S&H Magazine n. 296 • Novembre 2021

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NOVITÀ ANTI-AGE



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di HELEL FIORI

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enersi in forma, divertendosi. Per molti può sembrare impossibile, ma è la scommessa vinta dalla app Healthy Virtuoso fondata nel 2017 dal cagliaritano CEO Andrea Severino e dal suo socio CFO Nicola Tardelli, che nell’ultimo anno ha raggiunto la soglia dei 170mila download e non accenna ad arrestare la scalata. L’obiettivo è semplice: “Motivare e coinvolgere gli utenti a seguire uno stile di vita salutare attraverso la pre­ mialità e la competizione sana, ma anche attraverso tecniche che invo­ glino a voler migliorare le proprie abi­ tudini salutari, intese come attività fisiche (sport, camminate, corsa), ma anche come attività volte al benessere in senso più ampio, come lo yoga, la meditazione, o semplicemente le ore di sonno: Virtuoso premia lo stile di vita a 360°.” spiega Laura Poerio, ec­ cellente Responsabile Marketing. Disponibile per iOS e Android, Vir­ tuoso dialoga con le app Salute e Goo­ gle Fit, necessarie per monitorare gli obiettivi raggiunti; una volta che Vir­ tuoso assume i dati, è in grado di inse­ rire gli utenti in classifica premiando i vincitori con premi “virtuali” come badge, medaglie, e avanzamenti all’in­ terno dell’app stessa, ma anche con premi concreti, come sconti o omaggi delle aziende partner. Il vero punto di forza di Virtuoso è in­ fatti l’essere completamente inserita nelle realtà aziendali: non solo tramite

HEALTHY VIRTUOSO L'APP SARDA CHE TI PREMIA QUANDO TI ALLENI i partner che forniscono premi, ma – e qui l’idea innovativa – collaborando con più di quaranta aziende ponendosi come punto di riferimento per la sa­ lute dei loro dipendenti (Peroni, Whirlpool, American Express, per ci­ tarne alcune); è possibile, per un di­ pendente di una delle aziende clienti, partecipare alle challenge (in genere della durata di due mesi e che si ripe­ tono durante l’anno) ed entrare a far parte delle classifiche aziendali, lan­ ciare sfide ai colleghi (es. chi farà più ore di sport in una settimana?), matu­ rare vittorie personali o del proprio team, usufruire dei programmi esterni di wellness attivati in concerto con pro­ fessionisti terzi o forniti direttamente dal gruppo Virtuoso (check up, webi­ nar, video in pillole, brochure, roll up informativi). Ciò che ha portato questa giovane app fino al mercato internazionale è senza dubbio la grande capacità di comunicare senza sbavature un’idea attuale e ben congegnata, conquistando dapprima i singoli utenti per poi lavorare in partner­ ship con le aziende italiane fino a quelle internazionali, guadagnando

un’autorevolezza tale da strutturare uno studio con la School of Manage­ ment del Politecnico di Milano per do­ cumentare l’importante modificazione delle abitudini degli utenti, come rad­ doppiare i passi effettuati in un giorno o aumentare sensibilmente le ore di sonno. Ma non abbiano paura gli iscritti: il monitoraggio dei dati o il loro inserimento in classifica risponde seve­ ramente al Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) del 2016, che ne rende illegale qualsiasi utilizzo al di fuori del contesto per­ messo dall’utente (per intenderci, nemmeno l’azienda stessa può sapere quali attività esegue il dipendente, perciò – purtroppo o per fortuna – nessuno verrà mai coinvolto nei Giochi Olimpici Aziendali di agrodolce fantoz­ ziana memoria). ...CONTINUA SUL WEB INQUADRA IL CODICE QR CON IL TUO SMARTPHONE PER CONTINUARE A LEGGERE L'ARTICOLO


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S&H MAGAZINE Anno XXVI - N. 296 / NOV 2021 EDIZIONE CAGLIARI+SASSARI

Direttore Responsabile MARCO CAU

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Ufficio Grafico GIUSEPPINA MEDDE

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Hanno collaborato a questo numero: HELEL FIORI, GIUSEPPE MASSAIU, ERICA LUCIA NOLI, DANIELA PIRAS, RAFFAELLA PIRAS, JULIA VOLTA Redazione Sassari, Via Oriani, 5/a - tel. 079.267.50.50 Cagliari, tel. 393.81.38.38.2 mail: redazione@shmag.it

06 03 Healthy Virtuoso L’app sarda che ti premia quando ti alleni

05 Vedova nera mediterranea Tutto quello che bisogna sapere sul temibile ragno, noto anche come argia o arza

06 Maria Lucia Aramu “La natura stessa del mondo è arte”

07 Salmo “Flop”, è il nuovo attesissimo album del pioniere della musica rap italiana

08 Alla scoperta di Laconi Il paese di Sant’Ignazio, tra religione, natura e archeologia

10 Dismorfofobia Social e filtri di “bellezza”, un pericolo per la percezione di sé

esse&acca editoria.pubblicità.grafica grafica

Editore ESSEACCA S.r.l.s., Via Oriani, 5/a - Sassari Per la pubblicità: tel. 335.722.60.54

Stampa Tipografia Gallizzi S.r.l. - Sassari

12 Gli Speakeasy Bar Dall’America degli anni ‘20 ai giorni nostri, alla scoperta dell’unico club della Sardegna

Social & Web

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14 SMART STORIES

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$ www.shmag.it telegram.me/sehmagazine issuu.com/esseacca Registro Stampa: Tribunale di Sassari n. 324/96. ROC: 28798. © 2021. Tutti i diritti sono riservati. È vietato riprodurre disegni, foto e testi parzialmente e totalmente contenuti in questo numero del giornale.

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in Copertina

Foto Adobe Stock | New Africa


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Tutto quello che bisogna sapere sul temibile ragno, noto anche come argia o arza di RAFFAELLA PIRAS

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el corso degli ultimi anni in Sardegna sono stati numerosi gli avvistamenti dell’argia, il temibile ragno conosciuto col nome di “vedova nera mediterranea”, il cui morso potrebbe essere poten­ zialmente letale. Il recente ritrova­ mento a Cagliari nelle immediate vi­ cinanze di un luogo frequentato so­ prattutto dai bambini, come è ap­ punto una scuola, ha però determi­ nato il riemergere della paura. Così, per evitare di farsi prendere dalla cosiddetta “aracnofobia”, il timore ossessivo dei ragni, è bene conoscere le caratteristiche e i reali rischi che si corrono nel caso in cui si entrasse involontariamente a contatto con una vedova nera. La malmignatta (Latrodectus trede‐ cimguttatus) è, insieme al ragno vio­ lino, la specie di ragno più pericolosa presente nell’Isola. L’elemento che la contraddistingue è la presenza di 13 macchie rosse sul corpo, da cui è possibile dedurre il suo aposemati­ smo, ossia la tendenza ad assumere una determinata colorazione in una parte del corpo a scopo di avverti­ mento contro possibili predatori, ca­ ratteristica questa tipica degli animali tossici o velenosi. La malmignatta tende a vivere in ra­ gnatele molto resistenti e dalla forma irregolare, tra sassi e muretti, in ge­ nere in zone aride e con una macchia mediterranea bassa. Il suo morso è potenzialmente molto pericoloso per gli esseri umani, in particolare quello della femmina, pur non es­ sendo doloroso al momento, può provocare successivamente sintomi tipici come sudorazione, nausea, vo­ miti, cefalea, febbre, crampi addo­ minali, che danno fortunatamente il

tempo di intervenire. Solo in casi estremamente gravi, infatti, possono verificarsi la perdita dei sensi o ad­ dirittura la morte. Ad ogni modo i casi mortali registrati, imputabili a questo ragno, sarebbero soltanto quattro. Il pericolo maggiore lo cor­ rono, oltre agli anziani e ai soggetti fragili, proprio i bambini perché la quantità di veleno iniettata deve es­ sere proporzionata alla corporatura, di conseguenza per il corpo di un bambino potrebbe trattarsi di una quantità letale. Storicamente l’argia è sempre stata molto temuta dai contadini proprio per la sua caratteristica di annidarsi in campagna sotto le pietre o tra i ce­ spugli. Questo timore in Sardegna ha dato vita ad una credenza popolare che ha portato a definire l’argia anche come il “ragno del demonio”. Si rac­ contava che la persona morsa da que­ sto ragno fosse posseduta dal demonio e che potesse essere liberata attraverso l’esecuzione di una danza, “Su ballu de s’Arza”, da parte di 21 donne divise tra nubili, sposate e vedove. Queste donne dovevano ballare intorno alla persona morsa, disposta in una fossa e ricoperta di letame fino al collo, e farla ridere per alleviare la sua soffe­ renza. Nel caso in cui la vittima si fosse effettivamente messa a ridere ne veniva decretata la guarigione. Al di là di queste paure ancestrali, è in realtà davvero difficile essere morsi da una malmignatta perché non ab­ bandona mai la sua ragnatela. Come tutti i ragni poi anche questo è timido e schivo e tende ad attaccare solo per difendersi nel caso in cui avverta qualche rischio. Di conseguenza, anche se comprensibilmente vederne un esemplare potrebbe non piacere o fare impressione, il consiglio è quello di cercare di mantenere la calma.


Foto: Danilo Lucisano

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Maria Lucia Aramu “La natura stessa del mondo è arte”

di DANIELA PIRAS

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n percorso artistico in continua evoluzione, quello di Maria Lucia Aramu. Sperimentatrice di varie tecniche pittoriche: olio, pa­ stello, acquerello e grafite, è nata a Olbia nel 1995. Maria comincia ad in­ teressarsi all’arte sin da bambina, prima da autodidatta, poi iscrivendosi all’Accademia d’Arte di Cagliari, dove attualmente insegna. Abbiamo chiesto a questa giovane e talentuosa artista

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di raccontarci il suo lavoro, le sue opere, e anche qualcosa di sé. Ciao Maria, al momento ti trovi in Spagna, alla Barcelona Academy of Art, per seguire un corso di disegno intensivo con l’artista Xavier Denia. Ci racconti qualcosa riguardo que­ st’esperienza? Giusto un anno fa l’Accademia di Ca­ gliari mi ha dato la possibilità di vivere questa realtà a Barcellona, mi sono tro­ vata benissimo, e non vedevo l’ora di tornare. Dopo un anno, con un po’ di sacrificio, ce l’ho fatta. L’accademia è in­ ternazionale, con ragazzi e ragazze che vengono da tutto il mondo, conoscere e vivere tutto ciò è molto stimolante. Si ha la possibilità di mettersi in discus­ sione come artista, come persona, si cerca di migliorarsi sempre di più. Quello che apprezzo maggiormente è

che in questo percorso non ci siano età prestabilite, non c’è competizione tra noi ma solo il desiderio di condividere la stessa passione e di crescere. Negli ultimi anni il tuo modo di dise­ gnare è cambiato molto, attraverso la sperimentazione sei arrivata ad avere chiara la tua idea di arte? (Pensi che ce ne sia bisogno?) È vero, negli ultimi anni ho sperimen­ tato molto, ma penso che non sia mai abbastanza. Non si smette mai d’impa­ rare e conoscere nuove tecniche, nuovi approcci: l’Arte è un mondo va­ stissimo. La chiarezza – purtroppo o per fortuna (a mio parere) – non fa parte dell’artista. Io so che desidero esprimere ciò che ho dentro attraverso le mie opere, ma si tratta di un conti­ nuo mettersi in discussione, ciò aiuta a migliorarsi, a cercare di fare sempre di più. Credo che quando una persona si senta “arrivata” come artista, si fermi la sua crescita. La stessa natura del mondo è arte, è un nostro bisogno, una necessità. Come si potrebbe vi­ vere senza la musica, senza l’espres­ sione, il colore, la bellezza? È impossibile. Cosa cerchi di comunicare con le tue opere e cosa ti colpisce di più del ri­ sultato finale? Mi piace concentrarmi molto, su ciò che vivo e ciò che sento. Nella quoti­ dianità trovo l’ispirazione, osservando da prospettive differenti. Ciò che vorrei comunicare è questo, che nel cosid­ detto “banale” ci sono le risorse, c’è l’arte. Quando finisco di realizzare un’opera provo la soddisfazione di es­ serci riuscita e di aver ottenuto un ri­ sultato, ma già il giorno seguente voglio iniziarne un’altra, per provare a migliorare e ad approfondire certi aspetti che non sono riuscita a rendere come avrei voluto. ...CONTINUA SUL WEB


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FLOP È IL NUOVO ATTESISSIMO ALBUM DI SALMO, PIONIERE DELLA MUSICA RAP ITALIANA A

tre anni di distanza da “Play­ list” (sei dischi di platino), Salmo torna con “Flop”, 17 tracce inedite dalle molte sfaccettatu­ re, che uniscono l’anima più rap del­ l’artista a quella rock, pop e elettroni­ ca; una commistione nel perfetto stile Salmo che catapulteranno l’ascoltatore in un binge‐listening al cardiopalma. “Flop” è un disco che si interroga su un tema importante quanto tabù, quello del fallimento, che con tutte le con­ traddizioni del caso ci rende umani. Salmo affronta la paura più grande di ogni artista, in un mondo dominato da materialismo e capitalismo, dove con­ tano la ricerca della perfezione, della fama a tutti costi, in cui i parametri si misurano sui like, i numeri, gli averi più che gli esseri, e ci immerge nella pro­ fondità di una parola temuta. Flop è una breccia che svela le apparenze, una sincope sonora, un invito a sba­ gliare in un mondo tanto perfetto quanto spesso ipocrita. Un album che sposta continuamente l’equilibrio del pubblico, lo disorienta, conducendolo nelle stanze specchiate delle mille anime artistiche di Salmo, qui lasciate libere di esprimersi come mai prima d’ora. Un disco maturo, ec­ centrico, fuori dai canoni di genere; al flow inossidabile, che da sempre conti­ nua a rivoluzionare il rap italiano, si uniscono e alternano aperture vocali, chitarre sfreccianti e innesti elettronici

che portano chi lo ascolta su di un ot­ tovolante sonoro senza soste. Così ric­ co di idee, così controcorrente, così fuori dagli schemi da essere – di per sé – un Flop eccezionale. Ad accompagnare il rapper sardo in questo viaggio alle radici del fallimen­ to, un tridente d’eccezione, il meglio della scena rap degli ultimi vent’an­ ni, Marracash (“La chiave”), Gué Pe­ queno (“YHWH”), Noyz Narcos (“Ghi­ gliottina”), oltre alla voce eterea di Shari (“L’angelo caduto”), giovane promessa del panorama italiano, ad impreziosire il brano che richiama la copertina stessa di “Flop”: una cita­ zione de “L’angelo caduto” di Alexan­ dre Cabanel, un olio su tela datato 1868 che raffigura Lucifero nel mo­ mento esatto della sua caduta. Eclettico, anticonformista, provocato­ rio, Salmo – con oltre 2,1 miliardi di streaming totali, 56 dischi di platino e 31 dischi d’oro – sfugge costantemente alle etichette e ancora una volta scar­ dina i connotati della scena a suo modo, sia con la musica che con i testi, introducendo elementi sempre nuovi. L’attività live occupa da sempre un po­ sto centrale nel percorso dell’artista, che trova sul palco la sua naturale e autentica dimensione, a contatto con il pubblico che è trasversale come il suo personaggio e la sua proposta musica­ le, contaminata e in continua evoluzio­ ne. Salmo tornerà a esibirsi dal vivo nell’estate 2022, domenica 3 luglio allo Stadio Comu­ nale di Bibione (VE) e mercoledì 6 lu­ glio allo Stadio San Siro di Milano, per un’attesissi­ ma data evento.


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nel cuore della sardegna visitando laconi

Il paese di Sant’Ignazio, tra religione, natura e archeologia di RAFFAELLA PIRAS foto ELISABETTA LOI

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e il mare cristallino della Sarde­ gna non finirà mai di lasciare estasiati i tantissimi turisti che ogni anno la scelgono come meta delle loro vacanze, altrettante emozioni in­ delebili regala il suo entroterra. Pro­ prio qui, esattamente al centro dell’Isola, in provincia di Oristano, si trova un borgo splendido, lontano dalle coste e a 550 metri di altitudine: Laconi. Un paese di montagna, ai piedi dell’al­ topiano del Sarcidano, immerso nel verde di una fitta vegetazione bo­ schiva, dove la natura fa tutt’uno con i segni della storia e una forte tradizione religiosa, richiamando turisti nel corso di tutto l’anno. Al centro di Laconi, davanti al palazzo del Municipio, sorge il Palazzo Ayme­

rich, un elegante edificio su tre piani, in stile neoclassico, che fu progettato nel corso del 1800 dal noto architetto di Cagliari Gaetano Cima. L’edificio fu l’abitazione della famiglia Aymerich, marchesi di Laconi, dal 1769 al 2000. Un’ala del palazzo è sede, dal 1996, del Menhir Museum, il Museo della Sta­ tuaria Preistorica in Sardegna, con la più ampia e preziosa collezione di mo­ noliti ­ menhir dell’Isola risalenti a cin­ quemila anni fa. Si tratta di 40 Statue Stele di epoca preistorica che furono rinvenute nelle campagne di Laconi a partire dal 1969. Dopo che il comune di Laconi acquistò il Palazzo, restauran­ dolo, nel 2010 fu inaugurata la nuova sede del museo che oggi ospita, oltre alle statue menhir locali, anche quelle provenienti dai territori di Villa San­ t’Antonio, Allai e Samugheo. Oltre ad essere la sede di questo im­ portante museo preistorico, il Palazzo

ospita anche un museo naturale che si estende per ben 22 ettari, essendo in­ fatti immerso in un meraviglioso parco urbano, il più grande della Sardegna, il Parco Aymerich. Questo giardino in­ cantato fatto di corbezzoli, pini, pla­ tani, querce da sughero, lecci, olivastri e tantissimi tipi di orchidee, possiede anche piante esotiche, in particolare un cedro del Libano, di cui era appas­ sionato il marchese Ignazio Aymerich. Fu sua, infatti, l’idea di creare questo parco ricco di sentieri, grotte, cascate, laghetti e che circonda i resti di un ca­ stello medievale, poi rimaneggiato nei secoli successivi, il Castello di Laconi che, si dice, fu fatto costruire dai Giu­ dici di Arborea nel 1053, data che ri­ sulta in un’epigrafe presente in una lapide murata della torre del castello. Ma il borgo di Laconi è noto soprat­ tutto per la devozione della sua comu­ nità a Sant’Ignazio, venerato in realtà


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un po’ in tutta l’Isola, richiamando per questo numerosissimi fedeli. Adia­ cente al Parco Aymerich è presente una chiesa, costruita inizialmente nel ‘500, in stile gotico­aragonese, che fu affidata ai frati cappuccini e che fu dapprima dedicata a Sant’Ambrogio. Quando, nel 1951, fu canonizzato Sant’Ignazio da Laconi, la titolarità del tempio fu estesa anche a lui. Oggi, in­ fatti, questa chiesa è la Parrocchia dei Santi Ambrogio e Ignazio, al suo in­ terno è presente una cappella dedicata al Santo, dove sono raffigurati mosaici che raccontano diversi episodi della sua vita, e il fonte battesimale in cui fu battezzato nel 1701, mentre, nel piaz­ zale davanti alla chiesa, si erge una sta­ tua dedicata proprio a Fra Ignazio. Questo frate povero, che parlava solo il

sardo e che non sapeva né leggere né scrivere, soprannominato nel paesino “su santixeddu”, il Santarello, per la sua vita dedicata alla preghiera e ai di­ giuni fin da quando era solo un bam­ bino, all’età di 20 anni andò a Cagliari per chiedere ai frati cappuccini di San Benedetto di poter entrare in con­ vento. Anche se non poté intrapren­ dere la strada del sacerdozio proprio a causa del suo analfabetismo, grazie a una mediazione condotta dal mar­ chese di Laconi, Gabriele Aymerich, riuscì comunque a vestire il saio cap­ puccino diventando un fratello laico col nome di “Fra Ignazio”. Una vita de­ dicata all’umiltà, alla carità, alla peni­ tenza, trascorsa per le vie della città, a contatto con la gente, conquistandola, e per il quale, a fronte dei numerosi miracoli che gli furono attribuiti, ci fu un regolare processo di canonizza­ zione. A lui è dedicato un museo d’arte sacra e parrocchiale che custodisce la corona del suo rosario, il suo bastone e un suo sandalo, una tela del 1781 che ritrae il suo volto, i documenti originali della causa di canonizzazione ed un re­ liquiario in argento che contiene un osso della mano del Santo. Questo museo, assieme alla casa na­ tale del frate, fanno di Laconi una meta visitata tutto l’anno, soprattutto a fine agosto, proprio in concomitanza con la festa in onore di quello che è definito il “Santo dei sardi”, e con la processione in presenza delle sue reli­ quie provenienti dalla chiesa a lui dedi­ cata a Cagliari. Evento che richiama oltre 70.000 visitatori provenienti da ogni parte della Sardegna, ma anche dal resto dell’Italia e dall’estero, fa­ cendo da vetrina a tutte le peculiarità turistiche di questo piccolo borgo gio­ iello nel cuore della Sardegna.


Adobe Stock | Maridav

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Dismorfofobia: social e filtri di “bellezza”, un pericolo per la percezione di sé

Nati come un divertimento, i filtri oggi sono una vera e propria ossessione di ricerca della perfezione rispetto agli standard di bellezza di ERICA LUCIA NOLI

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abbra carnose, occhi grandi, pelle senza imperfezioni, ciglia lunghissime, zigomi alti e nasino delicato. Sui social media ognuno di noi può vedersi in questo modo utiliz­ zando i cosiddetti filtri di “bellezza”. Ma di cosa si tratta? Secondo il MIT Technology Review, tutto nasce con il concetto giapponese di “kawaii”, quell’ossessione per i ca­

ratteri fisionomici “graziosi” dei per­ sonaggi dei manga. A metà degli anni Novanta in Giappone arrivano le “puri­ kura”, cabine per fototessere antenate dei filtri che consentivano di ritoccare le proprie foto. Nei primi anni 2000 na­ scono i primi cellulari con fotocamera frontale e inizia l’era dei selfie. Con essi, intorno al 2010, vengono resi di­ sponibili sui social i primi filtri. Si tratta inizialmente di un artificio inno­ cente usato per travestirsi virtual­

mente: permettono di diventare un cane, un gatto, di indossare un cap­ pello o farsi crescere i baffi. Col tempo però si fanno sempre più ricercati e ini­ ziano a passare dal travestimento all’“abbellimento”. Diventano disposi­ tivi di fotoritocco che attraverso l’in­ telligenza artificiale permettono di affinare il viso, abbronzare e perfezio­ nare la pelle, rimpicciolire il naso o in­ grandire gli occhi. Nati quindi come un piacevole gioco, oggi i filtri di bellezza stanno diventando per tanti, soprat­ tutto i più giovani, una vera ossessione di perfezione estetica.


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Secondo una ricerca della Mental He­ alth Foundation, il 22% degli adulti e il 40% dei teenager dichiara che le foto sui social condizionano il modo in cui percepiscono il proprio aspetto fisico. Gli esperti, infatti, mettono in guardia sul rapporto tra la ripetuta modifica virtuale del proprio corpo e l’ansia o la depressione dovute ad un senso di ina­ deguatezza. Nel 1891 lo psichiatra ita­ liano Enrico Morselli descrive per la prima volta in una sua opera il “di­ sturbo da dismorfismo corporeo”, o più comunemente detto dismorfofo­ bia. Si tratta di una patologia psichia­ trica che consiste in una esagerata preoccupazione e senso di disagio del paziente per una propria caratteristica fisica che considera un difetto anche se agli altri risulta inesistente o appena percepibile.

Il chirurgo estetico Tijion Esho nel 2018 ha poi coniato il termine Snapchat Dysmorphia dopo aver no­ tato che, mentre prima i pazienti gli portavano la foto di un personaggio fa­ moso, adesso invece gli proponevano come modello ideale una foto di se stessi trasformata dai filtri. Gli specia­ listi oggi parlano più in generale di “fil­ ter dysmorphia”, il dismorfismo da filtro, quell’abuso dei filtri che può por­ tare ad un’alterazione della realtà e della percezione del proprio corpo che il malato cerca di “correggere” tramite ripetuti interventi di chirurgia estetica. Nelle persone che ne sono af­ fette la funzione ludica dei filtri viene quindi oltrepassata dal desiderio di adeguarsi agli standard di bellezza. A soffrire di dismorfofobia, secondo i dati dell’Istituto di Terapia Cognitiva e Comportamentale, è tra l’1,7 e il 2,5% della popolazione generale e in Italia sono colpite circa 500 mila persone. A livello legislativo però qualcosa inizia

a muoversi. Lo scorso 11 giugno in Nor­ vegia una nuova legge ha reso obbliga­ torio per influencer e celebrità segnalare chiaramente attraverso un logo le immagini pubblicitarie ritoc­ cate pubblicate sui loro profili social. Questo cambiamento è avvenuto gra­ zie ad una proposta del Ministero per l’Infanzia e la Famiglia norvegese con lo scopo di combattere quei contenuti che mettono a rischio l’autostima e contribuiscono a provocare insicurezza, in particolare nei giovani. In Gran Bre­ tagna l’Advertising Standard Authority si era già pronunciata a febbraio sulla questione proibendo l’utilizzo di filtri sui social che esasperavano l’effetto dei prodotti cosmetici o di skincare spon­ sorizzati e da quel momento era diven­ tato obbligatorio dichiarare quando si stesse facendo uso di un filtro bellezza. In Italia ancora non esistono leggi in materia ma sono sempre di più gli in­ fluencer o le persone note che si pro­ nunciano sul pericolo dei filtri di bellezza. Tra queste c’è Clio Zammatteo (in arte ClioMakeUp), che si è fatta pa­ ladina di un viso reale e non alterato, Aurora Ramazzotti e Matilda De Ange­ lis, tra le prime a mostrarsi senza ver­ gogna con i brufoli sui social e Emma Marrone, che solo pochi giorni fa ha lanciato su Instagram un’ennesima esortazione ad accettarsi per come si è senza snaturare la propria immagine. Anche aziende e social stessi cercano di correre ai ripari incentivando e tra­ smettendo comportamenti sani e posi­ tivi. Facebook e Snapchat hanno provato con le etichette per segnalare agli utenti tutte le foto filtrate pubbli­ cate sui social. Su Instagram compa­ iono sempre più filtri dedicati alla skin o body positivity. Alcuni marchi (tra cui la Dove con il suo Progetto Autostima e il lancio dell’hashtag #NoDigitalDi­ stortion per la pubblicazione dei selfie non filtrati sui social) hanno promosso delle iniziative per contrastare l’utilizzo eccessivo dei filtri e per aiutare, in par­ ticolare le nuove generazioni, ad avere un buon rapporto con il proprio aspetto e una definizione più ampia della bellezza.


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di RAFFAELLA PIRAS Adobe Stock | Selenit

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peritivi, happy hour, “drinkeg­ giare” in compagnia, magari ascoltando della buona musica, sono abitudini che ormai caratteriz­ zano i fine settimana italiani, quando bar, pub e locali dei centri cittadini di­ ventano il cuore della movida. Aggiun­ gendo a questo la tendenza a importare usi e costumi, passati e pre­ senti, provenienti dall’America, negli ultimi anni si è verificata una sempre maggiore diffusione di locali molto particolari, gli speakeasy bar. Si tratta dei locali più alla moda del momento, anche se varcando la loro soglia si ha in realtà la sensazione di venire catapultati in un’altra epoca, nel 1920, quando negli Stati Uniti il Con­ gresso approvò il XVIII emendamento ed entrò in vigore il Volstead Act che proibì il commercio e il consumo di alcol. Iniziò così il periodo del Proibi­ zionismo e la fortuna di esponenti della malavita italo­americana, uno su tutti Al Capone, che divennero milio­ nari grazie al “bootlegging”, lo spaccio illegale di alcol. Il mercato nero degli alcolici era desti­ nato a rifornire gli speakeasy, bar e lo­ cali clandestini che furono aperti a migliaia nei luoghi più impensabili e nascosti, come i retrobottega dei ne­ gozi, abitazioni e seminterrati. Il nome “speakeasy” sembra abbia avuto ori­ gine da un episodio accaduto nel 1888 in un locale della Pennsylvania quando la proprietaria, chiedendo ai clienti di abbassare il tono della voce per non far scoprire la sua attività ille­ gale, pronunciò la frase “Speak easy, boys!”. All’interno di quegli spacci segreti di alcol vigevano regole molto partico­ lari, i locali erano infatti privi di inse­ gne, poteva entrare solo chi conosceva la parola d’ordine, bisognava parlare sottovoce, l’ambiente doveva essere ri­ cercato ed accompagnato da esibizioni

DALL’AMERICA DEGLI ANNI ‘20 AI GIORNI NOSTRI: GLI “SPEAKEASY BAR” Alla scoperta dell’unico speakeasy della Sardegna, il “Minnie the Moocher 1930” di Cagliari dal vivo di musica jazz, swing, charle­ ston e shimmy. La maggior parte degli speakeasy chiu­ sero poi con la fine del proibizioni­ smo, nel 1933, ma la loro storia non terminò così. Ben 66 anni dopo, nel 1999, un nostalgico, il bartender Sasha Petraske, aprì a Manatthan il primo speakeasy moderno, il Milk&Honey, sempre nel solco della tradizione dei

mitici locali segreti americani. Da al­ lora, in tutto il mondo, gli speakeasy, pur non essendo più illegali, hanno avuto una diffusione sempre mag­ giore. In Italia sono presenti in tutte le grandi città, dal famoso 1930 Cocktail Bar di Milano al Club Derriere della Capitale. Anche la Sardegna ha il suo speakeasy. A Cagliari, infatti, è il Minnie the

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Moocher 1930 di Massimo Angotzi a riportare i suoi clienti agli anni ‘20 e ‘30 americani. È Roberto Angotzi, il gestore di questo secret bar, a svelare qualche dettaglio: “Col Minnie the Moocher 1930 siamo i primi in Sarde‐ gna ad aver cercato di ricreare uno speakeasy. Abbiamo inaugurato quat‐ tro anni fa, nel dicembre del 2017, ispirati dalla nostra passione per la mafia italo‐americana e la musica jazz e swing dell’epoca, ma abbiamo avuto uno stop di un anno dovuto al corona‐ virus. Il nome che abbiamo scelto è proprio il titolo di un famoso brano jazz di Cab Calloway che tradotto in italiano significa “Minnie la Scroc‐ cona”, mentre l’anno 1930 è stato scelto come riferimento simbolico a quell’epoca”. Il locale, che è un club privato a cui si accede solo attraverso un tessera­ mento obbligatorio da rinnovare ogni anno, richiama in modo suggestivo l’at­ mosfera degli speakeasy originali: “Ab‐ biamo cercato di renderlo il più autentico possibile, ­ spiega il gestore ­ fuori non c’è l’insegna, non abbiamo inserito l’indirizzo nelle nostre pagine Facebook e Instagram proprio per mantenere la tipica segretezza, pur pubblicizzando i nostri eventi attra‐

verso quei canali, per l’ingresso è ne‐ cessaria una parola d’ordine che i tes‐ serati ricevono tutte le settimane e che cambia per ogni evento, i drink ven‐ gono serviti con vassoi d’argento e taz‐ zine antiche di oro zecchino e proponiamo spesso spettacoli musicali dal vivo. La clientela è selezionata, è previsto un dress code che non im‐ pone un abbigliamento tipico degli anni ‘20 ma comunque elegante, l’ab‐ bigliamento a tema lo richiediamo solo per la festa di Carnevale che organiz‐ ziamo ogni anno e che riscuote molto successo. Il locale è suddiviso in sale ed è arredato quasi totalmente con pezzi originali dell’epoca. È composto da una grande sala bar e da diversi sa‐ lotti dotati di veri tavoli da gioco, in cui però non si può giocare d’azzardo, e ognuno dedicato a un gangster. È presente il salotto dedicato a Lucky Luciano col tavolo del blackjack e il ta‐ volo da poker, quello dedicato a Bugsy Siegel e poi la “scarface room” dedi‐ cata al boss dei boss, Al Capone, dove c’è la roulette con il croupier”. Il Minnie the Moocher 1930 si trova al centro di Cagliari anche se non è sem­ plicissimo individuarlo perché è situato in una delle stradine storiche del quar­ tiere di Castello, luogo ricco di storia e

mistero e dunque molto adatto ad uno speakeasy: “Il nostro locale apre solo il sabato sera, ­ precisa Roberto Angotzi ­ chi viene da noi in genere esce di casa appositamente e cerchiamo di non de‐ ludere le aspettative. La carta di alco‐ lici è il nostro punto di forza e da quest’anno serviamo anche del cibo, i finger food salati, che sono tartine molto particolari, ma è soprattutto il grande lavoro di squadra del nostro staff a fare la differenza. A Cagliari non è facile attrarre una clientela che sia già appassionata a questa tipologia di locali, come succede a Roma, a Milano o nelle grandi città straniere, ma stiamo cercando di abituarla a fre‐ quentare con una certa filosofia il no‐ stro speakeasy. Sarebbe bello farlo diventare un punto di riferimento per la città”. Così se in un sabato sera cagliaritano, dovesse capitare di veder sparire im­ provvisamente e furtivamente qual­ cuno non c’è da preoccuparsi, probabilmente ha solo varcato quella porta spazio temporale che lo porterà indietro con le lancette dell’orologio all’America di 90 anni fa per vivere un’esperienza che sa di antico, proibito e romantico, sensazioni che solo un autentico speakeasy può trasmettere. www.studiomassaiu.it

I

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