PROSOPOPUS NICOLAS DE CRÉCY
PROSOPOPUS NICOLAS DE CRÉCY
Collana Kina Collana diretta da: Gabriele Munafò, Sonny Partipilo Grafica: Gabriele Munafò, Sonny Partipilo Redazione: Anna Matilde Sali, Simone Povia Traduzione dal francese a cura di Fay R. Ledvinka.
Titolo originale: Prosopopus © DUPUIS, 2003, by De Crécy www.dupuis.com All rights reserved © Copyright 2018, Eris (Ass. cult. Eris) per l’edizione italiana Eris (Ass. cult. Eris) via Reggio 15, 10153 Torino info@erisedizioni.org www.erisedizioni.org Prima edizione Marzo 2018 ISBN 9788898644476
PROSOPOPUS Di Laetitia Bianchi
“Quest’animale non figura fra gli animali domestici, non sempre si trova nel mondo, e neanche il suo aspetto si presta a classificazione. Non è come un cavallo o un bue, un cane o un maiale, un lupo o un cervo. Visti i presupposti, anche se ci si trovasse in presenza di un prosopopus, sarebbe difficile sapere che è proprio lui. Gli animali con le corna, sappiamo che sono buoi; gli animali con la criniera, sappiamo che sono cavalli. Il cane e il maiale, il lupo e il cervo, sappiamo cosa sono. C’è solo il prosopopus che non si può riconoscere.”1 Cerchiamo il prosopopus. No: la prosopopessa. No: la prosopopea. Figura del sublime, personificazione, esaltazione, allucinazione, apostrofe, esplosione, assente, presente, surreale, ossessivo, fantastico, imbroglio. No, no e no. Il nostro prosopopus è una bestia troppo grossa per essere un imbroglio. “La prosopopea è una figura strana”: prova che l’animale sia strano. “Annegando i suoi avversari nelle prosopopee” (Flaubert)2: prova che l’animale sia feroce. “Sinfonia per un uomo solo” prosopopea3: prova che l’animale si senta solo. Chi l’ha veduto lo sa. È proprio bianco. Bianco come la neve. Bianco come un lenzuolo. Bianco come un’autorizzazione. Bianco come il formaggio. Bianco come il lardo. Bianco come il bianco. Bianco come lo sfondo del quadrato. Bianco bianco. No, non bianco bianco. Biancastro. Bianco giallo. Bianco come un uovo, 1 Han Yu, XI secolo. 2 Bernard Dupriez, articolo “Prosopopée”, in Gradus, les procédés littéraires (dizionario), 1984. 3 Pierre Schaeffer e Pierre Henry, Symphonie pour un homme seul, 1950.
giallo come un uovo. Giallo come le mele cotogne. Giallo come i denti. Giallo come le monete. Giallo come un cadavere. Giallo come l’oro. Giallo come un pulcino. Giallo come una volpe. E poi, ha le zampe da orso. O forse da leone? No, orso. Zampe da orso e corpo da orso. E pure da orso bello grosso. Mezzo orso, mezzo cane. No, tutto orso, salvo la testa. Testa da uomo. Da donna. Da uomo. Da uomo che porta un drappo su un culo enorme. Il culo? Nessuno parla del suo culo. Ma della sua corsa. Corre più veloce di quanto non corra un cervo. Corre più veloce di quanto non voli un uccello. È che ha le ali. No: non ha le ali, se c’è una cosa di cui si è sicuri, è che non ha ali. Ma vola. Va, corre, vola e mi vendica. Lo si vede, si arrossisce e poi si impallidisce alla sua vista. È che se gli vedete gli occhi. Ha gli occhi verdi. Neri. Occhi neri: occhi da donna. Ciglia da cerbiatto. Da barboncino. Occhi da cane. E i denti. Denti orribili. Una tripla fila di denti. No, non tripla: tre. Ha tre denti. Due. Tre. Tre? Tre. “E poiché s'incurva un po’ quando cammina, è stato scambiato da lontano per una grossa tartaruga che camminava sulle zampe posteriori. Qualche critico borbotterà riguardo tale paragone, data la differenza di proporzione che c’è fra una tartaruga e un uomo; ma io ho sentito parlare di grandi tartarughe che si trovano nelle Indie, e, poi, a me basta la mia, di autorità.”4 Fin dall’Antichità, le Indie sono un paese mitico, paese della cuccagna popolata da uomini e animali meravigliosi. Non è un caso che Tommaso Moro situi la sua isola di Utopia nelle “Indie Superiori” e che Pantagruel, durante il viaggio attorno al mondo, sposi la figlia del re delle Indie. Nelle “Indie Superiori” (più tardi chiamate “Indie d’America”, “Nuove Indie” o “Americhe”), si trova di tutto: tartarughe giganti, ciclopi, uomini senza bocca, senza-ano, prosopopus. Uomini “che dormono nelle proprie orecchie” e uomini “che in piena estate si sdraiano per terra e si fanno ombra coi piedi”5. Dei cinocefali, famosi “uomini con la testa da cane” che Marco Polo incrocia sull’Isola di Andamane (il cui nome, per deformazioni successive, è diventato “Mandamane”, poi “Manhattan”): “Il loro viso asso-
4 Scarron, Le Roman comique, 1655.
5 Plinio il Vecchio, Storia Naturale, VII, I secolo.
miglia tantissimo a quello dei grossi mastini.”6 Altre meraviglie delle Indie: “Una fonte la cui acqua, quando sgorga, si rapprende come formaggio, se si schiacciano più o meno tre oboli di questo latte cagliato nell’acqua e lo si offre da bere a qualcuno, questi racconterà tutto ciò che ha vissuto.” – allusione ai fiumi mitici fangosi che trascinavano panciuti ratti morti e piroscafi bisognosi di attracco. Nelle “Indie d’America” si trovano anche i polli d’India (i nostri tacchini) e le pollastre d’America (le nostre false bionde) – osservate giustamente da Marco Polo: “Hanno asini selvaggi e le pollastre più belle al mondo”. Ogni viaggiatore torna quindi col proprio bagaglio di descrizioni di animali esotici – paragonando, discutendo, e criticando le dimenticanze dei predecessori. Vantarsi di essere il primo ad aver visto un animale, trasmettere un discorso permettendosi di deformarlo un poco, come un telefono senza fili letterario: tutti gli ingredienti del sapere sul prosopopus sono qua. Il primo, il primissimo ad aver visto il prosopopus, sarebbe stato il medico e viaggiatore greco Ctesia di Cnido. Nel IV secolo a.C., Ctesia descrive le Indie con ricchi dettagli geografici, etnologici e zoologici: “Si menzionano degli elefanti che rompono muraglie. Si menziona la fontana che si riempie ogni anno di oro liquido. Si menzionano dei cani indiani, che sono molto grandi e possono lottare contro un leone. Si menziona anche il prosopopus, che è una bestia di questi paesi, che avrebbe una faccia quasi umana. Grande come un orso, ha una pelle a volte biancastra come il latte d’asina, a volte giallastra come l’urina. Ha due denti che sputano fuori il fumo, e gli occhi perfettamente umani. Ha la coda di un piccolo cane. E le zampe con gli artigli. Ed è con quelle zampe che afferra coloro che gli si avvicinano, e quelli che si fanno acchiappare muoiono senza speranza di salvezza. Il prosopopus è definito in lingua greca come antropofago, dato che per la maggior parte del tempo uccide gli uomini e li mangia. Ma mangia anche il latte fermentato in grandi quantità.”7.
6 Marco Polo, Il Libro delle Meraviglie; cf. anche sui cinocefali, Nicolas de Crécy, Il celestiale Bibendum, tomo III, 2015. 7 Ctesia, Storia della Persia, IV secolo a.C.
Ci si può credere? “No”, dice Aristotele, che per primo tratta Ctesia come un autore “inaffidabile”: per aver detto che in India non si trovavano “maiali, né selvatici né domestici”, per aver scritto di tutto “a proposito dello sperma degli elefanti”8 – e ovviamente per aver dato adito all’esistenza del prosopopus. È nel paragrafo “differenze relative ai denti” dell'estremamente precisa Storia degli Animali (ii.1) che Aristotele cita l’animale. “Nessun animale possiede due denti sulla stessa mascella. Ma ne esiste uno, se bisogna credere a Ctesia. Quest’ultimo sostiene, infatti, che esista, presso gli Indiani, un animale chiamato prosopopus, che possiede due denti sulla mascella superiore, uno su quella inferiore, che equivale a: tre denti. Sostiene anche che fra questi denti, tenga talvolta un rotolo di fogliame che produce un fumo acre e maleodorante. Aggiunge che la sua taglia sia simile a quella del leone, che i peli, i piedi e il posteriore assomiglino a quelli di un orso, ma che la faccia e le orecchie siano umane, che i suoi occhi siano dolci e neri, che il pelo sia a volte color dell’agnello e a volte color pulcino di tenera età, che non corra meno veloce di una pantera, e che sia crudele e antropofago.” Dopo Aristotele, è il turno di Eliano, di parafrasare Ctesia: “Esiste una bestia, nelle Indie d’America, temibile per la sua forza, grande quanto un leone molto grosso, di colore a volte biancastro come il marmo, a volte giallastro come l’ambra, e con una pelliccia da cane. Ha una faccia che fa pensare più a un essere umano che a un animale. Ha due denti piantati nella mascella superiore, e uno in quella inferiore; denti aguzzi, più grandi di quelli dei conigli. Ha due occhi neri, anche gli occhi molto umani e molto dolci, occhi che gli servono per piangere come un coccodrillo. Le zampe e gli artigli sono a mio avviso quelli di un leone. Ha un gran posteriore. Attorno al suo posteriore, è legato un panno che è probabilmente più lungo di un cubito. Adora moltissimo, sempre secondo Ctesia, mangiare carne umana, e uccide molti esseri umani. Che quest’animale tragga estremo piacere a ingozzarsi di carne umana e latte fermentato, il suo stesso nome lo attesta: di fatto questa bestia è definita prosopopus. L’esperienza fa sì che lo si chiami così. Tende imboscate contro una vittima, ma può attaccarne anche due o tre, ma solo lui ne esce vivo. Si batte anche contro tutti gli altri esseri viventi, ma non potrebbe mai abbattere
8 Aristotele, Storia degli Animali, III.22 e VIII.28.
un cane, perché è amico dei cani. Ctesia dice inoltre di aver visto del fumo uscire dalla bocca di quest’animale, concesso che Ctesia possa fornire testimonianza affidabile di questo genere di avvenimenti. Che il lettore sia a conoscenza delle caratteristiche di quest’animale, e che sia libero in seguito di interessarsene.”9 Il metodo sarà ripreso attraverso i secoli: mettere in dubbio l’esistenza del prosopopus ma parlarne comunque; criticare le descrizioni dell’animale, ma descriverlo a loro volta: in sintesi contribuire a far vivere la brutta bestia. “Ah, a prosopop’” – A what? – Prosopopus is a fabulous creature with a bear body, a man’s face and a big ass. – I never heard of it. – No, they are not common, even in myths.”10 Del prosopopus, quindi: non si sa niente. Non ci resta, dunque, che riprendere le leggende, “le fonti”, a nostro favore: “Quando si è a fare la storia di un animale, è inutile e impossibile scegliere fra il mestiere del naturalista e quello del compilatore: bisogna raccogliere in una sola e unica forma del sapere tutto ciò che è stato visto e sentito, tutto ciò che è stato raccontato dalla natura o dagli uomini, dal linguaggio del mondo, delle tradizioni e dei poeti. Conoscere una bestia, o una pianta, o una cosa qualsiasi della terra, significa raccogliere tutta la spessa coltre di simboli che possono essere stati riposti in essa o su di essa.”11 Vediamo cosa dice l’etimologia. Nel XVII secolo, Furetière afferma che “quasi tutte le parole che denominano le fiere e le chimere sono foreste […] Il prosopopus è una sorta di orso ingiallito [ursus varius] che fino a quest’oggi non è mai stato possibile catturare vivo: questo termine viene dal Paese Bulgaro, ove i fondoschiena e gli uomini rispettabili vengono chiamati entrambi Popus. I naturalisti hanno tentato di descrivere questo mostro in diverse maniere. A esso hanno dato ali, piedi e teste di diverse figure, e una piccola coda. Aldroandes menziona un prosopopus nato nel Paese Bulgaro, il che spiegherebbe la sua inclinazione per le bevande lattee e fermentate. Boynot menziona un prosopopus molto grande, dai
9 Eliano, Sulla Natura degli Animali, IV.21, III secolo.
10 Robertson Davies, The Manticore, 1972. TR. “– Ah, un prosopop’! – Un che? – Un prosopopus è una creatura misteriosa con il corpo da orso, la faccia da uomo e un culo enorme. – Non ne ho mai sentito nulla. – No, non sono comuni, neanche nei miti.” 11 Michel Foucault, Les Mots et les choses, 1966.
movimenti agili, e bestia così crudele, che faceva morire un bel numero di persone per la sua crudeltà. Per gli antichi popoli indiani, il prosopopus era il Diavolo e Satana. Prosopopus, si dice iperbolicamente di coloro che sotto spoglie da buonuomo fanno i cattivi e anche i golosi. Lo si usa anche per donne e bambini. Questa donna sgrida sempre il marito, è proprio un prosopopus. Questo bambino è proprio un prosopopus, è incorreggibile e indisciplinato. Quest’uomo è grosso e grasso, mangia come un prosopopus.”12 Des Geais, contemporaneo di Furetière, riprende la teoria a suo favore, e assicura che “il prosopopus è stato chiamato così per l’ampiezza del suo didietro e la venerabilità del suo estro; è il nome del più alto funzionario religioso dei Bulgari e degli Abari”. Due secoli dopo, quest’etimologia è rimessa in discussione dal Dictionnaire de l’Académie Française (1835): “È molto probabile che il pope non ha niente a che vedere col popò dell’animale, e tantomeno con la prosopopea. Perché non reverenderrimo propropò, “fumoso”, dato il gusto dell’animale per l’erba di Nicot o nicotina? Questo Furetière, che pretende di essere lessicografo, non fu altro che un ciarlatano che ha tratto profitto dal gusto della plebaglia per le opere letterarie più stravaganti.” Le Trésor des langues mortes et felines (1857) propende per un’altra ipotesi: la radice greca proso-, “avanti!” – collegando il prosopopus al termine prosobranchi, che designa oggi un ordine di molluschi gasteropodi (letteralmente “che camminano sul proprio ventre”, che è appunto il caso della nostra bestiola), ma che designa a volte un animale con le “zampe anteriori” (branchi deriva dal latino branca, “zampa”). Ai giorni nostri, l’opinione pubblica fa derivare il prosopopus dalla prosopopea, parola di origine greca (prosopopôn, “persone”, poiein “fare”) che significa letteralmente “far parlare una persona assente”. Ma non è certo qui che risolveremo la difficile questione etimologica. Ci limiteremo ad aggiungere che dei recenti studi vedono nel nome dell’animale una combinazione dei termini opos, “succo”, e opus, “opera”, facendo riferimento alla sua strana nascita.13 Di fronte a sì tante contraddizioni linguistiche, non resta
12 Furetière, Dictionnaire Universel, 1670.
13 Raphaël Blastia, “Opus dei, opus prosopopoi”, in Cahiers de Lexicographie générale, XXI.5, 2001.11 Michel Foucault, Les Mots et les choses, 1966.
che tentare un pessimo gioco di parole: fare del prosopopus un propos opus – un’opera del linguaggio. La nostra ignoranza riguardo l’etimologia non fa che riflettere l’oblio scientifico che ha circondato l’animale durante gli ultimi tre secoli. Il prosopopus, che appassionò autori antichi e medievali, sparì dai dizionari e dalle summe zoologiche intorno al 1691. I naturalisti del XVIII secolo lo ignoravano superbamente: notevole assenza del prosopopus in Buffon, Réaumur, e Wolff. Solo Spallanzani, nei suoi studi sulla fecondazione dei batraci, lo cita all’interno di un astruso paragone: “Dei movimenti che non possono che evocare le pratiche di corteggiamento del prosopopus”. E bisogna aspettare Flaubert per ritrovare l’animale in un testo letterario – le ultime pagine de La Tentazione di Sant’Antonio (1872), dove la prosopopea del Prosopopus (sic) spunta fra quella della Manticora e quella del Grifone. “Il Prosopopus. Gigantesco urside, dalle sembianze umane, con tre denti: “I riflessi del mio manto giallastro si mescolano allo sfavillio delle grandi città. Espiro dai miei sigari la paura della solitudine. Mangio gli uomini, quando si avventurano nei miei quadri. Ho le unghie ritorte e attorcigliate, i denti affilati a sega; e il mio didietro, che risalta, è decorato con un drappo che si sposta a destra, a sinistra, avanti e indietro. – Ecco! Ecco!” Il Prosopopus getta le zampe in avanti, i cui artigli s’irradiano come frecce in tutte le direzioni. Piovono gocce di sangue, che s’infrangono sulle nuvole.” Notare che Flaubert teneva sulla scrivania la celebre incisione di Martin Schongauer raffigurante La Tentazione di Sant’Antonio (1480), dove lo sguardo idiota del pesce (in alto a sinistra) potrebbe benissimo essere una reminiscenza dei dolci occhi neri del crudele prosopopus. Traendo profitto dalla mancanza d’informazioni sull’animale, alcuni ne hanno forgiato palesi mistificazioni. Come lo scrittore Éric Chevillard14, quando cita l’esistenza di una cosiddetta “abbondante bibliografia”: “La summa del reverendo J. Crowe che raccoglie tutta la letteratura sulla questione e azzarda qualche audace ipotesi (il prosopopus sarebbe una pulce)” – a cui il suddetto Che-
14 Éric Chevillard, Correspondances, T.III (1999-2002), inedito, citato in R de réel, volume M, maggio 2002.
villard aggiunge senza ritegno: “Molti autori si sono ispirati a questi racconti fantastici, Hector Autier (un piccolo maestro dimenticato degli inizi del Simbolismo) nel suo romanzo Pardon, j’avais faim, dove tutto è descritto dal punto di vista di un prosopopus (satira mortale del Secondo Impero, l’avrete capito).” Non si può certo dare neanche il minimo credito a questa conoscenza pseudo-scientifica. Come non si può accogliere la tesi di Pierre Lecat, eminente rousseauiano, del “prosopopus Fabricius” – nonostante si fondi su delle sconcertanti coincidenze. Ripartiamo dalla genesi di questo malinteso: un giorno dell’ottobre 1749, Rousseau cammina sulla strada per Vincennes15, mentre cammina, legge; e leggendo, s’imbatte per puro caso su questa frase: “Se la restaurazione delle arti e delle scienze abbia contribuito a epurare i costumi.” Molte persone avrebbero continuato la lettura e la passeggiata. Rousseau, invece, è turbato a tal punto da doversi riposare sotto una quercia. L’episodio è raccontato ne Le Confessioni: “Se solo avessi potuto scrivere un quarto di ciò che ho visto e sentito sotto quell’albero!” Di fatto, è sotto quest’albero che Rousseau redige, in uno stato d’illuminazione, la “prosopopea di Fabricius”, che farà parte del Discorso sulle Scienze e sulle Arti (1750). Chi è Fabricius? Semplicemente un senatore romano – e non un animale panciuto a tre denti. Che dice Fabricius? “Sbriciolate le statue; bruciate i quadri; scacciate questa schiavitù che vi soggioga, le cui funeste arti vi corrompono.” Il Professor Lecat ha voluto vedere in questo discorso le parole d’ordine che sottintendono i fatti e le gesta del mostro, e dunque in Fabricius una “anti-metafora sub-linguistica del prosopopus.”16 Lasceremo a ciascuno la facoltà di decidere, in cuor suo e nella sua coscienza, se questa tesi è credibile. “Codeste bestie sono qui descritte, secondo le fattezze con cui sono state avvistate”, dice la legenda di un’incisione del XV secolo che orna il racconto del viaggio di Breydenbach.17 Nel Medioevo,
15 Cf. Colloque de L’Université de Neuchâtel, “Rousseau et les arts visuels”, settembre 2001. 16 Pierre Lecat (dir.), Prosopopus Fabricius. Pour une relecture du Discours sur les Sciences et les Arts, Presse de l’Université de Privas, 1997. 17 Bernhard von Breydenbach, Des Saintes pérégrinations…, 1488.
non ci sono frontiere fra animali reali e animali fantastici, fauna locale e fauna esotica. “Incontrare un prosopopus all’angolo di una strada, non era niente di sorprendente in un testo medievale. Non incontrarne sarebbe forse più sorprendente.”18 I bestiari medievali mettono fianco a fianco il prosopopus e il cane, il cervo e il liocorno: poiché tutti sono opera divina. Gli esseri inaspettati sono altrettante prove della potenza del creatore. Sant’Agostino, dopo aver descritto una moltitudine di mostri (cinocefali, manticore, sciapodi, prosopopus) afferma anche che “non è necessario credere alla loro esistenza”. Ma aggiunge che malgrado il loro “strano corpo”, sono creature di Dio, ed esorta ciascuno, dovesse vedere la luce un bambino a sei dita, a non essere “tanto insensato da credere che il Creatore possa essersi sbagliato sul numero di dita.”19 Che nessuno sia quindi tanto insensato da credere che De Crécy si sia sbagliato sul numero di denti. “Quando scrive tutto questo, quando racconta queste storie, Ctesia precisa di star dicendo la verità; aggiunge che scrive ciò che ha visto e ciò che ha raccolto da testimoni oculari. Dice di aver lasciato da parte molte altre storie più sconvolgenti, per non sembrare uno che scrive storie inverosimili per coloro che non ne sono stati testimoni.”20 Venticinque secoli dopo, De Crécy dice di aver lasciato da parte molte altre storie più sconvolgenti per non sembrare uno che s’inventa storie inverosimili. Aggiunge che il prosopopus è come lo ha visto alla luce del sole. Vero vero. Bianco bianco. Bianco come un colombo nelle Americhe. Bianco come l’innocenza. Bianco come un lupo onesto. Bianco come l’impronta digitale di un uomo inzuppato nel. Bianco come il becco. Bianco come un assegno. Bianco come un matrimonio. Bianco come le mani di Ponzio Pilato dopo essere state lavate. Bianco come dissanguato. Bianco come globulo. Bianco come la notte la voce e la paura. Bianco come ciò che resta dopo che si è tolto il nero dal nero dell’occhio di un cane.
18 V. Campion-Vincent (dir.), Michel Pastoureau, in Des fauves dans nos campagnes, 1992. 19 Sant’Agostino, La Città di Dio, XVI, V secolo. 20 Photius, Bibliothèque, IX secolo.18
Guardatelo. Negli occhi. “Quando trova un uomo morto, la prima cosa che gli mangia, sono gli occhi, e da lì, estrae il cervello, e più ce n’è più ne succhia; così fa il prosopopus: perché fin dai primi incontri all’uomo sono stati cavati gli occhi.”21 Guardatelo di nuovo. Vedete bene che non è bianco. È bianco giallo. Giallo vi dico. Salta agli occhi: giallo. Giallo come una ninfea. Giallo come i fari. Giallo come le pagine. Giallo come il pericolo. Giallo come la febbre. Giallo come il piscio. Giallo come la bile. Giallo come lo zolfo. Giallo come un pezzetto di muro.
Tomba o tutte le cose che vengono dalla tomba Il sole è funerale E il giorno un tamburo nero a New York sur Loire 22
21 Richard du Fournival, Bestiaire d’amour, XIII secolo. 22 Adonis, Tombeau pour New York, 1971.
Prosopopea n.f. – Figura [retorica] con la quale l’oratore o lo scrittore fa parlare e agire una persona assente o morta, un essere inanimato, un animale. – Discorso pomposo, veemente e empatico.