Sfoglia il libro del Festival Oriente!

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Macerata Opera Festival

53a Stagione Lirica 2017 Direttore artistico Francesco Micheli

Oriente Carlo Boccadoro

Shi (Si faccia) Giacomo Puccini

Turandot Giacomo Puccini

Madama Butterfly Giuseppe Verdi

Aida


a cura di Esserci Comunicazione Carlo Scheggia, Sara D’Angelo Skill&Music Floriana Tessitore traduzioni Elena Di Giovanni racconto fotografico delle prove Alfredo Tabocchini in copertina Particolare da Marito e moglie con mangpao e draghi, Dinastia Qing (XIX sec.) inchiostro e colore su carta (cm 118x89); Renzo Freschi Oriental Art, Milano si ringraziano Biblioteca Comunale Mozzi-Borgetti, Veronica Antinucci, Riccardo Benfatto, Andrea Compagnucci, Mauro De Santis, Luciano Messi, Paola Pierucci, Stefano Ruffini, Gianfranco Stortoni Tutti i diritti sono riservati ai rispettivi autori Impaginazione e Stampa Luglio 2017

Macerata / MACERATA


Il Macerata Opera Festival 2017

3

I Cento Mecenati

15

Shi (Si faccia) «Un uomo che amava conoscere gli uomini» Soggetto - Synopsis Libretto

17 19 23 27

Da Macerata all’Oriente 1: Matteo Ricci

46

Turandot «Una Turandot attraverso il cervello moderno» Soggetto - Synopsis Libretto

51 53 57 61

Da Macerata all’Oriente 2: Cassiano Beligatti Madama Butterfly «Oriente e Occidente in un matrimonio immaginario» Soggetto - Synopsis Libretto

88 93 95 99 103

Da Macerata all’Oriente 3: Giuseppe Tucci Aida «Le due estremità del globo si avvicinano» Soggetto - Synopsis Libretto Stefano Bollani

140 145 147 151 155

Lo Sferisterio per i Sibillini

188

186



Associazione Arena Sferisterio Macerata Opera Festival Presidente Romano Carancini Rappresentante Ente Socio Fondatore Comune di Macerata Vicepresidente Antonio Pettinari Rappresentante Ente Socio Fondatore Provincia di Macerata Sovrintendente Luciano Messi Direttore Artistico Francesco Micheli Consiglieri Raffaele Berardinelli Flavio Corradini Nicola di Monte Luigi Lacchè Fiorenzo Principi Orietta Maria Varnelli Walfrido Cicconi (Società Civile dello Sferisterio) Collegio dei Revisori dei Conti Giorgio Piergiacomi Presidente Fabio Pierantoni - Carlo Maria Squadroni



Oriente, terra lontana, esotica e misteriosa con cui Macerata ha una relazione antica e profonda. Insieme alle vicende senza tempo di Turandot, Madama Butterfly e Aida abbiamo scelto di ricordare le vite di Padre Matteo Ricci, Fra’ Cassiano Beligatti e Giuseppe Tucci, maceratesi, uomini di fede e di scienza, che tra il XVI e il XX secolo hanno saputo aprire un dialogo tra popoli e culture allora lontanissimi. A Ricci è ispirata l’opera nuova Shi (Si faccia), coinvolgendo l’Accademia di Belle Arti di Macerata nel processo creativo. A Tucci e Beligatti sono dedicate due mostre che ricostruiscono i loro viaggi non solo geografici ma anche culturali e interiori. Il Macerata Opera Festival raccoglie questa importante eredità e diventa esploratore infaticabile tracciando percorsi che accolgono il nuovo senza dimenticare le proprie radici. Il viaggio come tutti gli anni parte da lontano, da un dietro le quinte dove cura, ingegno e tradizione delle nostre maestranze si fondono con la creatività degli artisti provenienti da tutto il mondo, dando vita a un risultato unico. Le coproduzioni si moltiplicano, costruendo relazioni durature che connettono persone, territori e idee, oltre a consentire di ottimizzare le risorse. L’accessibilità degli spettacoli viene favorita non solo con opportune politiche di prezzo, ma anche attraverso servizi qualificati come i sopratitoli, le audio descrizioni e i percorsi tattili. Questo vuole essere il nostro Festival: un’impresa culturale dinamica e moderna, con una proposta artistica poliedrica e innovativa coniugata ad un solido equilibrio di bilancio. Una realtà produttiva che agisce a livello internazionale, ma che allo stesso tempo interpreta responsabilmente il proprio ruolo in ambito regionale, attraverso progetti di sistema come la Rete Lirica delle Marche e attività formative rivolte ai giovani professionisti dello spettacolo e al nuovo pubblico. Queste pagine suggellano il lavoro appassionato di un equipaggio dal valore inestimabile: cinquecento persone tra artisti, tecnici, impiegati e collaboratori unite dall’amore per l’opera lirica e dal senso di appartenenza verso un teatro unico al mondo come lo Sferisterio. A ciascuno di loro va il più sentito ringraziamento del Macerata Opera Festival e mio personale, così come ai mecenati, agli sponsor e al nostro pubblico affezionato, il cui sostegno completa e addirittura supera il contributo imprescindibile delle Istituzioni. Per tutti voi abbiamo preparato un itinerario affascinante, un viaggio verso il sole che sorge, anche sulla nostra terra profondamente ferita ma ancora capace di sollevare lo sguardo e di andare lontano, oltre. Facciamo rotta verso Oriente: benvenuti a bordo! Luciano Messi Sovrintendente



Con l’edizione 2017 del Macerata Opera Festival si chiude il triennio tematico “Mappe dell’anima”; sappiamo bene come sia abile l’opera lirica nel condurci verso i vasti spazi delle emozioni: gli altipiani della felicità, i crepacci della paura, gli abissi dell’angoscia… L’opera fa volare, senza dubbio, ma non di rado il biglietto per entrare a teatro assomiglia a una vera e propria carta di imbarco! Inaugurato nel 2015 con Nutrire l’anima (omaggio al simultaneo EXPO di Milano) e seguito nel 2016 dal drammaticamente attuale Mediterraneo, il triennio trova la sua conclusione guardando a Oriente per raccontare del nostro inesauribile desiderio di varcare i confini, di prendere il largo, di incontrare mondi nuovi, come fece Matteo Ricci, gesuita maceratese, autore del De Amicitia, una sorta di manifesto sul dialogo fra le culture, simbolo di tutto ciò che vogliamo dire in questo festival. Molti i compositori e le opere capaci di portarci nelle terre remote in cui sorge il sole, astro luminoso e bruciante come il terrore febbrile di Turandot, che condanna a morte i propri pretendenti; è un sole pallido come l’alba della vita di Madama Butterfly, una farfalla che muore poco dopo la nascita; è l’oriente di Aida, schiava etiope deportata in Egitto, terra di confine, dove il giorno e la notte, la vita e la morte si mescolano in un conflitto lacerante. In queste opere i protagonisti vivono divisi fra affetto e dovere, amore e patria. L’esilio, l’allontanamento dalla realtà natale, è forse il tema più presente: Calaf è un principe senza regno, Butterfly è diseredata, Aida è una schiava; confrontando queste opere notiamo in esse una parte del nostro presente che le lega più di tutto. La caparbia volontà del Macerata Opera Festival risiede nella considerazione dei capolavori immortali del nostro repertorio lirico come testi contemporanei: Verdi e Puccini continuano a parlarci e il Festival è un dibattito, fervido, acceso, a tema. I registi coinvolti sono amici nell’arte dallo sguardo lucido cui si chiede di “dire la loro”: Stefano Ricci, Gianni Forte, Nicola Berloffa e il sottoscritto hanno cercato di dare voce all’ansia di verità dei nostri Maestri, padri spirituali. Amiamo l’opera anche perché sa creare miti: adesso è tempo di raccontare col canto il gesuita simbolo di questa edizione, Matteo Ricci, che da Macerata si è allontanato vero il remoto impero cinese, intessendo un dialogo tra civiltà che da allora non si è fermato e che deve continuare a scrivere nuove pagine. Carlo Boccadoro, maceratese anch’egli e presto partito per il mondo, insieme a Cecilia Ligorio, ha forgiato questa nuova commissione che interpreta l’epopea di Ricci. Shi (Si faccia), titolo che mi piace dedicare a questa terra baciata dalla grazia e alla persone irresistibili che vi abitano: è stato un terribile inverno ma, con tutto il cuore - lo sento, lo so verranno nuove primavere. Francesco Micheli Direttore artistico





I Cento Mecenati Mario Baldassarri Caterina e Enrico Bigelli Rosa Marisa Borraccini Alfio Caccamo Anita Caminada e Carlo Perucci Gianluca Capitani Romano Carancini Gabriella e Marino Carbonari Gianfranco Cesaretti Maurizio Cinelli Stefano Clementoni Renato Coltorti Erminio Copparo Rosaria Del Balzo Ruiti Donatella Donati Germano Ercoli Raffaela Ercoli Silvia Ercoli Giuseppe Falco Alessio Formica Carla Maria Francalancia Monica Francalancia Fiorenzo Fusari Stefano Gelsomini Alberto Girolami Guido Guidi Gabriele Ilari Sabrina Malagrida Alfredo Mancini Irene Manzi Paolo Margione Carlo Matano Leonardo Matano Andrea Mazzola Giacinta Messi Luciano Messi

Mario Montalboddi Eliana Montebello e Pino Bosco Stefania Monteverde Maurizio Mosca Valentina Muccichini Cristina Nardi Carlo Alberto Nicolini Paolo Notari Fabio Paci Massimo Paci Lucia Parcaroli Stefano Parcaroli Giorgio Piergiacomi Giuseppe Pietroni Luciano Pingi Renato Principi Narciso Ricotta Lucia Rosa Amedeo Scauda Valerio Scheggia Angelo Sciapichetti Rita Servidei Marco Sigona Giulia Spina Maria Rosanna Talevi Giancarlo Temperilli Franco Teppa Orietta Maria Varnelli ArteLito Srl Associati Fisiomed Bf Srl Calzaturificio Giovanni Fabiani Srl Centrale Macerata Eredi Paci Gerardo Srl Finproject Spa

F.lli Simonetti Spa I Guzzini Illuminazione Spa ICA Spa Lardini Srl Med Store Microtel Srl Nuova Simonelli Spa Nuova Veterinaria Srl Orim Spa Osteria dei Fiori Performance Strategies Rhutten Srl Sabry Maglieria Srl Sardellini Costruzioni Srl Sogesa Srl Studio Andreozzi & Associati Studio Legale Interlex Studio Notarile Alfonso Rossi Studio Tartuferi & Associati Tecne90 Spa Ass. Amici dello Sferisterio Ass. Evoluzione e Tradizione International Inner Wheel Macerata Kiwanis Club Macerata Rotary Club Macerata Rotary Club Macerata Matteo Ricci Accademia di Belle Arti di Macerata UniversitĂ degli Studi di Camerino UniversitĂ degli Studi di Macerata



TEATRO LAURO ROSSI 20, 26 luglio, 2*, 9 agosto - ore 21.00 Carlo Boccadoro

Shi (Si faccia) Opera da camera in cinque scene Libretto di Cecilia Ligorio Edizioni CASA RICORDI, Milano

Simone Tangolo Roberto Abbondanza Bruno Taddia

Il viaggiatore Matteo L’uomo che guarda

Andrea Rebaudengo Paolo Gorini Gianluca Saveri Giulio Calandri Cecilia Martellucci

Pianoforte Pianoforte Tetraktis Percussioni Ensemble Tetraktis Percussioni Ensemble Tetraktis Percussioni Ensemble

Direttore Carlo Boccadoro Regia Cecilia Ligorio Regista collaboratore Benedetto Sicca Video Igor Renzetti Assistente volontario Tomaso Santinon Progettazione di scene, costumi e luci a cura di Accademia di Belle Arti di Macerata

Prima esecuzione assoluta * serata con audio descrizione in collaborazione con Unione Italiana Ciechi e Museo Tattile Statale Omero


Shi (Si faccia)

18 Direttore di scena Sabrina Scaramelli Maestro alle luci e video Fabio Spinsanti Direttore di palcoscenico Mauro De Santis Accademia di Belle Arti di Macerata Responsabile progetto Enrico Pulsoni Responsabile scenotecnica Benito Leonori Responsabile costumi Giancarlo Colis Responsabile luci Francesca Cecarini Allievi Scene Mattia Federici, Martina Graziosi, Gioia Mancinelli, Marica Scarponi, Chiara Ulisse Costumi Veronica Maria Fichera, Putrika Rossetti, Maria Silenzi, Sara Zaverino, Luci Alissa Fiordelmondo, Alice Gentili, Antonio Lelii, Maria Elena Mafrici, Sofia Mochi Video Aurora Camilli, Davide Lupi Foto Tatiana Mazzola Responsabile allestimento e servizi di palcoscenico Enrico Sampaolesi Ufficio tecnico allestimenti Francesco Lozzi Logistica Giorgio Alici Biondi Scenografo realizzatore Serafino Botticelli Capo macchinista Secondo Caterbetti Macchinista responsabile Teatro Lauro Rossi Federico Montemarani Capo elettricista Fabrizio Gobbi Responsabile sartoria Simonetta Palmucci Responsabile vestizioni Maria Antonietta Lucarelli Capo attrezzista Emanuela Di Piro Capo squadra aiuti tecnici Mauricio Cesar Pasquali Supervisore trucco e parrucchieria Raffaella Cipolato Responsabile parrucchieria Serena Mercanti Responsabile trucco Sara Croci Coordinatrice personale di sala Caterina Ortolani Fotografo Alfredo Tabocchini Allestimento Macerata Opera Festival e Accademia di Belle Arti di Macerata Illuminotecnica Seven, Ancona Fonica AMS, Macerata Sopratitoli e audio descrizioni Macerata Opera Festival e UniversitĂ di Macerata


19 «UN UOMO CHE AMAVA CONOSCERE GLI UOMINI»

«Sono lunghe tutte le strade che conducono a ciò che il cuore brama», scriveva nel 1927 Joseph Conrad nel suo romanzo La linea d’ombra: questa frase, che ha ispirato Cecilia Ligorio nella stesura del suo lavoro, può ben riassumere le storie dei protagonisti del Macerata Opera Festival 2017, sia quelli in scena sia le figure che puntellano il legame con la città. Primo fra tutti Matteo Ricci, gesuita maceratese che alla fine del Cinquecento riuscì ad attuare una fruttuosa forma di comunicazione interculturale tra Europa e Cina, basata oltre che sul dizionario anche sulla cultura e sullo scambio di conoscenze; ammesso alla Corte Imperiale a Pechino, Ricci fu il primo occidentale ad essere sepolto in Cina per volere dell’Imperatore che, dopo averlo considerato in vita un interlocutore rispettabile e apprezzato, vergò la richiesta di sepoltura scrivendo: “Shi”, cioè “si faccia!”. Figura mitica, è ancora presentissima nella cultura cinese con il nome di Li Madou, diviene oggi protagonista del teatro musicale contemporaneo con una nuova creazione su libretto di Cecilia Ligorio e musica di Carlo Boccadoro, che ha scelto di scrivere la sua partitura «per due pianoforti e percussioni, organico che ritengo funzionale ai rapporti psicologici dei personaggi resi attraverso l’astrazione musicale»; la parte di Padre Ricci è affidata a un attore e poi a due baritoni «che, con la stessa tessitura, risultano omogenei e praticamente interscambiabili affinché, data l’unicità della persona, le due parti si fondano spesso insieme diventando quasi una voce sola». «I tre personaggi del libretto sono tutti Matteo» – spiega Ligorio – «Il viaggiatore incarna il Matteo più giovane, quello che sta per partire, legato all’origine della vocazione, della necessità e della scelta del partire. L’uomo che guarda incarna il dubbio, la difficoltà di accettare la vita tale come si dipana, indipendentemente dai nostri desideri di fronte

a noi. Rappresenta la lotta che ognuno di noi è costretto a fare nel proprio presente per sostenere la realtà del proprio presente. Matteo è l’uomo storico, l’uomo che invecchia, che muore. Questa piccola trinità costruisce una famiglia immaginaria, onirica, ma fondamentale per costruire gli equilibri e i contrappesi, i patti a cui si deve segretamente scendere per attraversare la solitudine di un’esperienza di vocazione così radicale. Nasce un dialogo intimo che diventa forma di sopravvivenza necessaria per superare le proprie paure e le proprie resistenze». La terra e la carta sono le due materie alla base del progetto scenico curato dall’Accademia di Belle Arti di Macerata, che propone un Oriente narrato in maniera non didascalica, ma mediante impressioni e suggestioni concettualmente legate alle vicende del protagonista che sono completate dai video di Igor Renzetti. Nella musica di Boccadoro l’Oriente non è fatto di citazioni o facili immagini “da ristorante cinese”, non contiene riferimenti “pucciniani” né si affida a stilemi di vecchia avanguardia: «All’ascolto – sottolinea il compositore – ci si deve accostare sempre senza pregiudizi; la musica per Shi è una musica come qualsiasi altra; è ascoltabile da chiunque, anche da chi non è abituato al linguaggio contemporaneo; ho molto rispetto del pubblico e so di rivolgermi a persone intelligenti che sapranno capire la complessità di una partitura» (f.t.).





23 SOGGETTO

SCENA 1. PRIMA SOLITUDINE 1578. In mare. Il viaggiatore, a bordo della nave salpata per raggiungere la Cina, scrive una lettera al Padre. Infuria la tempesta, i suoi compagni vengono trascinati via dalle onde. Il viaggiatore invoca le preghiere del Padre e gli promette che se mai riuscirà ad arrivare a terra, si dedicherà anima e corpo, ad imparare l’equivoca e difficle lingua cinese, per poter parlare e scrivere quanto prima ed iniziare così il suo dovere di missionario, in nome di Dio. SCENA 2. IL DIZIONARIO 1583. Macao. Matteo e L’uomo che guarda sono alle prese con la quotidiana lezione di cinese. Matteo ha una straordinaria memoria e non sembra avere problemi mentre l’uomo che guarda non ce la fa, si innervosisce, ed è arrabbiato: ha l’impressione che sia tutta fatica sprecata. Sono già passati cinque anni dalla loro partenza, ma la loro missione non avanza, sono ancora solo ai confini di un mondo ostile e incomprensibile, come incomprensibile è per lui il cinese. Sente la mancanza di casa, sente svanire il ricordo delle persone care. Matteo inventa per lui un gioco che lo aiuti a ricordare gli ideogrammi, associandoli ad immagini di un luogo caro alla sua memoria: il giardino in cui da piccolo giocava. Matteo racconta all’uomo che guarda che il suo scopo è arrivare a Pechino, dall’Imperatore per parlargli di Dio. L’uomo che guarda obietta che per parlare di Dio serve una parola cinese per Dio. Matteo e L’uomo che guarda “battezzano” Dio in cinese con il nome di Tienzhu. INTERLUDIO È notte. Nessuno riesce a dormire. Il viaggiatore scrive al Padre. L’uomo che guarda rilegge vecchie lettere. Matteo inizia a lavorare al mappamondo. SCENA 3. IL MAPPAMONDO 1599. Nanchino. È molto tardi. Matteo lavora senza sosta ad un

grande mappamondo che vuole regalare all’Imperatore. Da anni è rinchiuso nelle sue stanze, sembra stanco ed è molto indebolito da un forte mal di testa che interrompe continuamente il suo lavoro. Nonostante l’invito insistente dell’uomo che guarda che gli consiglia di andare a dormire, Matteo non si concede riposo: alberga in lui la speranza di poter incuriosire l’Imperatore con il suo studio ed il suo lavoro ottenenendo così un’audienza presso la corte. L’uomo che guarda è stanco, scoraggiato: sono passati quindici anni dalla loro partenza, ma non sembra essere cambiato nulla, sono solo più vecchi, più soli e più lontani da casa. Cerca conforto in Matteo che, pur resistendosi, si abbandona con lui al pianto. Arriva la notizia che l’Imperatore ha ricevuto il mappamondo e vuole conoscere Matteo. Il viaggiatore scrive al Padre di quanto sia importante mantenere la speranza per poter sostenere le difficoltà del viaggio. SCENA 4. SECONDA SOLITUDINE: TU ED IO 1601. Pechino. Il viaggiatore e l’uomo che guarda scrivono al Padre per raccontare dell’entrata nella Città Proibita e di come l’Imperatore, colpito dagli orologi portatigli in dono, abbia concesso ai gesuiti una casa e una rendita annuale per rimanere a Pechino, a condizione che si occupino della manutenzione di quei sorprendente oggetti. SCENA 5. L’OROLOGIO 1610. Pechino. Matteo e L’uomo che guarda, ormai da anni vivono e operano a Pechino. L’uomo che guarda si sta preparando per la messa e per ricevere nuovi fedeli. Invita Matteo a prepararsi, ma questi, visibilmente invecchiato, vuole prima finire di lavorare alla manutenzione dell’orologio dell’Imperatore. Sente di non aver abbastanza tempo per tutto quello che deve fare. L’uomo che guarda lo tranquiliizza dicendo che finirà dopo. Matteo inizia a prepararsi ma un malore improvviso lo fa accasciare a terra. Dissimula, cerca di riprendersi ma cade nuevamente a terra. È evidente ad entrambi che la situazione è grave. L’uomo che guarda lo corica a letto. L’uomo che guarda cerca di tranquillizzare Matteo, lo ringrazia per il tempo trascorso insieme. Pregano insieme. Si unisce a loro Il viaggiatore. Matteo muore. L’uomo che guarda ed Il viaggiatore raccontano di come l’Imperatore abbia concesso per la prima volta a uno straniero di essere seppellito in Cina, avendo Matteo vissuto per tutta la vita da cinese.



25 SYNOPSIS

SCENE 1. FIRST LONELINESS 1578. At sea. The Traveller, on board a ship bound for China, writes a letter to the Father. As the storm ravages the ship and his mates are blown away by the waves, the Traveller prays to the Father and promises that, if ever he manages to reach the shores, he will fully devote himself to learning the ambiguous and complex Chinese language. Thus, he will soon be able to speak and write, to embark on his missionary activity in the name of God. SCENE 2. THE DICTIONARY 1583. Macau. Matteo and the Man who Sees are having their daily Chinese class. Matteo has extraordinary memory and seems to be at ease with learning, whereas the Man who Sees finds it difficult and loses his temper: he feels like he is just wasting time. Five years have passed since they left but their mission is stuck, they are still lingering on the edge of a hostile and obscure world, as obscure as Chinese is for him. He misses home, feels like memories of his dear ones are fading. Matteo comes up with the idea of a game to help him memorize ideograms: he has to connect them to memories of a place that is especially dear to him, the garden he used to play in as a child. Matteo reveals to the Man who Sees that he aims to reach Peking and meet the Emperor, to talk to him about God. The Man who Sees argues that in order to talk about God you need a Chinese word for God. Thus, Matteo and the Man who Sees coin a word for God in Chinese: Tienzhu. INTERLUDE Nighttime. Everybody is awake. The Traveller writes to the Father. The Man who Sees goes through old letters. Matteo starts working on the globe. SCENE 3, THE GLOBE 1599. Nanjing. Late night. Matteo works day and night on the large globe he wants to give to the Emperor as a present. He has

remained in his own rooms for years, he looks tired and weakened by a massive headache which repeatedly forces him to stop working. Even though the Man who Sees keeps suggesting that he should get some sleep, Matteo knows no rest: he hopes the Emperor might take an interest in his studies and work and allow him into his court. The Man who Sees is tired and disheartened: fifteen years have gone by since they left, but nothing seems to have changed: they are only older, lonelier, farther away from home. He leans on Matteo, to be comforted, but the latter also breaks down and they both cry. Then, a message is brought to Matteo: the Emperor has received the globe and wants to meet him. The Traveller writes to the Father and tells him how important it is not to lose hope, so as to endure the hardship of a long journey. SCENE 4. SECOND LONELINESS: YOU AND ME 1601. Peking. The Traveller and the Man who Sees write to the Father, to tell him about their access to the Forbidden City. They also explain that the Emperor has been greatly impressed by the clocks they gifted him with and has thus decided to give the Jesuits a home and a yearly allowance to stay in Peking, provided that they take care of maintenance of those amazing objects. SCENE 5. THE CLOCK 1610. Peking. Matteo and the Man who Sees have been living and working in Peking for years. The Man who Sees is preparing for mass, to welcome new worshippers. He urges Matteo -who looks much older now- to get ready and go, but he first wants to fix the Emperor’s clock. He feels he does not have enough time for all he has to do. The Man who Sees reassures him: he will be able to finish later. Matteo is about to get ready, but is seized by a stroke and falls to the ground. He tries to stand up, but falls again. Both realize it is serious: the Man who Sees puts Matteo to bed. He then tries to have Matteo calm down and thanks him for the time they spent together. They both pray and the Traveller reaches them. Matteo passes away. The Man who Sees and the Traveller reveal that, for the very first time in history, the Emperor has accepted that a foreigner be buried in China: indeed, Matteo lived most of his life as a Chinese.


26 Note al libretto

Matteo Ricci fu un figlio ribelle, un avventuriero, un viaggiatore, uno studioso, un matematico, un filosofo, un teologo, un linguista, un antropologo ante-litteram. Fu un uomo di fede. Si racconta che fosse dotato di una memoria prodigiosa e che potesse memorizzare a prima vista liste di oltre 500 parole e che fosse capace di ripeterle in ordine o al contrario senza commettere un solo errore. Scrisse, con la collaborazione di Michele Ruggieri, il primo dizionario della storia dal Cinese a una lingua europea (il portoghese). Fu il primo a tracciare una carta geografica precisa del mondo che includesse dettagliatamente l’intero impero cinese. Fu il primo europeo a compiere opera di divulgazione della matematica euclidea in Oriente: tradusse infatti in cinese, i primi sei libri degli Elementi di Euclide costituendone una formulazione dei concetti, a tutt’oggi per la maggior parte ancora in uso, e quindi l’individuazione del relativo vocabolario matematico fino ad allora sconosciuto in Cina. Fu il primo a scrivere un Catechismo Cattolico in cinese, e per farlo dovette affrontare il fondamentale problema di “trovare” il nome cinese del Dio cristiano. Fu costruttore di mappamondi, orologi e astrolabi, oggetti quasi sconosciuti in oriente. Fu un compositore. E fu un uomo che amava conoscere gli uomini, credeva nel valore della cultura come strumento di comunicazione e nella possibilità dell’incontro e della condivisione di significati. Fu il primo europeo della storia a cui fu permesso di essere seppellito in Cina, privilegio fino ad allora riservato ai soli cinesi di nascita. Il mio intento è proporre una struttura drammaturgica che permetta di restituire un profilo il più articolato possibile di questo uomo straordinario, profilo intessuto di scienza, fede, poesia e determinazione, senza però perdere di vista la solitudine, la fatica e le rinunce che comporta il dedicare senza concessioni la propria vita a un obiettivo

Shi (Si faccia) fisso – sia esso religioso, artistico o esistenziale – con la speranza, sempre presente, di riuscire a condividerlo con altri. Pur cercando di rispettare un andamento biografico delle tappe principali della vita di Ricci, il libretto cerca di tracciarne un profilo più esistenziale. I tre personaggi del libretto sono, infatti tutti Matteo. Il complesso dialogo interiore che un uomo di questa ampiezza, certamente tesseva nell’intimità del suo cuore, prende in Shi corpo e voce attraverso Il viaggiatore, L’uomo che guarda e Matteo. Proiezioni, alterego di Matteo. Il viaggiatore incarna il Matteo più giovane, quello che sta per partire, legato all’origine della vocazione, all’origine della necesità e della scelta del partire. L’uomo che guarda incarna il dubbio, la difficoltà di accettare la vita tale come si dipana, indipendentemente dai nostri desideri di fronte a noi. Rappresenta la lotta che ognuno di noi è costretto a fare nel proprio presente per sostenere la realtà del proprio presente. Matteo è l’uomo storico, l’uomo che invecchia, che muore. Questa piccola trinità costruisce una famiglia immaginaria, onirica, ma fondamentale per costruire gli equilibri e i contrappesi, i patti a cui si deve segretamente scendere per attraversare la solitudine di un’esperienza di vocazione così radicale. Nasce un dialogo intimo che diventa forma di sopravvivenza necessaria per superare le proprie paure e le proprie resistenze. Cecilia Ligorio


27

Atto unico

Il viaggiatore Molte volte avviene che delle grandi Imprese et Opere che nel mondo si fecero, non potettero poi i posteri saperne i principji donde hebbero origine. E ricercando io la causa di ciò, non seppi trovarne altra, se non l’essere tutte le cose, anco quelle che poi vengono a riuscire grandissime,ne’ sui primi principij sì piccole e deboli, che nessuno si può persuadere facilmente di esse poter sorgere cose di molto momento.

I PRIMA SOLITUDINE Si sentono dei tuoni, in lontananza

Il viaggiatore 3 agosto 1578 Mio caro Padre et honoratissimo in Christo, io sapea che quelli che desiderano andar nelle terre d’oriente non dovrebbero esser troppo legati alla vita ma esser pronti a morire, se questo è voler di Dio, ma non potea immaginar tanto: tutti gli altri confratelli son già morti per mare. Perché loro Padre? Perché non io? Visti li ho travolti dai flutti, e non mi si levan di dentro gli occhi! Padre! La paura si risolve nella volontà di Dio. Le parole sono aggredite dal tuonare dalla tempesta. Il viaggiatore grida.

È qui... nei flutti che tutto ci tolgono, che si impara a conoscere se stessi! Il sonno è negato, grandissima puzza, infiniti pedogli, cimici e altre miserie umane. Le gengive si gonfiano, denti e mandibule duolon... e le mie tempie batton forte. Ogni cosa è putrida, financo l’acqua di riserba imputridisce. Ho sete, Padre! La tempesta si placa poco a poco.

Sarei disposto a sopportare dieci volte il viaggio, pur di stare un giorno solo con voi e i miei vecchi amici, ma da voi, Padre, appresi che il dover vien prima d’ogni mio humano desiderio. Indi resisto. Nella fede resisto. Per questa causa, se mai arriverò a terra, prima d’ogni cosa mi darò alla loro lingua cina. Si inizia a sentire una lentissima litania. Sono Matteo e L’uomo che guarda che studiano parole cinesi, il canto si intreccia alle parole.

Matteo e L’uomo che guarda Fa... Hai... Cai... Caii... Cua... Cuo... Cuo sin... Il viaggiatore ... et prometto che è tanto equivoca che tiene molte parole che significano più di mille cose, et alle volte non vi è altra differentia tra l’una e l’altra che pronunciarsi con voce più alta o più bassa D’ajuto in questo m’è molto l’arte antica della memoria, che da voi ho imparata.


Shi (Si faccia)

28 Vi prometto che presto saprò parlar e pinger cino, Padre. Una cosa so et solo una: lunga è la strada, ma non vi son scorciatoie per l’incontro. Scrivete, se potete, al vostro figliolo et servo humilissimo nel Signore, Matteo Macao, febbraio 1583 II IL DIZIONARIO Matteo “co”, “con”, “ho”, “zai”... L’uomo che guarda Cinque anni. Cinque anni son passati.

Non ce la faccio! Non si può! Matteo Abbiamo appena iniziato! L’uomo che guarda Iniziato? Cinque anni! Sono cinque, Matteo, dalla nostra partenza. A stento ricordo il viso di chi ho amato. Come puoi dire “appena iniziato?” Matteo Cosa sono cinque anni nei disegni di Dio? “Solo” cinque anni per arrivare. “Solo” cinque anni...

Matteo Che c’entra adesso! Da capo… “Fa” , “hai”

L’uomo che guarda “Solo”?

L’uomo che guarda “Fa”, “hai”

Matteo Per entrare in un paese sigillato come un segreto.

Matteo “cai”, “caii”, “cua”, “cuo”, “cuo sin”, “co”, “con” L’uomo che guarda “cai”, “canj”, “cua”, “cuo”… Basta!

L’uomo che guarda Noi non siamo dentro la Cina: siamo in fondo alla Cina.

Matteo Pigro!

Matteo Per questo non ci possiam fermare. Giorno dopo giorno, passo dopo passo, parola dopo parola, uomo dopo uomo. Un cuore alla volta. Come acqua nella roccia, lo sai. Sempre avanti. Fino al centro.

L’uomo che guarda Non pigro, no! Impossibile…

L’uomo che guarda Ti sbagli. Noi...

Matteo Perchè ti fermi? L’uomo che guarda Matteo...


Atto unico

29

Matteo Tu ti sbagli.

L’uomo che guarda e Il viaggiatore Diventare barbari, per amor di Dio!

L’uomo che guarda Non possiamo andar avanti ma non ci lasciano tornare. E poi mentono! Che vendiamo bambini, dicono! Che siamo stregoni, dicono! Questa gente è nemica degli stranieri.

Matteo (imperativo) Riprendiamo. Da capo! “Fa”, “hai”...

Matteo Per questo noi dobbiam farci cinesi in Cina! Vestiremo come loro. Penseremo come loro. Parleremo come loro. Parola. Conoscenza. Queste le chiavi! E di parole ne hanno tante: “fa”, “cai”, “hai”... una per ogni cosa “cai”, “caii”, “cua”... ma noi una a una le impareremo. Riprendiamo. “ho”, “zai”... L’uomo che guarda Dizionario di insulti e veleno. Neanche morti ci vogliono! Non c’è riposo in terra cinese per chi cinese non è. Moriremo, prenderanno i nostri corpi e li porteranno via. Lontano. Chissà dove. Altrove. Nessun riposo. Neppure morti. Matteo Impareranno, impareremo!

Matteo e L’uomo che guarda

(ripete a canone solo i suoni delle

parole non i significati)

“cai”… vuol dir dovere che è diverso da “caii” che invece è coprire “cua” significa cambiare, trasformare, “cuo” è fuoco e “cuo sin” scintilla “co” mandarino “con” è osare “ho” è pipistrello e poi c’è “zai” che vuol dir essere in vita, ossia stare... Matteo Ora dimmi: “Cai”? L’uomo che guarda “Cai”... Matteo Sì! “Cai”? L’uomo che guarda Non lo so! Matteo Ma l’abbiamo appena detto! L’uomo che guarda Lo so! Lo so! Ma non ricordo. Non rimane nulla qua! Tutto se ne va. Matteo Perdi il tempo a lamentarti invece di...


Shi (Si faccia)

30 L’uomo che guarda Non so come fare. Perso in un mondo di suoni, per ogni suono che ascolto perdo chi sono stato. La lingua di mio padre, quella dei sogni. Come fai a ricordare? Matteo Vedi... gli antichi dicevano che la memoria è una mappa, un luogo amico da visitare. Una casa da abitare.

a quel giardino? Anche ora, come allora? L’uomo che guarda Si. Matteo Entriamo dunque! Dimmi: dove sei? L’uomo che guarda Sotto il salice, è l’ albero che si incontra giusto all’entrare...

L’uomo che guarda Io continuo a non capire.

Matteo E cosa fai?

Matteo Chiudi gli occhi. Ora immagina... pensa a un luogo che conosci così bene da poterci camminare anche al buio, senza guardare.

L’uomo che guarda Sotterro qualcosa, il tesoro del giorno. Lo copro con la terra che sta intorno.

L’uomo che guarda Qualsiasi luogo? Matteo Qualsiasi luogo. L’uomo che guarda Può essere un giardino? C’era un giardino... calpestavo i giacinti per catturare gli insetti e sotto il salice da solo sotterravo i miei tesori di bambino. Amavo quel segreto. Matteo Puoi tornare con la mente

Matteo Bene! Ecco! sottera “Cua” -lcosa Ogni giorno “Cua”-lcosa. “Cua”-lcosa” di nuovo, “Cua”-lcosa” di diverso. E “Cua” vuol dir cambiare. lascia sotto il salice la parola “Cua”: oggi questo è il tesoro. Continua... dove andiamo? L’uomo che guarda C’è un sentiero. Sul sentiero una pietra nera. Sulla pietra una farfalla. Sbatte debole le ali. La chiamo, le sussurro: Ma so, lo vedo: sta morendo Farfalla... fa...


Atto unico Matteo Esatto! Bene ! “Fa”! Sulla pietra nera del tuo giardino lascia il suono “Fa”. E “Fa” vuol dir Vita. Chè la “Fa”-rfalla non vive più un giorno si sa! Dove sei ora? Dimmi. L’uomo che guarda Dopo la pietra, il sentiero continua, seguo i giacinti che portano al pozzo...

31 Matteo Bravo! Fuoco? L’uomo che guarda Seguo i giacinti fino al Cuore che arde in fondo al pozzo. Fuoco è “Cuo”! Matteo E cambiare? L’uomo che guarda C’è “Cua”-lcosa sotto il salice! “Cua”!

Matteo E dentro il pozzo?

Matteo Sì! Sì! Da capo! Insieme !

L’uomo che guarda Non so. Ho paura a guardare in fondo: potrei esserci io... il mio cuore arde di spavento.

Matteo e L’uomo che guarda “Fa”, “hai”, “cai”, “caii”, “cua”, “cuo”, “cuo sin”, “co”, “con”, “ho”, “zai”

Matteo “Cuo”-re ardente ... ecco “Cuo”! Suono acceso dai tuoi battiti. “Cuo” è il fuoco. L’uomo che guarda La paura che brucia nel pozzo: “Cuo” è fuoco. Matteo Lo vedi! Lo vedi! È semplice. E ora dimmi...! Vita? L’uomo che guarda (sorpreso da se stesso) La “Fa”-rfalla...“Fa”. Vita è “Fa”.

Matteo Bravo! Ora al contrario. L’uomo che guarda Al contrario? Tu sei pazzo! Matteo (rapidissimo, quasi d’un fiato) È come camminare all’indietro nel giardino! “Zai”, “ho”, “con”, “co”, “cuo sin” , “cuo”, “cua”, “caii”, “cai”, “hai”, “fa” Ridono

L’uomo che guarda Ma la tua preferita qual è? Matteo “Shi”.


Shi (Si faccia)

32 L’uomo che guarda Non la conosco ancora “Shi”. Matteo “Shi”

Matteo Solo i pazzi un tempo potevano sussurrare le verità nell’orecchio del Re.

L’uomo che guarda “Shi”

L’uomo che guarda Come dici?

Matteo E così sia. Vuol dire: “si faccia!” “così sia”.

Matteo E questo faremo. Attraverseremo la Cina e al Re in persona parleremo.

L’uomo che guarda E cosí sia.

L’uomo che guarda Che ho detto? Pazzo! Tu sei pazzo!

Matteo Ah! Dimenticavo! Ne manca una per oggi!

Matteo Perché?

L’uomo che guarda Quale? Matteo “Chia chao”! L’uomo che guarda “Chia chao”? Matteo Ma certo! L’uomo che guarda E che cosa vuol dire? Matteo “Crosta sul piede” “Chia chao”! L’uomo che guarda (ride) L’ho detto! Un pazzo! Mi sono perso nel mondo con un pazzo!

L’uomo che guarda È dai semplici non dai Re, che dobbiamo iniziare. Giorno dopo giorno, passo dopo passo, parola dopo parola, uomo dopo uomo. Un cuore alla volta. Sempre avanti. Fino al centro. Matteo Ti sbagli. Per arrivare al Re dobbiamo parlare: ad eunuchi, mandarini, e magistrati. Per prima cosa dobbiamo fare degli amici. Ci faremo conoscere grazie al sapere che Dio ci ha dato.


Atto unico Insegneremo l’algebra di Euclide le stelle e la filosofia com’è fatto il mondo oltre i loro confine, le tecniche della memoria la prospettiva di Giotto e la musica tonale. Ma per fare questo dobbiamo parlare! L’uomo che guarda “Shi”! Così sia. Parole come chiavi.

33 L’uomo che guarda Come puoi parlare di Dio senza il nome di Dio? Matteo Non lo so. L’uomo che guarda Senza nome, niente Dio, Matteo! Matteo Frena la lingua, ho detto! L’uomo che guarda Parola detta è realtà creata.

Matteo Re è la parola chiave! Al Re parleremo di Dio e il Re parlerà di Dio alla Cina.

Matteo Dio è realtà e creazione. Bada alle tue di parole.

L’uomo che guarda Dimentichi una cosa. Per parlare di Dio serve una parola per Dio. Come si chiama Dio in Cina?

L’uomo che guarda Serve Dio. Serve il nome. Scegli il nome. per portare Dio al Re!

Matteo Un nome a Dio? Tu hai ragione, ma...

Matteo ...in questa terra il Re è detto Figlio del Cielo…

L’uomo che guarda Devi dare un nome a Dio.

L’uomo che guarda Aspetta... Come si dice cielo?

Matteo Non posso scegliere io il nome di Dio! L’uomo che guarda Senza nome, niente Dio. Matteo Attento a come parli!

Matteo Cielo è “Tian”. “Tian” . L’uomo che guarda Per il nostro Dio, tutti sono figli del Cielo. che siano naufraghi, pazzi o Re.


Shi (Si faccia)

34 Matteo ...se tutti siamo figli del Cielo, il Padre Nostro ne è il Signore... L’uomo che guarda Come si dice Signore nella lingua del Re? Matteo “Zhu” Signore Dio Signore del Cielo. L’uomo che guarda E dei naufraghi e dei Re. “Tien”... Matteo (conclude la parola) ...“Zhu“ L’uomo che guarda “Tienzhu” Matteo e L’uomo che guarda “Tienzhu” L’uomo che guarda È l’ora del vespro. La nostra preghiera si alza a “Tienzhu”. Matteo e L’uomo che guarda iniziano a cantare la preghiera della sera. Il viaggiatore si sveglia di soprassalto.

Matteo Iube, Domine, benedícere L’uomo che guarda Noctem quietam et finem perfectum concedat nobis Dominus omnipotens. Amen.

Matteo e L’uomo che guarda Te lucis ante terminum, Rerum Creator, poscimus, Ut pro tua clementia Sis præsul et custodia. Procul recedant somnia, Et noctium phantasmata; Hostemque nostrum comprime, Ne polluantur corpora. Præsta, Pater piissime, Patrique compar Unice, Cum Spiritu Paraclito Regnans per omne sculum. Amen. Il viaggiatore (confuso) Un sogno Padre! pareami che mi si facesse incontro un uomo sconosciuto. Mi diceva: “e tu non vuoi pure andare innanzi di questa terra antica per piantarvi la legge di Dio?” Io, meravigliandomi di come lui potesse penetrare nel mio cuore, gli risposi: “O voi siete il diavolo o Iddio”? Disse egli allora “il diavolo no, sì bene il Dio”. Allora io, gittandomi a’ suoi piedi e piangendo dirottamente dissi: “Signore perché fin ora non mi avete aiutato?” Disse egli allora: “Andate pur a quella città” e parea che mostrasse Pechino... “e qui vi aiuterò”. La preghiera finisce.

Il viaggiatore Padre amatissimo, è sì tanta la solitudine in questa terra barbara che per resistere alla malinconia alle volte v’ho parlando solo, ma questa impresa è una delle più importanti e di più servitio di Dio che hoggi si habbi nella christianità.


Atto unico Vi priego, di inviare vostre lettere, non dico tanto lunghe, perché non pretendo darvi troppo lavoro, ma almeno quattro righe, che leggendole più volte è come se si moltiplicassero. Figlio vostro et servo indegno in Christo, Matteo

III IL MAPPAMONDO Notte insonne. Il viaggiatore non riesce a dormire. Matteo sta lavorando alla grande mappa del mondo. L’uomo che guarda rilegge malinconico vecchie lettere.

Matteo ... Ecco... qui... a ponente la Cocincina a levante è Zanghzahou: l’altra provincia con cui confina... L’uomo che guarda

(stropicciandosi gli occhi per la stanchezza, quasi non lo ascolta, sembra triste)

Quindic’anni. Quindic’anni son passati. Il cielo è uno, la terra è una. Tienzhu! Dio è l’uno. A vederlo sembra tutto così vicino. Matteo (continua con il suo lavoro) Quindici province, mille fiumi e canali che da ogni provincia arrivano alle soglie delle porte imperiali Matteo Quansi, Iunan Huquan, Honan, Suensi, Sansi Canton

35 Santon Nanchino Pechino, la casa del Re. L’uomo che guarda Quieichieu Loquien, Suchen Quiansi Chequian, Canton Santon Nanchino L’uomo che guarda E noi? La nostra casa dov’è? Da dove siamo partiti? Matteo indica sul mappamondo

E adesso? Matteo Siamo qui. L’uomo che guarda Qui è lontano e vicino insieme. Matteo La nostra casa è la Cina, ormai. Matteo sente una fitta alla testa

L’uomo che guarda Avere una casa è sentirsi a casa? No! La stanchezza sveglia l’assenza stanotte. L’uomo che guarda si accorge che Matteo non sta bene

Sono stanco. Anche tu, lo vedo. Andiamo a dormire. Matteo sente un’altra forte fitta alla testa


Shi (Si faccia)

36 Matteo Dobbiamo finire! A breve i mandarini partiranno per Pechino. Ce n’è uno che s’è fatto amico: è amico del Re. Si è offerto di portare il mappamondo al Re. L’uomo che guarda Il Re non ha amici: chiuso nel cuore di un mondo, che non conosce. Che non conosce. Matteo sente un’altra forte fitta alla testa

Matteo Per questo disegniamo il mondo al Re. L’uomo che guarda Matteo, devi riposare. Andiamo a riposare. Matteo No! Io devo finire!

Matteo si tiene la testa con le mani. I fogli ai quali sta lavorando cadono a terra.

L’uomo che guarda I tuoi occhi si fanno piccoli. Ti stanchi troppo Matteo. Tu morirai di stanchezza! Matteo... Matteo Niente... Non è niente, lascia stare. La testa, che schiaccia, sempre qui...

L’uomo che guarda Non importa! Ora basta. Non importa! Riposa! Matteo Riposa tu! Lasciami stare! L’uomo che guarda Matteo non dorme. Io non dormo. Matteo non piange. Io non piango. Matteo non teme. Io… Matteo… Matteo… Matteo Matteo Lasciare spazio alla stanchezza mi condanna al dubbio alla mancanza. Allora la testa... devo continuare. L’uomo che guarda Matteo! Basta! La memoria si scioglie nell’inchiostro che disegna il tuo mondo. Disegni il mondo al Re, ma ogni linea è una ferita, lo so: io vedo con i tuoi occhi noi siamo due e uno. Quanti anni? Quindici anni. E quanti morti? Matteo Devo continuare


Atto unico ogni linea è una ferita la memoria si scioglie lo so, taci. L’uomo che guarda Dilli stanotte i morti, per seppellirli nella memoria perché non potevi seppellirli nella terra. Il viaggio in mare, due anni di mare e quanti morti in mare? Goa, e poi Cochin la febbre a Cochin la morte a Cochin e poi Macao e Zhaoquin poi Shaoquin la morte nel fiume a Shaoquin. Matteo Matteo come fosse l’ora pro nobis, quasi sussurrando Padre Francisco per mare in Mozambico Padre Rodolfo ucciso con altri quattro non sappiamo il perché Padre Simao Padre de Almeida Padre Francesco per malattia Padre Joao Barrades scomparso nel fiume L’uomo che guarda Per tutti i fratelli morti lontani da casa e mai seppelliti quanti sono gli amici trovati? Matteo Nostro è il tempo

37 della semina non del raccolto. L’uomo che guarda Inutile! Tu vuoi dare senso a tutto. La verità è una: Pechino è lontana. Matteo (lottando contro lo scoraggiamento e l’emicrania, in un grido sordo, soffocato)

Le tue parole calpestano le mie tempie! Matteo si accascia per il dolore. Matteo piange. L’uomo che guarda gli si avvicina per tranquillizzarlo. Il viaggiatore, si unisce all’uomo che guarda.

L’uomo che guarda (con tenerezza) Riposare, Matteo devi riposare. Dobbiamo riposare a casa. Un luogo dove riposare. Trovare una casa in cui riposare. Trovare una terra per riposare Matteo Anche io a volte vorrei tornare, vorrei trovare, una casa. Un luogo dove riposare. Trovare una casa in cui riposare. Trovare una terra per riposare Matteo prende sonno. L’uomo che guarda canta sempre più delicatamente, fino a mormorare a bocca chiusa la melodia.

L’uomo che guarda ...una terra una terra per riposare


Shi (Si faccia)

38 riposare... ... una terra per riposare riposare... Il viaggiatore Nanchino, 14 agosto 1599 Padre Honorando in Christo, quando si considera un amico come se stesso, il lontano si avvicina. Nell’antica scrittura cinese il carattere “amico” era composto da due segni come “due mani” e “compagno” era composto da “due ali”, senza le quali l’uccello non può volare. Non sarebbe forse così che anche i nostri antichi consideravano gli amici? Gli uccelli hanno amici per cantare. Gli uomini hanno amici per vivere. Ho traversato il mondo, valicato monti, ammirato la luce del nobile regno per farmi degli amici e inizio a pensare che forse non ho fatto invano: ho fatto un amico, un mandarino, egli parlerà di noi al Re. Spero che grazie a lui, Iddio ci conceda presto anche l’amicizia del Re, già che nel vero non posso promettermi molti anni, che sto bianco tutto in testa, e questi Cinesi si maravigliano che in età non molto avanzata io sembri sì vecchio, e non sanno che son loro la causa dei miei capelli cani. Vostro figlio indegno in Christo. Matteo L’uomo che guarda entra correndo in preda all’entusiasmo,

L’uomo che guarda Matteo! Sveglia! Hanno scritto! Matteo (confuso, svegliandosi) Che? L’uomo che guarda Il mandarino è arrivato al Re! Matteo Chi? Cosa?

L’uomo che guarda Ha funzionato! Ha funzionato! Il Re, Matteo ha avuto il mondo che per lui hai disegnato! Matteo Parla! L’uomo che guarda Ci chiama a Pechino. Ha funzionato! Si abbracciano

Matteo Quando? Ora? Ora! È l’ora. È il momento. Servono nuovi doni! Libri! Orologi! Disegni e canzoni. Ci dobbiamo preparare! L’uomo che guarda e Matteo Il Figlio del Cielo si avvicina a Tienzhu.

IV SECONDA SOLITUDINE tu ed io Il viaggiatore Pechino, 30 gennaio 1601 Padre Molto Honorando in Christo, ignoro se questa mia lettera vi troverà nel cielo o nella terra, già che da anni non ho di voi notizie, ma voglio provare la sorte e scrivo! Per l’allegrezza non mi basta l’animo di dir le cose che mi successero: il trenta di questo mese ci hanno aperto le porte della Città Proibita.


Atto unico

39

Portavo in dono un’ immagine di Cristo della Madonna e del Bambino, una croce, un rubino, un Vangelo. Portavo un corno di rinoceronte, speravo fosse sorprendente! E portavo due orologi a cui per mesi avevo lavorato: uno grande di ferro battuto che suona le ore se vien caricato, uno più piccino, tutto d’oro intarsiato

Ho sentito gli orologi suonare. E subito qualcuno che grida: “Uomo strano! I tuoi orologi han suonato le ore! Gli orologi fanno ridere il Re! Il Re è felice! Da oggi vivrai in Pechino, e pregherai a voce alta il tuo Signore del Cielo per volere del Figlio del Cielo. Ogni mese tornerai a caricare gli orologi che fanno ridere il Re.”

L’uomo che guarda Sono entrato tremante nella del trono. L’eunuco ha gridato.

Il viaggiatore Sono ventitré, padre mio, ventitré gli anni che servono per percorrere la strada che porta dall’uomo all’uomo giorno dopo giorno cuore dopo cuore Fino al centro. Ventitré. Pregate per me, Matteo.

L’uomo che guarda e Il viaggiatore “In ginocchio” L’uomo che guarda E mi sono inginocchiato. Ma sul trono non c’era nessuno. Il mio respiro era alterato come quello di un cane che aveva corso veloce dal suo padrone. Cercavo di calmare il mio petto nel conforto della preghiera, ma non capivo: io sapevo, io sentivo, era lí, ne ero certo, ma non lo vedevo. Ho aspettato fermo qualcosa una parola sentivo il suo sguardo su di me... niente. Sono uscito dalla stanza del trono.

V L’OROLOGIO Matteo è alle prese con la riparazione dell’orologio del Re.

Matteo È tardi! L’uomo che guarda Come dici? Matteo Manca poco per finire. L’uomo che guarda Ci aspettano per la preghiera. Son venuti in tanti e ce ne sono di nuovi!


Shi (Si faccia)

40 Matteo Di nuovi? Come farli sentire benvenuti se non ne conosco i nomi? L’uomo che guarda Matteo... Matteo Non c’è tempo! L’uomo che guarda La tua voce è familiare ad ogni anima pulita. Sono qui per te. Sono loro che conoscono il tuo nome! Matteo - indicando l’orologio Vedi? Qui è il problema. Devi imparare. L’uomo che guarda Questo lavoro è tuo. Ora andiamo! Matteo Gli antichi dicevano: “L’amico non è altro che la metà di me... Matteo e L’uomo che guarda ...O un altro io” Matteo Esatto! Onde è necessario che tu impari: il lavoro tuo è il mio arriverà il giorno in cui io non... L’uomo che guarda Shhh! Andiamo ora. Matteo Il mio tempo è roso come rosi sono i miei occhi.

L’uomo che guarda Cosa dici! Matteo È il tempo affamato che addenta anche le viscere dell’orologio del Re... Buffo! Buffo! Seduto di fronte agli avanzi del banchetto del tempo di quest’ orologio penso che un solo pezzo del suo ferro sia servito più della mia fede per avvicinarci al centro. L’uomo che guarda Ti lamenti troppo! Finirai dopo. Andiamo adesso. Matteo si alza. Matteo ha un cedimento.

L’uomo che guarda Matteo! Che c’è? Matteo Nulla. Andiamo. Ci sono nuovi nomi da imparare. L’uomo che guarda fa per uscire. Matteo cade per terra. L’uomo che guarda accorre.

L’uomo che guarda Matteo! Matteo Aiutami a... L’uomo che guarda Devi riposare...


Atto unico Matteo Grazie. Sto bene. Possiamo andare. L’uomo che guarda I tuoi capelli sono bianchi! Devi smettere di... Tu... Matteo e L’uomo che guarda Morirai di stanchezza prima o poi... Matteo fa per alzarsi, ma non ce la fa. Improvvisamente la situazione si rivela ad entrambi per la sua gravità.

L’uomo che guarda Matteo... Matteo Hai ragione, me l’hai detto! Aiutami per favore: E a chi ci aspetta, dì...

41 Matteo Stanotte sento vicino il respiro di Dio. ma io non... L’uomo che guarda Shhh. Ti sei solo spaventato. Matteo Non ho paura, no! Ma non ho finito! Abbiamo solo iniziato: la Cina! Trent’anni! L’uomo che guarda Cosa sono trent’anni nel disegno di Dio? Solo trentanni hai impiegato per arrivare il Re! Matteo Non ne conosco che l’ombra.

L’uomo che guarda Shhh...

L’uomo che guarda Perché dici questo?

L’uomo che guarda accompagna Matteo a letto. Lo aiuta a stendersi.

Matteo Io non so di che colore sono i suoi occhi.

L’uomo che guarda Sei un uomo strano, Matteo. Matteo Sono solo un servo di Dio. L’uomo che guarda No! Tu sei diverso dagli uomini, e simile alla Natura, che come te continua e continua e si espande e cresce e si adatta e continua fino al centro, sempre, tu.

L’uomo che guarda I miei occhi hanno visto l’uomo di fronte all’uomo. L’incontro si fa nei fatti dell’amore: il Re ti ha aperto la sua casa. Ti ha dato una terra. Matteo Non è nostra questa terra che ho imparato ad amare! Chi non nasce cinese


Shi (Si faccia)

42 Il Viaggiatore Pater Mathaeus Ricius, italus, Maceratae in agro Piceno, nobili loco natus est anno 1552 pridie Nonas octobris. Mortus in Domino est Anno 1610 Maji In Regis Wanli Cinae

non riposa morto in terra cinese! Avrei voluto morire sapendo il colore dei suoi occhi. L’uomo che guarda Hai vissuto sapendo l’ampiezza del suo cuore: tu hai aperto il cuore della Cina. Hai paura?

L’uomo che guarda Die sequenti eij socij, qui cupierunt mortem suam ac vitam suam invicem respondere petiterunt Regum ut primum in sinensis historia datum fuerat christiani terrae particulam en sepulturam. In facto Matteus facit sibi sinensum Et mortus erat sinensum. Rex legit et supscripsit manu “ita sit” Xi.

Matteo ...E tu? Non piangere. Siamo insieme. È l’ora.

Matteo sorride all’Uomo che Guarda

Grazie. L’uomo che guarda Senza di te, sarei stato il buco nei mei desideri. Prega con me. L’uomo che guarda si inginocchia ai piedi del letto. Il viaggiatore si avvicina, si unisce alla loro preghiera.

Matteo, L’uomo che guarda e Il viaggiatore rituale dell’In Expiratione gregoriano)

“In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum. Domine Iesu Christe, suscipe spiritum meum. Sancta Maria, ora pro me...” Matteo muore.

L’uomo che guarda Matteo... L’uomo che guarda gli chiude gli occhi.

(intonano il

Il viaggiatore Il giorno dopo i fratelli, che volevano che la sua morte corrispondesse alla sua vita chiesero al Re che per la prima volta in Cina si concedesse ad un cristiano un po’ di terra per la sepoltura. Infatti Matteo s’era fatto cinese e morto era da cinese. Il Re lesse e di suo pugno scrisse Così sia Shi. BUIO





46 DA MACERATA ALL’ORIENTE 1: MATTEO RICCI* «Sono amicissimi di commedie» da Descrizione della Cina (1610)

Questo ultimo regno orientale venne a notizia de’ nostri europei sotto diversi nomi. Il più antico del tempo di Tolomeo fu Sina; di poi, nel tempo di Tamorlano, come di poi chiaramente si vedrà, ci fu data notizia di essa da Marco Polo con nome di Catio. Ma il più celebre di questi tempi è questo di Cina, divulgato da’ Portoghesi, che per lunghi e pericolosi viaggi per mare arrivano a essa e mercanteggiano nella sua parte più al mezzogiorno, nella Provincia di Quantone, se bene i nostri Italiani et altre nazioni pensino chiamarsi China, ingannati dalla pronunciazione e scrittura spagnola, che non segue nel loro vulgare, in alcune lettere, la pronunciazione latina. Et è cosa degna da notare che tutti questi nomi forno apportati ai nostri con aggiuntino di Grande; poscia che sogliono chiamarla magna sina, e Marco Polo la chiama il gran Cataio, e gli Spagnuoli la Gran Cjina, di dove si vede l’essergli debita e connaturale la sua magnificientia e grandezza del suo nome. Per essere questa terra grande e stesa, non solo da Levante a Ponente, come la nostra Europa, ma anno dal settentrione al mezzo giorno produce tutta insieme più varietà di cose che altra nessuna; posciaché contiene più varietà di Climi, da la varietà de’ quali dipendono le cose che si producono, ricercando una terra fredda, altre caldo et altre temperata; e così ne’ suoi libri di Cosmografia si descrive molto copiosamente quello che ogni Provincia e ogni regione produce, che sarebbe cosa lunga tutto qui riferirei. E si può dire insomma quello che tutti i scrittori dicono di essa, essere molto abondante di tutte le cose necessarie al vitto, vistitio, colto et anno vezzo humano. […] E lasciando le pietre di marmore, mischi et altri colori, et gli rubini, perle et altre cose preziose, colori assai fini, odori di legno et altri bittumi, dirò di voi o tre altre cose a noi incognite.

Una è d’un arbucello infruttifero delle cui foglie fanno il Cià, cosa assai preggiata da quelle parti et anno questo genere di arboscello. Queste foglie cogliono nella primavera e seccano all’ombra, e guardano per fare una decottione di acqua, della quale usano molto per essere molto tosto al bevere et utile alla buona disposizione et digestione, bevendosi sempre assai calda, e tutto il giorno, si può dire. Perciochè, non solo alla tavola, ma anco tutte le volte che viene uno di fuora alla loro casa, la prima cosa che si presenta è una tazza di Cià per bevere e di poi va continuando, se sta molto tempo, tre e quattro volte. Ve ne è di molte varietà, uno più perfetto che l’altro; e così vale alle volte un scuto la libra et altre dei e tre. Nel Giappone è più caro, e vale dieci e dodici scuti il più fino; ma per l’uso di esso è qualche cosa differente dalla Cina; perché nel Giappone macinano queste foglie come farina e depoi in ogni tazza di acqua calda ne bottano uno o doi cocchiaretti, et così insieme con l’acqua lo bevono. nella Cina mettono in un vaso di acqua calda una mezza oncia di questa foglia, e de quella acqua bevono lasciando le foglie nel vaso. […] Finalmente è fertilissima questa terra di sanitrio; ma l’uso di esso non è tanto per far polvere per la guerra, nella quale usano puoco di archigugi e molto manco Bombarde o Artiglieria, mai tutto si spende in giochi di fuochi artificiosi, che fanno tutto l’anno nelle loro festi con tanto artificio, che nessuno de’ nostri lo vede senza meraviglia; facendo varie invenzioni di fiori, di frutta, di battaglie e girandole nell’aria, tutto con questo artificio di fuochi. E un anno in Nanchino, giudicassimo che in cerca d’un mese, nel principio dell’anno nuovo, si spense più sanitario e polvera di quello che si spenderebbe tra di noi in una guerra continua di due o tre anni. […] De instrumenti musici hanno e copia e varietà, ma non hanno organi né gravicembali o Manicordi. Le corde sono tutte di seta cruda, e non sanno l’uso di queste altre fatte da budella di animali, ma temprano gli instrumenti come noi con l’intesa consonantia,se bene la Musica tutta è di canto piano senza la varietà di voci, di Basso, alto, tenore e canto de’ nostri. E così tra loro mai fu vista tale consonantia nelle voci, ma stanno contentissimi con la sua, pensando che nel


47 mondo non vi è altra musica. Con tutto ciò stanno stupiti de gli organi et altri strumenti de’ nostri, che sin adesso potero vedere. […] Sono amicissimi di commedie assai più che i nostri; e così vi sono molte migliaia di giovani che si occupano in questo; altri che vanno per diverse parti, altri che stanno sempre nelle Città grosse dove sono chiamati e ben paghi nelle feste pubbliche e particolari. ma questa è la più vile e vitiosa gente di tutto il regno; e molti putti sono comparati da alcuni maestri che gli insegnano a cantare e fare commedie e balli per guadagnare con essi. […] Un’altra arte vi è ancora poco usata da’ nostri, che di ventagli per sventarsi nella state e tempo caldo, del quale usano ogni sorte di gente, grandi e piccoli, poveri e ricchi, houmini e donne, e pare che nessuno sa andare per la strada senza un ventaglio nella mano, senza anco esser tempo caldo e come per galanteria. Di questi fanno moltissime sorti e varij, sì nella materia, di canna, di legno, di ebano, di avorio, e con carta,con seta, con velo, con paglia, sì anco nella forma, rotondi, quadrati, ovati o quadrati. ma il più comune, e di persone gravi, è di carta bianca o indorata, fatti di tal sorte che con pieghe si raccogliono come intra due mezze bacchette di legno, dove sogliono scrivere e farsi scrivere da buoni scrittori qualche bella sententia o sonetto. E questo è uno dei più ordinarij presenti che si danno gli uni agli altri in segno di amore et amicitia. Là onde noi anche ne habbiamo piena un’arca mandati da altri e per rimandare di presente quando ci occorre. Et in fare questi ventaglietti non è piccolo il numero di gente che si occupa. […] Non usano nel mangiari de forcine, né di cocchiari, ma di certe bacchette sottili, di un palmo e mezzo lunghe, le quali pigliano di tal garbo con la mano dritta, che mangiano tutto quanto si pone a tavola senza mai toccar niente con le mani, con molta destrezza. È vero che è necessario che tutto quanto si pone a tavola venga trinciato in pezzetti, se non fusse cosa di sé liquida o molle, come ovi, pesci et altra cosa simile, che con l’istesse bacchette si possa spicciare, di nessuna guisa appare coltello nessuno a tavola. Il loro bevere sempre è cosa molto calda, anco nel mezzo della state, o sia quella loro decottione di Cià o vino, o altre cose liquide che pare cosa

molto utile alla sanità. Per questo vivono molti anni di vita, e sino a settanta e ottanta anni sono assai più robusti che i nostri, e da qui anco penso viene che loro non hanno il male della pietra o di arenella, come hanno sì soventemente i nostri europei, che sempre bevono cose fredde. […] In questi conviti hanno tutte le nostre vivande condite assai bene, ma di nessuna viene molta quantità, e si prezzano di molta varietà di cose empiendo la tavola di bacciletti, che sono assai piccolisempre, sì di carne e di pesce in ogni pasto, e tutto mangiano; et una vivanda posta in tavola sta quivi sino al fine senza toglierla da lì. E così, non solo coprono le tavole senza apparire altra cosa che vivande, ma anco pongono i baccili uno sopra l’altro due e tre volte facendo un castello alto. Nessuno pane si pone alla tavola, nè gran riso che risponde al pane in simili conviti. Sogliono anche fare molti giuochi di varie invenzioni, e fanno bevere a quei che perdono con grandi grida e festa. Nel fine sempre mutano le mazzette con altre assai magiori e, se bene a tutti le pongono uguali, non obbligano a bevere i esse a quei che non possono bevere molto vino, ma a quei che possono. Il loro vino è specie di Cervosa e non è molto forte, ma non lascia di embriagare per esser molto quello che bevono, sebene facilmente tornano a star sano l’altro giorno seguente. […]

* Matteo Ricci nacque il 6 ottobre del 1552 da una famiglia nobile di Macerata. È stato un gesuita, matematico, cartografo e sinologo italiano. Iniziò gli studi nel 1561 nel Collegio dei Gesuiti della città natale. Nel 1568 fu inviato dal padre a Roma per studiare giurisprudenza al Collegio Romano ma attratto dagli ideali e dalle attività dei Gesuiti, entrò nella Compagnia di Gesù nel 1571 a Sant’Andrea al Quirinale. Si dedicò agli studi scientifici ed in particolare ad astronomia, matematica, geografia e cosmologia. Fu inviato nelle Indie Orientali nel 1577 e poi in Cina dal 1582 dove, grazie alla stima di cui godette presso la corte imperiale, condusse un’opera di apostolato e di evangelizzazione basata sul criterio del rispetto per i valori culturali locali e della penetrazione del cristianesimo nella classe colta. La sua produzione scritta fu vastissima. Matteo non fece più ritorno in Europa, morì a Pechino nel 1610. È stato il primo straniero, non ambasciatore, sepolto in Cina.





SFERISTERIO 21, 29* luglio, 4, 13 agosto - ore 21.00 Anteprima giovani 17 luglio - ore 21.00 Giacomo Puccini

Turandot Opera in tre atti Libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni Edizioni CASA RICORDI, Milano

Iréne Theorin La principessa Turandot Stefano Pisani L’imperatore Altoum Alessandro Spina Timur Rudy Park Il principe ignoto (Calaf) Davinia Rodriguez Liù Andrea Porta Ping Gregory Bonfatti Pang Marcello Nardis Pong Nicola Ebau Un mandarino Andrea Cutrini Il principe di Persia Direttore Pier Giorgio Morandi Progetto creativo Ricci / Forte Regia Stefano Ricci Scene e luci Nicolas Bovey Costumi Gianluca Sbicca Movimenti scenici Marta Bevilacqua Maestro del coro Carlo Morganti Maestro del coro di voci bianche Gian Luca Paolucci Assistente alla regia Liliana Laera Assistente alle scene Eleonora De Leo Assistente ai costumi Gianluca Carrozza Fondazione Orchestra Regionale delle Marche Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini” Coro di voci bianche Pueri Cantores “D. Zamberletti” Complesso di palcoscenico Banda “Salvadei” Coproduzione con il Teatro Nazionale Croato di Zagabria * serata con audio descrizione in collaborazione con Unione Italiana Ciechi e Museo Tattile Statale Omero


Turandot

52 Direttore di scena Ermelinda Suella Direttore musicale di palcoscenico Alberto Zanardi Vocal coach Simone Savina Maestro di sala Claudia Foresi Maestri di palcoscenico Manuela Belluccini, Marta Marrocchi Maestro alle luci Melissa Mastrolorenzi Maestro ai sopratitoli Daniele Gabrielli Mimi Paolo Andrenucci, Orazio Caputo, Mauro Cardinali, Thomas Couppey, Gabriel Da Costa, Francesco Martino, Pierre Etienne Morille, Daniele Profeta, Giuseppe Sartori, Simon Waldvogel Direttore di palcoscenico Mauro De Santis Responsabile allestimento e servizi di palcoscenico Enrico Sampaolesi Ufficio tecnico allestimenti Francesco Lozzi Logistica Giorgio Alici Biondi Scenografo realizzatore Serafino Botticelli Capo macchinista Secondo Caterbetti Capo elettricista Fabrizio Gobbi Responsabile sartoria Simonetta Palmucci Responsabile vestizioni Maria Antonietta Lucarelli Capo attrezzista Emanuela Di Piro Capo squadra aiuti tecnici Mauricio Cesar Pasquali Supervisore trucco e parrucchieria Raffaella Cipolato Responsabile parrucchieria Serena Mercanti Responsabile trucco Sara Croci Coordinatrice personale di sala Caterina Ortolani Fotografo Alfredo Tabocchini Scene e attrezzeria Teatro Nazionale Croato di Zagabria - Macerata Opera Festival Allestimenti Arredo verde - Pellegrini Garden, Civitanova Marche (MC) Costumi Macerata Opera Festival - BĂ ste, Trieste Sartoria CM Creazioni, Tolentino (MC) - Erodiade Monica, Urbisaglia (MC) - Arianna Sartoria, Corridonia (MC) Calzature CTC Calzature, Milano Parrucche Audello, Torino Illuminotecnica Seven, Ancona Fonica AMS, Macerata Sopratitoli e audio descrizioni Macerata Opera Festival e UniversitĂ di Macerata


53 «UNA TURANDOT ATTRAVERSO IL CERVELLO MODERNO»

Subito dopo aver letto il dramma di Gozzi, Giacomo Puccini scrisse a Renato Simoni raccomandandogli di «lavorarlo per renderlo snello, efficace e soprattutto esaltare la passione amorosa di Turandot che per tanto tempo ha soffocato sotto la cenere del suo grande orgoglio […] In fine: una Turandot attraverso il cervello moderno, il tuo, d’Adami, e mio». È quindi col sostegno di Puccini stesso che ci si dispone a leggere quasi cento anni dopo il suo lavoro indicandone nuovi spunti espressivi che leggano l’adesione di Puccini alla modernità del suo tempo (gli echi dell’Espressionismo, i musicisti della Seconda Scuola di Vienna, le rivoluzioni e le nuove identità d’inizio Novecento) non come un vincolo ma come un invito per Gianni Forte e Stefano Ricci. «Considerando il valore che la musica ha sempre avuto nel nostro linguaggio espressivo – dicono i due artisti oggi considerati fra i più interessanti e innovativi della scena europea – con creazioni teatrali imbastite a doppio filo con una tessitura sonora il più delle volte costruita con il supporto di compositori contemporanei, era inevitabile il confronto con un autore classico come Puccini e col potere visionario ed evocativo della partitura di Turandot e della protagonista, intesa come una donna di oggi che ha paura di diventare adulta e si rifugia nel regno della sua fantasia, sfruttando il proprio straordinario potere immaginifico a suo uso e consumo; una bambina persa nei suoi giochi, turbata dal timore di ciò che gli anni e la vita possono produrre, dissipando i sogni e le illusioni più acerbe». Una favola, quindi, in cui l’Oriente e la Cina sono teatro di una favola e di una tremenda metafora che Turandot rivive dentro di sé: «è tutto dentro la sua testa – continuano Ricci/Forte – tramite una visione parallela abitata da personaggi che la protagonista stessa muove come una bambina fa con le sue bambole. Un rito infinito dentro un’aura visio-

naria. Un percorso d’iniziazione che si compirà con l’inserimento di un corpo estraneo: quello di Calaf, l’uomo che la costringerà a evadere dal suo spazio irreale per uscire finalmente alla luce del sole. Lo spazio mentale di Turandot è una distesa di ghiaccio sulla quale ogni forma di vita viene analizzata e catalogata per timore che possa espandersi (cosa che accadrebbe lasciandosi amare, donandosi a un altro, diventando madre, soffrendo): un fiabesco castello di carte destinato a crollare quando la forza dell’amore busserà prepotente alle porte». Così facendo è possibile anche coniugare le aspettative tipiche del pubblico rispetto a quest’opera – che si traducono nella vicinanza ai personaggi più “vicini” come Calaf e Liù – con una ricerca teatrale complementare in cui la Principessa assurge completamente al rango di protagonista. «Partendo da un profondo rispetto per la partitura musicale, abbiamo considerato dapprima Puccini e il suo tempo, quindi la figura di Turandot, eviscerando un percorso emozionale che restituisca appieno la forza drammatica del compositore e allo stesso tempo affondi nell’immaginario di una donna odierna, fatto del proprio passato, dei ricordi d’infanzia, del rapporto coi genitori. Lontano da qualsiasi pregiudizio anacronistico che opponga prosa e teatro d’opera e intenda la ricerca contemporanea come nociva o irriverente rispetto a una “Lady” come la lirica, la nostra ricerca si è sviluppata evitando il fardello paesaggistico e oleografico abituale di Turandot (giacché l’orientalismo in sé non era neppure fra gli obiettivi di Puccini), andando dritti al nucleo del dramma: il disgelo di un cuore in inverno» (f.t.).





57 SOGGETTO

ATTO PRIMO A Pechino, al tempo delle favole. Di fronte a una grande folla, un mandarino pronuncia la sentenza di morte di un principe persiano che non è stato capace di risolvere i tre enigmi postigli da Turandot, figlia dell’imperatore Altoum. La principessa, infatti, ha fatto voto di sposare il pretendente di sangue nobile che sappia risolvere tre enigmi, ma ha anche decretato che chi fallisce sarà decapitato. Confusi tra la folla, Timur, deposto re di Tartaria, e la schiava Liù, sua fedele compagna, incontrano Calaf, figlio di Timur, creduto morto in battaglia, che si aggira in incognito fra la gente. Il pretendente sconfitto viene intanto condotto al patibolo. La folla, impietosita, invoca la grazia. Anche Calaf prova orrore per la crudeltà della principessa, ma quando la vede affacciarsi al balcone e con un cenno silenzioso mandare a morte il persiano, se ne innamora perdutamente e non pensa ad altro che a conquistarla. Ping, Pong e Pang tentano di dissuaderlo. Altrettanto fanno Timur e Liù, che ama segretamente il giovane principe. Calaf consola Liù ma senza esitare suona il gong con cui ogni nuovo pretendente annuncia la sua volontà di sottomettersi alla prova. ATTO SECONDO Quadro primo. Ping, Pang e Pong lamentano il pietoso stato in cui è ridotta la Cina per il crudele capriccio di Turandot, e si augurano che la sovrana venga sconfitta. Quadro secondo. Al cospetto dell’imperatore, seduto sul suo trono, Turandot rievoca i lontani avvenimenti che l’hanno indotta a fare il terribile voto: migliaia di anni prima, la sua antenata Lo-u-ling fu violentata e uccisa da un re barbaro. La prova crudele cui sono sottoposti i suoi pretendenti non è che la vendetta per quel lontano crimine. Calaf è invitato a ritirarsi ma rifiuta recisamente, e la prova ha luogo. Il principe ignoto (Calaf) scioglie uno dopo l’altro i tre enigmi e vince. Turandot, umiliata, prega il padre di impedire che ella divenga schiava di uno straniero, ma l’imperatore le oppone la sacralità del voto. Calaf, generosamente, le offre di scioglierla dal giuramento se scoprirà il suo nome e la sua origine prima dell’alba.

ATTO TERZO Quadro primo. Nella notte si odono le voci degli araldi annunciare il decreto di Turandot: nessuno dovrà dormire finché non sarà scoperto il nome del principe ignoto. Calaf è sicuro della vittoria. I tre cortigiani cercano invano di strappargli il segreto con promesse e minacce. Frattanto, Timur e Liù, che erano stati visti insieme a Calaf, vengono tradotti dalla guardie davanti a Turandot. Liù dichiara di essere la sola a conoscere il nome del principe. Poi, temendo di tradire il suo segreto sotto la tortura, si uccide con un pugnale. Rimasto solo con Turandot, Calaf dopo averla rimproverata per la sua freddezza e per la sua crudeltà, la bacia sulla bocca e la principessa, come se il bacio avesse rotto un incantesimo, capisce improvvisamente di aver amato Calaf sin dal primo istante. Solo allora Calaf le rivela il proprio nome. Quadro secondo. Davanti alla corte riunita Turandot annuncia di aver svelato il nome del principe ignoto: il suo nome è Amore.



59 SYNOPSIS

ACT ONE Peking, at the age of fairy tales. A mandarin announces to a large crowd that a Persian prince has failed to solve three riddles posed by Turandot, daughter of the Emperor Altourn, and has thus been sentenced to death. As a matter of fact, the princess vowed to marry any blue-blooded suitor who could correctly answer the three riddles, whereas those who failed would be beheaded. Timur, the deposed king of Tartary, and his loyal companion Liù, a female slave, are hidden amidst the crowd. They come across Calaf, Timur’s son, who was thought to have died in battle and is wandering in disguise. Meanwhile, the suitor who failed the riddle test is taken to the scaffold. The crowd asks for his mercy. Calaf himself is shocked by the princess’ cruelty, but when he sees her on the balcony, sending the man to death by a simple gesture, he falls in love with her and decides to do anything to win her heart. Ping, Pong and Pang try to discourage him, and so do Timur and Liù, the latter secretly in love with the prince. Calaf reassures Liù and then strikes the gong to announce that he wants to take the riddle test. ACT TWO Scene one. Ping, Pang and Pong lament the deplorable situation of their country as a result of Turandot’s horrible whim. They hope she will soon be defeated. Scene two. The emperor is sitting on his throne and Turandot is by his side. She recalls the reasons behind her terrible vow: thousands of years earlier, her ancestor Lo-u-ling was raped and killed by a barbarian king. Thus, the riddle test her suitors must go through is her own revenge for that horrible crime. Calaf is invited to step back, but he refuses and the test begins. He solves all three riddles and is thus the winner. Humiliated, Turandot begs her father to prevent that her daughter shall be a foreigner’s slave, but the king says the vow is sacred. However, Calaf offers to free her from the vow if she manages to find out his name and origins before dawn.

ACT THREE Scene one. Nighttime. The heralds announce Turandot’s decision that nobody shall sleep until the name of the prince is discovered. Calaf is certain of his victory, while the three courtiers try in vain to lead him into revealing his name. Meanwhile, Timur and Liù are brought before Turandot, as they have been seen with the prince. Liù reveals she is the only person who knows the man’s name, but fearing she may be led to disclose it, she stabs herself to death. Left alone with Turandot, Calaf accuses her of being ruthless and cruel. He then kisses her on the lips: the kiss seems to break a spell and Turandot realizes she fell in love with Calaf the very first minute she saw him. Calaf thus reveals his identity. Scene two. Turandot announces to the court, summoned before her, that the unknown prince’s name is Love.



61

Atto primo

non ti sveglierem! Pu-Tin-Pao, Pu-Tin-Pao! Sei morto? Dormi? La tua spada! I tuoi servi! Presto! Presto! Se non appari, noi ti sveglieremo! Dal letto ti trarremo! A viva forza! Con le nostre mani! (cercando d’invadere lo spalto)

Le mura della grande Città violetta: la Città imperiale. Gli spalti massicci chiudono quasi tutta la scena in semicerchio. Soltanto a destra il giro è rotto da un gran loggiato tutto scolpito e intagliato a mostri, a liocorni, a fenici, coi pilastri sorretti dal dorso di massicce tartarughe. Ai piedi del loggiato, sostenuto da due archi, è un gong di sonorissimo bronzo. Sugli spalti sono piantati i pali che reggono i teschi dei giustiziati. A sinistra e nel fondo, s’aprono nelle mura tre gigantesche porte. (Quando si apre il velario siamo nell’ora più sfolgorante del tramonto. Pekino, che va digradando nelle lontananze, scintilla dorata. Il piazzale è pieno di una pittoresca folla cinese, immobile, che ascolta le parole di un mandarino. Dalla sommità dello spalto, dove gli fanno ala le guardie tartare rosse e nere, egli legge un tragico decreto)

Un mandarino Popolo di Pekino! La legge è questa: Turandot, la Pura, sposa sarà di chi, di sangue regio, spieghi i tre enigmi ch’ella proporrà. Ma chi affronta il cimento e vinto resta porga alla scure la superba testa! Il principe di Persia avversa ebbe fortuna: al sorger della luna per la man del boia muoia!

Alla reggia! Alla reggia! Alla reggia! Alla reggia! Alla reggia! Le guardie (scagliandosi sulla folla e respingendola) Indietro, cani! Nel tumulto molti cadono. È un confuso vociare di gente che arretra impaurita. Tra i caduti è il vecchio Timur. E la giovinetta Liù tenta inutilmente di proteggerlo dall’urto della folla.

La folla Ahi! Crudeli! I miei bimbi! Oh, madre mia! Le guardie (incalzando) Indietro, cani! La folla Per il cielo, fermi! Fermi! Liù (disperatamente) Il mio vecchio è caduto! Le guardie (incalzando) Indietro, cani! Liù Chi m’aiuta a sorreggerlo? Pietà!

Il mandarino si allontana e la folla rompe tumultuosamente la sua immobilità

E volge intorno lo sguardo supplichevole. D’improvviso un giovane accorre, si piega sul vecchio e prorompe in un grido.

La folla Muoia! Sì, muoia! Subito! Noi vogliamo il carnefice! Presto, presto! Muoia, muoia! Al supplizio! Muoia, muoia! Presto, presto! Se non appari,

Il principe ignoto Padre! Mio padre! Guardami! Ti ritrovo! Non sogno!

Stringe a sé il caduto, e lo accarezza, mentre Liù, arretrando, esclama:

Liù Mio signore!


Turandot

62 Il principe ignoto (con crescente angoscia e commozione) Padre! Ascoltami! Padre! Son io! E benedetto sia il dolor per questa gioia che ci dona un Dio pietoso!

Calaf Sia benedetta!

O mio figlio! Tu! Vivo!

Timur E via... notte e giorno! Io cadevo affranto... e lei mi sollevava, mi asciugava il pianto, mendicava per me...

Il principe ignoto Taci! Taci!

Il principe ignoto Liù, chi sei?

Timur

(rinvenendo, apre gli occhi, fissa il suo salvatore, quasi non crede alla realtà, gli grida)

(con terrore)

e aiutato da Liù, trascinando Timur in disparte, sempre pietoso su di lui, con voce rotta, con carezze, con lagrime:

Chi usurpò la tua corona me cerca e te persegue. Non c’è asilo per noi, padre, nel mondo. Timur T’ho cercato, figlio mio, e t’ho creduto morto. Calaf T’ho pianto, padre... e bacio queste tue mani sante. Timur Oh figlio ritrovato! La folla

(che nel frattempo s’è raggruppata presso gli spalti, ha ora un urlo di ebbrezza feroce)

Ecco i servi del boia. Muoia! Muoia! Muoia! Muoia! Infatti sulla sommità delle mura, vestiti di luridi cenci insanguinati, appariscono grottescamente tragici, i servi del carnefice trascinando l’enorme spada, che affilano su una immensa cote. Timur, sempre a terra, al figlio curvo su di lui, sommessamente dice:

Timur Perduta la battaglia, vecchio re senza regno e fuggente, una voce sentii che mi diceva: «Vien con me, sarò tua guida.» Era Liù.

(fissando la fanciulla, commosso)

Liù Nulla sono!... Una schiava, mio signore... Il principe ignoto E perché, giovinetta tanta angoscia hai diviso? Liù (con dolcezza estetica) Perché un dì nella reggia m’hai sorriso. La folla (aizzando i servi del boia) Gira la cote! Allora due servi, che han detersa la lama, la fanno passare e stridere sulla cote che vertiginosamente gira. E sprizzano scintille e il lavoro si anima ferocemente accompagnato da un canto sguaiato cui la folla fa eco:

I servi del boia Ungi, arrota, che la lama guizzi, sprizzi fuoco e sangue. Il lavoro mai non langue. dove regna Turandot. La folla ... Dove regna Turandot. La folla Dolci amanti, avanti, avanti! Cogli uncini e coi coltelli noi le vostre pelli siam pronti a ricamar!


Atto primo Bianca al pari della giada, fredda come questa spada è la bella Turandot! La folla Dolci amanti, avanti, avanti! I servi del boia Chi quel gong percuoterà apparire la vedrà, i tre enigmi ascolterà... La folla E morrà! I servi del boia Gioia! Gioia! Quando rangola il gong gongola il boia. Vano è l’amore se non c’è fortuna. Gli enigmi sono tre, la morte è una! La folla Gli enigmi sono tre, la morte è una! I servi del boia Ungi! Arrota! Che la lama guizzi, sprizzi fuoco e sangue. Il lavoro mai non langue dove regna Turandot! La folla ...Dove regna Turandot. E mentre i servi si allontanano per portare al carnefice la spada, la folla si raggruppa qua e là, pittorescamente, sugli spalti e scruta con impazienza feroce il cielo che a poco a poco s’è oscurato.

La folla Perché tarda la luna? Faccia pallida! Mostrati in cielo! Presto, vieni! Spunta! O testa mozza! O esangue! O taciturna! O squallida! Come aspettano, il tuo funereo, lume i cimiteri! (e come un chiarore lunare si diffonde)

63 Ecco... laggiù! Un barlume dilaga in cielo la sua luce smorta! Tutti (con un grido gioioso) Pu-Tin-Pao! Pu-Tin-Pao! La luna è smorta! L’oro degli sfondi s’è tramutato in un livido colore di argento. La gelida bianchezza della luna si diffonde sugli spalti e sulla città. Sulla porta delle mura appariscono le guardie vestite di lunghe tuniche nere. Una lugubre nenia si diffonde. Il corteo si avanza, preceduto da una schiera di ragazzi che cantano:

Ragazzi Là sui monti dell’Est la cicogna cantò. Ma l’april non rifiorì, ma la neve non sgelò. Dal deserto al mar non odi tu mille voci sospirar: «Principessa, scendi a me! Tutto fiorirà, tutto splenderà!» Ah! S’avanzano i servi del boia, seguiti dai sacerdoti che recano le offerte funebri. Poi i Mandarini e gli altri dignitari. E finalmente, bellissimo, quasi infantile, appare il Principino di Persia. Alla vista della vittima che procede smarrita, trasognata, il bianco collo nudo, lo sguardo assente, la ferocia della folla si tramuta in un’indicibile pietà. Quando il Principino di Persia è in scena, appare enorme, gigantesco, tragico il carnefice, recando sulla spalla lo spadone immenso.

La folla O giovinetto! Grazia, grazia! Com’è fermo il suo passo! Grazia! Com’è dolce, il suo volto! Ha negli occhi l’ebbrezza! Ha negli occhi la gioia! Pietà! Pietà di lui! Pietà! La grazia! Il principe ignoto (dominando la folla) Si, la grazia! La grazia! La folla (chiamando) Principessa!


Turandot

64 Il principe ignoto Ah! Mostrati, o crudele! La folla (chiamandola) Principessa! Il principe ignoto Ah! Ch’io ti veda! Ch’io ti maledica!

Ma il grido si spezza sulle sue labbra, perché dall’alto della loggia imperiale si mostra Turandot. Un raggio di luna la illumina. La principessa appare quasi incorporea, come una visione. Il suo atteggiamento dominatore e il suo sguardo altero fanno cessare per incanto il tumulto. La folla si prostra, faccia a terra. In piedi rimangono soltanto il principino di Persia, il carnefice e il principe ignoto.

Il principe ignoto (estatico) O divina bellezza! O sogno! O meraviglia! I sacerdoti bianchi del corteo O gran Koung-tzè! Che lo spirito del morente giunga no a te! Le loro voci si perdono. Turandot non c’è più. Nella penombra del piazzale deserto restano solo Timur, Liù e il principe ignoto. Il principe è tuttora immobile, estatico, come se la inattesa visione di bellezza lo avesse fatalmente inchiodato al suo destino. Timur angosciosamente gli si avvicina, lo richiama, lo scuote.

Timur Figlio, che fai? Il principe ignoto Non senti il suo profumo? È nell’aria! È nell’anima! Timur Ti perdi! Il principe ignoto O divina bellezza, o sogno, o meraviglia! Io soffro, padre, soffro!

Timur No, no! Stringiti a me. Liù, parlagli tu! Qui salvezza non c’è! Prendi nella tua mano la sua mano! Liù Signore, andiam lontano! Timur La vita c’è laggiù! Il principe ignoto Quest’è la vita, padre!

svincolandosi si precipita verso il gong che risplende di una luce misteriosa, e grida:

Turandot!

Ma al suo grido un altro grido risponde:

Turandot!

È l’ultima invocazione del principino di Persia morente. Poi un colpo sordo. Poi l’urlo della folla, rapido e violento come una vampata. Il principe ignoto per un momento esita. Poi la sua ossessione lo riprende. Il gong sfolgora sempre.

Timur Vuoi morire così? Il principe ignoto Vincere, padre, gloriosamente nella sua bellezza!

E si slancia contro il gong. Ma d’improvviso fra lui e il disco luminoso tre misteriose figure si frappongono. Sono Ping, Pang, Pong, tre maschere grottesche, i tre ministri dell’Imperatore, e precisamente il gran cancelliere, il gran provveditore, il gran cuciniere. Il principe ignoto arretra. Timur e Liù si stringono insieme, paurosamente, nell’ombra. Il gong s’è oscurato.

I ministri (incalzando e attorniando il principe) Fermo! Che fai? T’arresta! Chi sei, che fai, che vuoi? Va’ via! Pazzo, la porta è questa della gran beccheria! Qui si strozza! Si sgozza! Si trivella! Si spella! Si uncina e scapitozza! Si sega e si sbudella! Sollecito, precipite...Va’ via! Al tuo paese torna in cerco d’uno stipite...


Atto primo ...per romperti la corona! Ma qui no! Ma qui no! Ma qui no! Il principe ignoto (con impeto) Lasciatemi passare! I ministri (sbarrandogli il passo) Qui tutti i cimiteri sono occupati! Qui bastano i pazzi indigeni! Non vogliam più pazzi forestieri! O scappi, o il funeral per te s’appressa! Il principe ignoto Lasciatemi passare! I ministri (con comica commiserazione) Peuh! Che cos’è? Una femmina colla corona in testa e il manto colla frangia! Ma se la spogli nuda è carne! È carne cruda! Roba che non si mangia! Ping Lascia le donne! O prendi cento spose, cento spose che, in fondo, la più sublime Turandot del mondo ha una faccia, due braccia, e due gambe, sì belle, imperiali, sì, ma sempre quelle! Con cento mogli, o sciocco, avrai gambe di ribocco! Duecento braccia e cento dolci petti sparsi per cento letti!... Il principe ignoto Lasciatemi passar! Le ancelle di Turandot Silenzio, olà! Laggiù chi parla?

65 Silenzio! È l’ora mollissima del sonno! Il sonno sfiora gli occhi di Turandot! Si profuma di lei l’oscurità! I ministri (protestando contro le ancelle) Via di là, via di là! Le femmine ciarliere osan parlar così al grande cuciniere? Al gran provveditore? Al grande cancelliere? A Ping, a Pang, a Pong?

e con improvvisa preoccupazione, perché s’avvedono di aver lasciato libero per un momento il principe

Attenti al gong! Attenti al gong!

Le ancelle sono sparite. Il Principe, assente, ripete:

Il principe ignoto Si profuma di Lei l’oscurità! I ministri (additandoselo l’un l’altro con una risata) Guardalo, Pang! Guardalo, Ping! Guardalo, Pong! È insordito! Intontito! Allucinato! Timur (in disparte, a Liù) Più non li ascolta, ahimè! I ministri (decisi) Su! Parliamogli in tre!

e avvicinandosi al principe, a voce bassa, quasi a ritmo di fiaba di bimbi, cupamente, dicono insieme:

Notte senza lumicino, gola nero d’un cammino son più chiare degli enigmi di Turandot! Ferro, bronzo, muro, roccia... l’ostinata tua capoccia... son men duri degli enigmi di Turandot! Dunque va’. Saluta tutti! Varca i monti, taglia i flutti! Sta alla larga dagli enigmi di Turandot! Il Principe non ha quasi più la forza di reagire. Ma ecco richiami incerti,


Turandot

66 non voci, ma ombre di voci, si diffondono nell’oscurità degli spalti. E qua e là, appena percettibili prima, poi di mano in mano, più lievi e fosforescenti appaiono fantasmi. Sono gli innamorati di Turandot che, vinti, nella tragica prova hanno perduto la vita.

Le ombre dei morti Non indugiare! Se chiami… appare quella che estinti ci fa sognare. Fa ch’ella parli! Fa che l’udiamo! Io l’amo! Io l’amo! Io l’amo! e i fantasmi svaniscono

Il principe ignoto (con un grido) No, no, io solo l’amo! I ministri (sgambettandogli intorno) L’ami? Che cosa? Chi? Turandot? Ah, ah, ah! Ping O ragazzo demente! Turandot non esiste! Non esiste che il Niente nel quale ti annulli! Pang e Pong Tu! Turandot! Con tutti quei citrulli tuoi pari! L’uomo!… Il Dio! Io!… I popoli!… I sovrani! Pu-Tin-Pao! A tre Non esiste che il Tao! Il principe ignoto Stolto, ecco l’amore! Guarda! E tendono contemporaneamente l’indice verso la sommità degli spalti, dove in questo momento appare il gigantesco carnefice che pianta sopra un’antenna il capo mozzo del principino di Persia.

A tre Così la luna bacerà il tuo volto! Timur Crudele! Vuoi dunque ch’io solo ch’io solo trascini nel mondo la mia disperata vecchiezza? Ma dunque non c’è voce umana che muova il tuo cuore feroce? Liù (avvicinandosi al principe, supplicante, piangente) Signore, ascolta! Deh, Signore, ascolta! Liù non regge più, si spezza il cuor! Ahimè, quanto cammino col tuo nome nell’anima, col nome tuo sulle labbra! Ma se il tuo destino doman sarà deciso, noi morrem sulla strada dell’esilio. Ei perderà suo figlio… io l’ombra d’un sorriso!… Liù non regge più! Ah! Il principe ignoto (avvicinandosi con commozione) Non piangere, Liù! Se in un lontano giorno io t’ho sorriso, per quel sorriso, dolce mia fanciulla, m’ascolta: il tuo signore sarà domani, forse solo al mondo... Non lo lasciare, portalo via con te! Dell’esilio addolcisci a lui le strade! Questo, o mia povera Liù, al tuo piccolo cuore che non cade, chiede colui che non sorride più! I ministri, che s’erano appartati, ora si riavvicinano al principe, pregandolo, insistendo.

I ministri Ah, per l’ultima volta! Vinci il fascino orribile! La vita è tanto bella!


Atto primo

67

Timur Abbi di me pietà!

I ministri Trascinalo! Afferralo! Forza!

I ministri Folle tu sei!

Il principe ignoto (divincolandosi con violenza) Forza umana non c’è! Forza divina che mi trattenga! Io seguo la mia sorte!

Liù (supplichevole) Signore! Timur Pietà! Pietà di me! I ministri Non perderti così! Il principe ignoto Son io che domando pietà! Nessuno più ascolto! Nessuno più ascolto! Io vedo il suo fulgido volto! La vedo! Mi chiama! Essa è là!

I ministri La morte! La morte! La morte! Voci misteriose e lontane La fossa già scaviam per te che vuoi sfidar l’amor. Nel buio c’è segnato, ahimè, il tuo crudel destin! Timur (disperatamente) È la morte! È la morte!

I ministri (a Timur) Su! Vecchio! Su! Portalo via! Trattieni quel pazzo furente!

Il principe ignoto No! La vita!

Timur (aggrappandosi al principe) Non posso staccarmi da te!

Io son tutto una febbre! Io son tutto un delirio! Ogni senso è un martirio feroce! Ogni fibra ha una voce che grida: Turandot!

Il principe ignoto Lasciatemi! Ho troppo sofferto! La gloria m’aspetta laggiù. I ministri

(aiutando il vecchio e tentando con ogni sforzo a trascinar via il Principe)

Su, un ultimo sforzo, salviamolo! Portiamolo via! Forza! Spingi! Già cede! Già cede! Già cede! Liù Signore! Signore! Timur Con me!

(e fissando il loggiato della Reggia, travolto dalla sua estasi, come se facesse un’offerta suprema, grida)

(Si precipita verso il gong. Afferra il martello. Batte, come forsennato, tre colpi, invocando:)

Turandot! Turandot!… Turandot! Liù e Timur si stringono insieme disperati. I tre ministri inorriditi tendono alte le braccia, fuggono esclamando:

I ministri E lasciamolo andar! Inutile gridar in sanscrito, in cinese, in lingua mongola! Quando rangola il gong la morte gongola. Il principe è rimasto estatico ai piedi del gong.



69

Atto secondo

Pang Gli incensi, le offerte… Pong Monete di carta dorate… Pang Thè, zucchero, noci moscate!

Appare un padiglione formato da una vasta tenda tutta stranamente decorata da simboliche e fantastiche gure cinesi. La scena è in primissimo piano ed ha tre aperture: una centrale e due laterali. Ping fa capolino dal centro. E rivolgendosi prima a destra, poi a sinistra, chiama i compagni. Essi entrano seguiti da tre servi che reggono ciascuno una lanterna rossa, una lanterna verde e una lanterna gialla, che poi depongono simmetricamente in mezzo alla scena sopra un tavolo basso, circondato da tre sgabelli. I servi quindi si ritirano nel fondo, dove rimangono accovacciati.

Pong Il bel palanchino scarlatto! Pang Il feretro grande, ben fatto! Pong I bonzi che cantano…

Ping Olà, Pang! Olà, Pong!

Pang I bonzi che gemono...

Poiché il funesto gong desta la reggia e desta la città, siam pronti ad ogni evento: se lo straniero vince, per le nozze, e s’egli perde, pel seppellimento.

Pang e Pong E tutto quanto il resto, secondo vuole il rito, minuzioso, infinito!

(e misteriosamente)

Pong (gaiamente) Io preparo le nozze! Pang (cupamente) Ed io le esequie! Pong Le rosse lanterne di festa! Pang Le bianche lanterne di lutto! Pong Gli incensi e le offerte…

Ping (tenendo alte le braccia) O China, o China, che or sussulti e trasecoli inquieta, come dormivi lieta, gonfia dei tuoi settantamila secoli! A tre Tutto andava secondo l’antichissima regola del mondo. Poi nacque Turandot… Ping E sono anni che le nostre feste si riducono a gioie come queste: tre battute di gong, tre indovinelli... e giù teste!


Turandot

70 A tre E giù teste!

Siedono tutt’e tre presso il piccolo tavolo sul quale i servi hanno deposto tre rotoli. E di mano in mano che enumerano, sfogliano or l’uno or l’altro volume.

Pang L’anno del Topo furon sei. Pong L’anno del Cane furon otto. Ping Nell’anno in corso, il terribile anno della Tigre, siamo già al tredicesimo! Tredicesimo, con quello che va sotto! Pang Che lavoro! Pong Che noia! Ping A che siamo mai ridotti? A tre I ministri siam del boia!

Lasciano cadere i rotoli e si accasciano comicamente nostalgici

Ping (assorto in una visione lontana) Ho una casa nell’Honan con il suo laghetto blu, tutto cinto di bambù. E sto qui a dissiparmi la mia vita, a stillarmi il cervel sui libri sacri. E potrei tornar laggiù presso il mio laghetto blu tutto cinto di bambù… Pong Ho foreste, presso Tsiang,

che più belle non c’è ne, che non hanno ombra per me. Pang Ho un giardino, presso Kiù, che lasciai per venir qui, che non rivedrò mai più! Ping E stiam qui a dissipar la nostra vita... a stillarci il cervel sui libri sacri! Pong E potrei tornare a Tsiang… Pang E potrei tornare a Kiù… Ping A godermi il lago blu. Tutto cinto di bambù!

Si risollevano, e con gesto largo e sconfortato esclamano:

Pong O mondo, o mondo pieno di pazzi innamorati! Ping Ne abbiam visti arrivar degli aspiranti! Pang O quanti! Pong Quanti! Pang Quanti! Ping Non ricordate il principe regal di Samarcanda?


Atto secondo Fece la sua domanda, e lei con quale gioia gli mandò il boia! Voci interne Ungi, arrota, che la lama guizzi e sprizzi... fuoco e sangue! Pong E l’Indiano gemmato Sagarika cogli orecchini come campanelli? Amore chiese, fu decapitato! Pang E il musulmano? Pong E il prence dei Kirghisi? A tre Uccisi! Uccisi! Voci interne Il lavoro mai non langue dove regna Turandot! Ping E il Tartaro dall’arco di sei cubiti di ricche pelli cinto? A tre Estinto! Estinto! E decapita! E uccidi... Estingui... Ammazza... Addio, amore!... Addio, razza!... Addio, stirpe divina! E finisce la China!

Tornano a sedere. Solo Ping rimane in piedi, quasi a dar più valore alla sua invocazione.

Ping O Tigre! O Tigre! O grande Marescialla

71 del Cielo, fà che giunga la gran notte attesa, la notte della resa! Il talamo le voglio preparare! Pong (con gesto evidente) Sprimaccerò per lei le molli piume. Pang (come spargesse aromi) Io l’alcova le voglio profumare. Ping Gli sposi guiderò reggendo il lume! Poi tutt’e tre in giardino noi canterem d’amor fino al mattino, così… A tre (Ping in piedi sullo sgabello, gli altri seduti ai suoi piedi) Non v’è in China per nostra fortuna donna più che rinneghi l’amor! Una sola ce n’era e quest’una che fu ghiaccio, ora è vampa ed ardor! Principessa, il tuo impero si stende dal Tsè-Kiang all’immenso Jang-Tsè! Ma là, dentro alle soffici tende, c’è uno sposo che impera su te! Tu dei baci già senti l’aroma, già sei doma, sei tutta languor! Gloria, gloria alla notte segreta, che il prodigio ora vede compir! Alla gialla coperta di seta testimone dei dolci sospir! Nei giardin sussurran le cose e tintinnan campanule d’or... si sospiran parole amorose, di rugiada s’imperlano i fior! Gloria, gloria al bel corpo discinto che il mistero ignorato ora sa! Gloria all’ebbrezza e all’amore che ha vinto e alla China la pace ridà!

Ma dall’interno, il rumore della Reggia che si risveglia, richiama i tre ministri alla triste realtà. E allora Ping, balzando a terra, esclama:


Turandot

72 Ping Noi si sogna e il palazzo già formicola di lanterne, di servi e di soldati. Udite: trombe! Udite: il gran tamburo del Tempio Verde! E stridon le infinite ciabatte di Pekino! Pong (fa un cenno ai tre servi che raccolgono le lanterne) Altro che amore! Altro che pace! Pang Ha inizio la cerimonia! Pong Andiamo a goderci l’ennesimo supplizio! ed escono rapidissimi

Appare il vasto piazzale della Reggia. Quasi al centro è un’enorme scalea di marmo, che si perde nella sommità fra archi traforati. La scala è a tre larghi ripiani. Numerosi servi collocano in ogni dove lanterne variopinte. La folla, a poco a poco, invade la piazza. Arrivano i mandarini, con la veste azzurra e d’oro. Sul sommo della scala, altissimi e pomposi si presentano gli otto Sapienti. Sono vecchi, quasi eguali, enormi e massicci. Il loro gesto è lentissimo e simultaneo. Hanno ciascuno tre rotoli di seta sigillati in mano. Sono i rotoli che contengono la soluzione degli enigmi di Turandot.

La folla (commentando l’arrivo dei vari dignitari) Gravi, enormi ed imponenti col mister dei chiusi enigmi già s’avanzano i Sapienti. Incensi cominciano a salire dai tripodi che sono sulla sommità della scala. Tra gli incensi si fanno largo i tre ministri che indossano, ora, l’abito giallo di cerimonia.

La folla Ecco Ping! Ecco Pong! Ecco Pang! Tra le nuvole degli aromi si vedono appariregli stendardi gialli e bianchi dell’imperatore. Lentamente l’incenso dirada e allora, sulla sommità della scala appare, seduto sull’ampio trono d’avorio, l’imperatore Altoum. È vecchissimo tutto bianco, venerabile, ieratico. Pare un dio che appaia di tra

le nuvole. Tutta la folla si prosterna a terra in attitudine di grande rispetto. Il piazzale è avvolto in una calda luce. Il principe ignoto è ai piedi della scala. Timur e Liù a sinistra, confusi tra la folla.

L’imperatore (lento, con voce esile e lontana) Un giuramento atroce mi costringe a tener fede al fosco patto. E il santo scettro ch’io stringo gronda di sangue. Basta sangue! Giovine, va’! Il principe ignoto (con fermezza) Figlio del Cielo, io chiedo d’affrontar la prova! L’imperatore (quasi supplichevole) Fa ch’io possa morir senza portare il peso della tua giovine vita! Il principe ignoto (con fermezza) Figlio del Cielo, io chiedo d’affrontar la prova! L’imperatore Non voler, non voler che s’empia ancora d’orror la Reggia, il mondo! Il principe ignoto (con fermezza) Figlio del Cielo, io chiedo d’affrontar la prova! L’imperatore (con ira, ma con grandiosità) Straniero, ebbro di morte! E sia! Si compia il tuo destino! La folla Diecimila anni al nostro Imperatore! Un chiaro corteo di donne appare dalla Reggia e si distende lungo la scalea: sono le ancelle di Turandot. Fra il generale silenzio, il mandarino si avanza. Dice:

Il mandarino Popolo di Pekino!


Atto secondo

73

La legge è questa: Turandot, la Pura, sposa sarà di chi, di sangue regio, spieghi gli enigmi ch’ella proporrà. Ma chi affronta il cimento e vinto sarà porga alla scure la superba testa!

qui venite a tentar la vostra sorte, io vendico quel grido e quella morte! No! Mai nessun m’avrà! Rinasce in me l’orgoglio di tanta purità!

Appena il mandarino si è ritirato, s’avanza Turandot che va a porsi davanti al trono. Bellissima, impassibile, guarda con freddissimi occhi il principe, il quale, abbacinato sulle prime, a poco a poco riacquista il dominio di se stesso e la fissa con ardente voluttà. Timur e Liù non sanno staccare gli occhi e l’anima dal principe. Fra un solenne silenzio Turandot dice:

Straniero! Non tentar la fortuna! «Gli enigmi sono tre, la morte è una!»

Turandot In questa reggia, or son mill’anni e mille, un grido disperato risuonò. E quel grido, traverso stirpe e stirpe qui nell’anima mia si rifugiò! Principessa Lou-Ling, ava dolce e serena, che regnavi nel tuo cupo silenzio in gioia pura, e sfidasti inflessibile e sicura l’aspro dominio, oggi rivivi in me! La folla (sommessamente) Fu quando il Re dei Tartari le sette sue bandiere radunò. Turandot Pure nel tempo che ciascun ricorda, fu sgomento e terrore e rombo d’armi. Il regno vinto! Il regno vinto! E Lou-Ling, la mia Ava, trascinata da un uomo come te, come te straniero, via via nella notte atroce dove si spense la sua fresca voce! La folla (mormora reventemente) Da secoli Ella dorme nella sua tomba enorme. Turandot O Principi, che a lunghe carovane d’ogni parte del mondo

(e minacciosa, al Principe)

Il principe ignoto No, principessa no! Gli enigmi sono tre, una è la vita! La folla Al Principe straniero offri la prova ardita, o Turandot! Squillano le trombe. Silenzio. Turandot proclama il primo enigma:

Turandot Straniero, ascolta: «Nella cupa notte vola un fantasma iridescente. Sale e spiega l’ale sulla nera infinita umanità! Tutto il mondo l’invoca, tutto il mondo l’implora. Ma il fantasma sparisce coll’aurora per rinascere nel cuore. Ed ogni notte nasce ed ogni giorno muore!» Un breve silenzio

Il principe ignoto (con improvvisa sicurezza) Sì! Rinasce! E in esultanza mi porta via con sé, Turandot: “La Speranza!” I sapienti (si alzano, e ritmicamente aprono insieme il primo rotolo) La Speranza! La Speranza! La Speranza! Poi tornano, insieme, a sedere. Nella folla corre un mormorio di stupore, subito represso dal gesto d’un dignitario.


Turandot

74 Turandot

(gira gli occhi fierissimi. Ha un freddo riso. La sua altera superiorità la riprende. Dice:)

Sì, la speranza che delude sempre!

Turandot (raddrizzandosi come colpita da una frustrata, alle guardie) Percuotete quei vili!

(E allora quasi per affascinare e stordire il Principe, scende rapida fino a metà della scala. E di là propone il secondo enigma:)

E così dicendo corre giù dalla scala. Il principe cade in ginocchio. Ed ella si china su di lui, e, ferocemente, martellando le sillabe, quasi con la bocca sul viso di lui, dice il terzo enigma:

«Guizza al pari di fiamma, e non è fiamma! È talvolta delirio. È tutta febbre! Febbre d’impeto e ardore! L’inerzia lo tramuta in un languore. Se ti perdi o trapassi, si raffredda. Se sogni la conquista, avvampa, avvampa! Ha una voce che trepido tu ascolti, e del tramonto il vivido bagliore!»

«Gelo che ti dà foco e dal tuo foco più gelo prende! Candida ed oscura! Se libero ti vuol ti fa più servo. Se per servo t’accetta, ti fa Re!» Su, straniero, ti sbianca la paura! E ti senti perduto! Su, straniero, il gelo che dà foco, che cos’è?»

Il principe esita. Lo sguardo di Turandot sembra smarrito. Egli cerca. Egli non trova. La Principessa ha una espressione di trionfo.

Il principe ignoto

L’imperatore Non perderti! Non perderti, straniero!

La mia vittoria ormai t’ha data a me! Il mio fuoco ti sgela: o «Turandot!»

(desolato ha piegato la testa fra le mani. Ma è un attimo. Un lampo di gioia lo illumina. Balza in piedi, magnifico d’alterigia e di forza. Esclama:)

La folla È per la vita!

Turandot vacilla, arretra, rimane immobile ai piedi della scala impetrata dallo sdegno e dal dolore.

Timur (disperatamente) È per la vita! Parla!

I sapienti (che hanno svolto il terzo rotolo) Turandot! Turandot! Turandot!

La folla Non perderti, straniero!

La folla (con un grido) Gloria! Gloria, o vincitore! Ti sorrida la vita! Ti sorrida l’amor! Diecimila anni al nostro Imperatore!

Liù (con un singhiozzo) È per l’amore! Il principe ignoto

(Al primo grido s’è scossa. Risale affannosamente la scala. È presso il trono dell’Imperatore. Prorompe:) (perde ad un tratto la dolorosa atonia del viso.

E grida a Turandot:)

Sì, Principessa! Avvampa e insieme langue, se tu mi guardi, nelle vene: «Il Sangue!» I sapienti (come sopra) Il Sangue! Il Sangue! Il Sangue! La folla (prorompendo gioiosamente) Coraggio, scioglitore degli enigmi!

Figlio del Cielo! Padre augusto! No! Non gettare tua figlia nelle braccia dello straniero! L’imperatore (solenne) È sacro il giuramento! Turandot (con impeto, con ribellione) No, non dire! Tua figlia è sacra! Non puoi donarmi a lui, a lui come una schiava morente di vergogna! (al Principe)


Atto secondo Non guardarmi così! Tu che irridi al mio orgoglio, non guardarmi così! Non sarò tua! Non voglio! Mai nessun m’avrà! L’imperatore (ergendosi in piedi) È sacro il giuramento! La folla È sacro il giuramento! Ha vinto, Principessa! Offrì per te la vita! Sia premio al suo ardimento! Turandot (rivolta ancora al principe, gli grida:) Mi vuoi tu cupa d’odio? Vuoi ch’io sia il tuo tormento? Mi vuoi come una preda? Vuoi ch’io sia trascinata nelle tue braccia a forza, riluttante, fremente?... Il principe ignoto (con impeto audacissimo) No, no, Principessa altera! Ti voglio tutta ardente d’amor! La folla O Audace! O Coraggioso! O forte! Il principe ignoto Guarda! La mia vittoria la gitto ai piedi tuoi! Ti libero dal patto, Principessa... lo vuoi?

Movimento di generale sorpresa, quasi di paura. Turandot si protende pallidissima verso il principe, che continua:

Tre enigmi m’hai proposto, e tre ne sciolsi. Uno soltanto a te ne proporrò: Il mio nome non sai! Dimmi il mio nome. prima dell’alba, e all’alba morirò… L’imperatore Incauto e generoso! Come a un figlio

75 t’apro la Reggia mia! Il cielo voglia che col primo sole mio figliolo tu sia! La folla O generoso! O generoso! Vinci! Ti sorrida la vita! Ti sorrida l’amore! Diecimila anni al nostro Imperatore! La Corte si alza. Squillano le trombe. Ondeggiano le bandiere. Il principe, a testa alta, con passo sicuro, sale la scalea; mentre l’inno imperiale erompe solenne, cantato da tutto il popolo:

Ai tuoi piedi ci prostriam, luce, Re di tutto il mondo! Per la tua saggezza, per la tua bontà ci doniamo a te, lieti in umiltà. A te salga il nostro amor! Diecimila anni al nostro Imperatore! A te, erede di Hien-Wang noi gridiam: diecimila anni al nostro Imperatore! Alte, alte le bandiere! Gloria a te! Gloria a te!



77

Atto terzo

Il giardino della Reggia, vastissimo, tutto rialzi ondulati, cespugli e profili scuri di divinità di bronzo lievemente illuminate dal basso in alto dal riflesso degli incensieri. A destra sorge un padiglione a cui si accede per cinque gradini, e limitato da una tenda riccamente ricamata. Il padiglione è l’avancorpo d’uno dei palazzi della Reggia, dal lato delle stanze di Turandot. È notte. Dalle estreme lontananze giungono voci di Araldi che girano l’immensa città intimando il regale comando. Altre voci, vicine e lontane, fanno eco. Adagiato sui gradini del padiglione è il Principe. Nel grande silenzio notturno egli ascolta i richiami degli Araldi, come se quasi non più vivesse nella realtà.

Voci degli araldi Così comanda Turandot: «Questa notte nessun dorma in Pekino!» Voci lontane Nessun dorma! Nessun dorma! Voci degli araldi «Pena la morte, il nome dell’ignoto sia rivelato prima del mattino!» Voci di donne Pena la morte! Pena la morte! Voci degli araldi «Questa notte nessun dorma in Pekino!» Voci di donna Nessun dorma! Nessun dorma

L’eco delle voci e il suono dei gong si perdono nelle lontananze

Il principe ignoto Nessun dorma!… Nessun dorma! Tu pure, o Principessa, nella tua fredda stanza guardi le stelle

che tremano d’amore e di speranza... ma il mio mistero è chiuso in me, il nome mio nessun saprà! No, no, sulla tua bocca lo dirò, quando la luce splenderà... ed il mio bacio scioglierà il silenzio che ti fa mia. Voci di donne (misteriose e lontane) Il nome suo nessun saprà... e noi dovrem, ahimè, morir, morir! Il principe ignoto Dilegua, o notte! Tramontate, stelle! All’alba vincerò! Vincerò! Voci di donne (sommesse e disperate) Morir!... Morir!... Ed ecco alcune ombre appaiono strisciando fra i cespugli: gure confuse col buio della notte, che si fanno sempre più numerose e finiranno col diventare una folla. I tre ministri sono alla testa. Ping si accosta al Principe e dice:

Ping Tu che guardi le stelle, abbassa gli occhi... su noi! Pang La nostra vita è in tuo potere! Pong (disperato) La nostra vita è in tuo potere! Ping Udisti? Il bando corre per le vie di Pekino e ad ogni porta batte la morte e grida: il nome o sangue! Il principe ignoto Che volete da me? Ping Di’ tu che vuoi?

(ergendo di contro a loro)


Turandot

78 È l’amore che cerchi? Ebbene, prendi! E sospinge un gruppo di fanciulle bellissime, seminude, procaci, ai piedi del principe

Guarda!... Son belle, son belle fra lucenti veli... e strappando i veli alle donne

Più belle ignude!... Pong e Pang (esaltandone le bellezze) Corpi flessuosi... Ping Tutte ebbrezze e promesse d’amplessi prodigiosi! Le fanciulle, sospinte, circondano il principe che con un movimento di ribellione grida:

Il principe ignoto No!… No!… Ping (incalzando) Che vuoi?... Ricchezze?... Al suo cenno vengono portati davanti al Principe sacchi, cofani, canestri ricolmi d’oro e di gemme. E i tre ministri fanno scintillare questi splendori davanti agli occhi abbagliati del principe.

Pang Rompon la notte nera queste fulgide gemme! Pong Fuochi azzurri! Pang Verdi splendori! Pong Pallidi giacinti! Pang Le vampe rosse dei rubini! Ping Sono gocciole d’astri! Prendi! È tutto tuo!

Il principe ignoto (ribellandosi ancora) No! Nessuna ricchezza! No! Ping (accostandosi a lui con crescente spasimo) Vuoi la gloria? Noi ti farem fuggir e andrai lontano con le stelle verso imperi favolosi! Pang E andrai lontano… Ping …con le stelle verso imperi favolosi! La folla Fuggi! Fuggi! Tu sei salvo, e noi tutti ci salviamo! Il principe ignoto (tendendo le braccia al cielo) Alba, vieni! Quest’incubo dissolvi!.. Allora i tre ministri si stringono intorno a lui disperatamente.

Ping Straniero, tu non sai di che cosa è capace la Crudele... Straniero, tu non sai quali orrendi martiri la China inventi. Pong Se tu rimani e non ci sveli il nome siam perduti! Pang L’insonne non perdona! Sarà martirio orrendo! e l’un dopo l’altro, lividi di terrore:

I ferri aguzzi! L’irte ruote! Il caldo morso delle tenaglie! La morte a sorso a sorso!


Atto terzo Tutti Ah! Non farci morire!...Abbi pietà... Ma il principe esclama:

Il principe ignoto Inutili preghiere! Inutili minacce! Lei sola, voglio! Turandot! Allora la folla perde ogni ritegno, ed urla selvaggiamente attorniando il Principe:

Tutti Non l’avrai! No, non l’avrai! Non l’avrai più! Morrai prima di noi! Tu maledetto! Tu crudele! Spietato! Parla, il nome! Si tendono alti e minacciosi i pugnali verso il Principe stretto nella cerchia feroce e disperata. Ma d’un tratto s’odono grida tumultuose dal giardino e tutti s’arrestano.

Le voci Ecco il nome! È qua! Un gruppo di sgherri trascina il vecchio Timur e Liù, logori, pesti, affranti, insanguinati. La folla ammutolisce nell’ansia dell’attesa. Il Principe si precipita, gridando:

Il principe ignoto Costor non sanno! Ignorano il mio nome! Ma Ping, che riconosce i due, ebbro di gioia ribatte:

Ping Sono il vecchio e la giovane che ier sera parlavano con te! Il principe ignoto Lasciateli! Ping Conoscono il segreto! (agli sbirri)

Dove li avete colti?

79 Gli sgherri Mentre erravano là, presso le mura! Ping (correndo al padiglione) Principessa! La folla Principessa! Turandot appare sul limite del padiglione. Tutti si prosternano a terra. Solo Ping, avanzando con estrema umiltà, dice:

Ping Principessa divina! Il nome dell’ignoto è chiuso in queste bocche silenti!… Ma abbiamo ferri per schiodar quei denti e uncini abbiamo per strappar quel nome! Il principe, che s’era dominato per non tradirsi, ora a udir lo scherno crudele e la minaccia, ha un movimento di impetuosa ribellione. Ma Turandot lo ferma con uno sguardo pieno d’imperio e d’ironia.

Turandot Sei pallido, straniero! Il principe ignoto (alteramente) Il tuo sgomento vede il pallor dell’alba sul mio volto. Costor non mi conoscono! Turandot Vedremo!

e rivolgendosi a Timur, con fermissimo comando:)

Su, parla, vecchio!

Attende sicura, quasi indifferente. Ma il vecchio tace. Intontito dal dolore, scompigliata la sua veneranda canizie, pallido, lordo, pesto, guarda la Principessa muto, con gli occhi sbarrati e un’espressione di supplica disperata.

Voglio ch’egli parli! Liù Il nome che cercate io sola so! La folla (con un grido di liberazione) La vita è salva, l’incubo svanì!


Turandot

80 Il principe ignoto (con fiero rimprovero a Liù) Tu non sai nulla, schiava!

Timur Perché gridi!

Liù (guardando il principe con infinita tenerezza, poi volgendosi a Turandot:) ... So il suo nome... e suprema delizia m’è tenerlo segreto e possederlo io sola!

Il principe ignoto Lasciatela!

La folla (che vede sfuggire la sua speranza, irrompe verso Liù, gridando:) Sia legata! Sia straziata! Perché parli! Perché muoia!

(agli sgherri)

Il principe ignoto (ponendosi davanti a Liù) Sconterete le sue lagrime! Sconterete i suoi tormenti! Turandot Tenetelo!

(violenta alle guardie)

Liù (con fermezza al principe) Signor, non parlerò!

Liù No… no… non grido più! Non mi fan male! No, mio signore… no… nessun mi tocca! Stringete, ma chiudetemi la bocca ch’ei non mi senta! (poi sfibrata)

Non resisto più! La folla (ferocemente) Parla! Il suo nome! Turandot Sia lasciata! Parla! Liù No!…Piuttosto morrò!

(e cade accasciata presso i giardini del padiglione) Il principe è afferrato dagli sgherri e tenuto fermo, legato. Allora Turandot riprende la sua attitudine ieratica, quasi assente, mentre Liù, ghermita dai suoi tormentatori, è caduta a terra in ginocchio.

Ping (curvo su di lei) Quel nome! Liù No!

(dolcemente pregando)

Ping (con furore) Quel nome! Liù La tua serva chiede perdono, ma obbedir non può! Ad un cenno di Ping gli sgherri l’afferrano, le torcono le braccia. Liù grida. Ed ecco Timur si scuote dal suo terribile silenzio.

Turandot (fissando Liù, quasi a scrutarne il mistero) Chi pose tanta forza nel tuo cuore? Liù (sollevando gli occhi, pieni di tenerezza) Principessa, l’amore! Tanto amore segreto, inconfessato grande così che questi strazi sono dolcezze per me, perché ne faccio dono al mio signore… Perché, tacendo, io gli do, gli do il tuo amore... Te gli do, principessa, e perdo tutto! Persino l’impossibile speranza! Legatemi! Straziatemi! Tormenti e spasimi date a me, saran per lui l’offerta suprema del mio amore!


Atto terzo

81

Turandot

(che è rimasta per un momento turbata e affascinata dalle parole di Liù, ora ordina ai ministri:)

Strappatele il segreto!

pugnale e se lo pianta nel petto. Gira attorno gli occhi perduti, guarda il principe con dolcezza suprema, va, barcollando, presso di lui e gli stramazza ai piedi, morta.

Ping Chiamate Pu-Tin-Pao!

Il principe ignoto O mia piccola Liù!

Il principe ignoto No! Maledetto!

Si fa un grande silenzio, pieno di terrore. Turandot fissa Liù stesa a terra; poi con un gesto pieno di collera strappa ad un aiutante del boia, che le è vicino, una verga e percuote con essa in pieno viso il soldato che si è lasciato strappare il pugnale da Liù. Il soldato si copre il volto e arretra tra la folla. Il Principe è liberato. Allora il vecchio Timur, come impazzito, si alza. Si accosta barcollando alla piccola morta. Si inginocchia, dice:

(dibattendosi rabbiosamente)

La folla (con un urlo) Il boia! Il boia! Il boia! Ping Sia messa alla tortura! La folla Alla tortura! Sì, il boia! Parli! Alla tortura! Il boia!

Timur Liù! Liù! Sorgi! È l’ora chiara d‘ogni risveglio. Sorgi!… È l’alba, o mia Liù... Apri gli occhi, colomba!

Ed ecco il gigantesco Pu-Tin-Pao con i suoi aiutanti appare nel fondo, immobile e spaventoso. Liù ha un grido disperato, s’aggira come pazza cercando, inutilmente di aprirsi un varco, implorando, supplicando.

C’è in tutti un senso di pietà, di turbamento, di rimorso. Sul volto di Turandot passa un’espressione di tormento. Se ne avvede Ping, che va rudemente verso il vecchio per allontanarlo. Ma quando gli è vicino la sua naturale crudeltà è vinta e la durezza del suo tono attenuata.

Liù No!… No!… Più non resisto! Ho paura di me! Lasciatemi passare!

Ping Alzati, vecchio! È morta!

La folla (sbarrando il passo) Parla! Parla! Liù (disperatamente, correndo presso Turandot) Sì… Principessa!… Ascoltami! Tu che di gel sei cinta, da tanta fiamma vinta, l’amerai anche tu! Prima di questa aurora io chiudo stanca gli occhi, perché egli vinca ancora... Per non vederlo più! Strappa con mossa repentina dalla cintola di un soldato un acutissimo

Timur (con un urlo) Delitto orrendo! L’espieremo tutti! L’anima offesa si vendicherà! Allora un terrore superstizioso prende la folla: il terrore che quella morta, divenuto spirito malefico perché vittima di una ingiustizia, sia tramutata, secondo la credenza popolare, in vampiro. E mentre due ancelle coprono il volto di Turandot con un velo trapunto d’argento, la folla, supplice, dice:

La folla Ombra dolente, non farci del male! Ombra sdegnosa, perdona, perdona! Con religiosa pietà il piccolo corpo viene sollevato, tra il rispetto profondo della folla. Il vecchio si avvicina, stringe teneramente una mano della morta e cammina vicino a lei, dicendo:


Turandot

82 Timur Liù... bontà! Liù... dolcezza! Ah, camminiamo insieme un’altra volta così, con la tua mano nella mia mano… Dove vai ben so… ed io ti seguirò per posare a te vicino nella notte che non ha mattino! I tre ministri sono angosciati; s’è svegliata la loro vecchia umanità.

Ping Ah, per la prima volta al vedere la morte non sogghigno! Pang Svegliato s’è qui dentro il vecchio ordigno, il cuore, e mi tormenta! Pong Quella fanciulla spenta pesa sopra il mio cuor come un macigno! Mentre tutti si avviano, la folla riprende:

La folla Ombra dolente, non farci del male! Ombra sdegnosa, perdona!... Perdona!... Liù... dolcezza! Dormi! Oblia! Liù!... Poesia! Le voci si vanno perdendo lontano. Tutti, oramai, sono usciti, Rimangono soli, l’uno di fronte all’altro, il principe e Turandot. La principessa, rigida, statuaria sotto l’ampio velo, non ha un gesto, non un movimento.

Il principe ignoto Principessa di morte! Principessa di gelo! Dal tuo tragico cielo scendi giù sulla terra! Ah, solleva quel velo! Guarda, guarda o crudele, quel purissimo sangue

che fu sparso per te! Turandot (con fermezza ieratica) Che mai osi, straniero! Cosa umana non sono! Son la figlia del Cielo libera e pura…Tu stringi il mio freddo velo ma l’anima è lassù! Il principe ignoto

(che è rimasto per un momento affascinato, indietreggia. Ma si domina. E con ardente audacia esclama:)

La tua anima è in alto, ma il tuo corpo è vicino! Con le mani brucianti stringerò i lembi d’oro del tuo manto stellato. La mia bocca fremente premerò su di te!…

(e si precipita verso Turandot tendendo le braccia)

Turandot

(arretrando sconvolta, spaurita, disperatamente

minacciosa:)

Non profanarmi! Il principe ignoto Ah, sentirti viva!

(perdutamente)

Turandot Indietro! Indietro! Il principe ignoto Il gelo tuo è menzogna! Turandot No!... Mai nessun m’avrà! Dell’ava mia lo strazio non si rinnoverà! Non mi toccar, straniero!... È un sacrilegio! Il principe ignoto Ma il bacio tuo mi dà l’Eternità!


Atto terzo

83

E in così dire, forte della coscienza del suo diritto e della sua passione, rovescia nelle sue braccia Turandot, e freneticamente la bacia. Turandot – sotto tanto impeto – non ha più resistenza, non ha più voce, non ha più forza, non ha più volontà. Il contatto incredibile l’ha trasfigurata. Con accento di supplica quasi infantile mormora:

Turandot Che fai di me?... Che fai di me?... Qual brivido!... Perduta! Lasciami!... No!... Il principe ignoto Mio fiore! Mio fiore mattutino! Ti respiro… I seni tuoi di giglio, ah, treman sul mio petto!… Già ti sento mancare di dolcezza… tutta bianca nel tuo manto d’argento... Turandot (con gli occhi velati di lacrime) Come vincesti? Il principe ignoto Piangi?

(con tenerezza estatica)

Turandot (rabbrividendo) È l’alba! È l’alba! (e quasi senza voce)

Turandot tramonta! Il principe ignoto (con enorme passione) È l’alba! E amore nasce col sole! Ed ecco nel silenzio dei giardini dove le ultime ombre già accennano a dileguare, delle voci sorgono lievi e si diffondono quasi irreali.

Le voci L’alba!... L’alba!... Luce! Vita! Tutto è puro! Tutto è santo! Principessa, che dolcezza nel tuo pianto!

Turandot Che nessun mi veda!

(e con rassegnata dolcezza)

La mia gloria è finita! Il principe ignoto (con impetuoso trasporto) No, Principessa! No... La tua gloria risplende nell’incanto del primo bacio, del primo pianto!... Turandot (esaltata, travolta) Del primo pianto… si… Sì, straniero, quando sei giunto, con angoscia ho sentito il brivido fatale di questo mal supremo. Quanti ho visto sbiancare, quanti ho visto morire per me! E li ho spregiati. Ma ho temuto te! C’era negli occhi tuoi la luce degli eroi la superba certezza. E t’ho odiato per quella! E per quella t’ho amato! Tormentata e divisa fra due terrori uguali: vincerti o esser vinta… E vinta sono! Son vinta, più che dall’alta prova, da questo foco, terribile e soave, da questa febbre che mi vien da te! Il principe ignoto Sei mia! Mia! Turandot Questo chiedevi. Ora lo sai. Più grande vittoria non voler! Non umiliarmi più...


Turandot

84 di tanta gloria altero, parti straniero, parti col tuo mister ! Il principe ignoto (con caldissimo impeto) Il mio mistero? Non ne ho più! Sei mia! Tu che tremi se ti sfioro! Tu che sbianchi se ti bacio puoi perdermi se vuoi! Il mio nome e la vita insiem ti dono! Io sono Calaf, figlio di Timur! Turandot

(alla rivelazione improvvisa e inattesa, come se d’un tratto la sua anima era e orgogliosa si ridestasse ferocemente)

So il tuo nome! So il tuo nome! Arbitra sono ormai del tuo destino!... Calaf (trasognato, in esaltazione ebbra) Che m’importa la vita! È pur bella la morte! Turandot (con crescente febbrile impeto) Non più il grido del popolo!... Lo scherno!... Non più umiliata e prona la mia fronte ricinta di corona! So il tuo nome!... Il tuo nome! La mia gloria risplende! Calaf La mia gloria è il tuo amplesso! La mia vita il tuo bacio!... Turandot Odi? Squillan le trombe... È l’alba! È l’alba! È l’ora della prova! Calaf Non la temo! Dolce morir così!... Turandot Nel cielo è luce! Tramontaron le stelle! È la vittoria!...

Il popolo s’addensa nella Reggia. E so il tuo nome!... So il tuo nome!... Calaf Il tuo sarà l’ultimo mio grido d’amore! Turandot (ergendosi tutta, regalmente dominatrice) Tengo nella mia mano la tua vita! Calaf!... Davanti al popolo con me!... Si avvia verso il fondo. Squillano più alte le trombe. Il cielo ora è tutto soffuso di luce. Voci sempre più vicine si diffondono.

Le voci O Divina! nella luce mattutina che dolcezza si sprigiona dai giardini della Cina!... La folla Diecimila anni al nostro Imperatore! I tre ministri stendono a terra un manto d’oro, mentre Turandot ascende la scala. D’un tratto è il silenzio. E in quel silenzio la principessa esclama:

Turandot O padre augusto... ora conosco il nome dello straniero...

e fissando Calaf che è ai piedi della scalea, finalmente vinta, mormora quasi in un sospiro dolcissimo

Il suo nome è... Amore! Calaf (con un grido folle) Amore!... E sale d’imperio la scala, e i due amanti si trovano avvinti in un abbraccio, perdutamente, mentre la folla tende le braccia, getta fiori, acclama gioiosamente:

La folla O sole! Vita! Eternità! Luce del mondo è amore!… È amor! Il tuo nome, o principessa, è luce... è Primavera... Principessa! Gloria! Amor!





88 DA MACERATA ALL’ORIENTE 2: CASSIANO BELIGATTI* «Tutto si canta da i cori come nelle tragedie greche»

Gl’8 della stessa luna di Bhado [Bh¯adom], che riviene alla 6° luna del nostro anno astronomico, o alla luna d’agosto, cade la nascita del loro Dio Krisna, che secondo i loro libri è il Dio Bisnù, che per l’ottava volta s’incarnò in Krisna, quale nacque da padre e madre di stirpe regia, e fu allevato fra’ pastori, essendo cercato a morte dal suo zio materno, quale perché non gli scappasse fece uccidere tutti gli fanciulli del suo Regnio. Nel medesimo tempo si celebra in Nepal la Festa d’Indr [Indra], c’è Re del cielo. Indra è il principale protettore di Katmandù, perciò in questa città si soleniza con più pompa, facendo una specie di piccole caserme nella piazza del palazo regio, ove espongono gran numero d’idoli di rame, dorato, d’argento, e d’altro metallo, e la sera vi fanno una bella illuminatione, et ogni sera vi sono più commedie, fin dopo la meza notte. Per il resto della città e nell’altre città e terre nel medesimo tempo espongono tutti gl’idoli nelle pubbliche strade; e fra questi v’è la figura d’Indr crocefisso. In tal festa si vedono piantare in tutte le strade gran numero di croci, quali sono tutte coperte di abrotano, et un poco più alto della traversa vi attaccano una maschera o una carta colli lineamenti del volto humano, verso il piede dell’asta mettono la forma dei piedi trafitti, e circa il termine delle braccia della Croce v’attaccano la forma delle mani trafitte; avanti dette croci alcuni giovani vi fanno il Puggià, et ogni sera v’accendono il lume. Espongono ancora alcuni mascaroni che dicono rappresentare il votlo di Mhadeo [Mah¯adeva], quale è collocato sopra di un palchetto alto circa 4 piedi; dietro questo mascherone vi accomodano una vetrina la quale per un cannello, ch’esce dalla bocca del mascherone, versa la birra di cui la vetrina è piena, et il popolo che la sera gira per le strade bevono per devotione tal birra. La più parte di questi mascheroni sono esposti d’alcune case quali sono

obbligate per testamento fatto dai loro antenati a consumare più o meno misure di birra, godendo per tal effetto alcuni terreni legati loro per tal effetto; e se mancassero all’annuale essecutione testamentale, il Re entrerebbe in possesso del fondo a cui è attaccato il legato. Per la copia dei mascheroni, durante la festa la magior parte del popolo s’ubriaca. Le persone di qualche qualità, tutto che sì houmini che donne girino per le strade, non però bevono nei mascheroni; vero è però che ancor essi accommodano in qualche stanza una piccola vetrina di birra con un piccolo mascherone d’avanti, et ivi fanno le offerte e Puggia, accendono lumi, e bevono la birra; ho veduto alcuni che per mancanza di mascherone l’haveano dipinto nel ventre del vaso stesso per potersi devotamente ubriacare. La festa dura 8 giorni, e più se il Re vuole. Il primo giorno della festa gli Brhamani dispensano alcuni laccetti di seta, e bombace, e ricevono per il laccietto qualche elemosina in danaro. Gli Bhramani e gl’altri si legano quei cordoncini nel braccio destro o nel collo, e lo portano durante la festa, in cui ogni giorno fanno le maschere, e la sera le commedie o rappresentationi, che sempre sono in gran numero. Le comedie, come ho accennato, consistono in rappresentare qualche Istoria de’ loro libri sacri, o in qualche comedia satirica con cui mettono in ridicolo gli costumi di qualcuno. Sono tutte rappresentate nelle pubbliche piaze, in alcune delle quali vi è elevato un piano di circa 20 piedi di quadro, et alto circa 3, ove gl’attori, che sono propriamente vestiti, rappresentano l’opera, Gli spettatori stanno assentati nelle store, che stendono sopra la nuda terra o delle piaze o delle strade. Non hanno nè teatro nè scenario, ma se l’opera deve essere rappresentata vicino ad un fiume, stendono sopra il piano ove sono gl’attori una tela ove il fiume è dipinto, se richiedesi una boscareccia tengono alcuni colle mani 4 o 6 rami di qualche albero; se richiedesi un tempio vi pongono in mezo un Idolo, e così del resto circa al cambiamento del scenario. Gl’attori di tali commedie hanno pochissimo recitativo e moltissima attione, tanto che tal ora il principale attore non recita in una commedia di 2 o 3 ore 8 o 10 periodi, in diverse scene; ma il tutto si canta da i cori come nelle commedie greche; havendo ancor gli Neppalesi


89 almeno 2 cori in ogni commedia, et il terzo viene formato per il coro pieno, cioè tutti due insieme. L’attore in due o tre versi che recita esprime, per esempio, un’estremo dolore in cui si trova, gli cori alternativamente cantano flebilmente l’amareza del dolore, le diverse passioni, che da tal dolore sono agitate nel cuore del soggietto, come di speranza, d’abbandono, di timore, d’ardire etc., e così di tutte l’altre passioni; e nel tempo che gli cori cantano, l’attore col volto, coi piedi, colle mani quasi sempre ballando accorda gli suoi atteggiamenti al senzo delle parole che cantansi. L’orchestra di tali commedie è formata con alcuni tamburetti, trombe, e tinni che sono due vasetti di metallo che battono uno contro l’altro a regola delle loro note, et almeno in ogni commedia vi sono 8 paia di tin gittati a diverso tuono di voce, gli quali ben toccati fanno un armonioso cariglione, quattro trombe e 3 tamburi compiscono l’orchestra. Il talburo dirige la sinfonina [sinfonia], e lo suonano colle mani. [...] In ciascuna parte di Nepal alcuni mesi dell’anno v’è scuola aperta per la gioventù, di ballo, di suono e di canto, quale poi nelle feste è impiegata nelle sudette rappresentationi; ma l’abito proprio al personaggio che rappresentano lo devono fare a proprie spese. In quest’anno nel Nepallese la stagione delle piogge fu molto scarsa di acque, per lo che le risare, dalle quali dipende o l’abbondanza o la carestia, soffrono notabilmente. Non si mancò in tutti tre gli Regni di fare più sacrifici et espositioni di diversi Idoli, ma il tutto inutilmente, onde gli Re ordinarono nelle loro respettive città di farsi la ceremonia dei schizetti. Il giorno di tal ceremonia è stabbilito dai Brhamani astrollogi, li quali, come osservai in questo e negl’anni susseguenti, sempre assegniano un giorno prossimo al novilunio, o plenilunio, o altro quarto della luna. Stabbilito il giorno, la mattina il Re sacrifica un capretto et un’anetra, ambi maschi. Dopo il mezo giorno si prepara nei capi strade gran vasi pieni di acqua, et ad una cert’ora escono in publico diverse compagnie di huomini e di ragazi igniudi, non havenda che una tela d’intorno ai lombi con ci si cuoprono le parti; portano attaccato al fianco un vaso di rame o di altro pieno d’acqua, et in mano uno schizetto di rame lungo circa due piedi, et in tal modo girano per la città come fanatici bagniando da lonto

coi loro schizetti chiunque incontrano, o che si affacciano alle finestre, non risparmiandosi in tal ceremonia neppure il Re. Le donne ancor esse concorrono alla ceremonia, havendo fatta buona provisione di acqua, ne versano a gran sechi sopra quei, che passano sotto le loro finestre. La scarica principale di schizetti si fa sopra delle pagode, quali bagniano da capo a fondo, accompagniando la scarica dell’acqua con una scarica di villanie, tanto che la sera non v’è in città alcuna pagoda, che non sia ben inondata d’acqua, e più di vituperj, rimproverando gli numi dell’avaritia ch’essi hanno di dar loro l’acqua, di cui a loro dispetto ne hanno anche da profonderne. Se la ceremonia è stabbilita per più giorni consecutivi, per ciascun giorno sono nominati gli rioni che devono somministrare gl’attori di tal ceremonia. Più volte ho veduto anche il Re colla sua corte uscire a fare tal ceremonia, e per distintione coi schizetti gittava l’acqua gialla tinta colla curcuma.

* Nato a Macerata nel 1708, Giovanni Beligatti entrò assai giovane nell’ordine dei Cappuccini della sua città assumendo il nome di Fra’ Cassiano. Si distinse per la grande operosità e cultura tanto da essere scelto dalla Congregazione di Propaganda Fide a partecipare alla seconda missione dell’eroico padre Orazio della Penna che già dal 1707 aveva fondato a Lhasa una comunità di missionari che si occupavano delle cure mediche e spirituali delle popolazioni locali. Fu così che il 17 agosto 1738, il giovanissimo Beligatti, fu tra gli otto padri partecipanti a quella missione che li avrebbe condotti nei luoghi ancora sconosciuti del Tibet e Nepal per diciotto lunghi anni. Partito a piedi da Macerata, giunse a Parigi il 22 novembre del 1738. Dal porto di Lorient, giunsero il 26 settembre 1739, nella colonia francese di Chandernagore nel Bengala, dopo un viaggio privo di incidenti. Il cappuccino continuò l’attività missionaria nel Nepal e nel Bengala fino al 1756, quando una malattia lo costrinse a tornare in patria. Si stabilì a Macerata, pur soggiornando lungamente a Roma. Morì nel convento di Macerata nel 1791. Abbiamo qui trascritto alcuni passi dal primo libro del suo «Giornale» (1739-1756) conservato nella Biblioteca Mozzi-Borgetti di Macerata.





SFERISTERIO 22, 28* luglio, 6, 12 agosto - ore 21.00 Anteprima giovani 18 luglio - ore 21.00 Giacomo Puccini

Madama Butterfly Tragedia giapponese in tre atti Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica Edizioni CASA RICORDI, Milano

Maria José Siri Manuela Custer Samantha Sapienza Antonello Palombi Alberto Mastromarino Nicola Pamio Andrea Porta Cristian Saitta Gianni Paci Giacomo Medici Alessandro Pucci Mirela Cisman Silvia Marcellini Maria Elena Mariangeli Martino Compagnucci

Cio-Cio-San Suzuki Kate Pinkerton F.B. Pinkerton Sharpless Goro Il principe Yamadori Lo zio bonzo Yakusidé Il commissario imperiale L’ufficiale del registro La madre di Cio-Cio-San La zia La cugina Dolore

Direttore Massimo Zanetti Regia Nicola Berloffa Scene Fabio Cherstich Costumi Valeria Donata Bettella Luci Marco Giusti Maestro del coro Carlo Morganti Fondazione Orchestra Regionale delle Marche Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini” Complesso di palcoscenico Banda “Salvadei” Coproduzione con il Teatro Massimo di Palermo * serata con audio descrizione in collaborazione con Unione Italiana Ciechi e Museo Tattile Statale Omero


Madama Butterfly

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Assistente alla regia Sara Vailati Assistente alle scene Sofia Borroni Assistente ai costumi Gaia Tagliabue Assistente ai movimenti mimici Marta Negrini Direttore di scena Luisella Caielli Direttore musicale di palcoscenico Gianfranco Stortoni Vocal coach Simone Savina Maestro di sala Cesarina Compagnoni Maestri di palcoscenico Chiara Cirilli, Adamo Angeletti Maestro alle luci Melissa Mastrolorenzi Maestro ai sopratitoli Daniele Gabrielli Figuranti Yan Jia, Jun Yan Wang, Jiachen Mao, Liu Xinran, Sun Zhengran, Wu Xi Meng, Li Qing Rong, Mukasa Yukino, Xiaoyi Wu, Guo Chenlu, Oleg Belokrinitsky, Mischutin Waldemar, Federico Des Dorides, Pier Paolo Gesualdi, Adamal Koulibaly, Nicolò Matricardi, Berengario Mogno, Matteo Monachesi, Dino Sabanovic, Riccardo Tasso, Hai Zhang, Guo Xiyuan, Martino Compagnucci Direttore di palcoscenico Mauro De Santis Responsabile allestimento e servizi di palcoscenico Enrico Sampaolesi Ufficio tecnico allestimenti Francesco Lozzi Logistica Giorgio Alici Biondi Scenografo realizzatore Serafino Botticelli Capo macchinista Secondo Caterbetti Capo elettricista Fabrizio Gobbi Responsabile sartoria Simonetta Palmucci Responsabile vestizioni Maria Antonietta Lucarelli Capo attrezzista Emanuela Di Piro Capo squadra aiuti tecnici Mauricio Cesar Pasquali Supervisore trucco e parrucchieria Raffaella Cipolato Responsabile parrucchieria Serena Mercanti Responsabile trucco Sara Croci Coordinatrice personale di sala Caterina Ortolani Fotografo Alfredo Tabocchini Scene e attrezzeria Teatro Massimo di Palermo - Macerata Opera Festival - Rancati, Milano Costumi Teatro Massimo di Palermo Calzature Epoca, Milano Parrucche Audello, Torino Videoproiezioni Stark, Cagli (PU) Illuminotecnica Seven, Ancona Fonica AMS, Macerata Sopratitoli e audio descrizioni Macerata Opera Festival e Università di Macerata


95 «ORIENTE E OCCIDENTE IN UN MATRIMONIO IMMAGINARIO»

Come per qualsiasi lavoro d’interpretazione, anche nel caso di Madama Butterfly è necessario partire dalla lettura, dall’analisi del testo e dalla rassegna critica delle varie edizioni già messe in scena: «è compito del regista – spiega Nicola Berloffa – depurare l’opera dalle incrostazioni lasciate dalle cattive tradizioni interpretative che, in questo caso, consistono nello “zucchero” e nell’eccessivo sentimentalismo che rischiano di nascondere il profondo senso di commozione che la storia e la musica posseggono, nonché una certa perfidia, tipica di Puccini, e il sottotesto a sfondo sessuale molto crudo e attuale. L’opera va avvicinata al pubblico odierno ma senza necessariamente traslare l’azione nella contemporaneità. Nel mio caso, dopo alcuni studi sull’iconografia orientale, ho collocato l’azione all’epoca dell’invasione americana del Giappone, nel 1945, alla fine della seconda guerra mondiale, sul palcoscenico di un teatro tradizionale giapponese dove vengono messe in vendita le geishe e Butterfly viene comprata dal cinico Pinkerton ma dove, al contempo, tutto ciò che è orientale – l’ambientazione, i parenti, le usanze – viene ostentato quasi in maniera grottesca: due mondi e due tradizioni a confronto che si scontrano». Problema tipico del capolavoro pucciniano è poi il salto temporale che separa Primo e Secondo atto «risolto anche attraverso il sogno della protagonista – continua Berloffa – che, anelando al ricongiungimento col suo sposo, sogna di diventare americana e il suo “sogno americano” sostituisce il suo contesto tradizionale giapponese – del quale tuttavia resterà prigioniera – con la cultura popolare statunitense che è essenzialmente cinematografica, donde la citazione della pellicola all’inizio del Secondo atto». «Nei tre anni che passano tra il primo e il secondo atto – aggiunge Alexandra Jud, autrice della drammaturgia – questo teatro diventa

nella nostra regia un cinema per i soldati americani. Butterfly continua a vivere in quest’ambiente nel quale ha passato una notte con Pinkerton e dove si sono congedati. L’ex teatro diventa per lei sia il luogo della sua finzione che della realtà da lei repressa. Il potere simbolico di questo luogo viene accentuato attraverso alcune sequenze cinematografiche della Hollywood degli anni Quaranta: Butterfly fugge nella finzione dei film trasmessi sullo fondo. La sua speranza vana trova culmine nel coro a bocca chiusa che diventa un momento di sogno, rispecchiato sullo schermo. Oltre alle sue fantasie, che riguardano il ritorno di Pinkerton e un futuro lieto insieme all’americano, Butterfly si crea attraverso questi film un’immagine dell’America che non ha niente a che fare con la realtà in cui sta vivendo. A questo luogo di finzione e di grande speranza rimarrà legata anche nel breve terzo atto, nel quale tutto il suo mondo finto, sognato e idealizzato perde ogni splendore. Anche i costumi rappresentano quest’idea distorta di un paese quasi paradisiaco immaginato da Butterfly». Con l’arrivo di Kate, alla fine, la tragedia si compie definitivamente e la realtà appare tutta sbilanciata a favore dell’Occidente e della sua prepotenza, di Pinkerton e della moglie che lui ritiene legittima fino al punto di chiederle di portar via il figlio avuto da Cio-Cio-San «la quale – conclude il regista – rifugiandosi nella cameriera Suzuky, l’unica persona di fiducia e complice che le rimane, dopo che anche il Console si è dimostrato ipocrita, può solo cercare di garantire un futuro migliore al suo bambino facendolo andare con il padre in America, scegliendo per sé la morte, onde non essere in Giappone una madre disonorata, lasciando il pubblico con l’amara consapevolezza di quanto l’individuo resti spesso prigioniero di sovrastrutture imposte dal mondo esterno, fatte di politica e morale, di tendenze caratteriali e di conformismo che, in questo caso, condannano Butterfly a morte e Pinkerton a un facile e tardivo rimorso» (f.t.).





99 SOGGETTO

Pinkerton, la maledice rinnegandola a sua volta, e s’allontana seguito dai parenti. Il pianto di Butterfly viene placato dalle ardenti parole di Pinkerton, infiammato dal desiderio; l’ingenua fanciulla risponde teneramente al marito che, stringendola in un abbraccio, lentamente la conduce all’interno della casa.

ATTO PRIMO Una casa con giardino sulla collina di Nagasaki. F.B. Pinkerton, tenente della marina degli Stati Uniti, accompagnato da Goro, sensale di matrimoni, visita divertito la casa che ha appena acquistato: sta per sposare una giovanissima geisha, Cio-Cio-San, procuratagli appunto da Goro. Giunge intanto Sharpless, Console americano, al quale Pinkerton espone la sua cinica filosofia di “yankee” che vuol godersi la vita: s’è invaghito di Cio-Cio-San e intende ora sposarla secondo il rito giapponese. Sharpless gli fa un garbato rimprovero ma alla fine alza il bicchiere con Pinkerton che brinda al giorno in cui si sposerà con una vera sposa americana. Giunge Cio-Cio-San col corteo nuziale. Il console le rivolge qualche domanda, Cio-CioSan dice di essere nata a Nagasaki da famiglia un tempo assai prospera, poi finita in miseria. Vive con la madre, e quando le viene chiesto del padre si rabbuia rispondendo soltanto che è morto. Il tono di Butterfly cambia quando le viene chiesta l’età, si diverte fanciullescamente a farla indovinare, poi dichiara maliziosa i suoi 15 anni. Giungono la madre e gli altri parenti per la cerimonia: Pinkerton, osservandoli insieme al console, fa i suoi commenti sarcastici. Sharpless lo esorta ancora a pensarci bene prima di affrontare il matrimonio. Intanto, presentati i parenti, Butterfly trae in disparte Pinkerton per mostrargli alcuni oggetti che ha portato con sé in dote. Mostra infine un astuccio lungo e stretto, ma alla richiesta di Pinkerton di vedere cosa contiene, essa lo ripone in tutta fretta, dicendo che c’è troppa gente intorno. Si avvicina Goro e spiega sottovoce che si tratta della lama con cui il padre si è suicidato su “invito” dell’Imperatore. In attesa dell’inizio della cerimonia, Cio-Cio-San confessa a Pinkerton di aver rinnegato la sua fede e di essersi fatta cristiana. Si celebrano le nozze, il console e i funzionari se ne vanno, mentre tutto il parentado si trattiene per festeggiare. Pinkerton cerca di affrettare il brindisi, impaziente di trovarsi solo con Butterfly. S’ode di lontano la voce terribile dello Zio bonzo, che irrompe furibondo, avendo scoperto che Cio-Cio-San ha rinnegato la fede degli avi. Il bonzo, cacciato da

ATTO SECONDO L’interno della casetta di Butterfly. La fedele Suzuki prega perché Cio-Cio-San non pianga più: da tre anni la poverina aspetta il ritorno di Pinkerton, partito per gli Stati Uniti con la promessa di ritornare a primavera, nella stagione in cui i pettirossi fanno il nido. Sopraggiunge Goro con Sharpless, il quale ha ricevuto una lettera da Pinkerton con un messaggio per Cio-Cio-San. Sharpless non ha il coraggio di comunicarle che Pinkerton si è risposato in America e che verrà presto a Nagasaki con la sua nuova sposa. Goro, in disparte, fa commenti sarcastici. Cio-Cio-San informa il console di come il sensale insista per trovarle un nuovo marito: uno dei pretendenti è il ricco Yamadori, che giunge poco dopo in gran pompa accompagnato dai suoi servi, ricevuto da Butterfly con scherzosa impertinenza. Uscito Yamadori, Sharpless comincia con imbarazzo a leggere la lettera di Pinkerton, continuamente interrotto da Butterfly. A una frase del console, Butterfly si alza ansiosa e felice, credendo che alluda al ritorno del marito. Il console cerca di farle capire la verità in altro modo, Cio-CioSan s’arresta e risponde che le alternative sono due: tornare a fare la geisha o morire. Sharpless è vivamente commosso e la esorta a pensare a se stessa sposando il ricco Yamadori. Offesa, Butterfly chiama Suzuki e le chiede di accompagnare alla porta il console, poi corre nella stanza accanto e ritorna trionfante con un bambino in braccio: se Pinkerton l’ha scordata, potrà scordare anche suo figlio? Il console, profondamente turbato, promette che informerà Pinkerton dell’esistenza del bambino ed esce. Entra furente Suzuki che trascina Goro, andato in giro a raccontare a tutti che nessuno sa chi sia il padre del bambino. Butterfly prende il coltello, afferra Goro per la gola e minaccia di ucciderlo, ma in quel momento un colpo di cannone annuncia l’entrata in porto di una nave. Cio-Cio-San si precipita fuori e, con un cannocchiale, cerca di individuare la bandiera della nave, quindi, esultante, ne grida il nome: «Abramo Lincoln!». La sua gioia è immensa; indossa l’abito nuziale e con il bambino attende l’arrivo di Pinkerton. è l’alba, si odono le voci dei


100 pescatori, Butterfly si lascia convincere da Suzuki ad andare a riposare: verrà svegliata all’arrivo del marito. ATTO TERZO Pinkerton si presenta con Sharpless e Kate, la moglie americana, che resta ad aspettare in giardino: informato dal console del figlio che Butterfly gli ha dato, vuole convincerla ad affidargli il piccolo. La fedeltà di Butterfly lo riempie di rimorso e lo spinge ad allontanarsi. Butterfly si desta, chiama Suzuki, vede il console e pensa di trovare anche Pinkerton: scorge invece Kate ed è colta da un brutto presentimento. Interroga Suzuki su Pinkerton mentre fissa Kate, quasi affascinata e finalmente comprende chi è. Kate allora si avvicina e, chiedendole perdono, si mostra amorevolmente disposta ad avere cura del bambino. Butterfly risponde che consegnerà il piccolo soltanto a «lui», se avrà il coraggio di presentarsi. Poi li congeda e, rimasta sola, crolla a terra. Ordina a Suzuki di chiudere le imposte e di ritirarsi nell’altra stanza con il bambino. Poi toglie da uno stipo un gran velo bianco che s’avvolge intorno al collo, estrae dall’astuccio di lacca il coltello di suo padre e legge con solennità le parole incise sulla lama: «Con onor muore chi non può serbar vita con onore». Sta per compiere harakiri, quando Suzuki spinge nella stanza il bambino. Butterfly lascia cadere il coltello, si precipita verso il piccolo, lo abbraccia e, dopo avergli rivolto uno straziante addio, gli benda gli occhi e lo fa sedere, mettendogli in mano una bandierina americana. Quindi raccoglie il coltello, si ritira dietro il paravento e si uccide. Nello stesso istante, invocandola da lontano, accorre nella stanza Pinkerton, che s’inginocchia singhiozzante sul suo corpo.

Madama Butterfly


101 SYNOPSIS

ACT ONE A house with a garden on the hill of Nagasaki. F.B. Pinkerton, a US Navy lieutenant, visits the house he has just purchased with Goro, a marriage broker. Goro found him a very young geisha named Cio-Cio-San, whom Pinkerton is about to marry. When the US consul Sharpless arrives, Pinkerton light-heartedly announces that he is determined to enjoy life and marry the geisha with the Japanese rite, so that he could easily re-marry in America. Cio-Cio-San joins them, followed by her wedding party. Sharpless asks her about her origins and she explains that she was born out of a rich Nagasaki family, subsequently fallen in disgrace. She lives with her mother, her father identity is not disclosed. Then, she frivolously admits to being only 15 years old, while Pinkerton makes fun of her mother and family with the US consul. Butterfly draws Pinkerton to a corner and shows him what she is bringing as a dowry: several objects, among them a long, thin box. Goro whispers to Pinkerton that the box contains the dagger Cio-Cio-San’s father used to commit suicide, upon the Emperor’s request. Minutes before the wedding ceremony, Cio-Cio-San admits to having renounced her own religion to become a Christian. Soon after the ceremony, Pinkerton is eager to be left alone with Cio-Cio-San (re-named Butterfly), but they hear her uncle’s voice from a distance, approaching. The uncle curses the young lady for renouncing her ancestors’ faith and, as Pinkerton orders him to leave, he moves away followed by the whole family gathered for the wedding. Butterfly bursts into tears, but Pinkerton calms her down and draws her into the bedroom. ACT TWO Inside Butterfly’s house. Suzuki, Butterfly’s maid, is worried for her mistress, who cannot stop crying over her missing husband. Pinkerton has been away for three years, although he was expected back much earlier. Goro and Sharpless appear before her, struggling to find the courage to read out Pinkerton’s letter announcing his return to Nagasaki with his American wife. As

Goro giggles in a corner, Cio-Cio-San tells the consul that the marriage-broker has been trying to persuade her to remarry, having even found her a rich suitor named Yamadori. The latter arrives, all dressed up and followed by his servants. CioCio-San welcomes him with irony and contempt. As Yamadori leaves, Sharpless starts reading out Pinkerton’s letter to CioCio-San. She rejoices for a brief moment, as she seems to gather that Pinkerton is coming back to her. When Sharpless goes through the whole letter, she is desperate and announces that she only has two options: either she goes back to being a geisha, or she dies. The consul, touched by her pain, suggests that she seriously considers marrying Yamadori. Cio-Cio-San begs him to leave and hugs her little son, whom she thinks Pinkerton will not be able to ignore. Sharpless leaves her, promising he will tell Pinkerton of the little boy. A cannon strike announces that a ship has reached the harbour: with the help of a telescope, Cio-Cio-San makes out the American flag and rejoices. She puts on her wedding gown and holds her son, waiting for Pinkerton to arrive. It is almost dawn: Suzuki persuades CioCio-San that she should take some rest. ACT THREE When Cio-Cio-San is asleep, Pinkerton reaches the house with Sharpless and Kate, his new wife. He finds out about the little boy and wants to persuade Butterfly to let him go to the US with him. As Butterfly wakes up, she does not see Pinkerton but only Sharpless and Kate. The American woman apologises to her and offers to take care of the little boy, but Butterfly declares she will only hand the boy to Pinkerton, if he has the courage to come before her. Left alone, she asks Suzuki to close all the shutters and wraps a white drape around her neck. She takes out her father’s dagger and is about to kill herself, when Suzuki comes in with the little boy. She drops the knife, hugs her son and then covers his eyes with a band. She picks up the knife, moves behind a screen and kills herself. Right at that moment, Pinkerton comes before her and cries desperately.



103

Atto primo

Pinkerton (mentre Goro fa scorrere le pareti) Capisco!... Capisco!... Un altro... Goro Scivola! Pinkerton E la dimora frivola...

Collina presso Nagasaki. Casa giapponese, terrazza e giardino. In fondo, al basso, la rada, il porto, la città di Nagasaki. Dalla camera in fondo alla casetta, Goro con molti inchini introduce Pinkerton, al quale con grande prosopopea, ma sempre ossequente, fa ammirare in dettaglio la piccola casa. Goro fa scorrere una parete nel fondo, e ne spiega lo scopo a Pinkerton. Si avanzano un poco sul terrazzo.

Pinkerton (sorpreso per quanto ha visto dice a Goro:) ... E soffitto... e pareti... Goro (godendo della sorprese di Pinkerton) Vanno e vengono a prova a norma che vi giova nello stesso locale alternar nuovi aspetti ai consueti. Pinkerton (cercando intorno) Il nido nuzial dov’è? Goro (accennando a due locali) Qui, o là... secondo... Pinkerton Anch’esso a doppio fondo! La sala? Goro Ecco!

(mostra la terrazza)

Pinkerton (stupito) All’aperto?...

Goro fa scorrere la parete verso la terrazza

Goro (mostrando il chiudersi d’una parete) Un fianco scorre...

Goro (protestando) Salda come una torre da terra, fino al tetto.

invita Pinkerton a scendere nel giardino

Pinkerton È una casa a soffietto. Goro batte tre volte le mani palma a palma. Entrano due uomini ed una donna e si genuflettono innanzi a Pinkerton.

Goro (con un voce un po’ nasale, accennando) Questa è la cameriera che della vostra sposa lezioso

fu già serva amorosa. Il cuoco... il servitor... son confusi del grande onore. Pinkerton I nomi?

(impaziente)

Goro (indicando Suzuki) Miss Nuvola leggera. indicando un servo

Raggio di sol nascente. indicando l’altro servo

Esala aromi. Pinkerton ride.

Suzuki (sempre in ginocchio, ma fatta ardita rialza la testa) Sorride Vostro Onore? Il riso è frutto e fiore. Disse il savio Ocunama: dei crucci la trama


Madama Butterfly

104 smaglia il sorriso. Schiude alla perla il guscio, apre all’uomo l’uscio del Paradiso. Profumo degli Dei... fontana della vita... disse il savio Ocunama: dei crucci la trama smaglia il sorriso. Pinkerton è distratto e seccato. Goro, accorgendosi che Pinkerton comincia ad essera infastidito dalla loquela di Suzuki, batte tre volte le mani. I tre si alzano e fuggono rapidamente rientrando in casa.

Pinkerton A chiacchiere costei mi par cosmopolita.

a Goro che è andato verso il fondo ad osservare

Che guardi? Goro Se non giunge ancor la sposa. Pinkerton Tutto è pronto? Goro Ogni cosa. Pinkerton Gran perla di sensale!

Goro ringrazia con profondo inchino.

Goro Qui verran: l’Ufficiale del registro, i parenti, il vostro Console, la fidanzata. Qui si firma l’atto e il matrimonio è fatto.

(che non ci degnerà di sua presenza) e cugini, e le cugine... Mettiam fara gli ascendenti... ed i collaterali, un due dozzine. Quanto alla discendenza... provvederanno assai con malizia ossequente

Vostra Grazia e la bella Butterfly. Pinkerton Gran perla di sensale!

Goro ringrazia con profondo inchino.

Sharpless (dall’interno un po’ lontano) E suda e arrampica! E sbuffa, inciampica! Goro (ch’è accorso al fondo, annuncia a Pinkerton) Il Consol sale. si prosterna innanzi al Console

Sharpless (entra stuffando) Ah!... quei ciottoli mi hanno sfiaccato! Pinkerton (va incontro al Console: i due si stringono la mano) Bene arrivato. Goro (al Console) Bene arrivato. Sharpless Ouff! Pinkerton Presto Goro, qualche ristoro. Goro entra in casa frettoloso

Pinkerton E son molti i parenti?

Sharpless Alto.

Goro La suocera, la nonna, lo zio Bonzo

Pinkerton Ma bello!

(sbuffando e guardando intorno)

(indicando il panorama)


Atto primo Sharpless (contemplando la città ed il mare sottoposti) Nagasaki, il mare, il porto... Pinkerton (accenna alla casa) E una casetta che obbedisce a bacchetta. Goro viene frettoloso dalla casa, seguito da due servi: portano bicchieri e bottiglie che depongono sulla terrazza; i due servi rientrano in casa e Goro si dà a preparare le bevande.

Sharpless Vostra? Pinkerton La comperai per novecento novanta nove anni, con facoltà ogni mese, di rescindere i patti. Sono in questo paese elastici del par, case e contratti. Sharpless E l’uomo esperto ne profitta. Pinkerton Certo. Pinkerton e Sharpless si siedono sulla terrazza dove Goro ha preparato le bevande.

Pinkerton (con franchezza) Dovunque al mondo lo Yankee vagabondo si gode e traffica sprezzando i rischi. Affonda l’ancora alla ventura.

s’interrompe per offrire da bere a Sharpless

Milk-Punch o Wisky? riprendendo

Affonda l’ancora alla ventura finché una raffica scompigli nave e ormeggi, alberatura.

105 La vita ei non appaga se non fa suo tesor i fiori d’ogni plaga... Sharpless È un facile vangelo... Pinkerton (continuando) ... d’ogni bella gli amor. Sharpless ... è un facile vangelo che fa la vita vaga ma che intristisce il cor... Pinkerton Vinto si tuffa, e la sorte racciuffa. Il suo talento fa in ogni dove. Così mi sposo all’uso giapponese per novecento novanta nove anni. Salvo a prosciogliermi ogni mese. Sharpless È un facile vangelo. Pinkerton (si alza, toccando il bicchiere con Sharpless) America forever! Sharpless America forever! Pinkerton e Sharpless si siedono ancora sulla terrazza.

Sharpless Ed è bella la sposa? Goro che ha udito, si affaccia al terrazzo pauroso ed insinuante.

Goro Una ghirlanda di fiori freschi. Una stella dai raggi d’oro.


Madama Butterfly

106 E per nulla: sol cento yen. al Console

Se Vostra Grazia mi comanda ce n’ho un assortimento. Il Console ridendo, ringrazia e si alza pure.

Pinkerton (con viva impazienza, allontanadosi) Va, conducila, Goro. Goro corre in fondo e scompare discendendo il colle

Sharpless Quale smania vi prende! Sareste addirittura cotto? Pinkerton Non so!... Dipende dal grado di cottura! Amore o grillo, dir non saprei. Certo costei m’ha coll’ingenue arti in vescato. Lieve qual tenue vetro soffiato alla statura, al portamento sembra figura da paravento. Ma dal suo lucido fondo di lacca come con subito mo to si stacca, qual farfalletta svolazza e posa con tal grazietta silenziosa che di rincorrerla furor m’assale se pure in frangerne dovessi l’ale. Sharpless (seriamente e bonario) Ier l’altro, il Consolato sen venne a visitar! Io non la vidi, ma l’udii parlar. Di sua voce il mistero l’anima mi colpì. Certo quando è sincer l’amor parla così. Sarebbe gran peccato le lievi ali strappar e desolar forse un credulo cuor.

Pinkerton Console mio garbato, quetatevi, si sa... la vostra età è di flebile umor. Non c’è gran male s’io vo’ quell’ale drizzare ai dolci voli dell’amor! Sharpless Quella divina mite vocina non dovrebbe dar note di dolor. Pinkerton Whisky?

(offre di nuovo da bere)

Sharpless Un’altro bicchiere. Pinkerton mesce del whisky a Sharpless e colma anche il proprio bicchiere.

Sharpless (leva il calice) Bevo alla vostra famiglia lontana. Pinkerton (leva esso pure il bicchiere) E al giorno in cui mi sposerò con vere nozze a una vera sposa americana. Goro (riappare correndo affannato dal basso della collina) Ecco. Son giunte al sommo del pendio. accena verso il sentiero

Già del femmmineo sciame qual di vento infogliame s’ode il brusìo. Le amiche di Butterfly Ah! Ah! Ah!

(interno, lontana)

Pinkerton e Sharpless si recano in fondo al giardino osservando verso il sentiero della collina.

Le amiche Ah! Quanto cielo! Quanto mar!


Atto primo

107

Butterfly (interno) Ancora un passo or via.

Butterfly (alle amiche) Siam giunte.

Le amiche Come sei tarda!

B.F. Pinkerton. Giù!

Butterfly Aspetta. Le amiche Ecco la vetta. Guarda, guarda quanti fior!

vede il gruppo dei tre uomini e riconosce Pinkerton. Chiude subito l’ombrello e pronta lo addita alle amiche. si genuflette

Le amiche Giù!

(chiudono gli ombrelli e si genuflettono)

Tutte si alzano e si avvicinano a Pinkerton cerimoniosamente.

Butterfly (fa una riverenza) Gran ventura.

Butterfly (serenamente) Spira sul mare e sulla terra un primaver il soffio giocondo.

Le amiche Riverenza.

Le amiche Quanto cielo! Quanto mar!

Pinkerton (sorridendo) È un po’ dura la scalata?

Sharpless O allegro cinguettar di gioventù!

Butterfly A una sposa costumata più penosa è l’impazienza...

Butterfly Io sono la fanciulla più lieta del Giappone, anzi del mondo. Amiche, io son venuta al richiamo d’amor! D’amor venni alle soglie! Ove s’accoglie il bene di chi vive e di chi muor! Amiche, io son venuta al richiamo d’amor, al richiamo d’amor, son venuta al richiamo d’amor, d’amor! Le amiche Quanti fior! Quanto mar! Quanto cielo! Quanti fior! Gioia a te, gioia a te sia, dolce amica, ma pria di varcar la soglia che t’attira volgiti e mira le cose che ti son care, mira quanto cielo, quanti fiori, quanto mar!...

si cominciano a scorgere le Geishas che montano il sentiero

Gioia a te, gioia a te sia, dolce amica, ma pria di varcar la soglia volgiti e guarda le cose che ti son care!

appaiono in scena hanno tutte grandi ombrelli aperti, a vivi colori

(facendo una riverenza)

Pinkerton (gentilment, ma un po’ derisorio) Molto raro complimento. Butterfly (con ingenuità) Dei più balli ancor ne so. Pinkerton (rincalzando) Dei gioielli! Butterfly (volendo sfoggiare il suo repertorio di complimenti) Se vi è caro sul momento... Pinkerton Grazie, no.

Sharpless ha osservato prima curiosamente il gruppo delle fanciulle, poi si è avvicinato a Butterfly, che lo ascolta con attenzione.

Sharpless Miss Butterfly. Bel nome, vi sta a meraviglia! Siete di Nagasaki?


Madama Butterfly

108 Butterfly Signor sì. Di famiglia assai prospera un tempo. alle amiche

Verità? Le amiche Verità!

(approvando premurose)

Butterfly (con naturalezza) Nessuno so confessa mai nato in povertà; non c’è vagabondo che a sentirlo non sia di gran prosapia. Eppur conobbi la ricchezza. Ma il turbine rovescia le quercie più robuste... e abbiam fatto la ghescia per sostentarci. (alle amiche) Vero? Le amiche Vero!

(confermano)

Butterfly Non lo nascondo, nè mi adonto. vedendo che Sharpless sorride

Ridete? Perché? Cose del mondo. Pinkerton (ha ascoltato con interesse, e si rivolge a Sharpless) Con quel fare di bambola quando parla m’infiamma. Sharpless

(anch’esso interessato dalle chiacchiere di Butterfly, continua a interrogarla)

E ci avete sorelle? Butterfly Non signore. Ho la mamma. Goro (con importanza) Una nobile dama. Butterfly Ma senza farle torto povera molto anch’essa. Sharpless E vostro padre?

Butterfly Morto.

(si arresta sorpresa, poi secco secco risponde)

Le amiche chinano la testa; Goro è imbarazzato. Tutte si sventolano nervosamente coi ventagli.

Sharpless (ritornando presso Butterfly) Quant’anni avete? Butterfly (con civetteria quasi infantile) Indovinate. Sharpless Dieci. Butterfly Crescete. Sharpless Venti. Butterfly Calate. Quindici netti, netti; con malizia

sono vecchia diggià. Sharpless Quindici anni! Pinkerton Quindici anni! Sharpless L’età dei giuochi... Pinkerton E dei confetti. Goro

(che ha veduto arrivare dal fondo altre persone e le ha riconosciute, annuncia con importanza)

L’Imperial Commissario, l’Ufficiale del registro, i congiunti. Pinkerton (a Goro) Fate presto.


Atto primo

109

Goro corre in casa. Dal sentiero in fondo si vendono salire e sfilare i parenti di Butterfly: questa va loro incontro insieme alle amiche: grandi saluti, riverenze: i parenti osserano curiosamente i due americani. Pinkerton ha presso sottobraccio Sharpless e, condottolo da un lato, gli fa osservare, ridendo, il bizzarro gruppo dei parenti; il Commissario Imperiale e l’Ufficiale del registro salutano Pinkerton ed entrano in casa, ricevuti da Goro.

Pinkerton Che burletta la sfilata della nuova parentela tolta in prestito, a mesata!

Parenti, amici e amiche (alla cugina) Ecco, perché prescelta fu, vuol far con te la soprappiù. La sua beltà già disfiorì. Divorzierà. Spero di sì. La sua beltà già disfiorì. Goro

(esce dalla casa e indispettito dal garrulo cicalio, va dall’uno all’altro raccomandando di parlare sottovoce)

Per carità, tacete un po’.

Parenti, amiche e amici Dov’è? Dov’è?

Yakusidé (addocchiando i servi che cominciano a portare vini e liquori) Vino ce n’è?

Butterfly e amici Eccolo là.

La madre e la zia Guardiamo un po’.

(indicando Pinkerton)

La cugina e amici Bello non è. Butterfly (offesa) Bello è così che non si può... sognar di più. La madre Mi pare un re! Parenti, amici e amiche Vale un perù. Pinkerton (osservando il gruppo delle donne) Certo dietro a quella vela di ventaglio pavonazzo, la mia suocera si cela. La cugina (a Butterfly) Goro l’offrì pur anco a me.

(sbirciando, cercando di non farsi scorgere)

Parenti e amiche (con soddisfazione, a Yakusidé) Ne vidi già color di thè, color di thè e chermisì! Ah, hu! Ah, hu! Parenti e amiche (altre, guardando compassionevolmente Butterfly) La sua beltà già disfiorì, già disfiorì. Divorzierà Ah, hu! Ah, hu! La madre e la zia Mi pare un re. Vale un Perù in verità bello è così che non si può sognar di più. Mi pare un re; bello è così che non si può sognar id più, sognar di più. Mi pare un re. Vale un Perù. Mi pare un re.

Butterfly (sdegnosa alla cugina) Si, giusto tu!

La cugina Goro l’offrì pur anco a me, ma s’ebbe un no! Bello non è in verità. Goro l’offrì pur anco a me ma s’ebbe un no. In verità bello non è, in verità. Divorzierà. Spero di sì. Divorzierà.

Pinkerton (indicando Yakusidé) E quel coso da strapazzo è lo zio briaco e pazzo.

Parenti e amiche Bello non è, in verità, bello non è! bello non è, in verità. Goro l’offrì pur anco a me


Madama Butterfly

110 ma s’ebbe un no. In verità bello non è, in verità. Divorzierà. Spero di si. Divorzierà!

Sharpless ... Badate! Ella vi crede

Goro (interviene di nuovo per far cessar il baccano) Per carità tacete un po’...

Butterfly (a sua madre) Mamma, vien qua. (agli altri) Badate a me: attenti, orsù

poi coi gesti fa cenno di tacere

Sch! sch! sch! Sharpless (a Pinkerton a parte) O amico fortunato! Ai cenni di Goro parenti e invitati si rinniscono in crocchio, sempre però agitandosi e chiacchierando.

Pinkerton Sì, è vero, è un fiore, un fiore!... Sharpless O fortunato Pinkerton... Pinkerton ... l’esotico suo odore... Sharpless ... che in sorte v’è toccato... Pinkerton ... m’ha il cervello sconvolto. Sharpless ... Un fior pur or sbocciato!... Non più bella è d’assai... ... fanciulla io vidi mai di questa Butterfly E se a voi sembran scede il patto e la sua fede... Butterfly (a suoi) Badate, attenti a me. Pinkerton Si, è vero, è un fiore, un fiore, e in fede mia l’ho colto!

parlato con voce infantile

uno, due tre... e tutti giù Al cenno di Butterly tutti si inchinano innanzi a Pinkerton ed a Sharpless. I parenti si rialzano e si spargono nel giardino; Goro ne conduce qualcuno nell’interno della casa. Pinkerton prende per mano Butterfly e la conduce veso la casa.

Pinkerton Vieni, amor mio! Vi piace la casetta? Butterfly Signor F. B. Pinkerton

mostra le mani e le braccia che sono impacciate dalle maniche rigonfie

perdono... io vorrei... pochi oggetti da donna... Pinkerton Dove sono? Butterfly (indicando le maniche) Sono qui... vi dispiace? Pinkerton

(un poco sorpreso, sorride, poi subito acconsente con galanteria)

O perché mai, mia bella Butterfly? Butterfly

(a mano a mano cava dalle maniche gli oggetti e li consegna a Suzuki, che è uscita sulla terrazza, e li depone nelle casa)

Fazzoletti. La pipa. Una cintura. Un piccolo fermaglio. Uno specchio. Un ventaglio. Pinkerton (vede un vasetto) Quel barattolo?


Atto primo Butterfly Un vaso di tintura. Pinkerton Ohibò! Butterfly Vi spiace?... Via!

trae un astuccio lungo e stretto

Pinkerton E quello? Butterfly (molto seria) Cosa sacra a mia. Pinkerton (curioso) E non si può vedere? Butterfly C’è troppa gente.

sparisce nella casa portando con sè l’astuccio

Perdonate. Goro (che si è avvicinato, dice all’orecchio di Pinkerton:) È un presente del Mikado a suo padre... coll’invito... 
fa il gesto di chi s’apre il ventre

111 Butterfly Son l’anime degli avi. depone le statuette

Pinkerton Ah!... il mio rispetto. Butterfly (con rispettosa confidenza a Pinkerton) Ieri son salita tutta sola in segreto alla Missione. Colla nuova mia vita posso adottare nuova religione. con paura

Lo zio Bonzo nol sa, nè i miei lo sanno. Io seguo il mio destino e piena d’umiltà, al Dio del signor Pinkerton m’inchino. È mio destino. Nella stessa chiesetta in ginocchio con voi pregherò lo stesso Dio. E per farvi contento potrò forse obliar la gente mia. si getta nelle braccia di Pinkerton

Amore mio!

Pinkerton (piano a Goro) E... suo padre?

Si arresta come avesse paura d’essere stata udita dai parenti. Intanto Goro ha aperto lo shosi - nella stanza dove tutto è pronto pel matrimonio, si trovano Sharpless e le autorità - Butterfly entra nella casa e si inginocchia; Pinkerton è in piedi vicino a lei - i parenti sono nel giardino rivolti verso la casa, inginocchiati.

Goro Ha obbedito.

Goro Tutti zitti!

Si allontana, rientrando nella casa. Butterfly, che è ritornata, va a sedersi sulla terrazza vicino a Pinkerton e leva dalle maniche alcune statuette.

Butterfly Gli Ottokè. Pinkerton (ne prende una e la esamina con curiosità) Quei pupazzi?... Avete detto?

Il commissario imperiale (legge) È concesso al nominato Benjamin Franklin Pinkerton, luogotenente nella cannoniera Lincoln, marina degli Stati Uniti, America del Nord: ed alla damigella Butterfly del quartiere d’Omara Nagasaki,


Madama Butterfly

112 d’unirsi in matrimonio, per dritto il primo, della propria volontà, ed ella per consenso dei parenti porge l’atto per la firma

qui testimonî all’atto. Goro (molto cerimonioso) Lo sposo. Pinkerton firma

Poi la sposa. Butterfly firma

E tutto è fatto.

L’ufficiale del registro Posterità.

(congedandosi da Pinkerton)

Pinkerton Mi proverò. Il Console, il Commissario Imperiale e l’Ufficiale del registro si avviano per scendere alla città.

Sharpless

(ritorna indietro, e con accento significativo dice a

Pinkerton:)

Giudizio!

Le amiche si avvicinano, complimentose, a Butterfly, alla quale fanno ripetuti inchini.

Pinkerton con un gesto lo rassicura e lo saluta colla mano. Sharpless scende pel sentiero; Pinkerton che è andato verso il fondo lo saluta di nuovo.

Amiche Madama Butterfly!

Pinkerton (ritorna innanzi e stropicciandosi le mani dice fra sè:) Ed eccoci in famiglia. Sbrighiamoci al più presto in modo onesto.

Butterfly (facendo cenno colla mano, alza un dito, e corregge:) Madama F. B. Pinkerton. Le amiche festeggiano Butterfly, che ne bacia qualcuna: intanto l’Ufficiale dello Stato Civile ritira l’atto e le altre carete, poi avverte il Commissario Imperiale che tutto è finito.

Il commissario imperiale (saluta Pinkerton) Augurî molti. Pinkerton I miei ringraziamenti.

I servi portano delle bottiglie di Saki e distribuiscono i bicchieri agli invitati.

Pinkerton Hip! Hip!

(brindando cogli invitati)

Coro degli invitati O Kami! O Kami!

(brindando)

Pinkerton Beviamo ai novissimi legami.

rende il saluto

Tutti O Kami! O Kami!

Il commissario imperiale (si avvicina al Console) Il signor Console scende?

I brindisi sono interrotti da strane grida che partono dal sentiero della collina.

Sharpless L’accompagno.

Bonzo (dall’interno lontano) Cio-Cio-San!

Ci vedrem domani.

stringendo la mano a Pinkerton

A questo grido tutti i parenti e gli amici allibiscono e si raccolgono impauriti: Butterfly rimane isolata in un angolo.

Pinkerton A meraviglia.

Bonzo Cio-Cio-San! Abbominazione!

saluta Pinkerton


Atto primo Butterfly e invitati Lo zio Bonzo! Goro Un corno al guastafeste! Chi ci leva d’intorno le persone moleste?!... Bonzo Cio-Cio-San! Cio-Cio-San! sempre più vicino

Cio-Cio-San!

Al fondo appare la strana figura del Bonzo, preceduto da due portatori di lanterne e seguito da due Bonzi.

Cio-Cio-San!

Vista Butterfly, che si è scostata da tutti, il Bonzo stende le mani minacciose verso di lei.

Che hai tu fatto alla Missione? Parenti e amici Rispondi, Cio-cio-san! Pinkerton (seccato per la scenata del Bonzo) Che mi strilla quel matto? Bonzo Rispondi, che hai tu fatto? Come, hai tu gli occhi asciutti? Son dunque questi i frutti? urlando

Ci ha rinnegato tutti! Parenti e amici (scandolezzati, con grido acuto, prolungato) Hou! Cio-Cio-San! Bonzo Rinnegato, vi dico,... il culto antico

inprecando contro Butterfly, che si copre il volto colle mani: la madre si avanza per difenderla, ma il Bonzo duramente la respinge e si avvicina terribile a Butterfly, gridandole sulla faccia:

Kami sarundasico! All’anima tua guasta qual supplizio sovrasta!

113 Pinkerton

(ha perduto la pazienza e si intromette fra il Bonzo e

Butterfly)

Ehi, dico: basta, basta! Bonzo

(alla voce di Pinkerton, il Bonzo si arresta stupefatto, poi con subita risoluzione invita i parenti e le amiche a partire)

Venite tutti. Andiamo! a Butterfly

Ci hai rinnegato e noi... Tutti si ritirano frettolosamente al fondo e stendono le braccia verso Butterfly.

Bonzo, Yakusidé, parenti e amici Ti rinneghiamo! Pinkerton (con autorità, ordinando a tutti d’andarsene) Sbarazzate all’istante. In casa mia niente baccano e niente bonzeria. Parenti e amici Hou!

(grido)

Alle parole di Pinkerton, tutti corrono precipitosamente verso il sentiero che scende alla città: la madre tenta di nuovo di andare presso Butterfly, ma viene travolta dagli altri. Il Bonzo sparisce pel sentiero che va al tempio seguito dagli accoliti.

Parenti e amici (nell’uscire) Hou! Cio-Cio-San! un po’ lontani

Hou! Cio-Cio-San! Le voci a poco a poco si allontanano. Butterfly sta sempre immobile e muta colla faccia nelle mani, mentre Pinkerton si è recato alla sommità dal sentiero per assicurarsi che tutti quei seccatori se ne vanno.

Bonzo, Yakusidé, parenti e amici Kami sarundasico!

(uomini)

Comincia a calare la sera. Butterfly scoppia in pianto infantile. Pinkerton l’ode e va premuroso presso di lei, sollevandola dall’abbattimento in cui è caduta e togliendole con delicatezza le mani dal viso piangente.

Pinkerton Bimba, bimba, non piangere per gracchiar di ranocchi...


Madama Butterfly

114 Butterfly (turandosi le orecchie, per non udire le grida) Urlano ancor!

Pinkerton E sei qui sola.

Pinkerton (rincorandola) Tutta la tua tribù e i Bonzi tutti del Giappon non valgono il pianto di quegli occhi cari e belli.

Butterfly Sola e rinnegata! Rinnegata! e felice!

Butterfly Davver?

Pinkerton batte tre volte le mani: i servi e Suzuki accorrono subito, e Pinkerton ordina ai servi:

(sorridendo infantilmente)

Comincia a calare la sera.

Non piango più. E quasi del ripudio non mi duole per le vostre parole che mi suonan così dolci nel cuor. si china per baciare la mano a Pinkerton

Pinkerton (dolcemente impedendo) Che fai?... la man? Butterfly Mi han detto che laggiù fra la gente comstumata è questo il segno del maggior rispetto. Suzuki (internamente, brontolando) E Izaghi ed Izanami Sarundasico, e Kami, e Izaghi ed Izanami Sarundasico, e Kami. Pinkerton (sorpreso pertale sordo bisbiglio) Chi brontolandola lassù? Butterfly È Suzuki che fa la sua preghiera seral. Scende sempre più la sera, e Pinkerton conduce Butterfly verso la casetta.

Pinkerton Viene la sera Butterfly ...e l’ombra e la quiete.

Pinkerton A voi, chiudete!

I servi fanno scorrere silenziosamente alcune pareti.

Butterfly (a Pinkerton) Sì, sì, noi tutti soli... e fuori il mondo... Pinkerton (ridendo) E il Bonzo furibondo. Butterfly (a Suzuki, che è venuta coi servi e sta aspettando gli ordini) Suzuki, le mie vesti. Suzuki fruga in un cofano e dà a Butterfly gli abiti per la notte ed un cofanetto coll’occorrente per la toeletta.

Suzuki (inchinandosi a Pinkerton) Buona notte. Pinkerton batte le mani: I servi corrono via. Butterfly entra nella casa ed aiutata da Suzuki fa cautelosamente la sua toeletta da notte, levandosi la veste nuziale ed indossandone una tutta bianca; poi siede su di un cuscino e mirandosi in uno specchietto si ravvia i capelli: Suzuki esce.

Butterfly Quest’obi pomposa di sioglier mi tarda si vesta la sposa di puro candor. Tra motti sommessi sorride e mi guarda. Celarmi pottessi! Ne ho tanto rossor! Pinkerton (guardando amorosamente Butterfly) Con moti di scoiattolo i nodi allenta e scioglie!... Pensar che quel giocottolo è mia moglie! Mia moglie! sorridendo


Atto primo Ma tal grazia dispiega, ch’io mi strugge per la febbre d’un subito desìo. Butterfly E ancor l’irata voce mi maledice...

115 ma dà vita e sorride per gioie celestiali come ora fa

avvicinandosi a Butterfly e carezzandole il viso

nei tuoi lunghi occhi ovali…

Pinkerton, alzandosi, poco a poco s’avvicina a Butterfly.

Butterfly, con subito movimento si ritrae dalla carezza ardente di Pinkerton

Butterfly ... Butterfly, rinnegata... rinnegata... e felice...

Butterfly (con intenso sentimento) Adesso voi

Pinkerton (stende le mani a Butterfly che sta per scendere dalla terrazza) Bimba dagli occhi pieni di malìa ora sei tutta mia. Sei tutta vestita di giglio. Mi piace la treccia tua bruna fra i candidi veli. Butterfly (scendendo dal terrazzo) Somiglio la Dea della luna, la piccola Dea della luna che scende la notte dal ponte del ciel. Pinkerton E affascina i cuori... Butterfly E li prende e li avvolge in un bianco mantel e via se li reca negli alti reami. Pinkerton Ma intanto finor non m’hai detto, ancor non m’hai detto che m’ami. Le sa quella Dea le parole che appagan gli ardenti desir?

entusiasmandosi

siete per me l’occhio del firmamento. E mi piaceste dal primo momento che vi ho veduto.

Ha un moto di spavento e fa atto diturarsi gli orecchi, come se ancora avesse ad udire le urla die parenti: poi si rassicura e con fiducia si rivolge a Pinkerton.

Siete alto, forte. Rideste con modi si palesi e dite corse che mai non intesi. Or son contenta, or son contenta.

Notte completa: cioelo purissimo e stellato. Avvicinandosi lentamente a Pinkerton seduto sulla panca nel giardino. Si inginocchia ai piedi di Pinkerton e lo guarda con tenerezza, quasi suplichevole.

Vogliatemi bene, un ben piccolino, un bene da bambino, quale a me si conviene. Vogliatemi bene. Noi siamo gente avvezza alle piccole cose umili e silenziose, ad una tenerezza sfiorante e pur profonda come il ciel, come l’onda del mare!

Butterfly Le sa. Forse dirle non vuole per tema d’averne a morir!

Pinkerton Dammi ch’io baci le tue mani care. Mia Butterfly! Come t’han ben nomata tenue farfalla...

Pinkerton Stolta paura, l’amor non uccide

Butterfly (a queste parole Butterfly si rattrista e ritira le mani) Dicon che oltre mare


Madama Butterfly

116 se cade in man dell’uom, con paurosa espressione

ogni farfalla da uno spillo è trafitta con strazio

ed in travola infitta! Pinkerton (riprendendo dolcemente le mani a Butterfly e sorridendo) Un po’ di vero c’è. E tu lo sai perché? Perché non fugga più. con entusiasmo e affettuosamento abbracciandola

Io t’ho ghermita ti serro palpitante. Sei mia. Butterfly (abbandonandosi) Sì, per la vita. Pinkerton Vieni, vieni! Via dall’anima in pena l’angoscia paurosa. indica il cielo stellato

È notte serena! Guarda: dorme ogni cosa! Butterfly (guardando il cielo, estatica) Ah! Dolce notte! Pinkerton Vieni, vieni! Butterfly Quante stelle! Non le vidi mai sì belle! Pinkerton È notte serena! Ah! vieni, vieni! È notte serena! Guarda: dorme ogni cosa!

Butterfly Dolce notte! Quante stelle! Trema, brilla ogni favilla ... Pinkerton Vien, sei mia!... Butterfly ... Col baglior d’una pupilla! Oh! Oh! Quanti occhi fissi, attenti d’ogni parte a riguardar! Pei firmamenti, via pei lidi, via pel mare! Pinkerton (con cupido amore) Via l’angoscia dal tuo cor ti serro palpitante. Sei mia. Ah, vien, vien, sei mia! Ah! Vieni, guarda: dorme ogni cosa! Ti serro palpitante. Ah, vien! Butterfly Oh! Quanti occhi fissi attenti. Quanti sguardi ride il ciel! Ah! Dolce notte! Tutto estatico d’amor ride il ciel! Salgono dal giardino nella casetta.




119

Atto secondo

Suzuki (sospirando) S’egli non torna e presto, siamo male in arnese. Butterfly Ma torna.

Interno della casetta di Butterfly. Si alzo il sipario. Le pareti sono chiuse lasciando la camera in una semioscurità. Suzuki prega, raggomitolata davanti all’immagine di Budda: suona di quando in quando la campanella delle preghiere. Butterfly è stesa a terra, appoggiando la testa nelle palme delle mani.

Suzuki (pregando) E Izagi ed Izanami, Sarundasico e Kami... interrompendosi

Oh! la mia testa!

suona la campanella per richiamare l’attenzione degli Dei

E tu Ten-Sjoodaj!

con voce di pianto, guardando Butterfly

fate che Butterfly non pianga più, mai più, mai più! Butterfly (senza muoversi) Pigri ed obesi son gli Dei giapponesi. L’americano Iddio son persuasa ben più presto risponde a chi l’imlori. Ma temo ch’egli ignori che noi stiam qui di casa. rimane pensierosa

Suzuki si alza, apre la parete del fondo verso il giardino.

(decisa, alzandosi)

Suzuki (crollando la testa) Tornerà! Butterfly (indispettita, avvicinandosi a Suzuki) Perché dispone che il Console provveda alla pigione, rispondi su! Suzuki tace

Perché con tante cure la casa rifornì di serrature, s’ei non volessi ritornar mai più? Suzuki Non lo so. Butterfly (un poco irritata e meravigliata di tanta ignoranza) Non lo sai? ritornando calma e con fiducioso orgoglio

Io te lo dico. Per tener ben fuori le zanzare, i parenti ed i dolori, e dentro, con gelosa custodia, la sua sposa, la sua sposa che son io: Butterfly.

Butterfly Suzuki, è lungi la miseria?

Suzuki va ad un piccolo mobile ed apre un cassetto cercando delle monete.

Suzuki (poco convinta) Mai non s’è udito di straniero marito che sia tornato al suo nido.

Suzuki (va presso Butterfly mostrandole poche monete) Questo è l’ultimo fondo.

Butterfly (furibonda afferra Suzuki) Ah! Taci! O t’uccido. insistendo nel persuadere Suzuki

Butterfly Questo? Oh! Troppe spese!

ripone il danaro nel piccolo mobile e lo chiude

Quell’ultima mattina: tornerete, signor? Gli domandai. Egli, col cuore grosso,


Madama Butterfly

120 per celarmi la pena... sorridendo rispose: O Butterfly, piccina mogliettina, tornerò colle rose alla stagion serena quando fa la nidiata il petti rosso. calma e convinta si sdraia per terra

Tornerà. Suzuki (con incredulità) Speriam. Butterfly (insistendo) Dillo con me: Tornerà. Suzuki (per compiacerla ripete, ma con dolore) Tornerà... scoppia in pianto

Butterfly (sorpresa) Piangi? Perché? perché? Ah, la fede ti manca... fiduciosa e sorridente

Senti.

fa la scena come se realmente vi assistesse e si avvicina poco a poco allo shosi del fondo

Un bel dì, vedremo levarsi un fil di fumo dall’estremo confin del mare. E poi la nave appare. Poi la nave bianca entra nel porto, romba il suo saluto. Vedi? È venuto! Io non gli scendo incontro. Io no. Mi metto là sul ciglio del colle e aspetto, e aspetto gran tempo e non mi pesa, la lunga attesa. E uscito dalla folla cittadina un uomo, un picciol punto s’avvia per la collina. Chi sarà? Chi sarà? E come sarà giunto che dirà? Che dirà? Chiamerà Butterfly dalla lontana.

Io senza dar risposta me ne starò nascosta un po’ per celia... e un po’ per non morire al primo incontro, ed egli alquanto in pena chiamerà, chiamerà: piccina mogliettina olezzo di verbena, i nomi che mi dava al suo venire. a Suzuki

Tutto questo avverrà, te lo prometto. Tienti la tua paura, io consicura fede l’aspetto. Butterfly e Suzuki si abbracciano commosse. Butterfly congeda Suzuki, che esce dall’uscio di sinistra, e la segue mestamente collo sguardo. Nel giardino compariono Goro e Sharpless. Goro guarda entro la camera, scorge Butterfly e dice a Sharpless che lo segue:

Goro C’è. Entrate.

Goro sparisce nel giardino.

Sharpless

(affacciandosi, bussa discretamente contro la parete del

fondo)

Chiedo scusa...

Sharpless scorge Butterfly la quale udendo entrare qualcuno si è mossa.

Madama Butterfly... Butterfly (senza volgersi, ma correggendo) Madama Pinkerton. Prego.

si volge e riconoscendo il Console batte le mani per allegrezza

Oh! Suzuki entra premurosamente e prepara un tavolino coll’occorrente per fumare.

Butterfly (allegramente) Il mio signor Console, signor Console. Sharpless (sorpreso) Mi ravvisate? Butterfly (facendo gli onori di casa) Benvenuto in casa americana.


Atto secondo Sharpless Grazie.

121 Sharpless

accende la sigaretta, ma poi la depone subito e presentando la lettera si siede sullo sgabello)

Mi scrisse Benjamin Franklin Pinkerton.

Butterfly, invita il Console a sedere presso il tavolino: Sharpless si lascia cadere grottescamente su di un cuscino: Butterfly si siede dall’altra parte e sorride maliziosamente dietro il ventaglio vedendo l’imbarazzo del Console; poi con molta grazia gli chiede:

Butterfly (con grande premura) Davvero! È in salute?

Butterfly Avi, antenati tutti bene?

Sharpless Perfetta.

Sharpless Ma spero.

(ringrazia sorridendo)

Butterfly (alzandosi con grande letizia) Io son la donna più lieta del Giappone.

Butterfly Fumate?

(fa cenno a Suzuki di preparare la pipa)

Suzuki è in faccende per preparare il thè.

Potrei farvi una domanda? Sharpless Certo.

Sharpless Grazie. Ho qui...

Butterfly (torna a sedere) Quando fanno il lor nido in America i pettirossi?

Butterfly (interrompendolo, senza accorgersi della lettera) Signore, io vedo il cielo azzurro.

Sharpless (stupito) Come dite?

(desideroso di spiegare lo scopo per cui è venuto, cava una lettera di tasca)

dopo aver tirata una boccata dalla pipa che Suzuki ha preparata, l’offre al Console.

Sharpless Grazie...

(rifiutando)

tentando ancora di riprendere il discorso

Ho... Butterfly (depone la pipa sul tavolino e assai premurosa dice: Preferite forse le sigarette americane? ne offre

Sharpless Grazie.

(un po’ seccato ne prende una)

e tenta di continuare il discorso

Ho da mostrarvi... si alza

Butterfly A voi.

Butterfly Sì, prima o dopo di qui? Sharpless Ma perché? Goro che si aggira nel giardino, si avvicina alla terrazza e ascolta, non visto, quanto dice Butterfly.

Butterfly Mio marito m’ha promesso, di ritornar nella stagion beata che il pettirosso rifà la nidiata. Qui l’ha rifatta per ben tre volte ma può darsi che di là usi nidiar men spesso.

(porge a Sharpless un fiammifero acceso) Goro s’affaccia e fa una risata


Madama Butterfly

122 Butterfly Chi ride

(volgendosi)

vedendo Goro

Oh, c’è il nakodo! piano a Sharpless

Un uom cattivo. Goro (avanzandosi e inchinandosi ossequioso) Godo... Butterfly Zitto!

(a Goro che s’inchina di nuovo e si allontana nel giardino)

a Sharpless

Egli osò... no... cambiando idea

prima rispondete alla domanda mia. Sharpless (imbarazzato) Mi rincresce, ma ignoro... non ho studiato ornitologia, Butterfly Orni... Sharpless … tologia. Butterfly Non lo sapete insomma. Sharpless (ritenta di tornare in argomento) No. Dicevamo... Butterfly (lo interrompe, seguendo la sua idea) Ah, sì. Goro, appena F.B. Pinkerton fu in mare mi venne ad assediare con ciarle e con presenti per ridarmi ora questo, or quel marito. Or promette tesori per uno scimunito... Goro

(intervenendo per giustificarsi, entra nella stanza e si rivolge a Sharpless)

Il ricco Yamadori

ella è povera in canna. I suoi parenti l’han tutti rinnegata.

al di là della terrazza si vede giungere il Principe Yamadori in un palanchino, attorniato dai servi

Butterfly (vede Yamadori e lo indica a Sharpless sorridendo) Eccolo, attenti! Yamadori, accolto da Goro genuflesso, scende dai palanchino, saluta il Console e Butterfly, che si è avvicinata alla parete del fondo; Yamadori si siede sulla terrazza rivolto rispettosamente verso Butterfly la quale s’inginocchia nella stanza.

Butterfly (a Yamadori) Yamadori, ancor le pene dell’amor non v’han deluso? Vi tagliate ancor le vene se il mio bacio vi ricuso? Yamadori Tra le cose più moleste è l’inutil sospirar. Butterfly (con graziosa malizia) Tante mogli omai toglieste, vi doveste abituar. Yamadori L’ho sposate tutto quante e il divorzio mi francò. Butterfly Obbligata. Yamadori A voi però giurerei fede costante. Sharpless (sospirando, rimette in tasca la lettera) Il messaggio, ho gran paura, a trasmetter non riesco. Goro (con enfasi, indicando Yamadori) Ville, servi, oro, ad Omara un palazzo principesco. Butterfly (con serietà) Già legata è la mia fede...


Atto secondo

123

Goro e Yamadori (a Sharpless) Maritata ancor si crede.

«Sono seccato del coniugato!» E il magistrato:

Butterfly (alzando di scatto) Non mi credo, sono, sono!

«Ah, mascalzone, presto in prigione!»

Goro Ma la legge...

Butterfly va presso Suzuki che ha già preparato il thè, e lo versa nelle tazze.

Butterfly Io non la so. Goro ... per la moglie, l’abbandono al divorzio equiparò. Butterfly La legge giapponese non già del mio paese. Goro Quale? Butterfly Gli Stati Uniti Sharpless (fra sè) Oh, l’infelice! Butterfly (nervosissima, accalorandosi) Si sa che aprir la porta e la moglie cacciar per la più corta qui divorziar si dice. Ma in America questo non si può a Sharpless

Vero? Sharpless (imbarazzato) Vero... Però... Butterfly (lo interrompe rivolgendosi a Yamadori ed a Goro trionfante Là un bravo giudice serio, impettito dice al marito: «Lei vuol andarsene? Sentiam perché»

comicamente

per troncare il discorso ordina a Suzuki

Suzuki, il thè. Yamadori Udiste?

(sottovoce a Sharpless)

Sharpless (sottovoce) Mi rattrista una sì piena cecità Goro (sottovoce a Sharpless e Yamadori) Segnalata è già la nave di Pinkerton. Yamadori (disperato) Quand’essa lo riveda... Sharpless (sottovoce ai due) Egli non vuol mostratsi. Io venni appunto per levarla d’inganno... vedendo che Butterfly, seguita da Suzuki, si avvicina per offrire il thè, tronca il discorso.

Butterfly (offrendo il thè a Sharpless) Vostra Grazia permette?

apre il ventaglio e dietro a questo accenna ai due, ridendo

Che persone moleste! Yamadori s’alza per andarsene

Yamadori (sospirando) Addio. Vi lascio il cuor pien di cordoglio: ma spero ancor... Butterfly Padrone.

Yamadori s’avvia per uscire, poi torna indietro presso Butterfly.

Yamadori Ah! se voleste...


Madama Butterfly

124 Butterfly Il guaio è che non voglio... Yamadori, dopo aver salutato Sharpless, sospirando, se ne va, sale nel palanchino e si allontana seguito dai servi e da Goro. Butterfly ride ancora dietro il ventaglio. Sharpless siede sullo sgabello, assume un fare grave, serio, poi con gran rispetto ed una certa commozione invita Butterfly a sedere, e torna a tirar fuori di tasca la lettera.

Butterfly (sorpresa molto, volgendosi a Suzuki) Non lo rammento? Suzuki, dillo tu. ripete come scandolezzata le parole della lettera

«Non mi rammenta più»! Suzuki esce per la porta di sinistra asportando il thè.

Sharpless Ora a noi. Sedete qui;

Sharpless Pazienza!

legger con me volete questa lettera?

«Se mi vuol bene ancor, se m’aspetta».

Butterfly Date.

Butterfly

mostrando la lettera

(prendendo la lettera)

baciandola

Sulla bocca,

mettendola sul cuore

sul cuore...

a Sharpless, gentilmente

Siete l’uomo migliore del mondo. Incominciate.

(fra sè)

sèguita a leggere

(prendendo la lettera dallo mani di Sharpless, esclama con viva tenerezza:)

Oh, le dolci parole! baccia la lettera

Tu, benedetta! Sharpless

(riprende la lettera e seguita a leggerla imperterrito ma con voce tremante per l’emozione)

rende la lettera e si mette ad ascoltare cola massima attenzione

A voi mi raccomando, perché vogliate con circospezione prepararla...

Sharpless (leggendo) «Amico, cercherete quel bel fior di fanciulla...»

Butterfly Ritorna...

Butterfly (non può trattenersi e con gioia esclama) Dice proprio così?

Sharpless ...al colpo...

Sharpless (serio) Sì, così dice, ma se ad ogni momento... Butterfly (rimettendosi tranquilla, torna ad ascoltare) Taccio, taccio, più nulla. Sharpless «Da quel tempo felice, tre anni son passati».

(con affanno, ma lieta)

Butterfly (si alza saltando di gioia e battendo le mani) Quando? presto! presto! Sharpless (sbuffando) Benone! si alza di scatto e ripone la lettera in tasca fra sè

Qui troncarla conviene... indispettito

quel diavolo d’un Pinkerton!

Butterfly (interrompe la lettura Anche lui li ha contati!

guarda Butterfly negli occhi serîssimo

Sharpless (riprende) «E forse Butterfly non mi rammenta più».

Butterfly immobile, come colpita a morte, china la testa e risponde con sommessione infantile, quasi balbettando:

Ebbene, che fareste, Madama Butterfly, s’ei non dovesse ritornar più mair? Due cose potri far:


Atto secondo tornar a divertir la gente, col cantar... oppur, meglio, morire.

125 Ah! m’ha scordata?

Sharpless è vivamente commosso e passeggia agitatissimo; poi torna verso Butterfly, le prende le due mani e con paterna tenerezza le dice:

Butterfly corre nella stanza di sinistra. Butterfly rientra trionfalmente tenendo il suo bambino seduto sulla spalla sinistra e lo mostra a Sharpless gloriandosene.

Sharpless Di strapparvi assai mi costa dai miraggi ingannatori. Accogliete la proposta di quel ricco Yamadori.

Butterfly (con entusiasmo) E questo? E questo? E questo, egli potrà pure scordare?

Butterfly (con voce rotta dal pianto e ritirando le mani) Voi, voi, signor, mi dite questo! Voi?

Sharpless (con emozione) Egli è suo?

Sharpless (imbarazzato) Santo Dio, come si fa? Butterfly (batte le mani e Suzuki accorre) Qui, Suzuki, presto, presto, che Sua Grazia se ne va. Sharpless (fa per avviarsi ad uscire) Mi scacciate? Butterfly, pentita, corre a Sharpless e singhiozzando lo trattiene

Butterfly Ve ne prego: già l’insistere non vale. congeda Suzuki, la quale va nel giardino

depone il bambino a terra e lo tiene stretto a sè

Butterfly

(indicando mano mano con dolcezza e con un po’ di

agitazione)

Chi mai vide a bimbo del Giappon occhi azzurrini? E il labbro? E i ricciolini d’oro schietto? Sharpless (sempre più commosso) È palese, e Pinkerton lo sa? Butterfly No. No. con passione

È nato quand’egli stava in quel suo gran paese. Ma voi accarezzando il bimbo

Sharpless (scusandosi) Fui brutale, non lo nego.

gli scriverete che l’aspetta un figlio senza pari! E mi saprete dir s’ei non s’affretta per le terre e pei mari!

Butterfly (dolorosamente, portandosi la mano al cuore) Oh, mi fate tanto male, tanto male, tanto, tanto!

mettendo il bimbo a sedere sul cuscino e inginocchiandosi vicino a lui bacia teneramente il bambino Sai cos’ebbe cuore di pensare indicando Sharpless

Butterfly vacilla; Sharpless fa per sorreggerla, ma Butterfly si domina subito

pigliando il bimbo in braccio

Butterfly Niente, niente! Ho creduto morir. Ma passa presto come passan le nuvole sul mare. prendendo una risoluzione

quel signore?

Che tua madre dovrà prenderti in braccio ed alla pioggia e al vento andar per la città a guadagnarsi il pane e il vestimento. Ed alle impietosite genti la man tremante stenderà gridando: udite, udite la triste mia canzon.


Madama Butterfly

126 A un infelice madre la carità, muovetevi a pietà... si alza, mentre il bimbo rimane seduto sul cuscino giocando con una bambola

E Butterfly, orribile destino, danzerà per te, e come fece già rialza il bimbo e colle mani levate lo fa implorare

la Chesha canterà! E la canzon giuliva e lieta in un sighizzo finirà! Ah! No, no! Questo mai! buttandosi a’ ginocchi davanti a Sharpless

Questo mestier che al disonore porta! Morta! Morta! Mai più danzar! Piuttosto la mia vita vo’ troncar! Ah! Morta!

cade a terra vicino al bimbo che abbraccia strettamente ed accarezza con moto convulsivo

Sharpless (non può trattenere le lagrime) Quanta pietà! vincendo la propria emozione

Suzuki (di fuori, gridando) Vespa! Rospa maledetto!

entra trascinando con violenza Goro che tenta inutilmente di sfuggirle. Grido acuto di Goro.

Butterfly Che fu?

(a Suzuki)

Suzuki Ci ronza intorno il vampiro! E ogni giorno ai quattro venti spargendo va che niuno sa chi padre al bimbo sia! lascia Goro

Goro (protestando, con voce di paura) Dicevo... solo... che là in America avvicinandosi al bambino e indicndolo

quando un figliolo è nato maledetto Butterfly istintivamente si mette innanzi al bambino, come per difenderlo.

trarrà sempre reietto la vita fra le genti!

Io scendo al piano. Mi perdonate?

grido selvaggio di Butterfly corre presso al reliquario e prende il coltello che sta appeso

Butterfly

Butterfly (con voce selvaggia) Ah! Tu menti! Menti! Menti! Ah! Menti!

Butterfly con atto gentile dà la mano a Sharpless che la stringe nelle sue con effusione. (volgendosi al bimbo prende una mano e la mette in quella)

di Sharpless

A te, dàgli la mano.

afferra Goro, che cade a terra, e minaccia d’ucciderlo. Goro emette grida fortissime, disperate, prolungate.

Sharpless I bei capelli biondi!

Butterfly Dillo ancora e t’uccido!

Caro, come ti chiamano?

Suzuki No!

lo bacia

Butterfly (al bimbo, con grazia infantile) Rispondi: Oggi il mio nome è Dolore. Però dite al babbo, scrivendogli, che il giorno del suo ritorno, alzandosi

Gioia, Gioia mi chiamerò! Sharpless Tuo padre lo saprà, te lo prometto...

fa un saluto a Butterfly ed esce rapidamente dalla porta di destra

intromettendosi: poi, spaventata da tale scena, prende il bimbo e lo porta nella stanza a sinistra

Butterfly Va via!

(lo respinge col piede)

Goro fugge. Butterfly rimane immobile come impietrita. Butterfly si scuote a poco a poco e va a riporre il coltello.

Butterfly (volgendo commossa il pensiero al suo bambino) Vedrai, piccolo amor,


Atto secondo mia pena e mio conforto, mio piccolo amor... Ah! vedrai che il tuo vendicator esaltandosi

ci porterà lontano, lontan, nella sua terra, lontan ci porterà Colpo di cannone sulla scena.

Suzuki Il cannone del porto! Butterfly e Suzuki corrono verso il terrazzo.

Suzuki Una nave da guerra... Butterfly Bianca, bianca... il vessillo Americano delle stelle... or governa per ancorare. prende sul tavolino un cannocchiale e corre sul terrazzo ad osservare tutta tremante per l’emozione, appunta il cannocchiale verso il porto e dice a Suzuki:

Reggimi la mano ch’io ne discerna il nome, il nome, il nome. Eccolo: Abramo Lincoln! dà il cannocchiale a Suzuki e rientra nella stanza in preda a una grande esaltazione

Tutti han mentito! Tutti, tutti! Sol io lo sapevo, sol io che l’amo.

127 l’arsa fronte.

singhiozzando per tenerezza

Suzuki (calmandola) Signora, quetatevi... quel pianto... Butterfly (ritorna con Suzuki nella stanza) No, rido, rido! Quanto lo dovermo aspettar? Che pensi? Un’ora! Suzuki Di più! Butterfly Due ore forse. aggirandosi per la stanza

Tutto, tutto sia pien di fior, come la notte è di faville. accenna a Suzuki di andare nel giardino

Va pei fior. Suzuki si avvia; giunta sul terrazzo si rivolge a Butterfly.

Suzuki (dal terrazzo) Tutti i fior? Butterfly (a Suzuki gaiamente) Tutti i fior, tutti, tutti. Pesco, viola, gelsomin, quanto di cespo, o d’erba, o d’albero fiorì.

a Suzuki

Vedi lo scimunito tuo dubbio? È giunto! È giunto! È giunto! Proprio nel punto che ognun diceva: piangi e dispera... Trionfa il mio amor! Il mio amor; la mia fe’ trionfa intera: ei torna e m’ama!

Suzuki (nel giardino ai piedi del terrazzo) Uno squallor d’inverno sarà tutto il giardin!

giubilante, corre sul terrazzo a Suzuki che l’ha seguita sul terrazzo

Suzuki (dal giardino) Uno squallor d’inverno sarà tutto il giardin.

Scuoti quella fronda di ciliegio e m’innonda di fior. Io vo’ tuffar nella pioggia odorosa

coglie fiori nel giardino

Butterfly Tutta la primavera voglio che olezzi qui.

appare ai piedi del terrazzo con un fascio di fiori che sporge a Butterfly

A voi signora.


Madama Butterfly

128 Butterfly (prendendo i fiori dalle mani di Suzuki) Cogline ancora.

Butterfly dispone i fiori nei vasi, mentre Suzuki scende ancora nel giardino.

Suzuki (dal giardino) Soventi a questa siepe veniste a riguardare lungi, piangendo nella deserta immensità. Butterfly Giunse l’atterso, nulla più chiedo al mare; diedi pianto alla zolla, essa i suosi fior mi dà. Suzuki (appare nuovamente sul terrazzo colle mani piene di fiori) Spoglio è l’orto. Butterfly Spoglio è l’orto? Vien, m’aiuta. Suzuki Rose al varco della soglia.

Butterfly e Suzuki spargono fiori ovunque

Butterfly Tutta la primavera Suzuki Tutta la primavera Butterfly Voglio che olezzi qui. Suzuki Voglio che olezzi qui. Butterfly Seminiamo intorno april. Suzuki Seminiamo intorno april. Butterfly Seminiamo intorno april!

Suzuki Tutta la primavera, tutta, tutta. Butterfly (gettando fiori) Tutta la primavera voglio che olezzi qui... Suzuki Gigli? Viole? Butterfly Intorno, intorno spandi. Suzuki Seminiamo intorno april. Butterfly Seminiamo intorno april. Il suo sedil s’inghirlandi, di convolvi s’inghirlandi; gigli e viole intorno spandi, seminiamo intorno april! Suzuki Gigli, rose spandi, tutta la primavera, spandi gigli, viole, seminiamo intorno april! Butterfly e Suzuki

(gettando fiori mentre colla persona seguono il ritmo con un blando ondeggiare di danza)

Gettiamo a mani piene mammole e tuberose, corolle di verbene, petali d’ogni fior! Corolle di verbene, petali d’ogni fior! Suzuki dispone due lampade vicino alla toeletta dove si accoscia Butterfly.

Butterfly (a Suzuki) Or vienmi ad adornar. No! Pria portami il bimbo.

Suzuki va nella stanza a sinistra e porta il bambino che fa sedere vicino


Atto secondo a Butterfly, mentre questa si guarda in un piccolo specchio a mano e dice tristamente:

Butterfly Non son più quella! Troppi sospiri la bocca mandò, e l’occhio riguardò nel lontan troppo fiso. a Suzuki

Dammi sul viso un tocco di carmino

prende un pennello e mette del rosso sulle guanciee del suo bimbo

ed anche a te, piccino, perché la veglia non ti faccia vôte per pallore le gote. Suzuki (invitandola a stare tranquilla) Non vi movete, che v’ho a ravviare i capelli. Butterfly (sorridendo a questo pensiero) Che ne diranno! E lo zio Bonzo? con una punta di stizza

Già del mio danno tutti contenti! sorridente

E Yamadori coi suoi languori! Beffati, scornati, beffati, spennati gli ingrati! Suzuki È fatto.

(ha terminato la toeletta)

Butterfly (a Suzuki) L’obi che vestii da sposa. Quà’ ch’io lo vesta. Mentre Butterfly indossa la veste, Suzuki mette l’altra al bambino, avvolgendolo quasi tutto nelle pieghe ampie e leggere.

Butterfly Vo’ che mi veda indosso il vel del primo dì! a Suzuki, che ha finito d’abbigliare il bambino

E un papvero rosso nei capelli. Suzuki punta il fiore nei capelli di Butterfly, che se ne compiace.

Così.

129 È sera

Butterfly (con grazia infantile fa cenno a Suzuki di chiudere lo shosi) Nello shosi or farem tre forellini per riguardar, e starem zitti come topolini ad aspettar... Scende sempre più la notte. Suzuki chiude lo shosi nel fondo. Butterfly conduce il bambino presso lo shosi... fa tre fori nello shosi: uno alto per sè, uno più basso per Suzuki ed il terzo ancor più basso pel bimbo, che fa sedere su di un cuscino, accennandogli di guardare attento fuori del foro preparatogli. Suzuki dopo aver portato le due lampade vinico alle shosi, si accoscia e spia essa pure all’esterno. Butterfly si pone innanzi al foro più alto e spiando da esso rimane immbile, rigida come una statua; il bimbo, che sta fra la madre e Suzuki, guarda fuori curiosamente. È notte; i raggi lunari illuminano dall’esterno lo shosi. Il bimbo si addormenta, rovesciandosi all’indietro, disteso sul cuscino e Suzuki si addormenta pure, rimanendo accosciata: solo Butterfly rimane sempre ritta ed immobile.



131

Atto terzo

Butterfly (voce un po’ lontana) Dormi amor mio, dormi sul mio cor. voce più lontana

Tu sei con Dio ed io col mio dolor. Suzuki Povera Butterfly! Butterfly, sempre immobile, spia al di fuori; il bimbo, rovesciato sul cuscino, dorme e dorme pure Suzuki, ripiegata sulla persona.

Marinai (della baia, lontanissimi) Oh eh! Oh eh! Oh eh! Oh eh! Oh eh! Oh eh! Oh eh! Oh eh! Oh eh! Oh eh! Oh eh! Oh eh! Oh eh! Oh eh! Oh eh! Rumori di catene, di áncore e di manovre marinaresche. Fischi d’uccelli dal giardino. Comincia l’alba...
L’alba sorge rosea.
Spunta l’aurora.
Al di fuori risplende il sole.

Suzuki (svegliandosi di soprassalto) Gia il sole!

si alza, va verso Butterfly e le batte sulla spalla

Cio-Cio-San... Butterfly si scuote e fidente dice: Verrà, verrà, vedrai.

vede il bimbo addormentato e lo prende sulle braccia, avviandosi verso la stanza a sinistra

Suzuki Salite a riposare, affranta siete al suo venire... vi chiamerò. Butterfly (salendo la scaletta) Dormi amor mio, dormi sul mio cor. Tu se con Dio ed io col mio dolor... a te irai degli astri d’or. Bimbo mio dormi! entra nella camera a sinistra

Suzuki (mestamente, crollando la testa) Povera Butterfly!

Si batte lievemente all’uscio d’ingresso.

Suzuki Chi sia? Si batte più forte. Suzuki va ad aprire lo shosi nel fondo.

Suzuki Oh!

(grida, per la grande sorpresa)

Sharpless Stz!

(sul limitare dell’ingresso fa cenni a Suzuki di silenzio)

Pinkerton (raccomanda a Suzuki di tacere) Zitta! Zitta! Sharpless Zitta! Zitta!

Pinkerton e Sharpless entrano cautamente in punta di piedi.

Pinkerton (premuorsamente a Suzuki) Non la destar. Suzuki Era stanca sì tanto! Vi stette ad aspettare tutta la notte col bimbo. Pinkerton Come sapea? Suzuki Non giunge da tre anni una nave nel porto, che da lunge Butterfly non ne scruti il color, la bandiera.


Madama Butterfly

132 Sharpless (a Pinkerton) Ve lo dissi?

Sharpless (con forza repressa ma deliberatamente) È sua moglie!

Suzuki (per andare) La chiamo...

Suzuki

Pinkerton (fermando Suzuki) No: non ancor. Suzuki (indicando la stanza fiorita) Lo vedete, ier sera, la stanza volle spargerdi fiori. Sharpless (commosso, a Pinkerton) Ve lo dissi? Pinkerton Che pena!

(turbato)

Suzuki sente rumore nel giardino, va a guardare fuori ed esclama con meraviglia:

Suzuki Chi c’è là fuori nel giardino? Una donna! Pinkerton

(va da Suzuki e la riconduce sul davanti, raccomandandole di parlare sottovoce)

Zitta! Suzuki (agitata) Chi è? Chi è? Sharpless Meglio dirle ogni cosa... Suzuki (sgomenta) Chi è? Chi è? Pinkerton (imbarazzato) È venuta con me. Suzuki Chi è? Chi è?

(sbalordita, alza le braccia al cielo, poi si precipita in ginocchio colla faccia a terra)

Anime sante degli avi! Alla piccina s’è spento il sol, s’è spento il sol!... Sharpless (calma Suzuki e la solleva da terra) Scegliemmo quest’ora mattutina per ritrovarti sola, Suzuki, e alla gran prova un aiuto, un sostegno cercar con te. Suzuki (desolata) Che giova? Che giova? Sharpless

(prende a parte Suzuki e cerca colla persuasione di averne il consenso, mentre Pinkerton, sempre più agitato, si aggira per la stanza ed osserva)

Io so che alle sue pene non ci sono conforti! Ma del bimbo conviene assicurar le sorti! La pietosa che entrar non osa materna cura del bimbo avrà. Pinkerton Oh, l’amara fragranza di questi fior, velenosa al cor mi va. Immutata è la stanza dei nostri amor. Suzuki O, me trista! E volete ch’io chieda ad una madre... Sharpless Suvvia, parla, suvvia, parla con quella pia e conducila qui


Atto terzo s’anche la veda Butterfly, non importa. Anzi, meglio se accorta del vero si facesse alla sua vista. Suvvia, parla con quella pia, suvvia, conducila qui, conducila qui... Suzuki E volete ch’io chieda ad una madre oh! Me trista! Oh! Me trista! Anime sante degli avi! Alla piccina s’è spento il sol! Oh! Me trista! Anime sante degli avi! Alla piccina s’è spento il sol!

spinta da Sharpless va nel giardino a raggiungere Mistress Pinkerton

Pinkerton (va verso il simulacro di Budda) Ma un gel di morte vi sta. vede il proprio ritratoo

Il mio ritratto Tre anni son passati, tre anni son passati, tre anni son passati e noveratin’ ha i giorni e l’ore, i giorni e l’ore! Sharpless (conducendo via Suzuki) Vien, Suzuki, vien! Pinkerton

vinto dall’emozione e non potendo trattenere il pianto si avvicina a Sharpless e gli dice risolutamente:

133 Pinkerton Datele voi qualche soccorso: mi struggo dal rimorso, mi struggo dal rimorso. Sharpless Vel dissi? Vi ricorda? Quando la man vi diede: “Badate! Ella ci crede” e fui profeta allor! Sorda ai consigli, sorda ai dubbi, vilipesa nell’ostinata attesa raccolse il cor. Pinkerton Sì, tutto in un istante io vedo il fallo mio e sento che di questo tormento tregua mai non avrò, mai non avrò! No! Sharpless Andate: il triste vero da sola apprenderà. Pinkerton dolcemente con rimpianto Addio fiorito asil, di letizia e d’amor. Sempre il mite suo sembiante con strazio atroce vedrò.

Non posso rimaner.

Sharpless Ma or quel sincero pressago è già.

Suzuki (andandosene) Oh! Me trista!

Pinkerton Addio, fiorito asil.

Pinkerton Sharpless, v’aspetto per via.

Sharpless Vel dissi, vi ricorda? E fui profeta allor.

Sharpless Non ve l’avevo detto?

Pinkerton Non reggo al tuo squallor,


Madama Butterfly

134 ah, non reggo al tuo squallor. Fuggo, fuggo: son vil! Addio, non reggo al tuo squallor, ah! Son vil, ah! Son vil! Sharpless Andate, il triste vero apprenderà. Pinkerton strette le mani al Console, esce rapidamente dal fondo: Sharpless crolla tristamente il capo. Suzuki viene dal giardino seguita da Kate che si ferma ai piedi del terrazzo.

Kate (con dolcezza a Suzuki) Glielo dirai? Suzuki (risponde a testa bassa, senza scomporsi dalla sua rigidezza) Prometto. Kate E le darai consiglio d’affidarmi? Suzuki Prometto. Kate Lo terrò come un figlio.

si precipita per impedire a Butterfly di entrare

no, no, no, no, non scendete...

Butterfly entra precipitosa, svincolandosi da Suzuki che cerca invano di tratteneria.

Suzuki (gridando) No, no, no. Butterfly

(aggirandosi per la stanza con grande agitazione, ma

giubilante)

È qui, è qui... dov’è nascosto? È qui, è qui... scorgendo Sharpless

Ecco il Console.

sgomenta, cercando Pinkerton

E dove? Dove?

dopo aver guardato da per tutto, in ogni angolo, nella piccola alcova e dietro il paravento, sgomenta si guarda attorno

Non c’è! Vede Kate nel giardino e guarda fissamente Sharpless.

Butterfly (a Sharpless) Quella donna? Che vuol da me? Niuno parla... Suzuki piange silenziosamente.

Suzuki Vi credo. Ma bisogna ch’io le sia sola accanto. Nella grande ora... sola! Piangerà tanto tanto! Piangerà tanto!

Butterfly (sorpresa) Perché piangete?

Butterfly Suzuki!

Butterfly No: non ditemi nulla, nulla... forse potrei cader morta sull’attimo...

(voce lontana dalla camera a sinistra, chiamando)

più vicina

Sharpless si avvicina a Butterfly per parlarle; questa teme di capire e si fa piccina come una bimba paurosa.

Suzuki! Dove sei? Suzuki!

con bontà affettuosa ed infantile a Suzuki

Suzuki Son qui... pregavo e rimettevo a posto. No...

Suzuki Sì.

appare alla porta socchiusa; Kate per non essere vista si allontana nel giardino

tu, Suzuki, che sei tanto buona, non piangere! E mi vuoi tanto bene, un Si, un No, di’ piano: Vive?

come se avesse ricevuto un colpo mortale: irrigidita


Atto terzo

135

Butterfly Ma non viene più. Te l’han detto!

A lui devo obbedir!

Suzuki tace

Potete perdonarmi, Butterfly?

Butterfly (irritata al silenzio di Suzuki) Vespa! Voglio che tu risponda.

Butterfly Sotto il gran ponte del cielo non v’è donna di voi più felice. Siatelo sempre; non v’attristatate per me.

Suzuki Mai più. Butterfly (con freddezza) Ma è giunto ieri?

che ha capito, guarda Kate, quasi affascinata

Ah! Quella donna mi fa tanta paura! Tanta paura! Sharpless È la causa innocente d’ogni vostra sciagura. Perdonatele. Butterfly (comprendendo, grida:) Ah! È sua moglie! con voce calma

Tutto è morto per me! Tutto è finito! Ah! Sharpless Coraggio. Butterfly Voglion prendermi tutto!

Kate

(che si è avvicinata timidamente al terrazzo, senza entrare nella stanza)

Kate (a Sharpless, che le si è avvicinato) Povera piccina! Sharpless (assai commosso) È un immensa pietà! Kate E il figlio lo darà? Butterfly (che ha udito, dice con solennità e spiccando le parole:) A lui lo potrò dare se lo verrà a cercare. con intenzione, ma con grande semplicità

Fra mezz’ora salite la collina. Suzuki accompagna Kate e Sharpless che scono dal fondo. Butterfly cade a terra, piangendo; Suzuki s’affretta a soccorrerla.

Suzuki (mettendo una mano sul cuore di Butterfly) Come una mosca prigioniera l’ali batte il piccolo cuor!

disperata

Il figlio mio! Sharpless Fatelo pel suo bene il sacrifizio... Butterfly (disperata) Ah! Triste madre! Triste madre! Abbandonar mio figlio! rimane immobile 
calma

E sia!

Butterfly si rinfranca poco a poco: vedendo che è giorno fatto, si scioglie da Suzuki, e le dice:

Butterfly Troppa luce è di fuor, e troppa primavera. Chiudi. Suzuki va a chiudere lo shosi, in modo che la camera rimane quasi in completa oscurità. Suzuki ritorna verso Butterfly.


Madama Butterfly

136 Butterfly Il bimbo ove sia? Suzuki Giuoca... lo chiamo? Butterfly (con angoscia) Lascialo giuocar, lascialo giuocar. Va a fargli compagnia. Suzuki (piangendo) Resto con voi. Butterfly (risolutamente, battendo forte le mani) Va, va. Te lo comando. Fa alzare Suzuki, che piange disperatamente, e la spinge fuori dell’uscio di sinistra. Butterfly si inginocchia davanti all’immagine di Budda. Butterfly rimane immobile, assorta in doloroso pensioro, ancora si odono i singhiozzi di Suzuki, i quali vanno a poco a poco affievolendosi. Butterfly ha un moto di spasimo. Butterfly va allo stipo e ne leva il velo bianco, che getta attraverso il paravento, poi prende il coltello, che chiuso in un astuccio di lacca, sta appeso alla parete presso il simulacro di Budda. Ne bacia religiosamente la lama, tenendola colle mani per la punta e per l’impugnatura.

Butterfly (legge a voce bassa le parole che vi sono incise) «Con onor muore chi non può serbar vita con onore». si punta il coltello lateralmente alla gola.

S’apre la porta di sinistra e vedesi il braccio di Suzuki che spinge il bambino verso la madre: questi entra correndo colle manine alzate: Butterfly lascia cadere il coltello, si precipita verso il bambino, lo abbraccia e lo bacia quasi a soffocarlo.

Butterfly Tu? Tu? Tu? Tu? Tu? Tu? Tu?

con grande sentimento, affannosamente agitata

Piccolo Iddio! Amore, amore mio, fior di giglio e di rosa.

prendendo la testa del bimbo, accostandola a sè

Non saperlo mai per te, pei tuoi puri occhi, con voce di pianto

muor Butterfly... perché tu possa andar

di là dal mare senza che ti rimorda ai di maturi, il materno abbandono. con esaltazione

O a me, sceso dal trono dell’alto Paradiso, guarda ben fiso, fiso di tua madre la faccia! Che ten resti una traccia, guarda ben! Amore, addio! Addio! Piccolo amor! con voce fioca

Va, gioca, gioca! Butterfly prende il bambino, lo posa su di una stuoia col viso voltato verso sinistra, gli dà nelle mani la banderuola americana ed una puppattola e lo invita a trastullarsene, mentre delicatamente gli benda gli occhi. Poi afferra il coltello e, collo sguardo sempre fisso sul bambino, va dietro il paravento. Qui si ode cadere a terra il coltello, e il gran velo bianco scompare dietro al paravento. Si vede Butterfly sporgersi fuori dal paravento, e brancolando muovere verso il bambino – il gran velo bianco le circonda il collo: con un debole sorriso saluta colla mano il bambino e si trascina presso di lui, avendo ancora forza di abbracciarlo, poi gli cade vicino.

Pinkerton (interno) Butterfly! Butterfly! Butterfly! La porta di destra è violentemente aperta. Pinkerton e Sharpless si precipitano nella stanza, accorrendo presso Butterfly che con debole gesto indica il bambino e muore. Pinkerton si inginocchia, mentre Sharpless prende il bimbo e lo bacia singhiozzando.





140 DA MACERATA ALL’ORIENTE 3: GIUSEPPE TUCCI* «Lo Zen e il carattere del popolo giapponese»

Fra tutte le nazioni dell’Oriente, il Giappone ha una ricchezza spirituale che supera la potenza materiale. Lo spirito che li guida e sorregge nella vita e li fa uno dei popoli più forti della terra, i Giapponesi hanno educato e temprato per tre vie diverse le quali, portando ciascuna il contributo di particolari esperienze, sfociarono in quella sintesi da cui nasce la storia: religione, arte e guerra. Così si formò quel carattere composito e a prima vista contraddittorio del popolo giapponese: ora trasognato esaltazioni mistiche, ora rude e quasi spietato, ora dimentico di sé nella contemplazione del bello ed ingentilito da rare raffinatezze di gusto. Naturalmente queste propensioni e tendenze il popolo giapponese le conteneva in sé fin dagli albori del suo vivere civile: ma per venire alla luce esse dovevano essere fecondate, acquistare coscienza di se medesime e diventare operanti nella vita. Fra tutte le correnti spirituali che contribuirono a foggiare il carattere giapponese e a svegliare la coscienza delle sue possibilità nessuna forse più efficace dello Zen. Questa è la tesi che un profondo dello Zen ha sostenuto in uno dei suoi ultimi libri. Lo Zen è una scuola buddistica che prende il nome dalla tradizione cinese della parola sanscrita diana che vuol dire meditazione. Dunque è una scuola esoterica, che trapiantata dall’India nella Cina per opera del missionario semileggendario conosciuto con il nome di Bodhidharma assorbì molte dottrine del Taoismo e così tramutata ed arricchita varcò il mare e si stanziò in Giappone. Ciò avvenne all’inizio del periodo Kamakura, durante il governo di Hojo dopo che Tokiyori (1227-1263) ebbe abbracciato ufficialmente lo Zen. Fu allora che il monaco Bukko educò ai principi di quelle dottrine Tokimune cui spetta il vanto di aver ricacciato l’invasione mongola, salvando così l’integrità nazionale del Giappone. Fu un glorioso periodo durante il quale lo Zen

s’alleò alla classe guerriera e influì gravemente sulla vita politica e sociale, lasciando incancellabili tracce sull’animo del Giappone. […] Lo Zen dunque non è un sistema: un sistema si spiega, si definisce, si discute. Lo Zen no, lo Zen si vive. E questo non è molto dire: perché tutti quanti i sistemi di mistica si vivono; non sono basati su un convincimento logico, ma su un’esperienza interiore la quale misteriosamente sorgendo nelle tenebre della nostra vita, fa della notte girono così che appena tocchi della sua grazia ci sentiamo rinati in altri piani ove tutto è nuovo, luminoso e beatifico. Ma il maggior numero dei sistemi di mistica, partendo da questo mondo, in cui gioca il monotono arbitrio della vita, puntano lo sguardo verso quell’elementare principio di tutte le cose, che tutto condiziona e tutto trascende. Lo Zen non è su questa strada. Non si tratta di trascendere il mondo, ma di trovare l’eterno nel modo: le scuole mistiche hanno troppo violentemente negato questo corpo nel quale e traverso il quale dio si manifesta. Eppure le cose più belle invano intorno a noi sarebbero spiegato se non fossimo noi a goderne, se con tutti i nostri sensi non ne aspirassimo quasi il divino significato e se il nostro corpo non ci guidasse per gradi alla loro beatificante contemplazione. Un’arcana armonia regna fra tutte le cose che un misterioso impulso interiore trae a nascimento: dai mari alle gocce d’acqua che stillano sul rugiadoso tremolio dei fiori, dalle montagne alle nubi che con volubile quasi umano capriccio contendono la vista del cielo, dappertutto è vita e dappertutto è Dio. Si vede anche dall’arte, di cui in appresso diremo, quanto sia diversa visione mistica dell’India da quella del Giappone: là per aver negato la natura e il suo divenire o i corpi e le cose, l’arte si trasumana a tal punto che vagamente riflette per simboli solo ciò che è divino e trascendente: qua invece la natura e l’uomo, come parte necessaria della natura, sono la vivente ispirazione dell’opera d’arte. Non dunque trascendimento e neppure contemplazione – perché contemplare presuppone già uno sdoppiamento – ma piuttosto una immersion in sé e traverso sé nel tutto. Non bisogna discutere né filosofare: la ragione non coglie la vita nel suo infinito crearsi: ne fissa dei momenti staccati e con


141 questi frammenti non può ricostruire l’impulso elementare nel quale sprofondandoci possiamo sentire, partecipandovi, il ritmo del gran respiro cosmico. La ragione definisce: ma la vita non si definisce, perché un istante dopo non è più quello ch’era un istante prima. Lascia stare la ragione, ma immergiti pienamente nella tua vita, che è la vita universa, dal cielo al filo d’erba. Quindi lo Zen porta necessariamente nelle sue forme estreme un rovesciamento di valori, come han fatto tutte le scuole mistiche, le quali hanno visto le cose con altri occhi che non la comune della gente, e sono state d’accordo nel negare alla ragione quel privilegio che lei stessa si è arrogato. Tuttavia anche per lo Zen un adattamento ai limiti dell’umano ingegno fu necessario: non potendo abolire la ragione cercò per lo meno di contenerne le richieste. Al ragionamento ha sostituito la contemplazione: ma una contemplazione attiva. Ci sono due modi di contemplare le cose e gli uomini: dal di fuori e dal di dentro. Contemplandole dal di fuori non si potrà mai ottenere una fusione con quelle: la nostra personalit�������������������������������������������� à������������������������������������������� , quando tutti ci concentriamo su un oggetto, s’irrigidisce e s’addormenta come in un sonno ipnotico: la contemplazione attiva è un lento inserirsi nella vita degli oggetti contemplati sicché, come nell’amore, le due cose ne formino una sola in cui fluisca lo stesso pulsante mistero. Su questo principio lo Zen basò l’arte della scherma che servì non tanto a perfezionare una tecnica, quanto a disciplinare le anime. […] Lo Zen non prometteva rinascite paradisiache come premio del bene: ma eguagliando morte e vita, sopprimeva quel cieco desiderio di vivere che tiene l’uomo abbarbicato alla terra e tanto spesso lo fa timoroso del grande mistero che s’apre con la morte. Vincere la morte non si può, ma si deve vincere la paura della morte. Vincere la morte non si può, ma si deve vincere la paura della morte, accettando quella come un fatto naturale. Lo Zen abitua a questa serenità di fronte alla morte della quale non fa più caso che del trapasso da una stagione dell’anno in un’altra. […] Il giapponese una volta presa una decisione va in fondo senza compromessi ed esitazioni, con una implacabile fermezza che ha quasi l’ineluttabilità del fato. Per scegliere

la strada lento, una volta che l’ha scelta non torna indietro. Questo fedeltà alle proprie idee, tenace fino allo scrupolo, ha costruito la religione dei Samurai: religione nobilissima che riconosce un solo culto, quello dell’onore: togliete questo privilegio all’uomo ed egli non ha più nessuna ragione di vivere. I monaci Zen furono i primi ad insegnare che bisognava far tutto sul serio, con un’ostinazione eroica che la vita subordinava ad un principio. […] L’arte in Giappone non è un privilegio delle classi colte, ma comune virtù di tutto il popolo: il valore delle opere d’arte non è determinato dall’esser strano ed insolito, ma semplice e modesto: l’arte giapponese si fonda tutta quanta su un canone starei per dire monacale, quello che essi chiamano wabi, o sabi. Wabi è il contrario di vistoso, sgargiante o appariscente: è piuttosto quella bellezza reticente che non si mostra d’un tratto ma si svela per gradi come fanciulla pudica e resta - una cosa sai non sarà mai lustra e fiammante, perché le cose lustre e fiammanti sanno di fabbrica, ma non si trovano nella natura. Il sai porta la traccia dell’uso e la patina degli anni. […] La sensibilità estetica del giapponese così si educava sotto la guida dello Zen: ne derivava quell’arte che non ama mai il completo ed il perfetto, ma cerca piuttosto di secondare e quasi aiutare il movimento della natura.

* Giuseppe Tucci nacque a Macerata il 5 giugno 1894, figlio di emigrati pugliesi. È considerato il più grande orientalista, esploratore, storico delle religioni, buddhologo e tibetologo del novecento italiano. Dopo la formazione classica liceale, inizia a studiare Lettere a Roma. Tra il 1926 e il 1954, condusse diverse spedizioni archeologiche in Tibet, India, Afghanistan ed Iran. Nel 1933, insieme a Giovanni Gentile, fondò l’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente di Roma. Durante la sua carriera, ottenne numerose onorificenze, fra cui: Desikottama dell’Università Visva Bharati (1961), Premio Jawaharlal Nehru per la Comprensione Internazionale (1978), Birendra Prajnalankar, premio del re del Nepal Birendra Bir Bikram Shah Dev (1980) e la nomina di Cavaliere di I Classe dell’Ordine del Sacro Tesoro del Giappone (1959). Morì il 5 aprile 1984 nel comune laziale di San Polo dei Cavalieri. Il Museo Nazionale d’Arte Orientale di Roma è a lui intitolato dal 2005.





SFERISTERIO 30* luglio, 5, 11, 14 agosto - ore 21.00 Anteprima giovani 27 luglio - ore 21.00 Giuseppe Verdi

Aida Opera in quattro atti Libretto di Antonio Ghislanzoni Edizioni CASA RICORDI, Milano

Cristian Saitta Anna Maria Chiuri Liana Aleksanyan Stefano La Colla Giacomo Prestia Stefano Meo Enrico Cossutta Federica Vitali

Il Re Amneris Aida Radamès Ramfis Amonasro Un messaggero Una sacerdotessa

Direttore Riccardo Frizza Regia Francesco Micheli Scene Edoardo Sanchi Disegni Francesca Ballarini Costumi Silvia Aymonino Luci Fabio Barettin Coreografie Monica Casadei Maestro del coro Carlo Morganti Assistente alla regia Valentina Brunetti Assistenti alla coreografia Roberto Lori, Gioia Maria Morisco Assistente ai costumi Hannah Gelesz Fondazione Orchestra Regionale delle Marche Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini” Complesso di palcoscenico Banda “Salvadei” Compagnia Artemis Danza Coproduzione con il Teatro Comunale di Bologna * serata con audio descrizione in collaborazione con Unione Italiana Ciechi e Museo Tattile Statale Omero


Aida

146 Direttore di scena Giacomo Benamati Direttore musicale di palcoscenico Gianfranco Stortoni Vocal coach Simone Savina Maestro di sala Andrea Del Bianco Maestri di palcoscenico Marta Marrocchi, Sara Zampetti Maestro alle luci Melissa Mastrolorenzi Maestro ai video Manuela Belluccini Maestro ai sopratitoli Daniele Gabrielli Compagnia Artemis Danza Antonio Cornelji, Angelo D’Aiello, Luigi D’Aiello, Lucas Delfino Andrea Dionisi, Samuel Moretti, Teresa Morisano, Emanuele Serrecchia, Filippo Stabile, Davide Tagliavini Figuranti Ilaria Bartolacci, Emma Binati, Jennifer Duca, Helen Maria Fonseca, Matilde Giusepponi, Sara Marchetti, Agnese Olmetti, Viola Pollonara, Nicoletta Posanzini, Cristina Sebastianelli Gloria Zagaglia, Desirè Zallocco Direttore di palcoscenico Mauro De Santis Responsabile allestimento e servizi di palcoscenico Enrico Sampaolesi Ufficio tecnico allestimenti Francesco Lozzi Logistica Giorgio Alici Biondi Scenografo realizzatore Serafino Botticelli Capo macchinista Secondo Caterbetti Capo elettricista Fabrizio Gobbi Responsabile sartoria Simonetta Palmucci Responsabile vestizioni Maria Antonietta Lucarelli Capo attrezzista Emanuela Di Piro Capo squadra aiuti tecnici Mauricio Cesar Pasquali Supervisore trucco e parrucchieria Raffaella Cipolato Responsabile parrucchieria Serena Mercanti Responsabile trucco Sara Croci Coordinatrice personale di sala Caterina Ortolani Fotografo Alfredo Tabocchini Scene e attrezzeria Macerata Opera Festival - Rossetti Group, Rozzano (MI) Videoproiezioni Stark, Cagli (PU) Costumi e calzature LowCOSTume, Roma - Macerata Opera Festival - Tombolini, Urbisaglia (MC) Parrucche Audello, Torino Illuminotecnica Seven, Ancona Fonica AMS, Macerata Sopratitoli e audio descrizioni Macerata Opera Festival e Università di Macerata


147 «LE DUE ESTREMITÀ DEL GLOBO SI AVVICINANO»

Aida è l’opera che più di tutte porta con sé un immaginario spettacolare carico di stereotipi: l’antico Egitto da cartolina, la grandiosità degli apparati scenografici, una certa ridondanza complessiva che tuttavia non obbliga a una lettura oleografica ma suggerisce soluzioni simboliche: «perché è anche una fra le opere più intime e toccanti – spiega Francesco Micheli – e lasciandosi guidare dai colori della partitura e dalle architetture della drammaturgia si può far rivivere la vicenda non solo nel dettaglio orientaleggiante di massa ma anche nella proiezione gigantesca di colori, forme e nessi di significato che ciascun personaggio, canta e recita per noi: moderni geroglifici, cibernetiche icone che codificano la vicenda venendo disegnati non nella minuzia di un’osservazione ravvicinata ma nell’immanente enormità della scena». Un’Aida esteriormente “contemporanea” ma negli intenti soprattutto narrativa, simbolica, metaforica «fiduciosa nel potere del mezzo tecnologico – aggiunge Micheli – che s’intreccia con rinnovata fedeltà all’invenzione verdiana il cui orientalismo ebbe come cornice alcuni eventi del secondo Ottocento rivoluzionari, modernissimi e iper-tecnologici a loro volta, come l’apertura del Canale di Suez». L’allestimento del 2014 – salutato molto favorevolmente dalla critica che ne ha lodato, fra l’altro, per l’eleganza e la concentrazione con cui accompagna l’ascolto – è stato ulteriormente perfezionato entro un percorso di riflessione e maturazione «ed è cresciuto – continua il regista – lavorando ulteriormente sulle parole scritte e sui simboli che si fanno scenografia e, in generale, considerando il risultato di tre anni fa come un punto di partenza, dal quale agire per incrementare ulteriormente l’intensità espressiva, focalizzando ancor più l’azione sulla similitu-

dine tra tablet odierno e tavoletta dello scriba egizio che racconta e scrive la storia». La superficie e le dimensioni con cui vengono realizzate queste metafore visive e narrative riporta al tema, ineludibile nell’Aida, della dimensione monumentale «che rispettiamo pienamente – conclude Micheli – facendo un uso spettacolare delle proiezioni ma senza dimenticare che uno dei principali obiettivi di Verdi era quello di interpretare il transeunte, di spiegarci che “sic transit gloria mundi”, descrivendo il personaggio di Radamès dapprima come un divo intoccabile e poi, nel giro di un atto, un traditore, benché suo malgrado, arrestato e condannato a morte. Tutto il suo trionfo svanisce in un soffio. L’overdose di sfarzo e ricchezza non l’abbiamo realizzata con elefanti e portantine ma con simboli, “icone”, più leggeri ma al contempo più icastici, tendendo a rispecchiare una realtà: quella dell’uomo che combatte tutta la vita per il potere e la fama ma poi non ha più nulla e resta solo, solo come Aida, donna che vive un dramma di solitudine. Da questi significati ultimi sentiamo di poter fortemente collocare quest’opera nel contesto della programmazione attuale dedicata e ispirata a un Oriente che invita al dialogo e al sincretismo, e di poter tornare a quel che si scrisse il 17 novembre 1869, quando venne inaugurato il Canale di Suez: “Le due estremità del globo si avvicinano; avvicinandosi si riconoscono; riconoscendosi, tutti gli uomini avvertono il trasalimento gioioso della loro mutua fraternità! Occidente! Oriente! Avvicinatevi, guardatevi, riconoscetevi, salutatevi, abbracciatevi! Che un soffio divino discenda su queste acque! Che passi e ripassi da Occidente a Oriente e da Oriente a Occidente! Che questa via serva per avvicinare gli uomini gli uni agli altri”» (f.t.).





151 SOGGETTO

ATTO PRIMO Sala nel palazzo del Re a Menfi. Ramfis, il gran sacerdote, informa Radamès, capitano delle guardie reali, che gli Etiopi stanno per scatenare una nuova guerra: la dea Iside ha già indicato il nome del supremo condottiero che guiderà le falangi degli Egizi. Radamès spera di essere lui il prescelto: vincendo potrebbe offrire il trionfo ad Aida, schiava etiope di Amneris, figlia del Faraone, di cui è innamorato. Entra Amneris (innamorata a sua volta di Radamès) e chiede al guerriero quale sia la causa della nobile fierezza. Radamès risponde che è la segreta speranza di essere stato prescelto dalla dea, ma la principessa ha colto un improvviso turbamento di Radamès all’apparire di Aida e domanda alla schiava perché si presenti così mesta e afflitta. Aida è terrorizzata dalle voci di una guerra imminente e teme per le sorti della patria e dei suoi cari. Amneris crede di intuire quale sia il vero sentimento di Aida e medita vendetta se scoprirà che la schiava è sua rivale in amore. Il Faraone invita i ministri ad ascoltare le notizie di un messaggero appena giunto dai confini; questi annuncia che gli Etiopi, condotti dal re Amonasro, hanno invaso l’Egitto e minacciano direttamente la città di Tebe. Tutti innalzano il grido di guerra. Il Faraone dichiara che la dea Iside ha designato Radamès come condottiero supremo: il giovane esulta, Amneris gli consegna il vessillo del comando e tutti inneggiano alla vittoria. Rimasta sola, Aida è tormentata da un angoscioso dilemma: come può augurarsi la vittoria dell’amato Radamès e sopportare che la sua patria sia vinta? Interno del tempio di Vulcano a Menfi. Le sacerdotesse invocano il sommo Fthà, spirito animatore del mondo, e intrecciano mistiche danze propiziatorie. Radamès viene introdotto e Ramfis gli consegna la sacra spada temprata dal dio che dovrà trasformarsi per i nemici dell’Egitto in «terrore, folgore e morte». ATTO SECONDO Una sala nell’appartamento di Amneris. Radamès ha vinto: la principessa, circondata dalle ancelle, sta abbigliandosi per

partecipare al trionfo. All’ingresso di Aida, rimane sola con la schiava per scoprire i suoi sentimenti nei riguardi di Radamès. Dapprima Amneris finge di confortare Aida per la sconfitta degli Etiopi, la invita a confidarsi e le chiede con malizia se per caso, fra i combattenti egiziani qualcuno le stesse particolarmente a cuore. Aida avverte l’insidia e svia il discorso. Amneris insiste e, quasi a consolarla per la rovina della sua patria, le annuncia che il condottiero supremo dell’esercito egizio è stato ucciso in combattimento dagli Etiopi. Aida si lascia sfuggire un grido di dolore. Amneris incalza e la schiava, vinta dalla disperazione, non sa più dissimulare. Allora Amneris, prorompendo con ira, le rivela con rabbia i suoi sentimenti. Aida, che ha sempre nascosto di essere figlia di Amonasro, rivela i suoi natali ma poi si pente, si getta ai piedi di Amneris e la implora di perdonarla. Amneris, sprezzante, ricorda ad Aida che potrà punirla atrocemente per questo amore impossibile e le impone di partecipare alla cerimonia. Uno degli ingressi della città di Tebe. La scena è ingombra di popolo festante. Entrano il Re, i ministri, i sacerdoti, quindi Amneris accompagnata da Aida e dalle ancelle. Sfilano le truppe con le insegne e i trofei, si intrecciano danze di vittoria e infine fa il suo ingresso trionfale Radamès. Il Re lo saluta e lo invita a esprimere i suoi desideri, che giura di accogliere e di esaudire. Radamès chiede che siano portati alla sua presenza i prigionieri etiopi. Fra costoro Aida riconosce il padre, Amonasro, che le impone sottovoce di non tradirlo. Interrogato dal Faraone, Amonasro ammette che Aida è sua figlia, ma non svela di essere il re degli Etiopi: il re è morto in guerra, dice, lui ha combattuto coraggiosamente al suo fianco e, poiché l’amore per la patria non è un delitto, invoca la clemenza del Faraone. Radamès ricorda al Faraone la promessa fatta di esaudire i suoi desideri: orbene, per i prigionieri etiopi chiede la salvezza della vita e la libertà. Libertà per gli altri, ammette infine Ramfis, il gran sacerdote, ma almeno il padre di Aida resti con la figlia come ostaggio e garanzia di pace e di sicurezza. Il Re acconsente. Annuncia quindi a Radamès di concedergli in sposa Amneris. ATTO TERZO Le rive del Nilo. Ramfis conduce Amneris nel tempio di Iside perché preghi la dea alla vigilia delle sue nozze. Giunge Aida, che attende Radamès per quello che lei crede sia l’ultimo colloquio con l’amato. Amonasro, che ha saputo del convegno, precede Radamès e sollecita la figlia a un atto di patriottismo:


152 farsi rivelare da Radamès quale sentiero segreto seguiranno le truppe egizie per piombare sugli Etiopi che stanno preparandosi alla riscossa. Aida rifiuta di tradire l’amato. Allora il padre la maledice e Aida, profondamente turbata cade ai suoi piedi annunciando che saprà essere degna della sua patria. Alle profferte d’amore del condottiero, Aida risponde orgogliosa che non deve macchiarsi d’uno spergiuro. Resta solo una possibilità per loro: fuggire dall’Egitto e riparare in Etiopia. Radamès dapprima resiste, poi si risolve alla fuga, rivelando il tragitto di guerra. Amonasro ha udito tutto e si presenta a Radamès, proclamando di essere lui il re degli Etiopi. Radamès, angosciato, tenta di negare l’informazione che gli è sfuggita e, nello stesso momento, esce dal tempio Amneris, seguita da Ramfis, e accusa Radamès di tradimento. Amonasro fugge trascinando con sé Aida mentre Radamès consegna la sua sposa al gran sacerdote, offrendosi prigioniero. ATTO QUARTO Sala nel palazzo del Re. Amneris, combattuta fra la gelosia e l’amore, cerca di salvare Radamès dalla condanna estrema, lo supplica di discolparsi ma Radamès risponde altero che le sue labbra non pronunceranno mai una sola parola di difesa perché non si sente colpevole, non gli importa nulla di vivere nell’infamia e senza l’amore di Aida. Le guardie riportano via il prigioniero. Amneris sente ripetere dai giudici l’accusa di tradimento senza che Radamès risponda per scagionarsi. La sua morte è segnata. Invano Amneris implora, in preda alla disperazione, la clemenza dei sacerdoti, che confermano implacabili la condanna. La scena è divisa in due piani: il piano superiore rappresenta il tempio di Vulcano, il piano inferiore un sotterraneo. Radamès, condannato a morire sepolto vivo, tenta invano di smuovere la pesante pietra che chiude la sua tomba. Mentre rivolge ad Aida l’estremo pensiero, costei gli compare davanti nell’oscurità: presagendo la sua sorte orrenda, gli confida, si è nascosta nel sotterraneo per morire con lui. I due amanti, strettamente avvinti, danno l’addio alla terra mentre Amneris, coperta da un velo di lutto, si china sulla pietra tombale invocando dalla dea Iside pace eterna per la salma dell’amato.

Aida


153 SYNOPSIS

ACT ONE In ancient Egypt, near the royal palace of Memphis, Radamès learns from the high priest Ramfis that Ethiopia may soon bring war to the Nile valley. The young officer hopes he will be chosen as commander of the Egyptian army, so as to win the war and offer his victory to his beloved Aida, Amneris’ Ethiopian slave. Amneris herself is in love with Radamès and when all three meet she senses the officer’s love for her slave and is seized by jealousy. A messenger has just arrived from the country borders to announce that the Ethiopians, led by their king Amonasro, have invaded Egypt and are steadily moving towards Thebes. The Pharaoh appoints the jubilant Radamès as army commander: the latter rejoices and the crowd hails to him. Alone, Aida is torn between her love for Radamès and for her homeland: though now a slave, she is in fact the daughter of king Amonasro. She prays to the gods for mercy. In the temple, as priestesses chant the praises of Ptah, priests consecrate Radamès’ sword with a sacred ritual. ACT TWO Ethiopia has been defeated. Amneris is with her maids and prepares for Radamès’ triumphal return to Thebes. When Aida arrives, the princess dismisses all other maids to try and discover Aida’s feelings for Radames. She first pretends that the officer is dead, then reveals that he is still alive. Aida is desperate and falls to Amneris’ feet. Then, upon hearing that Radamès is still alive, she visibly rejoices. From her reactions, Amneris understands that her slave is truly in love with the man she also loves. She leaves the palace for the celebrations and forces Aida to follow her. At the city gates, victory is celebrated with parades and dances in front of the Pharaoh and his daughter. Soon after, all Ethiopians who have been made prisoners are brought before the two: among them is Amonasro, Aida’s father and Ethiopian king. Amonasro whispers to her daughter not to reveal his identity. Impressed by Amonasro’s eloquent plea, Radamès asks as his reward that the priests’

death sentence on the prisoners be overruled and that they be freed. The Pharaoh accept to grant this, as well as Amneris’ hand, but he keeps Amonasro in custody. ACT THREE The banks of the river Nile are lit by moonlight. Amneris is led by Ramfis into the temple of the goddess Isis to pray, on the eve of her own wedding. Aida is nearby, waiting for Radamès to join her for what she fears might be their last meeting. Amonasro is informed that the Egyptian conqueror is about to arrive: he reaches Aida before him and asks her daughter to support her homeland by having Radamès reveal his army plans, so as to advise the Ethiopians who are planning to take revenge. Aida refuses to betray her lover and her father curses her. When Radamès appears and declares his love to Aida, they both see escape as the only solution. Radames does unveil his army plans and Amonasro, who was hiding nearby, comes before him and tells him he is king of the Ethiopians. Meanwhile, Ramfis and Amneris are coming out of the temple. While Aida runs away with her father, Radamès surrenders to the priest as a traitor. ACT FOUR In the Pharaoh’s palace, Amneris is torn between jealousy and love for Radamès. She begs him to ask for mercy, but he declares he would never do it, as he does not have any fault and would never give up his love for Aida. Thus, he is doomed to die. Amneris begs the priests to save him, but to no avail. Radamès is due to be buried alive on his own. Once in the cave, he sees Aida, who secretly found shelter in it so as to be close to her beloved one forever. They bid farewell to life, while Amneris prays to Isis and asks the goddess to grant Radamès eternal peace.



155

Atto primo

Scena I. Sala nel palazzo del Re a Menfi. A destra e a sinistra, un colonnato con statue e arbusti in fiore. Grande porta nel fondo, da cui si scorgono i templi, i palazzi di Men e le Piramidi. Radamès e Ramfis.

Ramafis Sì, corre voce che l’Etiope ardisca sfidarci ancora, e del Nilo la valle e Tebe minacciar. Fra breve un messo recherà il ver. Radamès La sacra Iside consultasti? Ramafis Ella ha nomato delle egizie falangi il condottier supremo. Radamès Oh, lui felice!

dirti: per te ho pugnato e per te ho vinto! Celeste Aida, forma divina, mistico serto di luce e fior, del mio pensiero tu sei regina, tu di mia vita sei lo splendor. Il tuo bel cielo vorrei ridarti, le dolci brezze del patrio suol, un regal serto sul crin posarti, ergerti un trono vicino al sol. Oh! Celeste Aida, forma divina, mistico raggio di luce e fior, del mio pensiero (Entra Amneris)

Amneris Quale insolita gioia nel tuo sguardo! Di quale nobil fierezza ti balena il volto! Degna di invidia, oh! Quanto saria la donna il cui bramato aspetto tanta luce di gaudio in te destasse! Radamès D’un sogno avventuroso si beava il mio cuore. Oggi, la Diva profferse il nome del guerrier che al campo le schiere egizie condurrà. O, s’io fossi a tal onor prescelto...

Ramafis (con intenzione, fissando Radamès) Giovane e prode è desso. Ora del Nume reco i decreti al Re.

Amneris Né un altro sogno mai più gentil, più soave al core ti parlò? Non hai tu in Menfi desideri, speranze?

Radamès Se quel guerrier io fossi! Se il mio sogno s’ avverasse...! Un esercito di prodi da me guidato, e la vittoria e il plauso di Menfi tutta! E a te, mia dolce Aida, tornar di lauri cinto...

Radamès Io! (Quale inchiesta! Forse l’arcano amore scoprì che m’arde in core... della sua schiava il nome mi lesse nel pensier!)

(Esce)


Aida

156 Amneris (Oh! guai se un altro amore ardesse a lui nel core! Guai se il mio sguardo penetra questo fatal mister!) Radamès (Forse mi lesse nel pensier!) (vedendo Aida che entra)

Dessa! Amneris (Ei si turba, e quale sguardo rivolse a lei! Aida! A me rivale forse saria costei?) (volgendosi ad Aida)

Vieni, o diletta, appressati, schiava non sei né ancella qui dove in dolce fascino io ti chiamai sorella. Piangi? Delle tue lacrime svela il segreto a me. Aida Ohimè! Di guerra fremere l’atroce grido io sento, per l’infelice patria, per me, per voi pavento. Amneris Favelli il ver? Né s’agita più grave cura in te? (Trema, o rea schiava!)

Amneris (Ch’io nel tuo cor discenda!) Radamès (Guai se l’arcano affetto a noi leggesse in core!) Amneris (Trema che il ver m’apprenda quel pianto e quel rossor!) Radamès (Guai se leggesse in cor!) Aida (Ah! No, sull’afflitta patria non geme il cor soltanto; quello ch’io verso è pianto di sventurato amor.) Radamès (Nel volto a lei balena lo sdegno ed il sospetto. Guai se l’arcano affetto a noi leggesse in cor!) Amneris (Rea schiava, trema! Ch’io nel tuo cor discenda! Ah! Trema che il ver m’apprenda quel pianto e quel rossor!) (Il Re, preceduto dalle sue Guardie e seguite da Ramfis, dai Ministri, Sacerdoti, Capitani ecc)

Amneris (Ah! Trema, rea schiave, trema!)

Il Re Alta cagion v’aduna, o fidi Egizi, al vostro Re d’intorno. Dai confin d’Etiopia un messaggero dianzi giungea: gravi novelle ei reca. Vi piaccia udirlo. Il messagger s’avanzi!

Radamès (Lo sdegno ed il sospetto)

Messaggero Il sacro suolo dell’Egitto è invaso

Radamès

(guardando Amneris)

(Nel volto a lei balena.)


Atto primo dai barbari Etiopi; i nostri campi fur devastati, arse le messi, e baldi della facil vittoria i predatori già marciano su Tebe! Tutti Ed osan tanto! Messaggero Un guerriero indomabile, feroce, li conduce: Amonasro. Tutti Il Re! Aida (Mio padre!) Messaggero Già Tebe è in armi e dalle cento porte sul barbaro invasore proromperà, guerra recando e morte. Il Re Sì: guerra e morte il nostro grido sia! Tutti Guerra! Guerra! Tremenda, inesorata! Il Re Iside venerata di nostre schiere invitte già designava il condottier supremo: Radamès. Tutti Radamès! Radamès Ah! Sien grazie ai numi! Son paghi i voti miei.

157 Amneris (Ei duce!) Aida (lo tremo!) Ministri e Capitani Radamès! Radamès! Radamès! Radamès! Il Re Or di Vulcano al tempio muovi, o guerrier. Le sacre armi ti cingi e alla vittoria vola. Su! Del Nilo al sacro lido accorrete, egizi eroi; da ogni cor prorompa il grido: guerra e morte allo stranier! Ramfis Gloria ai numi! Ognuno rammenti ch’essi direggono gli eventi, che in poter dei numi solo stan le sorti del guerrier. Ognun rammenti che in poter Ministri e Capitani Su! Del Nilo al sacro lido sien barriera i nostri petti; non echeggi che un sol grido: guerra, guerra e morte allo stranier! Il Re Su! Su! Del Nilo al sacro lido accorrete, Egizi eroi; da ogni cor prorompa un grido: guerra e morte allo stranier! Aida (Per chi piango? Per chi prego? Qual potere m’avvince a lui! Deggio amarlo ed è costui


Aida

158 un nemico, uno stranier!) Radamès Sacro fremito di gloria tutta l’anima m’investe. Su! Corriamo alla vittoria! Guerra e morte allo stranier! Amneris (a Radamès) Di mia man ricevi, o duce, il vessillo glorioso; ti sia guida, ti sia luce della gloria sul sentier. Il Re Su! Del Nilo al sacro lido, accorrete, Egizi eroi; ecc. Ramfis e Sacerdoti Gloria ai Numi, ognun rammenti, ecc. Ministri e Capitani Su! Del Nilo al sacro lido sian barriera i nostri petti, ecc. Radames, Messaggero Su! Corriamo alla vittoria, ecc. Amneris Ti sia guida, ti sia luce della gloria sul sentier. Aida (Per chi piango? Per chi prego?) Il Re e Ramfis Guerra! Tutti Guerra! Guerra! Guerra! Sterminio all’invasor! ecc.

Aida (Deggia amarlo, e veggo in lui un nemico, uno stranier!) Tutti Guerra! Guerra! Guerra! Sterminio all’invasor! ecc. Amneris (a Radamès) Ritorna vincitor! Tutti Ritorna vincitor! (Escono tutti, meno Aida)

Aida Ritorna vincitor! E dal mio labbro uscì l’empia parola! Vincitor del padre mio, di lui che impugna l’armi per me per ridarmi una patria, una reggia e il nome illustre che qui celar m’è forza. Vincitor de’ miei fratelli...ond’io lo vegga, tinto del sangue amato, trionfar nel plauso dell’egizie coorti! E dietro il carro, un Re, mio padre, di catene avvinto! L’insana parola, o numi, sperdete! Al seno d’un padre la figlia rendete; struggete le squadre dei nostri oppressori. Ah! Sventurata! Che dissi? E l’amor mio? Dunque scordar poss’io questo fervido amore che oppressa e schiava come raggio di sol qui mi beava? Imprecherò la morte a Radamès, a lui ch’amo pur tanto! Ah! Non fu in terra mai da più crudeli angosce un core affranto! I sacri nomi di padre, d’amante né profferir poss’io, ne ricordar;


Atto primo

159

per l’un, per l’altro confusa e tremante, lo piangere vorrei, vorrei pregar. Ma la mia prece in bestemmia si muta... delitto è il pianto a me, colpa il sospir... in notte cupa la mente è perduta, e nell’ansia crudel vorrei morir. Numi, pietà del mio soffrir! Speme non v’ha pel mio dolor. Amor fatal, tremendo amor, spezzami il cor, fammi morir! Numi, pietà del mio soffrir!

Sacerdotessa Fuoco increato, eterno, onde ebbe luce il sol, ah!

Scena II Interno del tempio di Vulcano a Menfi. Una luce misteriosa scende dall’alto. Una lunga la di colonne, l’una all’altra addossate, si perde fra le tenebre. Statue di varie Divinità. nel mezzo della scena, sovra un palco coperto di tappeti, sorge l’altare sormontato da emblemi sacri. Dai tripodi d’oro s’innalza il fumo degli incensi. Sacerdoti e Sacerdotesse, Ramfis ai piedi dell’altare.

Sacerdotessa Immenso Fthà!

Ramfis e Sacerdoti Tu che dal nulla hai tratto l’onde, la terra, il ciel, noi t’invochiam! Sacerdotessa Immenso Fthà, del mondo spirto fecondator, ah! Col coro delle sacerdotesse Noi t’invochiamo! Ramfis e Sacerdoti Nume, che del tuo spirito sei figlio e genitor, noi t’invochiam!

Ramfis e Sacerdoti Vita dell’universo, mito d’eterno amor, noi t’invochiam!

Ramfis e Sacerdoti Noi t’invochiam! Sacerdotessa Immenso Fthà!

Sacerdotessa (nell’interno) Possente Fthà, del mondo spirito animator, ah! Col coro delle sacerdotesse Noi t’invochiamo!

Col coro delle sacerdotesse Noi t’invochiamo!

Ramfis e Sacerdoti Noi t’invochiam! (nell’interno)

[danza delle sacerdotesse] (Radamès viene introdotto senz’armi. Mentre va all’altare, le Sacerdotesse eseguiscono la danza sacra. Sul capo di Radamès viene steso un velo d’argento)

Ramfis Mortal, diletto ai numi, a te fidate son d’Egitto le sorti. Il sacro brando dal dio temprato, per tua man diventi ai nemici terror, folgore, morte. Sacerdotessa Immenso Fthà! Ramfis e Sacerdoti Noi t’invochiam!


Aida

160 Ramfis (a Radamès) Mortal, diletto ai Numi, a te fidate son d’Egitto le sorti. Il sacro brando dal Dio temprato, per tua man diventi ai nemici terror, folgore, morte. Sacerdoti Il sacro brando dal Dio temperato, ecc. Ramfis ...folgore, morte,

(volgendosi al Nume)

Nume, custode e vindice di questa sacra terra, la mano tua distendi sovra l’egizio suol. Radamès Nume, che duce ed arbitro sei d’ogni umana guerra, proteggi tu, difendi d’Egitto il sacro suol. Sacerdoti Nume, custode e vindice. Di questa sacra terra, ecc. Ramfis Nume, custode ed arbitro di questa sacra terra, ecc. Radamès Proteggi tu, difendi d’Egitto il sacro suol. (Mentre Radamès viene investito delle armi sacre, le Sacerdotesse ed i Sacerdoti riprendono l’Inno e la mistica danza)

Sacerdotesse Possente Fthà, del mondo creator, ah! Possente Fthà,

spirito animator, spirito fecondator, immenso Fthà! Radamès Possente Fthà, spirito fecondator, tu che dal nulla hai tratto il mondo, noi t’invochiamo, noi t’invochiam, immenso Fthà! Ramfis Possente Fthà, spirito fecondator, tu che dal nulla hai tratto il mondo, tu che dal nulla hai tratto l’onde, la terra, il cielo, noi t’invochiamo, noi t’invochiam. Immenso Fthà! Sacerdoti Possente Fthà, spirito fecondator, tu che dal nulla hai tratto l’onde, la terra, il cielo, noi t’invochiamo, noi t’invochiam. Immenso Fthà!


161

Atto secondo

Scena I Una sala nell’appartamento di Amneris. Amneris circondata dalle schiave che l’abbigliano per la festa trionfale. Dai tripodi si eleva il profumo degli aromi. Giovani schiavi mori danzando agitano i ventagli di piume. Amneris circondata dalle schiave che l’abbigliano per la festa trionfale.

Schiave Chi mai fra gl’inni e i plausi erge alla gloria il vol, al par d’un dio terribile, fulgente al par del sol, vieni: sul crin ti piovano contesti ai lauri i fior; suonin di gloria i cantici coi cantici d’amor. Amneris (Ah! Vieni, amor mio, m’inebria... fammi beato il cor!) Schiave Or dove son le barbare orde dello stranier? Siccome nebbia sparvero al soffio del guerrier. Vieni: di gloria il premio raccogli, o vincitor; t’arrise la vittoria, t’arriderà l’amor. Amneris (Ah! Vieni, amor mio, ravvivami d’un caro accento ancor!) [Danza di piccoli schiavi mori]

Schiave Vieni: sul crin ti piovano contesti ai lauri i fior; suonin di gloria i cantici coi cantici d’amor Amneris (Ah! Vieni, amor mio, m’inebria, fammi beato il cor!) Silenzio! Aida verso noi s’avanza... figlia de’ vinti, il suo dolor m’è sacro. (Ad un cenno di Amneris, le schiave si allontanano. Entra Aida portando la corona)

Amneris Nel rivederla, il dubbio atroce in me si desta... il mistero fatal si squarci alfine! (ad Aida, con simulata amorevolezza)

Fu la sorte dell’armi a’ tuoi funesta, povera Aida! Il lutto che ti pesa sul cor teco divido. Io son l’amica tua... tutto da me tu avrai, vivrai felice! Aida Felice esser poss’io lungi dal suol natio...qui dove ignota m’è la sorte del padre e dei fratelli? Amneris Ben ti compiango! Pure hanno un confine mali di quaggiù… sanerà il tempo le angosce del tuo core, e più che il tempo, un Dio possente... amore! Aida (Amore, amore! Gaudio, tormento, soave ebbrezza, ansia crude! Ne’ tuoi dolori la vita io sento, un tuo sorriso mi schiude il ciel)


Aida

162 Amneris

(guardando Aida fissamente)

(Ah! Quel pallore, quel turbamento svelan l’arcana febbre d’amor! D’interrogarla quasi ho sgomento, divido l’ansie del suo terror). (ad Aida)

Ebben: qual nuovo fremito t’assal, gentil Aida? I tuoi segreti svelami, all’amor mio t’affida. Tra i forti che pugnarono della tua patria a danno, qualcuno… un dolce affanno forse… a te in cor destò? Aida Che parli? Amneris A tutti barbara non si mostrò la sorte, se in campo il duce impavido Cadde trafitto a morte... Aida Che mai dicesti! Ah, misera! Amneris Sì… Radamès da’ tuoi fu spento. Aida Misera! Amneris E pianger puoi? Aida Per sempre io piangerò! Amneris Gli Dei t’han vendicata!

Aida Avversi sempre a me furon i Numi. Amneris Ah, trema! In cor ti lessi!... Tu l’ami... Aida Io! Amneris Non mentire! Un detto ancora: il vero saprò. Fissami in volto… io t’ingannava...Radamès vive! Aida Vive! Ah, grazie, o Numi! Amneris E ancor mentir tu speri? Sì, tu l’ami! Ma l’amo anch’io, intendi tu? Son tua rivale, figlia dei Faraoni! Aida Mia rivale! Ebben, sia pure, Anch’io son tal… (reprimendosi)

Ah! Che dissi mai? Pietà, perdono! Ah! Pietà ti prenda del mio dolor. È vero, io l’amo d’immenso amor. Tu sei felice, tu sei possente, Io vivo solo per questo amor! Amneris Trema, vil schiava! Spezza il tuo core; segnar tua morte può questo amore; del tuo destino arbitra io sono, d’odio e vendetta le furie ho in cor.


Atto secondo Aida Tu sei felice, tu sei possente. Io vivo solo per questo amor! Pietà ti prenda del mio dolor! Amneris Trema, vil schiava! Spezza il tuo core. Del tuo destino arbitra son. D’odio e vendetta le furie ho in cor. Coro (di fuori) Su! Del Nilo al sacro lido sien barriera i nostri petti; non echeggi che un sol grido: guerra e morte allo stranier! Amneris Alla pompa che s’appresta, meco, o schiava, assisterai; tu prostrata nella polvere, io sul trono accanto al Re. Aida Ah! pietà! Che più mi resta? Un deserto è la mia vita; vivi e regna, il tuo furore io tra breve placherò. Quest’amore che t’irrita nella tomba spegnerò. Amneris Vien... mi segui... e apprenderai se lottar tu puoi con me. Aida Ah! Pietà! Quest’amor nella tomba io spegnerò. Pietà! Pietà! Coro Guerra e morte allo stranier!

163 Amneris … E apprenderai se lottar tu puoi con me. Coro Guerra e morte allo stranier! (Amenris esce)

Aida Numi, pietà del mio martir, speme non v’ha pel mio dolor! Numi, pietà del mio soffrir! Numi, pietà, pietà, pietà! Scena II Uno degli ingressi della città di Tebe. Sul davanti, un gruppo di palme. A destra, il tempio di Ammone. A sinistra, un trono sormontato da un baldacchino di porpora. Nel fondo, una porta trionfale. La scena è ingombra di popolo. Entra il Re, seguito dai Ministri, Sacerdoti, Capitani, Flabelliferi, Porta insegne ecc. Quindi Amneris con Aida e Schiave. Il Re va a sedere sul trono. Amneris prende posto alla sinistra del Re.

Popolo Gloria all’Egitto, ad Iside che il sacro suol protegge! Al Re che il Delta regge inni festosi alziam! Gloria! Gloria! Gloria! Gloria al Re! Donne S’intrecci il loto al lauro sul crin dei vincitori; nembo gentil di fiori stenda sull’armi un vel. Danziam, fanciulle egizie, le mistiche carole, come d’intorno al sole danzano gli astri in ciel! Ramfis e Sacerdoti Della vittoria agl’ arbitri supremi il guardo ergete; grazie agli dei rendete nel fortunato dì.


Aida

164 Popolo Come d’intorno al sole, danzano gli astri in ciel! Inni festosi alziam al Re, alziamo al Re.

Radamès Concedi in pria che innanzi a te sian tratti i prigionier.

Ramfis e Sacerdoti Grazie agli Dei rendete nel fortunato dì.

Ramfis e Sacerdoti Grazie agli Dei rendete nel fortunato dì.

[Marcia trionfale]

Aida Che veggo!… Egli?… Mio padre!

(Le truppe Egizie, precedute dalle fanfare, sfilano dinanzi al Re. Seguono i carri di guerra le insegne, i vasi sacri, le statue degli Dei)

[Ballabile] (Un drappello di danzatrici che recano i tesori dei vinti)

Popolo Vieni, o guerriero vindice, vieni a gioir con noi; sul passo degli eroi i lauri, i fior versiam! Gloria al guerrier, gloria! Gloria all’Egitto, gloria! Ramfis e Sacerdoti Agli arbitri supremi, il guardo ergete; grazie agli Dei rendete nel fortunato dì. (Entra Radamès, sotto un baldacchino da dodici ufficiali)

Il Re (che scende dal trono per abbracciare Radamès) Salvator della patria, io ti saluto. Vieni, e mia figlia di sua man ti porga il serto trionfale. (Radamès s’inchina davanti ad Amneris che gli porge la corona)

Ora, a me chiedi quanto più brami. Nulla a te negato sarà in tal dì; lo giuro per la corona mia, pei sacri Numi.

(Entrano, fra le Guardie, i prigionieri Etiopici, ultimo Amonasro, vestito da ufficiale)

Tutti Suo padre! Amneris In poter nostro! Aida (abbracciando il padre) Tu! Prigionier! Amonasro (piano ad Aida) Non mi tradir! Il Re (ad Amonasro) T’appressa… dunque tu sei?… Amonasro Suo padre. Anch’io pugnai, vinti noi fummo, morte invan cercai. Quest’assisa ch’io vesto vi dica che il mio Re, la mia patria ho difeso: fu la sorte a nostr’armi nemica. Tornò vano de’ forti l’ardir. Al mio pie’ nella polve disteso giacque il Re da più colpi trafitto; se l’amor della patria è delitto siam rei tutti, siam pronti a morir! (volgendosi al Re, con accento supplichevole)

Ma tu, Re, tu signore possente, a costoro ti volgi clemente;


Atto secondo

165

oggi noi siam percossi dal fato, doman voi potria il fato colpir.

Amonasro Ah! Doman voi potria il fato colpir.

Aida Ma tu, Re, tu signore possente, a costoro ti volgi clemente, ecc.

Ramfis e Sacerdoti Struggi, o Re, queste ciurme feroci, chiudi il core alle per de voci; fur dai Numi votati alla morte, or de’ Numi si compia il voler! Aida, schiave, prigionieri pietà!

Prigionieri e Schiave Sì, dai Numi percossi noi siamo, tua pietà, tua clemenza imploriamo; ah! Giammai di soffrirvi sia dato ciò che in oggi n’è dato soffrir! Amonasro Ah! Doman voi potria il fato colpir. Ramfis e Sacerdoti Struggi, o Re, queste ciurme feroci, chiudi il core alle perfide voci. Fur dai Numi votati alla morte, or de’ Numi si compia il voler! Aida, schiave, prigionieri pietà! Aida, Schiave e Prigionieri Pietà! Pietà! Pietà! Aida Ma tu, o Re, signor possente, a costoro ti volgi clemente; oggi noi siam percossi dal fato, ma doman voi potria il fato colpir.

Aida Ma tu, o Re, signor possente, a costoro ti mostra clemente. Amneris (Quali sguardi sovr’essa ha rivolti! Di qual fiamma balenano i volti!) Il Re Or che fausti ne arridon gli eventi a costoro mostriamoci clementi; schiave, prigionieri tua pietade, tua clemenza imploriamo, Ah, pietà! Pietà! Popolo Sacerdoti, gli sdegni placate, l’umil prece ascoltate. Ramfis e Sacerdoti A morte! A morte! A morte! O Re, struggi queste ciurme.

Aida Ma tu, Re, tu signore possente, a costoro ti volgi clemente, ecc.

Amonasro Oggi noi siam percossi dal fato, voi doman potria il fato colpir.

Schiave e Prigionieri Sì, dai Numi percossi noi siamo, tua pietà, tua clemenza imploriamo; ah! Giammai di soffrir vi sia dato Ciò che in oggi n’è dato soffrir!

Radamès (fissando Aida) (Il dolor che in quel volto favella al mio sguardo la rende più bella; ogni stilla del pianto adorato nel mio petto ravviva l’amor).


Aida

166 Amneris (Quali sguardi sovr’essa ha rivolti! Di qual amma balenano i volti! Ed io sola, avvilita, reietta? La vendetta mi rugge nel cor).

Il Re La pietà sale ai Numi gradita, ecc.

Amonasro Tua pietà, tua clemenze imploriamo, ecc.

Ramfis e Sacerdoti Struggi, o Re, queste ciurme feroci, ecc.

Il Re Or che fausti ne arridon gli eventi a costoro mostriamci clementi; la pietà sale ai Numi gradita e rafferma de’ prenci il poter.

Popolo E tu, o Re possente, tu forte, a clemenza dischiudi il pensier.

Aida Tua pietà imploro... oggi noi siam percossi, doman voi potria il fato colpir. Schiave e Prigionieri Pietà, pietà, ah pietà! Tua clemenza imploriam. Tua pietade, tua clemenza invochiamo. Popolo Sacerdoti, gli sdegni placate. L’umil prece de’ vinti ascoltate; pietà! Ramfis e Sacerdoti Si compisca dei Numi il voler! Struggi, o Re, queste ciurme feroci. Fur dai Numi votati alla morte, si compisca de’ Numi il voler! Aida Ma tu, o Re, tu signore possente, ecc. Radamès (Il dolor la rende più bella, ecc.) Amonasro Ma tu, o Re, tu signore possente, ecc.

Schiave e Prigionieri Sì, dai Numi percossi noi siamo, ecc.

Amneris (Ed io sola, avvilita, ecc.) Radamès O Re, pei sacri Numi, per Io splendor della tua corona, compier giurasti il voto mio. Il Re Giurai. Radamès Ebbene: a te pei prigionieri etiopi vita domando e libertà. Amneris (Per tutti!) Sacerdoti Morte ai nemici della patria! Popolo Grazia per gli infelici! Ramfis Ascolta, o Re. Tu pure, giovin eroe, saggio consiglio ascolta: son nemici e prodi sono,


Atto secondo la vendetta hanno nel cor; fatti audaci dal perdono correranno all’armi ancor! Radamès Spento Amonasro, il re guerrier, non resta speranza ai vinti. Ramfis Almeno, arra di pace e securtà, fra noi resti col padre Aida. Il Re AI tuo consiglio io cedo. Di securtà, di pace un miglior pegno or io vo’ darvi. Radamès, la patria tutto a te deve. D’Amneris la mano premio ti sia. Sovra l’Egitto un giorno con essa regnerai... Amneris (Venga la schiava, venga a rapirmi l’amor mio... se l’osa!) Il Re e Popolo Gloria all’Egitto, ad Iside che il sacro suol difende; s’intrecci il loto al lauro sul crin del vincitor! Schiave e Prigionieri Gloria al clemente Egizio che i nostri ceppi ha sciolto, che ci ridona ai liberi solchi del patrio suol! ecc. Ramfis e Sacerdoti Inni leviamo ad Iside che il sacro suol difende; preghiamo che i fati arridano fausti alla patria ognor.

167 Aida (Qual speme ormai più restami? A lui la gloria e il trono... a me l’oblio... le lacrime di disperato amor) Radamès (D’avverso nume il folgore sul capo mio discende... ah no! D’Egitto il soglio non val d’Aida il cor) Amneris (Dall’inatteso giubilo inebriata io sono; tutti in un dì si compiono i sogni del mio cor) Ramfis Preghiam che i fati arridano fausti alla patria ognor. Il Re e Popolo Gloria ad Iside! Amonasro (Ad Aida) Fa cor, della tua patria i lievi eventi aspetta. Per noi della vendetta già prossimo è l’albor Popolo Gloria all’Egitto, ad Iside che il sacro suol difende; s’intrecci il loto al lauro sul crin del vincitor, ecc. Radamès Qual inatteso folgore sul capo mio discende, ecc. Amneris Tutte in un dì, ecc.


168 Amonasro Fà cor, ecc. Aida A me l’oblio, ecc. Ramfis e Sacerdoti Inni leviamo ad Iside, ecc. Schiave e Prigionieri Gloria al clemente Egizio che i nostri ceppi ha sciolto, che ci ridona ai liberi solchi del patrio suol! Radamès (D’avverso Nume il folgore sul capo mio discende... ah no! D’Egitto il soglio non val d’Aida il cor.) Amneris (Dall’inatteso giubilo inebbriata io sono; tutti in un dì si compiono i sogni del mio cor.) Amonasro Fa cor: della tua patria i lieti eventi aspetta; per noi della vendetta Popolo Gloria all’Egitto e ad Iside che il sacro suol difende! S’intrecci il loto al lauro sul crin del vincitor!

Aida




171

Atto terzo

Le rive del Nilo. Rocce di granito fra cui crescono palmizi. Sul vertice delle rocce il tempio d’Iside per metà nascota tra le fronde. È notte stellata. Splendore di luna.

Sacerdotesse e Sacerdoti O tu che sei d’Osiride madre immortale e sposa, diva che i casti palpiti desti agli umani in cor, soccorri a noi pietosa. Madre d’immenso amor!

(nel tempio)

(Da una barca che approda alla riva discendono Amneris, Ramfis, alcune donne coperte da fitto velo e Guardie)

Ramfis (Ad Amneris) Vieni d’Iside al tempio: alla vigilia delle tue nozze, invoca della diva il favore. Iside legge dei mortali nel core; ogni mistero degli umani a lei è noto. Amneris Sì: io pregherò che Radamès mi doni tutto il suo cor, come il mio cor a lui sacro è per sempre.

Aida (Entra cautamente) Qui Radamès verrà! Che vorrà dirmi? Io tremo. Ah! Se tu vieni a recarmi, o crudel, l’ultimo addio, del Nilo i cupi vortici mi daran tomba, e pace forse, e oblio. O patria mia, mai più ti rivedrò! O cieli azzurri, o dolci aure native, dove sereno il mio mattin brillò, o verdi colli, o profumate rive, o patria mia, mai più ti rivedrò! ecc. O fresche valli, o queto asil beato, che un dì promesso dall’amor mi fu; or che d’amore il sogno è dileguato, o patria mia, non ti vedrò mai più! (Entra Amonasro)

Ciel! Mio padre! Amonasro A te grave cagion m’adduce, Aida. Nulla sfugge al mio sguardo. D’amor ti struggi per Radamès, ei t’ama, e lo attendi. Dei Faraon la figlia è tua rivale... razza infame, aborrita e a noi fatale! Aida E in suo potere io sto! Io, d’Amonasro figlia!

Ramfis Andiamo: pregherai fino all’alba; io sarò teco. (tutti entrano nel tempio)

Amonasro In poter di lei! No! Se lo brami la possente rival tu vincerai. E patria, e trono, e amor, tutto tu avrai. Rivedrai le foreste imbalsamate, le fresche valli, i nostri templi d’or.

Sacerdotesse, Sacerdoti Soccorri a noi pietosa, madre d’immenso amor.

Aida Rivedrò le foreste imbalsamate, le fresche valli, i nostri templi d’or.


Aida

172 Amonasro Sposa felice a lui che amasti tanto, tripudii immensi ivi potrai gioir. Aida Un giorno solo di sì dolce incanto, un’ora di tal gioia, e poi morir! Amonasro Pur rammenti che a noi l’Egizio immite, le case, i templi e l’are profanò, trasse in ceppi le vergini rapite; madri, vecchi, fanciulli ei trucidò. Aida Ah! Ben rammento quegl’infausti giorni! Rammento i lutti che il mio cor soffrì. Deh, fate, o Numi, che per noi ritorni l’alba invocata de’ sereni dì. Amonasro Rammenta... non fia che tardi. In armi ora si desta il popol nostro; tutto è pronto già, vittoria avrem. Solo a saper mi resta qual sentiero il nemico seguirà. Aida Chi scoprirlo potria? Chi mai? Amonasro Tu stessa! Aida Io! Amonasro Radamès so che qui attendi... ei t’ama... ei conduce gli Egizii... intendi? Aida Orrore! Che mi consigli tu? No! No! Giammai!

Amonasro (Con impeto selvaggio) Su, dunque! Sorgete, egizie coorti! Col fuoco struggete le nostre città. Spargete il terrore, le stragi, le morti. Al vostro furore più freno non v’ha. Aida Ah padre! Padre!… Amonasro Mia figlia ti chiami! Aida Pietà! Pietà! Pietà! Amonasro Flutti di sangue scorrono sulle città dei vinti. Vedi? Dai negri vortici si levano gli estinti. Ti additan essi e gridano: per te la patria muor! Aida Pietà! Pietà! Ah padre, pietà! Amonasro Una larva orribile fra l’ombre a noi s’affaccia. Trema! Le scarne braccia… Aida Ah! Amonasro Sul capo tuo levò… Aida Padre!


Atto terzo

173

Amonasro Tua madre ell’è…

Aida T’arresta, vanne, che speri ancor?

Aida Ah!

Radamès A te dappresso l’amor mi guida.

Amonasro … Ravvisala…

Aida Te i riti attendono d’un altro amor. D’Amneris sposo...

Aida No! Amonasro Ti maledice…

Radamès Che parli mai? Te sola, Aida, te deggio amar. Gli dei m’ascoltano, tu mia sarai.

Aida (nel massimo terrore) Ah no! Ah no! Padre, pietà! Pietà!

Aida D’uno spergiuro non ti macchiar! Prode t’amai, non t’amerei spergiuro.

Amonasro (respingendola) Non sei mia figlia! Dei Faraoni tu sei la schiava!

Radamès Dell’amor mio dubiti, Aida?

Aida Ah! Pietà! Pietà! Padre, a costoro schiava non sono… non maledirmi… non imprecarmi; ancor tua figlia potrai chiamarmi, della mia patria degna sarò. Amonasro Pensa che un popolo vinto, straziato, per te soltanto risorger può... Aida O patria! O patria... quanto mi costi! Amonasro Coraggio! Ei giunge, là tutto udrò. (Si nasconde tra i palmizi)

Radamès (entrando) Pur ti riveggo, mia dolce Aida...

Aida E come speri sottrarti d’Amneris ai vezzi, del Re al voler, del tuo popolo ai voti, dei sacerdoti all’ira? Radamès Odimi, Aida. Nel fiero anelito di nuova guerra il suolo etiope si ridestò; i tuoi già invadono la nostra terra, io degli Egizi duce sarò. Fra il suon, fra i plausi della vittoria, al Re mi prostro, gli svelo il cor; sarai tu il seno della mia gloria, vivrem beati d’eterno amore. Aida Né d’Amneris paventi II vindice furor? La sua vendetta, come folgor tremenda, cadrà su me, sul padre mio, su tutti.


Aida

174 Radamès Io vi difendo.

Il ciel dei nostri amori Come scordar potrem?

Aida Invan, tu nol potresti. Pur, se tu m’ami, ancor s’apre una via di scampo a noi…

Aida Sotto il mio ciel, più libero l’amor ne fia concesso; ivi nel tempio istesso gli stessi numi avrem, fuggiam, fuggiamo…

Radamès Quale? Aida Fuggir... Radamès Fuggire! Aida Fuggiam gli ardori inospiti di queste lande ignude; una novella patria al nostro amor si schiude. Là, tra foreste vergini, di fiori profumate, in estasi beate la terra scorderem. Radamès Sovra una terra estrania teco fuggir dovrei! Abbandonar la patria, l’are de’ nostri dei! Il suol dov’io raccolsi di gloria i primi allori, il ciel de’ nostri amori come scordar potrem? Aida Là… tra foreste vergini, ecc. Radamès Il ciel dei nostri amori, come scordar potrei?

Radamès Abbandonar la patria, l’are dei nostri Dei! Il ciel dei nostri amori come scordar potrem? Radamès Aida!

(esitante)

Aida Tu non m’ami... Va! Radamès Non t’amo? Aida Va! Radamès Mortal giammai né dio arse d’amor al par del mio possente. Aida Va… va… t’attende all’ara Amneris… Radamès No! Giammai! Aida Giammai, dicesti? Allor piombi la scure su me, sul padre mio...


Atto terzo Radamès Ah no! fuggiamo! Sì, fuggiam da queste mura, al deserto insiem fuggiamo; qui sol regna la sventura, là si schiude un ciel d’amor. I deserti interminati a noi talamo saranno, su noi gli astri brilleranno di più limpido fulgor. Aida Nella terra avventurata de’ miei padri il ciel ne attende: ivi l’aura è imbalsamata, ivi il suolo è aromi e fior. Fresche valli e verdi prati a noi talamo saranno, su noi gli astri brilleranno di più limpido fulgor. Aida e Radamès Vieni meco, insiem fuggiamo questa terra di dolor. Vieni meco, t’amo, t’amo! A noi duce fa l’amor. (Si allontanano rapidamente)

Aida (Arrestandosi all’improvviso) Ma, dimmi: per qual via eviterem le schiere degli armati? Radamès Il sentier scelto dai nostri a piombar sul nemico fia deserto fino a domani. Aida E quel sentier? Radamès Le gole di Nàpata…

175 (Si fa avanti Amonasro)

Amonasro Di Nàpata le gole! Ivi saranno i miei! Radamès Oh! Chi ci ascolta? Amonasro D’Aida il padre e degli Etiopi il Re. Radamès Tu, Amonasro!… Tu!… Il Re? Numi! che dissi? No!... Non è ver!... Sogno... delirio è questo... Aida Ah no! Ti calma... ascoltami, Amonasro A te l’amor d’Aida Aida All’amor mio t’affida. Amonasro Un soglio innalzerà! Radamès Io son disonorato! Per te tradii la patria! Aida Ti calma! Amonasro No: tu non sei colpevole, era voler del fato. Radamès Io son disonorato!


Aida

176 Aida Ah! No!

Radamès (ad Aida ed Amonasro) Presto! Fuggite!

Amonasro No!

Amonasro (trascinando Aida) Vieni, o figlia!

Radamès Per te tradii la patria!

Ramfis (alle Guardie) Li inseguite!

Amonasro No: tu non sei colpevole.

Radamès (a Ramfis) Sacerdote, io resto a te.

Aida Ti calma... Amonasro Vieni: oltre il Nil ne attendono i prodi a noi devoti; là del tuo core i voti coronerà l’amor. (Trascinando Radamès)

Vieni! Vieni! Vieni!

(Amneris, Ramfis, Sacerdoti e Guardie escono dal tempio)

Amneris Traditor! Aida La mia rival!... Amonasro (avventandosi su Amneris con un pugnale) L’opra mia a strugger vieni! Muori!… Radamès (frapponendosi) Arresta, insano!… Amonasro Oh rabbia! Ramfis Guardie, olà!


177

Atto quarto

Profferse il labbro incauto fatal segreto, è vero, ma puro il mio pensiero e l’onor mio restò. Amneris Salvati dunque e scolpati.

Scena I Sala nel palazzo del Re. Alla sinistra, una gran porta che mette alla sala sotterranea delle sentenze. Andito a destra che conduce alla prigione di Radamès.

Amneris (mestamente appoggiata davanti la porta del sotterraneo) L’aborrita rivale a me sfuggìa. Dai sacerdoti Radamès attende dei traditor la pena. Traditor egli non è. Pur rivelò di guerra l’alto segreto. Egli fuggir volea, con lei fuggire! Traditori tutti! A morte! A morte! Oh! Che mai parlo? Io l’amo, io l’amo sempre. Disperato, insano é quest’amor che la mia vita strugge. Oh! S’ei potesse amarmi! Vorrei salvarlo. E come? Si tenti! Guardie, Radamès qui venga. (Radamès è condotto dalle Guardie)

Già i sacerdoti adunansi, arbitri del tuo fato, pur dell’accusa orribile scolparti ancor t’è dato; ti scolpa e la tua grazia io pregherò dal trono, e nunzia di perdono, di vita a te sarò. Radamès Di mie discolpe i giudici mai non udran l’accento; dinanzi ai numi, agl’uomini né vi! Né reo mi sento.

Radamès No. Amneris Tu morrai. Radamès La vita Aborro! D’ogni gaudio la fonte inaridita, svanita ogni speranza, sol bramo di morir. Amneris Morire! Ah, tu dêi vivere! Sì, all’amor mio vivrai; per te le angosce orribili di morte io già provai; t’amai, soffersi tanto, vegliai le notti in pianto, e patria, e trono, e vita tutto darei per te. Radamès Per essa anch’io la patria e l’onor mio tradia... Amneris Di lei non più! Radamès L’infamia mi attende e vuoi ch’io viva? Misero appien mi festi,


Aida

178 Aida a me togliesti; spenta l’hai forse, e in dono offri la vita a me?

Amneris Ancor una volta: a lei rinuncia.

Amneris Io, di sua morte origine! No, vive Aida!

Radamès È vano.

Radamès Vive! Amneris Nei disperati aneliti dell’orde fuggitive sol cadde il padre. Radamès Ed ella? Amneris Sparve, né più novella S’ebbe... Radamès Gli Dei l’adducano salva alle patrie mura, e ignori la sventura di chi per lei morrà! Amneris Or, s’io ti salvo, giurami che più non la vedrai. Radamès Nol posso! Amneris A lei rinuncia per sempre, e tu vivrai! Radamès Nol posso!

Amneris Morir vuoi dunque, insano? Radamès Pronto a morir son già. Amneris Chi ti salva, sciagurato, dalla sorte che t’aspetta? In furor hai tu cangiato un amor ch’egual non ha. De’ miei pianti la vendetta ora dal ciel si compirà. Radamès È la morte un ben supremo se per lei morir m’è dato; nel subir l’estremo fato gaudii immensi il core avrà; l’ira umana più non temo, temo sol la tua pietà. Amneris Ah! Chi ti salva?... De’ miei pianti la vendetta or dal ciel si compirà. Amneris Ah! Chi ti salva? De’ miei pianti la vendetta or dal ciel si compirà. (Radamès parte circondato dalle Guardie)

Amneris (cade desolata su di un sedile) Ohimè! Morir mi sento!


Atto quarto Oh! Chi lo salva? E in poter di costoro io stessa lo gettai! Ora a te impreco, atroce gelosia, che la sua morte e il lutto eterno del mio cor segnasti! (Si volge e vede i Sacerdoti che attraversano la scena per entrare nel sotterraneo)

Ecco i fatali, gl’inesorati ministri di morte! Oh! Ch’io non vegga quelle bianche larve! (Si copre il volto colle mani!)

179 Tutti Traditor! Amneris Ah, pietà! Egli è innocente! Numi, pietà! Ramfis Radamès, Radamès, Radamès! Tu disertasti dal campo il dì che precedea la pugna. Discolpati!

E in poter di costoro io stessa lo gettai!

Sacerdoti Discolpati!

Ramfis e Sacerdoti (nel sotterraneo) Spirto del Nume, sovra noi discendi! Ne avviva al raggio dell’eterna luce; pel labbro nostro tua giustizia apprendi.

Ramfis Egli tace.

Amneris Numi, pietà del mio straziato core... egli è innocente, lo salvate, o Numi! Disperato, tremendo è il mio dolore!

(Radamès fra le Guardie attraversa la scena e scende nel sotteraneo. Amneris, al vederlo, mette un grido)

Ramfis e Sacerdoti Spirto del Nume, sovra noi discendi! Amneris Oh, chi lo salva? Ohimè! Mi sento morir! Ramfis Radamès, Radamès, Radamès! Tu rivelasti della patria i segreti allo straniero! Discolpati! Sacerdoti Discolpati! Ramfis Egli tace...

Ramfis e Sacerdoti Traditor! Amneris Ah, pietà! Ah, lo salvate! Numi, pietà! Ramfis Radamès, Radamès, Radamès! Tua fé violasti, alla Patria spergiuro, al Re, all’onore. Discolpati! Sacerdoti Discolpati! Ramfis Egli tace. Tutti Traditor! Amneris Ah, pietà! Ah, lo salvate! Numi, pietà! Ramfis e Sacerdoti Radamès, è deciso il tuo fato: degl’infami la morte tu avrai;


Aida

180 sotto l’ara del Nume sdegnato a te vivo fia schiuso l’avel.

voi punite chi colpe non ha. Ah no, non è traditor, pietà!

Amneris A lui vivo, la tomba! Oh! Gl’infami! Né di sangue son paghi giammai... e si chiaman ministri del ciel!

Ramfis e Sacerdoti Morrà! È traditor! Morrà!

Ramfis e Sacerdoti Traditor! Traditor! Traditor!

Amneris Empia razza! Anatema su voi! La vendetta del ciel scenderà! Anatema su voi!

Amneris (investendo i Sacerdoti che escono dal sotterraneo) Sacerdoti: compiste un delitto! Tigri infami di sangue assetate, voi la terra ed i Numi oltraggiate, voi punite chi colpa non ha. Ramfis È traditor! Sacerdoti È traditor!

(Si allontanano lentamente)

Traditor! Traditor! Traditor!

(Esce disperata) Scena II L’interno del tempio di Vulcano e la tomba di Radamès. La scena è divisa in due piani. Il piano superiore rappresenta l’interno del tempio splendente d’oro e di luce, il piano inferiore un sotterraneo. Lunghe le d’arcate si perdono nell’oscurità. Statue colossali d’Osiride colle mani incrociate sostengono i pilastri della volta. Radamès è nel sotterraneo sui gradini della scala, per cui è disceso. Al di sopra, due Sacerdoti intenti a chiudere la pietra del sotterraneo

Amneris (a Ramfis) Sacerdote: quest’uomo che uccidi, tu lo sai, da me un giorno fu amato, l’anatema d’un core straziato col suo sangue su te ricadrà!

Radamès La fatal pietra sovra me si chiuse. Ecco la tomba mia. Del dì la luce più non vedrò. Non rivedrò più Aida. Aida, ove sei tu? Possa tu almeno viver felice e la mia sorte orrenda sempre ignorar! - Qual gemito!... Una larva... una vision... no! Forma umana è questa... ciel!... Aida!

Ramfis È traditor!

Aida Son io.

Sacerdoti È traditor!

Radamès Tu, in questa tomba!

Ramfis e Sacerdoti Morrà!

Aida Presago il core della tua condanna, in questa tomba che per te s’apriva io penetrai furtiva e qui lontana da ogni umano sguardo

Ramfis e Sacerdoti Morrà!

Amneris Voi la terra ed i Numi oltraggiate,


Atto quarto

181

nelle tue braccia desiai morire. Radamès Morir! Sì pura e bella! Morir per me d’amore... degli anni tuoi nel fiore fuggir la vita! T’avea il cielo per l’amor creata, ed io t’uccido per averti amata! No, non morrai! Troppo t’amai! Troppo sei bella! Aida (vaneggiando) Vedi?… Di morte l’angelo radiante a noi s’appressa; ne adduce a eterni gaudii sovra i suoi vanni d’or. Già veggo il ciel dischiudersi, ivi ogni affanno cessa, ivi comincia l’estasi d’un immortale amor. Sacerdoti e Sacerdotesse Immenso Fthà, del mondo spirito animator, ah!

(al di sopra, nel tempio)

Aida Triste canto! Radamès Il tripudio dei sacerdoti. Aida Il nostro inno di morte.

Aida Invan!… Tutto è finito sulla terra per noi. Radamès È vero! È vero!

(Si avvicina ad Aida e la sorregge)

Aida e Radamès O terra, addio; addio, valle di pianti... sogno di gaudio che in dolor svanì. A noi si schiude il ciel e l’alme erranti volano al raggio dell’eterno dì. Sacerdoti e Sacerdotesse Immenso Fthà, noi t’invochiam! Aida e Radamès Ah! Si schiude il ciel. O terra, addio; addio, valli di pianti… Amneris

(in abito di lutto appare nel tempio e va a prostrarsi sulla pietra che chiude il sotterraneo)

Pace t’imploro! Aida e Radamès Sogno di gaudio che in dolor svanì. Amneris … Salma adorata; Aida e Radamès A noi si schiude il ciel... Amneris Isi placata...

Radamès (cercando di smuovere la pietra del sotterraneo) Né le mie forti braccia smuoverti potranno, o fatal pietra!

Aida e Radamès ... Si schiude il ciel e l’alme erranti...

Sacerdoti e Sacerdotesse Ah! Noi t’invochiamo, t’invochiam.

Amneris Isi placata ti schiuda il ciel!


182 Aida e Radamès Volano al raggio dell’eterno dì. Sacerdoti, sacerdotesse: noi t’invochiam... Aida e Radamès … il ciel… Sacerdoti e Sacerdotesse … immenso Fthà! Aida e Radamès … si chiude il ciel!

(Aida cade e muore nelle braccia di Radamès)

Amneris Pace t’imploro. … Pace, pace… … pace!

Aida





Foto di Valentina Cenni


SFERISTERIO 23 luglio - ore 21.00

Stefano Bollani Piano solo «Bollani orientale»

Musica come enorme gioco da re-inventare in continuazione, da solo o con i compari più diversi. Bollani sale sul palco per imparare ogni sera qualcosa e «perché è più conveniente che pagare uno psicanalista». Cerca stimoli ovunque, in tutta la musica del passato ma soprattutto esplora il presente, l’attimo, improvvisando a fianco di grandi artisti come il suo nobile mentore Enrico Rava, Richard Galliano, Bill Frisell, Paul Motian, Chick Corea, Hamilton de Holanda. Con lo stesso animo si insinua all’interno di orchestre sinfoniche come la Gewandhaus di Leipzig, la Scala di Milano e l’Orchestre National de Paris facendosi prendere per mano da direttori coraggiosi e entusiasti come Riccardo Chailly, Krjstian Jarvi, Daniel Harding. Insieme al bassista Jesper Bodilsen e al batterista Morten Lund, da 12 anni, cerca il modo di far vivere al pubblico lo stesso divertimento che provano loro ogni qual volta le voci dei loro strumenti si uniscono. Celebra la forma-canzone fianco a fianco con Caetano Veloso e Hector Zazou ma anche insieme a noti conterranei quali Irene Grandi, Fabio Concato, Elio e le storie tese. Quando non suona, scrive libri o inventa spettacoli teatrali come Primo Piano, con la Banda Osiris o La regina dada, scritto e interpretato insieme a Valentina Cenni, che oltre a essere una meravigliosa attrice è la donna che vive al suo fianco. In radio, complice quel geniaccio di David Riondino, ha dato vita al Dottor Djembè, onnisciente musicologo che ha sparso semi di ironia e sarcasmo per svariati anni dai microfoni di RAI Radio3. In tv, dopo l’esperienza alla corte di Renzo Arbore, si è lanciato per Rai3 in jam-session di parola e musica in due stagioni del suo Sostiene Bollani. Tutto sempre per comunicare gioia, Joy in spite of everything, come recita il titolo di un suo recente lavoro per ECM, prendendo in prestito una frase del grande Tom Robbins.



PIEVE TORINA 10 agosto

Lo Sferisterio per i Sibillini Dal tramonto a mezzanotte: maratona in musica e parole sotto le stelle di San Lorenzo Parco Rodari - Pieve Torina (MC) in coproduzione con Fondazione Orchestra Regionale delle Marche In occasione del concerto, lo chef Errico Recanati del ristorante Andreina di Loreto, preparerà un aperitivo stellato con i prodotti di Coraggio Marche, l’associazione che unisce le micro eccellenze gastronomiche colpite dal terremoto. Coraggio Marche nel percorso #TerreResilienti de L’Arca senza Noè


DATA

ORA E LUOGO

EVENTO

domenica 2 luglio

ore 21.30 Teatro Helvia Recina

Fiori d’Oriente

venerdì 7 luglio

ore 18 Magazzini UTO

Tucci l’esploratore dell’Anima

lunedì 17 luglio

ore 21 Sferisterio

TURANDOT

martedì 18 luglio

ore 21 Sferisterio

MADAMA BUTTERFLY

mercoledì 19 luglio

ore 18 Biblioteca Mozzi Borgetti

giovedì 20 luglio

ore 12 Antichi Forni ore 18 Antichi Forni

Recina Live

DATA

ore 12 Antichi Forni ore 17 Parco di Villa Cozza

giovedì 27 luglio

ore 21 Sferisterio

venerdì 28 luglio

ore 12 Antichi Forni

Moglie e buoi dei paesi tuoi

ore 17 Parco di Villa Cozza

Fiori musicali

ore 18.45 Sferisterio

Percorsi tattili

Inaugurazione mostra

Anteprima giovani Anteprima giovani

Inaugurazione mostra

Le genti sono cortesi e affabili Aperitivi culturali

Musica e Gesuiti fra due secoli e tre continenti Conferenza

L’opera fra Oriente e Occidente

AIDA

Anteprima giovani Aperitivi culturali

Aperitivi culturali

Orientalismo fiabesco e italico melodramma Fiori musicali

serata con audio-descrizioni

sabato 29 luglio

ore 12 Antichi Forni

Il Tao di Puccini

ore 17 Parco di Villa Cozza

Fiori musicali

ore 17.30 Azienda agricola Moroder

Opera&Song

ore 18.45 Sferisterio

sabato 22 luglio

EVENTO

ore 21 Teatro Lauro Rossi

ore 21 Teatro Lauro Rossi

venerdì 21 luglio

ORA E LUOGO

mercoledì 26 luglio

ore 12 Antichi Forni

Kimono e Tailleur

ore 17 Parco di Villa Cozza

Fiori musicali

Aperitivi culturali

Concerti in cantina

Percorsi tattili

Aperitivi culturali

serata con audio-descrizioni

domenica 30 luglio

domenica 23 luglio

lunedì 24 luglio martedì 25 luglio

ore 21 Palazzo Buonaccorsi

ore 12 Antichi Forni

Aperitivi culturali

Principesse rivali tra cieli azzurri e pietre fatali

ore 17 Parco di Villa Cozza

Fiori musicali

ore 17.30 Country House Salomone

Ornitophonica

ore 18.45 Sferisterio

Percorsi tattili

Concerti in cantina

Da Oriente a Occidente: viaggio tra mente, corpo e spirito

Igor Sibaldi

ore 18 Palazzo Buonaccorsi

Laboratori per bambini

ore 21 Palazzo Buonaccorsi

Suoni e parole verso Oriente

Senza guida

serata con audio-descrizioni

lunedì 31 luglio martedì 1 agosto

ore 21 Palazzo Buonaccorsi

Da Oriente a Occidente: viaggio tra mente, corpo e spirito

Filippo Ongaro

ore 18 Palazzo Buonaccorsi

Laboratori per bambini

ore 21 Palazzo Buonaccorsi

Profumi d’Oriente e L’atlante di Kublai Kan

Suoni e parole verso Oriente


DATA

mercoledì 2 agosto

ORA E LUOGO

EVENTO

ore 21 Teatro Lauro Rossi

giovedì 3 agosto

venerdì 4 agosto

sabato 5 agosto

domenica 6 agosto

lunedì 7 agosto martedì 8 agosto

Aperitivi culturali

DATA

ORA E LUOGO

EVENTO

mercoledì 9 agosto

ore 21 Teatro Lauro Rossi

giovedì 10 agosto

Parco Rodari Pieve Torina (MC)

venerdì 11 agosto

ore 12 Antichi Forni

La morte rituale dell’eroe

ore 17 Parco di Villa Cozza

Fiori musicali

ore 12 Antichi Forni

Pirandellianamente Butterfly

Aperitivi culturali

ore 12 Antichi Forni

Sciogliere o sopportare l’enigma?

ore 17 Parco di Villa Cozza

Fiori musicali

ore 12 Antichi Forni

La grande A

ore 17 Parco di Villa Cozza

Fiori musicali

ore 17 Parco di Villa Cozza

Fiori musicali

ore 17.30 Azienda Agricola Bisci

Concerti in cantina

ore 17.30 Cantina La Muròla

Pazze all’Opera

ore 12 Antichi Forni

Occidentali’s Karma

ore 17 Parco di Villa Cozza

Fiori musicali

ore 17.30 Villa Forano

Note d’Oriente

Aperitivi culturali

Mille e una Callas

Aperitivi culturali

ore 12 Antichi Forni

Il mito dell’Oriente nell’Occidente al tramonto

ore 17 Parco di Villa Cozza

Fiori musicali

ore 17.30 Fattoria Le Terrazze

The quintet

ore 21 Palazzo Buonaccorsi

sabato 12 agosto

domenica 13 agosto

Concerti in cantina

Da Oriente a Occidente: viaggio tra mente, corpo e spirito

Giulio Cesare Giacobbe

ore 18 Palazzo Buonaccorsi

Laboratori per bambini

ore 21 Palazzo Buonaccorsi

OrientAbbas

Suoni e parole verso Oriente

lunedì 14 agosto

Aperitivi culturali

Concerti in cantina

Aperitivi culturali

Concerti in cantina


Direttore di palcoscenico, Direttori di scena, Maestri di palcoscenico, Maestri alle luci


Maestro del Coro e Direttore musicale di palcoscenico


Orchestra


Maestri di sala


Amministrazione e segreteria generale


Fonici

Attrezzisti


Macchinisti e aiutotecnici


Sartoria

Trucco e acconciature


Comunicazione

Audio descrizioni e sopratitoli

Biglietteria


Fotografo di scena


Area amministrazione Ufficio amministrativo Maria Sara Rastelli Ufficio contabilitĂ e controllo Rosa Silvestri Ufficio del personale Roberta Spernanzoni

Area segreteria generale Ufficio segreteria Paola Pierucci Ufficio promozione Mauro Perugini Stagista Marco Luchetti

Area produzione Coordinatore di produzione Mauro De Santis Ufficio produzione Riccardo Benfatto Moira Mameli collaboratrice

Area artistica Segretario artistico Gianfranco Stortoni


Area comunicazione Marketing, Comunicazione e Fund Raising Esserci Comunicazione Andrea Compagnucci responsabile Carlo Scheggia editoria e comunicazione istituzionale Veronica Antinucci promozione Domenico Dialetto relazioni con gli sponsor Sara D’Angelo progetti per l’infanzia Alia Simoncini videomaker Luna Simoncini fotografie backstage Alessandra Desideri, Giulio Giambattista, Giulia Gianfelici, Luca Giustozzi, Sara Macedoni, Francesca Marchetti, Manuela Moreschini, Marco Piancatelli, Mirko Procaccini, Claudio Ricci, Elisabetta Rossi, Maurizio Verducci collaboratori Ufficio Stampa Skill&Music Floriana Tessitore responsabile Walter Vitale collaboratore Pubbliche relazioni Angela Tassi Illustrazioni e grafica Francesca Ballarini Servizi di biglietteria Valentina Angelini, Francesco Bellezze, Helen Zazzini collaboratori Rachele Beni incaricato commerciale


Resp. allestimento e servizi di palcoscenico Enrico Sampaolesi Ufficio tecnico allestimenti Francesco Lozzi Consulente Logistica e magazzini Giorgio Alici Biondi Scenografo Realizzatore Serafino Botticelli Macchinisti Secondo Caterbetti capo macchinista Federico Montemarani resp. Teatro Lauro Rossi Angelo Boccadifuoco Leandro Bruno Francesco Cervigni Sandro De Leva Franco Dipré Marco Gagliardini Stefano Ortolano Mario Rossetti Alfredo Rossi Federico Rossi Gennaro Santo Jerry Sciapeconi Gruista Roberto Filippini Aiutotecnici Mauricio Cesar Pasquali capo squadra Giuseppe Cesca Filippo Gallo Andrea Paolo Gentilini Christos Kagias Ruben Leporoni Marco Maggi Mauro Pettinari Stefano Prosperi Sauro Tartari Daniele Caruso aiuto orchestra Stefano Marchetti aiuto orchestra Marco Del Gobbo aiuto fonica e video Attrezzisti Emanuela Di Piro capo attrezzista Federica Bianchini Luigi Candice Andrea Conti Andrea Moriani Daniele Pettorossi Flavio Pezzotti Alessandro Prosperi Elettricisti Fabrizio Gobbi capo elettricista

Ludovico Gobbi consolle Marco Scattolini consolle Roberto Butani Claudio Bellagamba Stefano Callimaci Lorenzo Caproli Federico Caterbetti Gustavo Federici Marco Gentili Laura Piccioni Roberto Valentini Roberto Vignola Olmo Callimaci aiuto elettricista Sartoria Simonetta Palmucci resp. sartoria Maria Antonietta Lucarelli resp. vestizione Elisabetta Seu assistente resp. sartoria Roberta Fratini tagliatrice Giulia Ciccarelli Maria Dignani Silvia Luchetti Daniela Patacchini Gemma Tasso Elisa Ciammella aiuto sarta Lorenzo Gismondi aiuto sarto Eulalia Zocchi aiuto sarta Maria Melchiorri stage Trucco Raffaella Cipolato supervisore Sara Croci responsabile Mara Del Grosso Ambra Bellotti Cristina Pallotta Graziana Fasino aiuto truccatrice Beatrice Livi aiuto truccatrice Lucia Longhi aiuto truccatrice Andrea Montani aiuto truccatore Hisako Mori aiuto truccatrice Parrucchieria Serena Mercanti responsabile Gloria Melagrani vice responsabile Paola Pierini ass. responsabile Patrizia Castelletti Massimiliano Ciferri ass. responsabile Monica Marini Silvia Brandoni aiuto parrucchiera Anna Maria Cavalieri aiuto parrucchiera Mohammad Musazadeh aiuto parrucchiere Fonici Fabio Alfonsi Franco Alfonsi

Coordinatore del personale di sala Caterina Ortolani Medico Marco Sigona Servizio prevenzione e protezione Giorgio Meschini RSPP Giorgio Domizi ASPP Carlo Gualco medico competente Servizi accessibilità e sopratitoli Elena di Giovanni coordinatrice Daniele Gabrielli sopratitoli Francesca Raffi audio descriz. e percorsi tattili Chiara Pazzelli audio descrizioni Carla Lugli speaker audio descrizioni Rosanna Coviello (Montclair State University New Jersey) stage sopratitoli inglese Paolo Di Tosto (Unimc) stage sopratitoli italiano Giulia Fratini (Unimc) stage sopratitoli italiano Hanno collaborato al Macerata Opera Festival gli allievi dell’Accademia di Belle Arti di Macerata: Francesca Buia, Giada Campelli, Marjore Catozzi, Maddalena Ciminelli, Leonardo Destro, Francesca Di Mauro, Mattia Federici, Veronica Fichera, Alice Gentili, Martina Graziosi, Antonio Lelii, Davide Lupi, Maria Elena Mafrici, Tatiana Mazzola, Sofia Mochi, Lucrezia Mogetta, Elisa Moretti, Rebecca Quintavalle, Putrica Rossetti, Marica Scarponi, Maria Silenzi, Chiara Ulisse, Sara Zeverino Docenti tutor Francesca Cecarini, Giancarlo Colis Benito Leonori, Enrico Pulsoni Gioia Mancinelli assistente tutor Master Opera Academy Verona Max Segali, Yulia Shtern, Marjulaine Uscotti Servizio Volontario Europeo Beatriz Salvo Castro, Anna Czifra, Dora Peto, Noelia Martinez Sanchez, Aranzazu Melero Lopez, Bruna Oliveira, Sara Pedro, Maria Quintelas Fotografo di scena Alfredo Tabocchini Riccardo Tabocchini ass. fotografo di scena Massimo Zanconi ass. fotografo di scena


Orchestra Filarmonica Marchigiana Violini Primi Alessandro Cervo ** Giannaina Guazzaroni Alessandro Marra Lisa Maria Pescarelli Elisabetta Spadari Cristiano Pulin Paolo Strappa Jacopo Cacciamani Elia Torreggiani Laura Calamosca Elisabetta Matacena Roberta Di Rosa Elisa I Paolo Moscatelli Anna Laura Tortora Violini Secondi Simone Grizi * Laura Barcelli Baldassarre Cirinesi Simona Conti Matteo Di Iorio Gisberto Caldarelli Olena Larina Andrea Esposto Andrea Poli Monica Mengoni Ilaria Immacolata Metta Viole Greata Xioxi * Massimo Augelli Cristiano Del Priori Claudio Cavalletti Lorenzo Anibaldi Federica Isidori Matteo Torresetti Carlo Piergallini Andrea Pomeranz Violoncelli Alessandro Culiani * Antonio Coloccia Nicolino Chirivì Gabriele Bandirali Chiara Burattini

Elena Antongirolami Federica Regnini Giada Vettori Denis Burioli

Tromboni Eugenio Gasparrini * Tino D’Angelo Alberto Pedretti

Contrabbassi Luca Collazzoni * Andrea Dezi Michele Mantoni David Padella Pierpaolo Mastroleo Nicola Bassan

Tuba David Beato

Flauti Francesco Chiarivì * Stella Barbero Ottavino Saverio Salvemini Oboi Fabrizio Fava * Giovanni Pantalone Corno Inglese Marco Vignola Clarinetti Sergio Bosi * Danilo Dolciotti * Gianmarco Casani Clarinetto Basso Michele Carere Fagotti Riccardo Papa * Filippo Piagnani Controfagotto Giacomo Petrolati Corni Alessandro Fraticelli * Andrea Caretta Roberto Quattrini Giovanni Cacciaguerra Trombe Giuliano Gasparini * Manolito Rango Mario Biancucci

Arpe Margherita Scafidi * Monica Micheli Timpani Adriano Achei* Percussioni Alessandro Carlini Deny Mina Daniele Sabatini Giovanni Damiani Gianmaria Tombari Stefano Bartoloni Ispettore d’orchestra Michele Scipioni Direttore artistico Fabio Tiberi * prime parti ** spalla dei violini primi


Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini” Tenori Primi e Secondi Sante Alosi Enzo Boccanera Roberto Bruglia Giovanni Carità Guido Carmenati Franco Corinaldesi Christian Crescinbeni Andrea Cutrini Mauro Faragalli Andrea Ferranti Luigi Franciolini Giacomo Gandaglia Stefano Grassoni Nenad Konkar Alfonso Mendola Massimo Morosetti Luca Mancini David Mazzoni Marco Palazzesi Francesco Pesaresi Alberto Piastrellini Alessandro Pucci Andrea Reginella Carlo Velenosi Yaxin Zhao Baritoni - Bassi Alen Abdagic Serghey Barseghyan Augusto Cingolani Piersilvio De Santis Lucio Di Giovanni Franco Di Girolamo Xiaodan Ding Gianluca Ercoli Massimiliano Fiorani Rosario Garuso Gian Marco Gasparrini Giorgio Grazioli Pengyu Ji Massimiliano Mandozzi Gianni Paci Andrea Pistolesi Alessandro Rossi Roberto Scandura Alberto Signori Alfredo Stefanelli Elia Zampieri Hai Zhang

Soprani Chiara Ardito Gulnora Baydjanora Denise Biga Lucia Caggiano Valentina Chiari Raffaela Chiarolla Mirela Cisman Catia Cursini Angela De Pace Linda Ferrari Loreta Ferrini Agnese Gallenzi Silvia Giannetti Tsisana Giorgadze Doriana Giuliodoro Silvia Marcellini Alessandra Molinelli Cristina Neri Adriana Palmese Cinzia Pasquinelli Elisabetta Santarelli Mina Suzuki Fiammetta Tofoni Gloriela Villalobos Mezzosoprani Sara Baciocchi Fiorella Barchiesi Anna Maura Barigelli Tina Chikvinidze Asami Fujii Maria Elena Mariangeli Rossella Massarini Kita Natsuko Lucia Paffi Contralti Naira Agasarian Monica Astolfi Paola Incani Gloria Petrini Roberta Salvoni Rita Stocchi Tamara Uteul

Pueri Cantores “D. Zamberletti” Emma Alpini Ginevra Angelucci Helena Cakerri Joni Danid Cakerri Susanna Capriotti Elettra Castellani Alessandro Ceresani Elisa Ceresani Beatrice Cippitelli Pietro Cippitelli Sofia Cippitelli Gabriele Di Lecce Christian Fiorani Caterina Froccani Maria Bernadette Garbuglia Alessandro Giustozzi Dorotea Leonori Petra Leonori Cinevra Nicoletti Denis Nika Margherita Paolucci Martina Paolucci Anna Piermarteri Giacomo Piermarteri Azzurra Spinaci Veronica Valeri Binuka Yatigala Thisanyia Yatigala Thisumi Yatigala Maestro Gian Luca Paolucci


Complesso di palcoscenico Banda “Salvadei”

Viola Mauro Navarri

Maschere e sorveglianti

Ottavino Marta Montanari

Responsabile - Ispettore Marco Gasparrini

Trombe egizie Mario Biancucci Paolo Brunori Mattia Carosi Antonio Comanzo Matteo Giammaria Diego Maggi Francesco Palumbo Yuri Valenti

Elisabetta Aureli Federica Barcaglioni Edoardo Bartolini Beatrice Bellesi Gianluca Bocci Francesco Cardinali Chiara Cartuccia Francesco Cartuccia Veronica Chaiarini Matteo Compagnucci Giulia Cuini Valentina Di Mascio Daniela Domizi Stefano Fermanelli Conzuelo Fogante Ilaria Frenquelli Leonardo Gigli Valentina Gironella Elena Innocenzi Marta Innocenzi Leonardo Lupinelli Arianna Mariani Marta Marresi Davide Orsetti Martina Ortolani Simone Pettinari Cecilia Rossi Luca Salaris Andrea Scipione Lorenzo Scoppa Marta Senigagliesi Federica Severini Lorenzo Sigona Francesco Sopranzi Ludovica Spadoncelli Giulia Spina Paola Spina Alex Stizza Ilaria Tobaldi Martina Tobaldi

Tuba e Cimbasso Gabriele Contadini

Responsabile Caterina Ortolani

Clarinetti Sofia Casci Cristina Chmielewski Lorenzo Ciavattini Fabrizio Del Gobbo Simona Tisba Sax Contralti Letizia Illuminati Leonardo Porfiri Trombe Devid Buresta Paolo Brunori Fabrizio Fabrizi Marco Gasparrini Federico Perugini Rango Simone Yuri Valenti Tromboni Andrea Marconi Luca Morresi Niccolò Serpentini Corni Sabrina Barboni Riccardo Moglie Antonio Riccobelli

Percussioni Andrea Piermartire Arpa Monica Micheli


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Disegni, lettere e giravolte d’inchiostro

sono di Francesca Ballarini, visual artist e illustratrice: dal 2012 cura l’immagine del Macerata Opera Festival sotto la direzione artistica di Francesco Micheli, alla ricerca della forma e della sfumatura specchio d’ogni opera.

about.me/francescanina francescaballarini@yahoo.it

“Noi siamo gente avvezza alle piccole cose umili e silenziose, ad una tenerezza sfiorante e pur profonda come il ciel, come l’onda lieve e forte del mare”.


L’Associazione Arena Sferisterio ringrazia l’azienda Giovanni Fabiani srl per il fondamentale sostegno espresso attraverso Art Bonus.










One coffee, one person, one world

Melbourne, Montreal, Stockholm, Seoul






Un ringraziamento speciale ai Volontari della Croce Verde di Macerata per l’assistenza fornita durante la Stagione Lirica




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