La minaccia del cambiamento | Silvio Valpreda

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SILVIO VALPREDA

LA MINACCIA DEL CAMBIAMENTO ILLUSTRATO DA ANDREA BRUNO



~atropo ¡ narrativa~ 21


Questo libro è rilasciato con la licenza Creative Commons: "Attribuzione − Non commerciale − Non opere derivate, 3.0" consultabile in rete sul sito www.creativecommons.org Tu sei libero di condividere e riprodurre questo libro, a condizione di citarne sempre la paternità, e non a scopi commerciali. Per trarne opere derivate, l’editore rimane a disposizione.

Collana Atropo Collana diretta da: Anna Matilde Sali Grafica: Gabriele Munafò, Sonny Partipilo Redazione: Francesca Bianchi, Simone Povia Illustrazione di copertina: Andrea Bruno © Copyright 2018, Eris (Ass. cult. Eris) © Silvio Valpreda Eris (Ass. cult. Eris) via Reggio 15, 10153 Torino info@erisedizioni.org www.erisedizioni.org Prima edizione Settembre 2018 ISBN 9788898644582


SILVIO VALPREDA

LA MINACCIA DEL CAMBIAMENTO ILLUSTRATO DA ANDREA BRUNO



Parte prima // Presidio



I

Crenn, mentre camminava verso l’agenzia, pensava. Da quasi una settimana dormiva all’aperto, con il sacco termico, in uno spazio di servizio tra due condomini. Il mattino doveva svegliarsi presto per evitare di farsi trovare dagli addetti ai rifiuti che andavano a svuotare le colonne di scarico. Pioveva e l’umidità gli era penetrata sotto i vestiti, nonostante fossero tecnici e di buona qualità. Li aveva comprati a una svendita di materiale dell’esercito. Quando giunse dinanzi alla porta, entrò risolutamente. Era un locale originariamente concepito come negozio per la vendita al pubblico e poi convertito in ufficio. La vetrina era stata verniciata di nero opaco e su di essa era stata sistemata una scritta fatta di lettere adesive prestampate di quelle banali che si acquistano nei negozi di ferramenta: Sicurezza locali non occupati. «Ah, signor Crenn, l’aspettavo.»

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L’uomo anziano dietro la scrivania gli indicò l’unica sedia sgombra da fogli e disordine e gli fece cenno di accomodarsi. L’ambiente era stretto, c’era appena lo spazio sufficiente per il tavolo e le due sedie contrapposte, l’ufficio si sviluppava però in lunghezza. Una volta seduto, Crenn si trovò con le spalle addossate al muro e allo stesso modo stava il vecchio di fronte a lui; la distanza tra loro era completamente occupata dal tavolo. Ovunque aleggiava un odore di polvere e di chiuso. La luce era accesa nonostante fosse giorno, dalla vetrina ricoperta di pittura non passava luce e solo una piccola finestrella in fondo lasciava intravedere l’esterno dal lato del cortile. Sul muro c’era un cartello con una scritta: Le regole e le convenzioni sono ciò che ci permette di affrontare il futuro. Ci fanno risparmiare tempo e fatica dando certezza a ciò che verrà. Crenn, dopo averlo letto, annuì sommessamente con aria compunta. «Allora, come le dicevo al telefono, si tratta di una bella proprietà, davvero molto bella.» Crenn assentì con il capo, in ogni caso, nella condizione nella quale si trovava, non avrebbe rifiutato qualsiasi fosse stata la proposta. «Non è vuota, al momento, e fa parte del suo compito liberarla. Io, da parte mia, le posso con-

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cedere l’aiuto di due ragazzi. Andate là insieme e fate quello che c’è da fare e poi, come sa, bisognerà presidiare in modo continuativo per almeno una settimana. Poi vediamo, ci sentiamo e capiamo se sarà necessario continuare h24 o potrà allontanarsi per qualche ora ogni giorno.» Il tizio dell’agenzia gli porse un foglio facendolo scorrere sul piano della scrivania. «Un’ottima occasione, vedrà che bella proprietà.» Sorrise scoprendo denti rovinati da macchie scure. Era pallido e aveva la pelle screpolata e sollevata a causa di un’irritazione cutanea. I capelli bianchi erano radi e sporchi, dimostrava circa settant’anni. Crenn prese il foglio fingendo di esaminarlo, ma era deciso a firmare. «Purtroppo non si potrà usare il bagno, i servizi sono scollegati, ma ho già fatto preparare una toilette a sali di cristallo, gliel’ho fatta mettere nel pacco delle vettovaglie.» Strizzò l’occhio su quella parola militaresca pensando di aver creato complicità. Crenn finse di sorridere, poi guardò verso la porta in fondo al locale sulla quale era applicata una targhetta con il simbolo del gabinetto, il vecchio capì al volo. «Se vuole approfittare delle comodità dell’agenzia, faccia pure. Se vuole anche lavarsi, faccia con comodo, come se fosse a casa sua.»

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Crenn, in silenzio, si alzò e si diresse verso il bagno. Era piccolo e sporco come il resto dell’ufficio. Non era la prima volta che prendeva un incarico con quell’agenzia e non era la prima volta che usava quel bagno. Su una mensola c’erano alcuni contenitori di detergente corporale. Crenn aprì il tappo di uno dall’etichetta cangiante, lo annusò e poi lo ripose al suo posto. Ripeté l’operazione con un’altra bottiglietta decorata con motivi floreali stilizzati. Infine ne scelse un terzo. Si sfilò i vestiti e si spruzzò il detergente, attese qualche istante che facesse effetto e poi s’infilò sotto la doccia. Il getto di acqua nebulizzata lo investì per i quaranta secondi che secondo la normativa di legge era la durata prestabilita di una doccia. Dopo essersi asciugato, indossò un’altra volta i suoi vestiti umidi e sporchi il cui cattivo odore ebbe immediatamente la meglio sul profumo lasciato dal detergente. Quando uscì dal bagno, l’agente era impegnato al telefono e lo guardò in modo sbrigativo indicando il punto del foglio sul quale Crenn doveva apporre la firma. Crenn prese il modulo, lo appoggiò sullo scanner e avvicinò la mano per far sì che l’apparecchiatura riconoscesse il microchip sottocutaneo, quindi premette con il pollice nel campo della firma

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per attestare in modo definitivo la sua adesione al contratto. L’agente, che intanto continuava a essere impegnato al telefono, prese il documento vidimato e indicò un pacco sul pavimento: le cosiddette vettovaglie. Crenn prese il pacco e lo aprì. Dentro c’erano razioni precotte per circa dieci giorni e, come aveva detto il vecchio, una toilette usa e getta. Crenn si chiese se sarebbe stata sufficiente per tutto quel tempo, ma pensò che, in mancanza di meglio, avrebbe usato un contenitore qualsiasi e lo avrebbe rovesciato fuori dalla finestra come immaginava facessero gli occupanti abusivi che stavano in quel momento nella proprietà. Finita la telefonata, l’agente tornò a rivolgersi a lui. «Signor Crenn, non importa lo stato in cui trova la proprietà, non tocchi niente. Uno dei ragazzi che la accompagneranno si preoccuperà di documentare tutto con delle fotografie per l’assicurazione. Non rimetta a posto niente, se ci fosse qualcosa di rotto, intendo. Non pulisca.» Gli era già capitato altre volte di ricevere consegne analoghe e quindi non si stupì. Il suo compito sarebbe stato quello di presidiare la proprietà per evitare occupazioni abusive fino a quando non fosse stata venduta o affittata. Da tempo si era adatta-

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to a quel genere di vita precario e non lo metteva in discussione, Crenn, come molti, non pensava mai al futuro, a volte recriminava sul passato, raramente faceva considerazioni sul presente. «Ecco, questo è l’indirizzo, adesso chiamo i ragazzi così vi incontrate direttamente là davanti. Tra mezz’ora va bene?» Crenn fece solo un cenno con la testa. E sorrise. Non importa quanto male vadano le cose, un sorriso, pensava, non si nega mai a nessuno. Uscì e si diresse, a piedi, verso il luogo indicato. Aveva sistemato il cibo nello zaino, mentre la toilette, più ingombrante, non vi aveva trovato posto e la teneva sotto braccio. Pensò di avere un aspetto ridicolo e si pentì di non averla avvolta in qualche modo in maniera da non renderla riconoscibile. Sentì gli sguardi dei passanti addosso, incrociò anche una donna che però, fortunatamente, mantenne lo sguardo basso. Odiava vestirsi da militare, ma doveva ammettere che quei prodotti che aveva indosso erano buoni, non si trovava in giro roba simile per uso civile, soprattutto a un prezzo così basso. Le aziende di forniture militari avevano un regime fiscale molto agevolato, inoltre chi produceva armamenti aveva diritto a pagare un prezzo calmierato per la manodopera e l’energia. Per questo

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l’industria bellica non conosceva la crisi che invece travagliava da anni l’economia civile. Quando qualche fornitura di materiale militare aveva piccoli difetti, o semplicemente i piani di acquisto di una corporation della difesa erano cambiati, veniva venduta sottocosto nelle aste e finiva in mano a bottegai e negozianti specializzati. Crenn era in pratica abbigliato e attrezzato come fosse stato un soldato di una grande multinazionale di servizi bellici. Una persona attenta e aggiornata sulle ultime notizie dal fronte avrebbe capito che si trattava di divise non più in uso. Gli sponsor erano infatti quelli di un paio di stagioni precedenti, addirittura qualche marchio, che in passato aveva fatto un investimento patriottico, adesso era fallito o aveva chiuso e sulle divise dei soldati in attività erano stampati nuovi brand di aziende che speravano di incrementare i loro affari ricevendo visibilità dalle immagini di guerra che venivano diffuse dai telegiornali. Molti comunque lo scambiavano per un ex militare o per un congedato temporaneo e lui sfruttava questa idea senza smentire l’impressione dell’interlocutore. Chi avesse prestato servizio in uno degli eserciti privati godeva di un certo rispetto da parte della gente.

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Il nemico, anche se lontano e invisibile, minacciava il pianeta e per questo i governi di quasi tutti gli Stati avevano subappaltato la difesa a ditte private specializzate. Le due maggiori fornitrici di servizi nel settore militare erano la Fidelity Bread e la Enduring Peace. I dipendenti di queste, e in misura proporzionale anche quelli delle aziende belliche minori, venivano considerati con un misto di riconoscenza per il loro indispensabile sforzo di protezione della Terra, e di invidia per il lavoro sicuro e ben retribuito. I mezzi di informazione davano grande risalto alle notizie sul conflitto e la figura del soldato, o meglio dell’operatore professionale di difesa dal nemico, era celebrata di continuo ed era divenuta ormai quasi sinonimo di eroe. A Crenn non piaceva quella situazione, in certi momenti aveva persino dei dubbi sul fatto che questo fantomatico nemico extraterrestre esistesse davvero e non fosse piuttosto una montatura organizzata per ingannare la popolazione. Nessuno, d’altronde, aveva mai visto direttamente il nemico, i generali e gli esperti della difesa ne stimavano l’esistenza e l’aggressività in base agli attentati che ogni tanto avvenivano sulla Terra mettendoli in relazione con movimenti registrati nello spazio profondo.

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Tuttavia Crenn sapeva che poteva essere conveniente lasciar credere di essere stato un militare. Si era convinto che forse, senza quella piccola menzogna, nessuna agenzia gli avrebbe affidato una proprietà. Probabilmente la sua ipotesi era vera. Quelli che l’agente aveva chiamato ragazzi erano in realtà due uomini più anziani di lui. Corpulenti e massicci, avevano esattamente il tipo di fisico che ci si aspetta da persone che fanno quel mestiere. Uno era rasato e aveva un tatuaggio sulla nuca: la riproduzione di uno stemma nobiliare, una cosa che era stata molto di moda una decina di anni prima e in tanti lo avevano fatto senza sapere cosa significasse. L’uomo adesso era invecchiato e Crenn si domandò se avesse mantenuto quel tatuaggio per nostalgia o se semplicemente non avesse denaro da spendere per cancellarlo. L’altro invece portava un berretto arancione fosforescente dal quale uscivano ciocche di capelli grigi. Lo riconobbero immediatamente, anche se non si erano mai visti prima. Si strinsero le mani in segno di saluto, poi uno dei due diede a Crenn un bastone elettrico, un Taser di quelli che quando colpiscono danno una scossa non mortale ma che mette fuori combattimento l’avversario.

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«Non ce ne dovrebbe essere bisogno di questi, abbiamo dato un’occhiata dalle finestre e sembra che ci sia solo una donna con un bambino. Comunque non si sa mai, potrebbe avere un amico nascosto da qualche parte.» Il quartiere non era dei migliori, ma neppure una di quelle borgate costituite solo da grandi condomini privi di manutenzione con le facciate scrostate e le inferriate arrugginite alle finestre. L’edificio era stato presumibilmente costruito a metà del ventesimo secolo come abitazione isolata per una sola famiglia e poi era stato circondato da altri fabbricati a più piani quando l’espansione della città aveva inurbato quell’area. Appena il tipo fece cenno alla presenza di un bambino tra gli occupanti abusivi, a Crenn fu chiaro come avessero fatto a entrare. Le finestre erano tutte protette da delle grate, ma un vetro era rotto e, certamente, il bambino era stato fatto passare tra una sbarra e l’altra e, una volta dentro, gli erano state date istruzioni su come aprire la porta. Probabilmente, una volta liberato l’appartamento, sarebbe stato sufficiente mettere una serratura non apribile dall’interno e forse aggiungere delle griglie d’acciaio alle inferriate delle finestre, ma evidentemente i proprietari avevano giudicato più semplice ed economico rivolgersi a un’agenzia di protezione dei locali sfitti.

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Ai due lati dell’ingresso c’erano dei vasi in cemento di quelli che prima della guerra si usavano per piantare vegetali ornamentali. Crenn nascose il suo zaino e la toilette da campo dietro uno dei vasi in modo da avere le mani libere entrando. Il tatuato aprì la porta con le chiavi e urlò le frasi di rito. «Tutte le persone non autorizzate a risiedere in questa proprietà devono sgombrarla immediatamente ai sensi della legge 40-356, articolo 16. La proprietà è autorizzata all’uso della forza.» Entrarono lungo il corridoio e il tipo ripeté la frase. In una stanza, una donna non più giovane stava raccogliendo in fretta e furia tutti i suoi averi e li stava ficcando in una valigia con le ruote. Un bambino di quattro o cinque anni osservava i tre uomini di fronte a lui. «È sola? C’è qualcun altro in casa?» La donna si voltò e scosse la testa. «Siamo solo io e il mio bambino, signore. Andiamo via subito.» Il tatuato si voltò verso Crenn. «Se non ci sfugge, dobbiamo identificarla e denunciarla.» Visto che la donna si era fatta pescare con le mani nel sacco, se avessero omesso di denunciarla e qualcuno avesse fatto un rapporto sarebbero sta-

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ti guai seri, avrebbero potuto essere tutti accusati di favoreggiamento. I due uomini si conoscevano da tempo, ma Crenn era nuovo per loro e inoltre sembrava un militare e quindi non volevano fare passi falsi. Crenn sbuffò. La donna gli faceva umanamente pena, ma pensò che era una stupida che si era cacciata da sola nei guai. Se fosse stata più furba avrebbe potuto capire cosa stava succedendo quando loro si erano trovati davanti all’ingresso principale e scappare dal retro senza metterli in quella spiacevole situazione. Loro tre erano davanti all’unica porta della stanza e la finestra aveva le sbarre, non c’era nessuna possibilità ragionevole che la donna e il bambino potessero fuggire evitando di essere denunciati senza che loro commettessero un illecito. L’uomo con il cappello arancione si tolse dall’impaccio. «Vado a controllare che non ci sia nessun altro nelle altre stanze.» La donna capì che cosa stava succedendo e li guardò in silenzio. Crenn si voltò e raggiunse l’uomo dal cappello color arancio nel suo giro di perlustrazione. Quando rientrarono nella stanza, la donna non c’era più e sul pavimento c’erano il sacco di Crenn e la toilette.

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«Mi è scappata. È scattata come un gatto elettrico e ha afferrato quel suo bambino ed è sparita. Comunque ho già portato dentro le tue cose e ho fatto le foto dei danni per l’assicurazione.» Il tipo con il tatuaggio parlò velocemente per evitare che potesse esserci spazio per una richiesta di maggiori dettagli che l’avrebbe messo in difficoltà. Crenn riconsegnò il Taser all’uomo e salutò. I due lo lasciarono solo. Per prima cosa, Crenn trasferì tutto in un’altra stanza che gli sembrava più pulita. La donna non aveva fatto come aveva pensato lui a riguardo dei rifiuti, non li aveva cioè gettati in strada dalla finestra, ma li aveva accumulati in un angolo dentro a un sacco che, essendo adesso una prova dei danni, non poteva essere rimosso fino a che non lo avesse visto il perito dell’assicurazione. La proprietà aveva otto stanze, tra grandi e piccole, tutte con pavimento di legno sintetico e pareti imbiancate di fresco. Non vi erano mobili e i sanitari erano sigillati. In un angolo di una delle camere c’era un giocattolo, una piccola astronave di plastica. Forse lasciato dal figlio dell’occupante abusiva, Crenn preferì non toccarlo. Sotto l’appartamento, accessibile tramite una scala di ferro, c’era un grande scantinato ingombro

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in parte degli impianti tecnici di condizionamento e riscaldamento dell’aria, ovviamente spenti e anch’essi sigillati. Così come aveva detto l’agente era una gran bella proprietà. A giudicare dalla polvere che copriva il pavimento, doveva essere sfitta da parecchio tempo. Erano molti gli immobili in vendita che non riuscivano a trovare un compratore. Anche chi cercava di darli in affitto aveva delle difficoltà: molta gente era senza casa, ma pochi erano affidabili nei pagamenti. Chi aveva un lavoro fisso non era mai sicuro di quanto sarebbe stato il valore del prossimo stipendio; le vicende della guerra o un attentato potevano far cambiare improvvisamente i piani di investimento di un’azienda o far sorgere la necessità di nuove tasse. Le agenzie di protezione immobiliare davano un servizio a chi, avendo un immobile in attesa di essere venduto, voleva evitare che qualche occupante abusivo vi si intrufolasse. Nei casi più semplici si trattava di far passare un vigilante a orari prefissati per controllare che fosse tutto a posto, oppure s’installavano un antifurto o delle blindature. Il sistema più conveniente si era però rivelato quello di trovare un senzatetto serio e coscienzioso che, in cambio di un posto al coperto e del cibo,

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restasse a vivere in una proprietà per un periodo prefissato. Il compito dell’agenzia non era semplice, occorreva trovare gente pulita, non dedita all’alcol, affidabile nel garantire la presenza costante senza mai abbandonare l’edificio e disponibile ad andarsene senza indugi o ritardi quando sarebbe arrivato il momento di liberare lo spazio. Ovviamente per questi compiti un ex militare era considerato preferibile, per questo Crenn, pur reputandosi pacifista, lasciava credere di esserlo. Difficilmente gli occupanti abusivi tentavano di entrare in una casa presidiata, non si trattava quindi di dover esercitare una sorveglianza attiva. In generale era sufficiente far credere che l’immobile non fosse libero. Ciò nonostante nessuna agenzia prendeva in considerazione candidature di donne. C’erano in giro troppi uomini che avrebbero pensato male di una donna che facesse quel tipo di attività e che fosse sola. Qualcuno di questi, dopo aver bevuto, si sarebbe sentito in diritto di pretendere da lei un soddisfacimento. La maggioranza della gente stigmatizzava questo ragionamento, ma lo considerava un dato di fatto e pochissimi si sarebbero immischiati per aiutare una donna in una situazione del genere. Persino molti poliziotti avrebbero potuto

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considerare che fosse la donna a essersela andata a cercare e difficilmente sarebbero intervenuti. Crenn tirò fuori dallo zaino le scatolette di cibo e il sacco termico per dormire. Era ancora umido e lo distese aperto sul pavimento per farlo asciugare. Esaminò gli alimenti che gli erano stati dati. Per almeno una settimana non sarebbe potuto uscire, ma d’altronde non aveva denaro e quindi non avrebbe comunque potuto acquistare altro. L’attività di presidio non prevedeva altro pagamento se non il vitto e ovviamente l’alloggio. Sovente però vi era modo di raggranellare qualche piccolo soldo extra. Dopo che l’assicurazione avesse valutato i danni, forse si poteva sperare che il proprietario affidasse a lui il compito di pulire e di rimettere le cose a posto. Altre volte, certi proprietari passando dalla casa per controllare e vedendo che tutto era a posto, gli avevano lasciato una piccola mancia. Crenn allineò le confezioni dei precotti lungo la parete dividendoli secondo i gusti. Era stato fortunato, nonostante fossero tutti alimenti di categoria economica, si trattava di prodotti che gli piacevano. C’erano cose dolci, la maggioranza, e cose salate, tra le quali molte sembravano gustose e nutrienti.

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Per quanto riguardava il bere, aveva tre bottiglie da due litri di acqua e un accumulatore d’idratazione ambientale che, con quel clima umido, avrebbe rapidamente reintegrato le scorte a mano a mano che avesse bevuto. Mise in funzione l’apparecchio estraendo la linguetta e aprendo il coperchio superiore. Prese una scatola di Manzo Strogonoff con prugne e ananas e si sedette sul pavimento a gambe incrociate a mangiarla. Erano quasi due giorni che non toccava cibo. Fece uno sforzo per non ingozzarsi troppo rapidamente e per non cedere alla voracità e aprirne un’altra subito dopo. Bevve un lungo sorso d’acqua. Guardò fuori dalla finestra. Persone camminavano velocemente sul marciapiede affannandosi a raggiungere i loro luoghi di lavoro o a rientrare a casa. La pioggia, che aveva scrosciato tutta la notte e che aveva dato tregua il mattino, stava riprendendo a cadere sotto forma di goccioline leggere che, a mano a mano, s’intensificavano. Un uomo, cercando di accelerare il passo, scivolò su una pozzanghera. Crenn si lasciò sfuggire una risata. Forse l’uomo lo aveva sentito perché si voltò verso la casa e guardò attraverso la finestra. Crenn pensò che era una buona cosa: se si fosse diffusa la notizia che

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qualcuno abitava nella casa, sarebbe diminuito il rischio che dei malintenzionati la prendessero di mira per occuparla. Passeggiò in giro per le stanze, si sentiva bene. Era contento della sua situazione, poteva stare in quella bella casa, aveva buon cibo e nessuno sarebbe arrivato a disturbarlo. Prevedeva di fare una bella dormita non appena il sacco letto fosse stato completamente asciutto. Non c’era ragione perché rimanesse sveglio. Se anche qualcuno avesse tentato di entrare durante la notte e non avesse fatto rumore sufficiente a svegliarlo, sarebbe bastato spaventarlo al mattino per farlo andare via. Gli erano capitate diverse volte situazioni del genere e sapeva per esperienza che chi cerca di occupare una casa è spesso denutrito o malato e basta poco per metterlo in fuga. Come quella donna che avevano trovato nell’appartamento quando erano entrati. Crenn era contento che alla fine tutto si fosse svolto per il meglio. Se fosse intervenuta la polizia, avrebbero messo la donna in carcere, impiegandola per del lavoro sociale obbligatorio. Crenn si domandò cosa ne sarebbe stato in quel caso del bambino: se l’avrebbe dovuta attendere in

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cella da solo o se sarebbe stato affidato a qualcuno. In ogni caso le conseguenze delle colpe della madre sarebbero ricadute anche su di lui. Crenn era consapevole che tutto sommato era un bene non rispettare fino in fondo la legge, però non si sentiva nella situazione di poter affrontare i rischi che ciò comportava. Se la frase del tatuato fosse stata una trappola per metterlo alla prova e, magari, avesse addirittura addosso un sistema di registrazione, avrebbe poi potuto usare quella sua pecca momentanea contro di lui. L’agenzia non lo avrebbe più considerato affidabile e non gli avrebbe più dato altri incarichi. Avrebbe addirittura potuto lui stesso subire un processo e forse una condanna per complicità. Crenn non era mai stato in carcere. Anche se situazioni come quella dell’attività di presidio limitavano di molto la sua libertà di movimento, si trattava di ambiti ben diversi. Stava in una casa signorile, aveva cibo in abbondanza, di discreta qualità, non era costretto a lavorare in modo forzato né a condividere piccoli spazi sovraffollati con altri detenuti rissosi, sporchi e forse addirittura malati. Inoltre sarebbe anche potuto uscire, se si fosse verificata una condizione di emergenza, oppure, avvertendo in anticipo, avrebbe potuto chiedere di

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essere sostituito. L’agenzia aveva sempre pronto qualcuno per i rimpiazzi dell’ultimo minuto. Certo, una cosa del genere avrebbe pesato negativamente sul suo curriculum, ma sarebbe stata legalmente possibile.

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