S&H Magazine n. 298 • Gennaio 2022

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di RAFFAELLA PIRAS

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bambini di ieri e i bambini di oggi, quante cose sono cambiate! I piccoli di oggi sono figli dell’era digitale, sempre più impegnati e assorbiti dallo sviluppo tecnologico e dall’innovazione. Computer, televisione e videogiochi scandiscono la maggior parte del loro tempo libero, complici anche la minor sicurezza delle strade e la presenza, sempre più ridotta, di spazi verdi e aree gioco nelle nostre città. Eppure, fino alla metà del secolo scorso, erano proprio loro ad animare le strade e i vicoli trascorrendo le giornate in modo semplice, con tanti giochi da fare in gruppo e all’aria aperta. I nostri ge­ nitori e i nostri nonni hanno sperimentato cosa fosse il vero divertimento, si ac­ contentavano di svolgere dei giochi sem­ plici con i bambini del vicinato, a pre­ scindere dall’estrazione sociale, rispettan­ do poche regole di base e sfruttando le proprie abilità fisiche e la fantasia. In Sardegna sono davvero tanti e vari i giochi con cui sono cresciute intere ge­ nerazioni. Il primo a tornare alla mente è sa murra, il gioco della morra, cono­ sciuto in tutta Italia ma considerato il gioco tradizionale della Sardegna. Si pra­ ticava in gruppi composti da due o quat­ tro persone. Durante le partite i due partecipanti dovevano distendere velo­ cemente le braccia e aprire i pugni delle mani per estrarre le dita, dopodiché do­ vevano gridare, velocemente e in modo ritmico, un numero superiore al numero delle dita che ciascuno mostrava per cercare di indovinare la somma dei nu­ meri proposti da entrambi. Il numero massimo della murra era 10. Se nessuno indovinava la sfida continuava, chi alla fine indovinava conquistava un punto, lasciava da parte l’avversario perdente e continuava il gioco con un altro com­ ponente del gruppo, e così si andava avanti fino a raggiungere il punteggio stabilito e vincere l’incontro. Pur essendo stata proibita dalla legge perché consi­ derata pericolosa, in realtà sa murra

Dal “pincaro” a “sa murra” Come si divertivano i bambini sardi di una volta

viene praticata ancora oggi in certe zone dell’Isola, soprattutto durante le sagre di paese. Un altro gioco, tra i preferiti dai bambini, era su pincareddu, o pincaro, la versione sarda del gioco della campana. Consisteva nel tracciare un percorso composto da una decina di caselle numerate in fila, a parte un paio di blocchi composti da due caselle affiancate, e all’interno si lanciava un sassolino. Si decideva, in genere con la conta, il giocatore che doveva iniziare per primo lanciando il sassolino all’interno della prima casella e saltando con un solo piede su tutte le altre caselle, poteva infatti appoggiare entrambi i piedi e recuperare l’equi­ librio solo dove c’erano le due caselle affiancate. Il giocatore doveva rag­ giungere la cima della campana, qui poteva girarsi e rifare il percorso a ritroso, sempre saltellando con un solo piede, fermarsi nella casella che precedeva quella dove aveva lanciato

il sasso, raccoglierlo mantenendo l’equi­ librio e terminare il percorso. Una volta che tutti i giocatori avevano effettuato almeno un giro, si ricominciava da capo con il primo giocatore che lanciava il sasso nella seconda casella, ovviamente qualora fosse riuscito a non perdere mai l’equilibrio o a non infrangere le re­ gole, e si continuava così fino a lanciare il contrassegno sempre più avanti nella numerazione. Vinceva chi riusciva a po­ sizionare per primo la propria pietra su tutte le caselle, completando il percorso di andata e ritorno. Ovviamente senza commettere errori. ...CONTINUA SUL WEB INQUADRA IL CODICE QR CON IL TUO SMARTPHONE PER CONTINUARE A LEGGERE L'ARTICOLO


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S&H MAGAZINE Anno XXVII - N. 298 / GEN 2022 EDIZIONE CAGLIARI+SASSARI

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Direttore Responsabile MARCO CAU

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Ufficio Grafico GIUSEPPINA MEDDE Hanno collaborato a questo numero: HELEL FIORI, GIUSEPPE MASSAIU, ERICA LUCIA NOLI, DANIELA PIRAS, RAFFAELLA PIRAS, MASSIMO VERONI

Redazione Sassari, Via Oriani, 5/a - tel. 079.267.50.50 Cagliari, tel. 393.81.38.38.2 mail: redazione@shmag.it

esse&acca 03 Dal “pincaro” a “sa murra”

Un’infanzia di gioia e semplicità, come si divertivano i bambini sardi di una volta

05 Rivoluzione Rider

Come cambierà il mondo dei lavoratori delle piattaforme di food delivery

06 “S’Abba Frisca”

A Dorgali il più grande Parco Museo Etnografico della Sardegna

08 Sassari con la testa in su La città vista con gli occhi della catalana Carmen Pórtera

10 Zoe Pia

I guerrieri Shardana parlano attraverso la musica della jazzista di Mogoro

12 KitMe

Il dispositivo della start-up sarda IntendiMe migliora la vita quotidiana delle persone sorde

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Editore ESSEACCA S.r.l.s., Via Oriani, 5/a - Sassari Per la pubblicità: tel. 335.722.60.54

Stampa Tipografia Gallizzi S.r.l. - Sassari

13 Alla scoperta di Tonara

La tradizione del torrone sardo, il prodotto artigianale che più di tutti l’ha resa celebre

14 SMART STORIES

Social & Web

@sehmagazine @sehmagazine @sehmagazine S&H Magazine

$ www.shmag.it telegram.me/sehmagazine issuu.com/esseacca Registro Stampa: Tribunale di Sassari n. 324/96. ROC: 28798. © 2022. Tutti i diritti sono riservati. È vietato riprodurre disegni, foto e testi parzialmente e totalmente contenuti in questo numero del giornale.

in Copertina ZOE PIA

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Foto Roberto Cifarelli


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RIDER

COME CAMBIERÀ IL MONDO DEI LAVORATORI DELLE PIATTAFORME DI FOOD DELIVERY

di ERICA LUCIA NOLI

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empre di corsa da una parte al­ l’altra della città, con la bici o il motorino, sotto la pioggia, sotto il sole cocente o contro vento, perché questo è l’unico modo per guadagnare qualcosa in più. Per loro nessuna diffe­ renza tra weekend, giorni festivi, orari notturni o tutto ciò che un lavoratore dipendente ha, perché fanno parte della categoria dei lavoratori “autonomi”, nonostante non siano loro a concordare il compenso e neanche a decidere le condizioni di lavoro.

Si tratta dei cosiddetti rider, ragazzi gio­ vani ma anche adulti sulla cinquantina

che trasformano gli ordini di cibo che facciamo su internet in una consegna a domicilio. Ricordano un po’ i fattorini che ci hanno sempre portato le pizze ordinate per telefono ma la situazione è differente: un rider infatti non ha sempre lo stesso ristorante di riferimento ma va “dove lo porta l’ordine”. Il datore di lavoro non è dunque un esercizio com­ merciale in particolare, ma una piatta­ forma digitale di food delivery, cioè di consegna di cibo a domicilio. Alcuni nomi sono, ad esempio, Glovo, Deli­ veroo, Just Eat, Uber Eats: piattaforme che riescono a garantire consegne in tempi brevi grazie a un esercito di rider che lavora per loro. Per operare come rider è necessario avere un

mezzo proprio, come una bicicletta o uno scooter, ed essere dotati di uno smartphone perché tutto è gestito tra­ mite app. Ma qual è l’identikit del rider italiano? Secondo i dati raccolti dalla Fondazione Rodolfo De Bendetti, la mag­ gior parte di questi lavoratori sono uomini (54%). Il 58% appartiene alla fascia d’età compresa tra i 30 e 49 anni e ben il 42% ha una formazione universitaria (laurea triennale, magistrale o master). Il 28% fa il rider per arrotondare come secondo lavoro, mentre il 26% perché mancano altre opportunità lavorative. Tante sono state negli ultimi anni le ma­ nifestazioni di protesta dei rider per i propri diritti e qualcosa finalmente sem­ bra muoversi: la Commissione Ue ha presentato a Bruxelles le nuove regole a tutela dei lavoratori delle piattaforme digitali. Si tratta del “Pacchetto lavoro”, pensato da Nicolas Schmit, Commissario europeo per l’Occupazione, gli Affari Sociali e l’Integrazione. La proposta pre­ vede una serie di criteri per determinare se una piattaforma può essere parago­ nata a un vero e proprio datore di lavoro e per stabilire il giusto statuto dei lavo­ ratori, dando la possibilità a quelli non inquadrati correttamente di essere ri­ conosciuti come dipendenti e poter be­ neficiare di tutti i diritti che derivano da tale riclassificazione, come il salario mi­ nimo (dove previsto), le ferie retribuite, gli orario di lavoro, la tutela della salute, un migliore accesso alla protezione contro gli infortuni sul lavoro, la disoc­ cupazione e i contributi pensionistici. ...CONTINUA SUL WEB INQUADRA IL CODICE QR CON IL TUO SMARTPHONE PER CONTINUARE A LEGGERE L'ARTICOLO

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“S’ABBA FRISCA”

A DORGALI IL PIÙ GRANDE PARCO MUSEO ETNOGRAFICO DELLA SARDEGNA di RAFFAELLA PIRAS

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ella provincia di Nuoro, a Dor­ gali, comune incastonato tra il mare cristallino del Golfo di Orosei e le montagne del Supramonte, simbolo dell’artigianato e del turismo della Barbagia, esiste un luogo im­ merso nella natura e intriso di storia e cultura. Precisamente nella vallata di Littu, è possibile visitare, infatti, una delle principali attrazioni di questa zona, il più grande Parco Museo Etno­ grafico della Sardegna e uno dei musei etno­naturalistici più importanti d’Ita­ lia, “S’Abba Frisca”. Il parco, che si estende per tre ettari, prende il nome proprio dalla sorgente

di S’Abba Frisca, una sorgente di acqua fresca che si trova al suo interno e che alimenta cascate, fontane, zampilli e un laghetto presenti, ed è nato da una vecchia azienda agricola di proprietà della famiglia Secci, tramandata di ge­ nerazione in generazione. È stato l’attuale proprietario, Portolu Secci, con la collaborazione della sua famiglia, ad aver avuto l’idea di trasfor­ mare in un parco museo l’azienda agri­ cola appartenuta dapprima a suo nonno, che gli diede il nome, e poi a suo padre. Un lavoro lungo quaran­ t’anni quello di Portolu, durante i quali è riuscito farla rivivere, ampliarla e va­ lorizzarla, inaugurando S’Abba Frisca nel 2005.

Grazie all’impresa di movimento terra della famiglia Secci è stato realizzato un itinerario di 350 metri con cui si apre S’Abba Frisca, un vero percorso naturalistico composto non solo dalle sorgenti già presenti, ma anche da siepi, alberi secolari e soprattutto dalla macchia mediterranea con oltre 400 specie da ammirare, composte da piante officinali per la cura di diverse malattie, piante tintorie per la colora­ zione dei tessuti, piante aromatiche, ma anche cortecce e bacche ricche di proprietà benefiche. Oltre alla flora, anche la fauna è ricca, grazie alle di­ verse specie animali che popolano il parco, in particolare capre, cavalli, asi­ nelli, tra cui quelli bianchi dell’Asinara, il bardotto, un raro incrocio tra l’asina e il cavallo, e animali acquatici che vi­ vono nel laghetto come anatre, tarta­ rughe, gallinelle e germani reali. Trattandosi oltre che di un parco anche di un museo, all’interno di S’Abba Fri­ sca il percorso naturalistico si intreccia con il percorso etnografico, proprio per sottolineare il forte legame tra


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uomo e natura. Portolu Secci si è dedi­ cato infatti anche al recupero della me­ moria storica, facendo importanti interventi strutturali all’interno degli ambienti dell’azienda agricola e sal­ vando gli oggetti abbandonati, a cui se ne sono aggiunti tanti altri grazie alle donazioni. Un lavoro fondamentale grazie al quale, chi va a visitare questa attrazione turistica unica nel suo ge­ nere, ha come l’impressione di tornare indietro nel tempo potendo scoprire quella che era la cultura della civiltà barbaricina dal 1600 fino ai primi de­ cenni del Novecento, con ben 4500 re­ perti, dislocati in 15 ambienti museali e che rappresentano gli oggetti e i me­ stieri che hanno fatto la storia della Sardegna. Sono infatti presenti le scia­ bole dell’800, chiamate leppas de chittu, l’officina del fabbro, il frantoio in pietra a trazione animale per le olive, il vecchio torchio per il vino, il carro, l’aratro, la macchina per ferrare i buoi, l’antica mola asinaria, la cucina con il forno per preparare il tipico pane carasau, le bilance, i ferri da stiro, gli attrezzi con cui si svolgeva l’attività di sartoria e il capanno del pastore, su cuile, risalente anch’esso all’Ottocento. La struttura, che continua a conservare le caratteristiche originarie di un’azienda agricola, è gestita dalla So­ cietà Cooperativa “Parco Museo S’Abba Frisca” che organizza incontri per le scuole grazie alla fattoria didat­ tica, con laboratori e dimostrazioni delle arti e dei mestieri antichi, e visite guidate, d’estate tutti i giorni e d’in­ verno su prenotazione, per tutti coloro che desiderano vivere un’esperienza indimenticabile, a contatto con la na­ tura e con dei modi di vivere di cui si era ormai persa la memoria. La Regione Sardegna, nel 2018, ha ri­ conosciuto S’Abba Frisca come il

museo etnografico e naturalistico più completo dell’Isola, ed è stato il primo museo privato ad essere inserito nel­ l’albo regionale degli istituti e dei luo­ ghi della cultura. Dopo i riconoscimenti a livello regio­ nale, per questo gioiello di Dorgali sono arrivati quelli a livello nazionale. La Cooperativa S’Abba Frisca si è aggiu­ dicata, nel mese di novembre, il “Pre­ mio Bitac 2021”, l’annuale borsa del turismo cooperativo realizzata dal Set­ tore Turismo e Beni Culturali dell’Alle­ anza delle Cooperative Italiane che premia ogni anno il miglior progetto di turismo italiano cooperativo. Una presa d’atto importante, dunque, per tutto il lavoro svolto e le risorse impie­ gate dalla famiglia Secci, una scom­ messa che si è rivelata vincente. “Ci rende tanto orgogliosi, non solo per la nostra realtà, S’Abba Frisca, ma per tutto il territorio di Dorgali che ab‐ biamo portato ai vertici di un premio in cui si confrontavano le migliori realtà turistiche della penisola”, ha affermato Gianluca Secci, uno dei figli del pro­ prietario, ai microfoni di Videolina. “C’era tanto scetticismo, sia da parte degli amici che da parte della gente che ci voleva bene, ­ ha raccontato, sempre a Videolina, Portolu Secci ­ però vedevo una vetrina in questo ter‐ ritorio, il materiale risultava molto in‐ teressante e questo mi ha portato ad investire in cultura, cosa strana in que‐ sti posti. Quasi tutti dicono che la cul‐ tura non paga, paga invece quando le cose sono ben fatte e il risultato è stato, infatti, che S’Abba Frisca ha preso un premio a livello nazionale, questo ci ha rincuorato”. Per avere informazioni su visite gui­ date e prenotazioni consultare il sito sabbafrisca.com.


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di DANIELA PIRAS

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i Sassari si parla spesso: lo fanno i sassaresi, per ricordare con pathos tempi passati e cri­ ticare – con molto meno pathos – l’operato della politica attuale. Lo ha fatto, in maniera più costruttiva, anche Carmen Pórtera, storica dell’arte e guida turistica catalana, che nella citta­ dina turritana è approdata nel 2010. “Sassari è una bellissima città, ha scorci meravigliosi e un centro storico dall’indiscutibile fascino”, pensa Car­ men e, da questa convinzione, nasce l’idea, nel 2013, di lavorare a una guida turistica su Sassari e il suo terri­ torio comunale. Nasce così “Sassari con la testa in su” (edizioni StreetLib, 2020), un manuale di oltre 300 pagine che racchiude storia, tradizioni e mo­ numenti di una città da scoprire e ap­ prezzare. Il libro è stato presentato lo scorso 3 di­ cembre nel salotto delle Messaggerie Sarde; l’incontro è stato moderato da Eugenio Cossu. È stata l’occasione per discutere su temi riguardanti Sassari e i sassaresi di ieri e di oggi, dove un pub­ blico estremamente partecipe non si è limitato ad assistere ma si è reso copro­ tagonista di un dibattito/confronto sulle tante questioni aperte nella ge­ stione della città e sui sentimenti con­ trastanti che dimorano in chi la vive quotidianamente. L’ironia di Eugenio Cossu si è ben sposata con la simpatia di Carmen Pórtera, creando un’atmo­ sfera piacevole e molto familiare. Ab­ biamo fatto qualche domanda all’autrice, che ci ha spiegato l’origine e lo scopo di questa sua guida. Carmen, come è nata l’idea di scrivere una guida sulla città di Sassari? Posso dire che, la prima cosa che ho fatto quando sono arrivata a Sassari, è stata quella di passeggiare: mi sono persa nelle strade di questa città. Al­ l’epoca, gli amici sassaresi che fre­

“Sassari con la testa in su” La città vista con gli occhi della catalana Carmen Pórtera, felicemente trapiantata nel regno della Cionfra

quentavo, si lamentavano spesso, di­ cendo che Sassari era una città brutta, che non aveva niente da offrire. Io in­ vece vedevo interessanti scorci, piaz­ zette, palazzi. Non mi sembrava ci fosse niente da sfregiare (nota: Car­ men utilizza un’espressione derivante dallo spagnolo o dal catalano, inten­

dendo “da denigrare”. Sfregiare, nono­ stante in italiano abbia un significato diverso, suona comunque adeguato per via dell’assonanza con “sfregio”). Girando per le librerie, e cercando qualche libro che parlasse di Sassari, mi sono accorta che non c’era assolu­ tamente niente.


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La Cattedrale di San Nicola (a sinistra), Piazza d'Italia e la Fontana di Rosello

La cosa più particolare che hai sco­ perto durante le tue passeggiate? Ho scoperto un punto, un incrocio che mi piace moltissimo, soprattutto in pri­ mavera: si trova tra il Comune e il Duomo di San Nicola, dove c’è il cam­ panile e, a fianco, una casa con delle arcate e un’intera parete ricoperta da Bougainvillea. Passeggiando per le vie, ho scoperto una maschera sarda, però era una finestra! Questo in via Capo d'Oro. Sono i piccoli dettagli ad attirare la mia attenzione. Il centro storico è la parte che preferisco, dove vivo attual­ mente, insieme a quella del Liberty (quartiere di Cappuccini).

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Volendo conoscere meglio la città, ho quindi visitato più monumenti possi­ bili, anche in particolari eventi dove venivano mostrati al pubblico palazzi solitamente chiusi; ho raccolto così di­ verse informazioni che mi sono servite per costruire il libro. Ho aggiunto una sezione riguardante le edicole votive che costituiscono un arredamento ur­ bano, questo per parlare non solo dell’arte maggiore, ma anche delle arti minori che fanno parte del patrimonio culturale della città. Come hai scelto gli argomenti e impo­ stato il manuale? Ho cominciato a raccogliere volantini e dépliant in giro per la città, ho consul­ tato guide turistiche della Sardegna, notando che a Sassari era dedicato uno spazio limitato, di un paio di pa­ gine. Ammirando che c’era tanto patri­ monio, sono andata in biblioteca per informarmi, per leggere, ci sono stati amici che mi hanno prestato dei libri, altri li ho comprati… ecco: da tutto questo materiale è nato il libro. Qual era lo scopo di questa pubblica­ zione? L’intento era quello di far riscoprire lo spirito sassarese, l’amore per questa città, non soltanto ai suoi abitanti ma anche a chi viene da fuori. A volte mi sono sentita chiedere “Ma dov’è Sas­ sari?”, questo da un italiano! È un libro per tutti, per chi abita a Sassari e per i turisti, ha un duplice scopo.


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Foto Roberto Cifarelli

“Le launeddas sono lo strumento polifonico più antico del Mediterraneo ed è uno strumento completo: ha un bordone che si suona con la respirazione continua e due canne con cui si fa proprio un’orchestra vera; Zoe Pia è bravissima perché è riuscita a riportare su una strumentazione contemporanea la rielaborazione delle nodas (le frasi delle launeddas) che spesso sono anche improvvisate, quindi c’è un rapporto anche col jazz.” di HELEL FIORI

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arlava così nel 2019 Paolo Fresu riferendosi al brano “Shardana” appena ascoltato nello studio di Nessun Dorma, trasmissione musicale di Rai5 condotta da Massimo Bernar­ dini dove erano entrambi ospiti. Zoe Pia, musicista compositrice di Mo­ goro, continua, infatti, ad affermarsi nel panorama jazz grazie al suo album Shardana (2016, Caligola Records, Ro­ berto De Nittis pianoforte e tastiere, Glauco Benedetti basso tuba, Seba­ stian Mannutza batteria e violino) in cui grazie alla tecnica del sound recor­ ding affianca suoni ambientali tradizio­ nali al linguaggio jazz, messo a sua volta al servizio di sonorità tradizionali rinnovate nel fraseggio e nella tim­ brica. L’utilizzo delle launeddas in chiave contemporanea amplia le po­ tenzialità dello strumento aprendo nuovi scenari (visione lodata dagli spe­ rimentatori, probabilmente meno gra­ dita a chi abbraccia un approccio purista alla tradizione) e le permette di collaborare anche con artisti lontani dalle sonorità dell’Isola, come la com­ positrice pianista messinese Cettina Donato con le musiche del disco “I Si­ ciliani” (realizzato in coppia con l’at­

tore regista Ninni Bruschetta che recita Antonio Caldarella) insieme alla quale porta avanti un dialogo musicale tra le due isole, presentato per il momento solo dal vivo dove le composizioni dell’una rispondono alle composizioni dell’altra. Con la svedese Fire! Orchestra – nata nel 2013 con l’idea di aprirsi a musici­ sti esterni per esplorare jazz, rock psi­ chedelico, musica contemporanea – Zoe Pia ha appena vissuto la pregnante esperienza di residenza artistica pro­ mossa dall’Università di Padova e con­ seguenti concerti (Forlì e Padova, entrambi sold out, sintomo che la spe­ rimentazione non è solo per pochi vi­ sionari) che hanno rinvigorito la sua spinta innovativa e chissà, forse anche


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d’animo. Nei sardi questa forza la vedo ovunque, un tratto distintivo che ci dif‐ ferenzia dagli altri. Certo magari è una suggestione, d’altronde quando ci si in‐ contra all’estero siamo tutti subito fra‐ telli solo tra noi (ride), ma credo ci sia anche un fondo di verità”. Proprio allontanandosi dalla propria terra per studiare, Zoe è riuscita a ri­ scoprire l’importanza della cultura sarda e della sua tutela, dapprima at­ traverso la composizione, poi dal 2018 con l’ideazione e la direzione artistica del Pedras et Sonus – Jazz Festival che nel 2019 è entrato in collaborazione con il Time in Jazz di Paolo Fresu. Festival che nel 2020 ha donato alla musicista l’opportunità di mostrare al pubblico la propria visione di scambio e collaborazione tra arti e identità, por­ tando gli artigiani di Mogoro (intaglia­ tori, impagliatori, stilisti, tessitrici a telaio: Carlino e Alberto Mandis, Mae­ strodascia, Su Trobasciu, Alessandra Curreli, Andrea Casciu, e gli innesti nar­ rativi dell’archeologa Giulia Balzano del Museo dell’Ossidiana di Pau) a realiz­ zare le loro opere durante l’esibizione di diversi musicisti (Njamy Sitson, Paolo Angeli, Francesco Piu, Francesca Corrias, la stessa Zoe con De Nittis, la Crazy Rambler Hot Orchestra, la Big River Marching Band e la Mogoro Mar­ ching Band). Coerentemente con questa impronta Zoe Pia ci rivela che il prossimo lavoro compositivo ancora una volta è ispi­ rato da un antico mito, legato con mi­ stero alla nostra Sardegna e forse destinato a restare tale: si ha quasi paura di sussurrarne il nome, e per for­ tuna, lei ce lo racconterà in musica: Atlantide, arriviamo!

Foto Andrea Verzola

riacceso la sua anima elettronica, già nutrita in passato grazie all’esperienza di sassofonista techno al fianco di fa­ mosi dj (per Campari Tour, Nastro Az­ zurro, Bvlgari) facendo suoi linguaggi differenti da quelli accademici studiati al Conservatorio, propri della musica house, techno, chill out, come per esempio la tecnica del fading: “Mi ha sempre affascinato questo incontro, come se fosse un dialogo tra due mondi in cui uno emerge e lascia spa‐ zio all’altro, un po’ come succede nel‐ l’inter play: si dialoga assieme, c’è la sovrapposizione, come nel free jazz, e poi uno emerge e lascia spazio all’altro. Nel brano Shardana ho inserito queste similitu‐ dini di rispetto reciproco tra mondi.” Il concetto di passare da un livello so­ noro all’altro è comunque ben pre­ sente in tutto l’album, dove per esempio le code di alcuni brani si al­ lungano sull’intro degli altri, o dove voci e suoni rubano la scena (dopo aver inciso le musiche, durante la cam­ pagna di registrazione ambientale l’au­ trice stessa non sapeva che suoni avrebbe introdotto nel disco, ritrovan­ dosi “guidata” a inserire le cose più forti di cui avesse memoria, come i Mamuthones, le campane della Chiesa di S. Bernardino di Mogoro, la proces­ sione per la Madonna di Cracaxia, Is Coggius di Pau). Le sonorità introdotte nell’album Shar­ dana sono comunque ben più recenti rispetto al mito guerriero dell’omo­ nimo popolo del mare, citato su una stele egizia del II secondo a.C. come “Šrdn” da Ramses II, che seppur dopo averli sconfitti ed arruolati nella pro­ pria guardia, ne parla così: I ribelli Sherdana che nessuno ha mai saputo come combattere, arrivarono dal cen­ tro del mare navi­ gando arditamente con le loro navi da guerra, nessuno è mai riuscito a resi­ stergli. Questa forza guer­ riera tenace e indo­ mabile, per Zoe Pia è l’elemento che lega i sardi di oggi agli Shardana di un tempo, quasi un’empirica prova di una reale discen­ denza: “Quello che caratterizza gli Shardana secondo me è la profondità


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“KITME”, IL DISPOSITIVO DELLA STARTUP SARDA INTENDIME CHE MIGLIORA LA VITA QUOTIDIANA DELLE PERSONE SORDE

di RAFFAELLA PIRAS

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na società senza barriere dove i deficit uditivi non rappresentino un ostacolo a tutte le esperienze di vita e gli obiettivi che le persone sorde, esattamente come tutte le altre, possano vivere e realizzare. È questo lo scopo di IntendiMe, il pro­ INQUADRA IL CODICE QR CON IL TUO SMARTPHONE PER CONTINUARE A LEGGERE L'ARTICOLO

getto presentato nel 2014 dagli studenti Alessandra Farris, Giorgia Ambu e An­ tonio Pinese al Contamination Lab del­ l’Università di Cagliari, un percorso in­ terdisciplinare che stimola gli studenti partecipanti a ideare progetti innovativi a vocazione imprenditoriale, e che li ha portati poi alla vittoria nel febbraio del 2015. Sempre nel 2015 ha abbracciato il progetto e si è unito al team anche Leonardo Buffetti, ingegnere elettronico sordo dalla nascita. “Insieme abbiamo deciso di lavorare per rispondere alle necessità che le persone sorde e con deficit uditivi han­ no di accorgersi dei suoni che le cir­ condano nella loro quotidianità, in modo

da ritrovare la propria indipendenza e sentirsi più sicuri in casa, in ufficio o in vacanza ­ racconta Alessandra Farris, co­fondatrice e presidente di IntendiMe ­. I miei genitori sono sordi fin dalla na­ scita e l’idea di essere di supporto a loro e a tutti coloro che hanno le stesse difficoltà uditive ci ha portato a sviluppare il nostro progetto che, da un semplice PowerPoint, si è trasformato dapprima in un business plan, poi in un primo prototipo a cui sono seguiti brevetto, realizzazione e messa sul mercato di “KitMe”, la nostra soluzione di punta”. “KitMe” è un sistema che è stato ideato per rilevare, tramite appositi sensori, qualsiasi suono all’interno di ambienti chiusi, trasmettendo immediatamente la notifica, con una vibrazione, ad uno smartwatch che l’utente tiene al polso, il tutto gestito con un’apposita applica­ zione. “Si può assegnare a ciascun sen­ sore un nome, scegliere il tipo e la durata della vibrazione, il colore e l’in­ tensità degli avvisi luminosi e l’icona da visualizzare ­ spiega ­. Inoltre, ciascun sensore può essere applicato diretta­ mente sulla sorgente sonora che si in­ tende rilevare, come campanelli, baby­ monitor, timer degli elettrodomestici, allarmi antincendio, porte e finestre. Ciascun sensore può inoltre fungere da cercapersone e lo smartwatch può ri­ cevere le notifiche anche da altri smar­ twatch IntendiMe collegati. Non si tratta di un semplice dispositivo, dunque, ma di un sistema”. Pur avendo attirato l’attenzione degli operatori del mondo sanitario, “KitMe” non è un presidio medico­chirurgico. “Al contrario di altre soluzioni si tratta di pura tecnologia al servizio delle per­ sone sorde ma che non le etichetta come persone dalle esigenze speciali” – precisa la presidente. ...CONTINUA SUL WEB

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Alla scoperta di Tonara e della tradizione del torrone sardo di RAFFAELLA PIRAS

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ra i tanti bellissimi borghi di cui è ricca la Sardegna, sia in prossi­ mità del mare che nell’entro­ terra, ne esiste uno più misterioso ed isolato, lontano dagli altri centri urbani e circondato da montagne, boschi e cascate. Proprio nel cuore della Barba­ gia, infatti, a quasi mille metri di altitu­ dine, si erge, con un paesaggio quasi fiabesco e poco meno di duemila abi­ tanti, il grazioso borgo di Tonara, in provincia di Nuoro. La storia di Tonara ha origini antichis­ sime, come testimoniato dalla pre­ senza di numerosi siti che rivestono una grande importanza dal punto di vista storico e archeologico. Addirit­ tura, all’epoca prenuragica risalgono infatti la Domus de Janas di Is Forred­ dos, un sepolcro scavato nella roccia e formato da tre ambienti comunicanti tra loro, e la grotta funeraria di Pitzu e’

Toni scavata invece nel calcare e dove sono stati rinvenuti i reperti più antichi del territorio. Nella formazione roc­ ciosa di Su Nuratze sono poi ancora osservabili le tracce di un villaggio nu­ ragico e degli insediamenti antichis­ simi di Idda Intr’Errios, Tracullau, Trocheri e Gonnalè, probabilmente i primi costruiti dall’uomo in quel luogo. Ma è durante il Medioevo che avviene la nascita di Tonara, come risulta dal primo documento ufficiale che vi fa ri­ ferimento, l’atto di pace del 1388 tra il re Giovanni II d’Aragona e la giudicessa Eleonora d’Arborea. Tracce risalenti proprio all’epoca medievale, oltre che al Rinascimento, sono ancora pre­ senti in diversi luoghi e monumenti che si possono ammirare passeg­ giando all’interno del centro abi­ tato. La Chiesa di Sant’Antonio, risalente al XVI secolo e caratteriz­ zata da diversi dipinti murari, la Chiesa di Sant’Anastasia, databile

tra la fine del 1200 e l’inizio del 1300 e di cui ci sono ormai solo dei resti per­ ché molti suoi elementi furono utiliz­ zati per la costruzione, nel 1800, della Parrocchia di San Gabriele, il Santo Pa­ trono, e il grande palazzo in stile rurale che ospita la Casa Museo Porru. Le strette viuzze del paesino, caratteriz­ zate da case in pietra con tipici balconi di legno, formavano gli antichi rioni dalla cui fusione è nato l’attuale co­ mune di Tonara, Arasulè, Teliseri, To­ neri e, successivamente, Pranu. Questo affascinante borgo, un po’ sot­ tovalutato e dimenticato probabil­ mente anche a causa della sua collocazione, ha iniziato a diventare noto come meta turistica solo dopo il secondo dopoguerra e, soprattutto, negli ultimi 20 anni. La sua conforma­ zione si presta ad essere una tappa am­ bita per gli amanti della natura e per coloro che praticano l’escursionismo, il trekking e l’ecoturismo, grazie alla pre­ senza di tanti percorsi da percorrere a piedi, in mountain bike o a cavallo per scoprire questo magnifico territorio fatto di cascate spettacolari e dall’ac­ qua limpidissima e da fitti boschi da cui si ricava il legno necessario per l’attività artigianale su cui ruota l’economia del paese, e ricchi di alberi da frutto come i castagni e i noccioli. Questi ultimi, in particolare, vengono utilizzati per la preparazione del torrone, il prodotto artigianale che più di tutti ha reso cele­ bre il borgo di Tonara. È proprio qui che, dal lontano 1979, si tiene ogni anno, nel giorno di Pasquetta, la Sagra del torrone sardo, evento che richiama tantissimi visitatori da tutta l’Isola. ...CONTINUA SUL WEB INQUADRA IL CODICE QR CON IL TUO SMARTPHONE PER CONTINUARE A LEGGERE L'ARTICOLO

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