La Porta del Cielo | Ana Llurba

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~atropo · narrativa~ 25




Questo libro è rilasciato con la licenza Creative Commons: "Attribuzione − Non commerciale − Non opere derivate, 3.0" consultabile in rete sul sito www.creativecommons.org Tu sei libero di condividere e riprodurre questo libro, a condizione di citarne sempre la paternità, e non a scopi commerciali. Per trarne opere derivate, l’editore rimane a disposizione.

Collana Atropo Collana diretta da: Anna Matilde Sali e Francesca Bianchi Grafica: Gabriele Munafò Redazione: Anna Matilde Sali, Francesca Bianchi, Valentina Presti Danisi Illustrazioni di Ambra Garlaschelli Traduzione dallo spagnolo a cura di Francesca Bianchi Titolo originale: La Puerta del Cielo (Aristas Martínez, 2018, Spagna)

© Ana Llurba © Copyright 2021, Eris (Ass. cult. Eris) Eris (Ass. cult. Eris) Piazza Crispi 60, 10155 Torino info@erisedizioni.org www.erisedizioni.org Prima edizione Marzo 2021 ISBN 9788898644902


A mio zio, Carlos Ferreira,

che contempla le stelle dal suo cenote.



Onoriamo il padrone degli spazi aerei, il padrone dello spazio celestiale! Oh Signore aprici un luogo dove possiamo andare. Rig Veda 24

E sopra quella spaccatura, vidi un luogo senza firmamento sopra né fondamenta terrestri sotto e, al di sopra, non vi era né acqua né uccelli: era un luogo deserto. E vidi una cosa terribile: colà (vidi) sette stelle come grandi montagne ardenti e come spirito che mi interrogava. E l’Angelo mi disse: «Questo è il luogo della fine del cielo e della terra.» Libro di Enoch Ebbe timore e disse: «Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo.» Genesi 28:17



Il primo giorno ~ In fondo alla fossa

Estrella si mangia le unghie e si chiede se il Comandante o le sorelline la aiuteranno a uscire dalla fossa quando arriverà il momento stabilito. Quando accadrà quello che hanno aspettato per tutto quel tempo che si accumula confuso nella sua memoria. Seduta sulla sua gonna, Samantha la guarda con i suoi occhi inespressivi. «È così che finiremo?» la interroga Estrella. «Così come?» le chiede Samantha senza muovere le labbra. «Così, sepolte in fondo a questo buco lercio a non far niente» aggiunge Estrella mentre un porcellino di terra sbuca dal solco lasciato da una delle impronte delle sue dita in una pozzanghera di fango. «Siamo qui per un motivo. E la risposta, l’origine di tutto, dev’essere proprio qua sotto» assicura Samantha scuotendo via con la mano un po’ di terra umida da un occhio.

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«L’origine di cosa?» «Devi raccontare la tua storia ai tuoi testimoni, al tuo equipaggio.» «E cosa dovrei raccontargli?» dice Estrella sputando le mezze lune d’unghia appena tagliate. «Che cos’ho io da raccontare? Che il bambino consuma quel poco che mangio mentre mi scrollo di dosso insetti e terra? Almeno il Primo astronauta aveva vissuto quelle esperienze fantastiche quando aveva accompagnato i Padri creatori nel loro viaggio astrale fino a Betelgeuse.» «Inizia a raccontargli di te, della Fraternità cosmica, della vita nell’Astronave con le sorelle, dei preparativi per la partenza, di quello che è successo prima che ti mettessero in punizione. Credi che i Testimoni della Saggezza Cosmica lo abbiano scritto in un giorno? I Padri creatori e i loro Messaggeri alati premiano sempre le proprie elette e, soprattutto, quelle che si dimostrano perseveranti e che non mi abbandonano in mezzo al fango appena sentono odore di minestra di midollo.» «Mhmm, minestra di midollo, perché mi ci hai fatto pensare?» le chiede Estrella con l’acquolina in bocca. «Quando i Padri creatori verranno a prenderci spero che ci daranno qualcosa di meglio che un brodo d’ossa di mammifero» dice Samantha roteando gli occhi con disprezzo.

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«Che vuol dire “mammifero”?» domanda Estrella. «Qualcosa che ha una mamma. Non come te» risponde l’altra senza muovere le labbra. «Qualunque cosa sarà, speriamo che abbia della carne» afferma Estrella. E si immagina un osso buco gigante che galleggia come un’isola deserta in mezzo a un oceano verde palude, un piatto di minestra di piselli. Un rumore proveniente dall’alto la strappa alle sue fantasie. Di sicuro una delle sorelle ha rotto un piatto. L’urlo di sorella Valentina non tarda a farsi sentire. Poi un altro piatto si fracassa contro il pavimento dell’Astronave. Cosa sta succedendo? Le sorelline si stanno ribellando? Il Comandante sta perdonando una delle sorelline e sorella Valentina si è arrabbiata con lui? Se avesse punito le altre lassù, lasciandole senza mangiare come faceva spesso negli ultimi giorni, sarebbe rimasta a digiuno anche lei. «Speriamo che sorellina Christa si ricordi di noi» sospira Estrella. «Quella nana traditrice… È come Giuda che ha denunciato il Primo astronauta. Avrà quel che si merita. I Padri creatori vedono tutto quello che facciamo.» «Ma come fanno a controllare quello che succede fuori, all’esterno?» prosegue Estrella.

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«In realtà credo che vedano soltanto ciò che gli interessa. E poi adesso hanno meno da fare: ci siamo solo noi e i sopravvissuti della Catastrofe definitiva.» «E il resto del sistema solare? E la galassia? E quelli che ci aspettano su Betelgeuse?» «Lassù ci mandano le flotte di Messaggeri alati, quelli che vengono anche qua, ogni tanto» le assicura l’altra. Queste conversazioni brucianti di aspettativa che ogni giorno intrattiene con Samantha le riempiono la testa di una fragile speranza. Le piace questa parola: “speranza”. È come un anoressico filino di luce che la spinge a guardare oltre la realtà che la assedia in quei cinque metri quadrati di terra. Dalla fossa Estrella vede soltanto un pezzetto di soffitto dell’Astronave, un segmento scrostato color lavagna pieno di puntini bianchi. A volte è di un nero spento, altre di un blu infinito, a seconda di come i raggi di luce entrano nel boccaporto. Quando quei raggi le accarezzano la pelle intravede una peluria dorata intorno al naso. Questo risveglia in lei un desiderio di fuga che, tra la fame e il freddo, è solita rimandare per la vergogna che sente nei loro confronti. Padri creatori che siete nei cieli, siano santificati i vostri nomi.

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Adesso Estrella si stringe con forza Samantha al petto. Lei protesta. Non le piace questo suo tic compulsivo. Estrella lo ripete ogni volta che sente che stanno per partire quei colpetti secchi e intermittenti dentro la pancia. Il bambino le tamburella sull’intestino, le provoca singhiozzi e rigurgiti che finiranno per diventare vomito dentro cui poi sguazzeranno, eccitati, i suoi nuovi vicini, gli scarafaggi. La pancia le si è gonfiata come quella volta che dei parassiti ci erano cresciuti dentro, nella sua e in quella della sorellina Christa. Sorella Valentina disse che era la punizione dei Padri creatori per aver barato durante gli esercizi quotidiani per simulare l’assenza di gravità. Stavolta però non si tratta di quei piccoli vermi bianchi che poi erano usciti fuori con la cacca, ma di un parassita molto più grande. Un bambino. Un bambino che vive nella sua pancia. Un bambino che cresce, che si espande nella prigione di uno scomodo linguaggio ormonale. Estrella ascolta con attenzione tutti quei rumori anche se le sono familiari. Un secchio d’acqua buttato nella latrina. I filamenti di plastica dura della scopa che graffiano il pavimento. I cardini che cigolano quando la porta si apre. Lo sbatacchiare degli zoccoli contro il pavimento di legno. Le grida di sorella Valentina durante gli esercizi quotidia-

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ni, addominali, piegamenti e flessioni. Le sorelline che urtano i birilli per gli esercizi di agilità e percezione spaziale. Le loro risatine mentre leggono paragrafi dei Testimoni della Saggezza Cosmica che non capiscono. Il ticchettio cristallino delle posate contro i piatti. Il tintinnare dei crocifissi di vetro. La voce off dei documentari sull’addestramento dei Maestri ascesi per oltrepassare l’atmosfera e arrivare alla costellazione di Orione. I gemiti di una delle sorelline mentre viene perdonata nel Confessionale. L’acqua che scorre nelle tubature come dentro l’apparato circolatorio dell’Astronave. Dopo tutto Estrella non ha niente da fare là sotto mentre i giorni si accumulano uno dopo l’altro. Intravede le ombre scheletriche, curve, e segue con attenzione la routine all’interno dell’Astronave. Ignora la differenza tra giorno e notte, soltanto quei famelici raggi dorati che le accarezzano la pelle entrando furtivamente dal boccaporto tracciano una frontiera evanescente tra luce e buio. Estrella si accorge se una delle altre sorelle la osserva dall’alto perché la luce cambia quando una testa si affaccia sul bordo. A volte urla e tira pietre e cerca di convincerle a farla uscire dalla fossa. Promette che laverà i loro vestiti, che cederà la sua razione di cibo o che sconterà le penitenze corporali al posto loro. Ma nessuna, neanche sorellina

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Christa, la ascolta. Estrella intravede una faccia sconosciuta nel riflesso della pozzanghera. Si spaventa e si copre la faccia. «Guarda che quella sei tu, cretina» borbotta Samantha mettendosi le mani nei capelli e vergognandosi per lei. Stupita dalla paura che il suo riflesso le suscita, dopo qualche secondo, Estrella torna ad affacciarsi alla superficie specchiante. Ma non si riconosce negli zigomi infossati di quella ragazzina tanto magra. Si abbraccia, accarezzandosi da sola. Estrella intuisce che l’unica possibilità di uscire da quella fossa puzzolente non dipenderà dalle sorelle, dal Comandante o dai Padri creatori, ma da quel bambino che si agita dentro di lei e che da un paio di mesi si dedica in silenzio alle sue misteriose attività. Benedetta tu sei tra le donne e benedetto il frutto del tuo seno. Amen. Il bambino. Quell’essere che le succhia quel poco che mangia, come quelle bestie che si conficcavano dietro le orecchie del cagnolino. Si gonfiavano fino a diventare delle pallette di sangue che sorella Valentina strappava via con le sue pinzette argentate mentre il poveretto piagnucolava. Una volta aveva persino provato a buttarle in una delle loro orribili fritture come fossero pezzetti di grasso. Ma sorellina Christa l’aveva scoperta ed erano

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finite tutte quante a vomitare nella latrina mentre sorella Valentina attaccava il suo sermone su quanto poco avrebbero resistito all’assenza di gravità quando sarebbero venuti a prenderle. Forse era vero quello che diceva Samantha, che quella era l’ultima prova a cui i Padri creatori la stavano sottoponendo. Era il momento di seguire il suo consiglio e di raccontare la sua storia ai suoi seguaci, al suo equipaggio. Così loro avrebbero trasmesso ai posteri la testimonianza di quei giorni così aspri. Ma se tutto quello che Samantha le raccontava era vero, come era possibile che nei Testimoni della Saggezza Cosmica il Primo astronauta non smettesse mai di sorridere? Davvero aveva sofferto tanto prima di ascendere fino al cosmo, fino alla costellazione di Orione e alla sua stella più splendente, Betelgeuse, fino alla Porta del Cielo? E poi Estrella non riesce neanche a immaginare a chi potranno raccontarlo i suoi seguaci quando usciranno da lì. Fatica a pensare che esista qualcosa di più complesso del micro-universo in cui vive. E il loro territorio è anche più microscopico. Ma lei ha fede. Ave Fenice Stellare, prega per noi astronaute. Gli scarafaggi erano sopravvissuti alla Catastrofe grazie al fatto che sapevano pregare, stando a quanto un giorno le aveva raccontato Samantha. Anche se Estrella non credeva neanche a questo:

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non erano animali religiosi. Quando pregavano? Qualcuna tra le sorelle li aveva mai visti pregare? Se non facevano altro tutto il giorno che spostarsi nervosamente da una parte all’altra, di qua e di là, trascinandosi dietro le poche briciole che trovavano sul pavimento dell’Astronave! In quel momento qualcosa la interrompe. Nonostante le sue proteste, Estrella torna a stringersi Samantha al petto. La gioia perturbante sotto forma d’ossa che abita dentro la sua pancia scalcia, irrequieta, come se stesse ridendo a crepapelle. Il suo bambino sta ridendo di lei? Se lo immagina con gli occhi chiusi che si tiene la pancia mentre le punta il dito contro, con la stessa smorfia inquietante del Primo astronauta. Il bambino avrà già le dita formate? Deve smetterla di farsi tante domande. E pregare. O fare qualche esercizio. O schivare quei tre scarafaggi che stanno venendo verso di lei. A quel punto si rassegna, allenta un po’ la posizione di guardia e comincia a raccontare a loro, al suo gregge, al suo equipaggio, come è andata, come è andata che è finita lì.

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