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CRONACHE DI BISANZIO:
Anno Domini 1505
E se fosse andata diversamente? di DIEGO BONO foto GIANMICHELE MANCA
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ome sarebbe il mondo oggi, la società, la politica e il sistema economico se gli eventi più importanti della storia dell’uomo avessero preso direzioni diverse? Molti autori, nel corso degli anni, hanno provato a rispondere, ipotizzando un presente che poggi le basi sulle ceneri di un passato alternativo. Negli anni ‘60 lo scrittore Philip K. Dick, con “La svastica sul sole”, propose una realtà in cui l’irrefrenabile macchina nazista vinse sugli alleati, ampliando il proprio dominio su ogni angolo del pianeta. È dall’impostazione narrativa di questo celebre racconto (definita “ucronia”) che, come dice l’autore stesso, trae ispirazione Cronache di Bisanzio:
Anno Domini 1505 (Edizioni: La città degli Dei), romanzo d’esordio del giovane sassarese Alberto Massaiu. Il libro, difatti, ambienta le vicende, le ambizioni e gli intrighi politici a cui sarà sottoposto l’intraprendente avventuriero veneziano Cesare Rizzo, in un Rinascimento notevolmente diverso da come lo conosciamo, figlio di un Impero Turco riappropriatosi delle terre orientali e occidentali un tempo appartenute all’Impero Romano. L’Italia non fa certo eccezione: ecco quindi che molti dei geni artistici simbolo della nostra penisola, come Leonardo Da Vinci e Niccolò Machiavelli, esprimono il proprio estro creativo non più unicamente tra le botteghe del bel paese, ma Milano, Firenze e Venezia
sono ora sostituiti dai palazzi degli imperatori di Costantinopoli, mentre famiglie come i Borgia non esercitano il proprio potere solo in lingua latina, ma anche in greco e turco, dall’alto di una corte che unisce la memoria della Roma classica con le esotiche influenze greco-orientali. Un prodotto, quello di Alberto Massaiu, di certo ambizioso, ma elegante e avvincente, che sa guidare il lettore attraverso la fantasiosa rivisitazione della nostra storia, frutto di una passione per il mondo orientale, il passato, la narrazione e, soprattutto, di un’accurata ricerca durata anni. Numerosi viaggi di studio e preparazione ad Istanbul (dove ha potuto esaminare in prima persona le grandi Mura di Teodosio in cui sono ambientati i primi 4 capitoli del romanzo), in Grecia e tra gli antichi resti del mondo bizantino (la superba città di Mistrà, nel Peloponneso, ultimo avamposto a cadere in mani turche dopo la presa di Costantinopoli del 1453), oltre all’attento approfondimento tra libri, documentari e articoli tematici, hanno permesso all’autore di ricostruire un passato differente, ma storicamente accurato, immaginando i comportamenti dei romani orientali verso le scoperte del secolo XV come la stampa a caratteri mobili, la polvere da sparo e le esplorazioni geografiche. Attraverso le pagine di “Cronache di Bisanzio” il lettore esplora un mondo concreto, realistico, ma soprattutto plausibile, che permette di far volare la fantasia e la curiosità, porsi domande sulla storia come la conosciamo, analizzandola con occhio logico, ma critico, lasciando alla sua visione interessanti spunti di riflessione.
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S&H MAGAZINE Anno XXIV - N. 268 / Gennaio 2019 EDIZIONE SPECIALE SASSARI+CAGLIARI Direttore Responsabile MARCO CAU
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Ufficio Grafico GIUSEPPINA MEDDE
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Hanno collaborato a questo numero: DIEGO BONO, LUIGI CANU, DANIELE DETTORI, FRANCA FALCHI, HELEL FIORI, NIKE GAGLIARDI, ERIKA GALLIZZI, ALESSANDRO LIGAS, ALBA MARINI, GIUSEPPE MASSAIU, MANUELA PIERRO, NIKOLAS PITZOLU, MARCO SCARAMELLA, ROBERTO TRONCI Redazione Sassari, Via Oriani, 5/a - tel. 079.267.50.50 Cagliari, tel. 393.81.38.38.2 mail: redazione@shmag.it
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esse&acca editoria.pubblicità.grafica grafica
Editore ESSEACCA S.r.l.s., Via Oriani, 5/a - Sassari Per la pubblicità: tel. 335.722.60.54 Stampa Tipografia TAS S.r.l. - Sassari Social & Web
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20 03 Cronache di Bisanzio: A.D. 1505 E se fosse andata diversamente?
05 Uomini maltrattanti Percorsi di recupero nei centri CAM
06 Meditare per curare la mente In Sardegna una scuola che diffonde la spiritualità nella vita quotidiana
08 È l’ora dell’Aperidivo In diretta con il vip tra una bollicina e l’altra
10 Max Mazzoli La bellezza corrotta nei quadri dell’artista
12 Team Forge
Eccellenza italiana degli sport elettronici
14 Come racconto Cagliari Le Passeggiate semiserie di G. Nonnis
16 La Base Un nuovo disco solista per Gianni Carboni
18 Killer Faber
Il signore della Techno
20 Samugheo
L’arte tessile, il profumo del pane e il fascino misterioso del carnevale
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22 Palma de Sols
Mauro Palmas e il Mondo nella musica della Sardegna
24 Viaggio in Italia Il Veneto
25 Dinamo Banco di Sardegna
La squadra migliora e sembra essersi ritrovata
26 HITWEETS 28 Hertz Cagliari Dinamo Academy I rossoblù sanno ancora vincere!
29 Il dentista risponde
Quali sono gli interventi più lunghi
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in Copertina
KILLER FABER
Foto Ezio Vallini / DJPlus
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di FRANCA FALCHI
uando pensiamo agli uomini che agiscono nella violenza, fisica o psicologica, pensiamo a uomini incapaci di stare con gli altri, che l’hanno subita dai loro padri che, forse, a loro volta la subivano. Ma non sempre è così. Sono uomini come tanti, quelli della porta accanto: professionisti affermati, padri di famiglia, mariti fedeli. Uomini normali, dove però la normalità deriva da una società e una educazione culturale fondata sul machismo, cresciuti nelle differenze di genere, in famiglie che, forse, hanno usato la violenza come metodo educativo. Non sono malati, non sono dei mostri, ma in un determinato momento della loro vita, mettendo in essere uno o più comportamenti che, complessivamente, formano l’insieme della violenza di genere, non hanno saputo gestire la rabbia, sfogandola contro compagna, moglie o figli. Uomini che, sempre più spesso, dopo aver visto le conseguenze del loro gesto, e aver letto il terrore negli occhi della donna, da soli o spinti dalla compagna, decidono di chiedere aiuto. Gran parte di loro lo fa spontaneamente, spaventati dalle loro stesse azioni dove per primi non si riconoscono, forse anche turbati da ciò a cui i loro figli hanno assistito
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UOMINI MALTRATTANTI
A SASSARI, NUORO, OLBIA E ORISTANO PERCORSI DI RECUPERO NEI CENTRI CAM o subito. Molti ne prendono coscienza dopo aver visto la compagna allertare le forze dell’ordine o abbandonarli; alcuni rapporti si sciolgono, altri invece si recuperano. Dal 2014, gli uomini possono rivolgersi al CAM, Centro di Ascolto per Uomini Maltrattanti - a Sassari, Nuoro, Olbia e Oristano dove uno staff multidisciplinare coordinato dalla dott.ssa Nicoletta Malesa, con incontri prima individuali e poi di gruppo, li accompagna, attraverso percorsi specifici, a riconoscere e consapevolizzare i loro comportamenti. Nel 2009 a Firenze nasce il
primo CAM che si prefigge lo scopo di arginare i fenomeni di violenza sulle donne, intervenendo su coloro che la mettono in atto, prima che possa degenerare in conseguenze ben più gravi. Si tutela la vittima cercando di eradicare la causa alla base, seguendo programmi nazionali ed europei in una rete di ascolto e di prevenzione. I dati Istat parlano di maltrattamenti su tre donne ogni dieci ma, considerando il sommerso, sono molte di più. La violenza ci riguarda tutti: il femminicidio è il gesto estremo di un fenomeno
che non è episodico ma strutturale nella nostra società, e occorre guardarlo da entrambe le prospettive per tutelare la donna attraverso programmi di cambiamento e recupero rivolti agli uomini, arrivando ad intaccare il loro senso di legittimazione con la modifica di un sistema educativo che non può essere giustificante. Occorre una strategia comune integrata nelle realtà pubbliche quali scuole, strutture sanitarie e forze dell’ordine. Occorre sensibilizzare le nuove generazioni per riuscire a modificare i comportamenti di possesso, di arroganza e di negazione della volontà delle donne.
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6 S&H MAGAZINE
MEDITARE PER CURARE LA MENTE DAL 1983 IN SARDEGNA UNA SCUOLA CHE DIFFONDE LA SPIRITUALITÀ NELLA VITA QUOTIDIANA di ALESSANDRO LIGAS
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l ri-posarsi, il silenzio e l’ascoltarsi sono le tre “azioni” base della meditazione che da 35 anni, a Cagliari, e da 25, a Sassari, vengono insegnate nella Scuola di Meditazione fondata dal gesuita Padre Francesco Piras s.J.. L’obiettivo è quello di diffondere la spiritualità nella vita quotidiana delle persone a prescindere dalla religione, Hindu, Buddhista, o Cristiana, attraverso diversi metodi di meditazione che apportano benessere psicofisico nelle persone, oltre che predisporre ad uno stile di vita più profondo e consapevole. Dal 2014, dopo la scomparsa del suo fondatore, la scuola trova il suo punto di riferimento sotto la guida di Padre Davide Magni s.J., teologo specializzato in spiritualità comparate, anch’egli sacerdote della Compagnia di Gesù con alle spalle una lunga esperienza legata alla meditazione Buddhista e al T’ai Chi Ch’üan. Proviene da Milano dove, presso la Fondazione Culturale San Fedele, ha diretto corsi di meditazione e preghiera attraverso pratiche corporee partendo dalla Spiritualità Ignaziana. «Meditare significa prendersi cura della
propria vita in modo consapevole, riposandosi e ascoltandosi - racconta Padre Davide Magni -. È un percorso che parte dal corpo, dal suo riposo, dall’ascolto dei suoi suoni primordiali, come il respiro e il battito cardiaco, per arrivare a riposare il pensiero e le emozioni, come la rabbia, il rancore o la bramosia, di modo da ritrovare la giusta calma mentale per poter poi affrontare la quotidianità in modo corretto attraverso una “visione oggettiva”, ossia un’osservazione, di noi stessi da un punto di vista diverso. Un viaggio che ci permetta di arrivare a definire ciò
di cui abbiamo bisogno lasciando stare ciò che non ci appartiene». La scuola oggi ha 4 sedi: a Cagliari, in via Ospedale 4, a Sassari via Enrico Besta, presso la Chiesa di San Paolo, a Oristano in via Ghilarza 5, presso Centro Sportivo Gymnica e ad Alghero nel largo S. Francesco 14, e in questi 35 anni dalla sua fondazione ha visto entrare nelle sue sedi circa 16.000 persone tra giovani e adulti. «Quest’anno - prosegue -, nella sede di Cagliari, abbiamo avuto circa 280 nuovi iscritti. Ma questo non è un numero definitivo perché le iscrizioni non sono ancora chiuse e a Sassari non abbiamo ancora iniziato le attività, previste per l’inizio di gennaio 2019». La scuola di meditazione propone corsi, meditazioni musicali e meditazioni nella natura (solo per citarne alcuni), guidati da Padre Davide Magni e dall’equipe della Scuola di Meditazione, per giovani e adulti, facendo riferimento a tre grandi orizzonti culturali: quello occidentale, quello del sub continente indiano e quello dell’Estremo Oriente cinese. La mission è quella di indagare le sapienze d’Oriente e d’Occidente per nutrire la vita e perseguire la beatitudine. «Per poter prendersi cura della propria vita interiore - prosegue il gesuita - si deve comprendere ciò di cui si ha bisogno. In primo luogo, è necessario riprendere consapevolezza del proprio corpo, di tutti i suoi movimenti e di tutte le sue posizioni, comprendendo con chiarezza ciò che si sta facendo in ogni istante. Occorre partire dal riposo, concetto fondamentale della meditazione, e dalla quiete dei movimenti. Sono entrambe attività impegnative, da non sottovalutare, che partono da un’analisi del corpo per arrivare alla mente. Attività legate in maniera indissolubile al rilassamento e alla rimozione di tutte quelle tensioni che pervadono il corpo. Per fare questo si deve essere in silenzio e ascoltarsi di modo da comprendere dove si trovano le tensioni e
“intervenire” in modo adeguato». In questo senso la meditazione è legata al significato di “prendersi cura” e “guarire”, per ritrovare la giusta condizione di salute scoprendo come funziona il nostro corpo. «Un esempio possono essere le contratture muscolari - prosegue il gesuita - che dipendono per la maggior parte delle volte da posizioni scorrette che si assumono durante la giornata e che si ripercuotono in altre attività. Attraverso la meditazione possiamo individuare queste tensioni e intervenire nel giusto modo». Dal corpo alla mente. Il riposo, il silenzio e la quiete dei movimenti sono le condizioni che permettono l’ascoltarsi e il ritrovarsi e queste sono attività che curano la mente placando tutte quelle tensioni, emozioni, che non permettono di affrontare la quotidianità nel giusto modo. Sono le basi per un benessere psicofisico che migliora la relazione con gli altri. «La pace mentale - prosegue il gesuita - mi permette di affrontare la quotidianità e di affrontare il dialogo. Io mi comprendo solo nella relazione con gli altri, ma come faccio ad ascoltarli se non sono nella condizione di quiete?». Un risultato tangibile della meditazione è il raggiungimento delle dimore divine, ossia di quei luoghi nei quali gli uomini sono nella loro condizione autentica, liberi dagli attaccamenti (le tensioni) che condizionano le relazioni quotidiane. Queste dimore sono la benevolenza o l’amore universale, la compassione o comprensione del proprio simile, la gioia compartecipe o il rallegrarsi di ciò che si ha e l’equanimità o l’imparzialità. Ma nella meditazione il punto focale non è il punto di arrivo, bensì l’attenzione che si pone nel processo, nel viaggio, ossia in ciò che si sta facendo mentre lo si sta facendo. Ulteriori informazioni sulle attività sono reperibili su lnx.scuoladimeditazione.eu. Foto Marina Madeddu
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È L’ORA DELL’APERIDIVO In diretta con il vip tra una bollicina e l’altra di DANIELE DETTORI
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ettiamo una cena tra amici, al tavolo con un personaggio mediatico conosciuto per le sue attività in radio, in televisione o nel mondo del web. Un vip, insomma. Adesso anticipiamo l’incontro, così da fare un aperitivo anziché una cena. Un simpatico gioco di parole ed ecco come nasce il frizzantissimo format creato da Angelica Ko e Katia Corda che, tutti i giovedì alle 19:00, trasmettono in diretta Facebook dal sud della nostra isola e non solo.
«È un modo per proporre qualcosa di originale promuovendo, al tempo stesso, il nostro territorio», dice Katia. «In questo senso promuoviamo anche le attività che ci ospitano per l’aperitivo, i loro prodotti e la nostra cultura». «Inoltre», interviene Angelica, «ci piace entrare nelle famiglie, portare qualche sorriso e, se possiamo, anche messaggi importanti con ricadute nel sociale». Sì perché, in occasione di una loro diretta, Katia e Angelica hanno affrontato un caso molto delicato che ha avuto un risvolto imprevisto. «Ci trovavamo in Corsica e
abbiamo dedicato una puntata a una bambina che aveva un problema genetico. La puntata ha avuto più di 4000 visualizzazioni ed è successo che, dalla Sardegna, alcuni medici che ci seguivano abbiano contattato la famiglia per avere più informazioni e potersi così rendere utili. Questo ci ha regalato una grandissima soddisfazione, oltre che la possibilità di un aiuto concreto per quella bambina». Una cosa di cui il nostro duo al femminile si è accorto è che la rete ha una potenza incredibile. Nascono collaborazioni con altri
internauti (Angelica e un altro “web-man”, Lorenzo Po, per esempio, hanno collaborato in alcune dirette individuali riunendo buona parte dei rispettivi, numerosi followers); si coprono enormi distanze e si esce dallo schermo per ritrovarsi nel mondo reale. «Anche dal vivo, magari passeggiando per strada, le persone riconoscono me e Katia. È qualcosa di cui non ci rendiamo neppure conto. Tra l’altro, forse perché ci vedono sempre insieme, cominciano ad arrivarci proposte per recitare qualcosa. Se non altro non ci menano, quindi forse risultiamo simpatiche» (ridono, ndr). Con la recitazione e il cinema, Angelica e Katia hanno già confidenza. Se infatti la prima, nella vita, è produttrice cinematografica, la seconda ha recitato di recente nel film A si biri, una commedia all’italiana del regista Francesco Trudu, in uscita all’inizio del 2019. «Il bello di Aperidivo è che con gli ospiti è tutto improvvisato, non c’è nulla di studiato se non, naturalmente, piccoli momenti di base. Con Angelica si è creata una sinergia tale per cui lei è quella che dice le parolacce e io la riprendo», precisa Katia. «Un po’ come una coppia che battibecca». E in futuro, chiediamo, chi vorreste incontrare? «Arriveremo in Vaticano per un aperidivinità»!
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“I danzatori delle stelle”, olio su tavola
di HELEL FIORI
“È in arrivo una tempesta” – dice Frank – “una tempesta che inghiottirà i bambini. E io li salverò dal regno della sofferenza. Li riporterò sani e salvi sulla porta di casa, e respingerò i mostri giù sottoterra. Li confinerò dove nessuno possa vederli, eccetto me. Perché io sono Donnie Darko”.
L
ato oscuro, a-linearità del tempo, caducità della vita e dell’amore, un coniglio inquietante alto uno e ottanta. Elementi che chiaramente richiamano alla memoria Donnie Darko, film del 2001 di Richard Kelly diventato un vero e proprio titolo di culto, venuti alla luce invece durante
MAX MAZ ZOLI LA BELLEZZA
CORROTTA NEI QUADRI DELL’ARTISTA LIVORNESE l’incontro con Max Mazzoli, pittore toscano classe 1953, stanziale a Sassari da ormai quasi trent’anni. Non ho avuto modo di chiedergli se conoscesse il film: protagonista di una vita piuttosto varia, in continuo mutamento, Max è un ottimo conversatore dal carisma alienante che attira l’interlocutore dentro una bolla d’attimi instabili. Non disperi chi non avrà la fortuna di passarci un pomeriggio a sorseggiare del vino: lo stesso rapimento arriva assaporandone l’opera. Per lo più olio su tela, è di certo prematuro cercare di identificarne le fasi, ma saltano all’occhio alcuni stilemi preferiti di cui possiamo parlare. Innanzitutto bellissimi gli iperrealismi alla Hopper. Se Edward dipingeva il si-
lenzio, Max dinamizza e rinnova il quadro materializzando l’urlo/colonna sonora di una realtà straniante, corrotta; sottofondo lontano udibile solo a chi sa ascoltare: il vibrante fermo immagine di un momento anonimo produce un sibilo grattato di bobina che non gira, incespica, si ferma e rode la pellicola. Le sue auto e i suoi neon sono allora solo un magnete, un supporto materico solo apparentemente immobile a cui si ancora l’eco di un ronzio sempiterno. Uno degli elementi fondanti della sua espressione è lo studio della linea del tempo: “Immobilità o lo scorrere più o meno veloce del tempo mi hanno sempre affascinato, a volte vorrei far entrare in una sola opera la dinamicità di tutta una storia o addirittura di tutta una vita” dice, e dai suoi quadri sembra
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che ci riesca (studiomazzoli.net o Instagram @maxneromazzoli per avere un assaggio o informazioni sui laboratori). Questa fascinazione può aver dato i natali alla serie di tele massmediali ottenute trasponendo frame cinematografici, esibite al Palazzo Ducale di Sassari nella mostra Filmofrenico - Iconografia filmica e immaginaria, 2016, a cura di Stefano Resmini, che ha messo insieme più di quindici anni di produzione. Interessanti i tributi a S. Kubrick, a Ombre Rosse, a Blade Runner. La fonte video non si esaurisce però col cinema d’autore: non ci si stupisca se ogni tanto fan capolino dei tributi a luci rosse. Ma la scelta del pittore cade sul nudo straordinario, ed è così che per onorare la pornografia sceglie la chiave del cyber sex (godi‐ mento steampunk è la parola chiave) ove il corpo è supporto di un godimento virtuale, è strumento che utilizza altri strumenti per raggiungere il fine ultimo dell’astrazione del Sé. Max Mazzoli non viene ispirato solo da idee. Egli stesso definisce i pittori come concreti, materici, legati all’immanenza. Per raccontare la vita sceglie allora il nudo di donne vere: seni pieni che fanno venire fame incoronati da melegrane mature che sanguinano dolcezza. E se per l’altro suo ispiratore, Caravaggio, il binomio eros/thanatos era estremamente palesato, per Max la corruzione della perfezione si dispiega piuttosto col tuffo nell’abisso, o meglio, con l’abisso che di prepotenza viene letteralmente a bussarci alla porta (vedi Agenzia nuovi mondi, se anche a te questo va stretto, affrettati, biglietti in esauri‐ mento, 50x50, Anno Indefinibilmente Parallelo; quadro che dà titolo all’ultima personale inaugurata nell’estate 2018 allo Spazio Mostre Libreria Dessì di Sassari, ove un
grande coniglio nero ringhia minaccioso dietro un vetro). Attualmente Max ci sta regalando sprazzi di una dark pop art, dove più ingredienti vengono rimestati nel pentolone della grande Strega Nera. La ricetta prende così forma: inquadrature da fumetto (argomento caro a Mazzoli: nei primi Novanta arricchì le pagine del nostro giornale con le avventure di UltraVov, una sorta di SuperCiuk di Bunker, e di Dante, un alieno verde, basso e tozzo infelicemente bloccato a Sassari); prendete un po’ di inquadrature da fumetto, dicevo, e date profondità con qualche accesso noir. Aggiungete una punta di J. Bauer e di incubi nord europei, due fiale di luce ed ombra e una stecca di Imminente Fine del Mondo - non necessariamente IL mondo, ma UN mondo, magari quello interiore: “L’arte è stato il filo conduttore di tutta la mia vita, attraverso morti e rinascite, credo di essere alla mia settima vita, probabilmente l’ultima” - e miscelate energicamente il tutto, incorporando man mano dei colori Fluo UV Reagents. La bomba è assicurata. Se poi avete la fortuna di assistere a una delle sue performance di live painting (per le date tenete d’occhio la pagina Facebook @studiomaxmazzoli) siate consci che per l’artista significano gioia, di‐ vertimento, libertà, assoluta felicità: “una performance di live painting potrei assimilarla ad un orgasmo”. E come l’orgasmo arriva alla fine di una eccitata escalation, la sua pittura è rivelazione dopo un lungo indagare. Nei suoi quadri scova lo sconosciuto acquattato dietro la porta, e al contempo dipinge il rumore che ci costringerà ad andare fuori a controllare cosa si cela nel buio. Meglio portare con sé una torcia.
“Agenzia nuovi mondi...”, olio su tela
“Ciao succo di melagrana”, olio su tela
“I bari”, olio su tela
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TEAM FORGE Ha sede a Cagliari un'eccellenza italiana degli sport elettronici di ALESSANDRO LIGAS
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veglia, faccende domestiche e allenamenti. Questa è la giornata tipo di un videogiocatore di eSports, o sport elettronici, di uno dei progetti più interessanti e più importanti del panorama Italiano. Si chiama Team Forge, è un’associazione sportiva con sede a Cagliari, nata nel 2016 con l’obiettivo di sviluppare il settore dei videogiochi a livello competitivo organizzato e professionistico in Italia attraverso la promozione e formazione di attività e staff con competenze e mentalità necessarie a diventare professionisti da cui deriva il nome “squadra forgia”. “Gli sport elettronici sono competizioni video ludiche, solitamente multi gioca-
tore, che, come gli sport classici – racconta Mattia Guzzi, team manager dell’associazione sportiva – sono la massima espressione delle competenze specifiche di un atleta. Alcuni esempi di giochi possono essere League Of Legends, Counter Strike, Tekken, Call Of Duty. L’associazione è composta da uno staff che spazia dai manager che si occupano di gestire l’associazione, o i team specifici, ai coach che si occupano di lavorare con gli atleti per sviluppare al meglio le loro competenze e dagli atleti stessi, che spesso sono selezionati dallo staff per il loro talento. La struttura organizzativa è frutto della collaborazione dello staff tecnico con la CTU, la Chunnam Techno University di Seul, in Corea del Sud, la patria degli eSports per eccellenza. La
sede cagliaritana è tra il centro cittadino e l’aeroporto, suddivisa in due strutture separate che distano tra loro 15 minuti, in cui gli atleti e lo staff vivono e si allenano. La prima è la Gaming House, il luogo in cui gli atleti e lo staff vivono, e la seconda è la Training Facility dove invece sono presenti gli uffici e le postazioni di gioco in cui ci si allena e si lavora. “Nella maggior parte delle volte i videogiocatori - prosegue il team manager - sono ragazzi molto giovani che si appassionano ai videogiochi fin da bambini e, crescendo, scoprono di avere anche una grossa passione per le competizioni. Il nostro compito non si ferma e non è circoscritto soltanto all’ambito videoludico ma si estende anche alla formazione dei ragazzi che si affacciano per la prima
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volta a un ambiente che richiede molto sacrifico, un impegno costante e grosse responsabilità. Sono tutti ragazzi che si pongono come obiettivo quello di diventare dei professionisti esportivi, e di far sì che questo diventi un domani il loro lavoro. In quest’ottica il nostro ruolo è quello di accompagnarli in questo percorso cercando di aiutarli a sviluppare al meglio tutte quelle competenze che serviranno per fare, di solito all’estero, il grande passo e raggiungere il loro obiettivo”. Da questi presupposti prende il nome la squadra, Team Forge, che racchiude in sé il significato dei concetti “forgiare e temperare” all’interno di un ambiente, visto come una fucina, le competenze dei giocatori. I ragazzi vengono formati e modellati per diventare dei veri professionisti. “Con il nome Team forge volevamo dare proprio il senso di dar forma con il fuoco” aggiunge Alessandro Fazzi, presidente dell’associazione sportiva. La giornata tipo di un giocatore che vive nella Gaming House si divide in 2 fasi. “La prima metà - racconta il team manager -, dopo la sveglia, è dedicata alle faccende domestiche: fare le lavatrici, cucinare, tenere in ordine la casa. La seconda metà della giornata è invece dedicata agli allenamenti, per 6/8 ore al giorno, che in parte sono individuali ed in parte sono di gruppo. Solitamente poi, verso sera, ci sono le scrim che sono partite di allenamento con altre squadre europee”. In genere nella Gaming House vivono una decina di persone, ma a seconda dei periodi può capitare che il numero delle persone possa
variare a seconda di quante squadre vengono seguite o quali competizioni sono in corso. Ad oggi i giocatori sono attivi su 4 tornei: League of Legends (LOL), Counter Strike Global Offensive (CSGO), Tekken e Call of Duty. Un ambiente, quello dei Forge, dove l’obiettivo non è quello di immergere e far perdere i giocatori in un mondo virtuale, parallelo, dove l’individuo è al centro con le sue esigenze e i suoi risultati personali ma al contrario è quello di far avvicinare e rimanere legati alla realtà i videogiocatori. L’obiettivo è quello di far tenere, e nel caso far rimettere, i piedi per terra ai videogiocatori competitivi, mostrando come la parte videoludica è solo una minima componente di quella che è a tutti gli effetti una disciplina sportiva come tante altre, anche se vista in modo differente rispetto agli sport tradizionali. Non c’è solo il gioco ma tutta una componente di lavoro, sacrificio e dedizione, a cui inoltre si affianca anche il rispetto dei valori che contraddistinguono gli sport tradizionali. Dalla sua nascita ad oggi il team sardo ha conquistato tantissimi premi, tra i quali ricordiamo i più importanti. Nel 2016 è stata la prima squadra in Italia a vincere la League of Legends EU Challenger Series Qualifier. Per quattro volte, tra il 2016 e il 2017, ha vinto la Lega Prima Italian Championship (quest’anno sono arrivati secondi). Per tre volte hanno vinto la Red Bull Factions (dal 2016 al 2018). Sono arrivati primi nel 2018 al PG Nationals Italian, al ESL Italian Championship, al Symphonic Cup (EU).
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Le Passeggiate semiserie di Giuseppe Nonnis “Come racconto Cagliari” di ALBA MARINI foto GIUSEPPE NONNIS
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asseggiare per i quartieri storici tenendo fra le mani le Passeggiate semiserie di Giuseppe Luigi Nonnis: ecco uno dei modi più intriganti e curiosi di conoscere Cagliari. Tra il serio e il faceto, tra curiosità e grandi eventi, tra personaggi scomparsi e strade che non ci sono più: un libro – o meglio quattro libri – che hanno la capacità di far rinascere il passato, di materializzarlo, già ad una
prima e distratta lettura, lì, davanti ai nostri occhi. Giuseppe Luigi Nonnis ha quasi 74 anni ed è il nostro magico autore: un uomo appassionato di storia che è riuscito a calpestare le strade di Castello, Villanova, Marina e Stampace disegnando con la scrittura volti, strade, mestieri, storie del nostro capoluogo. Insegnante e dirigente scolastico in pensione, cagliaritano DOC, ma di origini ogliastrine, Nonnis è autore di diversi testi divulgativi sulla storia isolana ed è stato anche ono-
Antico Palazzo di Città
Bastione del Viceré
rato con il riconoscimento della Repubblica Italiana della medaglia d’argento alla Cultura. Tra i saggi pubblicati spiccano, Assemini storia e società, Meana – Radici e tra‐ dizioni e, con la casa editrice Arkadia, La flotta di Roma im‐ periale, I tre mesi che scon‐ volsero l’Italia (scritto col fratello Giampaolo). Sono in particolare le Nuove Passeggiate semiserie, ora edite da Arkadia in un’edizione profondamente rinnovata, a rappresentare una fonte preziosa per l’orgoglio dei cagliaritani, spesso feriti dall’immagine stereotipata del sardo che vive in isolamento, lontano dalla storia, lontano dal tempo che scorre, sempre dominato e raramente capace di dominare. Le Passeggiate sono strutturate in quattro libri, ognuno dei quali è dedicato a un quartiere storico: un passo nella città alta di Castello; un altro verso la zona fiorita di Villanova; uno nella centrale Stampace e un ultimo verso
il mare, a Marina. Ogni libro è a sua volta strutturato in piccoli capitoli dedicati a vicoli, strade e piazze, che tracciano un itinerario tutto cagliaritano tra lo spazio e il tempo. Dedichiamoci qualche momento a un piccolo viaggio in ogni quartiere. Le prime Passeggiate nascono con Castello, non a caso la zona più alta della città, nonché centro dell’antica vita politica di Cagliari. Saliamo lentamente dal Terrapieno, una passeggiata panoramica che abbraccia tutta via Regina Elena, e avviamoci, assaporando la città dall’alto, verso Piazza Palazzo (sede dell’antico Palazzo Viceregio), attraversando Porta de S’Avanzada, Porta Cristina e tante piccole e grandi vie che – nel corso del tempo e delle varie dominazioni straniere – assunsero nomi diversi. È il caso dei tre assi longitudinali di Castello, Via Canelles, Via Lamarmora e Via dei Genovesi, rispettiva-
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Caserma dei “Dragoni”
Bastione di Saint Remy, 1893
mente chiamati in tempi antichi Ruga Marinariorum, Ruga Mercatorum e Ruga Comunalis, a seconda della funzione che le strade esercitavano. Ma entriamo nel vivo della vita del passato. C’è un episodio, contenuto nelle Pas‐ seggiate di Nonnis, che ci ricorda come la politica fosse (precisiamolo, non sempre) corrotta. Nel XVII un amministratore comunale organizzò una grande festa nel quartiere di Castello a spese del Consiglio Civico. Tra ori, broccati, vestiti di lusso, cavalli e giocolieri sperperò talmente tanti soldi da azzerare le finanze del Comune. Alla fine della festa, tra gli applausi calorosi degli abitanti, il signor Garçet - così si chiamava il funzionario - pensò bene di appropriarsi di tutti gli oggetti preziosi usati per i festeggiamenti. Era convinto di meritare quei lussi: d’altronde a Cagliari, si giustificava, non si faceva mai niente di divertente.
Se Castello era il centro della vita politica, Marina era il quartiere del commercio. Alcuni documenti testimoniano scambi di merci con Venezia, Marsiglia e persino con gli svedesi, i quali salpavano per Cagliari per acquistare il sale. Attraversando oggi le strade di Marina, tra ristoranti tipici, negozi etnici e di souvenir e vie dello shopping, possiamo notare come abbia mantenuto la sua prima vocazione, pur riadattandola ai tempi moderni. Nel libro è presente un interessante stralcio delle memorie di viaggio di Nicolas Bénard, un 21enne di Marsiglia, capace di offrire ai lettori moderni il disegno della Cagliari del 1600: bastioni che da Castello scendevano fino al mare, una collina coperta di gladioli azzurri e bianchi e un monastero chiamato “Notre Dame de Bon Air” (la nostra Chiesa di Bonaria), per altro sede - a detta del nostro marinaio francese - di diversi miracoli.
Bastione di San Giovanni
Villanova era il quartiere più ruspante dei quattro. Vere protagoniste erano is panetteras, donne impegnate in mille attività, dall’impasto e cottura del pane all’allevamento delle galline. Adottavano perfino i trovatelli sotto compenso. Non possiamo certo definirle madri amorevoli, ma erano loro a portare i pantaloni. I loro mariti, is arregattéris, vivevano di espedienti mentre le mogli portavano avanti l’economia del quartiere. Il libro su Stampace uscirà a breve, ma l’autore ci concede una piccola anticipazione… Tra le due guerre mondiali, una donna anziana e povera si ammalò e tutto il quartiere di Stampace si prodigò per
lei portandole doni e pasti caldi. Si narra che l’anziana sentendosi coccolata dai vicini, esclamò: Ta bellu essi malaria, mi onanta cun su broru, petz‘e caboniscu chi non emmu mai tastau in sa vida mia (Che bello essere malata, mi por‐ tano con il brodo anche la carne di pollo che non avevo mai assaggiato in vita mia). Il brodo di pollo non l’aveva mai assaggiato. In questa frase emerge non solo la grande povertà ma anche l’innocenza e l’ingenuità di questa umile donna. Essere felici per un brodo di pollo… La storia è fatta anche dal basso ed è questa una parte di Cagliari che abbiamo il dovere di riscoprire.
16 S&H MAGAZINE
LA BASE
Un nuovo disco solista per Gianni Carboni di NIKE GAGLIARDI
L
o scorso 8 dicembre è per Gianni Carboni, cantautore sardo originario di Sorso, una data importante: si tratta infatti di un momento spartiacque nella sua carriera di musicista, momento scandito dall’uscita del suo nuovo album, La base, disco autoprodotto e seconda opera solista dopo In punta d’ardire, uscito nel 2016. Una scelta, quella dell’autoproduzione, dettata dalla volontà di optare per un percorso artistico autonomo e dar vita, con tutte le libertà del caso, a un lavoro ibrido, che dal poprock si volge verso i territori dell’elettronica e che, nell’eterogeneità dell’insieme, «non pretende di essere capito». Infatti, secondo quanto è il cantautore stesso ad affermare, «ormai per me l’autoproduzione è diventata uno stile di vita a tutti gli effetti». E, a proposito della gestazione di quest’ultimo disco, ci racconta di come esso derivi «da quasi tre anni di incessante lavoro e studio, sia da un punto di vista sonoro/compositivo che di scrittura. Sono partito senza
particolari obiettivi tranne uno: alzare il livello rispetto al passato. Se ci sono riuscito o meno lo lascerò decidere ovviamente al pubblico, che rimane il solo ed unico vero giudice per qualsiasi artista». L’album, comprendente tredici tracce (tra cui, per la prima volta, una cover), è stato anticipato dal videoclip del singolo che regala il titolo al disco. Il messaggio veicolato dal brano, e sottolineato con forza dal video, è candidamente espresso: «i cambiamenti arrivano dalla base, le lamentele non servono, serve fare». Una canzone in cui si parla della possibilità di modificare in meglio la propria realtà partendo da piccoli gesti quotidiani, dalle scelte minime che ci troviamo a compiere ogni giorno. «La base», spiega Carboni, «è un messaggio che va contro il vittimismo, indiscusso protagonista dei nostri tempi. Prova a mettere in primo piano ogni singola persona e l’enorme potenziale che possiede. Perché spesso ci dibattiamo tra analisi contorte e ragionamenti, quando invece basterebbe poco per migliorare noi stessi e il mondo in cui viviamo. Se c’è un col-
pevole o un eroe nel nostro cammino, questi non possiamo che essere noi stessi, sta a noi scegliere cosa essere». Un “coraggio degli umili” che anima tutto questo nuovo lavoro discografico in cui una delle caratteristiche principali appare quella di abbracciare una grande varietà di tematiche: dalla frenesia della grande città associata alle illusioni e ai desideri che suscita (ne La città che non dorme mai) sino alla lotta contro la malattia, dalle riflessioni sull’incoerenza fino a quelle inerenti alla spontaneità (Un bambino che sorride). La base è disponibile su tutte le piattaforme digitali e, se desiderate restare aggiornati su tutte le novità e i prossimi live, tenete d’occhio il sito internet giannicarbonimusic.com.
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18 S&H MAGAZINE
di MARCO SCARAMELLA
Foto Ezio Vallini/DJPlus
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IL SIGNORE DELLA TECHNO
alla Sardegna, ha portato la musica elettronica e la techno nelle radio e nei locali italiani. Ha lavorato nei locali più cool d’Italia, d’Europa e degli Stati Uniti. Ha partecipato a numerose manifestazioni internazionali come l’Ultra Music Festival in Croazia, la Love Parade di Berlino, la Street Parade di Zurigo, la Winter Music Conference di Miami. Ha lavorato nei più grossi network radiofonici italiani come Radio 105, Radio Deejay e m2o. Si tratta di Fabio Desogus, meglio noto come Killer Faber. Abbiamo fatto una piacevole chiacchierata con lui, durante la quale ci ha raccontato dei suoi quasi trent’anni di carriera. Come ti sei approcciato al mondo della musica dance? La mia passione per la musica nasce all’età di 13 anni. Mi avvicino al mondo della dance facendo delle gare organizzate dall’Associazione Nazionale DJ. In seguito ho partecipato e vinto i campionati regionali di DJ in Sardegna, e ho iniziato a lavoricchiare in qualche locale della zona. Quando ho compiuto 18 anni, ho deciso di trasferirmi a Milano, perché ho capito che se volevo fare questo mestiere come un professionista, qui non avrei trovato sbocchi. Paghiamo il dazio di essere un’isola staccata, non solo fisicamente, dal resto della penisola. Il business, quello vero, si muove nel nord Italia. Hai mosso i primi passi da Dj a Milano. Com’è andata? Arrivato a Milano un amico, che al tempo era il direttore tecnico di Radio Deejay e che ora lavora a Radio 105, Dj Giuseppe, mi ha dato l’opportunità di suonare al Notorius di Milano, lo-
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giusti (ci sono più di cento portali nel mondo tra cui i canonici Spotify, iTunes, Beatport, Traxsource) tu puoi avere accesso a tutta la musica che vuoi con una possibilità di scelta che si è centuplicata. Quando noi suonavamo, usavamo sempre della strumentazione professionale, dei giradischi Technics 1200 e con dei mixer all’altezza. Oggi si suona con l’utilizzo del pc e con dei software e con dei mixer che permettono al Dj di fare cose che 15 anni fa potevamo solo sognare. Con un computer e due chiavette oggi possiamo suonare anche per qualche giorno di fila. Con questa tecnologia chiunque può improvvisarsi Dj. Per come la vedo io, però, essere un Dj è una ricerca costante di nuova musica. La capacità di far piacere alla gente la musica che tu suoni, poi, si acquista con l’esperienza. Come tutto, fare questo mestiere richiede professionalità. Che progetti hai per il futuro? Sicuramente portare avanti il progetto del Marshmallow. Con la nascita del
Marshmallow a Sassari, non abbiamo fatto altro che applicare le regole che vigono nei locali di successo di Milano o Roma, per cercare di creare quel genere di locale anche in Sardegna. Abbiamo infatti portato una serie di personaggi importanti come i Dj di m2o, Cristiano Malgioglio, Guè Pequeno, e marchi importanti da Ibiza come Hello Formentera e Mami Chula, per adesso stiamo avendo un buon riscontro dal pubblico sassarese e dei paesi limitrofi. Tra gli altri progetti, a breve ho in programma un nuovo tour di Killer Faber che mi porterà in giro per l’Italia, e che penso inizierà in primavera, mentre agli inizi del 2019 uscirà un mio nuovo disco. Ringraziamo Fabio Desogus per la sua disponibilità e cortesia. Ricordiamo che potete seguire la sua pagina Facebook, per rimanere sempre informati sui suoi nuovi progetti.
Foto Ezio Vallini/DJPlus
cale di proprietà del principe Stefano Casiraghi. La fortuna ha voluto che quella sera fosse presente il direttore di Radio Milano International, a cui piacque come suonavo, così ho avuto il mio primo contratto. Da quel momento sono iniziate le serate come resident Dj nei locali più importanti di Milano. Qui dalla pop dance sono passato a fare la musica techno, la musica elettronica e la techno house. Son stato uno dei precursori italiani nel fare questo tipo di musica (che poi ha preso piede pochissimi anni dopo) e questo mi ha dato, sicuramente, una visibilità importante. Essere riuscito ad impormi con un genere che arrivava dal Belgio e dalla Germania, in una città aperta e cosmopolita come Milano, è una bella soddisfazione. Com’è nato Killer Faber? Killer Faber non nasce subito. Nasce con l’avvento della musica techno. Al mio arrivo a Milano mi chiamavo solo Faber. Uno dei miei primi manager che lavorava per una grossissima agenzia, Francesco Monteleone che adesso lavora per il Festival di Sanremo, tirò fuori l’idea di creare un gruppo che si sarebbe chiamato Killer Crew e col Dj che si sarebbe chiamato Killer Faber. Il dubbio era che la parola killer potesse avere un tono troppo aggressivo, duro e forte. Alla fine abbiamo provato, e ci siamo accorti che la gente accettò questo nome con entusiasmo. Così nasce Killer Faber, in contemporanea con la mia collaborazione a Radio 105 con Alex Peroni e Stefano Secchi nel 1992, circa. Cos’è cambiato dagli anni ’90 ad oggi? Negli anni ‘90 non c’era internet, la gente aspettava il weekend e le serate in discoteca per sfogarsi dalle frustrazioni della settimana. Fare il Dj significava essere alla costante ricerca di nuova musica e di nuovi dischi. Con l’avvento della tecnologia, con i siti
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SAMUGHEO
Foto Elisabetta Loi
L’ARTE TESSILE, IL PROFUMO DEL PANE E IL FASCINO MISTERIOSO DEL CARNEVALE
di MANUELA PIERRO
C
lassificato tra i Borghi Autentici d’Italia, lo splendido paese di Samugheo vanta panorami mozzafiato e selvaggi fatti di vegetazione rigogliosa e grotte misteriose che si fondono sapientemente con costruzioni del passato, tradizioni antiche e arti riconosciute a livello internazionale. È un paese di circa tremila abitanti del Mandrolisai, che, grazie alla
sua posizione strategica un po’ distante dalla costa, è riuscito, in tutte le sue espressioni artistiche e tradizionali, a conservare intatta la propria identità culturale nell’arco dei secoli. La presenza delle domus de janas ci rivela che il paese era già popolato nel neolitico, ma altri popoli vi si insediarono: Fenici, Punici, Romani e Bizantini. Proprio a quest’ultima epoca, risale una delle costruzioni storiche più importanti: Il Castello di
Medusa. Risalente al IV secolo d.C., questo castello è famosissimo sia per la sua ubicazione anomala (pur avendo la struttura architettonica di una rocca, quindi ideato come funzione di controllo e protezione, è in una posizione nascosta, circondato da colli, gole e dirupi) sia a causa delle numerose leggende che con il passare dei secoli hanno affascinato abitanti del posto e forestieri. Samugheo non è solo fusione tra panorami, realtà
storiche e leggende. Il suo vero patrimonio è soprattutto l’arte, antica e radicata, in tutte le sue sfaccettature. Arte Tessile. Copriletti, tende, cuscini, tappeti e arazzi sono il vero fiore all’occhiello di Samugheo. L’uso di materie prime come lana, lino, canapa, cotone e seta dimostra quanto l’amore per la propria terra e per le proprie risorse sia fondamentale. La tecnica di tessitura più usata è quella a busa (filo metallico che serve per creare i disegni e le decorazioni) e il più diffuso metodo di decorazione viene definito sa fressada o un’in dente che ha la particolarità di lasciare una superficie liscia e non frastagliata. Nei tappeti troviamo disegni diagonali e geometrici oppure motivi floreali stilizzati che vanno da colori tenui, come il beige e il panna, a tonalità più accese, come rosso, blu, nero e giallo. Anche le tende, i cuscini e i copriletti mantengono queste caratteristiche, ma si impreziosiscono con fiori dai contorni più evidenti, con foglie, gigli, rosoni stilizzati e decori di tipo animale, perlopiù cervi e uccelli. Proprio per dare risalto all’arte tessile di Samugheo, le opere di oltre sessanta artigiani vengono esposte nella mostra “Tessingiu” che si svolge tra luglio e settembre e che quest’anno è arrivata alla sua 51esima edizione.
Foto Marco Loi
Foto Elisabetta Loi
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Arte della Panificazione. Quando si parla di Samugheo, non si può fare a meno di pensare al pane fatto in casa. Ne esistono numerose varietà, tutte preparate, fatte lievitare e cotte secondo antiche ricette tradizionali. C’è sa farrighingiada, una pagnotta lunga con un foro ovale al centro; su tzichi, un pane che viene intagliato e decorato con uova per Pasqua o con fiori e uccelli di pasta per feste importanti o matrimoni; coccoi’edra, che viene preparato quando si ammazza il maiale. Al pane tzichi è dedicata la sagra che si svolge a fine settembre di ogni anno, l’occasione ideale per sentire le strade del paese completamente pervase dall’inebriante profumo di pane appena sfornato. Tradizione Vinicola. Gli abitanti di Samugheo, che
sono attivi, ambiziosi e intraprendenti, sono riusciti inoltre a dare un notevole sviluppo moderno a tutte le attività economiche, con una particolare attenzione alla produzione di vini. Da qualche anno, infatti, sono stati recuperati alcuni vitigni autoctoni che producono uve dal profumo e dal gusto intensi e avvolgenti, lavorate con tecniche che non ne alterano le proprietà naturali e organolettiche. Nel 2011 questa importante ripresa nel campo vinicolo è stata suggellata con la creazione di un vino davvero speciale, frutto della sapiente miscelazione di uve provenienti da quindici diversi vigneti della zona (Cannonau, Bovale e Monica) battezzato Samak, in onore del presunto nome originario fenicio del paese di Samugheo.
Il Carnevale (A Maimone). Il fascino maggiore viene assunto da Samugheo in un periodo in particolare dell’anno, quando cioè i riti pagani prendono il sopravvento, quando i balli e il frastuono dei campanacci rendono tutti euforici. Le maschere si ispirano agli ambienti agropastorali, oltre che religiosi e il rito è incentrato su una processione di danze disordinate e coinvolgenti. Sos Mamutzones, personaggi che nascondono le sembianze umane sotto strati di pelli di capra e volti ricoperti di fuliggine, procedono a sbalzi, facendo rintronare sas campaneddas e sos trinitos del loro costume e inscenando le lotte tipiche degli animali in amore. In questo fragore di balli e sonagli, procedono S’Urtzu, la vittima della rappresentazione, e
S’Omadore, la figura del pastore. S’Urtzu è coperto di pelli caprine nere, arranca e cade continuamente mentre s’Omadore lo percuote e lo pungola. Grazie a una vescica piena di sangue e acqua che s’Urtzu nasconde sotto le vesti, la scena delle percosse da parte di s’Omadore è realistica e spettacolare. E poi c’è Santu Minchilleo, la figura dell’ubriacone che schernisce tutti e viene venerato con canti fantasiosi e salmi da is fiudas, le vedove e le anziane. Non bisogna dimenticare, però, che il rito de sos Mamutzones è anche un rito propiziatorio antichissimo della pioggia, dei raccolti abbondanti e dell’opulenza del paese. Perché, si sa, la Sardegna è la regione italiana che riesce a miscelare meglio il sacro e il profano.
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PALMA DE SOLS MAURO PALMAS E IL MONDO NELLA MUSICA DELLA SARDEGNA
di DIEGO BONO
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a Sardegna, isola millenaria abbracciata dal Mediterraneo, vanta un glorioso passato di crocevia tra popoli, un gioiello ancestrale le cui coste sono state patria di infiniti incontri e dominazioni che sotto il suo nobile mare si sono succedute nel tempo, influenzando culturalmente la civiltà del luogo, la vita, e il destino, dando vita a nuove emozioni. Mauro Palmas è un compositore, polistrumentista e mandolista cagliaritano classe 1956, e ad oggi una
delle menti creative più importanti e interessanti della nostra regione. Affascinato da sempre dalla cultura musicale popolare, è a quest’ultima che il musicista ha rivolto con passione buona parte della propria carriera, sin dagli esordi giovanili nel gruppo “Nuova Generazione”, interessandosi successivamente ai suoni e ai ritmi sardi e mediterranei. Ma l’estro artistico di Palmas è incontenibile, ed è così che la sua musica diventa colonna sonora di numerose produzioni teatrali e cinematografiche di rilievo che lo porteranno a collaborare con esperti
dal calibro di Roberto Olla per il film Rai “Nel paese di Eleonora”, con Paolo Fresu per il documentario di Gianfranco Cabiddu “Sonos de memoria” e con Antonio Placer per la piece teatrale “Pan de Harapo”, oltre a calcare i palchi di tutta Italia a fianco di importanti personalità come Noa, Max Gazzè, Lester Bowie e Andrea Parodi. Quarant’anni di ineguagliabile professionalità caratterizzati da una produzione senza pari; album dalle sonorità ricercate e suggestive come Il colore del maestrale, Sonos e Cainà, oltre a svariati brani singoli, espongono con maestria la
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Marocco e Algeria, divenendo più di tutti simbolo di mondi e culture che si incrociano. Per comprendere meglio questo lavoro tanto “antico”, quanto metaforicamente moderno, abbiamo posto qualche domanda proprio a Mauro Palmas.
caratterizzazione musicale dell’autore, coronati, infine, con la sua più recente opera: Palma De Sols (per l’etichetta Squilibri Records). Nato grazie all’ausilio del crowfounding (una raccolta di fondi in cui è il pubblico stesso a finanziare l’opera dando la propria fiducia all’artista cagliaritano), l’ultimo prodotto di Mauro Palmas ha riscosso un’immediata aspettativa negli appassionati, raggiungendo l’obiettivo previsto nel giro di pochi mesi, permettendo agli ascoltatori, attraverso le dieci tracce presenti, di lasciarsi trasportare tra le carismatiche note. Decisivo è stato il contributo di importanti artisti come Simonetta Soro, la cui voce ci racconta “Gozos San Antìogo” (unico brano cantato) o Francesco Medda (in arte Arrogalla) che permea di elettronica “Cielo di Levante”, ma anche degli strumenti più evocativi, come in “Valzer degli increduli”, in cui veniamo rapiti dal setar e dal nej di Pejman Tadayon e dal liuto cantabile dello stesso Palmas, che permettono di immergerci con abilità nella narrazione. Ci vengono raccontate le vicissitudini di musicisti e marinai lontani dalla propria casa, le avventure degli uomini che da ogni parte del mondo hanno dominato le feroci correnti mediterranee per raggiungere la nostra terra, innamorandosene e facendola propria, la malinconia di chi ha scommesso tutto nel viaggio, abbandonando le proprie radici, la propria storia, il proprio passato. Antoni, Adrìa, Mohamed e Juan Edmond Ravel il timoniere, sono i figli delle stelle e delle onde, che trovano però nuovamente l’allegria, la gioia di un nuovo inizio vivendo assieme la grande festa che celebra Sant’Antioco, patrono della Sardegna, santo martire la cui leggenda vede i suoi natali tra
Salve Mauro, per prima cosa, qual è l’idea che c’è dietro questo album? L’idea del progetto nasce durante la ricorrenza dei 400 anni dal ritrovamento delle reliquie di Sant’Antioco. Lo spunto è avvenuto durante la rassegna di “Mare e Miniere” di cui sono direttore artistico, in cui ho curato un concerto sacro nella Basilica dedicata, appunto, al Santo patrono della Sardegna. La forza di quel luogo è la storia e l’essenza stessa di quell’isola. Quelle immagini mi hanno dato lo stimolo per la realizzazione di “Palma de Sols”, che altro non è che il racconto di un sogno. “Palma de Sols”, un nome sicuramente evocativo, ma da dove deriva? Palma de Sols è l’antico nome che i catalani diedero all’Isola di Sant’Antioco: “Ile de Sols”, cioè “Isola di Sulki”, poi diventato “Sulcis”. Come è avvenuto il lavoro di produzione di questo splendido disco? È stato un lavoro particolare e impegnativo, registrato in giro per l’Italia, toccando Bergamo, Genova, Foligno, Firenze, Alghero, Cagliari, Roma nell’arco di più di un anno ed entrando in contatto con gli artisti più talentuosi. Ora, con la sua ultima opera, attraverso strumenti e voci, quale significato ha voluto manifestare? Amo raccontare storie con la musica, ma va detto che per me il lavoro diventa più facile quando ho immagini da descrivere. Così è stato per il disco “Cainà” la cui composizione seguiva le immagini di un film muto del 1922 girato in Sardegna, così pure per “Il colore del maestrale” dove ho cercato di descrivere le sensazioni date dalle immagini e dai colori che si riescono a trovare nella limpidezza dell’aria grazie al vento di maestrale. L’obiettivo è la narrazione, ma anche descrivere ciò che vedo e reputo importante: tutti i miei lavori hanno come comune denominatore il mare, il Mediterraneo, le genti diverse e le culture che si mischiano e si fondono nella musica, sempre con una accezione positiva.
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Quel viaggio attraverso l’Europa che, nel corso dell’Ottocento, i giovani intraprendevano per conoscere il mondo, lo proponiamo qui lungo il Bel Paese, alla scoperta delle nostre Regioni d’Italia.
VIAGGIO IN ITALIA
Piazza San Marco, il Ponte di Rialto e l’Arena di Verona a destra
di DANIELE DETTORI
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i addentriamo, questo mese, in una Regione tra le più suggestive dello stivale italico. Siamo, in realtà, nella zona di congiunzione tra la penisola e il continente ed è, forse, proprio questa caratteristica di “terra di mezzo” a conferire al Veneto tutto il suo fascino secolare, a cavallo tra le atmosfere storiche delle grandi città europee e uno sviluppo a misura d’uomo tipicamente nostrano. Una Regione dove, come vedremo, anche il romanticismo ha saputo lasciare segni indelebili. Amore, impossibile a definirsi. Con questo aforisma di Giacomo Casanova, qui nato e cresciuto, entriamo nella città veneta simbolo per antonomasia degli innamorati e dell’aspetto romantico dell’esistenza: Venezia. Dondolare sulle gondole cullati dal
lento sciabordio dei canali o, meglio ancora, passeggiare tra le strette calli sulla terraferma, contribuisce a riportare il visitatore indietro nel tempo tanto che, alla sera, può davvero sembrare di scorgere il profilo del famoso seduttore muoversi circospetto tra gli edifici antichi, diretto verso l’alloggio di una delle sue innumerevoli conquiste, fra intrighi politici e mondanità di corte. Volgendo lo sguardo al cielo si può ammirare la sagoma del campanile di Piazza San Marco, ricostruito esattamente “Come era, dove era” (celebre motto dell’epoca) dopo il crollo del 1902. La piazza, unica a godere di questo appellativo in città che la differenzia dai cosiddetti “campi”, ospita anche la Basilica di San Marco, la bellissima Cattedrale dall’architettura e dalle decorazioni di forte richiamo orientale, costruita a più riprese a partire da pri-
VENETO ma dell’anno Mille. Sempre qui è possibile visitare il Palazzo Ducale, l’antica sede del Doge e oggi rinomato museo. Impossibile, inoltre, lasciare la città senza prima aver fatto un giro sul Canal Grande a bordo dell’economicissima gondola-traghetto: vi permetterà di attraversare Venezia, da un capo all’altro, in un tour indimenticabile. Ama, ama follemente, ama più che puoi e se ti dicono che è peccato ama il tuo peccato e sarai innocente. Questa volta è William Shakespeare ad accompagnarci per le vie di Verona, dove la sfortunata storia d’amore tra Giulietta e Romeo ha superato i confini della sua scrittura per diventare meta di pellegrinaggio turistico. In via Cappello, al numero 23, è infatti possibile visitare la casa dei Capuleti (famiglia alla quale il famoso scrittore fece appartenere la ragazza) con annessa statua
di Giulietta, cui toccare il seno come simbolo di buon auspicio. La casa dei Montecchi (leggi Romeo) si trova invece in via della Arche Scaligere. E, naturalmente, già che siete a Verona approfittate per fare un salto alla famosa Arena: simile al Colosseo, anche questo anfiteatro di origine romana ha ospitato lotte fra gladiatori e spettacoli di vario genere. L’Arena fa da sfondo, ancora oggi, a eventi di spessore internazionale. Nel lungo peregrinare tra le bellezze del Veneto può capitare di avere appetito. Potrete così gustare alcune specialità locali come i risi e bisi, risotto con piselli rosolati insieme con pancetta e cipolla; oppure il fegato alla veneziana, anch’esso condito con cipolle, olio di oliva e talvolta polenta bianca. In questo periodo, poi, le frìtole rappresentano il dolce per eccellenza.
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Scott Bamforth
LA DINAMO SASSARI
HA RIACCESO LA LUCE I BIANCOBLÙ MIGLIORANO E SEMBRANO ESSERSI RITROVATI di ERIKA GALLIZZI Foto LUIGI CANU
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piraglio di luce in casa Dinamo Banco di Sardegna Sassari. Dopo un novembre da incubo, sembra che la squadra allenata da coach Vincenzo Esposito si stia ritrovando. La classifica del campionato non è ancora così positiva, ma per come si è vista la squadra nel recente passato è ora il caso di tenere i piedi per terra ed apprezzare anche i più minimi passi avanti. Un gruppo che ha sicuramente talento e potenziale, ma probabilmente non troppo facile da assemblare, con qualche giocatore un pelino troppo individualista (Terran Petteway) e, ad esempio, Jaime Smith che ha pagato a carissimo prezzo il lungo stop per infortunio che, di fatto, non gli ha permesso di svolgere la preparazione precampionato. E se Smith sta, comunque, migliorando insieme alla squadra e insieme ad uno Scott Bamforth che sta fornendo prove davvero sontuose, Petteway sembra in un periodo personale piuttosto opaco. In tutto questo, la Dinamo ha “rischiato” di sottrarre a Milano la propria imbattibilità stagionale, andando davvero ad un soffio da una vittoria straordinaria, dopo la disputa di un tempo supplementare ed al termine di una gara davvero bella e coinvolgente. Ecco, i progressi della squadra sassarese si possono tranquillamente “riassumere” e caratterizzare con quella prestazione e nella voglia di
non mollare mai mostrata nell’occasione, e che era stata un marchio di fabbrica nel precampionato. Si era parlato di mercato, con la società biancoblù che sembrava pronta ad operare qualche correttivo in corsa. L’indiziato numero uno al taglio era Dyshawn Pierre che, però, quando ha avuto un po’ di fiducia da coach Esposito, non ha certo sfigurato. Sostanzialmente, non pare proprio il caso di rinunciare proprio a lui. E, udite udite, come sostituto si era fatto il nome di Rakim Sanders, nonostante il suo precedente “flirt” con la Dinamo, culminato con il “triplete”, si diceva non si fosse chiuso benissimo, per via di qualche “pretesa” avanzata dello stesso atleta durante l’estate successiva a quel campionato, per un infortunio ad una mano che lui disse di essersi procurato nei playoff. Però attenzione, non è più il Sanders ammirato in maglia Dinamo dai sassaresi. Ad ogni modo, per il momento, tutto tace. Andando a guardare un po’ di statistiche, si nota che, fino a questo momento, la Dinamo è seconda solo a Milano per media punti segnati (85.9, ma ne subisce 84.2), è la squadra che arpiona più rimbalzi totali (43.3 a partita) ed è, ancora una volta, “dietro” Milano nella percentuale ai tiri liberi (76%). Il suo “re” delle marcature è Scott Bamforth, terzo miglior cecchino del campionato con 19.3 punti di media. I passi avanti, però, passano per un miglioramento dei numeri della difesa.
#cinguettii tecnologici a cura di Nikolas Pitzolu
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Justin Johnson
LA HERTZ CAGLIARI SA ANCORA VINCERE
DOPO OTTO SCONFITTE DI FILA, LA SQUADRA APPARE IN NETTO MIGLIORAMENTO di ERIKA GALLIZZI foto ROBERTO TRONCI
H
a finalmente, in parte, ripreso a sorridere la Hertz Cagliari Dinamo Academy nella Serie A2 di basket. Dopo otto lunghe giornate di sconfitte e classifica ferma, la squadra allenata da coach Alessandro Iacozza ha ritrovato i due punti il 16 dicembre. In trasferta, sul campo della Bakery Piacenza. Già da qualche giornata, in effetti, la formazione rossoblù aveva evidenziato dei progressi, soprattutto per quanto
riguarda la tenuta mentale ed un atteggiamento più positivo in campo. Non era ancora arrivata la vittoria, ma ci si era andati vicini. Che il problema fosse coach Riccardo Paolini, che magari non andava a genio al gruppo? O la reazione pressoché immediata, in seguito al suo esonero, è solo normale conseguenza, un sussulto di orgoglio della squadra dopo la “scossa”? Proprio sul parquet della Bakery ha fatto il proprio esordio, in maglia cagliaritana, l’ala georgiana, di formazione italiana, Giga Janelidze, arrivata, con la formula
del prestito, dalla Pallacanestro Trieste. Janelidze è, dunque, il rinforzo che la società rossoblù ha ritenuto di proporre a coach Iacozza, per cercare di raddrizzare una stagione deficitaria e deludente. Classe ’95, forza fisica e solidità sotto le plance, l’atleta sa farsi valere in fase difensiva così come a rimbalzo. La sua “prima” ha portato nel bottino dell’Academy 9 punti, 7 rimbalzi e un buon 16 di valutazione, insieme a un po’ di… fortuna. Contestualmente all’arrivo di Janelidze, c’è stata, come già si vociferava, la partenza di Michele Ebeling, che ha rescisso anche il contratto con “casa madre”, la Dinamo Sassari, e si è trasferito a Cento, avversaria della Hertz nel girone Est della Serie A2. Il cammino di Cagliari verso la salvezza è ancora lunghissimo e ricco di insidie, ma probabilmente ora sarà un po’ più agevole, per la squadra, credere nelle proprie capacità. Una cosa è certa, la Hertz ha dimostrato a se stessa che sa ancora vincere e questo non può che essere positivo per affrontare meglio possibile le difficoltà. C’è da recuperare terreno, ma la parte bassa della classifica è abbastanza corta, con la quota salvezza, attualmente, non troppo lontana. Ancora più di metà stagione a disposizione di coach Iacozza e dei suoi giocatori, per posizionare al meglio il “mirino” su quello che era, è e resta l’obiettivo stagionale: la permanenza nella serie cadetta. Nell’ultimo periodo, inoltre, insieme alla crescita della squadra, è stata piuttosto evidente anche quella di alcuni singoli, come Justin Johnson e Roberto Rullo, soprattutto in fatto di efficacia e precisione. Johnson risulta il quinto miglior rimbalzista del campionato, con 8.7 carambole a partita (terzo nei rimbalzi difensivi, con 6.5 a gara) ed il secondo marcatore cagliaritano, con una media di 17.1 punti per match, dietro Anthony Miles (21.2).
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Il dentista risponde
Il Dott. Giuseppe Massaiu è un professionista di riferimento e opinion leader in tema di Odontoiatria Naturale e Biologica, insegna in corsi frontali e on-line argomenti clinici ed extra-clinici legati al mondo della Odontoiatria e della Medicina Naturale, Posturale e Olistica oltre che del Management e del Marketing Odontoiatrico.
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Curiosità sul mondo odontoiatrico
Quali sono gli interventi più lunghi che si possono trovare dal dentista?
N
ella nostra società moderna odiamo aspettare. Siamo abituati ad avere tutto e subito, e ci irritiamo quando per ottenere un risultato, un servizio o un oggetto da noi desiderato, dobbiamo attendere a lungo. Prova a pensare a quando ordini con Amazon Prime, con cui puoi ricevere quasi ogni cosa in appena 24 ore! Ma anche i tempi di attesa in un ristorante ci hanno reso molto meno pazienti e hanno elevato, di solito, gli standard qualitativi di servizio di tanti locali nelle grandi e piccole città. Stessa regola psicologica riguarda ormai anche la salute, partendo
dal fatto che vogliamo avere una pillola per far sparire all’istante ogni sintomo, dal mal di testa alla più piccola irritazione intestinale causata, magari, semplicemente dall’aver mangiato troppo o male la sera prima. Se questo capita con i piccoli interventi domiciliari che possiamo gestire di persona, lo stesso servizio viene sempre più richiesto al professionista odontoiatra. Una delle domande che mi vengono rivolte più di frequente, infatti, è: “Dottore, ma quanto tempo ci vorrà?”. Vediamo di fare un po’ di chiarezza.
Non tutto può essere risolto in giornata o in un solo appuntamento. Se un’otturazione, ad esempio, per quanto complessa si può concludere in un lasso di tempo che va da poche decine di minuti a qualche ora, ci sono terapie come la gnatologia, l’ortopedia intercettiva, l’ortodonzia o l’implantologia che richiedono settimane, mesi o anni per portare a termine il giusto risultato. Attualmente sono diversi i modi con cui uno studio dentistico moderno può abbreviare in modo rilevante, grazie all’avanzamento tecnologico, il personale adeguato e i corretti protocolli, il corso delle cure. Facciamo qualche esempio. Avere un radiografico che esegue le panoramiche dentali all’interno della struttura evita di dover mandare il paziente all’esterno per eseguirle, aumentando i passaggi e gli appuntamenti necessari per effettuare un’anamnesi completa, accelerando i tempi diagnostici e fornendo rapidamente il piano di cure adeguato al bisogno del paziente. Le tempistiche si riducono anche grazie allo scanner intraorale digitale che, oltre che evitare i disagi dovuti
alle tradizionali impronte in silicone (che spesso causano nausea al paziente), permette di inviare all’istante ai laboratori esterni, per mail, la scansione super precisa della bocca, facendo risparmiare un grande tempo alla cura. Ancora, l’utilizzo di strumenti quale il CEREC, un fresatore anch’esso digitale che lavora sulle scansioni di cui abbiamo accennato prima, con il supporto di un odontotecnico interno (e qui si risparmia ancora sui tempi di invio ai laboratori esterni) riduce il tempo di creazione di manufatti protesici quali ponti e corone da settimane a perfino solo poche ore. Insomma, sono ormai sempre di più gli strumenti che permettono, all’interno di uno studio dentistico moderno, di fornire al paziente un servizio di alta qualità e al contempo riducono di molto i tempi di cura. È una splendida testimonianza dell’evoluzione della sensibilità della nostra professione nell’ottica di offrire il massimo benessere e comfort al paziente. Ogni mese il Dott. Massaiu risponderà ad uno di voi. Inviate le vostre curiosità all’email dott.massaiu@shmag.it. www.studiomassaiu.it
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