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Collana BookBlock Collana diretta da: Rachele Cinerari Cover design e grafica: Gabriele Munafò Redazione: Anna Matilde Sali, Sonny Partipilo © Copyright 2021, Eris (Ass. cult. Eris) © Chiara Foà, Matteo Saudino Eris (Ass. cult. Eris) Piazza Crispi 60, 10155 Torino info@erisedizioni.org www.erisedizioni.org Prima edizione Febbraio 2021 ISBN 9788898644858 Stampato presso Geca Industrie Grafiche Via Monferrato 54, S. Giuliano Milanese (MI)
Introduzione A cosa serve la scuola pubblica? È necessario partire da questa domanda se si vuole discutere di istruzione, senza comode scorciatoie e pigrizie intellettuali, con spirito critico e onestà di pensiero, per provare a comprendere meglio la società in cui viviamo e soprattutto quella che vogliamo costruire. La storia stessa dell’istruzione è lo specchio delle società che racconta ed è un fecondo caleidoscopio per leggere e decifrare le mille sfaccettature della realtà. La scuola nel mondo dell’antico Egitto e dell’antica Cina serviva a formare gli scriba e i mandarini, ovvero l’apparato burocratico amministrativo in grado di provvedere al mantenimento dell’ordine statuale. La formazione nel mondo greco, da Omero a Pericle, da Platone ad Aristotele, ruotava intorno al concetto di aretè, ovvero al conseguimento e mantenimento di una robusta virtù, fatta di razionalità, coraggio, onore e forza, che permetteva alla persona di esercitare consapevolmente le proprie libertà in un contesto politico. L’educazione greca, seppur elitaria e maschilista, era pensata per essere al servizio della vita pubblica, della polis. L’educazione della cristianità medievale, dai monasteri alle scholae del trivio e quadrivio, aveva l’obiettivo di forgiare l’anima del buon 3
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cristiano, affinché potesse vivere in modo armonico e consapevole il rapporto ragione-fede. La scuola di Dio, riservata a pochi maschi, aveva il compito di raccordare il cielo e la terra ed era il luogo in cui veniva coltivata e custodita la cultura. La formazione dell’Umanesimo e Rinascimento continuava a essere fortemente elitaria, ma si fondava sulla prospettiva della formazione globale dell’uomo, il quale diventava più che mai artefice del proprio destino, protagonista assoluto di una vita libera, pluridimensionale. La scuola della modernità e in particolar modo dell’età dei Lumi era progressivamente sempre più laica e aperta e si poneva come fine la formazione del buon cittadino, un uomo figlio della patria capace di contribuire alla realizzazione del benessere individuale e della nazione. La scuola nata con le rivoluzioni borghesi e la nascente società di massa si muoveva, invece, all’interno di una duplice direttiva. Da un lato voleva e doveva formare in modo differenziato uomini e donne in grado di svolgere le funzioni produttive richieste dalla nuova economia capitalistica industriale, fondata sulla divisione e specializzazione del lavoro. Dall’altro lato, i nuovi sistemi scolastici cercavano di rispondere alle nascenti spinte di giustizia e democrazia. La scuola era dunque un luogo sospeso tra lavoro parcellizzato e sfruttato, diritto all’istruzione e l’aspirazione a migliorare la propria vita. 4
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Nel corso di tutto il ’900, tra guerre e rivoluzioni, tra dittature e movimenti di liberazione, la scuola è stata il teatro di prospettive pedagogiche profondamente eterogenee: dalla scuola come luogo di propaganda politica e religiosa, alla scuola come luogo di crescita democratica ed emancipazione umana. Proprio da questa visione della scuola sono sorte le speranze e le esperienze pedagogiche democratiche che hanno animato soprattutto la seconda metà del xx secolo. E oggi? A cosa serve la scuola? Nell’età delle interazioni economiche globali, delle relazioni sociali liquide, della rivoluzione tecnologica permanente e dell’egemonia culturale dei social, quale funzione ricopre il sistema scolastico? Chi sono oggi gli studenti, le studentesse e i docenti? Queste domande, tanto impegnative quanto ineludibili, dovrebbero essere il punto di partenza di ogni discorso pubblico sull’istruzione. Evitare, nascondere o ancor peggio banalizzare tali questioni significa rinunciare alla possibilità di dare vita a una discussione fertile e di ampio respiro su quale ruolo educativo la scuola debba ricoprire nella nostra società. Ogni progetto politico che si dia onestamente l’obiettivo di edificare o riformare un sistema scolastico deve sempre partire dal chiedersi quali siano le finalità e le modalità pedagogiche che stanno alla base del percorso di formazione. I sistemi educativi 5
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non possono prescindere dall’idea di persona, di relazioni umane e di società verso cui tendere. L’essere umano, in quanto animale culturale, produce gli orizzonti di senso del suo vivere sia individualmente sia come parte della collettività; l’educazione, in questa prospettiva, ne costituisce il pilastro fondativo, la bussola orientativa. Pertanto, ancor prima di parlare di risorse e di metodi, è fondamentale interrogarsi sui fini dell’educazione scolastica per poi concentrarsi sui mezzi più efficaci e adeguati per provare a realizzarli. Costruire un grattacielo non è come costruire una villetta a schiera, edificare un parco giochi o una biblioteca non è edificare un centro commerciale o un parcheggio. Per la scuola non può valere il principio del costruire tanto per costruire. Iniziare un percorso di formazione è come progettare un viaggio, in cui prima si sceglie la meta e poi si individuano i mezzi necessari per raggiungerla. E se tale meta è di difficile realizzazione ci si ingegna ancora di più per trovare le risorse indispensabili. L’equipaggio di una nave che salpa dal porto deve sapere se l’obiettivo del suo navigare è rimanere, ad esempio, nel mar Mediterraneo o spingersi oltre le colonne di Ercole e, qualora decida di entrare nella vastità dell’Oceano Atlantico, dovrà capire e scegliere se il fine è conoscere e ammirare i nuovi mondi oppure conquistarli e saccheggiarli. 6
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E se allora non può esistere un vero percorso formativo senza meta a cui tendere, oggi quale fine possiamo e vogliamo dare al viaggio educativo? Se l’obiettivo è provare a dare vita a una società autenticamente democratica, è necessaria e urgente una profonda riflessione sugli attuali processi formativi. Occorre ripensare la scuola. Non si può affrontare il vitale e cruciale tema dell’istruzione mettendo la testa sotto la sabbia come gli struzzi e lasciando che le cose continuino a procedere, anno dopo anno, in modo casuale e approssimativo. Continuare a correre senza meta, prigionieri di un presente che si fa opaca dittatura di una realtà mediocre, crea un vuoto che imbriglia e soffoca i sogni e le aspettative formative degli studenti di ogni età. La scuola oggi è più che mai a un bivio: da una parte può scegliere di essere luogo di un’istruzione realmente democratica con l’obiettivo di cambiare in meglio la vita di studenti e studentesse, permettendo loro di emanciparsi da ignoranza, sudditanza tecnologica, sfruttamento economico e nichilismo, al fine di provare a edificare una pluralità di mondi in cui le persone possano provare ad autodeterminarsi per vivere liberi e felici. Dall’altra parte corre il rischio di tramutarsi, in modo inarrestabile, in un triste non luogo, che reitera e in molti casi acuisce le tante miserie e ingiustizie di una realtà in cui i 7
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diritti di tutti sono soffocati dai privilegi di pochi e dove la vuota retorica della meritocrazia è il classico dito che nasconde una luna fatta di crescente marginalità, dispersione scolastica e insuccesso formativo. Ripensare la scuola significa riflettere profondamente su di noi, su chi siamo e soprattutto su cosa vogliamo diventare come persone e come collettività. La politica si pone ancora questo problema? E quali risposte prova a darsi? La società liquida e precaria, ben descritta da Zygmunt Bauman, sembra aver gettato ovunque in profonda crisi l’istituzione scolastica, che viene sempre più fagocitata da nuovi, seducenti e aggressivi centri di formazione: dalla tv al web, dalle imprese smart alla pubblicità, dalle app ai social network, l’egemonia culturale è sempre più esterna e lontana dal mondo della scuola. La sfida educativa si trova perennemente immersa in un impetuoso Maelstrom in cui risulta difficile restare a galla. Di fronte a mutamenti così rapidi e tumultuosi, non è però possibile restare immobili, né crogiolarsi nella nostalgia di una presunta età dell’oro educativa, in realtà mai esistita. Serve guardare negli occhi i cambiamenti per capirli e provare a guidarli, nella consapevolezza che non esiste un’unica direzione dell’istruzione, ma esistono tanti modi di intendere la scuola, lo studio e l’educazione, e dipen8
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dono tutti da quale idea di persona e di società si vuole appunto provare a edificare. Per questo è necessario andare oltre le problematiche dettate dagli eventi contingenti, anche quando fortemente condizionanti, per provare a guardare lontano: serve il coraggio intellettuale di ripensare la scuola alla luce delle innumerevoli sfide di un presente al contempo iperconnesso e parcellizzato, che rende sempre più urgente un’educazione robusta e critica che permetta a chi studia di crescere e di elaborare gli strumenti per comprendere la complessità e fragilità della realtà e di attraversarla in modo consapevole, per provare a raggiungere libertà e autodeterminazione. La chiave per ripensare e rafforzare la scuola in una società di massa non può che essere quella di implementare la prospettiva e la pratica democratica; per far questo la riflessione politica deve mettere al centro le studentesse e gli studenti e i modi per garantire loro una formazione che li arricchisca a 360° e che li renda effettivamente parte attiva e responsabile della società in cui vivono. La scuola deve essere profondamente cambiata, se si vuole che questa prepari a capire il mondo e ad affrontare le grandi questioni del presente quali: l’accessibilità al sapere, la partecipazione alla democrazia, le disuguaglianze sociali e le nuove povertà, i cambiamenti climatici, la crescita dei fondamentalismi, il rapporto persona-tec9
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nologia, le discriminazioni di genere, le fake news, l’inclusione e lo sfruttamento dell’essere umano su altri esseri umani e sulla natura. Problemi che non solo affliggono il pianeta nel suo complesso, ma che travolgono sempre più le vite delle persone, facendole precipitare nell’infelicità cronica e nella depressione. La maggior parte dei malesseri individuali, infatti, affonda le radici nel malfunzionamento della società con i suoi errori e i suoi orrori. La scuola non deve soccorrere e irrobustire solo la singola persona, come se fosse un atomo isolato e malato, ma deve invece provare a creare una comunità sana. Dobbiamo liberarci dal pensiero dominante che ripete, pur di nascondere le proprie responsabilità e pur di celare le ingiustizie sociali, la cinica litania che la colpa delle sofferenze risiede nelle singole persone, dicendo loro che sono sbagliate, deboli, pigre o inadeguate. La vita non è necessariamente una guerra di tutti contro tutti, non è una lotta fra squali in cui solo i più forti sopravvivono, secondo un’accomodante e spesso macchiettistica riproposizione del darwinismo sociale, sempre utile per giustificare ogni sorta di violenza e sopruso. Questa è solo una delle modalità con cui si può “stare al mondo”, quella che i “vincenti” e le classi dominanti spacciano e narrano come naturale, ma che in realtà serve a soffocare la possibilità di costruire una 10
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società giusta, fondata sul connubio diritti e doveri, uguaglianza e libertà, certamente difficile da costruire, ma l’unica che permette di vivere autenticamente liberi nella responsabilità e non di sopravvivere nella paura. Una società malata, infatti, non può produrre individui sani. Ciò determina la costante crescita di frustrazione e disagio delle persone, che sempre più sole e sfiduciate vanno alla disperata ricerca di una soluzione individuale al proprio malessere, secondo la logica atomizzante del si salvi chi può. Ma il benessere non risiede in un “io isolato”, il benessere è sempre una relazione sociale tra l’io e il tu, tra il noi e voi. Serve una società sana e giusta per poter vivere come persone sane e giuste. La scuola in una democrazia deve essere il primo farmaco politico per curare le patologie sociali (marginalità e povertà di ogni tipo) e creare le condizioni per una felicità duratura, che sia punto di equilibrio tra l’individuo e la collettività. La costruzione di una robusta e avanzata democrazia attraverso la scuola è la sfida politicoeducativa da raccogliere, e si tratta di una sfida estremamente complessa, di fronte alle quale c’è il concreto rischio che prevalga un sentimento paralizzante di rassegnazione e impotenza. Date queste premesse, come si presenta la situazione in Italia? In quale direzione si è mossa e si sta muovendo la scuola? 11