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33 1/3 di Luigi Frassetto: Un coraggioso progetto di musica per immagini di NIKE GAGLIARDI
dalle colonne sonore del grande cinema d’autore degli anni 1/3 rappresenta già Sessanta e Settanta. Ma a dal titolo una di- quella che appare come la richiarazione di in- cerca del tema d’amore pertenti: allude infatti ai vecchi fetto, delicato ordito attorno long playing in vinile e alla a cui Frassetto tesse una traprecisa velocità di rotazione ma di convincenti elaborazioni che permette la riproduzione orchestrali, si accompagna dei materiali sonori incisi su un’anima jazzy, con significadisco. E il gusto apertamente tive virate verso atmosfere rétro delle 12 tracce concepite dalle tinte più vivacemente per questo primo album da rock, surf e swing. Luigi Frassetto, musicista e Presentato a Sassari il 14 giucompositore sassarese che gno nell’ambito di un grande torna a far parlare di sé a cin- cine-concerto al Teatro Verdi, que anni dall’EP di debutto in 33 1/3 confluiscono comThe R.J. Sessions, ha radici posizioni pensate per una senelle suggestioni provenienti rie di produzioni filmiche: mu-
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sica per immagini e che alle immagini riporta, nell’eterogeneità dei paesaggi sonori evocati. Si parte in punta di piedi con una delicatissima e jazzata 16 febbraio, la cui magia risiede nella misura mantenuta dagli arrangiamenti e da un tema indovinato ed efficace. Si prosegue con una morriconiana – e che probabilmente Petri avrebbe gradito – Wasteland Pt.1, suite di sei minuti in cui a un’atmosfera ritmata e incalzante si sostituisce l’inciso di un motivo d’amore arioso che riporta il pensiero alla Nino Rota Ensamble, e con
Wasteland Pt.2, più acida e psichedelica. Una tesissima linea di basso e sonorità più fredde aprono il lato B dell’album con Surf Bolero, giusta introduzione per Some Sort of Cool, mentre il procedere “danzante” de L’angelo di Balai ci traghetta verso scenari più rarefatti e mediterranei con una coda che varia verso il 4/4 (e che vede Rob Jones al synth) e funziona da psichedelico bridge a preparare la transizione verso le due composizioni - ideate per l’omonimo documentario - Luci a mare (La pesca) e Luci a mare (Tema). Piccolo gioiello è Sprks 3, con una sezione ritmica solida e una intro più decisamente rock (ma senza rinunciare a una coloritura vintage), impreziosita inoltre dall’interpretazione vocale di Daniela Pes. I due Tema del bacio ci riportano invece ad atmosfere amarcordiane: posti a suggellare i due lati dell’album, ci congedano da questo con malinconica dolcezza. La seconda versione – il tema in primo piano e un’aura d’archi sapientemente ricamatavi attorno – chiude un lavoro (coraggiosamente) animato da una molteplicità d’influenze, che vengono però “domate” e ordinate da uno sguardo d’insieme contemporaneamente partecipativo e razionale. 33 1/3 è un disco di respiro europeo, meritorio di un ascolto attento e, cosa rara di questi tempi, frutto di una ricerca accurata e di un’ispirazione genuina.
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S&H MAGAZINE Anno XXIV - N. 274 / Luglio 2019 EDIZIONE SASSARI+CAGLIARI
Direttore Responsabile MARCO CAU Ufficio Grafico GIUSEPPINA MEDDE Hanno collaborato a questo numero: LUIGI CANU, DANIELE DETTORI, FRANCA FALCHI, HELEL FIORI, NIKE GAGLIARDI, ERIKA GALLIZZI, ALESSANDRO LIGAS, ALBA MARINI, GIUSEPPE MASSAIU, ANNALISA MURRU, MANUELA PIERRO, MARCO SCARAMELLA
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Redazione Sassari, Via Oriani, 5/a - tel. 079.267.50.50 Cagliari, tel. 393.81.38.38.2 mail: redazione@shmag.it
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Editore ESSEACCA S.r.l.s., Via Oriani, 5/a - Sassari Per la pubblicità: tel. 335.722.60.54
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18 03 33 1/3 di Luigi Frassetto Un coraggioso progetto di musica per immagini
05 Stand-Up Comedy Sardegna Umorismo senza censure
06 Le app che te lo leggono in faccia Sicurezza, videosorveglianza e interazioni con i beni culturali
08 FLÜB Back to the eighties
10 Il Parco di Molentargius Passeggiata tra gli stagni, le saline e i fenicotteri rosa
12 Noi possiamo entrare Dalla Sardegna una guida sulla convivenza con gli animali
14 Francesco Merella La fotografia che racconta il cambiamento
22 16 I Magnifici 3
I piatti italiani più famosi nel Mondo
18 Giogus Antigus
I giocattoli tradizionali della Sardegna
issuu.com/esseacca Registro Stampa: Tribunale di Sassari n. 324/96. ROC: 28798. © 2019. Tutti i diritti sono riservati. È vietato riprodurre disegni, foto e testi parzialmente e totalmente contenuti in questo numero del giornale.
20 Dalia Kaddari
Di corsa verso il successo
22 CRAMA Asinara
Il Centro Recupero Animali Marini
24 Dinamo Banco di Sardegna
La squadra di coach Pozzecco è andata a un passo dal titolo, cedendo a Venezia dopo 7 gare
26 HITWEETS 28 Helmut e Giovanni Una storia particolare
29 Il dentista risponde Lo sbiancamento dentale
30 Dillo a foto tue
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in Copertina
DALIA KADDARI Foto Franco Lecis
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comici nazionali del calibro di Saverio Raimondo e Francesco De Carlo, ed internazionali, come Judah Friedlander.
Albert Huliselan Canepa e Alessandro Cappai
STAND-UP COMEDY SARDEGNA
Umorismo senza censure di MARCO SCARAMELLA
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vete mai sentito parlare, o avete mai assistito ad uno spettacolo di stand-up comedy? No? Questo genere di comicità (che in Italia trova i suoi antenati, ad esempio, in Benigni, Grillo o Luttazzi) si discosta dal cabaret nostrano, sia nella forma che nei contenuti. Si tratta di un umorismo, di stampo anglosassone, nel quale il comico è libero di assecondare il suo stile personale e di parlare di qualsiasi cosa: dalle nevrosi personali ai tabù sociali.
La stand-up comedy, nasce in Inghilterra e negli Stati Uniti nei club e nelle bettole, e solo dopo, arriva nei teatri. In sostanza, si tratta di un comico che, in piedi davanti ad un microfono, parla ad un pubblico, sfondando la quarta parete. In Italia, torna alla ribalta grazie a Netflix, che sta proponendo diversi speciali, dedicati a comici sia italiani che internazionali. In Sardegna, invece, riscuote molti consensi grazie all’associazione Stand-Up Comedy Sardegna. L’associazione nasce 3 anni fa, da un’idea
di Alessandro Cappai (già autore per altri comici) e di Albert Huliselan Canepa (che ha già calcato i palchi di tutta Italia). Alessandro e Albert, allievi di Daniele Luttazzi, sono anche autori del sito satirico Lercio.it. La nascita dell’associazione ha fatto sì che col tempo si potesse creare una vera e propria scena sarda di stand-up comedian, che ora conta un bel gruppo di circa 15 persone. L’associazione è reduce dal Cagliari Comedy Festival, organizzato in collaborazione con gli Intrepidi Monelli. Il festival, tenutosi lo scorso giugno, ha ospitato
Com’è fare stand-up in Sardegna? La cosa bella – ci racconta Alessandro – è che, a differenza di alcune città Italiane, dove si fatica a creare una scena di comici locale, a Cagliari, invece, è nato un bel gruppo di comedian. Abbiamo comici di tutti i tipi, che abbracciano stili e temi diversi: si va dai classici come politica, sesso, religione e morte, fino a monologhi su argomenti più leggeri e surreali. Avete nuove serate in programma? Saremo a Nuoro all’ExMè il 10 e 24 luglio, a Quartu all’Hostel Sardinia il 12 e 26 luglio, a Siniscola all’Area 34 il 18 e 28 luglio. A Cagliari continueremo a lavorare tutta l’estate al De Candia e al The Cork. Verso settembre/ottobre riprenderemo con i nostri open mic al Jester Club. Inoltre, sempre a settembre, riprenderemo anche con la rassegna che ogni mese ospiterà i migliori stand up comedian italiani, al teatro Intrepidi Monelli. Ringraziamo Alessandro e Albert e vi ricordiamo che, per rimanere sempre aggiornati sulle attività di Stand-Up Comedy Sardegna, potete seguirli su Facebook e Instagram.
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Sicurezza, videosorveglianza e interazioni con i beni culturali: le app che te lo leggono in faccia di ALESSANDRO LIGAS
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film e i telefilm sono sempre stati il luogo ideale dove poter far viaggiare la fantasia dei registi, dei telespettatori, ma anche il campo ideale dove è possibile far incontrare la scienza e la fantascienza. Negli anni Settanta ed Ottanta nelle pellicole cinematografiche e nelle fiction di fantascienza le porte si aprivano da sole o, nei casi di basi segrete e stanze nascoste, si utilizzavano sofisticati sistemi che permettevano di aprirle attraverso il riconoscimento facciale o con le impronte digitali. Le fiction odierne si sono spinte oltre. Ad esempio, grazie all’Intelligenza Artificiale e a tecniche biometriche si raccolgono illegalmente dati in tutto il globo dagli impianti di sorveglianza pubblici e privati, con l’obiettivo di prevedere gli eventi e individuare i criminali.
Ma a che punto è la ricerca rispetto al futuro descritto nelle serie televisive? I ricercatori sono riusciti a far diventare scienza la fantascienza dello schermo e il riconoscimento facciale una tecnologia che oggi usiamo quotidianamente. Possiamo bloccare o sbloccare con uno sguardo gli smartphone, le auto riconoscono quando il guidatore è stanco e non è più in grado di guidare. Al centro di ricerca, sviluppo e studi superiori in Sardegna, Crs4, con sede presso il Parco tecnologico di Pula, si studia il futuro immaginato nelle serie televisive. Il gruppo di ricerca Content Technologies & Information Management, guidato da Maurizio Agelli, da anni lavora ad una serie di applicazioni che permettono di riconoscere, all’interno di una immagine o di un video, un volto riuscendo a fornire anche altre tipologie d’informazione, come l’età, il
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genere o l’espressione facciale, in tempo reale. Il progetto si chiama DEEP, acronimo di “Data Enrichment for Engaging People”, sviluppato in collaborazione con la società Alkemy SpA, con l’obiettivo di realizzare una piattaforma di analisi e previsione in grado di trattare in tempo reale grossi flussi di contenuti testuali e visuali, provenienti da molteplici contesti ad alta frequenza di produzione. “Sicurezza, sorveglianza del territorio ma anche comprensione delle interazioni dei visitatori di un museo di fronte ad un’opera d’arte - spiega Maurizio Agelli - sono soltanto alcuni degli sviluppi che si possono immaginare. Le tecnologie che abbiamo sviluppato partono dal concetto fondamentale di estrarre informazioni dalle immagini e di come sia possibile interpretarle. Quindi non sono solo informazioni che si limitano a descrivere l’immagine, ma proprio dati che delineano la scena nell’immagine e che riconoscono gli oggetti”. Analisi che si possono certamente fare “a mano”, a posteriori, sia su immagini che su video ma che sono estremamente onerose in termini di tempo e di persone. “Se pensiamo ad archivi di migliaia di fotografie e immagini video da analizzare - prosegue il ricercatore - possiamo soltanto immaginare il tempo necessario per completarlo, senza contare che questa tipologia di lavoro non è possibile farla in tempo reale. Basti pensare a quei casi in cui una videocamera riprende una scena 24 su 24 e dove non è possibile fare un lavoro a posteriori perché è necessario prendere decisioni immediate. Come nel caso del settore della sicurezza inteso sia nel senso di security, per verificare che non entrino una certa tipologia di persone all’interno di un evento o di un’area, o semplicemente intesa come safety ossia l’accorgersi che determinati movimenti di folla possono diventare pericolosi se non sono rilevati in tempo reale e se non si pongono in essere nell’immediato azioni specifiche”.
Il progetto Deep si articola in diversi ambiti: telecomunicazioni, turismo/beni culturali e new media. “Noi ora siamo concentrati sul settore del turismo e dei beni culturali - prosegue il ricercatore dove stiamo sviluppando due tipologie di prototipi. Il primo è finalizzato a monitorare le reazioni dei visitatori di fronte ad un determinato artefatto visuale, ossia capire quante persone si fermano, cosa guardano, per quanto tempo, quali sono le caratteristiche di queste persone e quindi identificare dal volto la loro età, il genere, capire se effettivamente stanno guardando l’opera o stanno guardando altrove. Inoltre, il sistema riesce anche a leggere le espressioni facciali classificate in sette tipologie: felicità, disgusto, paura, sorpresa, tristezza, rabbia e neutrale. Il secondo è finalizzato a monitorare le persone presenti in grandi spazi, ad esempio contando le persone presenti in una piazza e identificandone i flussi alle varie ore del giorno. L’obiettivo è quello di cercare di comprendere, ed eventualmente, indirizzare, l’esperienza culturale del visitatore tarandola sulle sue esigenze”. Queste ricerche hanno suscitato un forte interesse anche in altri ambiti come in quello commerciale e nel marketing, dove da sempre, si vuole capire chi sono le persone che acquistano, conoscere le loro caratteristiche e soprattutto gli interessi in real time. Gli studi non si esauriscono qui e si sta già pensando a future applicazioni come ad esempio riuscire a tracciare e monitorare dove una persona, o un flusso di persone, si sposta all’interno di una camera o di uno spazio aperto ma anche avere la possibilità di fare stime precise. Tutte queste informazioni verrebbero poi proiettate in modelli e mappe 3D in modo da vedere in real time cosa sta succedendo e “prevederlo”. Ma queste tecnologie portano con sé anche delle criticità legate ad aspetti legali e sopratutto di privacy senza contare poi, nel caso di autonomia d’azione, di etica.
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FLÜB
Back to the eighties di MARCO SCARAMELLA
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a quanto erano belli gli anni ’80! Tutto ciò che ha caratterizzato l’intero decennio (vale a dire canzoni, film, telefilm, personaggi, pettinature, abiti, veicoli) viene idealizzato e ricordato con nostalgia. Proprio per questo, ormai da alcuni anni, la cultura pop anni ‘80 è piombata prepotentemente nella cultura contemporanea. Pensiamo al fenomeno Stranger Things o Ready Player One, per quanto riguarda solo serie tv e cinema. E la musica, che è sensibile anche ai più piccoli mutamenti della società, si fa testimone di questo sentimento con la nascita della synthwave. La synthwave è un genere di musica elettronica (nato a metà degli anni 2000) che trae origine da questa ondata nostalgica per gli eighties. E lo fa riproponendo i suoni synth (tipici delle iconiche colonne sonore di Supercar, Beverly Hills Cop, Fuga da New York) e le atmosfere sgargianti e punk, appartenenti a quel periodo. Per fare questo, vengono utilizzati dei modelli propri della musica
anni Ottanta, come le batterie elettroniche, i riverberi e, soprattutto, le melodie create con i sintetizzatori elettronici. Da un punto di vista visivo, invece, la synthwave viene accostata al classico filone fantascientifico, horror e cyberpunk, alla Alien o Blade Runner. Uno dei primi esponenti della synthwave in Sardegna, è un talentuoso ragazzo di Sassari, Gianluca Ganga aka Flüb. Appassionato di musica anni ‘70 e ‘80 fin da piccolo, crescendo scopre e studia la cultura Hip Hop. Dopo molto studio e ascolto degli artisti internazionali, arriva alla musica elettronica. Inizia a sperimentare sui synth e a produrre i primi beat. Così, da nostalgico degli anni ’80, si appassiona alla synthwave, con la quale inizia a sperimentare e a produrre musica. Recentemente, Flüb ha pubblicato un singolo molto particolare, Sphera. Questo pezzo parla di autostima. Il protagonista del video è un viaggiatore spaziale, un uomo che sta perdendo la propria autostima, ma che continua a cercarla ovunque, ed è disposto a far di tutto pur di
riconquistarla, anche viaggiare da un pianeta all’altro. Il video è stato girato da Andrea Atomo Ru, in collaborazione con Enrico Pinna e con la partecipazione di Antonella Nereide Peralta. Sphera anticipa un album di prossima uscita (prodotto da Nootempo Sardinia factory), che vedrà la luce entro il 2019. L’album sarà un mix di sonorità, non solo synthwave. L’album conterrà anche tracce di musica elettronica e trip hop. Il messaggio contenuto in questo lavoro è quello di seguire i propri sogni e di ragionare sempre con la propria testa, senza farsi influenzare dal giudizio degli altri. Ringrazio Gianluca, e vi ricordo di seguirlo su Facebook e Instagram o sul canale YouTube di Nootempo, per rimanere aggiornati sulla sua musica.
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Il Parco di Molentargius Passeggiata tra gli stagni, le saline e i fenicotteri rosa di ALBA MARINI
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el cagliaritano esiste un luogo dove natura e storia si fondono. Dalla dismissione delle attività di estrazione del sale avvenuta nel 1985, infatti, l’area umida del Molentargius è diventata un parco faunistico di interesse internazionale, famoso per ospitare la nidificazione dei fenicotteri rosa. Il Parco di Molentargius si estende per circa 1600 ettari ed è delimitato dai comuni di Cagliari, Quartu Sant’Elena, Selargius e Quartucciu e dalla lunghissima spiaggia del Poetto, uno dei più famosi litorali della Sardegna. Dal punto di vista ambientale l’area è unica nel suo genere. Bacini di acqua dolce e bacini di acqua salata convivono, contribuendo a creare un habitat perfetto per piante e animali peculiari. Il parco è nato nel 1999 proprio con l’intento di proteggere la rarità e la bellezza dell’area di Molentargius, scelta
per le sue caratteristiche da numerose specie di uccelli acquatici come luogo di sosta, svernamento e nidificazione. I bacini dolci (Bellarosa Minore e Perdalonga) sono separati da quelli salati (Molentargius o Bellarosa Maggiore, Stagno di Quartu e Perda Bianca) da una piana di terra arida detta Is Arenas. Le vasche di acqua salata risalgono al sistema produttivo delle vecchie Saline di Stato, viva testimonianza di come dalle ceneri di un passato non poi tanto lontano possa nascere qualcosa di nuovo e sorprendente. Una variegata popolazione animale vive nell’area di Molentargius. Grazie alla posizione geografica favorevole e alla presenza di nicchie ecologiche diverse, si può osservare in questo ridotto territorio circa un terzo dell’avifauna europea. L’airone, il cormorano, il falco di palude, il pollo sultano, il beccapesci e il martin pescatore sono tutti uccelli
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che hanno fatto del Parco di Molentargius la loro casa. Nonostante la vicinanza con l’area urbana, infatti, le passeggiate nei pressi degli stagni sono l’attività preferita degli amanti del birdwatching. Il simbolo indiscusso dell’area è comunque il fenicottero rosa. Questo uccello migratore è famoso in tutto il mondo per la sua bellezza, i suoi colori e la sua imponente apertura alare che può superare i 2 metri. Non è raro osservare stormi di fenicotteri librarsi nell’aria e tingere il cielo di rosa al loro passaggio. Questa specie nidifica prevalentemente in Camargue, in Francia, e solo dagli anni Novanta ha iniziato a nidificare a Cagliari. Il suo sito preferito per far nascere i pulli? Il Bellarosa Maggiore. Quando i piccoli di fenicottero vengono alla luce, entrambi i genitori producono dalle cellule epiteliali del loro gozzo una sorta di latte con il quale nutrono i pulli per i primi mesi di vita. La nidificazione inizia verso marzo/aprile e i primi piccoli, grigiastri e goffi, vedono la luce intorno ai primi di giugno. Lo stagno di Molentargius costituisce l’unico caso al mondo in cui questi uccelli, generalmente schivi, nidificano in un’area cittadina. Per il benessere di questi ele-
RISPARMIA DENARO TROVANDO VELOCEMENTE LA CAUSA DEL PROBLEMA
INDAGINI TERMOGRAFICHE PER Individuazione zone a rischio muffa - Mappatura impianti termoidraulici Ricerca difetti strutturali - Ispezione quadri elettrici - Ricerca perdite d'acqua Ricerca infiltrazioni aria e acqua - Verifica impianti fotovoltaici - Analisi ponti termici QUADRI ELETTRICI INFILTRAZIONI DIFETTI STRUTTURALI PONTI TERMICI PERDITE IMPIANTI IDRAULICI FOTOVOLTAICO
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ganti volatili è bene tenere a mente alcune accortezze quando ci si avvicina al loro habitat, specie nei periodi di nidificazione e allevamento dei piccoli. In primo luogo, è consigliabile prediligere un’osservazione discreta e non troppo ravvicinata. Durante la nidificazione, in particolare, è a rischio il successo riproduttivo della stagione e quindi i fenicotteri non devono essere disturbati. Un punto ottimale da cui ammirarli è il Belvedere di Monte Urpinu, dove è possibile cogliere in lontananza i momenti in cui alcune colonie iniziano ad insediarsi nel Bellarosa Maggiore. Altra nota da tenere bene a mente è quella di non lasciare liberi i cani nelle aree di rischio. Al Parco di Molentargius non ci sono solo volatili. Anche altre specie hanno scelto questo luogo fascinoso come loro casa. Le tartarughe di acqua dolce, i ricci e i conigli selvatici abitano felicemente il parco. Le specie di anfibi presenti nell’area sono solo due: la raganella sarda e il rospo smeraldino. Nel periodo riproduttivo gli anfibi fanno sentire la loro presenza attraverso forti cori ritmici. Il Parco di Molentargius rappresenta un
punto di riferimento per gli abitanti della provincia e per i turisti in cerca di un luogo in cui la natura, il relax, l’ombra degli alberi durante il sole di agosto si fondono. È possibile visitare il parco a piedi, in bici o a cavallo. Al suo interno si snodano diversi percorsi pedonali e ciclo-pedonali. La bicicletta, per le sue caratteristiche, costituisce un ottimo modo per immergersi nella natura senza arrecare danno alla flora, alla fauna e all’ambiente. Nell’Edificio Sali Scelti di via La Palma si trova un Infopoint dove è possibile noleggiare le bici. Dai maneggi presenti sia a Cagliari che a Quartu è possibile partire alla volta di un “Percorso equitazione” al fine di immergersi totalmente nella natura in sella ai grandi amici dell’uomo: i cavalli. Binocoli, cannocchiali e macchine fotografiche, infine, costituiscono gli strumenti necessari a chi si muove a piedi, per non perdersi un solo airone spiccare il volo, una raganella balzare fuori dall’acqua, il sole che tramonta sugli stagni. Per tutte le esigenze dei visitatori sono illustrati dei percorsi ad hoc da seguire e che permettono di vivere al meglio
Un martin pescatore
questa esperienza immersiva in un verde a pochi passi dalla città. I più esigenti possono anche usufruire di speciali visite guidate in minibus elettrico o in battello organizzate dall’Infopoint. L’Infopoint è aperto dal lunedì al venerdì dalle 8:30 alle 19:30 e il weekend dalle 8:00 alle 20:00, ma le aree del parco sono comunque accessibili al pubblico tutti i giorni dall’alba al tramonto.
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N oi po
ssiamo entrar e!
Dalla Sardegna una guida sulla convivenza con gli animali di HELEL FIORI “Non solo gli animali amano, ma sentono il desiderio di essere amati” scriveva incompreso Charles Darwin nel XIX secolo. E se da allora siamo migliorati (l’art. 13 del Trattato di Lisbona 2009 riconosce tutti gli animali come esseri senzienti), la legislazione italiana
presenta dei limiti normativi malgrado negli ultimi trent’anni ci sia stato un avvicinamento tra umani ed animali da compagnia di ogni genere, tanto che ad oggi sfiorano i 60 milioni (7 milioni di cani, 8 milioni di gatti). Le conquiste raggiunte stanno preparando il terreno a futuri cambi di approccio, grazie anche all’impegno non
solo di personalità note ma anche di persone “semplici” che si muovono costanti e variegate. Uno di loro sta proprio a due passi da casa nostra: autore del libro “Noi possiamo entrare! - Storie, regole e consigli per una serena vita a 6 zampe” (2019; edizione La Città degli Dei), Salvatore Cappai è un giovane avvocato di Bonarcado (OR) che dedica parte delle sue energie professionali ed empatiche ai nostri amici baffuti. Classe 1985, di stanza a Sassari, l’avvocato Cappai ha dato ascolto a una spinta interiore autentica, coadiuvato da svariati professionisti di altrettanto valore ha redatto una sorta di manuale (tutt’altro che freddo e normativo) che fa chiarezza su tutto ciò che comportano i pets all’interno di svariati scenari: oltre a un excursus di come si sia arrivati ad averli accanto e il conseguente focus sull’impianto legislativo italiano ed europeo, il libro dà utili linee guida su come gestire la convivenza con loro durante i teatri quotidiani (differenza luoghi pubblici/luoghi aperti al pubblico e conseguenti comportamenti da attuare) annoverandovi anche gli ospedali. Uno degli aspetti più piacevoli di questo libro è infatti il portare alla normalità ciò che spesso viene erroneamente percepito come “fuori norma”: grande attenzione viene data alla pet therapy grazie alle testimonianze di professionisti di risalto come la dott.ssa Francesca Mugnai (la massima esperta italiana di Interventi Assistiti con gli Animali in ambito sanitario IAA; in organico all’Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer di Firenze) ma soprattutto attraverso l’esperienza di chi ne trae beneficio ogni giorno in prima persona come Samuele, ragazzo di 33 anni di Saronno non vedente dalla nascita, che riconosce nell’incontro col suo cane guida un vero e proprio spartiacque – esiste una
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vita prima e una vita dopo Nelson – tra il sentirsi bloccati e il sentirsi liberi di agire. Parlando di quotidianità il libro analizza l’approccio al randagismo e propone una serie di soluzioni direttamente dalla voce della presidentessa di Save the Dogs and other animals Onlus, Sara Turetta, insignita nel 2012 del titolo di Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia, prestigiosa onorificenza civile concessa dal Presidente della Repubblica italiana per la promozione dei rapporti di amicizia e collaborazione sociale tra l’Italia e gli altri Paesi (nella fattispecie la Romania). Sul sito dell’associazione leggiamo che è la prima volta ad essere stato conferito ad un cittadino italiano per il proprio impegno a favore degli animali e dei loro diritti. Infine, vengono esaminati i reati penali a danno degli animali, e si analizzano gli obblighi che incombono sui proprietari. Il manuale utilizza volutamente un linguaggio semplice, da ogni sezione traspare l’affetto di Salvatore e di tutti i professionisti chiamati in causa. Tra questi non poteva mancare la dott.ssa Monica Pais della Clinica Veterinaria Duemari di Oristano, presidente di Effetto Palla Onlus (fondazione che si occupa degli animali che vivono le peggiori situazioni in tutta Italia, e che organizza eventi di sensibilizzazione e sostegno) nata dopo la vicenda della cagnolona Palla che nel 2016 tenne i social in apprensione per mesi. Ciao Salvatore, come sei arrivato a scrivere questo libro? L’idea nasce da lontano, da quando in casa è arrivata Gaia, un tenero cucciolo di Jack Russell che ha cambiato completamente la visione che avevamo degli animali da compagnia. Da quel momento ho iniziato ad approfondire la tematica della tutela degli animali (da un punto di vista giuridico e filosofico); diventato avvocato ho creato una pagina Facebook che ha avuto fin da subito un enorme seguito (@avvocatocappai: ad oggi conta oltre 180mila like, nda); volevo esportare questa forma di divulgazione anche fuori dal web e il libro mi sembrava la modalità più appropriata. Ho deciso di creare un mix di normativa
(senza alcun tecnicismo), racconti e partecipazioni di persone che vivono con gli animali, che li salvano e altre che da loro sono state salvate. Salvatore secondo te che tipo di approccio hanno gli italiani verso la cura degli animali domestici? La sensibilità verso gli animali è aumentata esponenzialmente. Per ottenere ulteriori risultati sarebbe fondamentale intervenire con maggiore intensità nelle scuole. Per la mia esperienza, comunque, sono certo che i bambini di oggi saranno più attenti dei loro genitori. Quale approccio invece ha l’organo giuridico statale? Se per il diritto civile gli animali sono ancora dei beni mobili, maggiori progressi sono stati fatti a livello di diritto penale (animali come esseri senzienti). Un aspetto che fa ancora la differenza in negativo, però, è sicuramente la mancanza di un riconoscimento costituzionale della soggettività animale o quantomeno dell’importanza del rapporto tra persone e animali. Speriamo dunque di assistere ad un miglioramento delle condizioni per i nostri amici giacché la loro vicinanza ci rende migliori. Nel frattempo consigliamo di accaparrarsi una buona lettura come questa!
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Kenya. Il Kilimangiaro visto dall’Amboseli National Park
di DANIELE DETTORI foto FRANCESCO MERELLA
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i è conclusa di recente, nel cuore di Sassari, la mostra fotografica dal titolo “La Festa della Bellezza”, dedicata ai costumi e ai volti più spettacolari comparsi negli ultimi anni alla Cavalcata Sarda. Il volto dietro l’obiettivo è però quello di Francesco Merella, un fotografo capace di unire il piacere della scoperta a un non comune senso cromatico e a un particolare gusto per il bello. Molti dei suoi lavori, infatti, nascono in terre lontane, esotiche e non contaminate dalla civiltà. O almeno non ancora, come ci ha raccontato. Se infatti una fotografia può immortalare la meraviglia di un volto o di uno scenario primevo, nulla può per fermare alcune forme
di progresso nella loro avanzata non sempre etica o ecosostenibile. Ma andiamo con ordine. «Ho iniziato a fotografare quando ero piccolo», ci racconta. «Mio padre mi aveva regalato una Ferrania. Il problema era che quando portavo i rullini a sviluppare mi consegnavano foto di una bruttezza terrificante e non potevo farci niente. Con l’ingresso nel mondo del lavoro, la passione per la fotografia è passata in secondo piano fino a quando, a 33 anni, dopo il matrimonio sono partito con mia moglie in viaggio di nozze. Andammo in Asia e visitammo, tra gli altri, il Giappone, la Cina, la Tailandia. Rientrati a casa, nello sviluppare i rullini riscontrai gli stessi problemi che ricordavo da ragazzino». Così Francesco decide di fare
qualcosa in proprio, ritenendo che i difetti delle immagini non dipendano da lui ma da chi sviluppa. «Infilavano il tutto in una macchina e restituivano i negativi stampati di fretta, senza alcuna post produzione né sistemazione. Perciò quando mi sono trasferito a Sassari ho allestito in casa una camera oscura e sviluppavo da me le fotografie. Per ottenere un buon prodotto ci vuole tanto lavoro e, in questo senso, un grosso aiuto è arrivato dal digitale, che permette di vedere cosa si fa già mentre lo si fa». Da lì in poi un susseguirsi di viaggi («Anche due all’anno, sempre una ventina di giorni ciascuno») in compagnia di sua moglie verso i quattro angoli della Terra. «Sono tornato in Asia, poi sono stato a Cuba, in Melanesia e, soprattutto,
in Africa». L’Africa è una terra che si è impressa nel cuore di Francesco. «Ho visitato l’Africa del nord, quella che si affaccia sul Mediterraneo, ma è l’Africa del sud quella che amo: Botswana, Malawi, Kenya, Tanzania, ma anche l’Etiopia, parte della Somalia e la Namibia. In particolare l’Etiopia, dove sono stato otto volte. Lì ho un amico che fa la guida, Ashafi ma lo chiamiamo con il diminutivo Ashu: conosce benissimo il suo Paese e la storia delle varie zone. Con lui abbiamo visitato tutta l’Etiopia, in particolare la Valle dell’Omo, soprattutto la parte verso il Sudan che è la meno conosciuta e visitabile perché non ci sono strade. Devi avere qualcuno che si occupi della sicurezza, i pezzi di ricambio per le auto, tutta un’organizzazione che in otto anni ho seguito scrupolosamente. Da
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Cuba. Pink taxi a L'Avana
India. Il Taj Mahal di Agra
questo lavoro è venuto fuori un DVD, oltre a una serie di foto che a breve comincerò a mettere insieme». E qui arriviamo a uno dei principali motivi che spingono Francesco a fotografare. «Nelle mie otto volte in Etiopia ho soprattutto visto come sono cambiate le culture. Dopo quattro anni dal primo viaggio nella Valle dell’Omo i cambiamenti riscontrabili erano tutti in peggio e su questo ho incentrato il DVD. Sono gli stessi che avvengono in parallelo nella nostra cultura, se vogliamo. In Sardegna si celebravano certe feste in un dato modo e i turisti che ve-
Sardegna. Mamutones bambini
nivano a vederle, poco per volta, ci hanno suggerito delle varianti, degli adattamenti. Abbiamo quindi cercato di avvicinare la nostra cultura alla loro. In Africa questo avviene molto più velocemente. La propria cultura la dismettono. Prima vestivano di pelli, frasche e foglie, poi hanno iniziato a usare le magliette del Paris Saint-Germain, dell’Inter, ecc. E quell’antico modo di vivere è andato sparendo: oggi nei villaggi ci sono i bar, bevono acquavite al posto del loro alcool ottenuto dalla pianta del sorgo, meno forte e che il loro fisico reggeva meglio».
Queste ricerche antropologiche sono valse a Francesco importanti riconoscimenti. «Oltre a diverse menzioni d’onore, fra gli altri ricordo un concorso internazionale ad Abu Dhabi, il titolo era The Moment. Ho partecipato con dodici foto del nord Etiopia dove c’era una tribù le cui donne scavavano buchi nel letto di un fiume, setacciavano il materiale e cercavano pagliuzze d’oro. Gli uomini non facevano niente e stavano a bere nel villaggio aspettando che le donne portassero l’oro a casa perché lo si potesse trattare con i commercianti. Ma anche lì, quan-
do son tornato la seconda volta, ho visto che i proprietari stavano vendendo il territorio attraversato dal fiume. C’erano delle sonde. Ci avvicinarono alcuni signori di colore (ma con giacca e cravatta) e ci chiesero cosa stessimo facendo. Come se fossero loro i padroni. In realtà temevano che volessimo mettergli contro i proprietari dei terreni per non farglieli vendere». Rimangono poche righe, un ultimo flash. Dove sarà il prossimo viaggio? «In Romania, sul delta del Danubio, per completare un reportage dedicato alle migrazioni di uccelli e altri animali».
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I Magnifici 3 Viaggio fra i sapori: i tre piatti italiani più famosi nel Mondo di DANIELE DETTORI
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a 1, la 2 o la 3?, si chiedeva nei quiz qualche anno fa. Oggi la domanda è retorica perché tre sarà il nuovo metro di misura. Il nostro viaggio nella penisola continua ma con un occhio più attento verso quelle eccellenze, curiosità o proposte che solo il Bel Paese sa regalare. E saranno tre, ogni mese. Iniziamo con i tre piatti italiani più famosi nel mondo sui quali, state certi, c’è ancora molto da scoprire. Camminando per i vicoli del centro storico di Napoli è facile imbattersi nei tanti locali che propongono la vera pizza preparata secondo la vera ricetta della città partenopea. Ma qual è la storia dietro quella promessa di verità? Se vogliamo partire dalle origini, già il neolitico vedeva l’uomo consumare cereali impastati e cotti; e via
lungo i secoli con aggiunte sempre nuove. Così, gli antichi egizi inserirono il lievito, i romani perfezionarono la scelta delle farine e, nei primi secoli dopo Cristo, il termine longobardo “bizzen” comparve sulla scena storica. Un’assonanza incredibile. Fu a Napoli, nei primi decenni del 1500, che il letterato Benedetto di Falco coniò il termine “pizza” nel descrivere una focaccia tipica preparata in città. Si dovette attendere il 1889 perché questa focaccia venisse condita, in onore della Regina Margherita di Savoia, con il verde basilico, la bianca mozzarella e il rosso pomodoro: i colori della bandiera italiana. Scoprire meglio questo aspetto di Napoli è possibile anche grazie al libro di Domenico Mazzella dal titolo Le vie della pizza, dove si raccontano, tra aneddoti e storia, tutte le pizzerie “monumento” della città. Un italiano all’estero sa bene che la pizza non è l’unica etichetta mediterranea. Chi invece viene dall’estero non può esimersi dal gustare un altro piatto tipico tutto italiano: gli spaghetti. Semola di grano duro e acqua elaborati con sapienza per ottenere una pietanza declinabile in infinite varianti. Siamo ancora in Campania e
possiamo gustarli “alla Campolattaro”, ovvero come primo di mare con note di terra: acciughe, tonno, brodo di carne, prezzemolo e pepe. Ma se ci spostiamo a Roma troviamo ricette altrettanto gustose come la “cacio e pepe”, con la sua crema al pecorino, o la “carbonara”, oggi un vero e proprio must troppo spesso male imitato. Certo, la pasta tutta è una tipicità italiana, eppure proprio gli spaghetti ne sono assurti a emblema; del resto anche in Asia gli impasti farinacei vantano un’antica e indipendente tradizione con questa stessa forma. Proseguiamo verso nord ma, dopo aver assaggiato il salato al centro-sud, è tempo di passare al dolce. Che ne dite di un tiramisù? Ci troviamo tra Veneto e Friuli, diffusamente accettate come sue zone d’origine, accanto all’Austria le cui note di cacao e viennese ritroviamo anche nel nostro dolce al cucchiaio. Recentissimo, tanto che fino agli anni Sessanta ben pochi lo conoscevano, il tiramisù varia la zuppa inglese sostituendo alchermes con caffè e crema con mascarpone. Esistono tracce del tiramisù ante-litteram anche in Toscana, Emilia Romagna e Lazio ma si sa, il buon gusto non ha patria.
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GIOGUS ANTIGUS
I giocattoli tradizionali della Sardegna Il Museo del Giocattolo tradizionale della Sardegna di Ales
di MANUELA PIERRO
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l gioco è da sempre una delle massime espressioni della cultura e della società, poiché si adatta al contesto sociale in cui avviene e perché, soprattutto, è grazie al gioco che i bambini si proiettano verso il futuro e verso il mondo degli adulti. Nonostante la nostra sia sicuramente un’era telematica, in cui per comunicare inviamo emoji e in cui ci sentiamo persi senza tutte le massime espressioni di modernità che tanto ci fanno sentire evoluti, capita sempre più spesso che si abbia voglia di fare un tuffo nel passato per riscoprire le nostre origini. Probabilmente le nuove generazioni non apprezzano l’essenzialità e la semplicità dei giogus antigus, presi come sono dai videogames e dalla scarsa fantasia che essi implicano, ma è giusto sapere che, per i bambini sardi d’altri tempi, la creatività trasformava semplici stracci, bastoni
o pezzi di legno in strumenti di gioco imprescindibili. Con un semplice nocciolo di albicocca forato si creava un fischietto, con qualche barattolo si potevano costruire trampoli o trenini, con le canne si realizzavano strumenti musicali, archi, fucili, carretti o trattori in miniatura e bastava qualche straccio arrotolato per ottenere una palla. Non dobbiamo dimenticare che fino a circa sessanta anni fa, l’economia sarda si basava quasi esclusivamente sull’agricoltura e la pastorizia quindi, come in tutte le società povere, i giocattoli spesso riproducevano oggetti che avevano a che fare con quel mondo semplice, fiero e genuino. La fantasia e il riciclo, dunque, erano gli elementi principali nella costruzione dei giocattoli antichi e gli spazi che una natura molto generosa concedeva erano i perfetti scenari. Ed ecco alcune di quelle preziose testimonianze di creatività e ingegno dei nostri antenati sardi:
Pippiasa de canna e de zappu (bambole di canna e di pezza). Sono le antenate sarde delle bambole. Per costruirle si usavano materiali di facile reperibilità: stracci, lana, rafia e avanzi di stoffa. Uno straccio arrotolato e cucito fungeva da corpo, un altro veniva cucito posteriormente a croce per ottenere le braccia, i capelli erano generalmente di lana o di paglia e la fantasia faceva il resto: per realizzare i dettagli del volto si usavano fili di cotone colorati o bottoni e con delle stoffe avanzate si cucivano i vestiti. Cuaddu de canna (cavallo di canna). Giocattolo tipicamente maschile formato da una canna lunga circa un metro, alla cui estremità superiore veniva applicata la testa di un cavallo realizzata a mano con un pezzo di legno intagliato o con stracci cuciti. I maschietti lo adoperavano sia per giocare da soli che in vere e proprie gare di corsa con i compagni di giochi. Sa Bardunfula (la trottola). Si trattava di un pezzo di legno a forma conica con la punta in metallo e con scanalature
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intagliate, ottenuto generalmente da legno di ulivo. A questo cono si avvolgeva un pezzo di spago. Il gioco consisteva nel lanciare la trottola su un piano liscio (generalmente il pavimento), trattenendo lo spago e facendo in modo che girasse su sé stessa per più tempo possibile. Su Stentu (dal sardo “stentai” ovvero aspettare). Una sorta di antico yo-yo. Avvolgendo un fuso realizzato con le canne a un pezzo di spago e assecondandone il movimento ondulatorio, il fuso riproduceva proprio l’oscillazione di quelli moderni. Su Barralliccu (trottola/dado). Era a metà strada tra una trottola e un dado in legno. Al centro di questo dado veniva inserito un perno di legno o di metallo che serviva per ottenere il movimento rotatorio. Nelle facce del cubo erano incise o disegnate la lettera T (tottu, ossia tutto), la lettera N (nudda, ossia nulla), la lettera M (mesu, ossia metà) e la lettera P (poni, ossia metti). La posta in palio erano noci e nocciole e ognuno vinceva o perdeva in base alla lettera che usciva dopo aver fatto roteare il dado. La lettera T faceva vincere tutta la posta in palio, la M solo la metà, la N nulla e la P faceva aggiungere una nuova posta. In Sardegna, e precisamente nella ex scuola elementare ad Ales, sorge il Museo del Giocattolo tradizionale della
Sardegna, una realtà unica in terra sarda e dall’incommensurabile valore storico. Tutti i giocattoli presenti sono stati creati durante un laboratorio triennale dai ragazzi della scuola media di Ales che, coordinati dal professor Nando Cossu, hanno raccolto informazioni da nonni e genitori e si sono poi impegnati nella fedele riproduzione dei giocattoli. All’interno del Museo, i giocattoli tradizionali sono esposti su strutture modulari in canna sia per creare un percorso espositivo tra differenti settori della collezione, sia per rimanere, esteticamente parlando, il più fedeli possibile ai materiali antichi di utilizzo. Tutti gli oggetti sono stati classificati in collezioni e sezioni in base all’attività in cui erano impiegati: vi sono armi, mezzi di trasporto, oggetti che riproducono suoni e rumori, bambole, giochi di movimento, giochi di abilità o utilizzati in specifiche ricorrenze, giochi per caccia e pesca. Lo splendido museo, curato e gestito dalla Cooperativa Sociale Onlus Cultòur Sardegna, è visitabile dal martedì alla domenica o tramite prenotazione. Visitare questo luogo affascinante non è quindi solo un arricchimento culturale o un riconoscimento al minuzioso lavoro di un gruppo di studenti, ma un vero e proprio viaggio nel tempo.
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DALIA KADDARI Di corsa verso il successo di ANNALISA MURRU foto FRANCO LECIS
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l suo sorriso rispecchia la serenità che le appartiene, e nonostante i già numerosi traguardi raggiunti, rimane con i piedi per terra. Dalia Kaddari, diciottenne di Quartu Sant’Elena, in provincia di Cagliari, è una promettente atleta velocista di categoria Juniores, particolarmente competitiva nella corsa sui 100 e 200 metri, ma chiacchierando con lei si percepisce una grande umiltà e si viene travolti da un’ondata di freschezza data dal mix della giovane età con il temperamento vivace e positivo. L’incipit del suo percorso sportivo è caratterizzato dall’intuizione di coloro che ci videro lungo e la spronarono a mettere piede su pista “per provare”. Solo che da quella pista Dalia non si è più staccata e continua a correre, sempre più veloce, titolo dopo titolo. In quinta elementare si appassionò al basket e iniziò a giocare con la società Basket Quartu, alla quale si legò molto per via dell’affiatamento che univa l’intero gruppo. Con
l’inizio delle scuole medie prese parte ai Giochi Sportivi Studenteschi ed ebbe il primo contatto con l’atletica e la corsa; subito il suo professore si accorse di una predisposizione naturale a quello sport e le disse che avrebbe potuto provare a cimentarsi in quella nuova disciplina, ma Dalia era reticente, affezionata com’era alla squadra di basket e – col senno di poi – ignara delle
sue possibilità e di quel talento che gli altri riconobbero molto prima di lei. In terza media arrivò un segnale più forte, il secondo posto alle gare nazionali dei Giochi Sportivi Studenteschi: i ragazzi presenti la guardarono con stupore e ammirazione, chiedendosi se già praticasse quello sport abitualmente. Fu allora che Dalia considerò l’idea di avvicinarsi alla corsa,
complice il fatto che sia il professore che il preparatore atletico Fabrizio Fanni, insisterono per convincerla a testare la pista, senza impegno. Il proseguo di questa storia si può intuire, a Dalia piacque subito la sensazione di libertà data dal correre sulla pista e si sentì a suo agio all’interno del gruppo, quindi dopo un primo periodo in cui provò a conciliare basket e atletica scelse di puntare tutto sulla seconda. Dalia si allena dal 2014 con la società Tespiense Quartu e ha collezionato diversi titoli significativi, tutti sui 200 metri. Nel 2017 a Rieti, ha conquistato il primo posto nella categoria Allieve con il tempo di 23.68, soffiando un primato risalente al 2000 e appartenente a Vincenza Calì, ma questo è solo l’inizio. Rieti l’ha vista vincere nuovamente l’anno successivo, con un centesimo in più sul risultato precedente, mentre sempre nello stesso anno Dalia è arrivata seconda alle Olimpiadi giovanili tenutesi a Buenos Aires. Un risultato incredibile, che le è valso non solo un argento
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ma anche un primato italiano nella categoria Allieve, grazie al tempo di 23.45. Il titolo più recente risale allo scorso marzo, stavolta nella categoria Juniores e anche in questo caso con il valore di doppio riconoscimento. Infatti ad Ancona, nell’incontro internazionale Italia-Francia tenutosi al Palaindoor, Dalia ha spodestato Sofia Bonicalza con il tempo di 23.93.
Possiamo solo immaginare quali altri risultati potranno rendere orgogliosa lei e il suo allenatore, che Dalia definisce come una delle persone più importanti della sua vita, un secondo papà. Fabrizio Fanni è una figura centrale nel suo percorso, colui che la accompagna sin dal principio nella sua crescita agonistica da velocista, nonché l’uomo capace di tenerle testa con il suo atteggiamento calmo: “Io sono uno spirito libero, un po’ pazza, e lui sa come gestirmi”, mi racconta Dalia ridendo. Non potrebbe essere altrimenti, dal momento che la giovane atleta si allena su pista a stretto contatto con lui per due ore al giorno, quattro giorni a settimana, completando la sua preparazione fisica con una seduta in palestra per rafforzare i muscoli. L’impegno sportivo Dalia lo vive con tranquillità e un’ottima organizzazione che riduce al minimo il tempo libero, ma non sente particolarmente il sacrificio perché sceglie ogni giorno di rinnovare il suo amore per l’atletica; la famiglia e
gli amici veri la appoggiano pienamente e comprendono le motivazioni che stanno alla base di un pranzo al quale, ogni tanto, deve dire di no, perché subito dopo la scuola c’è l’allenamento. L’unico rammarico è non avere una struttura adeguata a Quartu Sant’Elena in cui potersi allenare, dopo che l’impianto di Is Arenas è diventato inagibile: “Mi alleno presso la struttura del CONI, ma non tutti possono andare a Cagliari ad allenarsi. Non sai quanti atleti abbiamo perso, davvero tantissimi”. Nonostante questi problemi, Dalia continua ad allenarsi duramente e affinare la qualità della sua corsa, che ha uno stile impeccabile: leggera, pulita, decisa, proprio come quella della velocista alla quale si ispira, la statunitense Allyson Felix; ma senza andare troppo lontano, uno dei suoi punti di riferimento a livello sportivo e umano è Filippo Tortu, che conosce personalmente e che descrive come una persona che sa il fatto suo.
Tra i suoi sogni, oltre alle Olimpiadi, ci sono anche entrare nelle Forze Armate e la laurea. Dalia attualmente frequenta il terzo anno al Liceo Linguistico e mi spiega che lo studio e l’aprirsi varie porte nella vita sono due scelte che reputa molto importanti. Forte, intelligente, bellissima, un passo dopo l’altro si sta prendendo i suoi – meritatissimi – spazi.
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CRAMA
Il Centro Recupero Animali Marini dell’Asinara di FRANCA FALCHI
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ina finalmente nuota in mare aperto. È stata liberata già da qualche giorno e in diversi raccontano di averla avvistata durante la loro immersione nella caletta dell’Ossario. Gina è una fra le tante tartarughe marine recuperate e riabilitate dal CRAMA, ognuna con un nome ed una storia. È stata rinvenuta nello scorso dicembre nelle acque di Palau, grazie alla collaborazione col Parco Nazionale dell’Arcipelago di La Maddalena, in difficoltà per la probabile costipazione dovuta all’ingestione di materiale plastico. Portata nel Centro Recupero Tartarughe del Parco Nazionale
dell’Asinara ha ricevuto le cure del primo soccorso e il successivo ricovero in una delle vasche di riabilitazione sino a completa remissione. Sono circa una novantina le tartarughe marine che, sino ad ora, sono state ospitate in quella che un tempo era la casa del farista a Cala Reale, ristrutturata e adattata per accogliere l’Osservatorio del Mare. Tutte Caretta caretta e una Chelonia mydas, entrambe in pericolo a causa dell’impatto della pesca professionale. Il Centro Recupero Animali Marini Asinara si occupa di esse sin dalla sua nascita nel 2006 gestendo per conto del Parco tutto ciò che concerne lo studio, la cura e la
sensibilizzazione per la salvaguardia dell’ambiente marino. Dai numerosi dati di questi anni, si rileva come il 50% dei ricoveri sia dovuto proprio al problema della plastica. Scambiata per cibo e ingerita provoca costipazione intestinale con gravi conseguenze talvolta sino alla morte. Il restante 50% è suddiviso tra ingestione di ami, lesioni delle reti da strascico, fratture al carapace dalle eliche dei natanti e amputazione di un arto per lenze vaganti. Rari i casi di ipotermia e polmoniti. Spesso lo stesso esemplare lotta con più cause contemporanee. Il recupero avviene su segnalazione di pescatori, Capitaneria di Porto e Corpo Forestale o di semplici cittadini che compongono il 340/8161772. Il Centro è dotato di tutte le strutture per la diagnosi, il ricovero e la cura: una sala raggi, la sala chirurgica, il laboratorio analisi e le numerose vasche per l’ospedalizzazione con un sistema di filtraggio e sterilizzazione dell’acqua di mare. Con le Università di Sassari, Siena, Torino e Pisa, si svolgono studi sulle metodologie anestetiche e sulla genetica dai campioni di sangue. Sono numerosi i volontari e gli studenti che ogni anno trascorrono brevi periodi di stage al seguito degli operatori del CRAMA.
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L’associazione si prefigge lo scopo della riduzione delle cause di minaccia delle tartarughe e del loro habitat naturale attraverso educazione e sensibilizzazione ambientale rivolta sia agli operatori della pesca che ad insegnanti e studenti. La collaborazione con l’Area Marina Protetta prevede infatti anche corsi di formazione e di educazione ambientale da effettuare sia a scuola che nelle sale multimediali del Parco, che nelle visite guidate sul campo. L’associazione comprende biologi, naturalisti, veterinari, esperti in educazione ambientale e guide esclusive del Parco in modo da garantire un’offerta globale ai circa 30/40mila visitatori annui. La liberazione degli esemplari recuperati è vissuta come il completamento di un percorso di sensibilizzazione, e si svolge sempre come un evento pubblico, con il coinvolgimento di istituzioni, scolaresche e visitatori. Ma il Centro non si occupa di sole tartarughe. Collabora con il Parco e l’Università di Cagliari nel Progetto Aragosta rossa, che si pone come obbiettivo la salvaguardia della biodiversità dell’area attraverso la protezione, lo studio e il ripopolamento di questo crostaceo, con il coinvolgimento degli operatori della pesca. Gli esemplari di piccola taglia, non commerciabili, finiti nelle reti vengono consegnati al CRAMA dietro rimborso a prezzo di mercato e, posti in stabulazione per
circa tre giorni in acquari specifici, vengono misurati, schedati e catalogati, per poi essere rilasciati dopo la marcatura che li rende individuabili nelle successive ricatture. In questo modo è possibile tracciare le rotte di spostamento dalle aree di rilascio e monitorare i tassi di crescita sia dei singoli esemplari che dell’intera popolazione. Per conto dell’Area Marina Protetta svolge, inoltre, il monitoraggio sulle reti da pesca effettuando numerosi rilievi in mare con la geolocalizzazione dei segnali in modo da verificarne la conformità e il tipo stesso di pesca. Il regolamento del Parco prevede infatti l’interdizione della pratica della pesca in determinate aree a maggior tutela ambientale (Zona A) pur permettendo la piccola pesca e il pescaturismo in molte altre zone previa autorizzazione. Durante i rilievi in mare si svolgono le osservazioni sui cetacei sia dentro che fuori all’Area Marina Protetta. L’Asinara è infatti inclusa nella più vasta area protetta denominata Santuario Internazionale dei Mammiferi Marini compresa tra la costa nord della Sardegna, l’Arcipelago Toscano sino alla costa della Provenza. In questa area è cospicua la presenza di varie specie di delfini e di grandi cetacei. Lo studio prevede rilievi visivi effettuati con la foto identificazione dei singoli esemplari tramite la pinna dorsale, ma anche la determinazione delle classi di età e dei comportamenti etologici. Di recente, agli avvistamenti si sono aggiunti anche i rilievi acustici per mezzo dell’idrofono per intercettare la presenza dei cetacei anche in profondità. Lo studio su cetacei, tartarughe e squali si completa con il rilevamento biometrico degli esemplari spiaggiati lungo tutta la costa Nord Ovest. Purtroppo, il gran numero di individui rinvenuti mette in evidenza la necessità di una maggior attenzione ai problemi di inquinamento e di tutela del mare.
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NIENTE SCUDETTO, MA UNA DINAMO SASSARI UGUALMENTE STRAORDINARIA
La squadra di coach Gianmarco Pozzecco è andata a un passo dal titolo, cedendo a Venezia dopo sette gare di ERIKA GALLIZZI foto LUIGI CANU
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o scudetto non è arrivato, ma la stagione della Dinamo Banco di Sardegna Sassari è destinata a rimanere a lungo nella memoria e nel cuore dei tifosi. La striscia di risultati utili della squadra di coach Gianmarco Pozzecco è arrivata a 22, con percorso netto sia nei quarti di finale playoff con Brindisi, che in semifinale con la favorita Milano e l’annata magica si è conclusa con una serie di finale meravigliosa, contro l’Umana Reyer Venezia. Sette partite giocate a viso aperto dalle due squadre, con coraggio e voglia di vincere, che, alla fine, hanno premiato la formazione veneta. Ed è stata una finale anche ricca di tensioni: dalle “lamentele” dei veneziani per gli arbitraggi e i troppi, secondo loro, “giri in lunetta” concessi ai sassaresi, allo sfogo del Poz al termine di gara-5, contro questi stessi “pianti” e l’insopportabile caldo patito al PalaTaliercio, che ha creato una situazione in cui, oggettivamente, non si può giocare, per l’incolumità dei giocatori in primis. Ma sono stati anche i playoff della ricerca di serenità, con, ad esempio, l’immancabile sfida al tiro da centrocampo che, tra una partita e l’altra, vedeva protagonisti il coach Gianmarco “The ma-
chine” Pozzecco e lo “spara-triple” sassarese Marco Spissu. Un appuntamento immancabile che l’ufficio comunicazione Dinamo mostrava puntualmente sui social. Ma chi avrà vinto? “Ovviamente io – dice Spissu – Lui avrà vinto forse due o tre volte, io sei o sette”. Proprio lui, Marco Spissu, è stato un grande protagonista dei playoff e della finale, l’ultimo ad arrendersi, sempre e quello che, alla sirena che ha consegnato
lo scudetto alla Reyer, è scoppiato a piangere. Per lui anche il riconoscimento di miglior italiano del post-season, in un sondaggio proposto ai “cestofili” dalla Legabaket sulla propria pagina Facebook. E Spissu è stato uno di coloro che, soffermandosi sui singoli, ha avuto più giovamento dal cambio di panchina: “Non ricordo le parole esatte del Poz quando è arrivato – dichiara – Ma ci ha trasmesso da subito serenità e fatto tor nare il sorriso; questo è stato fonda mentale in un periodo in cui le cose non andavano tanto bene”. Dopo i 22 risultati utili consecutivi, la Dinamo ha dovuto riprendere confidenza con la sconfitta, in gara-1 di finale, persa dopo essere stata avanti anche di 13 punti. C’era la possibilità che, dopo tante vittorie e un clima abbondantemente euforico, un passo falso potesse destabilizzare un po’ la squadra. La Dinamo, però, poi ha vinto subito gara-2, portando dalla propria parte il fattore campo: “Penso che quella sconfitta non abbia cambiato niente – considera Marco Spissu – Se
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Marco Spissu con coach Pozzecco e Scott Bamforth
avesse cambiato qualcosa avremmo perso anche gara2, invece così non è stato. Eravamo consapevoli di quello che ave vamo fatto, tra gara1 e gara2 c’era lo stesso entusiasmo delle 22 vittorie di fila”. Quando tutto è finito e i riflettori sul parquet del PalaTaliercio si sono spenti, i biancoblù sono tornati a casa, dove hanno trovato ad attenderli oltre 5000 persone in Piazza d’Italia, che li hanno acclamati e salutati come se avessero vinto il trofeo. Non poteva esserci niente di più giusto e nemmeno niente di più bello. Nella conferenza stampa-sfogo post gara-5, coach Pozzecco aveva lamentato una mancanza di cultura sportiva in Italia. Invece a Sassari l’ha trovata ed è probabilmente uno dei motivi per i quali il coach ci sta benissimo. Tanti, oltre Tirreno, si sono stupiti di questi festeggiamenti… e la squadra? “Sapevo che sarebbero venute tantissime persone – dice Spissu, che nell’occasione si è anche “vestito” da capo-ultrà e ha lanciato i cori dalla scalinata del Palazzo della Provincia – ma mai mi sarei aspetta to tutta quella gente. Per me è stato emozionante, abbiamo vinto anche noi”. E menomale che “Spì” da ragazzino, diviso tra calcio e basket, alla fine ha scelto il secondo! Non è andata poi male… “È vero, mi piacevano tutti e due, poi ho scelto lo sport che mi trasmetteva maggiori emozioni. Ho scelto il basket, direi che è andata bene”.
Ora è già tempo di mercato e c’è già qualcosa di certo. Lo sono, intanto, i contratti di coach Pozzecco, di capitan Devecchi, dello stesso Spissu, di Gentile (aveva un’opzione per la prossima stagione) e la coppia “cagliaritana” Bucarelli-Diop, con quest’ultimo che sembra però destinato a Torino (dove è stato trasferito il titolo dell’Academy), con la formula del prestito. Poi è certa anche la partenza del pivottone Jack Cooley, che ha già trovato l’accordo con la squadra giapponese del Ryuku Golden Kings. Pressoché impossibile rivedere in maglia biancoblù Rashawn Thomas, richiesto anche da club di Eurolega, mentre sembra che la società stia cercando di trattenere Dyshawn Pierre, autore di un “periodo-Pozzecco” straordinario, anche se è arrivato alla finale con Venezia un po’ in riserva. Polonara pare abbia ricevuto un’offerta pesante dalla Reyer proprio durante la disputa delle finali; subito dopo era circolata la voce secondo la quale avesse rinnovato il contratto con la Dinamo, mentre in realtà non sembra ancora cosa fatta. Un altro atleta che sembrava confermato è Jaime Smith (e, oggettivamente, sarebbe un peccato se partisse anche lui, dal momento che trovare un playmaker puro non è semplice), ma lo stesso atleta ha rivolto un messaggio un po’ particolare ai tifosi sassaresi, su Facebook, che ha decisamente tolto certezze.
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Bellabeat Leaf Chakra Sembra un vero gioiello, in realtà questo smart jewel è pensato per le donne stressate che tengono al loro benessere. Monitora sonno, attività fisica, fertilità e salute in generale connettendosi tramite Wi-Fi allo smartphone. È già pronto all’uso, basta rimuovere la linguetta protettiva, e la batteria a gettone durerà sei mesi.
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HELMUT E GIOVANNI, UNA STORIA PARTICOLARE di ALESSANDRO LIGAS
S
i chiama Helmut, è tedesco, e per uno strano caso del destino ha trovato casa in Sardegna, a Carbonia, dopo un viaggio durato qualche migliaio di anni. L’ultimo tratto, dalla Germania al paese del Sulcis, l’ha fatto in valigia, cosa inusuale viste le sue dimensioni. Helmut è un mammut lanoso alto 2.7 metri, alla spalla, vissuto circa 10.000 anni fa nei pressi del fiume Reno, dove è stato ritrovato
in maniera fortuita alla fine degli anni ‘90 in una cava di sabbia e ghiaia, gestita dalla Heidelberger Sand & Kies GmbH, situata alla periferia meridionale della citta di Rheinberg nella Renania Settentrionale-Vestfalia (vicino al confine coi Paesi Bassi). Durante le operazioni di estrazione della rena i cavatori ritrovarono parte delle sue ossa e, una volta raccolte, le consegnarono all’ingegner Horst Binnenhei. Con lui sono rimaste fino alla sua morte e fino a quando sua moglie non decise di chiamare il signor
Giovanni Cocco, operaio originario di Carbonia, per dei lavori in cantina dove appunto erano conservate. “Lei aprì una scatola che apparteneva al marito - racconta il signor Cocco - e rimasi incredulo quando capii che conteneva i resti di un mammut”. Il signor Cocco, pensionato 72enne, raggiunse la terra teutonica per recarsi a Homberg, nei pressi di Duisburg, dove ha vissuto trovando lavoro come operaio piastrellista. Un lavoratore con una passione inusuale: la paleontologia. Un amore che non solo lo ha portato a leggere tantissimi libri della sua materia preferita ma anche di geologia e archeologia, a partecipare a spedizioni sul campo e a diventare uno dei soci fondatori del Museo Geologico di Kamp-Lintfort. Dopo 35 anni di lavoro è ritornato nella sua terra natia
con una valigia speciale con dentro i resti del mammut lanoso Helmut. “Quando sono tornato in Sardegna racconta l’appassionato paleontologo - ho deciso di donare i resti dello scheletro del mammut al Museo dei PalaeoAmbienti Sulcitani “E. A. Martel” perché aiutasse il centro a confermarsi come una delle realtà più valide a livello internazionale”. Nel Museo PAS-Martel il pachiderma è stato meticolosamente ricostruito grazie al prezioso lavoro del paleontologo dott. Daniel Zoboli e del direttore del museo Gian Luigi Pillola. Oggi Helmut condivide gli spazi con una copia del più famoso T-Rex e di tantissimi altri fossili di cinquecento milioni di anni, scheletri di piccoli animali, scimmie e altri mammut, ma questa volta nani, in un autentico viaggio indietro nel tempo.
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Il dentista risponde
Il Dott. Giuseppe Massaiu è un professionista di riferimento e opinion leader in tema di Odontoiatria Naturale e Biologica, insegna in corsi frontali e on-line argomenti clinici ed extra-clinici legati al mondo della Odontoiatria e della Medicina Naturale, Posturale e Olistica oltre che del Management e del Marketing Odontoiatrico.
Siamo ormai in prossimità dell’estate e sempre più pazienti si rivolgono agli studi dentistici per richiedere uno sbiancamento dentale. È una delle procedure estetiche più gettonate nel nostro settore, specialmente prima dell’estate, nell’ottica di far “splendere” ancora di più il sorriso in relazione alla splendida abbronzatura. Piccola precisazione prima di addentrarci nel cuore dell’argomento. Quello di cui andremo a parlare ora sarebbe più corretto chiamarlo “schiarimento” e non “sbiancamento”, in quanto il trattamento schiarisce il colore naturale dei denti, che può essere più o meno marcato a seconda dei capricci di madre natura o, per dirla in maniera scientifica, della nostra genetica. In sintesi, si potrebbero effettuare sbiancamenti su sbiancamenti su un dente che è originariamente tendente al giallo e non si avrà mai l’effetto di bianco splendente sperato. La soluzione, in casi simili, non risiede nello sbiancamento ma nelle faccette di ceramica, che sono le uniche a poter donare artificialmente il colore desiderato. Lo sbiancamento può essere realizzato in studio (eseguito dal dentista o dall’igienista dentale) oppure domiciliare, ovvero effettuato dalla persona stessa a casa propria
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Curiosità sul mondo odontoiatrico
Come avere un sorriso splendente:
lo sbiancamento dentale con i materiali e le istruzioni date in studio. Lo sbiancamento professionale, seppur più costoso, è più efficace di quello domiciliare. Nella pratica si utilizzano agenti chimici come il perossido di idrogeno, impiegati con diverse concentrazioni a seconda della tecnica che si intende utilizzare, abbinati a sorgenti luminose specifiche e dedicate per la loro attivazione, come il laser.
Lo sbiancamento dei denti con il laser si focalizza sull’uso di perossido d’idrogeno ad alte concentrazioni che, dopo l’applicazione sulla superficie dei denti, viene poi irradiato con una luce che attiva attraverso il calore l’elemento chimico che scompone le molecole delle macchie in composti più piccoli, incolori e facilmente eliminabili. Nei due giorni successivi al trattamento, per evitare di
perderne gli effetti schiarenti, o avere effetti fastidiosi di sensibilità, è necessario: 1) evitare cibi e sostanze pigmentate come carciofi, spinaci, barbabietole rosse, liquirizia, pomodori, tè, caffè, bibite gasate, alcolici, mirtilli o simili; 2) evitare cibi acidi quali succhi di frutta, yogurt, formaggi acidi, aceto, vino bianco, agrumi; 3) evitare cibi molto freddi o molto caldi; 4) non fumare. In alcune persone lo sbiancamento può provocare sensibilità dentale al caldo e al freddo. Per diminuire questo fastidio, nei dieci giorni successivi al trattamento è bene lavare i denti con del gel al fluoro la sera, lasciandolo agire per qualche minuto prima di risciacquare ed utilizzare un dentifricio specifico per denti sensibili. Ad ogni modo, prima di intraprendere un qualsiasi tipo di trattamento sbiancante, è opportuno sottoporsi ad una visita dentistica specialistica per accertarsi che non sussistano controindicazioni quali carie, ipersensibilità o altre malattie del cavo orale. Ogni mese il Dott. Massaiu risponderà ad uno di voi. Inviate le vostre domande a: dott.massaiu@shmag.it. www.studiomassaiu.it
I
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