Libro di Sala del Macerata Opera Festival 2015 "Nutrire l'anima"

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Macerata Opera Festival 51. Stagione Lirica 2015 Direttore artistico Francesco Micheli

Nutrire l’anima Giuseppe Verdi Rigoletto Pietro Mascagni Cavalleria rusticana Ruggero Leoncavallo Pagliacci Giacomo Puccini La Bohème


a cura di Esserci comunicazione soggetti Carlo Scheggia traduzioni Constance De La Mothe, Elena Di Giovanni, Franziska Kurth racconto fotografico delle prove Alfredo Tabocchini si ringraziano Veronica Antinucci, Riccardo Benfatto, Andrea Compagnucci, Mauro De Santis, Franziska Kurth, Luciano Messi, Paola Pierucci, Stefano Ruffini, Gianfranco Stortoni Tutti i diritti sono riservati ai rispettivi autori Impaginazione e Stampa Luglio 2015

Macerata


Presentazione

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Nutrire l’Anima di Vito Mancuso

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Rigoletto Il Duca di Mantova: un dongiovanni? di Umberto Curi Atto primo Atto secondo Atto terzo

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Cavalleria rusticana e Pagliacci Dalla tradizione al tradimento di Giancarlo Ricci Atto unico Prologo Atto primo Atto secondo

61 65 81 95 97 105

La Bohème La malattia flessibile. I giovani e il futuro negato di Diego Fusaro Quadro primo Quadro secondo Quadro terzo Quadro quarto

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In a time laps Nutrire l’Anima. Festa marchigiana da Sesto Bruscantini a Giacomo Leopardi Macerata Festival Off Amici dello Sferisterio

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Nutrire il pianeta, energia per la vita. Abbiamo preso molto sul serio il motto dell’Esposizione Universale che si svolge quest’anno a Milano e lo abbiamo fatto nostro: l’Arte, la Musica, il Teatro sono per lo spirito necessità primarie non meno del cibo per il corpo. Con Expo l’Italia diventa luogo d’appuntamento per tutto il pianeta, e il nostro Paese un palcoscenico immenso. Eppure ogni sera la nostra lingua e la nostra musica invadono i teatri, da Sydney a San Francisco, da Buenos Aires a Tokyo tramite il linguaggio che da sempre fa parlare italiano al mondo intero: l’Opera. Onore dunque al primo vero esperanto che ha fatto innamorare di noi tanti stranieri. Uno spirito italiano aleggia questa estate sul palcoscenico dello Sferisterio, a partire da capolavori composti da musicisti tutti nostrani; in tali opere il cibo è presente in forme diverse e molto significative: il simposio orgiastico di Rigoletto, la convivialità di Pagliacci, la Mensa eucaristica del Venerdì Santo in Cavalleria rusticana e l’inedia cronica dei bohèmiens. Sono classici immortali del grande repertorio operistico, capaci però al loro debutto di scombussolare le regole del gioco: da quel momento nulla poteva essere come prima. È un omaggio all’inesauribile capacità di rinnovarsi propria di un linguaggio come l’opera che, pur colmo di “canoni” e “convenienze”, non smette di essere contemporaneo. Sentiamo una naturale affinità allo spirito dell’Esposizione Universale perché, sin dalla nascita del Macerata Opera Festival, esercitiamo un’attenzione tutta speciale alla ricerca: è il Festival Off, luogo di sperimentazione in cui la grande lingua del melodramma viene fatta risuonare e vivere in luoghi non ortodossi, in compagnia dialettica con i più svariati mezzi di comunicazione, dai nuovi media all’antica arte della narrazione. Perché? Perché abbiamo ancora bisogno di lei, cara vecchia Opera, nel pieno di questo mondo globalizzato e in perenne accelerazione, per sapere chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Nel frattempo la Signora ama villeggiare d’estate a Macerata, quintessenza della dolce vita, incanto della terra marchigiana, meraviglia del Bel Paese, l’Italia. Francesco Micheli





TEATRO LAURO ROSSI 16 luglio - ore 21.00 Lectio Magistralis

Nutrire l’Anima Vito Mancuso

Il concetto di anima è stato coniato dalla mente per descrivere il fenomeno della vita, ovvero ciò che distingue gli enti “animati” dagli enti “inanimati”. Dire “anima” equivale quindi a dire “vita”, e nutrire l’anima equivale a nutrire la vita. La vita dell’essere umano però è una realtà composita: è corporea, psichica e spirituale. La vita umana fiorisce al meglio nell’armonia tra le sue diverse manifestazioni. Vito Mancuso


Francesco Lanzillotta


SFERISTERIO 17, 25, 31* luglio, 9 agosto - ore 21.00 Anteprima giovani 14 luglio - ore 21.00 Giuseppe Verdi

Rigoletto Libretto di Francesco Maria Piave Rappresentante CASA RICORDI, Milano

Vladimir Stoyanov Jessica Nuccio Celso Albelo Gianluca Buratto Nino Surguladze Leonora Sofia Mauro Corna Alessandro Battiato Giacomo Medici Rachele Raggiotti Ivan Defabiani Vladimir Mebonia Silvia Giannetti

Rigoletto Gilda Il Duca di Mantova Sparafucile Maddalena Giovanna Monterone Marullo Il Conte di Ceprano La Contessa di Ceprano Matteo Borsa Usciere di corte Paggio della Duchessa

Direzione Francesco Lanzillotta Regia Federico Grazzini Scene Andrea Belli Costumi Valeria Donata Bettella Luci Alessandro Verazzi Maestro del coro Carlo Morganti Assistente alla regia Barbara Di Lieto Assistente alle scene Carlotta Orioli Fondazione Orchestra Regionale delle Marche Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini” Complesso di palcoscenico Banda “Salvadei” * serata con audio descrizione in collaborazione con Unione Italiana Ciechi e Museo Tattile Statale Omero


Federico Grazzini


15 Direttore di scena Giacomo Benamati Direttore musicale di palcoscenico Gianfranco Stortoni Vocal coach Simone Savina Maestro di sala Elisa Cerri Altro maestro di sala Claudia Foresi Maestri di palcoscenico Chiara Cirilli, Adamo Angeletti, Marta Marrocchi Maestro alle luci Francesca Pivetta Maestro ai sopratitoli Daniele Gabrielli Mimi Fabio Prieto Bonilla, Luca Cattani, Andrea Fugaro, Elisa Gallucci, Fabrizio Lombardo, Massimiliano Mastroeni, Valerio Napoli Figuranti Sofia Boschi, Elisa Carletti, Lucia Marinsalta, Aurora Monachesi, Francesca Pierri, Yuliya Popova Direttore di palcoscenico Mauro De Santis Responsabile allestimento e servizi di palcoscenico Enrico Sampaolesi Logistica Giorgio Alici Biondi Scenografo realizzatore Serafino Botticelli Capo macchinista Secondo Caterbetti Capo elettricista Fabrizio Gobbi Responsabile sartoria Simonetta Palmucci Responsabile vestizioni Maria Antonietta Lucarelli Capo attrezzista Emanuela Di Piro Capo squadra aiuti tecnici Mauricio Cesar Pasquali Responsabile parrucco Serena Mercanti Responsabile trucco Raffaella Cipolato Coordinatrice personale di sala Caterina Ortolani Fotografo Alfredo Tabocchini Scene Spazio Scenico, Roma - Laboratori del Macerata Opera Festival Attrezzeria Laboratori del Macerata Opera Festival Costumi Sartoria Teatrale Arrigo, Milano - Santi, Brescia Maschere Francesco Givone, Scandicci (Fi) Calzature C.T.C. Pedrazzoli, Milano Parrucche Audello, Torino Illuminotecnica Stas, Terni Fonica AMService, Macerata Sopratitoli e audio descrizioni Macerata Opera Festival e UniversitĂ di Macerata


Vladimir Stoyanov


17 Il Duca di Mantova: un dongiovanni?

Umberto Curi

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1. Sono talmente numerosi i punti di convergenza, o se non altro di assonanza, fra il Rigoletto e il Don Giovanni di Mozart-Da Ponte, da far sembrare perfino scontato l’accostamento fra i due melodrammi. “Costringono” ad avvicinare le due opere una pluralità di elementi marginali o estrinseci: la regione di provenienza dei librettisti, Francesco Maria Piave e Lorenzo Da Ponte, entrambi veneti; la riscrittura che essi realizzano di un testo precedente (Le roi s’amuse di Victor Hugo, nel primo caso, il libretto del Don Giovanni di Giovanni Bertati, e prima ancora la pièce di Tirso da Molina, nel secondo caso); l’esito tragico della vicenda, annunciato fin dalle prime battute del preludio di Verdi e nei quattro “terribili” accordi con cui si apre l’ouverture di Mozart. Si potrebbe altresì aggiungere a quelli citati, un ulteriore motivo, per certi aspetti perfino inquietante. Soprattutto nella versione molieriana, il testo riguardante le imprese di Don Giovanni è stato pesantemente attaccato e macroscopicamente manomesso dalla censura, fino al punto da poter dire che nella sua versione originale esso non è mai stato pubblicato. Una sorte per molti aspetti simile è toccata anche all’opera verdiana, se è vero che il libretto originariamente redatto da Piave, col titolo La maledizione, aveva incontrato critiche aspre e, su taluni punti, incrollabili, da parte della censura austriaca, in vista della prima rappresentazione programmata al Teatro La Fenice di Per un approfondimento dei temi qui soltanto accennati, rimando a ciò che ho scritto nel corso degli ultimi vent’anni su argomenti analoghi: La cognizione dell’amore. Eros e filosofia, Feltrinelli, Milano 1997; Filosofia del Don Giovanni, Bruno Mondadori, Milano 2002; Don Giovanni. Variazioni sul mito, Marsilio, Venezia 2006; Miti d’amore, Bompiani, Milano 2009; Passione, Raffaello Cortina Editore, Milano 2013. 1

Venezia. Ma inducono soprattutto a istituire un confronto aspetti ben più rilevanti, intrinseci alla filigrana concettuale delle “storie” poste alle base delle due opere. Il primo e più appariscente motivo di condivisione è certamente il tema della seduzione. Per dirla in grande sintesi, si potrebbe affermare (ma, come si vedrà fra breve, questa affermazione, se non adeguatamente specificata, può risultare fuorviante) che il Duca di Mantova è un dongiovanni. Il manifesto del suo approccio alle donne è ovviamente la ballata del primo atto, Questa o quella, raccordata al celebre pezzo del Terzo atto (uno fra i più famosi dell’intera produzione verdiana), nel quale si proclama che La donna è mobile, quasi che l’asserita irrimediabile volubilità della donna possa offrire una giustificazione, o almeno un’attenuante, alla spregiudicatezza con la quale il Duca arricchisce incessantemente la “lista” delle sue imprese amorose. In realtà, se si approfondisce l’analisi, senza lasciarsi influenzare da giudizi sommari e puramente superficiali, le analogie fra i due personaggi maschili finiscono qui. Come altrove ho cercato di dimostrare in maniera ben più analitica, la figura di Don Giovanni (almeno nelle tre versioni “classiche” che costituiscono l’archetipo del mito, vale a dire Tirso, Molière e Mozart-Da Ponte) è del tutto irriducibile allo sbiadito e infine insignificante stereotipo del “cacciatore di gonnelle”, o di coatto del sesso, che invece tanta negligente letteratura ha cercato di accreditare. Non si comprenderebbe l’enorme e universale successo tributato alla vicenda del “dissoluto punito”, per oltre due secoli sempre al primo posto negli incassi e nel numero di repliche, in tutte le diverse versioni, in tutti i teatri di Europa, se davvero il protagonista potesse essere assimilato alla sbiadita espressione del seduttore seriale. Né – anticipando un passaggio sul quale si tornerà fra breve – potrebbe risultare verosimile, e dunque capace di suscitare l’immedesimazione dello spettatore, la storia di un personaggio che venga inghiottito vivo all’inferno (a pensarci, la punizione più atroce che si possa immaginare), “soltanto” per avere sedotto alcune donne, fossero esse anche “mille e tre”.


18 Altrove va piuttosto individuata la grandezza sulfurea di Don Giovanni. Nel suo ergersi a baluardo della ragione contro la superstizione, della libertà contro il dispotismo, dell’indomabile spirito della ricerca contro l’accomodante ipocrisia del conformismo. Soprattutto dalle pagine della commedia di Molière (grande testo “filosofico” del Seicento europeo) emerge un personaggio che ha l’ambizione di proporsi come l’Anticristo, non solo e neppure soltanto perché irrida la concezione cristiana dell’amore come agape, ma anche e soprattutto perché intende travolgere nella devastante energia corrosiva della sua critica i fragili idola, sui quali è costruita la società del suo tempo. Libertino è, certamente, Don Giovanni. Ma lo è nel senso “tecnico” del termine, come seguace e insieme antesignano di un movimento di pensiero radicalmente antidogmatico, insofferente di ogni vincolo, refrattario ad ogni pretesa autorità. E la sua filosofia si esprime compiutamente in quel memorabile passaggio della pièce di Molière, in cui egli indica quali siano – e non altri – i suoi “articoli di fede”: «Io credo che due più due fa quattro, e che quattro più quattro fa otto». Nulla di meno – e dunque fiducia nelle potenzialità euristiche della nascente scienza sperimentale. Ma insieme anche nulla di più – nessuna “apertura” al soprannaturale e all’inverificabile essendo ammessa. La nozione “classica” dell’erotismo è attraversata da un movimento febbrile che ne trasforma la costituzione originaria, cancella ogni accezione meramente “sentimentale”, e consente di parlare dell’amore con la stessa fredda precisione con la quale Galilei descrive la caduta dei gravi, Keplero le orbite dei pianeti, Hobbes la genesi contrattualistica dello Stato, Machiavelli l’Arte della guerra, Quesnay e Smith le relazioni fra gli agenti della produzione. Molière partecipa al movimento del libertinage érudit, mediante una “rivoluzione copernicana” che sottrae l’homo amans alla subalternità rispetto a qualsiasi trascendenza, e ne fa invece il protagonista attivo di un’“impresa” concepita e realizzata sul piano della più rigorosa immanenza. L’economia politica è figlia di questa temperie culturale, di questo approccio filosofico, in quanto condivide l’assunto dell’in-

Rigoletto trinseca “bontà” degli appetiti umani, del carattere comunque positivo degli impulsi soggiacenti all’“individualismo proprietario”. Perché questo accada, affinché l’amore possa essere integralmente laicizzato, e più ancora ricondotto al livello di fenomeni analizzabili iuxta propria principia, e la figura del dissoluto punito, o del sacrilego beffatore, possa più appropriatamente essere identificata con quella di Alessandro Magno, è necessario smascherare l’ingannevole verità del sapere tradizionale, sbarazzarsi di ogni superstiziosa credenza, relativa ad entità soprannaturali, recidere ogni residuo legame religioso. Rispetto alla pur diabolica grandezza di Don Giovanni, ben diversa è la tempra del Duca di Mantova, mediocre figura di “libertino” nel senso volgare del termine, privo dello spessore umano e della carica emblematica del “giovane cavaliere estremamente dissoluto”, immortalato da Mozart e Da Ponte. Se la seduzione di cui è protagonista Don Giovanni coincide con quel complessivo deragliamento, di cui dice l’etimo della parola, perché conduce fuori, rispetto alla strada maestra della morale, nel personaggio di Piave essa compare in una maniera molto più vicina all’uso corrente, nella forma di un’opportunistica utilizzazione del potere connesso alla propria condizione di privilegio. Ne è conferma indiretta, ma non meno significativa, quella sorta di “autorappresentazione” proposta nel Primo Atto, alla quale già si è accennato. In apparenza, si tratta di una ripresa del tema del “catalogo”, sviluppato nel melodramma mozartiano. Ma le differenze sono talmente profonde da rendere pressoché irrilevanti le analogie. Dichiarando di considerare “pari” “questa e quella”, il Duca di Mantova sposta sul piano del godimento fisico quello specifico “piacere”, che invece il Tenorio prova per il solo fatto di “porre in lista”. Al numero “dispari” del “milletre”, virtualmente aperto ad un costante aggiornamento, dove la massima voluttà è nell’incremento numerico, si contrappone un “pari” che riconduce l’eros ad una dimensione riduttivamente sessuale. Risulta infine impossibile, ove si proceda oltre una conti-


Il Duca di Mantova: un dongiovanni? guità superficiale, riconoscere nella coppia Duca-Rigoletto una “variante” della relazione che lega Don Giovanni al suo servo. Fra costoro, infatti, sussiste un rapporto che va ben al di là di “ruoli” prestabiliti, e tende piuttosto a configurare nell’insieme un’immagine unitaria. Che lo si consideri come il “doppio” del suo padrone, ovvero che lo si assuma come l’“altra faccia” del Cavaliere di cui è al servizio, o che si giunga al punto di considerarlo come l’autentico – per quanto occulto – oggetto del desiderio di Don Giovanni, un fatto resta comunque confermato. Il servo, si tratti del tirsiano Catalinon, del molieriano Sganarelle o del dapontiano Leporello, è figura che letteralmente rimanda a Don Giovanni. In una certa misura, lo “spiega”. Ce ne rende intelligibile la condotta. Ci svela di lui ciò che altrimenti resterebbe nascosto. Nettamente diverso è il rapporto che intercorre fra il Duca e Rigoletto – a cominciare dal rovesciamento della priorità dei personaggi, dove il protagonista è il buffone (difficile ritrovare nella tradizione drammaturgica una figura di giullare che faccia altrettanto poco ridere, come il deforme personaggio verdiano), mentre l’aristocratico agisce come comprimario. A ciò si aggiunga l’asimmetria strutturale del sistema delle relazioni triangolari includenti anche Gilda, nel segno della rottura di ogni reciprocità: la giovane donna si immola per salvare la persona amata, proprio dopo averla sorpresa in effusioni amorose con un’altra donna, mentre Rigoletto involontariamente condanna a morte la figlia che avrebbe voluto sottrarre alla cupidigia del Duca. 2. Ma l’elencazione delle molte differenze sussistenti fra i due “modelli” di seduzione, incarnati da Don Giovanni e dal Duca di Mantova, talmente profonde da rendere perfino incommensurabile l’uno rispetto all’altro, non si esaurisce con ciò che si è fin qui schematicamente enunciato. Ben più importante e denso di implicazioni è uno scarto, al quale si è in precedenza solo accennato. Si potrebbe compendiarlo in una formula, utile se non altro per entrare più direttamente in argomento. A differenza di Don Giovanni, colpito da una punizione severissima, il Duca di Mantova

19 non è chiamato a rendere conto della sua condotta immorale. È, dunque, un dissoluto impunito. Si può facilmente intuire fino a che punto questa differenza incida in profondità nello sviluppo della storia. Non si tratta, infatti, di qualcosa che possa essere confinato nell’epilogo della vicenda. Al contrario, l’esito finale – presagito già dall’inizio in entrambi i melodrammi – influisce sull’andamento complessivo e sul significato generale degli avvenimenti. La regola inflessibile, ricorrente costantemente nelle versioni classiche del mito di Don Giovanni, è quella che troviamo icasticamente enunciata nell’archetipo di Tirso: «Quien tal hace, que tal pague!» – «Chi fa questo, paghi questo», e ripresa quasi letteralmente da Mozart-Da Ponte («Questo è il fin di chi fa mal e dei reprobi la morte alla vita è sempre ugual»). La legge del taglione, il principio del contrappasso domina incontrastato la narrazione riguardante il Tenorio. La pena che a lui viene inflitta è “proporzionale” alla colpa. Né è possibile immaginare che egli possa sottrarsi in extremis alla sanzione, magari attraverso il pentimento. Ne è conferma indiretta, ma non meno significativa, il fatto che in alcune versioni ottocentesche (quale quella di José Zorrilla, ad esempio), nelle quali si assiste al finale ravvedimento del protagonista, tutta la storia assume una configurazione poco convincente, e comunque tale da non suscitare alcun coinvolgimento “patetico” dello spettatore. Un dissoluto che, giunto al momento della resa dei conti, si umili e si penta, perde ogni carica intensamente antagonistica, scolorisce e decade a personaggio pavido e imbelle, incapace di reggere il confronto con la grandiosità dei temi che pure egli sembrava aver evocato. È talmente centrale, nella tradizione dongiovannesca, il nesso colpa-punizione, da costituirsi come principale elemento per la decifrazione della personalità del protagonista. Se – come ho cercato di dimostrare altrove – Don Giovanni è irriducibile alla figura del seduttore compulsivo, del collezionista erotico, è proprio perché a lui è riservata una colpa atroce. Dalla gravità della pena possiamo – a ritroso – comprendere quale fosse davvero la sua colpa. Poiché


20 non è immaginabile pena più atroce di quella di essere inghiottiti vivi all’inferno, evidentemente la colpa che tale pena intende remunerare deve essere di pari “grado” e rilevanza. Non, dunque, la “semplice” seduzione, ma l’oltraggio alla divinità, la bestemmia, la temeraria rivendicazione del ruolo di Anticristo, la sfida nei confronti dei presupposti religiosi e culturali, sui quali è costruita la società del suo tempo. Come è stato sottolineato, già a partire dal Nietzsche della Genealogia della morale, e poi (in un contesto sostanzialmente differente), in numerosi scritti, da Paul Ricoeur, a fondamento di questo modo di concepire la relazione colpapena resta una convinzione di fondo, fortemente debitrice a una visione cosmologica generale, secondo la quale la colpa deve essere intesa come una vulnerazione, che deve essere “rimediata”, mediante l’irrogazione di una pena. Ove questa non intervenga, o non sia proporzionalmente adeguata a ciò che si è commesso, la ferita è destinata a restare aperta. L’ordine cosmico, infranto o violato dalla colpa, deve essere reintegrato attraverso un “movimento” uguale e contrario, capace di “risanare” l’organismo naturale o sociale contaminato. Di qui la necessità e l’inevitabilità della pena. Di qui la valenza filosofica generale – e non soltanto riduttivamente “contabile” – di un intervento che sanzioni colui che si renda responsabile di un turbamento dell’equilibrio esistente. In questa prospettiva (per quanto qui solo sommariamente richiamata), si comprende perché, a differenza della sorte riservata a Don Giovanni, la cui punizione in tutte le versioni è proposta come ineludibile, il Duca di Mantova possa “cavarsela” senza subire il contraccolpo delle sue azioni. Perché “troppo umane”, squallide, perfino miserabili, sono le sue colpe, prive di ogni grandezza antagonistica, mancanti di ogni carica autenticamente blasfema. Se il Tenorio affronta e sfida il Cristo, proprio sul punto più qualificante del messaggio evangelico, vale a dire l’agape, l’amore per le creature come tramite per l’amore per il Creatore, e con ciò si espone anche alla pena atroce di “ritornare” in quell’inferno da cui proviene, il Duca di Mantova è immerso in una

Rigoletto dimensione totalmente antieroica, dimessa, senza alcun rilievo superomistico. A pagare, alla fine, nell’opera di Verdi sarà il personaggio fra tutti più innocente – l’unica figura del tutto incolpevole – sulla quale si scarica tutta la negatività della maledizione. 3. Come è noto, il testo elaborato da Francesco Maria Piave ricalca, talora da vicino (soprattutto nel Primo Atto), il dramma teatrale di Victor Hugo, intitolato Le roi s’amuse. Oltre ai nomi dei personaggi, le innovazioni principali introdotte dal librettista veneto non sono tali da modificare in maniera significativa la struttura narrativa del testo originale. La diretta derivazione del Rigoletto dal dramma francese ha spesso indotto a concentrare l’attenzione dei commentatori pressoché esclusivamente sulle analogie e sulle differenze intercorrenti fra le due opere, trascurando un aspetto tutt’altro che marginale, quale è l’influenza di motivi classici – della classicità greco-latina – nella costruzione della trama del melodramma. Se ne trova una traccia evidente nel tema dello scambio fatale fra le persone (Gilda che prende il posto del Duca), nella figura del “doppio” (lo stesso Rigoletto lo è, rispetto al Duca, da un lato, e al Conte di Monterone, dall’altro, nella forma della catastrofe conclusiva). Fra questi spunti, un ruolo assolutamente centrale è svolto dalla maledizione scagliata dal signore di Monterone nei confronti del Duca di Mantova e del buffone di corte. Questo ruolo è peraltro apertamente riconosciuto dallo stesso Verdi in una lettera inviata al librettista: «Il titolo deve essere necessariamente La Maledizione di Vallier [più tardi, Monterone], ossia per esser più corto, La Maledizione. Tutto il soggetto è in quella maledizione che diventa anche morale. Un infelice padre che piange l’onore tolto alla sua figlia, deriso da un buffone di corte che il padre maledice, e questa maledizione coglie in una maniera spaventosa il buffone, mi sembra morale e grande, al sommo grande». Sovente ricorrente nelle tragedie attiche della seconda metà del V secolo avanti Cristo, la maledizione non compare mai come un semplice espediente per lo “scioglimento” del “nodo” tragico. Ben più complesse e profonde sono le moti-


Il Duca di Mantova: un dongiovanni? vazioni che ne sono alla base. Da un lato, infatti, la maledizione agisce come giuntura fra le dimensioni temporali, in quanto è parola pronunciata nel presente (o nel passato), riguardo a ciò che accadrà in futuro. Il tempo “a venire” si configura in tal modo non come un’arbitraria e casuale successione di eventi, ma come “compimento” dei tempi, come realizzazione di ciò che è stato pronunciato. Da questa prospettiva, la maledizione condivide la medesima relazione al tempo del fato: come esso è fatum, dal latino fari, cioè “la parola che è stata detta” (nel passato, ma che riguarda ciò che avverrà in futuro), altrettanto si può dire a proposito della maledizione. Ma vi è un altro e non meno importante aspetto della maledizione che rende ragione delle parole indirizzate da Verdi a Piave. Essa implica, infatti, una relazione decisiva col piano del soprannaturale, a cui si demanda un “rendere giustizia”, altrimenti eluso ove ci si limiti al rispetto delle norme del diritto positivo. Soverchiato dal potere del Duca di Mantova, e quindi anche dalla legge da costui imposta, il signore di Monterone può conseguire il “giusto” risarcimento per i torti subiti, affidandosi semplicemente al potere, solo apparentemente inerme, della “parola detta”. Dove non giunge, e anzi si arresta, la giustizia terrena, lì interviene – inesorabile – la giustizia, ammantata di mistero, che appartiene ad un dominio trascendente, rispetto al piano delle miserie umane. Come accade anche nel teatro greco classico (un esempio fra tutti: l’“Edipo re” di Sofocle), la maledizione non corrisponde ad una generica vendetta, né ha la forma di una ritorsione postuma. Essa orienta il corso degli avvenimenti in modo che essi, alla fine, appaiano riconducibili a misura di razionalità. Di qui il paradosso: ciò che appare come un’invocazione sprovvista di ogni reale effettualità si rivela come imprescindibile fattore di riequilibrio, come tramite per l’imposizione di una “misura” altrimenti negletta. Come scrive Verdi, insomma, la maledizione «diventa anche morale», perché ad essa è affidato il compito di ristabilire una gerarchia di valori altrimenti sovvertita dall’abuso del potere del Duca.

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Jessica Nuccio


23 SOGGETTO

ATTO I Il Duca di Mantova, nel corso di una festa a Palazzo Ducale, confida al cortigiano Borsa il proprio interesse per una fanciulla incontrata casualmente al tempio e corteggia la contessa di Ceprano, esprimendo con una ballata la propria morale libertina. Intanto Rigoletto, buffone di corte, schernisce il conte di Ceprano. Alla fine delle danze il cavaliere Marullo rivela ad altri cortigiani che Rigoletto si reca tutte le notti a casa di una presunta amante e insieme decidono di rapirla per tirare una burla al perfido buffone di corte. Improvvisamente giunge il conte di Monterone che accusa il Duca di avere oltraggiato l’onore della figlia e Rigoletto lo irride. Mentre viene imprigionato dalle guardie, Monterone lancia al Duca e al beffeggiatore Rigoletto una terribile maledizione. Sulla strada di casa, di notte, Rigoletto incontra Sparafucile che si presenta come un sicario d’onore. Rigoletto lo allontana ma prende nota del suo nome. Tornato a casa abbraccia la figlia Gilda e prega la governante Giovanna di vegliare su di lei. Ma Gilda, tenuta nascosta da Rigoletto, è stata già avvicinata dal Duca che si è presentato in chiesa come un povero studente di nome Gualtiero Maldè, ed è addirittura entrato in casa con la complicità di Giovanna. Nelle vicinanze, Marullo sta organizzando con alcuni cortigiani il rapimento di quella che pensano essere l’amante di Rigoletto, ma in verità è la figlia. Imbattutisi proprio nel buffone, giungono perfino a chiedergli di collaborare nella loro impresa. Bendato, tiene ferma la scala d’accesso al verone: quando tutti sono partiti, Rigoletto capisce cosa è accaduto. ATTO II Nel proprio palazzo il Duca lamenta la scomparsa di Gilda.

Quando i cortigiani lo mettono al corrente che hanno rapito l’amante di Rigoletto, il Duca comprende cosa è accaduto e, felice, si apparta con lei. Nel frattempo è giunto Rigoletto che, in cerca della figlia, viene sbeffeggiato dai cortigiani. Saputo che Gilda è nella stanza del Duca, supplica disperato i cortigiani di ridargli la figlia, ma è lei stessa a raggiungere il padre e a confessargli l’onore perduto. Mentre passa Monterone condotto al patibolo, Rigoletto giura vendetta. ATTO III Il giullare ha condotto Gilda davanti all’osteria di Sparafucile, dove il Duca sta corteggiando Maddalena, sorella del sicario, cantando un elogio all'amore libertino. Rigoletto vuol far capire alla figlia chi sia veramente l’uomo, ma Gilda ne rimane sempre innamorata. Il buffone di corte ha incarico Sparafucile di uccidere il Duca e nel frattempo dà ordine alla figlia, vestita da uomo, di partire per Verona. A mezzanotte Rigoletto tornerà all’osteria per prendere il sacco entro cui Sparafucile avrà messo il cadavere del Duca. Gilda però capisce il piano, ascoltando di nascosto Sparafucile e Maddalena che, invaghitasi anch’essa del Duca, cerca di convincere il fratello a non uccidere il nobile, ma la prima persona che sarebbe entrata nella locanda. Gilda, mentre fuori infuria una tempesta, si offre al sacrificio. A mezzanotte Rigoletto ritira il sacco, ma ode echeggiare il canto del Duca. Incredulo, lo apre e scopre la figlia morente. Nello straziante finale, Gilda svela i motivi che l’hanno spinta a sostituirsi al Duca per salvarlo e spira, chiedendo perdono al padre. A Rigoletto non resta che urlare: «Ah, la maledizione».


24 SYNOPSIS

ACT I During a ball at his Palace, the Duke of Mantua tells his retainer Borsa that he fancies a young girl he met by chance at the church. In the meantime, he flirts with Countess Ceprano and sings a ballad that celebrates his licensious lifestyle. Rigoletto, the Duke’s jester, mocks Count Ceprano. At the end of the dances, Marullo informs his fellow courtiers that Rigoletto has a lover whom he visits every night. The men agree to kidnap her to make fun of the court jester. All of a sudden, Count Monterone appears and accuses the Duke of seducing his daughter. Rigoletto laughs at him. As the guards lead him away, Monterone places a terrible curse upon the Duke and the jester who was mocking him. On his way home, later in the night, Rigoletto meets Sparafucile, a professional killer. Rigoletto then moves away from him having taken note of his name. Once at home, he hugs his daughter Gilda and asks her nurse Giovanna to keep a close watch on her. However, although Rigoletto has always meant to hide her, Gilda has already been approached by the Duke, who appeared in the church as a poor student named Gualitero Maldè. He also managed to get into Rigoletto’s house with Giovanna’s help. Marullo himself is nearby with a few courtiers, planning to kidnap Rigoletto’s daughter whom they think is the jester’s lover. As they bump into the jester, they even ask him to help. He is duped into wearing a blindfold and holds a ladder to access the balcony. When all are gone, Rigoletto realizes what has just happened. ACT II In his palace, the Duke fumes over Gilda’s abduction. As his coutiers reveal they are keeping Rigoletto’s lover, the

Rigoletto Duke rejoices and goes off to reach her. Rigoletto soon arrives, looking for Gilda, but the courtiers mock him for chasing her lover. As he finds out that the young girl is in the Duke’s private room, he desperately begs the courtiers to set his daughter free. She soon joins her father and reveals that she has been dishonoured. As Monterone passes by, on his way to be executed, Rigoletto swears vengeance. ACT III Rigoletto takes Gilda in front of Sparafucile’s inn, where the Duke is flirting with the killer’s sister Maddalena and singing in praise of women’s fickleness. Rigoletto wishes to make his daughter see the Duke’s true nature, but she remains deeply in love. The jester entrusts Sparafucile with the Duke’s murder, he orders his daughter to disguise as a man and leave for Verona. At midnight, Rigoletto is due to return to the tavern and collect a sack with the Duke’s dead body. Gilda finds out about this evil plan by overhearing Sparafucile and Maddalena, the latter also in love with the Duke. Maddalena tries to persuade his brother not to kill the Duke but whoever would enter the inn first. A storm is brewing, Gilda decides to sacrifice herself. At midnight Rigoletto collects the sack but he hears the Duke singing from afar. He opens the sack and is shocked to see his daughter dying. In the final moments, Gilda reveals the reasons behind her choice and dies begging his father for forgiveness. Rigoletto is left alone crying “Ah, la maledizione!”


Soggetto DIE HANDLUNG

ERSTER AKT Der Herzog von Mantua erzählt während eines Festes im herzöglichen Palast einem seiner Höflinge namens Borsa, dass ihn eine junge Frau interessiert, die er zufällig am Tempel getroffen hat. Gleichzeitig flirtet er mit der Gräfin von Ceprano, wobei er ihr beim Tanz seine recht ausschweifende Moralvorstellung darlegt. Der Hofnarr Rigoletto, verhöhnt derweil ihren Ehemann, den Graf von Ceprano. Nach dem Tanz enthüllt Marullo den anderen Höflingen, dass Rigoletto sich Nacht für Nacht zum Haus seiner angeblichen Geliebten begibt und zusammen beschliessen sie, die Frau zu entführen, um dem Narren einen Streich zu spielen. Da taucht plötzlich der Graf Monterone auf, der wütend den Herzog anklagt die Ehre seiner Tochter geschändet zu haben. Rigoletto macht sich über ihn lustig und während Monterone von den Wachen festgenommen wird, verflucht er den Herzog und den Hofnarren mit furchterregenden Worten. Auf dem Weg nach Hause trifft Rigoletto in der Nacht Sparafucile, der sich als Auftragskiller vorstellt. Rigoletto merkt sich seinen Namen. Zu Hause angekommen umarmt er seine Tochter Gilda und bittet seine Haushälterin Giovanna auf die junge Frau aufzupassen. Ohne es ihrem Vater zu erzählen, hat Gilda allerdings den Herzog kennengelernt. Er hatte sich ihr in der Kirche als ein armer Student, namens Gualtiero Maldè vorgestellt. Mit Hilfe von Giovanna ist er sogar schon ins Haus von Rigoletto und Gilda gekommen. Ganz in der Nähe bereitet sich Marullo mit seinen Freunden auf die Entführung der Frau vor, die sie für die Geliebte Rigolettos halten, die aber in Wirklichkeit seine Tochter ist. Als der Narr zufällig zu ihnen stösst, bitten sie ihn sogar, ihnen zu helfen – spielerisch verbinden sie ihm die Augen und bitten ihn die Leiter zu halten, über die sie auf den Balkon des Hauses steigen. Als alle weg sind und er sich die Augenbinde abnimmt, begreift er sofort, was passiert ist.

25 ZWEITER AKT Der Herzog ist in seinem Palast und klagt darüber Gilda nicht mehr zu finden. Als die Höflinge ihm erzählen Rigolettos Geliebte entführt zu haben, begreift auch der Herzog was passiert ist und geht glücklich zu Gilda, um mit ihr allein zu sein. Unterdessen ist auch Rigoletto im Palast und auf der Suche nach seiner Tochter wird er von den Höflingen böse verspottet. Als ihm nun klar wird, dass Gilda mit dem Herzog in dessen Gemächern ist, fleht er die Höflinge verzweifelt an, ihm seinen Tochter wiederzugeben. Diese kommt allerdings alleine aus den Räumen des Herzogs und gesteht ihrem Vater, ihre Ehre verloren zu haben. An ihnen vorbei wird Monterone auf den Schaffott geführt und Rigoletto schwört Rache. DRITTER AKT Rigoletto hat Gilda vor das Wirtshaus von Sparafucile geführt, in dem der Herzog Maddalena den Hof macht und ihr ein Ständchen auf die Vorzüge der freien Liebe vorträgt. Maddalena ist die Schwester des Killers Sparafucile. Rigoletto möchte, dass seine Tochter begreift wer dieser Mann wirklich ist – sie ist und bleibt allerdings hoffnungslos verliebt. Rigoletto trägt Sparafucile auf, den Herzog zu töten und befiehlt seiner Tochter, als Mann verkleidet, nach Verona zu reisen. Um Mitternacht wird Rigoletto zum Wirtshaus zurükkkehren und den Sack an sich nehmen, in den Sparafucile die Leiche des Herzogs gepackt haben wird. Als Gilda zufällig ein Gespräch zwischen Sparafulice und Maddalena hört, begreift sie den Plan. In dem Gespräch fleht Maddalena, die ihrerseits in den Herzog verliebt ist ihren Bruder an, diesen nicht umzubringen, sondern einfach den erst Besten der ins Wirtshaus eintreten wird. Während ein starkes Unwetter ausbricht, opfert sich Gilda und geht ins Wirtshaus. Um Mitternacht kommt Rigoletto, um den Sack abzuholen, hört aber im Hintergrund den Herzog singen. Ungläubig macht er den Sack auf und entdeckt seine sterbende Tochter. Mit letzter Kraft gesteht sie ihrem Vater, warum sie den Herzog retten wollte – Rigoletto bleibt nichts anderes als den herzzerreissenden Schrei: „Ach, der Fluch“ auszustossen.


26 SUJET

ACTE I Lors d’une fête donnée au Palais Ducal, le Duc de Mantoue confie à l’un de ses courtisans Borsa son vif intérêt pour une jeune fille aperçue par hasard à l’église. En même temps, il courtise la comtesse de Ceprano exprimant par le biais d’une ballade sa propre morale libertine. Pendant ce temps, Rigoletto, le bouffon de la cour, nargue le comte de Ceprano. Au terme des danses, le chevalier Marullo révèle à d’autres courtisans que Rigoletto se rend toutes les nuits chez une prétendue maîtresse. Ensemble, ils décident de l’enlever pour jouer un mauvais tour au perfide bouffon de la cour. Soudain, le comte de Monterone fait irruption et accuse le Duc d’avoir outragé l’honneur de sa fille. Rigoletto le tourne en dérision. Alors qu’il est arrêté par les gardes, Monterone lance au Duc et à un Rigoletto railleur sa terrible malédiction. En rentrant chez lui de nuit, Rigoletto se fait accoster par Sparafucile qui se présente en tueur à gages venu sauver son honneur. Rigoletto l’éloigne mais note quand même son nom. Une fois chez lui, il embrasse sa fille Gilda et ordonne à sa gouvernante Giovanna de veiller sur elle. Mais Gilda que Rigoletto tenait bien cachée a déjà fait la connaissance du Duc, venu se présenter à l’église comme étant un pauvre étudiant du nom de Gualtier Maldè. D’ailleurs, celui-ci a même pu pénétrer dans la maison grâce à la complicité de Giovanna. Dans les alentours, Marullo et plusieurs autres courtisans s’apprêtent à réaliser leur projet d’enlèvement de celle qu’ils croient être la maîtresse de Rigoletto mais qui, en réalité, est sa fille. Croisant justement le bouffon, ils vont même jusqu’à lui demander de collaborer à leur entreprise. Les yeux bandés, Rigoletto tient solidement l’échelle qui leur permet

Rigoletto d’accéder au balcon: quand tous sont partis, il comprend finalement ce qui est arrivé. ACTE II Dans son palais, le Duc se lamente de la disparition de Gilda. Lorsque les courtisans lui racontent qu’ils ont enlevé la maîtresse de Rigoletto, le Duc comprend ce qui vient d’arriver et tout heureux s’écarte avec elle. Rigoletto arrive en même temps; il cherche sa fille mais se fait bafouer par les courtisans. Ayant appris que Gilda se trouve dans l’appartement du Duc, fou de désespoir, il implore les courtisans de lui rendre sa fille mais c’est elle qui vient retrouver son père et lui avoue avoir perdu son honneur. Lorsque passe Monterone que l’on conduit à l’échafaud, Rigoletto jure qu’il se vengera. ACTE III Le bouffon mène Gilda devant l’auberge de Sparafucile. A l’intérieur, le Duc est en train de courtiser Maddalena, la soeur de Sparafucile, tout en chantant une éloge à l’amour libertin. Rigoletto veut faire comprendre à sa fille qui est en réalité cet homme mais Gilda en est toujours amoureuse. Alors, le bouffon de la cour charge Sparafucile de tuer le Duc et ordonne en même temps sa fille, travestie en homme, de partir pour Vérone. Rigoletto reviendra à minuit à l’auberge chercher le sac où Sparafucile aura introduit le cadavre du Duc. Cependant, Gilda comprend ce qui se trame car elle écoute en cachette ce que se disent Sparafucile et Maddalena. Cette dernière, elle-même éprise du Duc, tente de convaincre son frère d’épargner le gentilhomme et de tuer à sa place la première personne qui se présentera à l’auberge. Alors que dehors la tempête fait rage, Gilda décide de se sacrifier. A minuit, Rigoletto retire le sac mais il entend la voix du Duc chanter au loin. Ne parvenant pas à y croire, il ouvre le sac et découvre sa fille mourante. Dans leurs adieux déchirants, Gilda révèle à son père les raisons qui l’ont poussée à se sacrifier à la place du Duc pour lui sauver la vie et expire en lui demandant pardon. Il ne lui reste plus qu’à hurler: “Ah, la maledizione” (“Ah, la malédiction”).


Celso Albelo


Giacomo Medici, Ivan Defabiani, Alessandro Battiato


29

Atto primo

Duca A me che importa? Borsa Dirlo ad altra ei potria...

Duca Della mia bella incognita borghese toccare il fin dell’avventura voglio. Borsa Di quella giovin che vedete al tempio? Duca Da tre mesi ogni festa. Borsa La sua dimora? Duca In un remoto calle; misterioso un uom v’entra ogni notte. Borsa E sa colei chi sia l’amante suo? Duca Lo ignora. Borsa Quante beltà!... Mirate. Duca Ma vince tutte di Cepran la sposa. Borsa Non v’oda il conte, o Duca...

Duca Né sventura per me certo saria. Questa o quella per me pari sono a quant’altre d’intorno mi vedo; del mio core l’impero non cedo meglio ad una che ad altra beltà. La costoro avvenenza è qual dono di che il fato ne infiora la vita; s’oggi questa mi torna gradita, forse un’altra, doman lo sarà. La costanza, tiranna del core, detestiamo qual morbo crudele, sol chi vuole si serbi fedele; non v’ha amor, se non v’è libertà. De’ mariti il geloso furore, degli amanti le smanie derido; anco d’Argo i cent’occhi disfido se mi punge una qualche beltà. Duca Partite! Crudele! Contessa di Ceprano Seguire lo sposo m’è forza a Ceprano. Duca Ma dee luminoso in corte tal astro qual sole brillare. Per voi qui ciascuno dovrà palpitare. Per voi già possente la fiamma d’amore inebria, conquide, distrugge il mio core.


Rigoletto

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Contessa di Ceprano Calmatevi...

Borsa e Coro Ebben?

Rigoletto In testa che avete, signor di Ceprano?

Marullo Caso enorme!...

Rigoletto Ei sbuffa! Vedete?

Borsa e Coro Perduto ha la gobba? Non è più difforme?

Borsa e Coro Che festa! Rigoletto Oh sì!.. Borsa Il Duca qui pur si diverte!... Rigoletto Così non è sempre? Che nuove scoperte! Il giuoco ed il vino, le feste, la danza, battaglie, conviti, ben tutto gli sta. Or della Contessa l’assedio egli avanza, e intanto il marito fremendo ne va. Marullo Gran nuova! Gran nuova! Borsa e Coro Che avvenne? Parlate! Marullo Stupirne dovrete...

Marullo Più strana è la cosa! Il pazzo possiede... Borsa e Coro Infine... Marullo Un’amante! Borsa e Coro Un’amante! Chi il crede? Marullo Il gobbo in Cupido or s’è trasformato... Borsa e Coro Quel mostro? Cupido! Cupido beato! Duca Ah, più di Ceprano importuno non v’è! La cara sua sposa è un angiol per me!

Borsa e Coro Narrate, narrate...

Rigoletto Rapitela.

Marullo Ah, ah!... Rigoletto...

Duca È detto; ma il farlo?


Atto primo

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Rigoletto Stasera.

Borsa, Marullo e Coro In furia è montato!

Duca Non pensi tu al conte?

Duca Buffone, vien qua.

Rigoletto Non c’è la prigione?

Borsa, Marullo e Coro In furia è montato!

Duca Ah no! Rigoletto Ebben... s’esiglia. Duca Nemmeno, buffone. Rigoletto Allora... allora la testa... Conte di Ceprano (Oh l’anima nera!)

Duca Ah sempre tu spingi lo scherzo all’estremo. Conte di Ceprano Vendetta del pazzo! Contr’esso un rancore di noi chi non ha? Rigoletto Che coglier mi puote? Di loro non temo. Duca Quell’ira che sfidi, colpir ti potrà...

Duca Che dì, questa testa?...

Conte di Ceprano Vendetta! In armi chi ha core doman sia da me.

Rigoletto È ben naturale! Che far di tal testa? A cosa ella vale?

Borsa, Marullo e Coro Ma come?

Conte di Ceprano Marrano!

Rigoletto Del Duca il protetto nessun toccherà.

Duca Fermate!

Conte di Ceprano A notte.

Rigoletto Da rider mi fa.

Borsa, Marullo e Coro Sì. Sarà.


Rigoletto

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Borsa, Marullo, Conte di Ceprano e Coro Vendetta del pazzo! Contr’esso un rancore pei tristi suoi modi di noi chi non ha? Vendetta! Sì, a notte sarà. Sì vendetta! Duca, Rigoletto Tutto è gioia, tutto è festa!

Monterone Novello insulto! Ah sì, a turbare sarò vostr’orgie... verrò a gridare fino a che vegga restarsi inulto di mia famiglia l’atroce insulto! E se al carnefice pur mi darete spettro terribile mi rivedrete, portante in mano il teschio mio, vendetta a chiedere al mondo, a Dio.

Tutti: Tutto è gioia, tutto è festa; tutto invitaci a godere! Oh guardate, non par questa or la reggia del piacere!

Rigoletto È matto!

Monterone Ch’io gli parli.

Borsa, Marullo, Ceprano Quai detti!

Duca No!

Monterone Oh, siate entrambi voi maledetti!

Monterone Il voglio. Borsa, Rigoletto, Marullo, Ceprano e Coro Monterone! Monterone Sì, Monteron... la voce mia qual tuono vi scuoterà dovunque. Rigoletto Ch’io gli parli. Voi congiuraste, voi congiuraste contro noi, signore; e noi, clementi invero, perdonammo... qual vi piglia or delirio, a tutte l’ore di vostra figlia a reclamar l’onore?

Duca Non più, arrestatelo.

Borsa, Marullo, Ceprano e Coro Ah! Monterone Slanciare il cane al leon morente è vile, o Duca... e tu, serpente, tu che d’un padre ridi al dolore, sii maledetto! Rigoletto (Che sento! Orrore!) Duca, Borsa, Marullo, Ceprano e Coro Oh tu che la festa audace hai turbato, da un genio d’inferno qui fosti guidato; è vano ogni detto, di qua t’allontana


Atto primo

va, trema, o vegliardo, dell’ira sovrana tu l’hai provocata, più speme non v’è, un’ora fatale fu questa per te. Rigoletto (Orrore!) Rigoletto (Quel vecchio maledivami!) Sparafucile Signor?... Rigoletto Va’, non ho niente. Sparafucile Né il chiesi... a voi presente un uom di spada sta. Rigoletto Un ladro?

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Sparafucile Prezzo maggior vorrei... Rigoletto Com’usasi pagar? Sparafucile Una metà s’anticipa, il resto si dà poi... Rigoletto (Dimonio!) E come puoi tanto sicuro oprar? Sparafucile Soglio in cittade uccidere, oppure nel mio tetto. L’uomo di sera aspetto una stoccata, e muor! Rigoletto (Dimonio!) E come in casa?

Sparafucile Un uom che libera per poco da un rivale, e voi ne avete...

Sparafucile È facile... m’aiuta mia sorella... per le vie danza... è bella... chi voglio attira... e allor...

Rigoletto Quale?

Rigoletto Comprendo...

Sparafucile La vostra donna è là.

Sparafucile Senza strepito... è questo il mio strumento, vi serve?

Rigoletto (Che sento!) E quanto spendere per un signor dovrei?

Rigoletto No... al momento...


Rigoletto

34

Sparafucile Peggio per voi... Rigoletto Chi sa?... Sparafucile Sparafucil mi nomino... Rigoletto Straniero? Sparafucile Borgognone... Rigoletto E dove all’occasione?... Sparafucile Qui sempre a sera. Rigoletto Va’! Rigoletto Pari siamo!... Io la lingua, egli ha il pugnale! L’uomo son io che ride, ei quel che spegne!... Quel vecchio maledivami!... O uomini!... O natura!... Vil scellerato mi faceste voi! Oh rabbia!... Esser difforme!... Esser buffone! Non dover, non poter altro che ridere! Il retaggio d’ogni uom m’è tolto... il pianto! Questo padrone mio, giovin, giocondo, sì possente, bello, sonnecchiando mi dice: fa’ ch’io rida, buffone... forzar mi deggio, e farlo. Oh, dannazione!

Odio a voi, cortigiani schernitori! Quanta in mordervi ho gioia! Se iniquo son, per cagion vostra è solo... ma in altr’uom qui mi cangio! Quel vecchio maledivami! Tal pensiero perché conturba ognor la mente mia? Mi coglierà sventura! Ah no, è follia! Rigoletto Figlia! Gilda Mio padre! Rigoletto A te dappresso trova sol gioia il core oppresso. Gilda Oh quanto amore! Rigoletto Mia vita sei! Senza te in terra qual bene avrei? Gilda Voi sospirate! Che v’ange tanto? Lo dite a questa povera figlia... se v’ha mistero... per lei sia franto... ch’ella conosca la sua famiglia. Rigoletto Tu non ne hai... Gilda Qual nome avete? Rigoletto A te che importa?


Atto primo

Gilda Se non volete di voi parlarmi... Rigoletto Non uscir mai. Gilda Non vo’ che al tempio. Rigoletto Or ben tu fai. Gilda Se non di voi, almen chi sia fate ch’io sappia la madre mia. Rigoletto Deh non parlare al misero del suo perduto bene... ella sentia, quell’angelo, pietà delle mie pene... solo, difforme, povero, per compassion mi amò. Ah morìa! Le zolle coprano lievi quel capo amato... sola or tu resti al misero... Dio, sii ringraziato!... Gilda Quanto dolor!... Che spremer sì amaro pianto può? Padre, non più, calmatevi... mi lacera tal vista... il nome vostro ditemi, il duol che sì v’attrista? Rigoletto A che nomarmi?... È inutile!...

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Padre ti sono, e basti... me forse al mondo temono, d’alcuni ho forse gli asti... altri mi maledicono... Gilda Patria, parenti, amici voi dunque non avete? Rigoletto Patria!... Parenti!... Amici! Culto, famiglia, patria, il mio universo è in te! Gilda Ah se può lieto rendervi, Gioia è la vita a me! Già da tre lune son qui venuta, né la cittade ho ancor veduta; se il concedete, farlo or potrei! Rigoletto Mai!... Mai!... Uscita, dimmi unqua sei? Gilda No. Rigoletto Guai! Gilda (Ah! Che dissi!) Rigoletto Ben te ne guarda! (Potrian seguirla, rapirla ancora! Qui d’un buffone si disonora la figlia, e se ne ride... orror!) Olà?


Rigoletto

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Giovanna Signor!

Gilda Cielo! Sempre novel sospetto!

Rigoletto Venendo, mi vede alcuno? Bada, di’ il vero...

Rigoletto Alla chiesa vi seguiva mai nessuno?

Giovanna Ah no, nessuno.

Giovanna Mai.

Rigoletto Sta ben... la porta che dà al bastione è sempre chiusa?

Duca (Rigoletto!)

Giovanna Ognor si sta!

Rigoletto Se talor qui picchian guardatevi da aprire!

Rigoletto Veglia, o donna, questo fiore che a te puro confidai; veglia attenta, e non sia mai che s’offuschi il suo candor. Tu dei venti dal furore ch’altri fiori hanno piegato lo difendi, e immacolato lo ridona al genitor. Gilda Quanto affetto!... Quali cure! Non temete, padre mio. Lassù in cielo, presso Dio veglia un angiol protettor! Da noi stoglie le sventure di mia madre il priego santo; non fia mai divelto o franto questo a voi diletto fior. Rigoletto Alcun v’è fuori...

Giovanna Nemmeno al Duca... Rigoletto Meno che ad altri a lui! Mia figlia addio! Duca (Sua figlia!) Gilda Addio, mio padre. Gilda Giovanna, ho dei rimorsi... Giovanna E perché mai? Gilda Tacqui che un giovin ne seguiva al tempio.


Atto primo

Giovanna Perché ciò dirgli? L’odiate dunque cotesto giovin, voi? Gilda No, no, ché troppo è bello e spira amore... Giovanna E magnanimo sembra e gran Signore. Gilda Signor né principe io lo vorrei; sento che povero più l’amerei. Sognando o vigile sempre lo chiamo, e l’alma in estasi gli dice t’a... Duca T’amo! T’amo, ripetilo sì caro accento, un puro schiudimi ciel di contento! Gilda Giovanna?... Ahi misera! Non v’è più alcuno che qui rispondami!... Oh Dio!... Nessuno! Duca Son io coll’anima che ti rispondo... ah due che s’amano son tutto un mondo!... Gilda Chi mai, chi giungere vi fece a me? Duca Se angelo o demone che importa a te? Io t’amo... Gilda Uscitene.

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Duca Uscire!... Adesso!... Ora che accendene un fuoco istesso!... Ah inseparabile d’amore il Dio stringeva, o vergine, tuo fato al mio! È il sol dell’anima, la vita è amore, sua voce è il palpito del nostro core... e fama e gloria, potenza e trono, umane, fragili qui cose sono. Una pur avvene sola, divina, è amor che agli angeli più ne avvicina! A dunque amiamoci, donna celeste, d’invidia agli uomini sarò per te. Gilda (Ah de’ miei vergini sogni son queste le voci tenere sì care a me!) Duca Che m’ami, deh ripetimi! Gilda L’udiste. Duca Oh me felice! Gilda Il nome vostro ditemi... saperlo a me non lice? Ceprano (Il loco è qui...) Duca Mi nomino... Borsa (Sta ben...)


Rigoletto

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Duca Gualtier Maldè... studente sono... e povero... Giovanna Rumor di passi è fuore... Gilda Forse mio padre... Duca (Ah cogliere potessi il traditore che sì mi sturba!) Gilda Adducilo di qua al bastione... or ite... Duca Di’: m’amerai tu?... Gilda E voi? Duca L’intera vita... poi... Gilda Non più... non più... partite!

scolpisciti nel core innamorato! Caro nome che il mio cor festi primo palpitar, le delizie dell’amor mi dêi sempre rammentar! Col pensiero il mio desir a te sempre volerà, e fin l’ultimo sospir, caro nome, tuo sarà. Borsa È là. Ceprano Miratela... Coro Oh quanto è bella! Marullo Par fata od angiol. Coro L’amante è quella di Rigoletto! Rigoletto (Riedo!... Perché?) Borsa Silenzio... all’opra... badate a me.

Duca e Gilda: Addio, addio... speranza ed anima sol tu sarai per me. Addio, addio... vivrà immutabile l’affetto mio per te.

Rigoletto (Ah da quel vecchio fui maledetto!) Chi va là?

Gilda Gualtier Maldè!... Nome di lui sì amato,

Borsa Tacete... c’è Rigoletto!


Atto primo

Ceprano Vittoria doppia!... L’uccideremo... Borsa No, ché domani più rideremo... Marullo Or tutto aggiusto... Rigoletto Chi parla qua? Marullo Ehi Rigoletto?... Di’? Rigoletto Chi va là? Marullo Eh non mangiarci!... Son... Rigoletto Chi? Marullo Marullo. Rigoletto In tanto buio lo sguardo è nullo. Marullo Qui ne condusse ridevol cosa... torre a Ceprano vogliam la sposa. Rigoletto (Ahimè respiro!..) Ma come entrare?

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Marullo (La vostra chiave!) Non dubitare! Non dee mancarci lo stratagemma... ecco le chiavi... Rigoletto Sento il tuo stemma. (Ah terror vano fu dunque il mio!) N’è là il palazzo... con voi son io. Marullo Siam mascherati... Rigoletto Ch’io pur mi mascheri; a me una larva? Marullo Sì, pronta è già. Terrai la scala... Rigoletto Fitta è la tenebra... Marullo La benda cieco e sordo il fa. Borsa, Marullo, Ceprano e Coro Zitti, zitti moviamo a vendetta, ne sia colto or che men l’aspetta. Derisore sì audace, costante a sua volta schernito sarà!... Cheti, cheti, rubiamgli l’amante, e la corte doman riderà. Zitti, zitti, cheti, cheti, attenti all’opra.


40

Gilda Soccorso, padre mio... Borsa, Marullo, Ceprano e Coro Vittoria!... Gilda Aita! Rigoletto Non han finito ancor!... Qual derisione!... Sono bendato!... Ah!... La maledizione!!

Rigoletto


Gianluca Buratto


Silvia Giannetti, Rachele Raggiotti

Leonora Sofia


43

Atto secondo

Borsa, Marullo, Ceprano e Coro L’amante fu rapita a Rigoletto. Duca Come? E donde? Borsa, Marullo, Ceprano e Coro Dal suo tetto.

Duca Ella mi fu rapita! E quando, o Ciel?... Ne’ brevi istanti, prima che il mio presagio interno sull’orma corsa ancora mi spingesse! Schiuso era l’uscio!... E la magion deserta! E dove ora sarà quell’angiol caro? Colei che prima potea in questo core destar la fiamma di costanti affetti?... Colei sì pura, al cui modesto sguardo quasi spinto a virtù talor mi credo! Ella mi fu rapita! E chi l’ardiva?... Ma ne avrò vendetta lo chiede il pianto della mia diletta! Parmi veder le lagrime scorrenti da quel ciglio, quando fra il dubbio e l’ansia del sùbito periglio, dell’amor nostro memore, il suo Gualtier chiamò. Ned ei poté soccorrerti, cara fanciulla amata, ei che vorria coll’anima farti quaggiù beata; ei che le sfere agl’angioli, per te non invidiò.

Duca (Cielo! È dessa la mia diletta!) Ma dove or trovasi la poveretta?

Borsa, Marullo, Ceprano e Coro Duca, Duca?

Borsa, Marullo, Ceprano e Coro Fu da noi stessi addotta or qui.

Duca Ebben?

Duca (Ah, tutto il ciel non mi rapì!)

Duca Ah, ah! Dite, come fu? Borsa, Marullo, Ceprano e Coro Scorrendo uniti remota via, brev’ora dopo caduto il dì, come previsto ben s’era in pria rara beltà ci si scoprì. Era l’amante di Rigoletto, che, vista appena, si dileguò. Già di rapirla s’avea il progetto, quando il buffon vêr noi spuntò; che di Ceprano noi la contessa rapir volessimo, stolto, credé; la scala, quindi, all’uopo messa, bendato, ei stesso ferma tené. Salimmo, e rapidi la giovinetta a noi riusciva quindi asportar. Quand’ei s’accorse della vendetta restò scornato ad imprecar.


Rigoletto

44

(Possente amor mi chiama, volar io deggio a lei; il serto mio darei per consolar quel cor! Ah sappia alfin chi l’ama, conosca alfin chi sono, apprenda che anco in trono ha degli schiavi amor). Borsa, Marullo, Ceprano e Coro Oh qual pensier or l’agita, come cangiò d’umor!) Marullo Povero Rigoletto! Rigoletto La rà, la rà, la la, la rà, la rà, la rà, la rà la rà, la la, la rà, la rà. Coro Ei vien! Silenzio. Borsa, Marullo, Ceprano e Coro Oh buon giorno, Rigoletto! Rigoletto (Han tutti fatto il colpo!) Ceprano Ch’hai di nuovo, buffon?

Rigoletto La rà, la rà, la la la rà, la rà, la rà, la rà. (Ove l’avran nascosta?) Borsa, Marullo, Ceprano e Coro Guardate com’è inquieto! Rigoletto La rà, la rà, la rà, la rà, la rà, la rà, la rà, la rà, la rà, la rà, la rà. Borsa, Marullo, Ceprano e Coro Sì! Sì! Guardate com’è inquieto! Rigoletto Son felice che nulla a voi nuocesse l’aria di questa notte! Marullo Questa notte? Rigoletto Sì... oh fu il bel colpo! Marullo S’ho dormito sempre! Rigoletto Ah, voi dormiste!... Avrò dunque sognato! La rà, la rà, la la, la rà, la rà, la rà, la la. Borsa, Marullo, Ceprano e Coro (Ve’, ve’ come tutto osserva!)

Rigoletto Ch’hai di nuovo, buffon? Che dell’usato più noioso voi siete.

Rigoletto (Non è il suo.) Dorme il Duca tuttor’?

Borsa, Marullo, Ceprano e Coro Ah! ah! ah!

Borsa, Marullo, Ceprano e Coro Sì, dorme ancora.


Atto secondo

Paggio Al suo sposo parlar vuol la Duchessa. Marullo Dorme. Paggio Qui or or con voi non era? Borsa È a caccia... Paggio Senza paggi? Senz’armi?... Borsa, Marullo, Ceprano e Coro E non capisci che per ora vedere non può alcuno?... Rigoletto Ah! Ella è qui dunque! Ella è col Duca! Borsa, Marullo, Ceprano e Coro Chi? Rigoletto La giovin che stanotte al mio tetto rapiste... ma la saprò riprender! Ella è la...

45

Rigoletto Sì, la mia figlia... d’una tal vittoria... che? Adesso non ridete? Ella è la... la vogl’io... la ridarete! Cortigiani, vil razza dannata, per qual prezzo vendeste il mio bene? A voi nulla per l’oro sconviene ma mia figlia è impagabil tesor! La rendete! O se pur disarmata questa man per voi fora cruenta; nulla in terra più l’uomo paventa, se de’ figli difende l’onor. Quella porta, assassini, m’aprite! Ah! voi tutti a me contro venite!... Tutti contro me!... Ah!... Ebben, piango... Marullo... Signore, tu ch’hai l’alma gentil come il core, dimmi tu dove l’hanno nascosta?... È là? Non è vero?... Tu taci!.. Ohimè! Miei Signori... perdono, pietate... al vegliardo la figlia ridate... il ridarla a voi nulla ora costa, tutto al mondo è tal figlia per me. Pietà, Signori, pietà. Gilda Mio padre!

Rigoletto Io vo’ mia figlia!

Rigoletto Dio! Mia Gilda!... Signori... in essa... è tutta la mia famiglia... non temer più nulla, angelo mio... fu scherzo!... Non è vero? Io che pur piansi or rido... e tu a che piangi?

Borsa, Marullo, Ceprano e Coro La sua figlia!

Gilda Ah l’onta, padre mio!

Borsa, Marullo, Ceprano e Coro Se l’amante perdesti, la ricerca altrove!


Rigoletto

46

Rigoletto Cielo! Che dici?

e a forza qui m’addussero nell’ansia più crudel.

Gilda Arrosir voglio innanzi a voi soltanto...

Rigoletto Ah! (Solo per me l’infamia a te chiedeva, o Dio! Ch’ella potesse ascendere quanto caduto er’io... ah presso del patibolo bisogna ben l’altare!... Ma tutto ora scompare... l’altare si rovesciò!) Piangi! Piangi fanciulla, piangi. Scorrer fa’ il pianto sul mio cor.

Rigoletto Ite di qua, voi tutti! Se il Duca vostro d’appressarsi osasse, ch’ei non entri gli dite! E ch’io ci sono! Borsa, Marullo, Ceprano e Coro (Coi fanciulli e coi dementi spesso giova il simular. Partiam pur, ma quel ch’ei tenti non lasciamo d’osservar. ) Rigoletto Parla... siam soli... Gilda (Ciel dammi coraggio!) Tutte le feste al tempio mentre pregava Iddio, bello e fatale un giovine offriasi al guardo mio... se i labbri nostri tacquero, dagl’occhi il cor parlò. Furtivo fra le tenebre sol ieri a me giungeva... sono studente e povero, commosso mi diceva, e con ardente palpito amor mi protestò. Partì... il mio core aprivasi a speme più gradita, quando improvvisi entrarono color che m’han rapita,

Gilda Padre, in voi parla un angiol per me consolator! Rigoletto Compiuto pur quanto a fare ci resta, lasciare potremo quest’aura funesta. Gilda Sì Rigoletto (E tutto un sol giorno cangiare potè!) Un usciere Schiudete! Ire al carcere Monteron dee. Monterone Poichè fosti invano da me maledetto, né un fulmine o un ferro colpisce il tuo petto, felice pur anco, o Duca, vivrai!


Atto secondo

Rigoletto No, vecchio t’inganni! Un vindice avrai! Rigoletto Sì, vendetta, tremenda vendetta di quest’anima è solo desio... di punirti già l’ora s’affretta, che fatale per te tuonerà. Come fulmin scagliato da Dio, te colpire il buffone saprà. Gilda O mio padre, qual gioia feroce balenarvi negl’occhi vegg’io!... Perdonate, a noi pure una voce di perdono dal cielo verrà. (Mi tradiva, pur l’amo, gran Dio! Per l’ingrato ti chiedo pietà!)

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Elisa Gallucci, Mauro Corna


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Atto terzo

Gilda Un uomo vedo. Rigoletto Per poco attendi.

Rigoletto E l’ami? Gilda Sempre. Rigoletto Pure tempo a guarirne t’ho lasciato. Gilda Io l’amo!! Rigoletto Povero cor di donna! Ah il vile infame!... Ma ne avrai vendetta, o Gilda! Gilda Pietà, mio padre... Rigoletto E se tu certa fossi ch’ei ti tradisse, l’ameresti ancora? Gilda Nol so... ma pur m’adora! Rigoletto Ebben, osserva dunque!

Gilda Ah padre mio! Duca Due cose, e tosto... Sparafucile Quali? Duca Una stanza e del vino... Rigoletto (Son questi i suoi costumi!) Sparafucile (Oh il bel zerbino!) Duca La donna è mobile qual piuma al vento, muta d’accento e di pensiero. Sempre un amabile leggiadro viso, in pianto o in riso, è menzognero. È sempre misero chi a lei s’affida, chi le confida mal cauto il core! Pur mai non sentesi felice appieno chi su quel seno non liba amore!


Rigoletto

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Sparafucile È là il vostr’uomo... viver dee o morire? Rigoletto Più tardi tornerò l’opra a compire. Duca Un dì, se ben rammentomi, o bella, t’incontrai... mi piacque di te chiedere, e intesi che qui stai. Or sappi che d’allora sol te quest’alma adora.

non farmi tanto chiasso! Ogni saggezza chiudesi nel gaudio e nell’amore... la bella mano candida! Maddalena Scherzate voi, signore. Duca No, no. Maddalena Son brutta!

Gilda Iniquo!

Duca Abbracciami!

Maddalena Ah, ah! E vent’altre appresso le scorda forse adesso? Ha un’aria il signorino da vero libertino...

Gilda Iniquo!

Duca Sì?... Un mostro son... Gilda Ah padre mio!...

Maddalena Ebbro! Duca D’amor ardente!

Maddalena Lasciatemi, stordito.

Maddalena Signor, l’indifferente, vi piace canzonar?

Duca Ih, che fracasso!

Duca No, no, ti vo’ sposar.

Maddalena Stia saggio.

Maddalena Ne voglio la parola...

Duca E tu sii docile,

Duca Amabile figliuola!


Atto terzo

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Rigoletto E non ti basta ancor?

e per Verona parti... sarovvi io pur doman...

Gilda Iniquo traditor!

Gilda Or venite...

Duca Bella figlia dell’amore, schiavo son de’ vezzi tuoi; con un detto sol tu puoi le mie pene consolar! Vieni e senti del mio core il frequente palpitar.

Rigoletto Impossibil!

Maddalena Ah! ah! Rido ben di core, chè tai baie costan poco, quanto valga il vostro gioco, mel credete, so apprezzar. Sono avvezza, bel signore ad un simile scherzar. Gilda Ah così parlar d’amore a me pur l’infame ho udito! Infelice cor tradito, per angoscia non scoppiar. Rigoletto Taci, il piangere non vale; ch’ei mentiva sei sicura... taci, e mia sarà la cura la vendetta ad affrettar. Pronta fia, sarà fatale, io saprollo fulminar. M’odì!... Ritorna a casa... oro prendi, un destriero, una veste viril che t’apprestai,

Gilda Tremo! Rigoletto Va’! Rigoletto Venti scudi hai tu detto? Eccone dieci; e dopo l’opra il resto. Ei qui rimane? Sparafucile Sì. Rigoletto Alla mezzanotte ritornerò. Sparafucile Non cale. A gettarlo nel fiume basto io solo. Rigoletto No, no, il vo’ far io stesso. Sparafucile Sia!... Il suo nome? Rigoletto Vuoi saper anche il mio? Egli è Delitto, Punizion son io.


Rigoletto

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Sparafucile La tempesta è vicina!... Più scura fia la notte.

Duca Ebben! Sono con te... presto, vediamo!

Duca Maddalena?

Maddalena Povero giovin! Grazioso tanto! Dio, qual notte è questa!

Maddalena Aspettate... mio fratello viene...

Duca Si dorme all’aria aperta! Bene, bene!... Buona notte.

Duca Che importa?

Sparafucile Signor, vi guardi Iddio.

Maddalena Tuona!

Duca Breve sonno dormiam... stanco son io.

Sparafucile E pioverà tra poco.

Maddalena È amabile invero cotal giovinotto.

Duca Tanto meglio! Tu dormerai in scuderia... all’inferno... ove vorrai.

Sparafucile Oh sì, venti scudi ne dà di prodotto.

Sparafucile Oh, grazie.

Maddalena Sol venti?... Son pochi!... Valeva di più.

Maddalena (Ah, no, partite.)

Sparafucile La spada, s’ei dorme, va’... portami giù.

Duca (Con tal tempo?)

Gilda Ah più non ragiono!... Amor mi trascina!... Mio padre, perdono... qual notte d’orrore! Gran Dio, che accadrà?

Sparafucile (Son venti scudi d’oro.) Ben felice d’offrirvi la mia stanza... se a voi piace tosto a vederla andiamo.

Maddalena Fratello!


Atto terzo

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Gilda Chi parla?...

Gilda Che sento! Mio padre!

Sparafucile Al diavol ten va...

Sparafucile Uccider quel gobbo!... Che diavol dicesti! Un ladro son forse? Son forse un bandito? Qual altro cliente da me fu tradito? Mi paga quest’uomo... fedele m’avrà

Maddalena Somiglia un Apollo quel giovine... io l’amo... ei m’ama... riposi... nè più l’uccidiamo. Gilda Oh cielo! Sparafucile Rattoppa quel sacco! Maddalena Perchè? Sparafucile Entr’esso il tuo Apollo, sgozzato da me, gettar dovrò al fiume...

Maddalena Ah, grazia per esso. Sparafucile È d’uopo ch’ei muoia... Maddalena Fuggire il fo adesso! Glida Oh buona figliola! Sparafucile Gli scudi perdiamo

Gilda L’inferno qui vedo!

Maddalena È ver!

Maddalena Eppure il danaro salvarti scommetto, serbandolo in vita.

Sparafucile Lascia fare...

Sparafucile Difficile il credo. Maddalena Ascolta... anzi facil ti svelo un progetto. De’ scudi già dieci dal gobbo ne avesti? Venire cogl’altri più tardi il vedrai... uccidilo e, venti allora ne avrai, così tutto il prezzo goder si potrà.

Maddalena Salvarlo dobbiamo. Sparafucile Se pria che abbia il mezzo la notte toccato alcuno qui giunga, per esso morirà. Maddalena È buia la notte, il ciel troppo irato, nessuno a quest’ora da qui passerà.


Rigoletto

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Gilda Oh qual tentazione!... Morir per l’ingrato!... Morire... e mio padre!... Oh cielo, pietà! Sparafucile Ancor c’è mezz’ora... Maddalena Attendi, fratello... Gilda Che? Piange tal donna!... N’è a lui darò aita!... Ah s’egli al mio affetto divenne rubello, io vo’ per la sua gettar la mia vita... Maddalena Si picchia! Sparafucile Fu il vento... Maddalena Si picchia, ti dico! Sparafucile È strano!... Chi è? Gilda Pietà d’un mendico; asil per la notte a lui concedete. Maddalena Fia lunga tal notte! Sparafucile Alquanto attendete. Maddalena Su, spicciati, presto, fa l’opra compita: anelo una vita coll’altra salvar!

Sparafucile Ebbene... son pronto, quell’uscio dischiudi; più ch’altro gli scudi mi preme salvar! Gilda Ah presso alla morte, sì giovine, sono! Oh ciel, per quegl’empi ti chieggo perdono! Perdona tu, o padre, a quest’infelice!... Sia l’uomo felice ch’or vado a salvar. Maddalena Spicciati! Sparafucile Apri! Maddalena Entrate! Gilda Dio! Loro perdonate! Rigoletto Della vendetta alfin giunge l’istante! Da trenta dì l’aspetto di vivo sangue a lagrime piangendo, sotto la larva del buffon! Quest’uscio è chiuso! Ah, non è tempo ancor! S’attenda! Qual notte di mistero! Una tempesta in cielo! In terra un omicidio! Oh come invero qui grande mi sento! Mezzanotte!


Atto terzo

Sparafucile Chi è là? Rigoletto Son io! Sparafucile Sostate. È qui spento il vostr’uomo! Rigoletto Oh gioia! Un lume? Sparafucile Un lume?... No, il denaro! Lesti all’onda il gettiam! Rigoletto No! Basto io solo. Sparafucile Come vi piace... qui men atto è il sito... più avanti è più profondo il gorgo... presto, che alcun non vi sorprenda... buona notte. Rigoletto Egli è là!... Morto! Oh sì! Vorrei vederlo! Ma che importa!... È ben desso! Ecco i suoi sproni!... Ora mi guarda, o mondo! Quest’è un buffone, ed un potente è questo! Ei sta sotto i miei piedi! È desso! Oh gioia! È giunta alfine la tua vendetta, o duolo! Sia l’onda a lui sepolcro, un sacco il suo lenzuolo! All’onda! All’onda! Duca La donna è mobile qual piuma al vento, muta d’accento e di pensier...

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Rigoletto Qual voce! Illusion notturna è questa! No, no! Egli è desso! Maledizione! Olà! Dimon! Bandito! Chi è mai, chi è qui in sua vece? Io tremo! È umano corpo!... Rigoletto Mia figlia! Dio! Mia figlia! Ah, no! È impossibil! Per Verona è in via! Fu vision! È dessa! Oh mia Gilda! Fanciulla... a me rispondi! L’assassino mi svela... olà? Nessuno!.. Nessun! Mia figlia? Mia Gilda? Oh mia figlia! Gilda Chi mi chiama? Rigoletto Ella parla! Si muove!... È viva!... Oh Dio! Ah, mio ben solo in terra... mi guarda, mi conosci... Gilda Ah... padre mio!.. Rigoletto Qual mistero!... Che fu? Sei tu ferita? Dimmi... Gilda L’acciar... qui... qui mi piagò... Rigoletto Chi t’ha colpita? Gilda V’ho l’ingannato! Colpevole fui! L’amai troppo! Ora muoio per lui!


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Rigoletto (Dio tremendo! Ella stessa fu colta dallo stral di mia giusta vendetta!) Angiol caro, mi guarda, m’ascolta... parla, parlami, figlia diletta! Gilda Ah, ch’io taccia!... A me... a lui perdonate!... Benedite... alla figlia... oh mio padre! Lassù in cielo, vicina alla madre... in eterno per voi pregherò. Rigoletto Non morir... mio tesoro, pietade... mia colomba... lasciarmi non dêi... se t’involi qui sol rimarrei... non morire, o qui teco morrò!... Gilda Non più... a lui... perdonate... mio padre... addio! Rigoletto Gilda! Mia Gilda!... È morta! Ah! La maledizione!

Rigoletto


Nino Surguladze




Christopher Franklin


SFERISTERIO 18, 24 luglio, 2*, 8 agosto - ore 21.00 Anteprima giovani 15 luglio - ore 21.00 Pietro Mascagni

Cavalleria rusticana Libretto di Giovanni Targioni-Tozzetti e Guido Menasci Edizioni Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali. Milano

Anna Pirozzi Rafael Davila Alberto Gazale Elisabetta Martorana Chiara Fracasso

Santuzza Turiddu Alfio Lola Lucia

Ruggero Leoncavallo

Pagliacci

Libretto di Ruggero Leoncavallo Edizioni Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali. Milano

Anna Pirozzi Rafael Davila Marco Caria Pietro Adaini Giorgio Caoduro

Nedda / Colombina Canio / Il Pagliaccio Tonio / Taddeo Beppe / Arlecchino Silvio

Direzione Christopher Franklin Regia Alessandro Talevi Scene Madeleine Boyd Costumi Manuel Pedretti Luci Alessandro Verazzi Maestro del coro Carlo Morganti Maestro del coro di voci bianche Gian Luca Paolucci * serata con audio descrizione in collaborazione con Unione Italiana Ciechi e Museo Tattile Statale Omero


Alessandro Talevi


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Fondazione Orchestra Regionale delle Marche Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini” Coro di voci bianche Pueri Cantores “D. Zamberletti” Complesso di palcoscenico Banda “Salvadei” Direttore di scena Luisella Caielli Direttore musicale di palcoscenico Gianfranco Stortoni Vocal coach Simone Savina Maestro di sala Cesarina Compagnoni Maestri di palcoscenico Marta Marrocchi, Sabrina Scaramelli, Manuela Belluccini Maestro alle luci Francesca Pivetta Maestro ai sopratitoli Daniele Gabrielli Assistente direttore di scena Ermelinda Suella Mima (Cavalleria rusticana) Marta Negrini Figuranti Jacopo Brambatti, Carlo Alberto Patrignoni, Marco Pupilli, Andrea Taviani Direttore di palcoscenico Mauro De Santis Responsabile allestimento e servizi di palcoscenico Enrico Sampaolesi Logistica Giorgio Alici Biondi Scenografo realizzatore Serafino Botticelli Decoratrice di scena Stefania Sbarbati Capo macchinista Secondo Caterbetti Capo elettricista Fabrizio Gobbi Responsabile sartoria Simonetta Palmucci Responsabile vestizioni Maria Antonietta Lucarelli Capo attrezzista Emanuela Di Piro Capo squadra aiuti tecnici Mauricio Cesar Pasquali Responsabile parrucco Serena Mercanti Responsabile trucco Raffaella Cipolato Coordinatrice personale di sala Caterina Ortolani Fotografo Alfredo Tabocchini Scene Laboratori del Macerata Opera Festival - Chiediscena, Lanciano (Ch) Attrezzeria Laboratori del Macerata Opera Festival Le lavorazioni di artigianato artistico in ferro in scena sono di Stefano Bellesi e Massimilano Lauri, i cappelli di Rosa Di Chiara, le tazze di Donatella Fogante, le decorazioni di Un soffio d’Arte di Rodica Cristina Roibu Costumi Sartoria Teatrale Arrigo, Milano Calzature Sacchi, Firenze Parrucche Audello, Torino Illuminotecnica Stas, Terni Fonica AMService, Macerata Sopratitoli e audio descrizioni Macerata Opera Festival e Università di Macerata


Rafael Davila


Dalla tradizione al tradimento. Note su la Cavalleria rusticana e i Pagliacci Giancarlo Ricci Ed è così che, volenti o nolenti, nel cuore del dramma dell’amore pulsa il tradimento. Curiosa faccenda. Perché sempre il tradimento si svolge sul filo di una metafora: è sempre qualcos’altro, richiama la stessa questione (l’amore) ma si rivolge ad Altro, chiama in causa l’Altro. Il tradimento, altra faccia dell’amore, dimostra che il volto della passione è mutevole, non giunge a consegnarsi all’oggettività, non riesce a trovare o a raggiungere quell’ideale identità di cui si nutre il sogno d’amore. Eppure il tradimento è sempre talmente vero, terribilmente vero, che i due autori della Cavalleria rusticana e dei Pagliacci, usano il proscenio, a inizio spettacolo, come se la vicenda si svolgesse sulla soglia della scena teatrale. Come se il crudo racconto della cronaca non potesse far parte della rappresentazione. Insomma, negli emblemi più significativi del dramma verista, la finzione dell’opera rischia di scivolare fuori, di uscire dal teatro e dalle partiture musicali e di incarnarsi nella realtà. C’è del troppo insomma, e il pubblico occorre ne sia informato. Può trattarsi di finzione nella finzione o addirittura finzione di finzione, ma la forza di questo dispositivo è in grado di interrogare la modernità al punto da farla vacillare: è la realtà ad avere la struttura della finzione o è la finzione ad abitare la realtà? La realtà tradisce le aspettative o sono i nostri desideri a tradire la realtà, ossia a negarla fino a misconoscerla? Labirinti dell’inganno e dell’ingannarsi. Qui si apre il gioco infinito in cui realtà e finzione si rincorrono, si sfiorano ma non si raggiungono mai. Siamo inghiottiti in una gigantesca mise en abyme. In effetti molta letteratura novecentesca e contemporanea, non solo teatrale, si dibatte in questo paradossale dilemma che talvolta diventa un’interrogazione antropologica

intorno al senso dell’uomo immerso nelle leggi inconoscibili dell’universo. Di fatto, il tradimento, lungo secoli di letteratura e di poesia, avviene sempre nel momento in cui l’amore nella sua ideale compiutezza pare realizzarsi. L’oggetto d’amore, che appariva a portata di mano e romanticamente raggiungibile, non è più là dove sembra mostrarsi: irrompe da un’altra parte, con un altro volto e un altro nome. E con un altro corpo che presentifica un mistero irriducibile e altrettanto incontenibile nell’accendere pulsioni e passione. Ci troviamo dinanzi a un’altra illusione o al proseguimento, sotto mentite spoglie, della stessa illusione? Domanda insopportabile per gli umani. Talmente insopportabile che tutto può accadere, pur di metterla a tacere. Pur di nascondere o camuffare quella lontana ferita che rischia ogni volta, grazie all’illusione, di riaprirsi e di sanguinare. Più saggio rifugiarsi dietro una maschera? Forse: «Vesti la giubba e infarina la faccia...». L’aggettivo “rusticana” (abbinato a cavalleria) la dice lunga: indica un appello irrinunciabile al sangue, ai corpi, alla vita della terra. È anche un appello alla semplicità, al senso di comunità e di appartenenza, alla concretezza delle pulsioni e degli appagamenti. La novella di Verga, da cui è ispirata l’opera di Mascagni, è notevole in tal senso. “Rusticano”, nella poetica verista, allude ulteriormente a una sorta di saggezza che immediatamente sa ritrovare dove le ferite umane si trovano inscritte e incise nella carne. E allora, in nome della dignità, il sangue scorre e il dramma si muove, inesorabile, verso il suo compimento finale. La dignità “rusticana” è anche paradossalmente quella di giocarsi la vita o la morte pur di difendere le proprie ferite. Infine l’urlo: «Hanno ammazzato compare Turiddu!». La prospettiva aperta, e drammaticamente spalancata, del tradimento lascia apparire due momenti fondamentali del divenire: conservazione e trasformazione. Sempre di amore si tratta (così si suppone) ma di un amore che si lacera perché abbandona il miraggio che sembrava quasi raggiunto e improvvisamente si rivolge altrove, con rinnovato impulso. L’amore qui si divide, si frammenta, insegue i fili aggrovi-


66 gliati del desiderio, si inganna e al contempo inganna l’Altro. Cerca conferme sconfermando se stesso. Cerca l’Altrove muovendosi nella stessità. Il tradimento, in definitiva, è questo corpo a corpo dell’amore con se stesso, con i propri volti irriconoscibili, sfuggenti, inammissibili. Più cerchiamo di afferrare l’essenza dell’amore e più si diventa “pagliacci”, esposti cioè al ridicolo miraggio di una possibile realizzazione. Dunque amore e tradimento non sono così contrapposti come sembrerebbe a prima vista. Ugualmente accade ad altri termini che irrompono, abbondantemente, nelle trame della Cavalleria rusticana o dei Pagliacci: gelosia, invidia, ritorsione, offesa, vendetta. Temi che irrompono e si mescolano, quasi fossero personaggi indispensabili. Eppure nell’amore, inconsapevoli, si attua un tradimento relativo a qualcosa che non ricordiamo più. Eppure nel tradire rinnoviamo l’amore. «Odio e amo», declamava il poeta Catullo. La sua lirica vibrava alta e lacerante per il tradimento insanabile perpetrato dalla sua amata. Non c’è amore senza tradimento, confermerebbero tanto Mascagni quanto Leoncavallo. Certo, più antico l’odio dell’amore, annotava Freud. Il tradimento, fratello della gelosia, possiamo considerarlo come l’irruzione, nell’amore, di un frammento di odio. Incollocabile, vagabondo, inatteso, questo frammento esprime un tratto insopportabile che fa di tutto pur di salvare l’amore. Il tradimento vorrebbe salvare l’amore a tutti i costi. Anche a costo dell’amato cui è assegnata la parte dell’ostacolo, dell’impedimento, dell’oggetto abbandonato, deietto. Il mondo immaginario dell’amore non può ammettere alcuna perdita così come il desiderio non sopporta che il proprio oggetto si allontani, svanisca, si assenta. L’amore tesse costantemente una sorta di trucco: più forte è l’impedimento più intensa è la forza dell’attrazione. Più l’oggetto d’amore si allontana, più struggente il canto della sua lontananza. L’amore cortese ha celebrato questa lontananza del corpo a favore della passione del desiderio. L’amore non è adatto a essere realizzato, affermava Jacques Lacan. Vive infatti nel mondo della passione, del patire, dell’urlo e del sangue, come Mascagni o Leoncavallo inse-

Cavalleria Rusticana e Pagliacci gnano. Vive là dove i corpi si dibattono per la vita, fino alla morte. Tra la vita e la morte, dunque. Il celebre Prologo ai Pagliacci di Leoncavallo rappresenta il manifesto teorico del melodramma verista. A sipario calato, prima dello spettacolo, Tonio avvisa il pubblico che l’opera riguarda quello «squarcio di vita» che «al vero si ispira». E che la rappresentazione si approssima a quel “nido di memorie” che giace in fondo all’anima. Ma ecco il nodo che obbliga a un’irriducibile constatazione: «Dunque, vedrete amar sì come s’amano gli esseri umani; vedrete de l’odio i tristi frutti. Del dolore gli spasimi, urli di rabbia, udrete, e risa ciniche!». Se pensiamo alla data di quest’opera, il 1892, non possiamo fare a meno di accorgerci che proprio in quegli anni, anno più anno meno, su un altro scenario, Sigmund Freud inventava la psicanalisi. La inventava a partire proprio da “come si amano gli esseri umani”, dall’ambivalenza dell’amore, dall’impasto pulsionale e sintomatico tra rabbia e desiderio, tra odio e “risa ciniche”. In definitiva possiamo azzardare che l’uomo moderno, qualora non tenga conto dell’inconscio (“un nido di memorie”), si espone a diventare pagliaccio - zimbello direbbe Lacan pronto a errare, a ingannarsi, a credersi padrone della scena, mentre è soltanto parte inconsapevole di uno scenario ben più vasto e ampio. Da qui in poi, i malintesi si moltiplicano, dilagano. Per esempio: non possiamo fare a meno di amare perché non possiamo fare a meno di amarci. Il narcisismo non perdona, tira brutti colpi, talvolta mortali. Crediamo di amare ma vogliamo solo amarci o essere amati. E ancora un volta il sangue scorre. Ecco Santuzza, nella Cavalleria Rusticana, tradita da Turiddu per un’antica fiamma, Lola. Il tradimento è sempre un tradimento della memoria. Sotto le braci, un’antica fiamma, per ciascun soggetto, non si spegne, nella notte della memoria. Constatazione che la psicanalisi legge nel senso che ogni l’incontro con un nuovo oggetto d’amore in realtà è sempre un ritrovamento. Che sia tale, solo dopo ce ne accorgiamo. Ma è sempre troppo tardi: il possente senso del destino che sia la Cavalleria rusticana sia i Pagliacci met-


Dalla Tradizione al tradimento tono in scena potrebbe riassumerci con un “è sempre troppo tardi”. L’altrove, l’inconscio, l’oggetto come miraggio, la nostra stessa passione che patisce un desiderio irrealizzabile sono sempre coniugati in un ritardo temporale impossibile da sanare. Se l’uomo è soggetto all’amore è sempre in ritardo nell’accorgersi della trama che questo tesse a nostra insaputa. L’amore infatti è cieco. E i suoi dardi saettano impazziti. Difficile ammettere che il tradimento possa essere un (nuovo) miraggio con cui continuiamo a ingannarci. Infatti l’alterità che ora scopriamo in un altro oggetto era già lì a portata di mano, incarnata nello stesso oggetto che adesso abbandoniamo. L’oggetto è sempre già Altro, incarna in sé un’alterità inconsumabile. È contraddistinto da un infinito. Pensarlo come finito, delimitato, oggettivato, identico a sé significa pensarlo come oggetto morto o mortifero. Per aggiungere altri paradossi, qualche riflessione sulla parola tradimento si impone, dato che possiede inaspettatamente una fecondità inaudita. Il verbo tradire (dal latino tradere), reca con sé il significato di consegnare, di trasmettere, per esempio un ordine precostituito, un sistema preesistente. In tal senso tradire presuppone, in una logica particolare, il dramma del passaggio dal vecchio al nuovo, dall’antico all’attuale, dalla tradizione all’innovazione. Chiama in causa, in definitiva, un concetto di identità inteso come apertura che ammette una differenza. Non si tratta di un’identità che si chiude in se stessa, che si difende e si protegge. Tradire, in tal senso, riguarda l’incessante processo di trasformazione in cui è immerso il soggetto, così come ogni essere vivente. Ogni trasformazione è anche un tradimento, ma è un tradimento che si svolge nel nome della tradizione. Il dramma dei tradimenti messi in scena nella Cavalleria Rusticana e nei Pagliacci possono essere letti anche come la crisi di un sistema di valori comunitari: la dignità, la lealtà, l’appartenenza al ceto, attaccamento alla propria terra, alla propria storia. Radici simboliche che nutrono i personaggi, li animano e li spingono alle estreme conseguenze. In questa prospettiva l’unico, vero, tradimento è quello che

67 smentisce la nostra soggettività, il nostro modo di sentire, di pensare e di vivere. Il vero tradimento è quello che sovverte la nostra identità, la sconfessa o la misconosce. Il più grande tradimento è quello di tradire noi stessi. (A ben vedere anche qui i paradossi non mancherebbero). Intanto, al di là del melodramma verista, dei personaggi, dei duelli fra traditori e traditi, delle tinte violente della passione amorosa, qualcosa ci interroga radicalmente. Freud lo aveva indicato accostando tre parole strettamente congiunte: tradizione, traduzione, tradimento. Non è forse in questo nodo che ciascun soggetto, che lo voglia o meno, rimane impigliato da quando giunge al mondo? E forse mai, nel corso della sua vita, può esentarsi dal fare i conti con questa triade in cui ciascun termine implica l’altro.


Marta Negrini, Anna Pirozzi


SOGGETTO CAVALLERIA RUSTICANA

ATTO UNICO Sicilia, fine ’800. A sipario chiuso, Turiddu intona una serenata – una siciliana – a Lola, la ragazza che amava, al suo ritorno trovata sposa a compar Alfio, un carrettiere benestante. Santuzza, amante di Turiddu, sospetta che l’uomo sia tornato ad amoreggiare con Lola e lo va a cercare a casa, dove trova mamma Lucia che le dice di lasciare in pace suo figlio e che al momento è a Francofonte a prendere il vino. Santuzza replica che non è vero perché è stato visto in paese e Lucia intuisce la verità. Così invita la donna a entrare in casa per parlare senza farsi sentire da nessuno, ma nel frattempo giunge compar Alfio che, accompagnato da un gruppo di compaesani, inneggia euforico e felice alla vita errabonda e libera del carrettiere che, ogni sera, è atteso a casa dalla fedele moglie. Le persone si ritrovano nella piazza per partecipare alla processione pasquale, che si conclude in chiesa con la funzione solenne. Santuzza, scomunicata per la sua relazione scandalosa con Turiddu, non può entrare nel tempio e ferma mamma Lucia, rivelando il suo disperato amore e la sua difficile situazione di donna sedotta solo per consolazione. Turiddu infatti è innamorato di Lola. Mamma Lucia entra in chiesa, angosciata da un triste presentimento. Rimasta sola, Santuzza affronta Turiddu che si sta avvicinando, ma lui non vuole ascoltarla. Prima mente sulle assenze da casa e sui suoi incontri con Lola, poi si oppone alle contestazioni della donna con arroganza. Lo scontro è momentaneamente interrotto dal passaggio di Lola che intona uno stornello provocante dedicato a Turiddu. Entrata in chiesa riprende il confronto tra i due amanti sempre più drammatico e dai toni accesi, fino a quando

Santuzza, esasperata, gli urla la sua maledizione: «A te la mala Pasqua, spergiuro!». Al sopraggiungere di compar Alfio, Santuzza, sconvolta, gli svela la tresca di Turiddu con sua moglie, e l’uomo, con furore contenuto, giura di vendicare il suo onore. Terminata la funzione, un gruppo di uomini si sofferma all’osteria mentre Turiddu invita gli amici a un brindisi pasquale. Offre da bere a compar Alfio che declina malamente l’invito: tutti ammutoliscono. Le donne invitano Lola ad andare a casa. Turiddu stringe in un abbraccio Alfio e gli morde, secondo un’antica liturgia rusticana, l’orecchio destro. Alfio replica che si intenderanno bene. Il rituale della sfida è concluso, l’appuntamento è immediato, negli orti vicini, appena fuori dal paese. Prima di seguire il rivale, Turiddu invoca la madre, chiedendo la sua benedizione, come il giorno in cui partì soldato. La povera donna non sa rendersi conto di quell’improvvisa commozione, ma Turiddu non le lascia il tempo di domandare, dice d’essere alterato dal troppo vino bevuto e la implora, se mai non dovesse tornare, di fare da madre a Santuzza, che resterebbe sola al mondo dopo che lui l’ha disonorata. Poi la bacia ripetutamente e fugge verso la campagna. Il dramma si compie in un attimo. Dai vicoli si ode un indistinto mormorio e subito il grido straziante di una donna che accorre sulla piazza: «Hanno ammazzato compare Turiddu!».


70 SYNOPSIS

ONE ACT Sicily, late 19th century. The curtain is closed and Turiddu sings a serenade – a “Sicilian” – for Lola, the young woman he was in love with, now married to the wealthy carter Alfio. Santuzza, on the other hand, is Turiddu’s lover. She holds a suspect that the man is back to flirting with Lola. She goes looking for him, reaches his home and finds his mother Lucia, who asks her to leave her son alone. He is in Frankfurt to collect wine. Santuzza tells Lucia that it cannot be true, as Turiddu has been seen in town. Lucia starts seeing the truth and she invites Santuzza inside, to talk privately. Alfio comes around soon after, with a group of fellow villagers, praising euphorically his own free life as a carter, who each night returns to his faithful wife. People gather in the main square for the Easter procession, to be followed by mass inside the church. Santuzza, cast out of the religious community because of her affair with Turiddu, cannot enter the church and stops Lucia on her way inside, to avow her desperate love and her feeling exploited, seduced, just as a replacement. Turiddu is clearly in love with Lola. Lucia enters the church with a sad foreboding. Alone, Santuzza decides to face a reluctant Turiddu, who is walking in her direction. He first lies about his absence from home, then arrogantly refuses the woman’s allegations. Their quarrel is interrupted by Lola, who passes by and sings a sensual song to Turiddu. Once Lola is inside the church, the two lovers fight again, more violently, until Santuzza loses control and curses her lover by saying: “May your Easter be cursed, you traitor!” As Alfio arrives, Santuzza, now desperate, tells him all about Turiddu and Lola’s affair. Alfio keeps his cool but swears to revenge his honour.

Cavalleria rusticana After mass, a group of men stop at the inn, while Turiddu invites his friends to toast to Easter. He hands a drink to Alfio, who nastily rejects it. All the other men remain silent. The women invite Lola to head home. Turiddu holds Alfio in his arms and, in line with an ancient countryside tradition, he bites Alfio’s ear. Alfio tells him they will understand each other very well. The challenge is set and a meeting is soon arranged, in the nearby gardens at the outskirts of the village. Before following his rival, Turiddu calls for his mother’s blessing, which he previously received when he joined the army. The miserable woman doesn’t realize what his son is thinking, and before she can ask any question he tells her he is too drunk to think straight and begs her to take care of Santuzza, should he never return. Santuzza would otherwise be alone in the world, since he dishonoured her. He then kisses his mother several times and runs away into the country. The tragedy is soon consumed: voices can be heard from the village streets, followed by a woman’s desperate cry: “Turiddu has been killed!”


Soggetto DIE HANDLUNG

Sizilien, Ende des 19.Jahrhunderts. Man hört aus dem Hintergrund Turiddu eine Serenade für Lola singen, in die er verliebt war und die während einer Abwesenheit von ihm den wohlhabenden Kutscher Alfio geheiratet hat. Santuzza, die jetzt mit Turiddu zusammen ist, befürchtet, dass dieser wieder Lola den Hof macht und sucht ihn bei ihm zu Hause. Dort findet er dessen Mutter, Mama Lucia, die sie bittet ihren Sohn in Ruhe zu lassen und sagt, er seie in Francofonte, um dort Wein zu holen. Santuzza antwortet ihr, dass das nicht stimme. Turiddu seie im Dorf gesehen worden und Lucia begreift die Wahrheit. Sie bittet Santuzza ins Haus, um ihr alles zu erzählen, ohne von den Nachbarn gehört zu werden. In der Zwischenzeit kommt Alfio mit einigen Freunden, die fröhlich über das schöne Leben der Kutscher singen, die jeden Abend von ihren treuen Frauen zu Hause erwartet werden. Die Dorfbewohner versammeln sich auf dem Marktplatz für die Osterprozession, die in der Kirche mit dem Hochamt endet. Santuzza ist wegen ihres skandalösen Verhältnisses zu Turiddu exkommuniziert worden und darf nicht in die Kirche eintreten. Sie hält Mama Lucia auf, um dieser von ihrer verzweifelten Liebe und ihrer schrecklichen Situation zu erzählen - um sich trösten zu lassen. Turiddu ist tatsächlich in Lola verliebt. Mama Lucia geht besorgt und mit einer bösen Vorahnung in die Kirche. Alleingeblieben tritt Santuzza Turiddu in den Weg der zur Kirche kommt, aber nicht mit ihr sprechen will. Von Santuzza aufgefordert zu sagen wo er war, lügt er und widersetzt sich ihren Anschuldigungen auf arrogante Art und Weise. Die beiden werden von Lola unterbrochen, die vorbeikommt und ein provokantes Liedchen über Turiddu anstimmt. Als diese endlich in der Kirche ist, wird der Streit zwischen den beiden immer lauter und dramatischer.

71 Völlig aufgelöst schleudert Santuzza ihm schliesslich einen Fluch entgegen. Da taucht Alfio, Lolas Ehemann auf und Santuzza erzählt ihm aufgewühlt von der Beziehung zwischen seiner Frau und Turiddu. Mit eisigen Worten schwört Alfio seine Ehre zu rächen. Nach der Messe geht eine Gruppe von Männern in die Dorfkneipe und Turiddu spricht einen österlichen Trinkspruch aus. Er bietet auch Alfio zu trinken an, dieser lehnt allerdings unwirsch ab. Stille tritt ein. Die Frauen fordern Lola auf, nach Hause zu gehen. Turiddu geht auf Alfio zu, umarmt ihn und beisst ihn ins rechte Ohr – eine typische sizialinsiche Herausforderung zum Duell, woraufhin Alfio ihm antwortet, sie werden sich sehr gut verstehen. Das Ritual der Herausvorderung ist beendet, man wird sich sofort in den nahe liegenden Gärten ausserhalb der Dorfes treffen. Bevor er seinem Rivalen folgt, beschwört Turiddu seine Mutter ihn zu segnen – genau so wie sie es getan hatte, als er als Soldat eingezogen wurde. Die arme Frau begreift ihn nicht, aber Turiddu gibt ihr keine Zeit ihn zu verstehen. Es sagt ihr, er habe wohl zu viel getrunken und fleht sie an, sich um Santuzza wie eine Mutter zu kümmern, falls er nicht zurück kommen sollte. Santuzza würde sonst allein auf der Welt sein, weil er sie entehrt habe. Daraufhin umarmt und küsst er seine Mutter und folgt Alfio. Das Drama nimmt seinen Lauf, in den Gassen hört man ein Gemurmel und kurz darauf den herzerschütternden Schrei einer Frau, die laut schluchzend mit den Worten “Turrido ist getötet worden” auf den Marktplatz gelaufen kommt.


72 SUJET

ACTE UNIQUE Sicile, fin XIXe. Derrière le rideau encore tiré, Turiddu entonne une sérénade – une chanson sicilienne – qu’il adresse à Lola, la jeune fille qu’il aimait et qu’il retrouve à son retour mariée à compère Alfio, un aisé charretier. Santuzza, la maîtresse de Turiddu, soupçonne son amant d’être revenu pour flirter avec Lola. Elle va le chercher chez lui mais n’y trouve que mamma Lucia qui lui enjoint de laisser son fils tranquille et lui apprend qu’il est parti à Francofonte chercher du vin. Santuzza rétorque que ce n’est pas vrai puisqu’il a été vu dans le village. Lucia pressent la vérité, aussi invite-t-elle la jeune femme à entrer dans la maison pour qu’elles puissent se parler sans que personne ne les entende. Au même moment compère Alfio survient, accompagné par un groupe de villageois. Celui-ci euphorique et heureux chante les joies de la vie errante et libre du charretier qui tous les soirs rentre chez lui attendu par sa fidèle épouse. Les villageois se retrouvent sur la place pour prendre part à la procession de Pâques qui se termine à l’église par une messe solennelle. Santuzza, excommuniée en raison de sa relation scandaleuse avec Turiddu, ne peut y entrer. Elle arrête mamma Lucia et lui révèle son amour désespéré et la situation difficile où elle se trouve en femme séduite par pure consolation. Turiddu est en effet amoureux de Lola. Mamma Lucia pénètre à son tour dans l’église, tenaillée par un triste pressentiment. Restée seule, Santuzza affronte Turiddu qui s’approche mais celui-ci ne veut pas l’écouter. Il commence par mentir sur ses absences de chez lui et sur ses rencontres avec Lola. Puis il s’oppose avec arrogance aux reproches de la jeune femme. Leur altercation est momentanément interrompue par le passage de Lola qui entonne un refrain provocant

Cavalleria rusticana qu’elle dédie à Turiddu. Une fois cette dernière entrée dans l’église, la confrontation entre les deux amants prend un ton de plus en plus dramatique et s’envenime, jusqu’à ce que Santuzza, excédée, hurle sa malédiction: “A te la mala Pasqua, spergiuro!” (Que Pâques te porte malheur, infâme). Lorsque compère Alfio réapparaît, Santuzza, effondrée, lui révèle la liaison entre Turiddu et sa femme. Ce dernier retenant sa colère jure de venger son honneur. La messe est maintenant terminée et un groupe de villageois s’arrête dans une taverne. Turiddu invite ses amis à boire pour fêter Pâques. Il offre également un verre à compère Alfio qui décline méchamment l’invitation: tout le monde se tait. Les femmes invitent Lola à rentrer chez elle. Turiddu serre Alfio dans ses bras et suivant une ancienne liturgie campagnarde, lui mord l’oreille droite. Alfio répond qu’ils sauront s’entendre. Le rituel du défi est maintenant conclu; le rendez-vous est pris pour tout de suite dans les vergers voisins, juste à la sortie du village. Avant de suivre son rival, Turiddu invoque sa mère et lui demande sa bénédiction, comme lors de son départ en tant que soldat. La pauvre femme n’arrive pas à comprendre la soudaine émotion éprouvée par son fils, celui-ci ne lui laissant même pas le temps de poser des questions. Il lui dit d’être troublé par l’excès de vin et l’implore, si jamais il ne revenait pas, de devenir une mère pour Santuzza, seule au monde après qu’il l’ait déshonorée. Il l’embrasse ensuite à plusieurs reprises et s’enfuit vers la campagne. Le drame se consomme en un instant. Un murmure indistinct monte des ruelles, très vite accompagné par le cri déchirant d’une femme qui accourt sur la place: “Hanno ammazzato compare Turiddu!” (On a tué Turiddu).


Alberto Gazale


Giorgio Caoduro

Pietro Adaini


SOGGETTO PAGLIACCI

PROLOGO Tonio si presenta, come portavoce dell’autore, per mostrare la poetica dell’arte: i sentimenti, le passioni, le lacrime non sono pura finzione, ma possono essere autentiche. Questo prologo può essere considerato come il manifesto del melodramma verista. ATTO PRIMO Montalto, un villaggio della Calabria, intorno al 1865. Su uno spiazzo, alle porte del paese, durante un caldo pomeriggio di mezz’agosto, festa dell’Assunta, alza le tende un teatrino da fiera. Fra squilli di tromba e colpi di grancassa arriva il carro dei comici sul quale Canio annuncia il grande spettacolo serale. Intanto Tonio, il factotum gobbo della compagnia, cerca con galante premura di aiutare Nedda a scendere dal carro, ma Canio, marito geloso, lo caccia via, schiaffeggiandolo. Tonio giura di fargliela pagare, mentre fra il pubblico qualcuno avanza insinuazioni scherzose sulla galanteria dell’uomo. Canio non sta allo scherzo e replica stizzito, affermando che vita e teatro sono due cose molto diverse e che se Nedda lo tradisse, la commedia finirebbe in tragedia. Nedda ripensa con inquietudine alla gelosia del marito, mentre Tonio che la stava spiando, le fa una patetica dichiarazione d’amore. La donna lo respinge, mentre lui cerca di baciarla: lei, arrabbiata, minaccia di riferire tutto a Canio e lo colpisce con una frusta per allontanarlo. Nello stesso momento giunge Silvio, l’amante di Nedda, che invita la donna a fuggire con lui. Nedda lo richiama alla prudenza, implora di non tentarla ma poi cede alla suadente insistenza di Silvio. Tonio ha visto tutto e corre ad avvisare Canio che sopraggiunge in tempo per cogliere

la promessa di Nedda, ma senza vedere il volto dell’uomo che fugge. Pazzo di disperazione, leva il coltello su Nedda, imponendo di rivelargli il nome dell’amante. Nedda gli resiste e mentre Canio sta per colpirla accorre Peppe a trattenerlo, scongiurando di desistere. Ora la gente sta uscendo dalla chiesa, meglio rimandare tutto, lo spettacolo deve cominciare. Occorre simulare, insinua Tonio, mentre la furia di Canio si placa. ATTO SECONDO Il pubblico gremisce festosamente il baraccone, tra gli spettatori c’è anche Silvio. Lo spettacolo comincia: Peppe (Arlecchino), Nedda (Colombina), Tonio (Taddeo) e Canio (Pagliaccio) sono gli interpreti della commedia. L’intreccio amoroso della storia sembra ripercorrere la drammatica situazione del pomeriggio, con Colombina che respinge Taddeo e flirta con Arlecchino, all’insaputa di Pagliaccio. Durante la rappresentazione Canio, piano piano, si immedesima nel ruolo del Pagliaccio tradito fino a identificarsi completamente col personaggio. Nedda-Colombina intuisce l’ambiguità degli accenti di Canio mentre il pubblico segue partecipe, senza sospettare il dramma che si sta consumando sulla scena. Canio, senza più freni, travolge la convenzione teatrale e costringe la donna a confessare il nome dell’amante. Anche il pubblico, adesso, avverte confusamente che sta avvenendo qualcosa d’insolito. Canio vuole sapere il nome, urla un’ultima volta e poi accoltella Nedda che cade in ginocchio, invocando il nome di Silvio. Questi si precipita sgomento sulla scena e Canio gli affonda la lama nel cuore. Tonio si volta verso il pubblico e annuncia cinicamente: «La commedia è finita!».


76 SYNOPSIS

PROLOGUE As the author’s spokesman, Tonio announces the poetics of arts: feelings, passions and tears are no mere fiction, they can be real. This prologue is a sort of manifesto of Verist melodrama. FIRST ACT Montalto, a village in Calabria, Southern Italy, around the year 1865. It is a hot mid-august afternoon, the Assunta is being celebrated. In an open space on the outskirts of the village a travelling theatre is set up. Trumpets and drums accompany the cart with the comedians and Canio, who is announcing the evening show. In the meantime Tonio, the company’s hunched jack-of-alltrades, gallantly helps Nedda get off the cart, but her jealous husband Canio tells him off and slaps him. Tonio swears revenge, whereas someone from the audience makes fun of the man’s gallantry. Canio does not accept the jokes and replies furiously, stating that performing and living are not the same thing, and if Nedda were unfaithful the comedy would end in tragedy. Nedda expresses her fears of her husband’s jealousy while Tonio, who spies on her, clumsily declares his love. Nedda rejects him, but Tonio tries to kiss her anyway. Nedda threatens to tell Canio and hits Tonio with a whip to chase him away. Silvio, Nedda’s lover, appears soon after. He asks the woman to run away with him. Nedda suggests to be cautious and begs him not to tempt her. She then gives in to his charming requests while Tonio, who was spying on them, runs off to summon Canio. Nedda’s husband arrives just in time to hear his wife’s promise, although he does not manage to see the man’s face as he runs off. Mad with rage, Canio points his knife at Nedda and

Pagliacci demands that she says the fugitive’s name. Nedda refuses, and right when Canio is about to hit her Peppe arrives and stops him, asking him to change his mind. People are filing out of the church, everything has to be postponed, the show is about to begin. “We have to playact”, says Tonio, while Canio’s rage fades out. SECOND ACT The theatre is packed with a cheerful crowd, Silvio is among them. The show begins: Peppe (Harlequin), Nedda (Columbine), Tonio (Taddeo), and Canio (Pagliaccio), are the protagonists on stage. The love story of the play seems to reflect real life, with Columbine rejecting Taddeo while flirting with Harlequin, and Pagliaggio who ignores it all. As the show unfolds, Canio progressively turns into Pagliaccio, until complete identification. Nedda-Columbine perceives the ambiguity in Canio’s actions while the audience follows closely, unaware of the tragedy unfolding on stage. Losing control, Canio upturns theatrical conventions and forces Nedda-Columbine to reveal her lover’s name. The audience realizes something unusual is happening. Canio insists on having the name, he cries one last time and then stabs Nedda, who falls on her knees calling Silvio’s name. The latter runs onto the stage and Canio stabs him right on his heart. Tonio turns to the audience as he cynically announces that “The comedy is over”.


Soggetto DIE HANDLUNG

PROLOG Tonio stellt sich vor, als seie er der Autor dessen, was er sagt. Er besingt di Poesie der Künste. Gefühle, Leidenschaft, Tränen können durchaus authentisch sein. Dieser Prolog wird auch als das Manifest des Verismus angesehen. ERSTER AKT Montalto, ein Dorf in Kalabrien um 1865. An einem heissen Nachmittag schlagen die Künstler eines kleinen Strassentheaters ihre Zelte auf einem Platz an den Toren des Ortes auf. Es ist Himmelfahrt. Unter Trompetenklang und Paukenschlag kommt der Theaterwagen mit Canio, der die abendliche Vorstellung lautstark ankündigt. In der Zwischenzeit bemüht sich Tonio, das buckelige Faktotum der Kompanie, mit galanten Gesten Nedda aus dem Wagen zu helfen. Deren eifersüchtiger Mann Canio verscheucht ihn allerdings mit Ohrfeigen. Tonio schwört, dies Canio heim zu zahlen und aus dem Publikum ertönen belustigte Andeutungen über die Galanterie der Männer. Canio versteht allerdings keinen Spass und antwortet gereizt, dass das Leben und Theater zwei unterschiedliche Dinge seien und dass die Komödie zur Tragödie würde, falls Nedda ihn betrügen sollte. Beunruhigt denkt Nedda an die Eifersucht ihres Mannes, während Tonio, der sie heimlich beobachtet hatte, ihr eine leidenschaftliche Liebeserklärung macht. Die Frau wehrt ihn ab, als er versucht, sie zu küssen. Ärgerlich droht sie ihm, alles Canio zu erzählen und schlägt ihn mit einer Peitsche, um ihn zuück zu drängen. Im selben Moment kommt Silvio, der Liebhaber Neddas, der sie bittet mit ihm zu fliehen. Nedda fleht ihn inständig an vorsichtig zu sein und sie nicht in Versuchung zu führen,

77 gibt dann aber seinem Drängen nach. Tonio, der die Szene beobachtet hat, läuft zu Canio und erzählt ihm, was er gesehen hat. Dieser kommt sofort, kann allerdings nicht das Gesicht des fliehenden Silvios erkennen. Wild vor Verzweiflung bedroht er Nedda mit einem Messer und befiehlt ihr, den Namen des Mannes zu nennen. Nedda hält ihm stand und während Canio nun auf sie einstechen will, kommt Beppe auf die Szene und versucht Canio zurück zu halten. Im gleichen Augenblick kommen die Dorfbewohner aus der Kirche. Es ist besser alles zu verschieben und zu schauspielern, in der Haffnung das sich die Wut Canios legt. ZWEITER AKT Fröhlich-festlich füllt das Publikum das Strassentheater. Unter ihnen befindet sich auch Silvio. Die Vorstellung beginnt: Beppe (Harlekin), Nedda (Colombina), Tonio (Taddeo) und Canio (Bajazzo) sind die Schauspieler der Komödie. Die Verwicklung der Liebesgeschichte des Stückes scheint die Ereignisse des Nachmittags wider zu spiegeln, mit Colombina, die Taddeo zurückweist und dann hinter dem Rücken von dem Bajazzo mit dem Harlekin flirtet. Während der Vorstellung identifiziert Canio sich langsam aber sicher mit dem betrogenen Bajazzo. NeddaColombina beginnt zu ahnen, was die Doppeldeutigkeit der Akzente von Canio bedeuten, während das Publikum ganz in der Geschichte aufgeht, ohne etwas von dem Drama, dass sich auf der Bühne abspielt, zu merken. Da zwingt der inzwischen zügellose Canio die Frau den Namen des Liebhabers preis zu geben, wobei er sämtliche Regeln des Theaterspiels bricht. Natürlich merkt jetzt auch das Publikum, dass etwas ungewöhnliches geschieht. Canio will den Namen wissen, schreit ein letztes Mal und ersticht dann Nedda, die sterbend den Namen von Silvio ruft. Dieser stürzt entsetzt auf die Bühne und Canio sticht ihm sein Messer ins Herz. Tonio dreht sich zum Publikum um und kündigt zynisch an: “Die Komödie ist beendet” .


78 SUJET

PROLOGUE Tonio se présente comme étant le porte-parole de l’auteur venu montrer la poétique de l’art: les sentiments, les passions, les larmes ne sont pas une pure fiction mais peuvent être authentiques. Ce prologue peut être considéré comme étant le manifeste du mélodramme vériste. PREMIER ACTE Un village de Calabre, Monfalto, aux alentours de 1865. Sur une esplanade aux portes du village, lors d’un après-midi ensoleillé de la mi-août, le jour de la fête de l’Assomption, une troupe de théâtre ambulant monte sa baraque. Accompagné de grands coups de clairon et de roulements de tambour, le char des comédiens apparaît. Canio y annonce le grand spectacle du soir. Pendant ce temps-là, Tonio, le bossu homme à tout faire de la troupe tente avec galant empressement de faire descendre Nedda du char. Canio, en mari jaloux, le chasse en le gifflant. Tonio jure qu’il la lui paiera alors que dans la foule, fusent des insinuations enjouées sur sa galanterie. Canio ne comprenant pas la plaisanterie, répond irrité que la vie et le théâtre sont deux choses bien distinctes et que si Nedda devait le tromper, la comédie finirait en tragédie. Inquiète, Nedda se remémore la jalousie de son mari pendant que Tonio, qui était en train de l’épier, lui fait une déclaration d’amour pathétique. Elle le repousse alors que celui-ci tente de l’embrasser: furieuse, elle menace de tout raconter à Canio et avec un fouet le frappe pour l’éloigner. Au même moment Silvio, l’amant de Nedda, fait son apparition. Il invite la jeune femme à fuir avec lui. Nedda le rappelle à la prudence, l’implore de cesser de l’induire en tentation mais finit par céder aux tendres avances de Silvio. Tonio a tout vu et court prévenir Canio. Celui-ci arrive juste

Pagliacci à temps pour surprendre la promesse de Nedda mais ne peut parvenir à apercevoir le visage de l’homme qui s’enfuit. Fou de désespoir, il brandit un couteau sur Nedda en l’exhortant à lui révéler le nom de son amant. Nedda lui résiste. Alors que Canio est sur le point de la frapper, Peppe accourt pour le retenir, en le suppliant de renoncer à son geste. Les gens sortent maintenant de l’église, mieux vaut tout remettre à plus tard car le spectacle doit commencer. Il faut maintenant simuler, insinue Tonio, alors que s’apaise la fureur de Canio. DEUXIÈME ACTE Le public se presse joyeusement dans la baraque foraine, Silvio est parmi les spectateurs. Le spectacle commence: Peppe (Arlequin), Nedda (Colombina), Tonio (Taddeo) et Canio (Pagliaccio) sont les interprètes de la comédie. L’intrigue amoureuse de l’histoire semble reparcourir la situation dramatique survenue dans l’après-midi: Colombina repousse Taddeo et flirte avec Arlequin à l’insu de Pagliaccio. Au fil de la représentation, Canio s’identifie peu à peu dans le rôle de Pagliaccio, pauvre mari trompé, jusqu’à ne faire plus qu’un avec le personnage. Nedda-Colombina pressent l’ambiguïté des accents de Canio alors que le public qui prend part au spectacle ne soupçonne aucunement le drame qui est en train de s’accomplir sur la scène. Canio, déchaîné, enfreint toute convention théâtrale et oblige sa femme à avouer le nom de son amant. Le public ressent confusément maintenant que quelque chose d’insolite est en train de se produire. Canio veut que ce nom lui soit révélé, hurle une dernière fois, puis poignarde Nedda qui tombe à genoux en prononçant le nom de Silvio. Ce dernier se précipite affolé sur la scène mais Canio lui enfonce la lame en plein coeur. Tonio se tourne vers le public et annonce cyniquement: “la commedia è finita!” (“la comédie est finie”).


Coro donne


Elisabetta Martorana


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Cavalleria rusticana Atto unico

Turiddu O Lola ch’ai di latti la cammisa si bianca e russa comu la cirasa, quannu t’affacci fai la vucca a risu, biato cui ti dà lu primu vasu! Ntra la porta tua lu sangu è sparsu, e nun me ‘mporta si ce muoro accisu... e s’iddu muoru e vaju mparadisu si nun ce truovu a ttia, mancu ce trasu. Donne Gli aranci olezzano sui verdi margini, cantan le allodole tra i mirti in fior; tempo è si mormori da ognuno il tenero canto che i palpiti raddoppia al cor. Uomini In mezzo al campo tra le spiche d’oro giunge il rumore delle vostre spole, noi stanchi riposando dal lavoro a voi pensiam, o belle occhi-di-sole. A voi corriamo come vola l’augello al suo richiamo.

Donne Cessin le rustiche opre: la Vergine serena allietasi del Salvator; tempo è si mormori da ognuno il tenero canto che i palpiti raddoppia al cor. Santuzza Dite, mamma Lucia... Lucia Sei tu? Che vuoi? Santuzza Turiddu ov’è? Lucia Fin qui vieni a cercare il figlio mio? Santuzza Voglio saper soltanto, perdonatemi voi, dove trovarlo. Lucia Non lo so, non lo so, non voglio brighe! Santuzza Mamma Lucia, vi supplico piangendo, fate come il Signore a Maddalena, ditemi per pietà dov’è Turiddu... Lucia È andato per il vino a Francofonte.


Cavalleria rusticana

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Santuzza No! L’han visto in paese ad alta notte. Lucia Che dici? Se non è tornato a casa! Entra! Santuzza Non posso entrare in casa vostra. Sono scomunicata! Lucia E che ne sai del mio figliolo? Santuzza Quale spina ho in core! Alfio Il cavallo scalpita, i sonagli squillano, schiocchi la frusta. Ehi là! Soffi il vento gelido, cada l’acqua o nevichi, a me che cosa fa? Coro O che bel mestiere fare il carrettiere, andar di qua e di là! Alfio M’aspetta a casa Lola che m’ama e mi consola, ch’è tutta fedeltà. Il cavallo scalpiti,

i sonagli squillino, è Pasqua ed io son qua! Lucia Beato voi, compar Alfio, che siete sempre allegro così! Alfio Mamma Lucia, n’avete ancora di quel vecchio vino? Lucia Non so; Turiddu è andato a provvederne. Alfio Se è sempre qui! L’ho visto stamattina vicino a casa mia. Lucia Come? Santuzza Tacete. Alfio Io me ne vado, ite voi altre in chiesa. Coro Regina coeli laetare Alleluja! Quia quem meruisti portare... Alleluja! Resurrexit sicut dixit Alleluja!


Atto unico

Santuzza, Lucia e Coro Inneggiamo, il Signor non è morto! Ei fulgente ha dischiuso l’avel, inneggiam al Signore risorto oggi asceso alla gloria del ciel! Lucia Perché m’hai fatto segno di tacere?

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Andate o mamma, ad implorare Iddio, e pregate per me. Verrà Turiddu, vo’ supplicarlo un’altra volta ancora! Lucia Aiutatela voi, Santa Maria! Turiddu Tu qui, Santuzza? Santuzza Qui t’aspettavo.

Santuzza Voi lo sapete, o mamma, prima d’andar soldato, Turiddu aveva a Lola eterna fé giurato. Tornò, la seppe sposa; e con un nuovo amore volle spegner la fiamma che gli bruciava il core: m’amò, l’amai. Quell’invidia d’ogni delizia mia, del suo sposo dimentica, arse di gelosia... me l’ha rapito... priva dell’onor mio rimango: Lola e Turiddu s’amano, io piango, io piango!

Santuzza Non vo. Debbo parlarti...

Lucia Miseri noi, che cosa vieni a dirmi in questo santo giorno?

Santuzza Dove sei stato?

Santuzza Io son dannata.

Turiddu È Pasqua, in chiesa non vai?

Turiddu Mamma cercavo. Santuzza Debbo parlarti. Turiddu Qui no! Qui no!

Turiddu Che vuoi tu dire? A Francofonte!


Chiara Fracasso


Atto unico

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Santuzza No, non è ver!

Turiddu No!

Turiddu Santuzza, credimi.

Santuzza Assai più bella è Lola.

Santuzza No, non mentire; ti vidi volger giù dal sentier... e stamattina, all’alba, t’hanno scorto presso l’uscio di Lola. Turiddu Ah! Mi hai spiato? Santuzza No! Te lo giuro, a noi l’ha raccontato compar Alfio, il marito, poco fa. Turiddu Cosi ricambi l’amor che ti porto? Vuoi che m’uccida? Santuzza Oh! Questo non lo dire. Turiddu Lasciami dunque, lasciami; invan tenti sopire il giusto sdegno colla tua pietà. Santuzza Tu l’ami dunque?

Turiddu Taci, non l’amo. Santuzza L’ami... oh! Maledetta! Turiddu Santuzza! Santuzza Quella cattiva femmina ti tolse a me! Turiddu Bada, Santuzza, schiavo non sono di questa vana tua gelosia! Santuzza Battimi, insultami, t’amo e perdono, ma è troppo forte l’angoscia mia. Lola Fior di giaggiolo, gli angeli belli stanno a mille in cielo, ma bello come lui ce n’è uno solo. Oh! Turiddu, è passato Alfio?


Cavalleria rusticana

86

Turiddu Son giunto ora in piazza, non so...

Santuzza Sì, resta, resta, ho da parlarti ancora!

Lola Forse è rimasto dal maniscalco, ma non può tardare. E voi sentite le funzioni in piazza?

Lola E v’assista il Signore, io me ne vado.

Turiddu Santuzza mi narrava...

Santuzza L’hai voluto, e ben ti sta!

Santuzza Gli dicevo che oggi è Pasqua e il Signor vede ogni cosa!

Turiddu Ah! Per dio!

Lola Non venite alla messa? Santuzza Io no, ci deve andar chi sa di non aver peccato! Lola Io ringrazio il Signore, e bacio in terra! Santuzza Oh, fate bene, Lola... Turiddu Andiamo, andiamo... qui non abbiam che fare. Lola Oh! Rimanete...

Turiddu Ah! Lo vedi, che hai tu detto?

Santuzza Squarciami il petto! Turiddu No! Santuzza Turiddu, ascolta! Turiddu Va’! Santuzza No, no, Turiddu, rimani ancora. abbandonarmi dunque tu vuoi? Turiddu Perché seguirmi, perché spiarmi sul limitare fin della chiesa?


Atto unico

Santuzza La tua Santuzza piange e t’implora; come cacciarla così tu puoi? Turiddu Va’, ti ripeto va’, non tediarmi, pentirsi è vano dopo l’offesa! Santuzza Bada! Turiddu Dell’ira tua non mi curo! Santuzza A te la mala Pasqua, spergiuro! Santuzza Oh! Il Signore vi manda, compar Alfio. Alfio A che punto è la messa? Santuzza È tardi ormai, ma per voi, Lola è andata con Turiddu! Alfio Che avete detto? Santuzza Che mentre correte all’acqua e al vento a guadagnarvi il pane,

87

Lola v’adorna il tetto in malo modo! Alfio Ah! Nel nome di Dio, Santa, che dite? Santuzza Il ver. Turiddu mi tolse l’onore, e vostra moglie lui rapiva a me! Alfio Se voi mentite, vo’ schiantarvi il core! Santuzza Uso a mentire il labbro mio non è! Per la vergogna mia, pel mio dolore la triste verità vi dissi, ahimè! Alfio Comare Santa, allor grato vi sono... Santuzza Infame io son che vi parlai cosi! Alfio Infami loro: ad essi non perdono, vendetta avrò pria che tramonti il dì. Io sangue voglio,



Atto unico

all’ira m’abbandono, in odio tutto l’amor mio finì... Uomini A casa, a casa, amici, ove ci aspettano le nostre donne, andiam. Or che letizia rasserena gli animi senza indugio corriam. Donne A casa, a casa, amiche, ove ci aspettano i nostri sposi, andiam. Or che letizia rasserena gli animi senza indugio corriam. Turiddu Comare Lola, ve ne andate via senza nemmeno salutare?

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nel bicchiere scintillante come il riso dell’amante; mite infonde il giubilo! Viva il vino ch’è sincero che ci allieta ogni pensiero, e che annega l’umor nero, nell’ebbrezza tenera. Turiddu Ai vostri amori! Lola Alla fortuna vostra! Turiddu Beviam! Coro Beviam! Rinnovisi la giostra! Alfio A voi tutti salute! Coro Compar Alfio, salute.

Lola Vado a casa: non ho visto compar Alfio!

Turiddu Benvenuto! Con noi dovete bere, ecco, pieno è il bicchiere.

Turiddu Non ci pensate, verrà in piazza. Intanto, amici, qua, beviamone un bicchiere.

Alfio Grazie, ma il vostro vino io non l’accetto, diverrebbe veleno entro il mio petto.

Turiddu e Coro Viva il vino spumeggiante,

Turiddu A piacer vostro!


Cavalleria rusticana

90

Lola Ahimè! Che mai sarà?

vi saprò in core il ferro mio piantar!

Donne Comare Lola, andiamo via di qua.

Alfio Compare, fate come più vi piace, io v’aspetto qui fuori dietro l’orto.

Turiddu Avete altro a dirmi? Alfio Io? Nulla. Turiddu Allora sono agli ordini vostri. Alfio Or ora? Turiddu Or ora. Alfio Compare Turiddu, avete morso a buono... c’intenderemo bene, a quel che pare! Turiddu Compar Alfio! Lo so che il torto è mio; e ve lo giuro nel nome di Dio che al par d’un cane mi farei sgozzar, ma s’io non vivo, resta abbandonata... povera Santa! Lei che mi s’è data...

Turiddu Mamma, quel vino è generoso, e certo oggi troppi bicchieri ne ho tracannati... vado fuori all’aperto... ma prima voglio che mi benedite come quel giorno che partii soldato... e poi... mamma, sentite, s’io non tornassi... voi dovrete fare da madre a Santa, ch’io le avea giurato di condurla all’altare. Lucia Perché parli così, figliuol mio? Turiddu Oh! Nulla! È il vino che mi ha suggerito! Per me pregate Iddio! Un bacio, mamma! Un altro bacio... addio! Lucia Turiddu? Che vuoi dire? Turiddu! Santuzza!...


Atto unico

Santuzza Oh! Madre mia! Donne Hanno ammazzato compare Turiddu! Tutti Ah!...

91




Anna Pirozzi


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Pagliacci Prologo

Tonio Si può? Si può? Signore! Signori! Scusatemi se da sol mi presento. Io sono il Prologo. Poiché in scena ancor le antiche maschere mette l’autore, in parte ei vuol riprendere le vecchie usanze, e a voi di nuovo inviami. Ma non per dirvi come pria «Le lacrime che noi versiam son false! Degli spasimi e de’ nostri martir non allarmatevi!» No! L’autore ha cercato invece pingervi uno squarcio di vita. Egli ha per massima sol che l’artista è un uomo, e che per gli uomini scrivere ei deve. Ed al vero ispiravasi. Un nido di memorie in fondo a l’anima cantava un giorno, ed ei con vere lacrime scrisse, e i singhiozzi il tempo gli battevano! Dunque, vedrete amar sì come s’amano gli esseri umani, vedrete de l’odio i tristi frutti. Del dolor gli spasimi, urli di rabbia, udrete, e risa ciniche! E voi, piuttosto che le nostre povere gabbane d’istrïoni, le nostr’anime

considerate, poiché siam uomini di carne e d’ossa, e che di quest’orfano mondo al pari di voi spiriamo l’aere! Il concetto vi dissi... or ascoltate com’egli è svolto. Andiam. Incominciate!


Rafael Davila


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Atto primo

Uomini e Donne Son qua! - Ritornano. Pagliaccio è là! Tutti lo seguono, grandi e ragazzi ai motti, ai lazzi applaude ognun. Già fra le strida i monelli In aria gittano i lor cappelli fra strida e sibili diggià. Ed egli serio saluta e passa e torna a battere sulla gran cassa. Ragazzi Ehi, sferza l’asino, bravo Arlecchino!

Evviva! Il principe sei dei pagliacci! I guai discacci tu col lieto umore! Evviva! Ognun applaude ai motti, ai lazzi... ed ei, ei serio saluta e passa... viva! Viva Pagliaccio! Evviva Pagliaccio, t’applaude ognun! Canio Grazie... La folla Bravo! Canio Vorrei... La folla E lo spettacolo? Canio Signori miei! La folla Uh! Ci assorda! Finiscila!

Canio Itene al diavolo!

Canio Mi accordan di parlar?

Peppe To’! Birichino!

La folla Con lui si dée cedere, tacere ed ascoltar!

La folla Ecco il carretto! Indietro... arrivano... che diavolerio! Dio benedetto! Tutti Viva Pagliaccio!

Canio Un grande spettacolo a ventitré ore prepara il vostr’umile e buon servitore!


Pagliacci

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Vedrete le smanie del bravo Pagliaccio; e com’ei si vendica e tende un bel laccio. Vedrete di Tonio tremar la carcassa, e quale matassa d’intrighi ordirà. Venite, onorateci signori e Signore. A ventitré ore! Tutti Verremo, e tu serbaci Il tuo buon umore. A ventitré ore! Canio Via di lì. Donne Prendi questo, bel galante! Ragazzi Con salute! Tonio La pagherai! Brigante! Un contadino Di’, con noi vuoi tu bevere un buon bicchiere sulla crocevia? Di’, vuoi tu?

Canio Di’ Tonio, vieni via? Tonio Io netto il somarello. Precedetemi. Un altro contadino Bada, Pagliaccio, ei solo vuol restare per far la corte a Nedda. Canio Eh! Eh! Vi pare?... Un tal gioco, credetemi, è meglio non giocarlo con me, miei cari; e a Tonio, e un poco a tutti or parlo! Il teatro e la vita non son la stessa cosa; no... non son la stessa cosa! E se lassù Pagliaccio sorprende la sua sposa col bel galante in camera, fa un comico sermone, poi si calma od arrendesi ai colpi di bastone! Ed il pubblico applaude, ridendo allegramente! Ma se Nedda sul serio sorprendessi... altramente finirebbe la storia, com’è ver che vi parlo! Un tal gioco, credetemi, è meglio non giocarlo! Nedda Confusa io son!

Canio Con piacere.

Contadini Sul serio pigli dunque la cosa?

Peppe Aspettatemi... anch’io ci sto!

Canio Io? Vi pare! Scusatemi! Adoro la mia sposa!


Atto primo

Ragazzi I zampognari! I vecchi Verso la chiesa vanno i compari. Contadini Essi accompagnano la comitiva che a coppie al vespero se n’va giuliva. Contadine Ah! Andiam. La campana ci appella al Signore! Canio Ma poi ricordatevi! A ventitré ore! Coro Din, don, suona vespero, ragazze e garzon, a coppie al tempio ci affrettiam! Din, don, diggià i culmini, il sol, vuol baciar. Le mamme ci adocchiano, attenti, compar! Din, don, tutto irradiasi di luce e d’amor. Ma i vecchi sorvegliano gli arditi amador! Din, don, suona vespero, ragazze e garzon, le squille ci appellano al tempio. Din don. Nedda Qual fiamma avea nel guardo!

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Gli occhi abbassai per tema ch’ei leggesse il mio pensier segreto. Oh! S’ei mi sorprendesse... brutale come egli è! Ma basti, or via. Son questi sogni paurosi e fole! O che bel sole di mezz’agosto! Io son piena di vita, e, tutta illanguidita per arcano desìo, non so che bramo! Oh! Che volo d’augelli, e quante strida! Che chiedon? Dove van? Chissà? La mamma mia, che la buona ventura annunziava, comprendeva il lor canto e a me bambina così cantava: «Hui! Stridono lassù, liberamente lanciati a vol come frecce, gli augel. Disfidano le nubi e il sol cocente, e vanno, e vanno per le vie del ciel. Lasciateli vagar per l’atmosfera, questi assetati di azzurro e di splendor: seguono anch’essi un sogno, una chimera, e vanno, e vanno fra le nubi d’or. Che incalzi il vento e latri la tempesta, con l’ali aperte san tutto sfidar; la pioggia, i lampi, nulla mai li arresta, e vanno, e vanno sugli abissi e i mar. Vanno laggiù verso un paese strano che sognan forse e che cercano invan. Ma i boemi del ciel seguon l’arcano poter che li sospinge... e van! E van!» Nedda Sei là? Credea che te ne fossi andato! Tonio È colpa del tuo canto. Affascinato io mi beava! Nedda Ah! Ah! Quanta poesia!


Pagliacci

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Tonio Non rider, Nedda! Nedda Va’, va’ all’osteria! Tonio So ben che difforme, contorto son io; che desto soltanto lo scherno o l’orror. Eppure ha’l pensiero un sogno, un desìo, e un palpito il cor! Allor che sdegnosa mi passi d’accanto, non sai tu che pianto mi spreme il dolor! Perché, mio malgrado, subito ho l’incanto, m’ha vinto l’amor! Oh! lasciami, lasciami or dirti... Nedda Che m’ami? Hai tempo a ridirmelo stasera, se il brami! Facendo le smorfie colà sulla scena! Tonio Non rider, Nedda. Nedda Per ora tal pena ti puoi risparmiar! Tonio Nedda? Nedda? No! È qui che voglio dirtelo! E tu m’ascolterai, che t’amo, e ti desidero, e che tu mia sarai! Nedda Eh! Dite, mastro Tonio!

La gobba oggi vi prude, o una tirata d’orecchi è necessaria al vostro ardor? Tonio Ti beffi? Sciagurata! Per la croce di Dio, bada che puoi pagarla cara! Nedda Minacci? Vuoi che vada a chiamar Canio? Tonio Non prima ch’io ti baci! Nedda Bada! Tonio Oh, tosto sarai mia! Nedda Miserabile! Tonio Per la Vergin pia di mezz’agosto, Nedda, lo giuro, me la pagherai! Nedda Aspide! Va’! Paura non mi fai! Io t’ho compreso. Hai l’animo siccome il corpo tuo difforme, lurido! Silvio Nedda! Nedda Silvio, a quest’ora, che imprudenza...


Atto primo

Silvio Ah, bah! Sapea ch’io non rischiavo nulla. Canio e Peppe da lunge alla taverna ho scorto! Ma prudente per la macchia a me nota qui ne venni. Nedda E ancora un poco in Tonio t’imbattevi!

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Silvio Nedda, Nedda, rispondimi: se è ver che Canio non amasti mai, se è ver che t’è in odio il ramingar e il mestier che tu fai, se l’immenso amor tuo una fola non è, questa notte partiam! Fuggi, fuggi, con me!

Nedda Il gobbo è da temersi! M’ama... or qui me’l disse, e nel bestial delirio suo, baci chiedendo, ardia correr su me!

Nedda Non mi tentar! Vuoi tu perder la vita mia? Taci, Silvio, non più! È deliro, è follia! Io mi confido a te, a te cui diedi il cor. Non abusar di me, del mio febbrile amor! Non mi tentar! E poi chissà! Meglio è partir. Sta il destin contro noi. È vano il nostro dir! Eppure dal mio cor strapparti non poss’io, vivrò sol dell’amor ch’hai destato al cor mio!

Silvio Per Dio!

Silvio No, più non m’ami!

Nedda Ma con la frusta del cane immondo la foga calmai.

Tonio Ah! T’ho colta, sgualdrina!

Silvio Oh! Tonio il gobbo!

Silvio E fra quest’ansie in eterno vivrai? Decidi il mio destin, Nedda, Nedda rimani! Tu il sai, la festa ha fin e parte ognun domani. Nedda, Nedda! E quando tu di qui sarai partita che addiverrà di me, de la mia vita? Nedda Silvio!

Nedda Sì, t’amo! T’amo! Silvio E parti domattina? E allor perché, di’, tu m’hai stregato, se vuoi lasciarmi senza pietà? Quel bacio tuo perché me l’hai dato fra spasmi ardenti di voluttà? Se tu scordasti l’ore fugaci, io non lo posso, e voglio ancor, que’ spasmi ardenti, que’ caldi baci, che tanta febbre m’han messo in cor!


Pagliacci

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Nedda Nulla scordai, sconvolta e turbata m’ha questo amor che nel guardo ti sfavilla. Viver voglio a te avvinta, affascinata, una vita d’amor calma e tranquilla. A te mi dono: su me solo impera. Ed io ti prendo e m’abbandono intera. Nedda e Silvio Tutto scordiam! Nedda Negli occhi mi guarda! Baciami! Silvio Ti guardo, ti bacio! Verrai? Nedda Sì. Baciami. Sì, mi guarda e mi bacia! Nedda e Silvio Sì, ti guardo e ti bacio; t’amo, t’amo! Tonio Cammina adagio e li sorprenderai.

Nedda Fuggi! Aitalo, Signor! Canio Vile, T’ascondi! Tonio Ah! Ah! Ah! Nedda Bravo! Bravo il mio Tonio! Tonio Fo quel che posso! Nedda È quello che pensavo! Tonio Ma di far assai meglio non dispero. Nedda Mi fai schifo e ribrezzo. Tonio Oh, non sai come lieto ne son!

Silvio Ad alta notte laggiù mi terrò. Cauta discendi e mi ritroverai.

Canio Derisione e scherno! Nulla! Ei ben lo conosce quel sentier. Fa lo stesso; poiché del drudo il nome or mi dirai.

Nedda A stanotte, e per sempre tua sarò!

Nedda Chi?

Canio Ah!

Canio Tu, pel Padre Eterno!


Atto primo

E se in questo momento qui scannata non t’ho già, gli è perché, pria di lordarla nel tuo fetido sangue, o svergognata, codesta lama, io vo’ il suo nome. Parla! Nedda Vano è l’insulto, e muto il labbro mio. Canio Il nome, il nome, non tardare, o donna! Nedda No, no, nol dirò giammai. Canio Per la Madonna! Peppe Padron! Che fate! Per l’amor di Dio! La gente esce di chiesa e a lo spettacolo qui muove; andiamo, via, calmatevi! Canio Lasciami, Peppe. Il nome, il nome! Peppe Tonio, Vieni a tenerlo. Andiamo, arriva il pubblico! Vi spiegherete. E voi di lì tiratevi. Andatevi a vestir. Sapete, Canio è violento, ma buon! Canio Infamia! Infamia! Tonio Calmatevi, padrone. È meglio fingere;

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il ganzo tornerà. Di me fidatevi. Io la sorveglio. Ora facciam la recita. Chissà ch’egli non venga a lo spettacolo e si tradisca! Or via! Bisogna fingere per riuscir. Peppe Andiamo, via, vestitevi, padrone. E tu batti la cassa, Tonio. Canio Recitar! Mentre preso dal delirio non so più quel che dico e quel che faccio! Eppur... è d’uopo... sforzati! Bah, sei tu forse un uom? Tu se’ Pagliaccio! Vesti la giubba e la faccia infarina. La gente paga e rider vuole qua. E se Arlecchin t’invola Colombina, ridi Pagliaccio, e ognun applaudirà! Tramuta in lazzi lo spasmo ed il pianto; in una smorfia il singhiozzo e il dolor... ridi, Pagliaccio, sul tuo amore infranto! Ridi del duol che t’avvelena il cor!


Marco Caria


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Atto secondo

Donne Presto, affrettiamoci, svelto, compare, ché lo spettacolo dêe cominciare. Cerchiam di metterci ben sul davanti. Tonio Avanti, avanti! Si dà principio, avanti, avanti! Pigliate posto! Su! Uomini Veh, come corrono le bricconcelle! Accomodatevi, comari belle. O Dio che correre per giunger tosto qua! Avanti, avanti! Tutti Via su spicciatevi, incominciate. Perché tardate? Siam tutti là! La folla Incominciate! Perché tardar! Suvvia questa commedia! Facciam rumore!

Diggià suonar ventitré ore! Allo spettacolo ognun anela! Ah! S’alza la tela! Silenzio. Olà. Colombina (Nedda) Pagliaccio mio marito a tarda notte sol ritornerà. E quello scimunito di Taddeo perché mai non è ancor qua? Arlecchino (Peppe) O Colombina, il tenero fido Arlecchin è a te vicin! Ver te chiamando, e sospirando, aspetta il poverin! La tua faccetta mostrami, ch’io vo’ baciar senza tardar la tua boccuccia. Amor mi cruccia e mi sta a tormentar! O Colombina schiudimi il finestrin, ché a te vicin, di te chiamando e sospirando è il povero Arlecchin! A te vicin è Arlecchin! Colombina (Nedda) Di fare il segno convenuto appressa l’istante, ed Arlecchino aspetta! Taddeo (Tonio) È dessa! Dèi, come è bella! Se a la rubella io disvelassi l’amor mio che commuove sino i sassi! Lungi è lo sposo,


Pagliacci

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perché non oso? Soli noi siamo e senza alcun sospetto! Orsù. Proviamo! Colombina (Nedda) Sei tu, bestia? Taddeo (Tonio) Quell’io son, sì! Colombina (Nedda) E Pagliaccio è partito? Taddeo (Tonio) Egli partì! Colombina (Nedda) Che fai così impalato? Il pollo hai tu comprato? Taddeo (Tonio) Ecco, vergin divina! Ed anzi, eccoci entrambi ai piedi tuoi! Poiché l’ora è suonata, o Colombina, di svelarti il mio cor! Di’, udirmi vuoi? Dal dì... Colombina (Nedda) Quanto spendesti dal trattore? Taddeo (Tonio) Uno e cinquanta. Da quel dì il mio core... Colombina (Nedda) Non seccarmi, Taddeo! Taddeo (Tonio) So che sei pura e casta al par di neve! E ben che dura ti mostri, ad obliarti non riesco!

Arlecchino (Peppe) Va’ a pigliar fresco! Taddeo (Tonio) Numi! S’aman! M’arrendo ai detti tuoi. Vi benedico! Là, veglio su voi! Colombina (Nedda) Arlecchin! Arlecchino (Peppe) Colombina! Alfin s’arrenda ai nostri prieghi amor! Colombina (Nedda) Facciam merenda. Guarda, amor mio, che splendida cenetta preparai! Arlecchino (Peppe) Guarda, amor mio, che nettare divino t’apportai! Colombina (Nedda) e Arlecchino (Peppe) L’amore ama gli effluvii del vin, de la cucina! Arlecchino (Peppe) Mia ghiotta Colombina! Colombina (Nedda) Amabile beon! Arlecchino (Peppe) Prendi questo narcotico, dallo a Pagliaccio pria che s’addormenti, e poi fuggiam insiem! Colombina (Nedda) Sì, porgi.


Atto secondo

Taddeo (Tonio) Attenti! Pagliaccio è là tutto stravolto, ed armi cerca! Ei sa tutto. Io corro a barricarmi! Colombina (Nedda) Via! Arlecchino (Peppe) Versa il filtro ne la tazza sua. Colombina (Nedda) A stanotte... e per sempre io sarò tua. Canio Nome di Dio! Quelle stesse parole! Coraggio! Un uomo era con te. Nedda Che fole! Sei briaco? Canio Briaco! Sì, da un’ora! Nedda Tornasti presto. Canio Ma in tempo! T’accora, dolce sposina? Ah! Sola io ti credea e due posti son là. Nedda Con me sedea Taddeo che là si chiuse per paura. Orsù, parla!

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Tonio Credetela. Essa è pura! E abborre dal mentir quel labbro pio! Canio Per la morte! Smettiamo! Ho dritto anch’io d’agir come ogni altr’uomo. Il nome suo! Nedda Di chi? Canio Vo’ il nome dell’amante tuo, del drudo infame a cui ti désti in braccio, o turpe donna! Nedda Pagliaccio! Pagliaccio! Canio No! Pagliaccio non son; se il viso è pallido è di vergogna, e smania di vendetta! L’uom riprende i suoi dritti, e ’l cor che sanguina vuol sangue a lavar l’onta, o maledetta! No, Pagliaccio non son! Son quei che stolido ti raccolse orfanella in su la via quasi morta di fame, e un nome offrìati, ed un amor ch’era febbre e follia! Donne Comare, mi fa piangere! Par vera questa scena! Uomini Zitte laggiù! Che diamine!


Pagliacci

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Silvio Io mi ritengo appena! Canio Sperai, tanto il delirio accecato m’aveva, se non amor, pietà, mercè! Ed ogni sacrifizio al cor, lieto, imponeva, e fidente credeva più che in Dio stesso, in te! Ma il vizio alberga sol ne l’alma tua negletta: tu viscere non hai... sol legge è ‘l senso a te! Va’, non merti il mio duol, o meretrice abbietta, Vo’ ne lo sprezzo mio schiacciarti sotto i piè! La folla Bravo! Nedda Ebben, se mi giudichi di te indegna, mi scaccia in questo istante.

era... il pauroso ed innocuo Arlecchino! Canio Ah! Tu mi sfidi! E ancor non l’hai capita ch’io non ti cedo? Il nome, o la tua vita! Il nome! Nedda No, per mia madre! Indegna esser poss’io, quello che vuoi, ma vil non son, per Dio! Di quel tuo sdegno è l’amor mio più forte. Non parlerò. No, a costo de la morte! Contadini e contadine Fanno davvero? Seria è la cosa? Seria è la cosa e scura! Zitti, zitti laggiù! Silvio Io non resisto più! Oh la strana commedia! Peppe Bisogna uscire, Tonio! Ho paura. Tonio Taci, sciocco!

Canio Ah! Ah! Di meglio chiedere non dêi che correr tosto al caro amante. Se’ furba! No! Per Dio! Tu resterai e il nome del tuo ganzo mi dirai!

Canio Il nome! Il nome!

Nedda Suvvia, così terribile davver non ti credea! Qui nulla v’ha di tragico. Vieni a dirgli, o Taddeo, che l’uom seduto or dianzi a me vicino

Silvio Santo diavolo! Fa davvero...

Nedda No!

Canio A te! A te! Di morte negli spasimi lo dirai!


Atto secondo

La folla e Peppe Che fai? Ferma! Ferma! Nedda Soccorso! Silvio! Silvio Nedda! Canio Ah! Sei tu! Ben venga! La folla Gesummaria! Canio La commedia è finita!

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David Crescenzi


SFERISTERIO 26 luglio, 1*, 7 agosto - ore 21.00 Anteprima giovani 23 luglio - ore 21.00 Giacomo Puccini

La Bohème Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica Rappresentante CASA RICORDI, Milano

Carmela Remigio Arturo Chacón-Cruz Larissa Alice Wissel Damiano Salerno Andrea Porta Andrea Concetti Alessandro Pucci Antonio Stragapede Giacomo Medici Roberto Gattei Gianni Paci Giovanni Di Deo

Mimì Rodolfo Musetta Marcello Schaunard Colline Parpignol Benoît Alcindoro Sergente dei doganieri Doganiere Un venditore

Direttore David Crescenzi Regia Leo Muscato Scene Federica Parolini Costumi Silvia Aymonino Luci Alessandro Verazzi Maestro del coro Carlo Morganti Maestro del coro di voci bianche Gian Luca Paolucci Regista assistente Alessandra De Angelis Fondazione Orchestra Regionale delle Marche Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini” Coro di voci bianche Pueri Cantores “D. Zamberletti” Complesso di palcoscenico Banda “Salvadei” * serata con audio descrizione in collaborazione con Unione Italiana Ciechi e Museo Tattile Statale Omero


Leo Muscato


115 Direttore di scena Mauro De Santis Direttore musicale di palcoscenico Gianfranco Stortoni Vocal coach Simone Savina Maestro di sala Meri Piersanti Maestri di palcoscenico Chiara Cirilli, Sara Zampetti Maestro alle luci Melissa Mastrolorenzi Maestro ai sopratitoli Daniele Gabrielli Assistente direttore di scena Ermelinda Suella Mimi Paolo Andrenucci, Giuseppe Lorenzo Badagliacca, Andrea Bassi, Flaminia Candelori, Antonio Mattia Fersini, Mauro Losapio, Simone Mandolini, Mariangela Massarelli, Marta Negrini, Daniela Pecchia, Raffaella Tricarico, Urszula Wojtkowiak Figuranti Franco Bury, Chiara D’Abramo, Paolo Stortini Direttore di palcoscenico Mauro De Santis Responsabile allestimento e servizi di palcoscenico Enrico Sampaolesi Logistica Giorgio Alici Biondi Scenografo realizzatore Serafino Botticelli Capo macchinista Secondo Caterbetti Capo elettricista Fabrizio Gobbi Responsabile sartoria Simonetta Palmucci Responsabile vestizioni Maria Antonietta Lucarelli Capo attrezzista Emanuela Di Piro Capo squadra aiuti tecnici Mauricio Cesar Pasquali Responsabile parrucco Serena Mercanti Responsabile trucco Raffaella Cipolato Coordinatrice personale di sala Caterina Ortolani Fotografo Alfredo Tabocchini Scene Chiediscena, Lanciano (Ch) - Laboratori del Macerata Opera Festival Attrezzeria Laboratori del Macerata Opera Festival Costumi SlowCostume, Roma - Sartoria Nori, Bracciano (Rm) - Sartoria del Macerata Opera Festival Calzature Pompei 2000, Roma Parrucche Audello, Torino Illuminotecnica Stas, Terni Fonica AMService, Macerata Sopratitoli e audio descrizioni Macerata Opera Festival e Università di Macerata Hanno collaborato alla realizzazione delle scene gli allievi dell’Accademia delle Belle Arti di Macerata


Alessandra De Angelis


117 La malattia flessibile. I giovani e il futuro negato.

Diego Fusaro Nell’opera di Puccini La Bohème ci troviamo di fronte a un gruppo di giovani artisti che hanno sposato un modo di vivere libero dalle convenzioni sociali, che però li costringe a vivere un disagio quotidiano dovuto alla mancanza di punti fermi e soprattutto alla carenza economica. Il bohemien è infatti colui che non rinuncerebbe mai alla sua libertà di costruire la propria esistenza secondo ciò che più lo rende felice, scelta ovviamente coraggiosa. Sopportare il disagio quotidiano è poca cosa rapportato al senso di libertà. Oggi come allora però l’uscire dal sistema sociale, soprattutto per un giovane, è molto pericoloso e spesso conduce l’illusione giovanile a naufragare contro gli scogli della realtà. Almeno gli artisti della Bohème potevano sperare in una vita diversa, mentre i ragazzi di oggi sono letteralmente disperati, spinti dal mercato e dalla politica a non credere più in un possibile futuro diverso. Paradossalmente la libertà nella nostra società si è ridotta a dismisura, nonostante la percezione soggettiva sia esattamente opposta: possiamo fare tante più cose, ma non riusciamo a scegliere liberamente. La sopravvivenza infatti della società capitalistica e del mercato globale è possibile solo se il singolo diviene manipolabile a tal punto da indirizzare la propria esistenza su obiettivi imposti dal mercato e non dal proprio libero arbitrio. Come ho cercato di chiarire e argomentare nel mio studio Il futuro è nostro. Filosofia dell’azione (Bompiani, 2014), siamo palesemente al cospetto di un’ingegneria antropologica che, manipolando senza sosta il “parco umano”, aspira a espropriare i giovani della stabilità esistenziale e lavorativa indispensabile per progettare e per costruire liberamente il futuro. L’encomio, ovunque dilagante, di

una gioventù illimitata si rivela esso stesso funzionale alla precarizzazione lavorativa ed esistenziale. Il giovanilismo è, da questo punto di vista, tra i massimi nemici dei giovani. Per un verso, l’encomio dei giovani è la vernice che occulta la gerontocrazia dilagante della nostra società, in cui la gioventù è costantemente elogiata se si presta alle funzioni più inutili e oscene (spettacolarizzazione dei corpi e delle prestazioni fisiche, dalle “veline” ai calciatori) e, insieme, tenuta a distanza da ogni ruolo di rilievo, nella cultura come nella politica. Per un altro verso, se oggi si è considerati “diversamente giovani” fino a cinquant’anni, questo accade perché si è idealmente precari fino al termine della propria attività lavorativa sia nella vita sociale, sia in quella affettiva, incapaci cioè di stabilizzare la propria esistenza nelle tradizionali forme familiari (non a caso continuamente irrise come istituzioni borghesi del passato) e lavorative (il posto fisso e stabile, garantito e, dunque, tale da rendere possibile la stabile progettazione di un futuro). Il presente integralmente reificato neutralizza ogni residuo elemento dell’eticità borghese di stampo hegeliano e, insieme, ogni anelito marxiano all’emancipazione mediata dal trascendimento dello stato di cose. La stessa distruzione della famiglia che si sta oggi verificando con intensità sempre crescente si inscrive in questo orizzonte. Se la famiglia comporta, per sua natura, la stabilità affettiva e sentimentale, biologica e lavorativa, la sua distruzione risulta pienamente coerente con il processo in atto di precarizzazione delle esistenze. Anche in questo, per inciso, il pensiero hegeliano si rivela dissonante rispetto al presente: Hegel, infatti, teorizza la stabilità professionale e quella affettiva di tipo familiare come fondamento dell’eticità, là dove il capitalismo speculativo dissolve entrambe. Più precisamente, rimuovendo la stabilità lavorativa tramite il precariato, rende, di fatto, impossibile il costituirsi del nucleo familiare. In questo senso, con le sue battaglie contro la famiglia tradizionale, la sinistra non ha smesso di lavorare per il re di Prussia, assecondando la dinamica stessa del mercato


118 e della sua logica di sviluppo antiborghese. Come suggerito da Massimo Recalcati, la famiglia odierna, quando ancora esista, è disordinata e stratificata, priva di un nucleo e strutturata secondo le forme più eteroclite: dalle gravidanze affidate a una persona esterna alla coppia alle adozioni nelle coppie omosessuali, dalle separazioni sempre crescenti all’inseminazione artificiale. Secondo quanto ho tentato di dimostrare nel mio saggio Minima mercatalia. Filosofia e capitalismo (Bompiani, 2012), l’ultracapitalismo flessibile e precario è per sua stessa natura “giovanilistico”, data la difficile compatibilità delle fasce non giovani con la nuova logica flessibile. Quest’ultima ha rapidamente creato un nuovo modello umano, l’homo precarius (l’“uomo flessibile” di cui ha parlato Sennett) per il quale instabilità, rischio e incertezza sono integrati nella vita quotidiana: e questo secondo un’unione, mai sperimentata prima, di disorganizzazione anomica e di controllo capillare che coincide, de facto, con la fine di quello che è stato definito “capitalismo organizzato”. La larvata teleologia della logica di precarizzazione è orientata alla trasformazione – mediante l’inedita “elaborazione forzata di un nuovo tipo umano”, per impiegare la formula utilizzata da Gramsci in relazione all’americanismo – della precarietà in una dimensione naturale, in modo che tutto (dal lavoro alla professione, dai rapporti sentimentali a quelli esistenziali) diventi flessibile e precario. La disarticolazione delle due istituzioni borghesi della scuola e della famiglia – promossa dalla struttura capitalistica e santificata dalla sovrastruttura di sinistra e postmoderna – si inscrive in questa logica e, di più, ne segna il compimento. Il sogno inconfessato dei giovani disintegrati nella struttura e integrati nella sovrastruttura, contrari ideologicamente alla famiglia e concretamente impossibilitati a costruirne una, è sempre più spesso il libero accesso alla fruizione delle merci più ricercate che il sistema immette nel circuito della circolazione. In forza della loro disintegrazione strutturale, non sono nelle condizioni di

La Bohème potersele permettere; per via della loro integrazione sovrastrutturale, non sono in grado di contestare l’alienazione generale, ossia la cifra del mondo storico che riduce il senso dell’esistenza all’unidimensionalità reificata della forma merce. L’immaginario dei giovani è colonizzato dal monopolio imperialistico della cultura americana e dell’occidentalismo senza coscienza infelice, negli stili di vita come nei programmi televisivi e nelle canzoni rigorosamente in lingua inglese che, sulle frequenze di tutte le radio, saturano le loro orecchie e ottundono le loro menti. Quando non sia anestetizzata dal sensibilmente sovrasensibile del mondo ridotto a merce, la coscienza politica dei giovani è completamente colonizzata da passioni la cui unica funzione è quella di mantenerli a distanza di sicurezza dalla possibile consapevolezza della vera contraddizione del presente, della violenza di cui sono quotidianamente vittime. Infatti, i due poli alternativi e segretamente complementari dell’antifascismo rosso e dell’anticomunismo nero saturano l’immaginario politico dei giovani, ottundendone la capacità critica e rendendoli ciechi dinanzi alle contraddizioni capitalistiche, sempre invisibili nello scontro delle fazioni apparentemente opposte. Il nemico è identificato con il ritorno possibile e sempre in agguato dei totalitarismi del passato, mai con quelle leggi del mercato e con quel dispotismo dell’economia che privano le nuove generazioni del futuro, del lavoro e della dignità. È sempre accaduto che, come nelle lotte di classe, anche i conflitti tra le grammatiche fossero asimmetrici: il vocabolario e la lingua dei dominati sono sempre stati subalterni rispetto a quelli dei dominanti. Mai, tuttavia, la subalternità strutturale dei dominati era stata accompagnata così fedelmente da quella sovrastrutturale. Mai era accaduto, nell’intera storia umana, che una guerra venisse condotta sulle carte militari fornite direttamente dal nemico. In conclusione, ritornando alla storia raccontata nella Bohème, vorrei sottolineare come la libertà del giovane


La malattia flessibile. I giovani e il futuro negato. non può sopravvivere al di fuori delle regole della società, come appunto l’opera ci suggerisce. La società avrebbe il compito di mettere regole utili agli uomini per raggiungere la loro autorealizzazione, mentre oggi sono le persone che vengono usate da chi “ordina” la società. E dato che le cose sono peggiori rispetto al tempo in cui si svolgono i fatti della Bohème, se i protagonisti hanno incontrato un brutto epilogo, come possiamo finire noi? È per questo che non bisogna perdere il coraggio e capire che la libertà va conquistata non con un atto di forza che ci pone fuori dalla società, ma con un impegno serio e costruttivo per cambiare la società stessa.

119


Carmela Remigio


121 SOGGETTO

QUADRO PRIMO Parigi. Nella soffitta dove vivono, Rodolfo e Marcello cercano di riscaldarsi bruciando un manoscritto di Rodolfo. Arrivano anche Colline, il filosofo della compagnia, e Schaunard, un musicista che ha avventurosamente guadagnato qualche soldo. Gli amici decidono di festeggiare la vigilia di Natale al ristorante Momus, ma arriva Benoît, il padrone di casa venuto a reclamare l’affitto. Costui, costretto a bere dagli inquilini, si lascia andare a confidenze sulle sue infedeltà coniugali e viene cacciato dai giovani che si fingono indignati. I quattro amici escono, ma Rodolfo si attarda. Sente bussare alla porta: è Mimì, una giovane inquilina del palazzo che domanda al vicino di riaccenderle il lume spentosi per le scale. Mimì si sente male: è il primo sintomo della tisi e Rodolfo la rinfranca con un po’ di vino accanto al fuoco. Quando la giovane sta per andarsene, si accorge di aver smarrito la chiave della stanza; un colpo d’aria spegne la sua candela e quella del giovane. Inginocchiati sul pavimento, al buio, i due iniziano a cercarla; Rodolfo la trova, la nasconde in tasca e prende la piccola mano di Mimì. Gli amici dalla strada protestano per l’attesa che si prolunga. Rodolfo li assicura che presto li raggiungerà e stringe Mimì in un abbraccio. I due giovani escono scambiandosi parole d’amore. QUADRO SECONDO Tra la folla del Quartiere Latino, davanti al Momus, Colline e Schaunard fanno acquisti, mentre Rodolfo e Mimì camminano felici. Solo Marcello è triste: la bella Musetta lo ha abbandonato per rincorrere nuovi amori. Al caffè di Momus i giovani, dopo la presentazione di Mimì, ordinano la cena e appare intanto Musetta, seguita da un ricco anziano ammiratore, Alcindoro de Mitonneaux. La bella giovane,

allontanato con un pretesto il vecchio amante, civetta con Marcello che non riesce a resisterle e i due fuggono con gli amici unendosi alla folla che segue la banda militare e lasciando i conti da pagare ad Alcindoro. QUADRO TERZO Alla Barriera d’Enfer, Mimì, pallida e sofferente, parla con Marcello: la vita con Rodolfo è diventata impossibile per le continue liti. Dal cabaret esce Rodolfo che ha passato la notte ospite dell’amico. Mimì si nasconde e può ascoltare la dolorosa confessione di Rodolfo a Marcello. L’uomo sa che la giovane è morente per la tisi e avrebbe bisogno di cure e di una casa calda, perciò è necessaria la separazione. La tosse e i singhiozzi tradiscono la sua presenza e Rodolfo la stringe amorosamente tra le braccia. Al colloquio dei due amanti, che si allontanano dopo la decisione di rinviare a primavera l’addio, si intreccia un serio litigio tra Musetta e Marcello, divorati dalla gelosia: anch’essi si separeranno. QUADRO QUARTO Rodolfo e Marcello, ormai separati dalle giovani, pensano con dolorosa nostalgia ai giorni belli dell’amore. Giungono Colline e Schaunard con una magra cena: pane e un’aringa. Arriva anche Musetta, con voce rotta, dicendo che Mimì si è accasciata sfinita per le scale. Ella è tornata morente nel luogo della sua felicità. Circondata dal calore degli amici e dell’amato Rodolfo ricorda con tenerezza i momenti del primo incontro, dell’inizio dell’amore. Adagiata sul guanciale, Mimì muore silenziosamente tra la disperazione dell’amato.


122 SYNOPSIS

ACT ONE Paris. In their garret, Rodolfo and Marcello try to keep warm by burning one of Rodolfo’s manuscripts. They are joined by Colline, the group’s philosopher, and Schaunard, a musician who has incredibly managed to make some money. They decide to celebrate Christmas Eve at the Momus cafè when Benoît, their landlord, turns up to collect the rent. Forced to drink by his tenants, he tells them of his flirtations and they throw him out of the flat in mock indignation. All four friends are about to leave the flat, but Rodolfo decides to stay behind. There is a knock on the door: it is Mimì, a young neighbour who asks Rodolfo to relight her candle which has gone out on the stairs. Mimì feels unwell: the first symptoms of her consumption appear. Rodolfo helps her recover by offering her some wine by the fire. As she is about to leave, she discovers she has dropped her key. Both their candles are blown out as they kneel on the floor to look for the key. In the darkness, Rodolfo finds it, hides it in his pocket and takes Mimì’s little hand. Meanwhile, the three friends in the street call out on Rodolfo to hurry; he says he is about to join them and takes Mimì in his arms. The two declare their love and leave the flat together. ACT TWO In the busy Quartier Latin, right in front of the Momus cafè, Colline and Schaunard buy from street vendors while Rodolfo and Mimì walk happily together. Marcello is sad: beautiful Musetta has left him for some new lover. Once in the cafè, Mimì gets introduced to Rodolfo’s friends and they all order food. Meanwhile Musetta appears, followed by the elderly, wealthy Alcindoro de Mitonneaux. The charming girl manages to send her old lover away and she then flirts

La Bohème with Marcello. The latter can’t resist her and they run away together with the rest of the group, joining the crowd gathered behind a marching military band and leaving Alcindoro to pay the bill. ACT THREE At the Barrière d’Enfer Mimì, pale and suffering, talks to Marcello. Her life with Rodolfo is miserable, as a consequence of their endless fights. Rodolfo, who has spent the night with his friend, emerges from the cabaret. Mimì hides and listens to Rodolfo’s painful confession to Marcello. He knows Mimì is dying of consumption and she needs treatment and a warmer house to live. Therefore, they cannot but part. Overwhelmed by sobs and coughs, Mimì can no longer hide from Rodolfo. He takes her in his loving arms and they vow to wait until spring before they separate. At the same time, Musetta and Marcello argue and storm out on each other, consumed by jealousy. They also resolve to part soon. ACT FOUR Rodolfo and Marcello, both left without a woman, talk nostalgically about the good old days with their lost loves. Colline and Schaunard join them with a meagre meal: bread and one herring. Musetta also comes in, desperately announcing that Mimì has fallen ill on the stairs. About to die, she has wanted to come back where she had found happiness. Surrounded by her friends and her beloved Rodolfo, she tenderly recalls their first meeting, the very beginning of her love. Resting on the pillow, Mimì passes away quitely. Rodolfo desperately cries out her name.


Soggetto DIE HANDLUNG

1. BILD Paris. In ihrer Dachwohnung verbrennen Rodolfo und Marcello ein Manuskript Rodolfos, um sich ein wenig am Feuer zu erwärmen. Auch Colline, der Philosoph der Runde und Schaunard treffen ein. Schaunard ist ein Musiker, der sich auf abenteuerliche Weise ein bisschen Geld zusammen verdient hat. Die Freunde beschließen Heilig Abend im Restaurant Momus zu feiern. Sie werden allerdings von Benoît, dem Vermieter aufgehalten, der seine Miete einklagt. Zum Trinken aufgefordert, lässt er sich zu Trauseligkeiten über seine Untreue in der Ehe hinreißen. Sich ganz empört stellend, schmeißen die vier Freunde ihn aus der Wohnung. Rodolfo erledigt noch ein paar Dinge, während seine Freunde schon einmal voraus gehen. Es klopft an der Tür. Es ist Mimì, eine Nachbarin, die Rodolfo bittet, ihr Feuer für ihr Licht zu geben, das ihr im Treppenhaus ausgegangen ist. Mimì hat einen Schwächeanfall, Rodolfo versucht ihr zu helfen. Als die junge Frau später gehen möchte, merkt sie, dass sie ihren Zimmerschlüssel verloren hat. Da löscht ein Windzug die Kerzen der jungen Leute aus. Beide suchen auf den Knien tastend den Fussboden nach dem Schlüssel ab. Rodolfo findet ihn, versteckt ihn in seiner Tasche und nimmt Mimìs Hände zwischen die seine. Die Freunde rufen Rodolfo von der Straße. Dieser versichert ihnen er komme gleich und umarmt Mimì. Die beiden verlassen, eng umschlungen, die Wohnung. 2. BILD Vor dem Momus im Quartier Latin mischen sich Rodolfo und Mimì unter die Leute, während Colline und Schaunard ein paar Einkäufe tätigen. Nur Marcello ist traurig. Die schöne Musetta hat ihn verlassen, um neuen Liebschaften nachzulaufen. Mimì wird den Freunden vorgestellt und die jungen Leute setzten sich ins Momus. Da erscheint auch Musetta mit

123 Alcindoro de Mitoneaux im Schlepptau, einem reichen, älteren Verehrer. Die schöne Musetta befreit sich unter einem Vorwand von ihm und kokettiert mit Marcello, der ihr nicht widerstehen kann. Die beiden schließen sich ihren Freunden an, die ausgelassen hinter der Blaskappelle herziehen und überlassen die Rechnung des Momus Alcindoro. 3. BILD An der Schranke von Enfer spricht Mimì, bleich und erschöpft mit Marcello über ihre ständigen Streitereien mit Rodolfo, die den beiden das Leben unerträglich machen. In diesem Moment kommt Rodolfo aus dem Kabarett gleich in der Nähe, er hat die Nacht bei seinem Freund geschlafen. Mimì versteckt sich und kann die, für sie schmerzhaften Worte Rodolfos hören. Dieser weiß, daß Mimì Schwindsucht hat und dringend ärztlicher Pflege und eines warmen zu Hauses bedarf. Daher muss er sich von ihr trennen. Ihr Schluchzen und ihr Husten verraten Mimì und Rodolfo schließt sie liebevoll in seine Arme. Das Gespräch der beiden, die beschließen, ihren Abschied in den Frühling zu verlegen, wird öfters vom lautstarken Streit Musettas und Marcellos übertönt, die von Eifersucht zermürbt auch beschließen, sich zu trennen. 4. BILD Rodolfo und Marcello, die inzwischen von ihren Freundinnen getrennt leben, denken sehnsüchtig an die schönen Tage der Liebe zurück. Da treffen auch Colline und Schaunard ein – sie haben ein mageres Abendessen organisiert: trocken Brot und einen Hering. Da kommt auch Musetta, die aufgeregt den Freunden erzählt, Mimì sei auf der Treppe zu ihnen hoch in Ohnmacht gefallen. Als sie den Tod herannahen spürte, wollte sie unter ihren Freunden, am Ort ihres größten Glücks sein. Von den Freunden und ihrem geliebten Rodolfo umgeben, erinnert sie sich noch einmal an ihre erste Begegnung. Zur entsetzten Verzweiflung Rodolfos, stirbt Mimì.


124 SUJET

ACTE PREMIER Paris. Dans le comble dans lequel ils vivent, Rodolfo et Marcello tentent de se réchauffer en brûlant un manuscrit de Rodolfo. Sur ces entrefaites arrivent Colline, le philosophe de la troupe, et Schaunard, un musicien qui a audacieusement réussi à gagner quelques sous. Les amis décident de célébrer la veillée de Noël au restaurant Momus. Mais arrive Benoît, le propriétaire, qui vient réclamer le loyer. Ce dernier, forcé à boire par les locataires, se laisse aller à quelques confidences sur ses infidélités conjugales et se fait finalement chasser par les jeunes garçons qui feignent d’être outrés. Les quatre amis sortent mais Rodolfo s’attarde. Il entend frapper à la porte: c’est Mimì, une jeune locataire de l’immeuble qui demande à son voisin de lui réparer la lumière cassée dans l’escalier. Mimì se sent mal, c’est le premier symptôme de la tuberculose et Rodolfo la ragaillardit avec un peu de vin au coin du feu. Quand la jeune fille est sur le point de partir, il réalise qu’il a perdu la clé de la chambre. Un courant d’air éteint sa bougie et celle de la jeune fille. A genoux dans l’obscurité, les deux commencent à la chercher. Rodolfo la trouve, la cache dans sa poche et se saisit de la petite main de Mimì. Dans la rue, les amis se plaignent de l’attente qui se prolonge. Rodolfo leur assure qu’il les rejoint très vite et serre Mimì dans ses bras. Les deux jeunes gens sortent en s’échangeant des mots d’amour. ACTE DEUXIÈME En face du Momus, parmi la foule du Quartier Latin, Colline et Schaunard font des achats tandis que Rodolfo et Mimì se promènent, heureux. Seul Marcello est triste: la belle Musetta l’a abandonné pour chasser de nouveaux amants. Au café de Momus, les jeunes hommes, après la

La Bohème présentation de Mimì, commande à dîner. Apparaît alors Musetta, suivie par un riche et vieil admirateur, Alcindoro de Mitonneaux. La jolie jeune femme, ayant éloigné son vieil amant avec un prétexte, batifole avec Marcello, qui ne peut lui résister. Les deux amoureux s’enfuient avec leurs amis en s’unissant à la foule qui suit l’orchestre militaire, laissant payer l’addition à Alcindoro. ACTE TROISIÈME A la Barrière d’Enfer, Mimì, pâle et souffrante discute avec Marcello: la vie avec Rodolfo est devenue impossible à cause de leurs disputes incessantes. C’est alors que du cabaret sort Rodolfo qui a passé la nuit chez un ami. Mimì se cache et peut ainsi écouter la douloureuse confession de Rodolfo à Marcello. L’homme sait que la jeune femme est en train de mourir de la tuberculose et qu’elle aurait besoin de soins et d’une maison chaude c’est pourquoi la séparation est nécessaire. La toux et les sanglots de Mimì trahissent sa présence et Rodolfo l’enlace amoureusement. A la conversation des deux amants, qui s’éloignent après avoir pris la décision de reporter leurs adieux au printemps, s’entremêle une grave querelle entre Musetta et Marcello, dévorés par la jalousie. Eux-aussi vont se quitter. ACTE QUATRIÈME Rodolfo et Marcello, désormais séparés des deux jeunes femmes, se remémorent les beaux jours de l’amour avec douleur et nostalgie. Colline et Schaunard les rejoignent avec un maigre souper: du pain et du hareng. Survient Musetta qui explique, la voix brisée, que Mimì s’est effondrée, épuisée, dans l’escalier. Mourante, cette dernière est revenue dans le lieu qui a fait son bonheur. Enveloppée par la chaleur de ses amis et de son bien-aimé Rodolfo, elle repense avec tendresse à leur première rencontre, à la naissance de leur amour. Allongée sur l'oreiller, Mimi meurt en silence au grand désespoir de l'être aimé.


Arturo Chac贸n-Cruz


Damiano Salerno, Andrea Concetti, Andrea Porta


127

Quadro primo

Marcello Ho diacciate le dita quasi ancora le tenessi immollate giù in quella gran ghiacciaia che è il cuore di Musetta... Rodolfo L’amore è un caminetto che sciupa troppo...

Marcello Questo Mar Rosso - mi ammollisce e assidera come se addosso - mi piovesse in stille. Per vendicarmi, affogo un Faraon! Che fai?

Marcello ... e in fretta!

Rodolfo Nei cieli bigi guardo fumar dai mille comignoli Parigi e penso a quel poltrone di un vecchio caminetto ingannatore che vive in ozio come un gran signore.

Marcello ... e la donna è l’alare...

Marcello Le sue rendite oneste da un pezzo non riceve. Rodolfo Quelle sciocche foreste che fan sotto la neve? Marcello Rodolfo, io voglio dirti un mio pensier profondo: ho un freddo cane. Rodolfo Ed io, Marcel, non ti nascondo che non credo al sudore della fronte.

Rodolfo ... dove l’uomo è fascina...

Rodolfo ... l’una brucia in un soffio... Marcello ... e l’altro sta a guardare. Rodolfo Ma intanto qui si gela... Marcello ... e si muore d’inedia!... Rodolfo Fuoco ci vuole... Marcello Aspetta... sacrifichiam la sedia! Rodolfo Eureka!


La Bohème

128

Marcello Trovasti?

Rodolfo e Marcello Che lieto baglior!

Rodolfo Sì. Aguzza l’ingegno. L’idea vampi in fiamma.

Colline Già dell’Apocalisse appariscono i segni. In giorno di vigilia non si accettano pegni! Una fiammata!

Marcello Bruciamo il Mar Rosso? Rodolfo No. Puzza la tela dipinta. Il mio dramma, I’ardente mio dramma ci scaldi. Marcello Vuoi leggerlo forse? Mi geli. Rodolfo No, in cener la carta si sfaldi e l’estro rivoli ai suoi cieli. Al secol gran danno minaccia... è Roma in periglio... Marcello Gran cor! Rodolfo A te l’atto primo. Marcello Qua.

Rodolfo Zitto, si dà il mio dramma. Marcello ... al fuoco. Colline Lo trovo scintillante. Rodolfo Vivo. Colline Ma dura poco. Rodolfo La brevità, gran pregio. Colline Autore, a me la sedia. Marcello Presto. Questi intermezzi fan morire d’inedia. Rodolfo Atto secondo.

Rodolfo Straccia.

Marcello Non far sussurro.

Marcello Accendi.

Colline Pensier profondo!


Quadro primo

129

Marcello Giusto color!

Colline Bordò!

Rodolfo In quell’azzurro - guizzo languente sfuma un’ardente - scena d’amor.

Tutti Le dovizie d’una fiera il destin ci destinò.

Colline Scoppietta un foglio.

Schaunard La Banca di Francia per voi si sbilancia.

Marcello Là c’eran baci! Rodolfo Tre atti or voglio - d’un colpo udir. Colline Tal degli audaci - I’idea s’integra. Tutti Bello in allegra - vampa svanir. Marcello Oh! Dio... già s’abbassa la fiamma. Colline Che vano, che fragile dramma! Marcello Già scricchiola, increspasi, muore. Colline e Marcello Abbasso, abbasso l’autore.

Colline Raccatta, raccatta! Marcello Son pezzi di latta!... Schaunard Sei sordo?... Sei lippo? Quest’uomo chi è? Rodolfo Luigi Filippo! M’inchino al mio Re! Tutti Sta Luigi Filippo ai nostri pie’. Schaunard Or vi dirò: quest’oro, o meglio argento, ha la sua brava storia...

Rodolfo Legna!

Marcello Riscaldiamo il camino!

Marcello Sigari!

Colline Tanto freddo ha sofferto.


La Bohème

130

Schaunard Un inglese... un signor... lord o milord che sia, voleva un musicista...

Marcello Or le candele!

Rodolfo L’esca dov’è?

Schaunard E fu così: suonai tre lunghi dì... allora usai l’incanto di mia presenza bella... affascinai l’ancella... gli propinai prezzemolo!... Lorito allargò l’ali, Lorito il becco aprì, da Socrate morì!

Colline Là.

Colline Pasticcio dolce!

Marcello Qua.

Marcello Mangiar senza tovaglia?

Schaunard E mi presento. M’accetta: gli domando...

Rodolfo Un’idea...

Marcello Via! Prepariamo la tavola! Schaunard Io? Volo!

Colline Arrosto freddo! Marcello Pasticcio dolce! Schaunard A quando le lezioni?... Risponde: «Incominciam... Guardare!» (e un pappagallo m’addita al primo piano), poi soggiunge: «Voi suonare finché quello morire!». Rodolfo Fulgida folgori la sala splendida.

Colline e Marcello Il «Costituzional!» Rodolfo Ottima carta... Si mangia e si divora un’appendice! Colline Chi?!... Schaunard Che il diavolo vi porti tutti quanti! Ed or che fate? No! Queste cibarie sono la salmeria pei dì futuri


Quadro primo

tenebrosi e oscuri. Pranzare in casa il dì della vigilia mentre il Quartier Latino le sue vie addobba di salsicce e leccornie? Quando un olezzo di frittelle imbalsama le vecchie strade? Marcello, Rodolfo e Colline La vigilia di Natal! Schaunard Là le ragazze cantano contente ed han per eco ognuna uno studente! Un po’ di religione, o miei signori: si beva in casa, ma si pranzi fuori. Benoît Si può? Marcello Chi è là? Benoît Benoît! Marcello Il padrone di casa!

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Schaunard Sola! Benoît Affitto! Marcello Olà! Date una sedia. Rodolfo Presto. Benoît Non occorre. Vorrei... Schaunard Segga. Marcello Vuol bere? Benoît Grazie. Rodolfo e Colline Tocchiamo.

Schaunard Uscio sul muso.

Benoît Questo è l’ultimo trimestre.

Colline Non c’è nessuno.

Marcello Ne ho piacere.

Schaunard È chiuso.

Benoît E quindi...

Benoît Una parola.

Schaunard Ancora un sorso.


La Bohème

132

Benoît Grazie.

Benoît Eh?!

I quattro Alla sua salute!

Marcello L’hanno colto in peccato d’amore.

Benoît A lei ne vengo perché il trimestre scorso mi promise... Marcello Promisi ed or mantengo. Rodolfo Che fai?... Schaunard Sei pazzo? Marcello Ha visto? Or via, resti un momento in nostra compagnia. Dica: quant’anni ha, caro signor Benoît? Benoît Gli anni?... Per carità! Rodolfo Su e giù la nostra età.

Benoît Io? Marcello Neghi. Benoît Un caso. Marcello Bella donna! Benoît Ah! Molto. Schaunard Briccone! Colline Seduttore! Rodolfo Briccone!

Benoît Di più, molto di più.

Marcello Una quercia!... Un cannone! Il crin ricciuto e fulvo.

Colline Ha detto su e giù.

Rodolfo L’uomo ha buon gusto.

Marcello L’altra sera al Mabil...

Marcello Ei gongolava arzillo, pettoruto.


Quadro primo

133

Benoît Son vecchio, ma robusto.

Marcello Si abbruci dello zucchero.

Colline, Schaunard e Rodolfo Ei gongolava arzuto e pettorillo.

Colline Si discacci il reprobo.

Marcello E a lui cedea la femminil virtù.

Schaunard È la morale offesa che vi scaccia!

Benoît Timido in gioventù, ora me ne ripago... è uno svago qualche donnetta allegra... e... un po’... Non dico una balena, o un mappamondo, o un viso tondo da luna piena, ma magra, proprio magra, no e poi no! Le donne magre sono grattacapi e spesso... sopraccapi... e son piene di doglie, per esempio... mia moglie...

Benoît Io di...

Marcello Quest’uomo ha moglie e sconce voglie ha nel cor! Gli altri Orror! Rodolfo E ammorba, e appesta la nostra onesta magion! Gli altri Fuor!

Rodolfo, Colline Silenzio! Benoît Miei signori... Tutti Silenzio!... Via signore! Via di qua! ... e buona sera a Vostra signoria. Ah! Ah! Ah! Ah! Marcello Ho pagato il trimestre. Schaunard Al Quartiere Latino ci attende Momus. Marcello Viva chi spende! Schaunard Dividiamo il bottino! Rodolfo e Schaunard Dividiam!


La Bohème

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Marcello Là ci sono beltà scese dal cielo. Or che sei ricco, bada alla decenza! Orso, ravviati il pelo. Colline Farò la conoscenza la prima volta d’un barbitonsore. Guidatemi al ridicolo oltraggio d’un rasoio. Marcello, Schaunard e Colline Andiamo. Rodolfo Io resto per terminar l’articolo di fondo del «Castoro». Marcello Fa presto. Rodolfo Cinque minuti. Conosco il mestiere. Colline Ti aspetterem dabbasso dal portiere. Marcello Se tardi, udrai che coro! Rodolfo Cinque minuti. Schaunard Taglia corta la coda al tuo Castoro! Marcello Occhio alla scala. Tienti alla ringhiera.

Rodolfo Adagio! Colline È buio pesto. Schaunard Maledetto portier! Colline Accidenti! Rodolfo Colline, sei morto? Colline Non ancor! Marcello Vien presto! Rodolfo Non sono in vena. Chi è là? Mimì Scusi. Rodolfo Una donna! Mimì Di grazia, mi si è spento il lume. Rodolfo Ecco. Mimì Vorrebbe...?


Quadro primo

135

Rodolfo S’accomodi un momento.

Rodolfo Così?

Mimì Non occorre.

Mimì Grazie.

Rodolfo La prego, entri. Si sente male?

Rodolfo (Che bella bambina!)

Mimì No... nulla.

Mimì Ora permetta che accenda il lume. È tutto passato.

Rodolfo Impallidisce!

Rodolfo Tanta fretta?

Mimì Il respir... quelle scale...

Mimì Sì. Grazie. Buona sera.

Rodolfo Ed ora come faccio?... Così! Che viso da malata! Si sente meglio?

Rodolfo Buona sera.

Mimì Sì.

Mimì Oh! Sventata! La chiave della stanza dove l’ho lasciata?

Rodolfo Qui c’è tanto freddo. Segga vicino al fuoco. Aspetti... un po’ di vino...

Rodolfo Non stia sull’uscio; il lume vacilla al vento.

Mimì Grazie...

Mimì Oh Dio! Torni ad accenderlo.

Rodolfo A lei.

Rodolfo Oh Dio!... Anche il mio s’è spento!

Mimì Poco, poco.

Mimì E la chiave ove sarà?...


La Bohème

136

Rodolfo Buio pesto!

Mimì Mi parve...

Mimì Disgraziata!

Rodolfo In verità...

Rodolfo Ove sarà?

Mimì Cerca?

Mimì Importuna è la vicina...

Rodolfo Cerco!

Rodolfo Ma le pare?...

Mimì Ah!

Mimì Importuna è la vicina...

Rodolfo Che gelida manina! Se la lasci riscaldar. Cercar che giova? Al buio non si trova. Ma per fortuna è una notte di luna, e qui la luna l’abbiamo vicina. Aspetti, signorina, le dirò con due parole chi son, che faccio e come vivo. Vuole? Chi son? Sono un poeta. Che cosa faccio? Scrivo. E come vivo? Vivo. In povertà mia lieta scialo da gran signore rime ed inni d’amore. Per sogni, per chimere e per castelli in aria l’anima ho milionaria. Talor dal mio forziere ruban tutti i gioielli due ladri: gli occhi belli. V’entrar con voi pur ora ed i miei sogni usati e i bei sogni miei

Rodolfo Cosa dice, ma le pare! Mimì Cerchi. Rodolfo Cerco. Mimì Ove sarà?... Rodolfo Ah! Mimì L’ha trovata?... Rodolfo No!


Quadro primo

tosto son dileguati. Ma il furto non m’accora, poiché vi ha preso stanza la dolce speranza! Or che mi conoscete, parlate voi. Chi siete? Vi piaccia dir? Mimì Sì. Mi chiamano Mimì, ma il mio nome è Lucia. La storia mia è breve. A tela o a seta ricamo in casa e fuori... son tranquilla e lieta ed è mio svago far gigli e rose. Mi piaccion quelle cose che han sì dolce malìa, che parlano d’amor, di primavere, di sogni e di chimere, quelle cose che han nome poesia... lei m’intende? Rodolfo Sì. Mimì Mi chiamano Mimì, il perché non so. Sola, mi fo il pranzo da me stessa. Non vado sempre a messa, ma prego assai il Signore. Vivo sola, soletta là in una bianca cameretta: guardo sui tetti e in cielo; ma quando vien lo sgelo

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il primo sole è mio il primo bacio dell’aprile è mio! Germoglia in un vaso una rosa... foglia a foglia la spio! Cosi gentile il profumo d’un fiore! Ma i fior ch’io faccio, ahimè, non hanno odore. Altro di me non le saprei narrare. Sono la sua vicina che la vien fuori d’ora a importunare. Schaunard Ehi! Rodolfo! Colline Rodolfo! Marcello Olà. Non senti? Lumaca! Colline Poetucolo! Schaunard Accidenti al pigro! Rodolfo Scrivo ancor tre righe a volo. Mimì Chi sono? Rodolfo Amici. Schaunard Sentirai le tue.


La Bohème

138

Marcello Che te ne fai lì solo? Rodolfo Non sono solo. Siamo in due. Andate da Momus, tenete il posto, ci saremo tosto. Marcello, Schaunard e Colline Momus, Momus, Momus, zitti e discreti andiamocene via. Momus, Momus, Momus, il poeta trovò la poesia. Rodolfo O soave fanciulla, o dolce viso di mite circonfuso alba lunar in te, vivo ravviso il sogno ch’io vorrei sempre sognar! Fremon già nell’anima le dolcezze estreme, nel bacio freme amor! Mimì Ah! Tu sol comandi, amor!... (Oh! Come dolci scendono le sue lusinghe al core... tu sol comandi, amore!...) Mimì No, per pietà! Rodolfo Sei mia! Mimì V’aspettan gli amici... Rodolfo Già mi mandi via?

Mimì Vorrei dir... ma non oso... Se venissi con voi? Rodolfo Che?... Mimì? Sarebbe così dolce restar qui. C’è freddo fuori. Mimì Vi starò vicina!... Rodolfo E al ritorno? Mimì Curioso! Rodolfo Dammi il braccio, mia piccina. Mimì Obbedisco, signor! Rodolfo Che m’ami di’... Mimì Io t’amo! Rodolfo Amore! Mimì Amor!


Antonio Stragapede


Larissa Alice Wissel, Giacomo Medici


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Quadro secondo

Mimì Andiamo per la cuffietta? Rodolfo Tienti al mio braccio stretta...

Venditori Aranci, datteri! Caldi i marroni! Ninnoli, croci. Torroni! Panna montata! Caramelle! La crostata! Fringuelli, passeri! Fiori alle belle! La folla Quanta folla! Su, corriam! Che chiasso! Stringiti a me. Date il passo. Dal caffè Presto qua! Camerier! Un bicchier! Corri! Birra! Da ber! Un caffè! Venditori Latte di cocco! Giubbe! Carote! La folla Quanta folla, su, partiam! Schaunard Falso questo Re! Pipa e corno quant’è? Colline È un poco usato... ma è serio e a buon mercato... Rodolfo Andiamo.

Mimì A te mi stringo... Andiamo! Marcello Io pur mi sento in vena di gridar: chi vuol, donnine allegre, un po’ d’amor! Facciamo insieme a vendere e a comprar! Un venditore Prugne di Tours! Marcello Io dò ad un soldo il vergine mio cuor! Schaunard Fra spintoni e testate accorrendo affretta la folla e si diletta nel provar gioie matte... insoddisfatte... Alcune venditrici Ninnoli, spillette! Datteri e caramelle! Venditori Fiori alle belle! Colline Copia rara, anzi unica: la grammatica Runica!


La Bohème

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Schaunard Uomo onesto! Marcello A cena! Schaunard e Colline Rodolfo? Marcello Entrò da una modista. Rodolfo Vieni, gli amici aspettano. Venditori Panna montata! Mimì Mi sta bene questa cuffietta rosa? Monelli Latte di cocco! Venditori Oh, la crostata! Panna montata! Dal caffè Camerier! Un bicchier! Presto, olà! Ratafià! Rodolfo Sei bruna e quel color ti dona. Mimì Bel vezzo di corallo!

Rodolfo Ho uno zio milionario. Se fa senno il buon Dio, voglio comprarti un vezzo assai più bel! Monelli Ah! Ah! Ah! Ah! Sartine e studenti Ah! Ah! Ah!... Borghesi Facciam coda alla gente! Ragazze, state attente! Che chiasso! Quanta folla! Pigliam via Mazzarino! Io soffoco, partiamo! Vedi il Caffè è vicin! Andiamo là da Momus! Venditori Aranci, datteri, ninnoli, fior! Rodolfo Chi guardi? Colline Odio il profano volgo al par d’Orazio. Mimì Sei geloso? Rodolfo All’uom felice sta il sospetto accanto. Schaunard Ed io, quando mi sazio, vo’ abbondanza di spazio...


Quadro secondo

Mimì Sei felice? Marcello Vogliamo una cena prelibata. Rodolfo Ah, sì, tanto! E tu? Mimì Sì, tanto! Studenti e sartine Là da Momus! Andiamo! Marcello, Schaunard e Colline Lesto! Parpignol Ecco i giocattoli di Parpignol! Rodolfo Due posti. Colline Finalmente! Rodolfo Eccoci qui questa è Mimì, gaia fioraia. Il suo venir completa la bella compagnia, perché son io il poeta, essa la poesia.

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Dal mio cervel sbocciano i canti, dalle sue dita sbocciano i fior; dall’anime esultanti sboccia l’amor. Marcello, Schaunard e Colline Ah! Ah! Ah! Ah! Marcello Dio, che concetti rari! Colline «Digna est intrari» Schaunard «Ingrediat si necessit» Colline Io non dò che un «accessit»! Parpignol Ecco i giocattoli di Parpignol! Colline Salame! Bambine e ragazzi Parpignol, Parpignol! Ecco Parpignol, Parpignol! Col carretto tutto fior! Ecco Parpignol, Parpignol! Voglio la tromba, il cavallin, il tambur, tamburel... voglio il cannon, voglio il frustin, ... dei soldati il drappel. Schaunard Cervo arrosto!


La Bohème

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Marcello Un tacchino! Schaunard Vin del Reno! Colline Vin da tavola! Schaunard Aragosta senza crosta! Mamme Ah! Razza di furfanti indemoniati, che ci venite a fare in questo loco? A casa, a letto! Via, brutti sguaiati, gli scappellotti vi parranno poco! A casa, a letto, razza di furfanti, a letto! Un ragazzo Vo’ la tromba, il cavallin!... Rodolfo E tu, Mimì, che vuoi? Mimì La crema. Schaunard E gran sfarzo. C’è una dama! Bambine e ragazzi Viva Parpignol, Parpignol! Il tambur! Tamburel! Dei soldati il drappel!

Marcello Signorina Mimì, che dono raro le ha fatto il suo Rodolfo? Mimì Una cuffietta a pizzi, tutta rosa, ricamata; coi miei capelli bruni ben si fonde. Da tanto tempo tal cuffietta è cosa desïata!... Egli ha letto quel che il core asconde... ora colui che legge dentro a un cuore sa l’amore ed è... lettore. Schaunard Esperto professore... Colline ... che ha già diplomi e non son armi prime le sue rime... Schaunard ... tanto che sembra ver ciò ch’egli esprime!... Marcello O bella età d’inganni e d’utopie! Si crede, spera, e tutto bello appare! Rodolfo La più divina delle poesie è quella, amico, che c’insegna amare! Mimì Amare è dolce ancora più del miele... Marcello ... secondo il palato è miele, o fiele!... Mimì O Dio!... L’ho offeso!


Quadro secondo

Rodolfo È in lutto, o mia Mimì. Schaunard e Colline Allegri, e un toast!... Marcello Qua del liquor!... Mimì, Rodolfo e Marcello E via i pensier, alti i bicchier! Beviam! Tutti Beviam! Marcello Ch’io beva del tossico! Rodolfo, Schaunard e Colline Oh! Marcello Essa! Rodolfo, Schaunard e Colline Musetta! Bottegaie To’! - Lei! - Sì! - To’! - Lei! - Musetta! Siamo in auge! - Che toeletta! Alcindoro Come un facchino... correr di qua... di là... no! No! Non ci sta... non ne posso più!

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Musetta Vien, Lulù! Vien, Lulù! Schaunard Quel brutto coso mi par che sudi! Alcindoro Come! Qui fuori? Qui? Musetta Siedi, Lulù! Alcindoro Tali nomignoli, prego, serbateli al tu per tu! Musetta Non farmi il Barbablù! Colline È il vizio contegnoso... Marcello Colla casta Susanna! Mimì È pur ben vestita! Rodolfo Gli angeli vanno nudi. Mimì La conosci! Chi è?


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Marcello Domandatelo a me. Il suo nome è Musetta; cognome: tentazione! Per sua vocazione fa la Rosa dei venti; gira e muta soventi e d’amanti e d’amore. E come la civetta è uccello sanguinario; il suo cibo ordinario è il cuore... mangia il cuore!... Per questo io non ne ho più... passatemi il ragù! Musetta (Marcello mi vide... non mi guarda, il vile! Quel Schaunard che ride! Mi fan tutti una bile! Se potessi picchiar, se potessi graffiar! Ma non ho sottomano che questo pellican! Aspetta!) Ehi! Camerier! Cameriere! Questo piatto ha una puzza di rifritto! Alcindoro No, Musetta... zitta zitta! Musetta (Non si volta.) Alcindoro Zitta! Zitta! Zitta! Modi, garbo!

Musetta (Ah, non si volta!) Alcindoro A chi parli?... Colline Questo pollo è un poema! Musetta (Ora lo batto, lo batto!) Alcindoro Con chi parli?... Schaunard Il vino è prelibato. Musetta Al cameriere! Non seccar! Voglio fare il mio piacere.... Alcindoro Parla pian parla pian! Musetta ... vo’ far quel che mi pare! Non seccar. Sartine Guarda, guarda chi si vede, proprio lei, Musetta! Studenti Con quel vecchio che balbetta...


Quadro secondo

Sartine e studenti ... proprio lei, Musetta! Ah, ah, ah, ah! Musetta (Che sia geloso di questa mummia?) Alcindoro La convenienza... il grado... la virtù... Musetta ... (Vediam se mi resta tanto poter su lui da farlo cedere!) Schaunard La commedia è stupenda! Musetta Tu non mi guardi! Alcindoro Vedi bene che ordino!... Schaunard La commedia è stupenda!

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Mimì Io t’amo tanto, e son tutta tua!... Ché mi parli di perdono? Colline E l’altro invan crudel... finge di non capir, ma sugge miel!... Musetta Ma il tuo cuore martella! Alcindoro Parla piano. Musetta Quando men vo soletta per la via, la gente sosta e mira e la bellezza mia tutta ricerca in me da capo a pie’... Marcello Legatemi alla seggiola! Alcindoro Quella gente che dirà?

Rodolfo Sappi per tuo governo che non darei perdono in sempiterno.

Musetta ... ed assaporo allor la bramosia sottil, che da gli occhi traspira e dai palesi vezzi intender sa alle occulte beltà. Così l’effluvio del desìo tutta m’aggira, felice mi fa!

Schaunard Essa all’un parla perché l’altro intenda.

Alcindoro (Quel canto scurrile mi muove la bile!)

Colline Stupenda!


La Bohème

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Musetta E tu che sai, che memori e ti struggi da me tanto rifuggi? So ben: le angoscie tue non le vuoi dir, ma ti senti morir! Mimì Io vedo ben... che quella poveretta, tutta invaghita di Marcel, tutta invaghita ell’è! Alcindoro Quella gente che dirà? Rodolfo Marcello un dì l’amò. Schaunard Ah, Marcello cederà! Colline Chi sa mai quel che avverrà! Rodolfo La fraschetta l’abbandonò per poi darsi a miglior vita. Schaunard Trovan dolce al pari il laccio... Colline Santi numi, in simil briga...

Musetta (Ah! Marcello smania...) Alcindoro Parla pian! Zitta, zitta! Musetta (Marcello è vinto!) Sò ben le angoscie tue non le vuoi dir. Ah! Ma ti senti morir. Alcindoro Modi, garbo! Zitta, zitta! Musetta Io voglio fare il mio piacere! Voglio far quel che mi par, non seccar! Non seccar! Mimì Quell’infelice mi muove a pietà! Colline (Essa è bella, io non son cieco, ma piaccionmi assai più una pipa e un testo greco!)

Schaunard ... chi lo tende e chi ci dà.

Mimì T’amo! Quell’infelice mi muove a pietà! L’amor ingeneroso è tristo amor! Quell’infelice mi muove a pietà!

Colline ... mai Colline intopperà!

Rodolfo Mimì!


Quadro secondo

È fiacco amor quel che le offese vendicar non sa! Non risorge spento amor! Schaunard (Quel bravaccio a momenti cederà! Stupenda è la commedia! Marcello cederà!) Se tal vaga persona, ti trattasse a tu per tu, la tua scienza brontolona manderesti a Belzebù! Musetta (Or convien liberarsi del vecchio!) Ahi! Alcindoro Che c’è? Musetta Qual dolore, qual bruciore! Alcindoro Dove? Musetta Al pie’! Marcello Gioventù mia, tu non sei morta, né di te morto è il sovvenir! Musetta Sciogli, slaccia, rompi, straccia! Te ne imploro... laggiù c’è un calzolaio.

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Alcindoro Imprudente! Schaunard e Colline, poi Rodolfo La commedia è stupenda! Marcello Se tu battessi alla mia porta, t’andrebbe il mio core ad aprir! Musetta Corri presto! Ne voglio un altro paio. Ahi! Che fitta, maledetta scarpa stretta! Alcindoro Quella gente che dirà? Musetta Or la levo... Alcindoro Ma il mio grado! Musetta Eccola qua. Mimì Io vedo ben ell’è invaghita di Marcello! Alcindoro Vuoi ch’io comprometta? Aspetta! Musetta! Vo’. Musetta Corri, va, corri. Presto, va! Va!


La Bohème

150

Musetta Marcello!

Schaunard Come?

Marcello Sirena!

Rodolfo Ho trenta soldi in tutto!

Schaunard Siamo all’ultima scena!

Colline, Schaunard e Marcello Come? Non ce n’è più?

Rodolfo,, Schaunard e Colline Il conto?

Schaunard Ma il mio tesoro ov’è?

Schaunard Così presto?

Musetta Il mio conto date a me. Bene! Presto, sommate quello con questo! Paga il signor che stava qui con me!

Colline Chi l’ha richiesto? Schaunard Vediam! Rodolfo e Colline Caro! Monelli La Ritirata! Sartine e studenti La Ritirata! Colline,, Schaunard e Rodolfo Fuori il danaro! Schaunard Colline, Rodolfo e tu Marcel? Marcello Siamo all’asciutto!

Rodolfo, Marcello, Schaunard e Colline Paga il signor! Colline Paga il signor! Schaunard Paga il signor! Marcello ... il Signor! Musetta E dove s’è seduto ritrovi il mio saluto! Rodolfo, Marcello, Schaunard e Colline E dove s’è seduto ritrovi il mio saluto!


Quadro secondo

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Borghesi La Ritirata!

Marcello Giunge la Ritirata!

Monelli S’avvicina per di qua!?

Marcello e Colline Che il vecchio non ci veda fuggir colla sua preda!

Sartine e studenti No, di là! Monelli S’avvicinan per di là! Sartine e studenti Vien di qua! Borghesi e venditori Largo! Largo! Ragazzi Voglio veder! Voglio sentir! Mamma, voglio veder! Papà, voglio sentir! Vo’ veder la Ritirata! Mamme Lisetta, vuoi tacer? Tonio, la vuoi finir? Vuoi tacer, la vuoi finir? Sartine e borghesi S’avvicinano di qua! La folla e i venditori Sì, di qua! Monelli Come sarà arrivata la seguiremo al passo!

Marcello,, Schaunard e Colline Quella folla serrata il nascondiglio appresti! Mimì, Musetta, Rodolfo, Marcello, Schaunard e Colline Lesti, lesti, lesti! Venditori In quel rullio tu senti la patria maestà! La folla Largo, largo, eccoli qua! In fila! La folla e i venditori Ecco il Tambur Maggior! Più fier d’un antico guerrier! Il Tamburo Maggior! Gli Zappator, olà! La Ritirata è qua! Eccolo là! Il bel Tambur Maggior! La canna d’ôr, tutto splendor! Che guarda, passa, va! Rodolfo, Marcello, Schaunard e Colline Viva Musetta! Cuor birichin! Gloria ed onor, onor e gloria del quartier latin!


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La folla e i venditori Tutto splendor! Di Francia è il più bell’uom! Il bel Tambur Maggior Eccolo là! Che guarda, passa, va!

La Bohème


Coro Pueri Cantores, Alessandro Pucci


Andrea Porta, Gianfranco Stortoni


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Quadro terzo

Spazzini Ohè, là, le guardie!... Aprite!... Ohè, là! Quelli di Gentilly!... Siam gli spazzini!... Fiocca la neve... ohè, là!... Qui s’agghiaccia! Doganiere Vengo! Voci interne Chi nel ber trovò il piacer nel suo bicchier, ah! D’una bocca nell’ardor, trovò l’amor! Musetta Ah! Se nel bicchiere sta il piacer, in giovin bocca sta l’amor! Voci interne Trallerallè... Eva e Noè! Lattivendole Hopplà! Hopplà!

Lattivendole Hopplà! Buon giorno! Contadine - Burro e cacio! - Polli ed uova! - Voi da che parte andate? - A San Michele! - Ci troverem più tardi? - A mezzodì! Mimì Sa dirmi, scusi, qual’è l’osteria... dove un pittor lavora? Sergente Eccola. Mimì Grazie. O buona donna, mi fate il favore di cercarmi il pittore Marcello? Ho da parlargli. Ho tanta fretta. Ditegli, piano, che Mimì lo aspetta. Sergente Ehi, quel panier! Doganiere Vuoto! Sergente Passi!

Doganiere Son già le lattivendole!

Marcello Mimì?!

Carrettieri Hopplà!

Mimì Son io. Speravo di trovarti qui.


La Bohème

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Marcello È ver. Siam qui da un mese di quell’oste alle spese. Musetta insegna il canto ai passeggeri; io pingo quel guerrier sulla facciata. È freddo. Entrate. Mimì C’è Rodolfo?

Ahimè! In lui parla il rovello; lo so, ma che rispondergli, Marcello? Marcello Quando s’è come voi non si vive in compagnia. Son lieve a Musetta ed ella è lieve a me, perché ci amiamo in allegria... canti e risa, ecco il fior d’invariabile amor!

Marcello Sì.

Mimì Dite bene. Lasciarci conviene. Aiutateci voi; noi s’è provato più volte, ma invano. Fate voi per il meglio.

Mimì Non posso entrar.

Marcello Sta ben! Ora lo sveglio.

Marcello Perché?

Mimì Dorme?

Mimì O buon Marcello, aiuto! Marcello Cos’è avvenuto? Mimì Rodolfo m’ama. Rodolfo m’ama mi fugge e si strugge per gelosia. Un passo, un detto, un vezzo, un fior lo mettono in sospetto... onde corrucci ed ire. Talor la notte fingo di dormire e in me lo sento fiso spiarmi i sogni in viso. Mi grida ad ogni istante: non fai per me, prenditi un altro amante.

Marcello È piombato qui un’ora avanti l’alba; s’assopì sopra una panca. Guardate... che tosse! Mimì Da ieri ho l’ossa rotte. Fuggì da me stanotte dicendomi: È finita. A giorno sono uscita e me ne venni a questa volta. Marcello Si desta... s’alza, mi cerca... viene.


Quadro terzo

Mimì Ch’ei non mi veda! Marcello Or rincasate... Mimì... per carità, non fate scene qua! Rodolfo Marcello. Finalmente! Qui niun ci sente. Io voglio separarmi da Mimì. Marcello Sei volubil così? Rodolfo Già un’altra volta credetti morto il mio cor, ma di quegli occhi azzurri allo splendor esso è risorto. Ora il tedio l’assale. Marcello E gli vuoi rinnovare il funerale? Rodolfo Per sempre! Marcello Cambia metro. Dei pazzi è l’amor tetro che lacrime distilla. Se non ride e sfavilla l’amore è fiacco e roco. Tu sei geloso. Rodolfo Un poco.

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Marcello Collerico, lunatico, imbevuto di pregiudizi, noioso, cocciuto! Mimì (Or lo fa incollerir! Me poveretta!) Rodolfo Mimì è una civetta che frascheggia con tutti. Un moscardino di Viscontino le fa l’occhio di triglia. Ella sgonnella e scopre la caviglia con un far promettente e lusinghier. Marcello Lo devo dir? Non mi sembri sincer. Rodolfo Ebbene no, non lo son. Invan nascondo la mia vera tortura. Amo Mimì sovra ogni cosa al mondo, io l’amo, ma ho paura, ma ho paura! Mimì è tanto malata! Ogni dì più declina. La povera piccina è condannata! Marcello Mimì? Mimì Che vuol dire? Rodolfo Una terribil tosse l’esil petto le scuote e già le smunte gote di sangue ha rosse...


La Bohème

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Marcello Povera Mimì! Mimì Ahimè, morire! Rodolfo La mia stanza è una tana squallida... Il fuoco ho spento. V’entra e l’aggira il vento di tramontana. Essa canta e sorride e il rimorso m’assale. Me, cagion del fatale mal che l’uccide! Mimì di serra è fiore. Povertà l’ha sfiorita; per richiamarla in vita non basta amore! Marcello Che far dunque? Oh, qual pietà! Poveretta! Povera Mimì! Mimì O mia vita! Ahimè! È finita! O mia vita! È finita! Ahimè, morir! Rodolfo Che? Mimì! Tu qui? M’hai sentito? Marcello Ella dunque ascoltava?

Rodolfo Facile alla paura per nulla io m’arrovello. Vien là nel tepor! Mimì No, quel tanfo mi soffoca! Rodolfo Ah, Mimì! Marcello È Musetta che ride. Con chi ride? Ah, la civetta! Imparerai. Mimì Addio. Rodolfo Che! Vai? Mimì D’onde lieta uscì al tuo grido d’amore, torna sola Mimì al solitario nido. Ritorna un’altra volta a intesser finti fior. Addio, senza rancor. - Ascolta, ascolta. Le poche robe aduna che lasciai sparse. Nel mio cassetto stan chiusi quel cerchietto d’or e il libro di preghiere. Involgi tutto quanto in un grembiale


Quadro terzo

e manderò il portiere... - Bada, sotto il guanciale c’è la cuffietta rosa. Se... vuoi... serbarla a ricordo d’amor!... Addio, senza rancor. Rodolfo Dunque è proprio finita? Te ne vai, te ne vai, la mia piccina?! Addio, sogni d’amor!... Mimì Addio, dolce svegliare alla mattina! Rodolfo Addio, sognante vita... Mimì Addio, rabbuffi e gelosie! Rodolfo ... che un tuo sorriso acqueta! Mimì Addio, sospetti!... Marcello Baci... Mimì Pungenti amarezze!

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Soli! Mentre a primavera c’è compagno il sol! Marcello Che facevi, che dicevi presso al fuoco a quel signore? Musetta Che vuoi dir? Mimì Niuno è solo l’april. Marcello Al mio venire hai mutato colore. Musetta Quel signore mi diceva: ama il ballo, signorina? Rodolfo Si parla coi gigli e le rose. Marcello Vana, frivola, civetta! Musetta Arrossendo rispondeva: ballerei sera e mattina. Marcello Quel discorso asconde mire disoneste.

Rodolfo Ch’io da vero poeta rimavo con carezze!

Mimì Esce dai nidi un cinguettio gentile...

Mimì e Rodolfo Soli d’inverno è cosa da morire!

Musetta Voglio piena libertà!


La Bohème

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Marcello Io t’acconcio per le feste se ti colgo a incivettire!

Marcello Ve n’andate? Vi ringrazio: or son ricco divenuto. Vi saluto.

Mimì e Rodolfo Al fiorir di primavera c’è compagno il sol! Chiacchieran le fontane la brezza della sera.

Mimì e Rodolfo Vuoi che spettiam la primavera ancor?

Musetta Ché mi gridi? Ché mi canti? All’altar non siamo uniti. Marcello Bada, sotto il mio cappello non ci stan certi ornamenti... Musetta Io detesto quegli amanti che la fanno da mariti... Marcello Io non faccio da zimbello ai novizi intraprendenti. Mimì e Rodolfo Balsami stende sulle doglie umane. Musetta Fo all’amor con chi mi piace! Marcello Vana, frivola, civetta! Musetta Non ti garba? Ebbene, pace. ma Musetta se ne va.

Musetta Musetta se ne va sì, se ne va! Vi saluto. Signor: addio! Vi dico con piacer. Marcello Son servo e me ne vo! Musetta Pittore da bottega! Marcello Vipera! Musetta Rospo! Marcello Strega! Mimì Sempre tua per la vita... Rodolfo Ci lasceremo... Mimì Ci lasceremo alla stagion dei fior...


Quadro terzo

Rodolfo ... alla stagion dei fior... MimĂŹ Vorrei che eterno durasse il verno! MimĂŹ e Rodolfo Ci lascerem alla stagion dei fior!

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Carmela Remigio, Arturo Chac贸n-Cruz


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Quadro quarto

Rodolfo Evviva! Ne son contento. Marcello (Bugiardo, si strugge d’amor.)

Marcello In un coupé? Rodolfo Con pariglia e livree. Mi salutò ridendo. To’, Musetta! Le dissi: - e il cuor? - «Non batte o non lo sento grazie al velluto che il copre». Marcello Ci ho gusto davver! Rodolfo (Loiola, va! Ti rodi e ridi.) Marcello Non batte? Bene! Io pur vidi... Rodolfo Musetta? Marcello Mimì. Rodolfo L’hai vista? Oh, guarda! Marcello Era in carrozza vestita come una regina.

Rodolfo Lavoriam. Marcello Lavoriam. Rodolfo Che penna infame! Marcello Che infame pennello! Rodolfo (O Mimì tu più non torni. O giorni belli, piccole mani, odorosi capelli, collo di neve! Ah! Mimì, mia breve gioventù! E tu, cuffietta lieve, che sotto il guancial partendo ascose, tutta sai la nostra felicità, vien sul mio cuor! Sul mio cuor morto, poich’è morto amor.) Marcello (Io non so come sia che il mio pennel lavori ed impasti colori contro la voglia mia. Se pingere mi piace o cieli o terre o inverni o primavere,


La Bohème

164

egli mi traccia due pupille nere e una bocca procace, e n’esce di Musetta e il viso ancor... e n’esce di Musetta il viso tutto vezzi e tutto frode. Musetta intanto gode e il mio cuor vil la chiama e aspetta il vil mio cuor...) Rodolfo Che ora sia? E Schaunard non torna?

Schaunard Or lo sciampagna mettiamo in ghiaccio. Rodolfo Scelga, o barone; trota o salmone? Marcello Duca, una lingua di pappagallo?

Marcello L’ora del pranzo di ieri.

Schaunard Grazie, m’impingua. Stasera ho un ballo.

Schaunard Eccoci.

Rodolfo Già sazio?

Rodolfo Ebben?

Colline Ho fretta. Il Re m’aspetta

Marcello Ebben? Del pan?

Marcello C’è qualche trama?

Colline È un piatto degno di Demostene: un’aringa...

Rodolfo Qualche mister?

Schaunard ... salata.

Schaunard Qualche mister?

Colline Il pranzo è in tavola.

Marcello Qualche mister?

Marcello Questa è cuccagna da Berlingaccio.

Colline Il Re mi chiama al Minister.


Quadro quarto

Rodolfo, Schaunard e Marcello Bene!

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Schaunard Azione coreografica allora?...

Colline Però... vedrò... Guizot!

Gli altri Sì! Sì!...

Schaunard Porgimi il nappo.

Schaunard La danza con musica vocale!

Marcello Sì, bevi, io pappo! Schaunard Mi sia permesso al nobile consesso... Rodolfo e Colline Basta! Marcello Fiacco! Colline Che decotto! Marcello Leva il tacco! Colline Dammi il gotto! Schaunard M’ispira irresistibile l’estro della romanza!... Gli altri No!

Colline Si sgombrino le sale... Gavotta. Marcello Minuetto. Rodolfo Pavanella. Schaunard Fandango. Colline Propongo la quadriglia. Rodolfo Mano alle dame. Colline Io dètto! Schaunard Lallera, lallera, lallera, là. Rodolfo Vezzosa damigella...


La Bohème

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Marcello Rispetti la modestia. La prego. Schaunard Lallera, lallera, lallera, là. Colline Balancez. Marcello Lallera, lallera, lallera. Schaunard Prima c’è il «Rond». Colline No, bestia!! Schaunard Che modi da lacchè! Colline Se non erro, lei m’oltraggia. Snudi il ferro. Schaunard Pronti. Assaggia. Il tuo sangue io voglio ber. Colline Uno di noi qui si sbudella. Schaunard Apprestate una barella.

Colline Apprestate un cimiter. Rodolfo e Marcello Mentre incalza la tenzone, gira e balza Rigodone. Marcello Musetta! Musetta C’è Mimì... c’è Mimì che mi segue e che sta male. Rodolfo Ov’è? Musetta Nel far le scale più non si resse. Rodolfo Ah! Schaunard Noi accostiam quel lettuccio. Rodolfo Là. Da bere. Mimì Rodolfo! Rodolfo Zitta, riposa.


Quadro quarto

Mimì O mio Rodolfo! Mi vuoi qui con te? Rodolfo Ah! Mia Mimì, sempre, sempre! Musetta Intesi dire che Mimì, fuggita dal Viscontino, era in fin di vita. Dove stia? Cerca, cerca... la veggo passar per via trascinandosi a stento. Mi dice: «Più non reggo... muoio! lo sento... voglio morir con lui! Forse m’aspetta... m’accompagni, Musetta?...» Marcello Sst. Mimì Mi sento assai meglio... lascia ch’io guardi intorno. Ah, come si sta bene qui! Si rinasce, ancor sento la vita qui... no! Tu non mi lasci più! Rodolfo Benedetta bocca, tu ancor mi parli! Musetta Che ci avete in casa? Marcello Nulla!

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Musetta Non caffè? Non vino? Marcello Nulla! Ah! Miseria! Schaunard Fra mezz’ora è morta! Mimì Ho tanto freddo!... Se avessi un manicotto! Queste mie mani riscaldare non si potranno mai? Rodolfo Qui nelle mie! Taci! Il parlar ti stanca. Mimì Ho un po’ di tosse! Ci sono avvezza. Buon giorno, Marcello, Schaunard, Colline... buon giorno. Tutti qui, tutti qui sorridenti a Mimì. Rodolfo Non parlar, non parlar. Mimì Parlo piano, non temere, Marcello, date retta: è assai buona Musetta. Marcello Lo so, lo so. Musetta A te, vendi, riporta qualche cordial, manda un dottore!...


La Bohème

168

Rodolfo Riposa. Mimì Tu non mi lasci? Rodolfo No! No! Musetta Ascolta! Forse è l’ultima volta che ha espresso un desiderio, poveretta! Pel manicotto io vo. Con te verrò. Marcello Sei buona, o mia Musetta. Colline Vecchia zimarra, senti, io resto al pian, tu ascendere il sacro monte or devi. Le mie grazie ricevi. Mai non curvasti il logoro dorso ai ricchi ed ai potenti. Passâr nelle tue tasche come in antri tranquilli filosofi e poeti. Ora che i giorni lieti fuggîr, ti dico: addio, fedele amico mio. Addio, addio. Schaunard, ognuno per diversa via mettiamo insiem due atti di pietà; io... questo! E tu... lasciali soli là!...

Schaunard Filosofo, ragioni! È ver!... Vo via! Mimì Sono andati? Fingevo di dormire perché volli con te sola restare. Ho tante cose che ti voglio dire, o una sola, ma grande come il mare, come il mare profonda ed infinita... Sei il mio amore e tutta la mia vita! Rodolfo Ah, Mimì, mia bella Mimì! Mimì Son bella ancora? Rodolfo Bella come un’aurora. Mimì Hai sbagliato il raffronto. Volevi dir: bella come un tramonto. «Mi chiamano Mimì, il perché non so...». Rodolfo Tornò al nido la rondine e cinguetta. Mimì La mia cuffietta... ah! Te lo rammenti quando sono entrata la prima volta, là? Rodolfo Se lo rammento!


Quadro quarto

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Mimì Il lume si era spento...

Rodolfo Zitta, per carità.

Rodolfo Eri tanto turbata! Poi smarristi la chiave...

Mimì Sì, sì, perdona, ora sarò buona.

Mimì E a cercarla tastoni ti sei messo!... Rodolfo ...e cerca, cerca... Mimì Mio bel signorino, posso ben dirlo adesso: lei la trovò assai presto... Rodolfo Aiutavo il destino... Mimì Era buio; e il mio rossor non si vedeva... «Che gelida manina... se la lasci riscaldar!...» Era buio e la man tu mi prendevi...

Musetta Dorme? Rodolfo Riposa. Marcello Ho veduto il dottore! Verrà; gli ho fatto fretta. Ecco il cordial. Mimì Chi parla? Musetta Io, Musetta. Mimì Oh, come è bello e morbido! Non più le mani allividite. Il tepore le abbellirà... sei tu che me lo doni?

Rodolfo Oh Dio! Mimì!

Musetta Sì.

Schaunard Che avvien?

Mimì Tu, spensierato! Grazie. Ma costerà. Piangi? Sto bene... pianger così, perché?

Mimì Nulla. Sto bene.


La Bohème

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Qui.. amor... sempre con te! Le mani... al caldo... e... dormire. Rodolfo Che ha detto il medico? Marcello Verrà. Musetta Madonna benedetta, fate la grazia a questa poveretta che non debba morire. Qui ci vuole un riparo perché la fiamma sventola. Così. E che possa guarire. Madonna santa, io sono indegna di perdono, mentre invece Mimì è un angelo del cielo. Rodolfo Io spero ancora. Vi pare che sia grave? Musetta Non credo. Schaunard Marcello, è spirata... Colline Musetta, a voi! Come va?... Rodolfo Vedi?... È tranquilla.

Che vuol dire quell’andare e venire, quel guardarmi così... Marcello Coraggio! Rodolfo Mimì... Mimì!...


Gruppo Mimi





SFERISTERIO 19 luglio - ore 21.00

In a time lapse Ludovico Einaudi Concerto per pianoforte, archi, percussioni ed elettronica in collaborazione con AMAT


SFERISTERIO 6 agosto - ore 21

Nutrire l’Anima Festa marchigiana da Sesto Bruscantini a Giacomo Leopardi

favore Serata di beneficienza in fav fa vore di


SFERISTERIO 6 agosto - ore 21.00

Nutrire l’Anima Festa marchigiana da Sesto Bruscantini a Giacomo Leopardi con Celso Albelo Alfonso Antoniozzi Lorenzo Di Bella con la partecipazione di Elisa Di Francisca Fisorchestra Marchigiana Junior Band “Notaio Augusto Marchesini” Cori e gruppi folkloristici delle Marche la collaborazione di Carlo Cambi e Andrea Foresi conduce Francesco Micheli






Albo Amici dello Sferisterio Marta Alessandrini Maria Francesca Alfonsi Sara Anselbi Pier Paolo Armellini Rosanna Armellini Anna Ascoli Marco Ascoli Marchetti Valentina Baioni Francesco Baldantoni Silvio Roberto Bandera Fausto Barboni Carlo Baroni Giuseppina Battaglioni Raffaele Belardinelli Mario Belloni Giovanni Beni Rachele Beni Giacomo Berdini Roswita Bertelsons Beatrice Biagiotti Giuliano Bianchi Fernando Bianchini Marco Bragaglia Alberto Brinati Manuel Broglia Jolanda Brunetti Giampaolo Bugari Franco Bury Annalisa Caccia Bruno Cardea Francesco Calcioni Maria Letizia Campetella Romano Carancini Iginia Carducci Letizia Carducci Loredana Caricato

Andrea Carratore Paolo Carratta Nicola Donato Mario Cela Lorella Cesetti Francesca Chiavari Letizia Ciappi Walfrido Cicconi Luca Cimini Francesca Cipolloni Vittorio Ciuffoletti Andrea Ciuffoletti Flavio Corradini Linda Croci Nicola De Camillis Pierfrancesco De Luca Annalisa Del Monte Elena Di Giovanni Nicola Di Monte Grazia Di Petta Bartolomeo Di Pierro Federica Donati Marco Falcioni Giuseppe Falco Marco Feliciani Alessandro Feliziani Gian Nicola Ferranti Giancarlo Fiammelli Linda Fiorelli Fiorella Fiorentini Rosanna Fossa Federica Frontoni Annalisa Galeazzi Elena Gattafoni Antonella Gazzari Gianluca Gentili Alvaro Germani

Romina Germani Viviana Giacomini Daniela Gianfreda Pierfrancesco Giannangeli Igor Giostra Adolfo Guzzini Manuela Guzzini Anna Guzzini Irena Luiza Kejka Rosaria Annalisa Intonti Marcello La Matina Beatrice la Rena Luigi Lacchè Emanuela Laliscia Olimpia Leopardi Andrea Libenzi Paolo Luciani Sandro Luciani Alessandra Manuzzi Irene Manzi Galileo Manzi Fabio Marcelli Francesca Marchetti Paolo Margione Tania Mariucci Michela Mariucci Alberto Marziali Marina Masiero Sergio Massi Paolo Mastrogiovanni Sara Mataloni Paolo Matcovich Marzio Merli Luciano Messi Luigi Minnucci Sereno Gerardo Molinari


Pietro Molini Mario Montalboddi Stefania Monteverde Orietta Montironi Umberto Moretti Rita Nasi Tommaso Nebbia Loredana Paci Paola Pagnanelli Dante Pagnanelli Serenella Pagnanini Marina Pallotto Ivano Palmucci Maria Cristina Pasquali Paola Passeri Elisabetta Passerini Cesare Pellegrini Robertino Perfetti Antonio Pettinari Nicola Pezone Fabio Pierantoni Giorgio Piergiacomi Maria Laura Pierucci Piergiorgio Pietroni Riccardo Pietroni Federica Pignotti Andrea Piscopo Fiorenzo Principi Elena Prokopenko Paolo Quagliani Francesca Quagliani Mauro Ragnoni Laura Ranieri Floriana Ranieri Mauro Ragnoni Cecilia Regini

Martina Romano Maria Sabina Rommozzi Lucia Rosa Francescopaolo Rosselli Fabiola Rossi Riccardo Roveroni Sara Sacchi Ferruccio Salimbeni Giovanna Salvucci Miria Salvucci Silvia Santarelli Giuliana Santi Simoncelli Simonetta Santucci Maria Paola Scialdone Carla Scipioni Lucia Serafini Alessandro Seri Simone Settembri Sergio Sgarbi Luana Spernanzoni Ilaria Spendiani Carlo Maria Squadroni Simone Stacchiotti Carmela Stella Patrizia Sughi Maria Rosanna Talevi Lisa Talocchi Alessandra Tamburrini Ettore Tamos Morena Terzi Stefania Tibaldi Nazzareno Tiseni Giuseppe Trivellini Carla Troiani Pierluca Trucchia Simone Vallesi

Orietta Varnelli Andrea Venturino Maurizio Verducci Elisa Vitali Simona Volponi Michela Zuppone


Alessandro Verazzi


Elisa Cerri

Meri Piersanti

Cesarina Compagnoni

Simone Savina


Valeria Donata Bettella

Manuel Pedretti


Federica Parolini, Silvia Aymonino


Madeleine Boyd


Andrea Belli


Attrezzisti

Emanuela Di Piro


Barbara Di Lieto

Gruppo maestri di palco


Carlo Morganti


Gianfranco Stortoni


Macchinisti e aiuto tecnici


Elettricisti

Ludovico Gobbi


Gruppo sarte

Gruppo trucco e parrucco


Amministrazione

Luciano Messi

Franziska Kurth


Associazione Arena Sferisterio Macerata Opera Festival Direttore Artistico Francesco Micheli Consiglio d’Amministrazione Presidente Romano Carancini Vicepresidente Antonio Pettinari Consiglieri Raffaele Berardinelli Flavio Corradini Nicola Di Monte Luigi Lacchè Fiorenzo Principi Orietta Maria Varnelli Walfrido Cicconi (Società Civile dello Sferisterio) Assemblea dei soci Romano Carancini Rappresentante Ente Socio Fondatore Comune di Macerata Antonio Pettinari Rappresentante Ente Socio Fondatore Provincia di Macerata Collegio dei Revisori dei Conti Giorgio Piergiacomi Presidente Fabio Pierantoni - Carlo Maria Squadroni


Direttore dell’organizzazione tecnico-artistica e della produzione Luciano Messi Amministrazione Maria Sara Rastelli Contabilità ed Economato Roberta Spernanzoni - Rosa Silvestri Segreteria Paola Pierucci Paola Cavalletti collaboratrice Rapporti istituzionali Mauro Perugini Segreteria artistica Franziska Kurth Direttore di palcoscenico Mauro De Santis Direttore musicale di palcoscenico Gianfranco Stortoni Assistente di produzione Riccardo Benfatto Assistente alla direzione artistica Luisa Costi Promozione e comunicazione Esserci Comunicazione Andrea Compagnucci responsabile Carlo Scheggia comunicazione istituzionale Veronica Antinucci - Domenico Dialetto Ufficio Stampa Marco Ferullo responsabile - Andrea De Mauro Pubbliche relazioni Angela Tassi Progetti speciali Patrizia Sughi Illustrazioni e grafica Francesca Ballarini Servizi di biglietteria AMAT


Resp. allestimento e servizi di palcoscenico Enrico Sampaolesi

Aleksandr Proskurin Alessandro Prosperi

Consulente logistica e magazzini Giorgio Alici Biondi

Elettricisti Fabrizio Gobbi capo elettricista Ludovico Gobbi consolle Claudio Bellagamba Stefano Callimaci Lorenzo Caproli Federico Caterbetti Gustavo Federici Marco Gentili Laura Piccioni Roberto Valentini Olmo Callimaci aiuto tecnico palcoscenico

Scenografo realizzatore Serafino Botticelli Ufficio tecnico allestimenti Francesco Lozzi Macchinisti Secondo Caterbetti capo macchinista Federico Montemarani resp. Teatro Lauro Rossi Angelo Boccadifuoco Leandro Bruno Francesco Cervigni Sandro De Leva Franco Di Prè Marco Gagliardini Roberto Petritoli Mario Rossetti Alfredo Rossi Federico Rossi Antonio Santagada Gennaro Santo Giuseppe Cesca aiuto macchinisti Filippo Gallo aiuto macchinisti Ruben Leporoni aiuto macchinisti Gruista Emin Aliu Aiuti tecnici Mauricio Cesar Pasquali capo squadra Claudio Donati Andrea Paolo Gentilini Christos Kagias Marco Maggi Mauro Pettinari Stefano Prosperi Sauro Tartari Daniele Caruso aiuto orchestra Roberto Tabocchini aiuto orchestra Attrezzisti Emanuela Di Piro capo attrezzista Federica Bianchini Luigi Candice Johara Cariddi Andrea Conti Paolo Copparoni Daniele Pettorossi

Sartoria Simonetta Palmucci responsabile Maria Antonietta Lucarelli resp. vestizioni Elisabetta Seu assistente resp. sartoria Roberta Fratini tagliatrice Maria Dignani Giuseppina Giannangeli Silvia Luchetti Luciana Micozzi Pierina Moretti Giulia Pacci Daniela Patacchini Gemma Tasso Giulia Ciccarelli aiuto sarta Elisa Ciammella aiuto sarta Katia Corvatta aiuto sarta Eleonora Mancini aiuto sarta Lucia Staffolani aiuto sarta Caterina Santochirico aiuto sarta Parrucchieria Serena Mercanti responsabile Patrizia Castelletti Massimiliano Ciferri Monica Marini Gloria Melagrani Paola Pierini Anna Maria Cavalieri aiuto parrucchiera Musazadeh Mohammad aiuto parrucchiere Trucco Raffaella Cipolato responsabile Sara Croci assistente resp. trucco Ambra Bellotti Glenda Consorti Mara Del Grosso Andrea Montani Cristina Pallotta

Federica Castrico aiuto truccatrice Graziana Fasino aiuto truccatrice Beatrice Livi aiuto truccatrice Lucia Longhi aiuto truccatrice Hisako Mori aiuto truccatrice Fonici Fabio Alfonsi Franco Alfonsi Marco Del Gobbo Alice Gentili Coordinatore del personale di sala Caterina Ortolani Medici Marco Sigona Cristian Tranà Servizio prevenzione e protezione Giorgio Meschini RSPP Giorgio Domizi ASPP Carlo Gualco medico competente Sopratitoli e audiodescrizioni Elena di Giovanni responsabile Daniele Gabrielli sopratitoli Francesca Raffi audio desc. e percorsi tattili Collaboratore grafica Emilio Antinori Collaboratori Esserci Comunicazione Letizia Coccia, Sofia Fazi, Gianluca Marone, Andrea Mazzanti, Martina Romano, Leonardo Serboni, Maurizio Verducci Hanno collaborato al Macerata Opera Festival gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Macerata: Ester Baleani, Maddalena Ciminelli Nur, Manuela Di Mattia, Giulia Gazzani, Lodovico Gennaro, Alina Lipotchi, Nicola Pavlidi Enrico Pulsoni Docente tutor Master Opera Academy Verona Enrico Bertolotti, Federik Boni, Sabrina Caponi, Nathalie Gendrot, Luca Mazzei, Angela Toso


Orchestra Filarmonica Marchigiana Violini Primi Alessandro Cervo ** Giannina Guazzaroni * Lavinia Tassinari Elisabetta Spadari Lisa Maria Pescarelli Cristiano Pulin Paolo Strappa Roberta Di Rosa Laura Calamosca Stefano Corradetti I Elisa Olena Larina Silvia Stella Sabina Morelli Violini Secondi Simone Grizi * Laura Barcelli Baldassarre Cirinesi Simona Conti Andrea Poli Sandro Caprara Sergio Morellina Gisberto Cardarelli Andrea Esposto Jacopo Cacciamani Ludovica Lorenzini Viole Ladislao Vieni * Massimo Augelli Cristiano Del Priori Claudio Cavalletti Lorenzo Anibaldi Andrea Pomeranz Fabio Cappella Laura Pennesi Costanza Pepini Violoncelli Alessandro Culiani * Antonio Coloccia Gabriele Bandirali Nicolino Chirivì Elisabetta Cagni Denis Burioli Federico Perpich

Giuseppe Franchellucci Elena Antongirolami

Tuba David Beato

Contrabbassi Luca Collazzoni * Andrea Dezi Marco Cempini Michele Mantoni David Padella Carlo Alberto Pucci

Arpa Margherita Scafidi

Flauti Francesco Chirivì * Francesco Cavallo Ottavino Saverio Salvemini Oboi Fabrizio Fava * Giovanni Pantalone Corno inglese Marco Vignoli Clarinetti Danilo Dolciotti * Paolo Fantini * Luigino Ferranti Clarinetto Basso Gabriele Bartoloni Fagotti Luca Franceschelli * Giacomo Petrolati Francesco Bellagamba Corni David Kanarek * Giovanni Cacciaguerra Roberto Quattrini Alessandro Fraticelli Trombe Giuliano Gasparini * Manolito Rango Mario Bracalente Tromboni Eugenio Gasparrini * Diego Copponi Carlo Piermartire

Timpani Adriano Achei* Deny Mina * Percussioni Alessandro Carlini Deny Mina Valerio Marcantoni Adriano Achei Ispettore d’orchestra Michele Scipioni Direttore artistico Fabio Tiberi *prime parti **spalla dei violini primi


Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini” Tenori I - II Sante Alosi Enzo Boccanera Michele Bocchini Roberto Bruglia Giovanni Carità Guido Carmenati Andrea Cutrini Giovanni Di Deo Luigi Franciolini Giacomo Gandaglia Stefano Grassoni Nenad Koncar Simone Lollobattista Luca Mancini Alberto Martinelli David Mazzoni Alfonso Mendola Massimo Morosetti Francesco Pesaresi Alberto Piastrellini Alessandro Pucci Andrea Reginelli Carlo Velenosi Baritoni-Bassi Alen Abdagic Franco Di Gerolamo Roberto Gattei Stefano Gennari Luca Giorgini Giorgio Grazioli Claudio Mannino Loris Manoni Vladimer Mebonia Alessandro Menduto Gianni Paci Andrea Pistolesi Alessandro Rossi Tim Sarris Roberto Scandura Alberto Signori Francesco Solinas Soprani Gigliola Barchiesi Denise Biga Lucia Caggiano Valentina Chiari Raffaela Chiarolla

Catia Cursini Irene D’Angelo Angela De Pace Annalisa Di Ciccio Linda Ferrari Loreta Ferrini Doriana Giuliodoro Margherita Hibel Silvia Marcellini Alessandra Molinelli Adriana Palmese Cinzia Pasquinelli Emilia Russo Elisabetta Santarelli Flavia Votino Mezzi-Contralti Monica Astolfi Sara Baciocchi Fiorella Barchiesi Annamaura Barigelli Manuela Di Martino Paola Incani Monica Manferdini Elena Marinangeli Rossella Massarini Olga Salati Rita Stocchi Presidente Roberto Gattei

Pueri Cantores “D. Zamberletti” Gian Luca Paolucci Maestro Federica Battilà Giada Bisconti Federica Buratti Sara Cacchiarelli Helena Cakerri Alessandro Ceresani Elisa Ceresani Rachele Cesetti Beatrice Cippitelli Sofia Cippitelli Alessandro Dezi Laura Fiorani Eleonora Francesconi Caterina Froccani Elisa Giulia Gaman Bernadette Garbuglia Dorotea Leonori Petra Leonori Pietro Marangoni Denis Nika Margherita Paolucci Martina Paolucci Alessio Perucci Caterina Piergiacomi Emily Segura Clarissa Silvestrelli Ilenia Silvestrelli Federica Ulisse Veronica Valeri


Complesso di palcoscenico Banda “Salvadei” Clarinettista Lorenzo Ciavattini Fabrizio Del Gobbo Anna Maria Di Iulio Silvia Lanari Federico Morosi Simona Tisba Cornista Sabrina Barboni Riccardo Moglie Antonio Riccobelli Flautista Elisa Ercoli Marta Montanari Lucia Paccamiccio Marica Tittarelli Oboe Fabrizia Broglia Percussionista Marco Germani Andrea Piermartire Trombettista Mario Biancucci Devid Buresta Marco Gasparrini Giovanni Pellegrini Federico Perugini Yuri Valenti Trombonista Andrea Marconi Luca Morresi Niccolò Serpentini Tubista Pasquale Latocca Arpista Monica Micheli Violinista Silvia Badaloni Daniela Carlini Giorgia Mancini Paolo Moscatelli

Mauro Navarri Silvia Pizzarullo Giovanni Verducci Violista Daniela Corradini Paola Del Bianco Violoncellista Chiara Burattini Contrabbassista Giacomo Gradozzi Responsabile logistica Federico Gasparrini

Maschere e sorveglianti Elisabetta Angelini Federica Barcaglioni Gianluca Bocci Federica Carlini Matteo Compagnucci Valentina Di Mascio Daniela Domizi Angela Fanini Marina Farabolini Stefano Fermanelli Cinzia Giacomini Valentina Gironella Alison Guerrero Erica Innocenzi Marta Innocenzi Daniele Latini Giulia Maponi Eleonora Mercuri M. Ester Montecchiari Lorenzo Paciaroni Sara Eugenia Palazzetti Emiliano Pennacchietti Riccardo Persichini Simone Pettinari Enrico Pigliacampo Jenifer Pisano Alice Pizzichini Cecilia Rossi Luca Salaris Marta Senigagliesi Claudia Serrani Federica Severini Simone Simonetti Francesco Sopranzi Giulia Spina Alex Stizza Eleonora Tobaldi Ilaria Tobaldi Martina Tobaldi Rebecca Valeri Martina Vecchi Eleonora Vincenzetti Malgorzata Katarzyna Wegrzecka


















Preziosa come un diamante As precious as a diamond

FOR

Victoria Arduino | www.victoriaarduino.com | info@victoriaarduino.com | P. +39.0733.950243










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