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~atropo 路 narrativa~ 12
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SILVIO VALPREDA
ILLUSTRATO DA MARCO MARTZ
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Questo libro è rilasciato con la licenza Creative Commons: "Attribuzione − Non commerciale − Non opere derivate, 3.0" consultabile in rete sul sito www.creativecommons.org Tu sei libero di condividere e riprodurre questo libro, a condizione di citarne sempre la paternità, e non a scopi commerciali. Per trarne opere derivate, l’editore rimane a disposizione.
Collana Atropo Collana diretta da: Anna Matilde Sali Grafica: Gabriele Munafò, Sonny Partipilo Illustrazione di copertina: Marco Martz
© Copyright 2015, Eris (Ass. cult. Eris) via Reggio 15, 10153 Torino info@erisedizioni.org www.erisedizioni.org Prima edizione marzo 2015 ISBN 9788898644100
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Prefazione
Un mondo disperato. Di solitudini. Diffidenza. Competitività lenticolare. Conformismo grigio. Un’umanità irriconoscibile, apatica e rancorosa, immersa nello stato ipnotico di un sistema tecnologico mediatico totale e nello stato d’eccezione di una guerra morganatica diventata normalità. Silvio Valpreda ha scritto un racconto solo in apparenza postcatastrofico. E solo formalmente fantascientifico. Perché, a leggere con attenzione queste pagine, non c’è una reale frattura tra quel futuro immaginato e il nostro presente vissuto. C’è solo una differenza di quantità. Di estensione e di profondità delle lesioni inferte al nostro “stile di vita” e al nostro sistema di relazioni. In qualche modo, a quella che potremmo definire la “nostra umanità”. La stessa catastrofe che costituisce l’habitat di tutti i protagonisti – principali e secondari – non ha avuto un preciso compimento, un punto d’inizio e uno di conclusione, ma costituisce un continuum. Non è neppur certo che abbia una motivazione e 5
una dimensione reale. O se non sia, in effetti, come quasi tutto ciò che struttura l’esistenza degli abitanti del pianeta, una realtà virtuale, radicata in un “prima” incerto, e – a differenza appunto del racconto postcatastrofico – indistinguibile dal dopo. Per questo il messaggio che proviene da Finzione infinita, è così potente. E inquietante. Perché, in buona misura, parla di noi. Di un male diffuso e insidioso già radicato, fin d’ora, nella nostra esistenza. Di vizi dell’esistenza percepibili nella nostra quotidianità, che la fiction evidenzia, enfatizza, rende plastici, ma non “inventa”. Penso alla folla solitaria che popola le strade, i locali pubblici, le abitazioni delle città senza nome, tutte indifferenti: a quella serie irrelata di individui, ognuno assorbito dal proprio tablet, o lo sguardo calamitato dai monitor alle pareti, gigantesca protesi costruita intorno a milioni di vite dipendenti da quelle immagini e incapaci di legami autentici. Vite “raccontate” – “agite” – dalla narrazione pervasiva e totale in un mondo in cui, appunto, la finzione ha assorbito la realtà. E in cui nulla e nessuno è vero, a cominciare da Alexander, lo squallido protagonista, finto malato, finto amico, finto amante, finto patriota in una guerra che in molti, forse gli unici “vivi”, sospettano essere a sua volta una finzione, costruita per convincere la popolazione a sopportare sacrifici 6
altrimenti non giustificabili. Una guerra non più combattuta da eserciti regolari nazionali, ma da società private di contractors, l’una in competizione con l’altra, per le quali la guerra è ormai direttamente business e i comandanti in capo non si chiamano più generali ma Amministratori delegati… Non è, in fondo, quello, un esito estremo, ma di processi che già ci lambiscono? Fin dal suo titolo, e poi dalla tessitura del racconto, Finzione infinita forse ci aiuta a cogliere un bandolo della matassa. Come argomentato già qualche anno fa da Christian Salmon, in un celebre saggio, ci rivela la straordinaria potenza dello “story telling” – dell’uso del racconto come strumento di comando – nel mondo contemporaneo: di quanto, appunto, la “narrative” possa ricreare un’immagine del mondo al servizio di chi ne controlla la creazione e la comunicazione. Ma non solo: ci mostra anche come la stessa capacità di “fare racconto” dell’esistente – di ricreare una narrazione del “nostro mondo” in forma critica come, appunto, in questo testo – possa assumere una funzione liberatoria. Rivelare a noi stessi, oltre la finzione, la nostra condizione. E forse, anche, una capacità di ribellione. Marco Revelli
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Parte prima ~ Alexander
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I
Alexander controllò il numero civico. Era scritto in alto, con quell’illuminazione da strada di periferia si leggeva a fatica, comunque il posto era giusto. Alexander aveva seguito scrupolosamente le indicazioni per raggiungere il caseggiato dalla fermata del trasporto pubblico e non poteva essersi sbagliato. Nell’androne del palazzo si scorgeva una scrivania con un uomo seduto. Un vecchio, con un fucile di quelli paralizzanti a scariche elettriche, appoggiato alla sedia. Il guardiano sarà stato sicuramente anche lui un ex militare, pensò Alexander. Un poveraccio che non era riuscito a mettere qualcosa da parte durante le missioni e che, adesso, da vecchio, aveva dovuto adattarsi a fare da custode a quel palazzo in periferia. La luce azzurra dell’atrio probabilmente rendeva l’oscurità esterna invisibile al guardiano, ma Alexander preferì comunque spostarsi dal suo campo visivo. Era in anticipo per il suo appuntamento e quindi decise di fare un giro intorno al palazzo. 13
Iniziò a zoppicare per prepararsi all’incontro con il suo ex commilitone, Xu Ivanov. La sua malattia non avrebbe necessariamente implicato delle difficoltà di deambulazione ma Alexander pensava che un andamento claudicante aumentasse l’effetto scenico. Inoltre lo aiutava a entrare in confidenza con il personaggio. Camminando teneva la gamba destra irrigidita come se il polpaccio non riuscisse a distendersi del tutto. Abbandonò anche il braccio destro inanimato lungo il fianco, sotto il mantello antipioggia. Alexander considerò che l’effetto dovesse essere buono e se ne compiacque. Dietro il grattacielo dove abitava Xu Ivanov c’era una piccola via commerciale con qualche bottega ancora aperta e dei video pubblicitari proiettati sulle facciate delle case. Sotto una tettoia chiusa con della plastica trasparente, s’intravedeva un bar nel quale alcuni lavoratori che avevano finito il loro turno stavano bevendo. La musica forte arrivava in strada. Alexander fu tentato di entrare e prendere anche lui un bicchierino, ma si trattenne per via dell’alito. Immaginò che se Xu Ivanov avesse pensato che lui era un bevitore avrebbe potuto essere più restio a dargli del denaro e avrebbe potuto sospettare che anziché usarlo per curarsi lo avrebbe sperperato ubriacandosi. 14
Era molto attento alla messa in scena. Ogni particolare del suo abbigliamento era studiato. La mantella era quella del reggimento nel quale aveva prestato servizio con Xu e vi erano sopra stampati in bella vista gli sponsor della loro squadriglia. Sotto era vestito in maniera dignitosa ma economica. Intorno al torace aveva messo una bendatura, che aveva intenzione di mostrare all’amico sollevando la maglietta antistatica, macchiata di sangue e imbevuta di disinfettante in modo da diffondere quell’odore tipico da infermeria militare che era sicuro Xu ricordasse. Il giro dell’isolato finì e Alexander si ritrovò nuovamente davanti al portone di ferro e vetro del condominio dove abitava Xu Ivanov. Entrò e si rivolse al custode che senza dilungarsi in parole inutili gli indicò l’apparecchio, appoggiato sul piano in formica della scrivania, per rilevare l’identità leggendo il microchip sottocutaneo. Alexander vi appoggiò la mano, ma una lucina rossa lampeggiò sull’apparecchio. Il guardiano si sporse un poco più avanti sulla sua seggiola per guardare l’apparecchio, poi vi passò sopra uno straccio per pulirlo e invitò Alexander a ripetere l’operazione. Questa volta si accese una lucina verde e il custode, dopo aver dato un’occhiata al monitor del suo computer gli fece cenno di passare. 15
Gli disse che l’appartamento di Xu Ivanov era al diciassettesimo piano. Gli ascensori, come dappertutto nei condomini di periferia, erano a pagamento e Alexander dovette estrarre la sua carta moneta e inserirla nel lettore. L’ascensore puzzava di piscio rancido, Alexander pensò che i condomini avrebbero fatto meglio a pagare per una ditta di pulizie decente piuttosto che quell’inutile guardiano armato alla porta, ma sapeva bene quanto la paura e il bisogno di sicurezza fossero diffusi. La maggior parte dei suoi ex commilitoni lavorava proprio in quel campo come personal protector o come guardia aziendale. Xu Ivanov da quando si era congedato era diventato uno di questi. Lui e Alexander erano stati in missione assieme per tre o quattro volte, ma sinceramente non se lo ricordava bene. Era stata una sorpresa vedere il suo volto sullo schermo quando lo aveva cercato in rete, partendo da una lista di vecchi compagni. Alexander era convinto di ricordarsi, anche a causa del nome, che fosse un centrasiatico dalla faccia squadrata e gli occhi dal taglio a mandorla. Era invece un nero. Quando lo aveva contattato, Xu si era invece subito ricordato di Alexander, soprattutto perché 16
avevano fatto insieme una missione di quelle cosiddette sporche. Una cosa che era durata pochi giorni, forse meno di una settimana. All’epoca la guerra infinita era in una fase nella quale le due grandi compagnie di servizi bellici, la Fidelity Bread, alla quale sia Alexander che Xu appartenevano, e la Enduring Peace avevano quasi completamente assunto il monopolio dei contratti di difesa dal nemico da parte di tutti i governi mondiali. Solo poche piccole altre compagnie private e forse un paio di eserciti nazionali agivano ancora in modo indipendente, tutte le altre erano diventate subfornitrici di una o dell’altra e i loro soldati portavano sulle divise le insegne o della Fidelity o della EP. Alexander e Xu, insieme a una cinquantina di altri uomini e graduati, erano stati caricati su un aereo da trasporto truppe senza molte istruzioni prima della partenza. Avevano subito compreso che c’era qualcosa di strano perché sulle divise che gli avevano dato non appariva il logo di nessuno sponsor e, contrariamente al solito, non c’era nessun giornalista che li seguiva. Alexander aveva già sentito parlare delle missioni sporche ma mai in modo esplicito e non vi aveva mai partecipato. Si trattava di azioni non 17
contro il nemico ma contro un’altra compagnia concorrente in modo da danneggiarla economicamente. Di solito, quando durante una missione, i soldati della Fidelity Bread e quelli della Enduring Peace s’incontravano, si scambiavano insulti e sfottimenti, con i loro atteggiamenti reciproci cercavano di mettersi in difficoltà l’un l’altro o si ostacolavano a vicenda; però non arrivavano mai allo scontro aperto. Tuttavia si vociferava del fatto che alcuni attacchi a depositi isolati o convogli di materiale bellico non erano, come invece diceva la stampa ufficiale, opera del nemico, ma di reparti scelti della concorrenza. Alexander, Xu e i loro commilitoni erano stati istruiti in volo riguardo all’obiettivo: una base logistica di una piccola compagnia che era in procinto di cedere la maggioranza delle sue quote azionarie proprio alla Fidelity. Lo scopo dell’attacco era mettere in difficoltà questa piccola società e farle perdere valore in borsa in modo da acquisirla a minor prezzo. La missione, una volta a terra, era stata tutt’altro che semplice e si era conclusa con un bagno di sangue che aveva coinvolto anche parecchia popolazione civile. La televisione e i mezzi d’informazione avevano comunicato l’accaduto attribuendone la responsabilità al nemico. 18
La voce automatica dell’ascensore annunciò il diciassettesimo piano. Alexander si guardò ancora una volta nello specchio prima di uscire. Aveva le occhiaie segnate e il colorito pallido indicanti la malattia; non aveva dormito per due giorni e non si era rasato da cinque per preparare il suo aspetto per quello che stava per chiedere. L’ascensore si aprì su un breve corridoio sul quale si affacciavano diverse porte. Xu stava davanti al proprio uscio con un largo sorriso in volto e subito si diresse verso l’ex compagno d’armi tendendogli la mano. Alexander fece in modo di mostrare uno sforzo dissimulato dall’orgoglio nel sollevare il braccio destro e porgergli la mano come se non volesse far vedere la propria sofferenza e si vergognasse di una debolezza. Xu notò le difficoltà di Alexander cercando a sua volta di fingere di non averci fatto caso. Appena entrato, Alexander capì il genere di persona che fosse il suo ospite. Le pareti del piccolo vestibolo erano coperte da stampe di articoli di giornale e da grafici fatti su carta di recupero, su una mensola c’erano persino alcuni vecchi libri di carta, probabilmente addirittura del ventesimo secolo. Tutti quei brandelli parlavano di cospirazione. Xu era certamente uno di quelli che erano convinti che il nemico non esistesse e che l’invenzione 19
dell’esistenza di una razza extraterrestre pronta a invadere la Terra fosse soltanto una gigantesca messa in scena dei governi mondiali per tenere le popolazioni sotto controllo con la scusa del perenne stato d’assedio. Era una teoria diffusa persino tra i militari, perlomeno tra quelli che non si erano mai trovati a combattere in prima linea contro il nemico. Qualcuno ci scherzava sopra sostenendo che essere mercenari ben pagati per combattere un nemico inesistente era il più bel lavoro del mondo. Alexander riteneva quelle teorie prive di fondamento. Durante tutti gli anni passati nell’esercito di Fidelity Bread non gli era mai effettivamente capitato di incontrarsi frontalmente con il nemico, ma molte volte lo aveva combattuto seguendo le sue tracce sui radiotelescopi e altrettante, tragicamente, aveva visto morire dei compagni per delle azioni terroristiche del nemico. Alexander non solo era scettico verso il complottismo, ma considerava chi era persuaso da quell’idea decisamente pericoloso per la società e per la sopravvivenza stessa della Terra. Ovviamente si guardò bene dal far trasparire questi suoi pensieri di fronte a Xu Ivanov. Sul vestibolo d’ingresso si affacciava un’alcova con una cuccetta per dormire sopra a una mac20
china automatica per la preparazione del cibo, una porta dava su una stanza piuttosto grande per quello che poteva essere l’appartamento di un uomo solo e arredata con un divano dozzinale e uno scaffale pieno di cianfrusaglie. Xu, facendolo accomodare, offrì un liquore ad Alexander che rifiutò lasciando intendere che stava prendendo dei medicinali che sarebbero stati in conflitto con l’alcol. Alexander aveva scelto Xu, tra i suoi vecchi compagni, non perché fossero particolarmente amici, ma perché gli era sembrato, dalle notizie raccolte sulla rete, che fosse abbastanza benestante e soprattutto senza una famiglia che avrebbe assorbito tutti i suoi guadagni. Dalle prime chiacchiere ricevette conferma che, una volta lasciato la Fidelity, Xu aveva messo su una sua compagnia privata di sicurezza personale e aveva diversi dipendenti, tutti ex soldati, che si occupavano della scorta armata di merci, in particolar modo derrate alimentari. Un lavoro di routine che gli garantiva una discreta rendita. La macchina per il sesso virtuale ripiegata dietro al divano era sicuramente una spesa mensile considerevole, in ogni caso Alexander pensò che comunque Xu dovesse avere dei risparmi da parte. Il copione di Alexander era collaudato e mentre recitava la parte del malato che, sforzandosi di 21
mantenere una propria dignità, non vuole essere compatito, si sentì degno di un premio cinematografico come miglior attore protagonista. La questione economica, come previsto, venne spontaneamente introdotta da Xu Ivanov e Alexander si schernì addirittura coprendosi il volto con le mani quando Xu si offrì di contribuire alle spese per le cure mediche. Alla fine della serata, Xu Ivanov trasferì una cospicua somma sul conto di Alexander e lo abbracciò piangendo di commozione. La discesa con l’ascensore di Alexander non fu in nessun modo accompagnata da sensi di colpa. Innanzitutto si sentiva di aver sottratto del denaro a un complottista facendo in qualche modo un’operazione d’igiene sociale e poi, secondo lui, si poteva porre la questione come se Xu avesse pagato un biglietto per uno splendido, emozionantissimo e coinvolgente spettacolo che era stato messo in scena proprio nel salotto di casa sua da un attore di prim’ordine. Un dramma toccante nel quale si era sentito di poter sperimentare il più nobile dei sentimenti: la vera amicizia per un altro essere umano. Di fronte allo specchio riprese a far muovere i suoi arti, il braccio e la gamba destri, che aveva paralizzato nella rappresentazione della sua malattia. La colonna vertebrale si distese e le sue spalle si 22
riallargarono tornando al portamento marziale che gli era abituale. Estrasse dalla tasca il microtablet e controllò con compiacimento il suo conto bancario sul quale già figurava il bonifico di Xu. Solo una volta, da quando aveva iniziato a far visita ai vecchi compagni dell’esercito per spillare quattrini con la storia della sua malattia, gli era capitato che il giorno successivo il trasferimento fosse stato bloccato, secondo i termini bancari sarebbe potuto succedere anche questa volta e la certezza sarebbe arrivata solo dopo ventiquattr’ore. In quel caso, però, si era trattato di un uomo sposato e che aveva dovuto dar conto alla moglie del denaro speso per aiutare Alexander. Xu, invece era solo, e quindi Alexander si sentiva ragionevolmente sicuro di aver ottenuto ciò che si era prefisso. Uscito dal palazzo di Xu, si diresse subito in hotel. Doveva dormire, visto che erano due giorni che non lo faceva.
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II
Da anni ormai, Alexander non aveva una casa propria. Viveva in albergo spostandosi da una città all’altra, da un ex commilitone a un altro, ripetendo ogni volta la stessa recita. Sceglieva un nuovo nome dalla lista che si era preparato e iniziava a studiarne, attraverso la rete, la posizione sociale, le abitudini e soprattutto il reddito. Escludeva assolutamente quelli che, una volta lasciato l’esercito, si erano trovati a fare lavoretti saltuari o di basso livello e quelli che avevano persone a carico da mantenere. Coltivava a distanza il contatto riallacciandolo con finta casualità in nome dei vecchi tempi. Nel frattempo che una vecchia amicizia veniva rinvigorita con mesi di scambi attraverso la rete, chiudeva la trappola su altri il cui accerchiamento era iniziato prima. A un momento dato, comunicava all’amico che si sarebbero potuti vedere, perché, proprio nella sua città, un medico stava sperimentando una 24
nuova cura, certo molto costosa e anche dolorosa e dagli esiti incerti, e che lui aveva deciso di fare quel viaggio della speranza. Una volta giunto sul posto Alexander raccontava all’amico che la cura aveva sì dato degli esiti positivi, ma che doveva forzatamente sospenderla e rassegnarsi a morire perché aveva terminato i soldi. Come sua abitudine, anche questa volta aveva scelto di alloggiare in un hotel tra i più anonimi e insignificanti della città. Era un vecchio edificio di periferia, un casermone costruito agli inizi del ventunesimo secolo in occasione di un’esposizione universale o di un’olimpiade e da allora in funzione come albergo, pur parzialmente rimodernato. La pioggia che aveva dato un po’ di tregua nel tardo pomeriggio aveva ripreso a scendere. Anche nella piazza davanti all’albergo c’era uno di quei bar formati da una tettoia chiusa con teloni di plastica trasparente. Alexander decise che ora si poteva finalmente permettere un bicchierino, prima di coricarsi. Entrò nella veranda scostando la tenda. Seduti sulle panche, con lo sguardo fisso sul grande schermo dai colori saturi, c’erano cinque avventori. Il barista aveva l’aria di essere un ex militare, il fisico robusto e i capelli tagliati a spazzola. Alexander fu tentato di chiedergli qualcosa a riguardo ma lasciò stare, in fin dei conti non ave25
va nessuna importanza. Entrando aveva notato che aveva una cicatrice sopra l’occhio sinistro e avrebbe voluto sapere se per caso se la fosse procurata in battaglia. Aveva ancora la questione del cospirazionismo che gli girava in mente. Gli aveva proprio dato fastidio scoprire che Xu Ivanov era convinto di quelle tesi che affermavano che il nemico non esistesse. Negli scambi via rete, nei mesi precedenti, Alexander non si era accorto di nulla e nemmeno quando aveva fatto ricerche su di lui; evidentemente Xu ci stava attento. Non che fosse in qualche modo vietato pensarla così o che esistesse una qualche forma di censura, però certo non erano storie delle quali andare fieri. C’era anche il caso che si potesse finire male parlando a quel modo con qualche militare o davanti a parenti di vittime di attentati del nemico. A maggior ragione era una teoria da non strombazzare ai quattro venti quando si lavorava, come Xu, nel campo della sicurezza. In un certo senso Alexander si sentiva sporco per il solo motivo di aver trattato Xu Ivanov da amico, anche se lo aveva fatto per truffarlo. Il fatto anzi di averlo derubato era la sola consolazione. Non si sentiva certo in colpa, piuttosto gli sembrava di aver compiuto una punizione di giustizia, l’esazione di una multa. 26
Altre volte si era sentito in colpa, raramente e solo in modo lieve, quando, per esempio, aveva ricevuto denaro da ex compagni che vivevano con due o tre figli in appartamenti condivisi. Alexander ordinò un Crocodile whisky doppio e si andò a sedere in fondo a una panca. Il punto più distante da chiunque altro dei presenti per quanto lo spazio angusto lo permettesse. Sullo schermo si ripetevano immagini simili le une alle altre di ragazze nude che si dimenavano al ritmo di una musica monofonica. In corrispondenza dei seni e in mezzo alle gambe delle ragazze l’immagine era pixellata in grossi riquadri che ogni circa quindici secondi cadevano come scaglie di ghiaccio che crollano da una grondaia e facevano apparire non il corpo della ragazza ma l’immagine di un prodotto. Almeno tre dei bevitori erano impegnati con il loro microtablet a tentare di indovinare il nome del prodotto per primi, chi fosse riuscito a inviarlo prima di chiunque altro avrebbe potuto vedere sullo schermo del suo microtablet il video della ragazza senza la censura dei pixel. Ad Alexander sembrò che anche un altro stesse facendo lo stesso gioco, ma cercando di non farsene accorgere, tenendo il microtablet appoggiato sulla sua gamba sotto il tavolo e coprendolo con la giacca. Probabilmente si sentiva in imbarazzo a partecipare in pubblico a quel gioco dalle implicazioni sessuali. 27
Per Alexander era diverso, era stato un militare e si sa che certi aspetti della morale sono interpretati in modo meno restrittivo negli avamposti di combattimento. Una donna passò davanti al locale tirandosi su il bavero del cappotto e guardando ostentatamente a terra, Alexander la vide attraverso la plastica della tenda e s’immaginò la scena divertente che sarebbe potuta accadere se fosse entrata. Rise tra sé e finì di bere il suo bicchiere, poi uscì. La donna era già scomparsa in fondo alla piazza, non gli sarebbe dispiaciuto sbattere contro di lei come se fosse un incidente casuale uscendo da quel bar. Lei lo avrebbe guardato con disprezzo e un po’ di spavento, ma lui avrebbe tirato dritto rivendicando con quel gesto la sua prerogativa di maschio, e per giunta ex combattente, di bere e guardare immagini di donne nude quanto e più avesse voluto. Alexander si sentì eccitato dall’idea, ovviamente solo perché in realtà non c’era nessuno nei paraggi; se invece quella o un’altra donna, o anche un uomo, lo avesse visto uscire dalla tenda del bar se ne sarebbe, come tutti, vergognato e avrebbe abbassato lo sguardo sgattaiolando verso una parte buia del marciapiede. Quel genere di bar venivano aperti solo la sera e la mattina successiva non ne rimaneva traccia. Se 28
capitava di iniziare a chiacchierare con qualcuno sotto una di quelle tende e sentirsene anche amico grazie agli influssi dell’alcol, il giorno seguente entrambi avrebbero fatto finta di non conoscersi se si fossero incrociati per strada. Aprì la porta automatica dell’hotel avvicinando la mano con il chip sottocutaneo al sensore. Dentro la hall deserta l’aria era viziata e troppo fredda come se fosse entrato in un frigorifero chiuso da tempo. Fortunatamente, in stanza la temperatura era più confortevole. Gli sembrava di non avere sonno nonostante fosse stato sveglio per due giorni, anzi, forse proprio per quello. Il suo fisico si era abituato alla stanchezza. Dal minibar prese una bottiglietta di Crocodile whisky, l’aprì e se la scolò d’un fiato. Dalla finestra poteva vedere il tendone del bar, dall’altro lato della piazza, illuminato dai riflessi del video. Alexander si sentiva eccitato. In frigo c’erano ancora una bottiglietta di vodka e un’altra di un liquore verde dal gusto pungente. Le bevve entrambe, poi si abbassò i pantaloni, iniziò a masturbarsi sdraiato sul letto con le gambe piegate e i piedi a terra intrappolati nei pantaloni rimasti alle caviglie sopra le scarpe. Si addormentò senza raggiungere l’erezione. 29