S&H Magazine n. 281 • Febbraio 2020

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IL FRUTTO SARDO UNICO AL MONDO

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POMPIA

di MANUELA PIERRO

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na delle caratteristi­ che che il resto del mondo dovrebbe in­ vidiare alla Sardegna, è l’uni­ cità della sua essenza. In questa splendida isola, in­ fatti, esistono un indefinito numero di particolarità ed eccezioni che rendono an­ cora più incredibile il pano­ rama gastronomico, naturalistico e artigianale. La Baronia (in particolare Si­ niscola, Posada, Torpè e Oro­ sei) è una delle zone del territorio che può sentirsi maggiormente grata a Madre Natura per la qualità unica di uno dei suoi pro­ dotti: sa pompìa. Non si tratta di un limone, né di un

pompelmo e neanche di un cedro, ma della sapiente mi­ scela di tutti e tre questi agrumi, un frutto endemico sardo dalle indiscutibili qua­ lità culinarie e, addirittura, da utilizzare come elisir di benessere e salute. Fino al 2015 questo frutto dalla buccia opaca e bitorzo­ luta di un giallo che ricorda il limone, di una forma che ci riporta al pompelmo e di un’irregolarità che richiama il cedro, non era neanche ri­ conosciuto dalla comunità scientifica, forse proprio a causa della sua unicità. E il fatto che il nome non ri­ conosciuto fosse Citrus mo‐ struosa la dice lunga sullo spirito ironico dei sardi che

l’hanno prodotto per secoli. Perché pare, infatti, che un documento statistico ordi­ nato dal viceré nel 1760 con­ tenga già questo particolare frutto tra le specie vegetali coltivate in Sardegna. La sua dubbia avvenenza non l’ha assolutamente de­ classato e non solo perché è un agrume principe della tradizione gastronomica della Baronia, ma anche perché alcune ricerche svolte presso l’Università degli Studi di Sassari hanno permesso di ottenere un olio essenziale capace di piccoli miracoli alle vie respi­ ratorie e all’apparato dige­ stivo, e di curare importanti infezioni a quello genitale femminile. Molte di queste

ricerche sono ancora in fase di sperimentazione, ma l’en­ tusiasmo è altissimo soprat­ tutto in un periodo storico in cui la società e le industrie farmaceutiche sono così at­ tente alla ricerca di prodotti curativi naturali e biologici. Al fine di preservare questo prodotto tipico e unico, nel 2004 a Siniscola è nato un presidio slow food della pompìa ed è proprio qui che le donne si tramandano oral­ mente la ricetta per ottenere i dolci della tradizione realiz­ zati grazie a questo frutto. Prepararla è un lavoro lungo e paziente, perché la pompìa può essere consumata solo dopo ore e ore di cottura, visto che da cruda è imman­ giabile. Per iniziare, si pela la buccia che può essere utilizzata per fare un delizioso digestivo, la famosa s’aranzada o per essere inserita nella mar­ mellata. A questo punto, al centro, tutto intorno al pic­ ciolo, si scava un foro abba­ stanza grande da riuscire a svuotare facilmente dalla polpa interna che sarà un altro ingrediente della mar­ mellata. L’involucro restante, dopo una lentissima e lunga bollitura con acqua e miele, assumerà un bel color cara­ mello, si chiamerà sa pom­ pìa intrea e potrà essere consumato a fette tra i sor­ risi orgogliosi delle donne che lo hanno preparato e che danno prova d’immenso amore, oltre che di abilità.


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S&H MAGAZINE Anno XXV - N. 281 / Febbraio 2020 EDIZIONE CAGLIARI+SASSARI

Direttore Responsabile MARCO CAU Ufficio Grafico GIUSEPPINA MEDDE

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Hanno collaborato a questo numero: LUIGI CANU, DANIELE DETTORI, FRANCA FALCHI, HELEL FIORI, ERIKA GALLIZZI, ALBA MARINI, GIUSEPPE MASSAIU, MANUELA PIERRO, MARCO SCARAMELLA Redazione Sassari, Via Oriani, 5/a - tel. 079.267.50.50 Cagliari, tel. 393.81.38.38.2 mail: redazione@shmag.it

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editoria.pubblicità.grafica grafica

Editore ESSEACCA S.r.l.s., Via Oriani, 5/a - Sassari Per la pubblicità: tel. 335.722.60.54

Stampa Tipografia TAS S.r.l. - Sassari Social & Web

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12 03 Sa Pompia

Il frutto sardo unico al mondo

05 Malignis Cauponibus

L’imbroglione blues che dice la verità

06 La scuola Fumé di Cagliari Fumetti dell’altro mondo

20 L’algoritmo dell’arte Il messaggio segreto nell’Uomo vitruviano

22 Feste tradizionali religiose

24 Raimond Handball Sassari

10 La Sartoria Modolo di Orani

25 Dinamo Sassari

L’abito tradizionale sardo che fa tendenza

12 Pina Monne

Seicento murales per ricordare chi siamo

14 Vittoriani Itineranti

Viaggiatori nel tempo alla ricerca di tesori nascosti

16 I Magnifici 3

Viaggio nella letteratura italiana

18 Fordongianus

La perla oristanese dal fascino unico

issuu.com/esseacca Registro Stampa: Tribunale di Sassari n. 324/96. ROC: 28798. © 2020. Tutti i diritti sono riservati. È vietato riprodurre disegni, foto e testi parzialmente e totalmente contenuti in questo numero del giornale.

La Rete delle Grandi Macchine a Spalla italiane Patrimonio dell’Umanità

08 SOS api

Come salvare le sentinelle del pianeta

telegram.me/sehmagazine

I rossoblù verso un posto nei playoff

Qualche passo falso per gli uomini del Poz, ma le classifiche continuano a sorridere

26 HITWEETS 28 La dinastia dei Cugia 29 Il dentista risponde Che cos’è l’impianto dentale?

30 Dillo a foto tue

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in Copertina

VITTORIANI ITINERANTI

Foto di Franco Lecis


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MALIGNIS CAUPONIBUS L’IMBROGLIONE BLUES CHE DICE LA VERITÀ di HELEL FIORI foto CARLA LISCI

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hi nasce tondo non muore quadrato. È così che si dice. La propria natura è la propria natura. Fortuna allora è avere una natura stabilmente instabile che non ci limiti, che ci apra ogni strada. Mentre si ascolta l’album di Malignis Cauponibus (dal la­ tino ‘tavernieri imbroglioni’) non è chiaro su quale strada si stia viaggiando: progetto figlio della spinta espressiva di Luca Marcia – nato come concept teatrale sulle prigioni mentali (Ti sbatto in Sardegna, 2018) poi evoluto in disco – A­Pathos condensa sonorità sarde di background sanspe­ ratino con un blues inquieto esercitato in giro per l’Europa. Davvero maligno in scena, Luca dà vita a uno spettacolo enigmatico, acido, di denun­ cia; le sue canzoni spaziano dal cantautorato alla speri­ mentazione rumoristica, e dal­ le blue note si arriva fino alle sonorità ctonie delle profon­ dità sarde: interessante con­ nubio suonato con Massimo Loriga (Kenze Neke), Andrea

Schirru poliedrico pianista, Gerardo Ferrara menestrello cilentano, Lorenzo Imbimbo clarinettista, Stefano Minnei l’eclettico fisarmonicista e Mi­ chele Deidda alla batteria. L’album non chiede il per­ messo, si impone col cantato slacciato, scanzonato, talvolta addirittura irriverente di Luca, ma che sa farsi anche serio e ineluttabilmente coerente alle tematiche di prigionia men­ tale: “ho attinto da quel con­ tenitore per portare alla luce un album che arriva a parlare di apatia e per certi versi di indifferenza sociale di stampo gramsciano – spiega Marcia – la mia formula cantata in sardo prende spunto dalla vita personale nel tentativo di “universalizzare” pensieri e concetti. Non uso una va­ riante specifica: ciò che non può darmi il campidanese con i suoni aperti, me lo fornisce il logudorese con suoni più taglienti.” Il disco quasi ricorda un’unica colonna sonora di un ipotetico teatro sotterraneo, le costole di Tom Waits come sipario, e sul macabro proscenio di gra­ nito Luca Marcia ci consegna tutto il suo essere: sentiamo

le origini del suo paese fatte di lavoro nei frutteti, sudore, e artisti sognatori, sentiamo i suoi studi da geologo, la po­ tenza ancestrale del sotto­ suolo, sentiamo gli Area di Stratos, Faber, Tom Waits, Chester Howlin’Wolf Burnett, sentiamo tutto questo rime­ scolato in chiave rude, ruggi­ nosa, graffiante: “il blues non è un fine, ma un mezzo, una scusa. Lo utilizzo perché con­ divido i testi di chi da secoli denuncia disuguaglianze so­ ciali, passioni e storie di vita vissuta. Generalmente tendo a smontarlo e reinterpretarlo, sarebbe addirittura possibile che già dal prossimo album non lo utilizzi più. Ma le per­ sone hanno bisogno di cate­ gorizzare… io lascio fare.” Il 2020 si apre con un tour nel cagliaritano fino a marzo (trovate le date sui social @maligniscauponibus), men­ tre l’album è disponibile su Spotify, YouTube e BandCamp. “Un caro amico dice che ascol­ tare quell’album è come ascol­ tare i miei discorsi al bancone: in altre parole spontaneità e schiettezza.” Grazie Luca: lieti di bere al tuo fianco.


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FUMETTI DELL’ALTRO MONDO LA SCUOLA FUMÉ DI CAGLIARI

di MARCO SCARAMELLA

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ai sempre sognato di scrivere e disegnare le storie che bazzicano nella tua mente, ma senti di non possedere gli strumenti necessari? Niente paura! La scuola Fumé di Cagliari è ciò che fa per te. Fumé è un collettivo di professionisti allenati al confronto, alla tenacia e alla disciplina richieste dal mestiere di fumettista. È composto da sceneggiatori, autori di storie inter­ nazionali, illustratori, esperti di comu­ nicazione e fumettisti, che spaziano dal manga giapponese al realismo ameri­ cano, dal noir francese all’umorismo europeo, fino all’illustrazione accademica. Tra loro Massimo Dall’Oglio, Guido Ma­ sala, Bruno Olivieri, Dany&Dany, Daniele Mocci, Andrea Pau, Attilio Baghino, Sara Dal Cortivo e Cinzia Dall’Oglio. Ab­ biamo chiesto a Bruno Olivieri di rac­ contarci qualcosa in merito a questo progetto nato un anno fa, che sta già

partendo col secondo corso annuale. Come nasce questo progetto? Grazie a Massimo Dall’Oglio, il nostro direttore didattico. L’idea di una scuola che sommasse l’esperienza nell’insegna­ mento di un gruppo di professionisti della narrazione, gli è venuta nel 2018. Da molti anni, lui e le persone che ha scelto, oltre a lavorare per editori in Italia e all’estero, si confrontano con i giovani che vogliono capire meglio cosa sia la narrazione per immagini. Insieme il Collettivo Fumé ha costruito un percorso didattico nel quale il fumetto, prima an­ cora di essere disegno e tecnica, viene studiato come linguaggio e narrazione. Qual è l’obiettivo del collettivo Fumé? Fumé è un collettivo di autori che vivono in Sardegna ma conoscono il mondo: crediamo che collaborare con altri pro­ fessionisti e misurarci con punti di vista differenti sia l’unico modo per non am­ muffire. Lo stesso facciamo con chi par­

tecipa ai corsi, li guidiamo nella struttura della narrazione, mostriamo come usare la scansione delle immagini per raccon­ tare al meglio le emozioni. L’obiettivo è cambiare il punto di vista e dare la possibilità di restare e lavorare in Sardegna. Durante le nostre lezioni, cerchiamo di sviluppare un pensiero fatto di immaginazione, creatività e di­ sciplina. Mostriamo come il sogno può portare cambiamento, a competenze differenti e infine dare accesso, con tutte le complessità tipiche del settore economico in cui operiamo, a una reale dimensione professionale. Cosa insegnate ai vostri studenti? La nostra didattica ha due principali obiettivi: il primo è quello di far com­ prendere pienamente che il fumetto è un linguaggio e non un intrattenimento fatto di sola estetica. Il fumetto è co­ municare, è uno dei tanti modi con cui possiamo esprimere le nostre emozioni,


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sensazioni, esperienze e desideri. Come linguaggio il fumetto ha sintassi e gram­ matica che a noi del collettivo piace far scoprire a tutti quelli che partecipano ai corsi e workshop della scuola Fumé. Il secondo obiettivo invece è quello di fornire ad ogni studente uno specifico ventaglio di strumenti e una certa auto­ critica in modo che terminati i corsi, possa continuare a studiare ed esercitarsi da solo, avanzando nel suo percorso di ap­ prendimento e crescita senza perdersi. Riuscire a portare sulla carta esattamente la genuinità e freschezza di un’idea richiede molta esperienza, rigore e professionalità. Il nostro programma didattico è progettato proprio per aiutare ogni studente a muo­ vere i giusti passi nella giusta direzione una volta terminato il corso. Come sono organizzati i corsi? I partecipanti vengono accompagnati all’interno del processo di storytelling e design del fumetto, capiscono come na­ sce un’idea, scelgono i personaggi e le ambientazioni per il loro fumetto ideale, mettono l’idea su carta sotto forma di testo, costruendo soggetto e sceneg­ giatura, visualizzano e traducono l’idea in immagine lavorando su character, storyboard e sketch. Il corso annuale di 120 ore inizia a febbraio. Un anno insieme scandito da un incontro settimanale della durata di 3 ore, il venerdì dalle 17:00 alle 20:00. La classe è com­ posta da un massimo di 10 partecipanti. La programmazione didattica continua con laboratori stabili per bambini e ra­

gazzi tra i 6 e 13 anni costruiti su incontri didattici della durata di 2 ore, il sabato pomeriggio da ottobre a giugno; workshop tematici per adulti professionisti e non; Summer School di luglio, 4 settimane di storie a fumetti organizzate in corsi settimanali che si svolgono dal lunedì al venerdì in una full immersion di 5 ore dalle 9:00 alle 14:00 all’interno di una parentesi ludica in cui la didattica diventa divertimento tra disegno e nar­ razione, comunicazione in movimento e creatività. Tutto questo nei fantastici spazi di ArtaRuga. È un corso dedicato a chi possiede già delle basi di disegno o è aperto a tutti? Il corso è aperto a tutti, anche a chi non ha esperienza di scrittura e disegno, ogni candidato partecipa ad un colloquio preliminare per comprenderne attitudine e predisposizione. Tutti possono appren­ dere il linguaggio del fumetto, scoprirlo e farlo proprio, conoscere ogni step dal più embrionale sviluppo dell’idea, alla tavola finita. La crescita e la padronanza della tecnica aumentano con l’esercizio e lo studio. Uno degli obiettivi del Col­ lettivo Fumé è quello di dare una corretta informazione sulle potenzialità del media e formare professionalmente chi vorrà intraprendere una strada certamente difficile, soprattutto per concorrenzialità, ma piena di soddisfazioni. Se siete interessati a conoscere maggiori informazioni riguardo alle attività del collettivo Fumé, potete visitare la loro pagina Facebook e il sito scuolafume.it.


stock.adobe.com | Vera Kuttelvaserova

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SOS API

COME SALVARE LE SENTINELLE DEL PIANETA di MANUELA PIERRO

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iamo ormai tristemente abituati alle pessime notizie sulle difficili con­ dizioni in cui il nostro pianeta è piombato da qualche tempo a questa parte: abbiamo im­ parato che sani ecosistemi proteggono la vita dell’uomo sulla Terra e sono imprescin­ dibili se vogliamo affrontare con successo i cambiamenti climatici a cui siamo sotto­ posti. Questa consapevolezza non ha però migliorato le nostre sorti, tanto che gli ecosistemi stanno affrontando, a causa soprattutto dell’empietà del genere umano, un periodo di crisi senza precedenti. Come aveva intuito Einstein, ci sono alcune specie animali che hanno un particolare ra­ dar per le situazioni d’emer­ genza e la loro lenta estinzione

ha allarmato studiosi di tutto il mondo: le api. Trattandosi di insetti impollinatori, sono fondamentali per la catena alimentare: senza l’impolli­ nazione di frutta e verdura, la riproduzione delle piante sarebbe troppo complicata. Il loro arduo lavoro non è pre­ zioso quindi solo per ottenere il miele, ma soprattutto per la sopravvivenza dell’uomo. Quali sono, dunque, le cause di questa apocalisse? I pesti­ cidi, i cambiamenti d’uso del suolo e climatici, le pratiche di monocoltura e l’inquina­ mento riducono le sostanze nutritive disponibili. Analizzando il polline delle api, infatti, sono state ritrovate tracce considerevoli di pesti­ cidi chimici, alcuni dei quali stordiscono talmente le api durante il loro intento di im­ pollinare, che spesso non rie­ scono neanche a tornare al­

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l’alveare perché muoiono du­ rante il tragitto. La soluzione sarebbe però a portata di mano e può essere applicata non solo a livello locale, ma da tutti coloro che possiedono un balcone, un terrazzo o un giardino. In Sar­ degna i posti incontaminati immersi nella natura non mancano e il nostro contri­ buto può davvero fare la diffe­ renza. Primo punto essenziale, man­ teniamo la biodiversità legata alle piante autoctone! Evitia­ mo piante esotiche e non lo­ cali, poiché le api sono estre­ mamente legate alla propria origine e apprezzano ciò che cresce spontaneamente nel nostro giardino. Altri elementi importantissimi sono la di­ versità e il caos: la natura è molto più saggia di quanto potrà mai esserlo un capace giardiniere, quindi evitiamo

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di “mettere ordine” o di dare forme alle nostre aiuole che il sistema non contempla. Piantiamo cespugli e piante che danno fiori durante tutto l’anno, in modo da rendere felici api e farfalle. Per quanto riguarda eventuali fertilizzanti, ricorriamo solo a quelli bio­ logici e compriamo terriccio senza torba, che rilascia una grande quantità di anidride carbonica. Lasciamo un bel pezzo del nostro giardino con fiori selvatici e arricchiamo con lavanda, menta, erba ci­ pollina e salvia che attraggono gli insetti impollinatori. Pre­ feriamo le siepi alle recinzioni e piantiamo un albero autoc­ tono ogni volta che compria­ mo un po’ di legna per ac­ cendere il fuoco, in modo che l’ecosistema non avverta ciò che togliamo poiché, saggia­ mente, glielo stiamo resti­ tuendo. A volte basta davvero un po’ di impegno e di sensibilità per cambiare le sorti di un pianeta che, dopotutto, si è ammalato a causa dell’uomo. CONSEG N A GRAT UIT A in tutta It alia

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Foto Franco Felce

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La Sartoria Modolo di Orani L’abito tradizionale sardo che fa tendenza di ALBA MARINI

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a tradizione è il suo valore prima­ rio, il velluto è il suo tessuto di punta, l’ago e il filo e il “sudore della fronte” di ben 60 anni di attività sono i suoi strumenti. Stiamo parlando della Sartoria Modolo. Ci troviamo ad Orani, un paesino dell’entroterra sardo in cui la ruota dell’artigianato e dell’ar­ te non ha mai smesso di girare, tra la tradizionale produzione di cassapanche e la preziosa tecnica della tessitura. D’altronde è proprio qui, in questo pic­ colo mondo antico, tra viuzze e chieset­ te che sanno di autentica Sardegna, che nacque il famoso artista sardo Co­

stantino Nivola. Ed è ancora qui che la Sartoria Modolo continua a cucire i suoi abiti tradizionali, maschili e fem­ minili, senza indietreggiare davanti al tempo che passa. Abbiamo avuto il pia­ cere di parlare con Francesco Modolo e suo padre Pietro Paolo Modolo, che ci hanno guidato in un viaggio alla sco­ perta della moda agropastorale, degli abiti su misura, dei tessuti pregiati e di un mondo, quello della tessitura, che costantemente si rinnova senza perde­ re di vista il presente, nutrendosi degli acquisti dei pastori e dei contadini ma anche dei grandi personaggi della poli­ tica italiana. Buongiorno Francesco, raccontaci

come e quando è nata la Sartoria Mo­ dolo. Quanti anni ha la vostra attività e chi è stato il suo creatore? Forse questa domanda dovreste farla a mio padre Paolo, sono sicuro che saprà rispondervi meglio di me! Salve Signor Modolo, allora la faccia­ mo a lei questa domanda. Come e quando è nata la vostra sartoria? La Sartoria è nata nel lontano 1960 e sono stato io a fondarla. Ho fatto tutto da solo ovviamente. Francesco non era ancora nato! Come è iniziata la sua attività? Erano tempi in cui bisognava fare l’ap­ prendistato, che durava circa 5/6 anni. Retribuzione zero ovviamente. Poi ho iniziato per conto mio e piano piano la sartoria ha ottenuto un certo successo. Ho lavorato in miniera per ventidue anni, e ogni sera, dopo il turno in galle­ ria, mi mettevo a cucire. Piccone e ago, insomma. Negli anni ’60 ancora il con­ fezionato non esisteva. Non c’era pae­ se che non avesse una propria sarto­ ria. Per questo, una volta finito l’ap­ prendistato, ne aprii una nuova che confezionava abiti maschili, nel mio paese, Orani. Inizialmente, i clienti del velluto erano pastori e contadini. Poi la clientela si è ampliata, va dall’im­ piegato al politico, fino allo sposo. Ne­ gli ultimi anni sono stati tantissimi gli sposi che si sono fatti confezionare l’abito in velluto. Come lavorate nella vostra sartoria? Quanta importanza ha il “fatto a mano” e quali tipologie di macchinari usate? Io uso ancora la stessa macchina da cucire del 1960. Una vecchia Singer. Ovviamente abbiamo anche macchine più moderne. Quanti siete nell’azienda? Siamo tre. Io, mio figlio e mio nipote. È un’azienda a conduzione familiare. Vi è capitato negli anni di confezionare abiti per personaggi importanti? Per anni abbiamo seguito Cossiga e Vit­


torio Sgarbi. Cantanti come Piero Pelù, Dori Ghezzi. Anche lo scrittore di Orani Salvatore Niffoi si rivolge spesso a noi per i suoi abiti. Ma il primo cliente cele­ bre è stato Costantino Nivola, famoso scultore oranese. Voleva un abito tradi­ zionale sardo e in cambio mi diede un suo quadro, con una bellissima dedica in dialetto “s’arte tua pro s’arte mea”. All’epoca non ne capivo il valore. Avrei preferito le 5 mila lire! Ci racconti qualche esperienza più re­ cente 5/6 anni fa siamo stati a Tokyo. Per questa occasione abbiamo realizzato dei kimono in velluto. Ogni volta che andiamo in un posto cerchiamo di con­ fezionare abiti di quella regione o che comunque rispettino le caratteristiche e gli interessi di quel paese. Per esem­ pio, quando siamo stati a Londra, ab­ biamo realizzato abiti da fantino.

Passiamo di nuovo a te Francesco. Dicci anche tu qualche curiosità stori­ ca sulla vostra sartoria Quando mio padre iniziò, negli anni ’60, le donne non andavano mai a far­ si confezionare un abito in una sarto­ ria maschile. Farsi prendere le misure da un sarto uomo creava imbarazzo d’altronde. Da allora le cose sono deci­ samente cambiate. Ora realizziamo sia abiti maschili che femminili. Qual è lo stile dei vostri abiti? Noi siamo partiti dagli abiti agro­pasto­ rali, ma nel tempo ci siamo ammoder­ nati senza perdere mai di vista la tra­ dizione. Usiamo principalmente tessuti come il velluto e il broccato, ma nell’ul­ tima sfilata al Museo Nivola, per esem­ pio, abbiamo usato anche il jeans. Come unite tradizione e innovazione? Ci siamo aperti all’uso di nuovi tessuti. Prima usavamo solo il velluto Duca Vi­

Foto Luca Mureddu

Foto Luca Mureddu

Foto Luca Mureddu

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sconti di Modrone, sia liscio che riga­ to. Ora usiamo anche i tessuti Ermene­ gildo Zegna, dal cotone al cashmere. Su alcuni di questi tessuti, per esem­ pio, abbiamo l’esclusiva in Sardegna. Si trovano solo qua. Il nostro abito di punta è quello tipico sardo, con quat­ tro tasconi davanti e le spalle fatte con gli archi, a una punta, due punte o tre punte, e la martingala in mezzo, ossia la cintura, e lo spacco centrale. Chi vie­ ne da Milano o da Roma fino a qui cer­ ca generalmente questo tipo di abito, non quello che può vedere esposto nei negozi. Il nostro abito da sposo ha an­ che vinto di recente un premio agli Oscar dei matrimoni italiani. A parte i modelli tipici sardi, in verità, non ab­ biamo modelli. Facciamo quello che ci chiede il cliente. Da poco ho realizzato un cappottino per una cliente molto speciale, mia figlia. Il disegno lo aveva fatto da lei.


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PINA MONNE

Seicento murales per ricordare chi siamo

di HELEL FIORI

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a conoscenza di un popolo passa sempre attraverso la scoperta dei tratti che lo contraddistinguono: ascoltarne i canti, cimentarsi nei balli, gustarne la cucina e meravigliarsi davanti all’artigianato. Ma queste ormai sono attività che si vivono nelle feste di paese, nelle sagre, incontri una tantum in cui si viene bombardati di informazioni che sconfinano nel folklore talvolta estre­ mizzato. Uno dei modi migliori per com­ prendere un popolo è invece osservare cosa quel popolo decida di ricordare: ciò che una società decide di rivendicare di sé è quello che si sedimenterà nelle generazioni ed è quello che gli estranei conosceranno. E dato che ormai le vite stanno diventando globalmente stan­ dardizzate, è normale che per catturare i tratti caratteristici di una società si de­ cida di affidarsi a un accorto occhio esterno: l’occhio di un artista. È quello che succede da anni in Sardegna attraverso il muralismo: chi non conosce i murales di Orgosolo? C’è però una realtà composita all’interno di questo

movimento (perché di movimento si tratta) che offre parecchi spunti di ri­ flessione: oltre quindi all’Associazione Skizzo di San Gavino Monreale che se­ gnaliamo per le stupefacenti opere di street art di chiave moderna, e alla già citata Orgosolo coi suoi murales allegorici di protesta e rivendicazione politica del­ l’identità sarda e dell’antifascismo, una delle correnti degna di nota è sicura­ mente quella in cui figura Pina Monne. Nata a Irgoli ma residente a Tinnura, si è da sempre distinta per la sua attività pittorica e di ceramista, finché nel Due­ mila vince il concorso comunale per la realizzazione di cinque murales e rico­ nosce nel muralismo una nuova strada da intraprendere. Da allora è stata in­ gaggiata da più di 80 comuni e conta al­ l’attivo circa 600 opere realiste che ri­ traggono attività umane quotidiane tra­ mite una pittura luminosa, morbida, rassicurante. Molto spesso attinge da materiale fo­ tografico d’epoca tratto dagli archivi storici comunali, altre volte sceglie di rappresentare personaggi che l’hanno colpita durante il periodo dei lavori (per

esempio una ragazza di Oniferi, la cui fierezza resta immortalata nel murales della giovane a cavallo nella piazza par­ rocchiale); ci potrà capitare di ammirare giovani ragazze che indossano l’abito tradizionale o di passeggiare accanto a uomini che pigiano l’uva, osservare don­ ne intente nella nobile arte del fare il pane, fino a perderci nel giallo vivido di un campo di grano o di un’ape gigantesca che sugge il nettare da un fiore. Tinnura, Suni, Flussio, Thiesi, Siligo, Ab­ basanta, sono solo alcuni dei tanti paesi dove si può godere della sua opera, no­ tabile non solo per lo stile verista utiliz­ zato ma anche per la capacità di fondersi con l’ambiente circostante (aspetto che la accomuna ad Angelo Pilloni, artista di San Sperate ­ altro centro da visitare ­ che come lei da vent’anni investe ener­ gie per portare sprazzi di bellezza nel tessuto urbano): “Il nostro muralismo tende a sottolineare le identità dei luoghi cercando di rivalutare e valorizzare pareti dimenticate in angoli degradati; passando al vaglio della sovraintendenza e della tutela al paesaggio si garantisce la non imbrattatura dei muri e il massimo


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rispetto del luogo: se io mi dovessi trovare in un paese dove predomina il basalto cercherò di incastonare l’opera senza alterare l’architettura del luogo, ecco perché è importante uno studio approfondito, per cercare di rendere perfetta la risoluzione del progetto sulla parete” ci spiega Pina. E la ricerca dà ottimi risultati: la sua mano infatti è ampiamente apprezzata da enti e associazioni tanto da richiederla anche per la “semplice” manutenzione, aspetto fondamentale per evitare il de­ grado delle opere, che come nel caso del grande “mietitore” di Semestene alto 12m realizzato nel 2004, se protetti dalle aggressioni metereologiche possono lasciare a bocca aperta anche a distanza di anni. La cura e i fondi destinati sono però ancora insufficienti e si spera che in futuro sempre più amministrazioni agiranno in controtendenza, giacché “il muralismo è un perno importante per il richiamo del turista che arriva in Sarde­ gna, che scopre il murales come fonte di informazioni sulla storia e tradizioni del luogo” sottolinea Pina. Ma la sfortunata necessità di salvaguardia si è rivelata una buona occasione per affiancare la sua attività di ceramista a quella dei murales, portandola a com­ porre grandi mosaici di piastrelle bianche smaltati in sede di applicazione (tecnica molto diffusa in Sicilia) che appunto re­ sistono agli agenti atmosferici e che por­ tano il muralismo a un nuovo livello, con l’inserimento di elementi tridimen­ sionali generalmente legati al mondo femminile. Grande onore allora deve es­ sere stato per Pina Monne ricevere nel dicembre 2019 il premio Fèminas di Col­ diretti per la categoria arte, destinato alle donne sarde che hanno contribuito con la loro opera ad aggiungere valore qualitativo e d’immagine alla Sardegna. L’essere un’esperta muralista inoltre l’ha portata in giro per il mondo, addirittura a Betlemme ad affinare la tecnica degli studenti palestinesi della scuola d’arte. Esperienza che l’ha emozionata e che ha dato il via a una serie di scambi artistici internazionali e della quale parla con orgoglio. Per avere ulteriori informazioni ed ap­ profondire la conoscenza di questa in­ teressante artista, si rimanda alla pagina ufficiale Facebook @pinamonne dove pubblica spesso foto dei murales completi e delle diverse fasi di lavorazione, ma soprattutto si consiglia un vero e proprio viaggio alla scoperta delle opere e, perché no, delle nostre radici culturali.


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VIT TO R IAN I IT INERANTI Foto Morena Verdi

Viaggiatori nel tempo alla ricerca di tesori nascosti

di FRANCA FALCHI

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utti noi abbiamo so­ gnato almeno una volta nella vita di com­ piere un viaggio nel tempo, di riuscire a portare indietro le lancette per ritrovarci in un’altra epoca. Nessuno ri­ mane immune al fascino del passato e spesso sentiamo il bisogno di calarci in vicende particolarmente intriganti e appassionanti lette nei libri o raccontate in qualche pel­ licola. Il rievocare è parte di noi, della formazione di ogni es­ sere umano, anche come fonte di crescita culturale, antropologica e sociale e la

rievocazione storica sta di­ ventando un ottimo mezzo di trasmissione della storia e di coinvolgimento perso­ nale, tanto che viene sem­ pre più adottata da Enti, Istituzioni e Associazioni come vera e propria attività di promozione locale. Ri­ creare eventi storici dà la possibilità al pubblico di in­ teragire in modo completo con gli episodi narrati, ve­ stendo in prima persona i panni di epoche passate e di entrare nel palcoscenico della storia diventando spet­ tatori­attori. La rievocazione storica crea spettacolo, offre occasione di divertimento educativo,

provoca emozioni in chi la vede e in chi la vive. E a volte accade che ciò che nasce come una semplice curiosità, si trasformi grazie al fascino, diventando una passione quasi maniacale. La passione di Claudia Car­ lini per il Vittoriano nasce da una sporadica partecipa­ zione, nel 2012, alla Grande Jatte che annualmente si tiene a Cagliari a fine mag­ gio. Ispirata al quadro “Una domenica pomeriggio sul­ l’isola della Grande Jatte” del pittore George Seurat del 1884 nel quale alcuni gi­ tanti si godono il tempo li­ bero sull’omonimo isolotto sulla Senna, è una rievoca­

zione che dà spazio e creati­ vità a chiunque voglia im­ mergersi in un sogno fatto di crinoline, tube e corsetti. A quella prima manifesta­ zione ne sono seguite tante altre col coinvolgimento ini­ ziale di Alessandro Casula, compagno di passione e di vita di Claudia con cui ha condiviso sin da subito la sete di conoscenza del­ l’epoca fatta di un continuo studio di particolari su abbi­ gliamento, usi e costumi. Le Grande Jatte sono diventate luogo di incontro e scambio culturale con altri estimatori quali Antonello e Francesca Perseu, Anna Orrù e Flora Sicbaldi con cui nel 2017


hanno costituito i Vittoriani Itineranti. Alla primissima pagina Facebook “Vittoriano che passione” creata dalla coppia per diffondere le im­ magini dei vari eventi è se­ guita quella dedicata al gruppo dove si possono am­ mirare le cronache dei viaggi nel tempo di questi amici appassionati. I primi abiti noleggiati sono stati ben presto sostituiti da capi riprodotti o da quelli originali più preziosi e rari da reperire in buone condi­ zioni. L’armadio allora non era affatto similare al nostro ma era composto da pochi capi di origine sartoriale, cuciti su misura e spesso ri­ servati ad accompagnare il defunto nel suo ultimo viag­ gio. Diventa così difficile re­ perire a buon prezzo dei capi non solo in ottimo stato ma anche indossabili ri­ spetto all’estetica moderna. I canoni vittoriani prevede­ vano infatti un corpo modifi­ cato da rigidi corsetti, con effetto clessidra, che ridu­

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ceva il punto vita facendo ri­ saltare le spalle con mani­ che ampie e pompose. La meticolosità a lungo ter­ mine ha indotto anche al­ l’utilizzo non solo di abiti attinenti ma anche all’in­ timo adeguato. Mutandoni lunghi, sottovesti, copri cor­ setti e sottogonne sono complementi indispensabili per calarsi nel personaggio, perché in fondo è di questo che si tratta: non una sem­ plice recita, non l’interpreta­ zione di un ruolo ma la sua intera assunzione nel porta­ mento e nei modi. Si instaura così una sorta di caccia al tesoro tra le pieghe del tempo fatta di mercatini di antiquariato, di contatti con svuota cantine e di ri­ cerca spasmodica on line in cui acquistare non solo ab­ bigliamento ma anche ac­ cessori, porcellane e oggettistica varia. I capi non indossabili diventano da esposizione e grazie ad essi si instaurano i racconti sugli usi dell’Ottocento.

Grazie alla loro meticolosità, i Vittoriani Itineranti rie­ scono a far rivivere allo spettatore il gusto del tè delle cinque, imposto pro­ prio nel periodo Vittoriano, facendo apprezzare i detta­ gli della tazzina forgiata per i baffi impomatati, il cuc­ chiaino che oscilla perpendi­ colare senza mai roteare o la presa col mignolo distac­ cato dal manico. Ogni situazione è curata nei minimi dettagli: la visita al cimitero con abiti e posture solenni; il pic­nic rigorosa­ mente senza plastica ma con cestini, posate e porcel­ lane e lo spiluccare con ele­ ganza e parsimonia; la gita al mare sulla goletta con gli immancabili ombrellini pa­ rasole per preservare la car­ nagione. La loro, ormai richiestissima, partecipazione agli eventi è preceduta dalla ricerca di te­ stimonianze sulla effettiva congruenza della loro pre­ senza, lo studio dei perso­ naggi realmente vissuti in

quel contesto e le relative storie. Con loro Sa Spendula ha preso vita e tra le rocce della cascata è apparso D’Annunzio in una straordi­ naria ricostruzione di un’im­ magine storica. La loro passeggiata ha arric­ chito l’apertura dei Bastioni Coperti di Saint Remy a Ca­ gliari, al fianco del tenore Demuro sono stati presenti al Parco di Monserrato a Sassari, hanno sfoggiato abiti sfarzosi nella quadriglia al Teatro del Conservatorio di Cagliari e alla cena nella Residenza Corte Cristina di Quartucciu curata anche negli arredi e nelle portate. A fine febbraio saranno ospiti del gruppo 8cento a Bologna che li vedrà prota­ gonisti nella parte riservata alla rappresentazione della Belle Epoque. Il 2020 è ap­ pena iniziato ma sono già al lavoro per ricostruzioni stu­ pefacenti grazie anche al­ l’apporto degli amici appassionati di Sassari.

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Da sinistra: La casa di Montalbano, Diego Galdino e una veduta di Napoli

I Magnifici 3 Viaggio nella letteratura: tre itinerari da sfogliare di DANIELE DETTORI Trascorriamo tanti momenti liberi in loro compagnia o, meglio, in compagnia dei loro personaggi. Ne apprezziamo la prosa, i dialoghi e li seguiamo nelle sto­ rie che raccontano. Sono gli scrittori, di cui l’Italia è patria prolifica. Tre di loro ci accompagnano, questo mese, in un iti­ nerario narrativo tutto da scoprire. Iniziamo, immancabilmente, con l’indi­ menticato Andrea Camilleri che ha dato vita all’universo poliziesco del Commis­ sario Montalbano. Lo scrittore ha ri­ tratto una Sicilia “parallela”, con luoghi immaginari che rispecchiano, però, nu­ merose località e situazioni realmente esistenti. Tra queste Vigata, città di Salvo Montalbano, che lo stesso autore ha identificato con Porto Empedocle, sua patria natale. Il nome è ispirato da un altro centro distante neanche un’ora d’auto, Licata, con il quale ha però ben

poco in comune. D’altra parte, la serie televisiva ha per forza di cose dovuto dare un volto alle descrizioni dei libri: così per dare forma al commissariato è stato scelto il municipio del Comune di Scicli, un complesso dei primi del ‘900 inizialmente adibito a monastero. E la casa di Montalbano? Situata dai ro­ manzi nell’immaginaria Marinella, la tv l’ha trasposta a Punta Secca, una fra­ zione marittima di Santa Croce Came­ rina poco lontano da Ragusa. L’edificio è nella realtà un B&B dal nome evoca­ tivo: La casa di Montalbano. Proseguiamo con Elena Ferrante, della quale non si sa per certo niente. Non si sa neppure se sia in realtà una donna, un uomo o un collettivo di scrittori na­ scosti dietro uno pseudonimo. Appare invece chiaro come, in qualche modo, quest’autrice sia legata alla città di Na­ poli. Nei suoi libri il capoluogo parteno­ peo ritorna come sfondo di storie che vedono spesso le donne agire nelle vesti di protagoniste tormentate, vittime di situazioni difficili e talvolta carnefici di se stesse in uno struggersi alla ricerca di risposte pericolose. Succede con La vita bugiarda degli adulti, ultimo lavoro uscito il 7 novembre 2019, dove Napoli è presente fin dall’incipit con il suo

quartiere di Rione Alto e la via San Gia­ como dei Capri. L’Amica Geniale, qua­ drilogia divenuta anche serie tv, racconta – tra gli altri – i quartieri del Vomero e Gianturco in un’Italia che, dal dopoguerra, naviga nel tempo fino a oggi. Se passate dal Lino Bar, in quel di Roma, potreste invece trovare a servirvi un buon caffè nientemeno che Diego Gal­ dino. Classe 1971, questo simpatico ba­ rista è assurto agli onori dell’editoria grazie al suo libro Il primo caffè del mat‐ tino, pubblicato nel 2013. A portare for­ tuna all’autore è stata la storia d’amore che prende le mosse, nel racconto, pro­ prio dietro a un bancone (e come po­ teva essere altrimenti?) tra il titolare del bar e una bellissima ragazza francese. Definito a più voci come il Nicholas Sparks italiano, Galdino racconta ro­ mantiche storie ambientate in una Roma quotidiana vissuta da persone co­ muni. I luoghi della città descritti nel ro­ manzo sono anche diventati oggetto di un approfondimento dedicato dallo stesso autore a tutti gli innamorati, in un itinerario – attraverso alcuni luoghi che permettono di godere al meglio le meraviglie romane – dal titolo Il viaggio delle fontanelle.


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LA PERLA ORISTANESE DAL FASCINO UNICO di MANUELA PIERRO

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onti storiche e letterarie docu­ mentano Fordongianus come im­ portantissimo sito romano e, suc­ cessivamente, medievale. Il suo percorso nella storia vanta uno sviluppo di rilievo soprattutto durante l’epoca romana, quando, cioè, il territorio visse un grande fervore edilizio: furono costruiti ponti, strade, un acquedotto, un importante anfiteatro e le celeberrime Terme di Caddas. In verità le testimonianze archeologiche collocano la nascita di Fordongianus in epoca molto più antica, ma fu nel periodo di Traiano che la città visse il suo periodo di massimo splendore, quando furono ampliate tutte le costruzioni preceden­ temente iniziate. Divenne un notevole avamposto militare dove interi nuclei di soldati si collocavano per controllare le popolazioni dell’entroterra.

Grazie alla sua posizione favorevole sulla sponda sinistra della Valle del Tirso, di­ venne luogo di scambi commerciali; gra­ zie alla presenza della tomba del martire San Lussorio, fu nominata sede vescovile e, durante l’epoca bizantina, fu sede del dux, ossia il comandante militare del­ l’esercito. Nonostante queste importanti vestigia storiche, attualmente il paese di For­ dongianus è riconosciuto nel territorio sardo come moderno centro culturale e turistico, grazie anche alla presenza di strutture tecnologiche idonee create proprio per gestire in chiave moderna tutte le antiche opulenze del passato. Il simbolo indiscusso di Forum Traiani (antico nome di Fordangianus) è il com­ plesso termale di Caddas, che per circa quattro secoli è stato il fulcro della vita culturale, sociale e di sviluppo economico della città. Si tratta di due differenti edifici

pubblici costruiti in due periodi differenti, oggi definiti Terme I e Terme II. Le Terme I, risalenti presumibilmente al I secolo d.C., sorgono sulla riva sinistra del fiume Tirso seguendo il declivio na­ turale al fine di potenziare al massimo lo sfruttamento della risorsa. Il materiale usato per la costruzione è la pietra mag­ matica che il territorio produce in ab­ bondanza, ossia la trachite grigia, uti­ lizzata in grossi massi squadrati e con cui sono state lastricate pavimentazioni e vasche. Questa costruzione è inoltre delimitata da un muro contenitivo, rea­ lizzato appunto per controllare le piene del fiume Tirso in determinati periodi dell’anno. Al centro di questo settore c’è la natatio, ossia una grande vasca di forma rettangolare provvista di gradini sulla quale si affaccia quello che doveva essere un grandioso portico a sette archi con volta a botte. A ovest si trovano la sorgente da cui proveniva l’acqua calda


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(54°C), la vasca usata per miscelarla con quella fredda e gli spogliatoi. A est si trova il nympheum, destinato al culto delle divinità dell’acqua, le Ninfe. A nord della natatio si trovano invece altre va­ sche che contenevano acque di varie temperature e la cloaca, ossia in condotto sotterraneo che permetteva lo svuota­ mento della vasca centrale nel fiume. Le Terme II, risalenti a un periodo com­ preso tra la fine del II secolo e l’inizio del III secolo d.C., si distinguono dalle prime per diversi e fondamentali punti: la prima riguarda il tipo di costruzione e la complessità degli stili decorativi e tec­ nici: il complesso era a forma di esse, invece che nel classico opus quadratum (opera quadrata) e la pietra utilizzata fu il laterizio invece che la trachite. Questa scelta, oltre a essere più appropriata ai fini curativi, era anche un importante elemento igienico, non trascurato affatto dai romani. Inoltre, a differenza dell’altro edificio, tecnicamente più rudimentale, queste terme vantavano un riscalda­ mento artificiale dell’acqua e degli am­ bienti attraverso grandi fornaci e l’ag­ giunta di ambienti quali il calidarium, il tepidarium e il frigidarium che permette­ vano vari tipi di trattamenti termali in base alla temperatura dell’acqua (calda, tiepida o fredda). Le vasche delle Terme II sono molto eleganti e lastricate spesso di mosaici di pregio, alimentate da una geniale rete di canalizzazione e da pozzi e cisterne scavate nella roccia che ga­ rantiva acqua calda e fredda in tutto il complesso termale. Elementi partico­ larmente godibili in uno degli ambienti situato nella zona a sud sono alcuni affreschi di stile pompeiano che ritrag­

gono fiori e cavalli e sono databili intorno al IV secolo d.C. Con la caduta dell’Impero Romano e il susseguirsi di eventi che hanno ristabilito e rafforzato la cultura autoctona a For­ dongianus, questi edifici maestosi hanno vissuto secoli e secoli di oblio fino a essere riscoperte nel 1825 dallo storico locale Giuseppe Manno. C’è voluto quasi un secolo per portare completamente alla luce questa magni­ ficenza e per poterne apprezzare a pieno la grandiosità architettonica e strutturale, ma da quel momento Fordangianus ha costruito anche sulla sua storia e sulle sue origini la grandezza commerciale e turistica di cui oggi è protagonista. Gli abitanti di questa ridente cittadina, infatti, hanno saputo coniugare storia e modernità, antiche costruzioni dal fascino senza tempo e strutture ricettive di ele­ vato livello. In primis sono da nominare le cave di trachite rosa, rossa, verde e grigia tipiche della zona, da cui si estraggono i massi che vengono commercializzati come pro­ dotti per l’edilizia sia nell’arredo urbano (strade, marciapiedi e bordature) sia, da qualche tempo e grazie alle nuove tecniche di taglio più sottile, nell’abbel­ limento di interni. Ma il fiore all’occhiello di questa ridente perla dell’oristanese resta la preziosa acqua termale che coi suoi fanghi be­ nefici e di bellezza, le cure inalatorie, le terapie idropiniche e le sue alghe mira­ colose, impone la sua immensa grandezza nel panorama sardo dei servizi e del tu­ rismo.


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di ALBA MARINI

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Il messaggio segreto nell’UOMO VITRUVIANO Il professor Roberto Concas svela l’algoritmo dell’arte

n libro in uscita edito da Giunti, un secon­ do volume in attesa e una mostra per spiegare i risvolti dello studio svolto da Roberto Concas, storico dell’arte ed ex direttore dei Musei Nazionali di Cagliari. La materia della ricerca? La divina proporzione e l’uomo vitruviano del grande Leo­ nardo. Un’opera misteriosa che, a quanto emerso, na­ sconde una miriade di se­ greti, tra cui l’algoritmo dell’arte, ossia le proporzio­ ni perfette utilizzate dagli ar­ tisti per dar vita alle loro opere. Addentriamoci insie­ me al Professor Concas in questo viaggio matematico nel mondo della creatività. Buongiorno prof. Concas. Ci parli del suo studio sull’uo­ mo vitruviano e le propor­ zioni nell’arte. Cosa l’ha por­ tata a fare questa ricerca? Non studiavo l’uomo vitru­ viano. Ho iniziato 30 anni fa con i retabli. Mi domandavo perché avessero questa for­ ma così particolare, con le tavole centrali più alte, la ta­ vola centrale più larga ri­ spetto alle laterali e così via. Nel 2006 ho trovato un al­ goritmo, cioè una formula aritmetica, che mi consenti­ va di trovare le dimensioni delle tavole laterali e centra­ li dei retabli. Come le è apparsa questa formula? Questo algoritmo si è raffi­ gurato nella mia mente come un segmento fatto di tre parti, due parti strette ai lati e una centrale più larga. Nel 2012 ho provato ad ap­


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plicare questa formula su al­ tre opere d’arte che non fos­ sero retabli e la scoperta è stata sorprendente. Anche gli artisti che non suddivide­ vano i dipinti in tavole face­ vano riferimento a questo algoritmo. Ovviamente in questo caso usavano linee virtuali per impostare le sce­ ne. Prendiamo ad esempio un personaggio dipinto su un trono: il trono aveva una certa misura e il personag­ gio un’altra che era mate­ maticamente definita dalla formula matematica che ho scoperto. Di che epoca stiamo parlan­ do? Da quale momento ha potuto rintracciare l’utilizzo di questo algoritmo nell’arte? Mi sono mosso nei secoli cer­ cando di scoprire l’inizio pre­ sunto della ripetizione di que­ sto schema. Il primo esempio che ho trovato risale al IV se­ colo, nell’Arco di Costantino. Dal mio studio è emerso che tra il IV e il XVIII secolo tutti gli artisti utilizzavano questo al­ goritmo nelle loro opere, nes­ suna eccezione. Come si è inserito l’uomo vitruviano di Leonardo nel­ la sua ricerca? Sostanzialmente per caso. Trovandomi ad analizzarlo, ho potuto constatare che ai suoi piedi avesse una scala metrica segmentata, divisa in una parte centrale e due laterali più piccole, proprio come nella raffigurazione del mio algoritmo. Ho pen­ sato “Ma non è che anche Leonardo sta usando questa formula?”. Ho quindi subito applicato l’algoritmo e quale è stato il risultato? Sbaglia­ to! Ma non mi sono arreso

e, continuando a studiare l’uomo vitruviano, ho sco­ perto che si tratta sostan­ zialmente di un rebus. Leo­ nardo aveva criptato al suo interno delle informazioni. Per sciogliere quell’algorit­ mo e trovare quel dato arit­ metico giusto Leonardo ave­ va posto una incognita. Sciolta l’incognita mi si è aperto un mondo. Entrare in contatto con un genio come Leonardo non è stata certo una passeggiata. Ho lavora­ to con orari serratissimi per anni, cercando di cogliere i trucchi che Leonardo na­ scondeva nell’uomo vitru­ viano. E ne ho scoperto una montagna. La mia ipotesi è che L’uomo vitruviano sia stato uno strumento per tra­ smettere ai posteri le regole della divina proporzione. Perché Leonardo avrebbe scelto di celare l’algoritmo dell’arte senza svelarlo apertamente? Fra Luca Pacioli disse “la di­ vina proporzione è una scienza segretissima”. Leo­ nardo non poteva svelare l’algoritmo dell’arte, perché era un segreto, conoscerlo era una sorta di rito di inizia­ zione per tutti gli artisti. La posta in gioco sarebbe stata troppo alta: giocarsi il lavoro con la Chiesa e persino esse­ re messo al rogo. Lo stesso Pacioli, pur dedicando un volume alla divina propor‐ tione, rimase sempre vago, limitandosi a dire che essa, come Dio, è insieme una e trina, una sola cosa divisa in tre parti. Come si è accorto di trovar­ si di fronte a un rebus da ri­ solvere?

Studiando l’uomo vitruviano mi sono imbattuto in una serie di “errori”. I cerchi non sono cerchi e i quadrati non sono veri quadrati. Forse Leonardo non sapeva dise­ gnare? Impossibile. Ho quin­ di capito di trovarmi di fron­ te a un vero e proprio crip­ togramma. Ho iniziato a confrontarmi con i mille se­ greti dell’uomo vitruviano, lavorando persino con la mente rovesciata perché Leonardo scriveva non solo con la mano sinistra, ma specchiato, al contrario. È stato un lavoro molto duro che mi ha condotto verso scoperte sensazionali. Per esempio ci sono due figure all’interno dell’uomo vitru­ viano: quella di un uomo maturo e quella di un uomo più giovane.

A maggio 2020 avrà luogo una grande mostra a Caglia­ ri con il titolo ‘’L’inganno dell’Uomo Vitruviano. L’al­ goritmo della divina pro­ porzione”, organizzata dal Polo Museale Statale della Sardegna. Cosa dobbiamo aspettarci? Non posso rivelare tanto a riguardo. Quel che è certo è che la mostra ha un intento: svelare l’algoritmo dell’arte utilizzando le opere. Questo studio sulla divina propor­ zione apre uno scenario as­ solutamente inedito nel mondo dell’arte. I visitatori dovranno fare lo sforzo di capire come e perché gli ar­ tisti utilizzassero questa for­ mula. Sul perché, vi avverto, ci saranno delle vere e pro­ prie sorprese.


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LA RETE DELLE GRANDI MACCHINE A SPALLA ITALIANE di MARCO SCARAMELLA

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’Italia è ricca di solennità religiose che celebrano il proprio santo pa­ trono con grandi feste di paese e sfilate in processione. Queste, spesso e volentieri, prevedono l’utilizzo di pesanti ed articolate strutture, da trasportare in spalla. Queste celebrazioni sono par­ ticolarmente ricercate in quattro specifici centri storici, che fanno parte della Rete delle Grandi Macchine a Spalla italiane. Si tratta di un’associazione, nata nel 2006, che include quattro feste religiose catto­ liche italiane. Dal 2013 la rete è inserita nel Patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO. Stiamo parlando di Nola (in Campania), Palmi (in Calabria), Vi­ terbo (nel Lazio) e la nostra Sassari. Gigli di Nola. A Nola, con la Festa dei Gigli, i nolani ricordano ogni anno il leg­

gendario ritorno in paese del Vescovo Paolino dalla prigionia in terra lontana, a seguito delle invasioni di Alarico nel 410 dc. La domenica dopo il 22 giugno, si svolge la processione di otto obelischi di legno, i gigli, che rappresentano le otto corporazioni di mestieri locali. Questi sono ornati con rivestimenti di cartapesta, dove sono raffigurati temi religiosi o di attualità. Ogni giglio prende il nome da una delle antiche corporazioni di arti e mestieri e, durante la proces­ sione, si susseguono secondo un ordine immutato nel tempo: Ortolani, Salumieri, Bettolieri, Panettieri, Barca, Beccai, Cal­ zolai, Fabbri, Sarti. Tra gli otto obelischi è presente la Barca, che celebra il ritorno di San Paolino, via mare. Varia di Palmi. La Varia è una festa po­ polare che si svolge l’ultima domenica di agosto a Palmi, in onore della Ma­

donna della Lettera patrona e protettrice della città. La Varia è un enorme carro sacro che rappresenta l’Universo e l’as­ sunzione in cielo della Vergine Maria. La struttura conica è rivestita di carta argentea e rappresenta il cielo. Sul punto più alto del carro, a 16 metri, siede l’Animella, una ragazzina che rappresenta la madre di Gesù. Sotto di lei, un ragazzo personifica il Padreterno, mentre altri 30 bambini rappresentano gli angioletti. Dal peso di circa 20 tonnellate, la com­ plessa macchina è composta da grandi travi di legno, unite tra loro da chiodi e bulloni intorno al “cippu”, il basamento su cui viene poi costruito tutto il carro. Candelieri di Sassari. La Faradda di li candareri è la festa che si tiene a Sassari la sera precedente alla festa della Madonna Assunta, ovvero il giorno di Ferragosto. La discesa è una proces­


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Da sinistra: I Candelieri di Sassari, la Varia di Palmi, i Gigli di Nola e la Macchina di Santa Rosa di Viterbo

sione danzante durante la quale i can­ delieri vengono trasportati a spalla, dai rappresentanti dei gremi, le corporazioni cittadine: fabbri, calzolai, macellai, vian­ danti, piccapietre, contadini, ortolani, fa­ legnami, sarti, muratori e massai. I Can­ delieri sono dei ceri votivi a forma di grandi colonne di legno. Attualmente non superano quattro quintali di peso. Si compongono di tre parti: una parte superiore a forma di capitello sulla quale vengono sistemate numerose bandierine e il gagliardetto col nome dell’obriere di Candeliere, dalla punta pendono dei na­ stri colorati, “li vetti”. Il fusto del Can­ deliere è alto tre metri e del diametro di quaranta centimetri, riporta l’immagine del santo patrono e i simboli del Gremio. La macchina di legno nella parte inferiore è completata da una base con quattro stanghe incrociate e otto postazioni per il trasporto a braccia. Macchina di Santa Rosa di Viterbo. La Macchina di Santa Rosa è un baldacchino trionfale che durante la festa del 3 set­ tembre trasporta per le vie di Viterbo la statua di Santa Rosa, patrona della città. L’origine della macchina è legata alla tra­ slazione del corpo di Santa Rosa dalla chiesa di Santa Maria in Poggio al san­ tuario a lei dedicato, avvenuta il 4 settem­ bre del 1258. La struttura, in stile barocco, era molto semplice rispetto alla versione odierna. Nel corso degli anni, infatti, il baldacchino viene man mano imprezio­ sito, finché non si decide di rinnovare la macchina ogni cinque anni anziché ogni

tre. Durante il XX secolo, con la macchina intitolata “Volo d’angeli”, la concezione della Macchina di Santa Rosa cambia profondamente. Si abbandonano le linee neo gotiche a favore di nuove soluzioni, e la statua della santa viene liberata dalle antiche sovrastrutture. Inoltre la composizione rimanda alle architetture tipiche della città. Tutte queste celebrazioni richiedono il coinvolgimento di musicisti e cantanti, ma anche di abili artigiani che fabbrichino le strutture processionali e che creino gli abiti ed i manufatti cerimoniali. La condivisione coordinata dei compiti in un progetto comune è una parte fonda­ mentale delle celebrazioni, che uniscono le comunità attraverso il consolidamento del rispetto reciproco, della cooperazione e dello sforzo comune. Queste eccezionali macchine sono, inol­ tre, diventate recentemente protago­ niste di un’installazione dal titolo “Con straordinario trasporto”, in mostra a Milano dal 18 dicembre 2019 al 14 feb­ braio 2020. La mostra è prodotta dallo Studio Museo Francesco Messina di Mi­ lano, in collaborazione con la Rete delle Grandi Macchine a Spalla Italiane Patri­ monio Unesco e l’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia. La mostra è cu­ rata da Patrizia Nardi, Maria Fratelli e Pa­ trizia Giancotti, ed è completata dal film di Francesco De Melis proiettato, come un affresco digitale, sulla volta e sotto gli archi della chiesa sconsacrata di San Sisto, location dell’installazione.


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Bruno Brzic

Felipe Roberto Braz

LA RAIMOND SASSARI VERSO UN POSTO NEI PLAYOFF

Striscia positiva bloccata dal Conversano, ma la squadra sassarese ha già ripreso la sua corsa di ERIKA GALLIZZI foto CLAUDIO ATZORI

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i è fermata a sei la striscia positiva della Raimond Handball Sassari nel campionato di Serie A1 di pal­ lamano. Al ritorno in campo, dopo la pausa natalizia e gli impegni delle Na­ zionali, la squadra di coach Luigi Passino ha sconfitto, di fronte ai propri tifosi del PalaSantoru, la Banca Popolare Fondi, in una gara praticamente a senso unico, mentre la settimana successiva, è in­ ciampata sul campo della capolista Con­ versano, sfiorando l’impresa e dando vita ad uno scontro durissimo, non “ge­ neroso” in fatto reti, ma ricco di emozioni. L’onorevolissimo stop, però, non ha de­ concentrato la formazione sassarese, che ha poi battuto il fanalino di coda della classifica, Metelli Cologne, conso­ lidando la sesta posizione in graduatoria, a quattro punti di distacco dalla più im­ mediata inseguitrice (Pressano), uno

solo dal gradino più alto occupato dalla Brixen e due dal quarto posto (Cassano Magnago). Diversi i protagonisti in questo trittico di partite, che ha segnato l’inizio del nuovo anno solare, con Allan Pereira che sta evidenziando una buona conti­ nuità di rendimento (7 reti col Fondi e 8 col Conversano) insieme, in particolare, a Giovanni Nardin (6 reti col Fondi e 7 col Metelli Cologne). Bruno Brzic, invece, ha “bucato” la rete otto volte nel match casalingo con i laziali, Esteban Taurian sette volte nella stessa partita e Felipe Roberto Braz sei nell’ultima. Chi man­ tiene lo scettro di miglior marcatore dei rossoblù, però, è Riccardo Stabellini, con 72 reti, che gli valgono il quindice­ simo posto nella speciale classifica del­ l’intero campionato. Pereira e Stabellini hanno detto la loro anche in Nazionale, in occasione delle qualificazioni ai Mondiali di Egitto 2021,

poco fortunate per il team azzurro. L’ita­ lo­brasiliano ha messo a segno 4 reti in tre gare, mentre Stabellini ha centrato la porta cinque volte contro il Kosovo, match terminato in parità. L’Italia ha poi colto due sconfitte con Georgia e Romania. A dieci partite dalla fine della regular season, la Raimond procede spedita puntando un posto nei playoff. Ricor­ diamo che la formula del campionato prevede, quest’anno, i quarti di finale che apriranno le danze in due gare, per poi andare all’ultimo rush di semifinali e finale, turni al meglio delle tre partite. Retrocedono in A2 le squadre classificate al tredicesimo e quattordicesimo posto al termine della regular season (attual­ mente Trieste e Metelli Cologne). Nel mese di febbraio i rossoblù sassaresi sono attesi da tre scontri con formazioni non di vertice, che si trovano in zone più basse della classifica: con l’Alperia Merano, in casa della Sparer Eppan ed al PalaSantoru contro Trieste. Nel girone di andata, la Raimond ha centrato il pa­ reggio con la prima e la vittoria con le altre due. Tutte le gare della Serie A1 possono es­ sere seguite in live streaming sulla piatta­ forma PallamanoTV (pallamano.tv) o attraverso il live ticker su figh.it.


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Dwight Coleby

DINAMO SASSARI AFFATICATA, MA ORA C’È LA COPPA ITALIA QUALCHE PASSO FALSO PER GLI UOMINI DEL POZ, MA LE CLASSIFICHE CONTINUANO A SORRIDERE di ERIKA GALLIZZI foto LUIGI CANU

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rosegue il cammino della Dinamo Banco di Sardegna Sassari nella Serie A di basket e nella Fiba Ba­ sketball Champions League. Un po’ di fatica, ultimamente, ma le classifiche con­ tinuano a sorridere alla banda di coach Pozzecco. Una striscia di nove vittorie consecutive interrotta, con due sconfitte patite in campionato, mentre in coppa il cammino è stato un po’ più sereno. Una bella notizia, in casa Dinamo, arriva da Dyshawn Pierre, che è stato incoronato miglior giocatore del campionato per quanto riguarda il mese di gennaio (a dicembre il riconoscimento era toccato a Evans). L’atleta nativo di Whitby, in Canada, è in piena corsa per la vittoria di MVP dell’intera stagione, con un cam­ pionato giocato a livelli davvero eleva­ tissimi che lo sta definitivamente consa­ crando e proiettando verso i palcoscenici più alti del basket europeo. Il pubblico biancoblù se lo godrà sino a fine stagione poi, verosimilmente, dovrà salutarlo ed abituarsi a vederlo con casacche e in competizioni più prestigiose. Con coach Pozzecco Pierre si è evoluto in un gioca­ tore completo, che abbina le sue straor­ dinarie doti di attaccante ad una solidità difensiva sempre crescente. Ma il nuovo anno ha portato anche una novità, con la partenza di Jamel McLean, che ormai si attendeva da parecchio, e l’arrivo del lungo bahamense Dwight Coleby, a Sassari, dopo un’esperienza

nella Super Ligi turca, per assicurare energia e dinamismo. Periodo non troppo brillante, diceva­ mo… qualche affanno in più rispetto ad altri momenti, ma è anche vero che la Dinamo doveva prepararsi per cercare di vincere il suo secondo trofeo stagio­ nale, la Coppa Italia. La Zurich Connect Final Eight è, infatti, in programma dal 13 al 16 febbraio e avrà come scenario la Vitrifrigo Arena di Pesaro. La Dinamo esordirà venerdì 14, alle ore 18:00, nel match dei quarti di finale contro la Happy Casa Brindisi; in caso di vittoria, troverà in semifinale il giorno dopo (ore 21:00) la vincente della gara tra Brescia e Fortitudo Bologna. Dall’altra parte del tabellone Virtus Bologna e Venezia, Mi­ lano e Cremona. La finalissima è in pro­ gramma domenica 16 febbraio alle ore 18:00. Tutte le gare saranno trasmesse in diretta su Rai Sport HD, Eurosport 2 ed Eurosport Player. Nel mese di febbraio la Dinamo non giocherà altre partite “in Italia”. Nel turno di campionato precedente alla Final Eight, infatti, il Banco riposerà, mentre l’ultimo weekend del mese la Serie A si fermerà per gli impegni delle Nazionali nelle qualificazioni all’Europeo del 2021. Per l’occasione, figurano tra i pre­convocati del CT Azzurro Meo Sac­ chetti, Marco Spissu e Michele Vitali. In Fiba Basketball Champions League, invece, i sassaresi voleranno sul campo spagnolo del Manresa per concludere il proprio girone di regular season, prima di affrontare il Round of 16.


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Cug ia

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LA DINASTIA DEI CUGIA di DANIELE DETTORI

L

a casa del prof. Antonio Rai­ mondo Cugia è un piccolo scri­ gno di documenti ai quali ci lascia volentieri attingere per cono­ scere la lunghissima storia della sua nobile famiglia. E da scoprire c’è dav­ vero tanto; troppo per le poche parole che qui abbiamo. Ci limiteremo, quindi, a tracciare alcune generali pen­ nellate. Cugia è un cognome che sembra arri­ vare da lontano. Se a Sassari è docu­ mentato a partire dal basso medioevo,

tracce più antiche si trovano in Spagna e in Francia, nella regione della Pro­ venza. Ma concentriamoci sulla nostra isola. Pare che già agli inizi del 1300, tra gli inviati dell’allora Regnum Sardi­ niae ad Avignone per rendere omaggio al nuovo sovrano, figurasse un certo don Gaspare Cugia. Sappiamo poi che un Francesco Domenico Diego Cugia nacque a Sassari verso il 1530 e, dot­ tore in legge, sposò una nobildonna la cui discendenza, negli anni a venire, avrebbe reso la famiglia tra le più bla­ sonate. Nel 1709, per esempio, Giam­ battista (o Giovanni Battista) Cugia fu

governatore di Sassari (corrispondente all’attuale carica di sindaco) ai tempi dell’impero spagnolo, e ricevette dal­ l’imperatore Carlo VI, nel 1716, il titolo di Marchese e il predicato d’uso di Sant’Orsola. La carriera in ambito giurisprudenziale e nella cura degli affari di Stato è una peculiarità che per generazioni ha con­ traddistinto la famiglia, nell’isola e fuori. Don Litterio Cugia, per esempio, nato a Messina nel 1728, vi fece ri­ torno come Giudice della Reale Udienza e Referendario dell’Ordine Mi­ litare dei Santi Maurizio e Lazzaro. Dobbiamo invece spostarci al 1818 per veder nascere Efisio Cugia di Sant’Or­ sola: la sua figura è importante perché strettamente collegata all’Unità d’Ita­ lia. Arruolatosi al termine degli studi, sopravvisse ferito, nel 1848, alla Prima Guerra d’Indipendenza. Decorato al valore, partecipò a diverse campagne militari divenendo Generale e, nel 1860, Capo di Stato Maggiore del Corpo d’Esercito. Maturò anche una brillante carriera politica in seguito all’elezione in Parlamento come depu­ tato del Regno di Sardegna dalla V alla XI legislatura. Vantò, inoltre, una parti­ colare vicinanza alla famiglia reale: era molto amico, infatti, della Regina Mar­ gherita di Savoia, moglie di Umberto I. È stato proprio Diego Cugia di Sant’Or­ sola, uno degli ultimi discendenti di questa nobile famiglia, a pubblicare su La Nuova Sardegna dell’8 aprile 1998, una lettera fino a quel momento ine­ dita, inviata dalla Regina al Generale, che testimonia quest’ottimo rapporto. Chiudiamo con lo stemma della casata che – diviso in due parti – rappresenta nel riquadro superiore, di color blu, un cane d’argento e un’aquila d’argento che vola verso il sole dorato alla sua destra; nel riquadro inferiore, di color oro, una campagna erbosa sulla quale svettano un olmo verde e un leone rosso che impugna una spada argen­ tata in alto palo.

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Il Dott. Giuseppe Massaiu è un professionista di riferi­ mento e opinion leader in tema di Odontoiatria Naturale e Biologica, insegna in corsi frontali e on­line argomenti clinici ed extra­clinici legati al mondo della Odontoiatria e della Medicina Naturale, Posturale e Olistica oltre che del Management e del Marketing Odontoiatrico.

Curiosità sul mondo odontoiatrico

stock.adobe.com | Maksym Yemelyanov

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e si prova a digitare “implantolo­ gia” o “impianti dentali” su Goo­ gle, si verrà subito travolti da una gran varietà d’informazioni di ogni tipo, spesso espresse con paroloni complicati. Per questo motivo ho voluto scrivere questo breve articolo, in modo da chiarire quei pochi, semplici punti necessari a farsi un’idea chiara sul l’argomento. Partiamo dal nocciolo della questione. Che cos’è, in pratica, l’impianto dentale? Semplice: una vite di titanio puro che viene avvitata all’interno dell’osso che si trova sotto la gengiva. A questa vite, poi, si fisseranno dei nuovi denti fissi, chiamate corone. Si metterà, di solito, un impianto per dente mancante. Quando sono andati perduti, però, tutti i denti di un’intera arcata (mascella o mandibola che sia) si procederà con tecniche quali la “Toronto Bridge”, ovvero una protesi totale fissata su quattro o sei impianti, chiamate per questo “all on four” oppure “all on six”. Se si ha poco osso, salvo rare eccezioni, è ormai possibile rigenerarlo mediante un semplice intervento in cui si viene inserito del materiale biocompatibile che, in pochi mesi, andrà a ricreare ma­ teriale osseo a sufficienza per inserire la vite e applicare l’impianto. Ma perché una persona dovrebbe mette­ re degli impianti? Al di là della mera questione estetica, infatti, bisogna considerare che i denti non vanno mantenuti solo per bellezza, ma hanno uno scopo funzionale impor­ tante. Ogni volta che mangiamo muo­ viamo su e giù per dozzine, centinaia di volte mascella e mandibola, e ogni volta che i denti non si toccano correttamente tra loro li forziamo a muoversi in maniera scorretta.

Che cos’è un impianto dentale? Questa, sul lungo periodo (provate a moltiplicare nella vostra mente quei movimenti sbagliati per decine di migliaia di volte negli anni) porta ad altri problemi in bocca e non solo, anche nel resto del corpo. Come disse una volta un mio professore all’università: “C’è un motivo perché abbiamo tutti i denti, non ci pos­ siamo permettere di perderli e sperare di rimanere in salute”. La cosa interessante è che, anche nel caso in cui i denti siano stati trascurati a lungo, oggi con il carico immediato si può risolvere il problema in appena 24 ore! Se l’osso è solido e in quantità suffi­

ciente, infatti, con un breve intervento chirurgico e una attesa di appena una giornata si può essere messi in condizione di uscire fuori dallo studio con un nuovo, smagliante sorriso! Se qualcuno ti dice che il tuo caso è im­ possibile e che non puoi mettere gli im­ pianti per mille e una ragione, prima di scoraggiarti rivolgiti ad un implantologo esperto, che saprà trovare la soluzione giusta al tuo caso! Ogni mese il Dott. Massaiu risponderà ad uno di voi. Inviate le vostre domande a: dott.massaiu@shmag.it. www.studiomassaiu.it

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