deruba anche in questo momento. Dai Ben strappami le lacrime, qui non c’è cura. Bravo così, continua. L’Italia in questo momento è in vantaggio sulla Scozia di quattro punti, i piedi battono sotto la scrivania 2/4 per battuta, sfumi e poi ritorni. Dai Ben che forse ce la facciamo.

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La grande coperta ha oscurato il sole da diverse ore, qui è notte. Il mattino si prepara con lentezza. Questo è il momento per noi, per me che ti ritrovo bella in bicicletta come allora, il ricordo in queste ore si fa carne come nel giorno del nostro primo bacio. Il mattino si avvicina, il sonno mi vuole per sé, che come una cattiva compagna mi porta lentamente lontano da te. Fatico a fermare le tue labbra, Raffaella vorrei sapere dove sei adesso. Vorrei venire a rubarti in bicicletta. Vorrei ma non ti trovo. Il sonno mi deruba e sento che ti sto perdendo.

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− 10 −

Innamorato di parole che non so sedurre. Questo è il mio tormento. Parole che tremano sul foglio. Forse è questo il punto le parole non possono essere imprigionate con l’inchiostro in un luogo a loro sconosciuto come la carta. Eppure chi scrive dovrebbe poter fermare la parola senza derubarla della libertà, che lo scrittore ha preso in prestito in cambio di una dignitosa immobilità. Parole… puttane sulla bocca di chiunque le evochi… e io fatico a incontrarle.

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− 11 −

Vene lunghe, ovunque di sangue lento, stanco, quasi rappreso in un corpo immobile e assonnato. Libero il mio sangue, come un canarino in gabbia, lascio che scivoli su un corpo che non riconosco più. Se il canarino mi indicasse la strada, rendendomi la libertà che gli ho regalato.

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