Macerata Opera Festival
52. Stagione Lirica 2016 Direttore artistico Francesco Micheli
Mediterraneo Giuseppe Verdi
Otello Vincenzo Bellini
Norma Giuseppe Verdi
Il trovatore
a cura di Esserci comunicazione soggetti Carlo Scheggia, Sara D’Angelo traduzioni Constance De La Mothe, Elena Di Giovanni, Giorgia Dottori racconto fotografico delle prove Alfredo Tabocchini illustrazione copertina Francesca Ballarini si ringraziano Veronica Antinucci, Riccardo Benfatto, Andrea Compagnucci, Mauro De Santis, Marco Ferullo, Luciano Messi, Paola Pierucci, Stefano Ruffini, Gianfranco Stortoni Tutti i diritti sono riservati ai rispettivi autori Impaginazione e Stampa Luglio 2016
Macerata / MACERATA
Presentazione
7-9
I Cento Mecenati
13
Mediterraneo di Massimo Bray
17
Otello Otello. Non ora, non qui di Giuseppe De Mola Atto primo Atto secondo Atto terzo Atto quarto
19 23 33 41 51 63
Norma Norma, del fato ombra di speme di Giuseppe De Mola Atto primo Atto secondo Il trovatore Il trovatore, la strega in forme altrui si mostri di Giuseppe De Mola Parte prima Parte seconda Parte terza Parte quarta Goran Bregovi`c and His Wedding & Funeral Orchestra Medea, da Cherubini a Pasolini The 12th Room Tour di Ezio Bosso Macerata Festival Off Amici dello Sferisterio
71 75 85 97 111 115 125 131 139 145 154 156 158 160 180
Associazione Arena Sferisterio Macerata Opera Festival Presidente Romano Carancini Rappresentante Ente Socio Fondatore Comune di Macerata Vicepresidente Antonio Pettinari Rappresentante Ente Socio Fondatore Provincia di Macerata Sovrintendente Luciano Messi Direttore Artistico Francesco Micheli Consiglieri Raffaele Berardinelli Flavio Corradini Nicola di Monte Luigi Lacchè Fiorenzo Principi Orietta Maria Varnelli Walfrido Cicconi (Società Civile dello Sferisterio) Collegio dei Revisori dei Conti Giorgio Piergiacomi Presidente Fabio Pierantoni - Carlo Maria Squadroni
Una visione… d’insieme!
Mediterraneo è il tema del Macerata Opera Festival 2016, 52ª Stagione Lirica dello Sferisterio. Otello, Norma e Trovatore, Medea e il Festival Off, la Notte dell’Opera, i concerti di Goran Bregovi`c e di Ezio Bosso, sapientemente intrecciati dalla direzione artistica di Francesco Micheli, sono i punti cardinali di questo Sesto Continente, che nell’attualità drammatica che stiamo vivendo deve tornare urgentemente ad essere crocevia di dialogo tra popoli e culture. L’identità del Macerata Opera Festival nasce da un profondo legame col territorio e da uno sguardo visionario che abbraccia la globalità contemporanea. Saper fare sistema e instaurare collaborazioni virtuose rende accessibili orizzonti più vasti e moltiplica le coproduzioni a livello nazionale e internazionale. In ambito regionale, il Macerata Opera Festival sostiene responsabilmente lo sviluppo culturale ed economico della comunità, valorizzandone complessi artistici e maestranze tecniche, coordinando la Rete Lirica delle Marche, formando giovani professionisti e nuovo pubblico. Fare Opera è un grande lavoro di squadra in cui si fondono genio artistico, know-how tecnico e capacità gestionale. Al Macerata Opera Festival cinquecento artisti, tecnici e impiegati giocano questa partita fianco a fianco, per regalare al pubblico un’esperienza indimenticabile in un Teatro unico al mondo. Il libro che avete in mano suggella e tramanda il lavoro di queste persone e rende merito al sostegno impareggiabile dei nostri Sponsor e dei Cento Mecenati, i quali si sono stretti attorno allo Sferisterio rinnovando il senso civico dei Cento Consorti maceratesi che lo edificarono. Grazie alla partecipazione attiva di tutte le anime del territorio, il Macerata Opera Festival valorizza al massimo l’investimento imprescindibile degli Enti pubblici, coniugandolo con la capacità di attrarre risorse private. In questo raro e virtuoso equilibrio, il posto d’onore spetta al nostro pubblico: generoso, affezionato, attento, critico… mai semplice spettatore. Al mio debutto come Sovrintendente, con emozione profonda e rinnovato impegno, a nome di tutto il Teatro vi do il benvenuto al Macerata Opera Festival! Luciano Messi Sovrintendente
Ed io vedea fra le tue tempie oscure Splender del genio l’eterea beltà. E tu m’amavi per le mie sventure Ed io t’amavo per la tua pietà.
Mediterraneo. Mare nostrum… Sesto continente… Molti gli appellativi per dare nome a un miracolo naturale per bellezza e varietà, culla di civiltà unica al mondo. Dai poemi rapsodici di Omero tante le epiche saghe che vi sono state cantate: il Mediterraneo è un luogo melodrammatico da sempre, perché le gesta che si avvicendano dall’antichità sono così mitiche che chiedono musica capace di immortalarle. Questi canti risuonano dalla Cipro di Otello all’Aragona del Trovatore fino alle selve brumose dei druidi di Norma. Quest’ultima ambientazione è tutt’altro che mediterranea ma siciliano è il padre di questo capolavoro; inoltre, quanta affinità c’è fra la sacerdotessa dei Galli e Medea, la maga della Colchide scolpita dal grande drammaturgo greco Euripide. Tante le storie, molteplici i conflitti, innumerevoli i personaggi; il protagonista è sempre uno: un eroe solitario - o un intero popolo - che, per scelta o per forza, lascia la propria terra e si mette in cammino alla ricerca di un luogo migliore in cui vivere. Otello, l’africano; Azucena, la zingara; Norma, donna barbara: Bellini e Verdi mettono al centro della loro attenzione uomini e donne migranti e l’ingiustificato clima persecutorio che spesso sorge intorno a loro. Questo il pensiero che ci ha mosso nella definizione dell’odierna edizione del Festival tempo addietro. Mai avremmo immaginato che l’omaggio alla rivoluzionaria sensibilità dei nostri compositori fosse così abbondantemente confermato dagli eventi tragici a cui stiamo assistendo nel tempo presente. Nazioni devastate da conflitti cruenti espellono a getto continuo moltitudini di migranti che affollano il Mediterraneo. Molte le analogie con i protagonisti delle nostre opere: eroi per caso che, nel puro e semplice desiderio di condurre un’esistenza felice, incontrano la morte. Dalle terre di Otello e di Medea provengono i migranti di oggi: a tutti loro è dedicato il nostro Festival. Mediterraneo. Francesco Micheli Direttore artistico
I Cento Mecenati Mario Baldassarri Laura Belletti Raffaele Berardinelli Rosa Marisa Borraccini Lorenzo Bracalente Alfio Caccamo Gianluca Capitani Romano Carancini Gianfranco Cesaretti Alberto Girolami Maurizio Cinelli Anita Caminada e Carlo Perucci Renato Coltorti Andrea Compagnucci Emilio Copparo Rosaria Del Balzo Ruiti Donatella Donati Giuseppe Falco Gianfranco Formica Guido Guidi Kiwanis Club Macerata Franco Malagrida Alfredo Mancini Giorgio Mancini Galileo Omero Manzi Irene Manzi Paolo Margione Leonardo Matano Carlo Matano Andrea Mazzola Giacinta Messi Luciano Messi Mario Montalboddi Stefania Monteverde Maurizio Mosca Antonio Mucchini
Cristina Nardi Carlo Alberto Nicolini Nino Caffè di Dante Pettorossi Paolo Notari Osteria dei Fiori Renato Perticarari Tonino Pettinari Giorgio Piergiacomi Giuseppe Pietroni Narciso Ricotta Lucia Rosa Silvia Santarelli Amedeo Scauda Valerio Scheggia Angelo Sciapichetti Paolo Serpilli Luigi Servidei Andrea Severini Marco Sigona Maria Rosanna Talevi Renzo Tartuferi Franco Teppa Fiorella Tombolini Orietta Varnelli Corrado Zucconi Università degli Studi di Camerino Università degli Studi di Macerata Associaz. Evoluzione e Tradizione International Inner Wheel Macerata Lions Club Macerata Sferisterio Rotary Club Macerata Rotary Club Macerata Matteo Ricci Rotary Club Tolentino
ArteLito Srl Associati Fisiomed Srl Bcc di Spello e Bettona Bf Srl Calzaturificio Giovanni Fabiani Srl Cartotecnica Idealbox Srl Cooperativa Sociale Meridiana Dynaflex Srl Eredi Paci Gerardo Srl Eurosuole Spa Fam. Carbonari Marino e Gabriella FBT Elettronica Spa F.lli Simonetti Spa I Guzzini Illuminazione Spa ICA Spa Lardini Srl Med Store Nuova Simonelli Spa Nuova Veterinaria Srl Orim Spa Performance Strategies Rhutten Srl S.C.S. Prefabbricati Snc Sabry Maglieria Srl Sardellini Costruzioni Srl Sogesa Srl Studio Andreozzi & Associati Studio Legale Interlex Studio Notarile Alfonso Rossi Studio Tartuferi & Associati Tecne90 Spa
PALAZZO BUONACCORSI 21 luglio - ore 18.00 Lectio magistralis
Mediterraneo Massimo Bray
Riccardo Frizza
SFERISTERIO 22, 30 luglio, 5*, 13 agosto - ore 21.00 Anteprima giovani 18 luglio - ore 21.00 Giuseppe Verdi
Otello Dramma lirico in quattro atti. Libretto di Arrigo Boito Rappresentante CASA RICORDI, Milano
Stuart Neill Jessica Nuccio Roberto Frontali Tamta Tarieli Davide Giusti Manuel Pierattelli Seung Pil Choi Giacomo Medici Franco Di Girolamo
Otello Desdemona Jago Emilia Cassio Roderigo Lodovico Montano Un araldo
Direttore Riccardo Frizza Regia e scene Paco Azorín Costumi Ana Garay Luci Albert Faura Video Pedro Chamizo Movimento e lotta scenica Carlos Martos Maestro del coro Carlo Morganti Maestro del coro di voci bianche Gian Luca Paolucci Assistente alla regia Federico Vazzola Assistente alle scene Alessandro Arcangeli Assistente per i movimenti mimici Alejandro Dominguez Fondazione Orchestra Regionale delle Marche Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini” Coro di voci bianche Pueri Cantores “D. Zamberletti” Complesso di palcoscenico Banda “Salvadei” Coproduzione con il Festival Castell de Peralada * serata con audio descrizione in collaborazione con Unione Italiana Ciechi e Museo Tattile Statale Omero
Paco AzorĂn
21 Direttore di scena Ermelinda Suella Direttore musicale di palcoscenico Gianfranco Stortoni Vocal coach Simone Savina Maestro di sala Hana Lee, Simone Savina Maestri di palcoscenico Chiara Cirilli, Adamo Angeletti Maestro alle luci Melissa Mastrolorenzi Maestro ai video Manuela Belluccini Maestro ai sopratitoli Daniele Gabrielli Mimi Andrea Bellacicco, Fabrizio Pagliaretta, Fausto Lo Verde, Jacopo Giantomassi, Marco Pupilli, Marco Rampello Direttore di palcoscenico Mauro De Santis Responsabile allestimento e servizi di palcoscenico Enrico Sanpaolesi Ufficio tecnico Francesco Lozzi Logistica Giorgio Alici Biondi Scenografo realizzatore Serafino Botticelli Capo macchinista Secondo Caterbetti Capo elettricista Fabrizio Gobbi Responsabile sartoria Simonetta Palmucci Responsabile vestizioni Maria Antonietta Lucarelli Capo attrezzista Emanuela Di Piro Capo squadra aiuti tecnici Mauricio Cesar Pasquali Supervisore trucco e parrucchieria Raffaella Cipolato Responsabile parrucchieria Serena Mercanti Responsabile trucco Sara Croci Coordinatrice personale di sala Caterina Ortolani Fotografo Alfredo Tabocchini Scene Acomodo, Peralada Attrezzeria Festival Castell de Peralada Maschere Teatro CalderĂłn Valladolid - Macerata Opera Festival Costumi e Calzature Sartoria Cornejo Madrid Parrucche Audello, Torino Proiezioni Stark, Cagli (PU) Illuminotecnica Seven, Ancona Fonica AMS, Macerata Sopratitoli e audio descrizioni Macerata Opera Festival e UniversitĂ di Macerata
Ana Garay
Carlos Martos
Pedro Chamizo
Albert Faura
23 Otello. Non ora, non qui Macerata Opera Festival e Medici Senza Frontiere Giuseppe De Mola*
I tre racconti che seguono sono ispirati alla storia di K., un sarto della Costa d’Avorio fuggito dal suo Paese a seguito delle violenze scoppiate dopo le elezioni presidenziali del 2010. Dopo un periodo trascorso in Libia, K. raggiunge l’Italia a bordo di un barcone ed è inserito in un progetto di accoglienza. Qui K. ricomincia il suo vecchio lavoro, con le stoffe e le forme che arrivano dal suo Paese. La Commissione territoriale che valuta il suo caso non ritiene che la sua vita sia in pericolo e decide di non concedergli la protezione internazionale. BENZINA La porta che dava sulla veranda e sulla strada principale, sbarrata. Quella sul retro, più piccola, che aspettava soltanto di essere aperta. Il freddo del metallo del chiavistello me lo sentivo già sotto le dita. Intorno buio. Non avevo bisogno della luce per scorgere le due file di tavoli con sopra le macchine da cucire, tre per ogni lato, addossati alle pareti e gli scaffali di legno delle stoffe, così carichi che le tavole s’incurvavano leggermente al centro. Strizzando gli occhi, potevo immaginarmi i ragazzi chini a lavorare, le dita sui rocchetti di filo. Ma il rumore delle macchine da cucire era coperto dalle grida di fuori e dai colpi di bastone sulla porta. “Esci di lì o farai la fine di tuo fratello”. Non erano certi che fossi dentro. La porta era resistente, forse se ne sarebbero andati e la sartoria sarebbe stata salva. Non mi decidevo a fuggire dal retro. Ho sentito il liquido versato sulla porta e ho riconosciuto l’odore. Mi sono avvicinato strisciando. Ho immerso due dita nel liquido che penetrava dalla fessura sotto la porta, l’indice e il medio, e le ho portate al naso, uno per ogni narice. Mi è sempre piaciuto
l’odore della benzina sulle mani, gocce sfuggite al serbatoio della motocicletta, vento che gonfiava la camicia come una vela. Ho cucito anche vele nella mia sartoria. Il metallo del chiavistello ora era bollente a furia di stringerlo tra le dita. Ho salutato con lo sguardo cieco le due file di tavoli addossati alle pareti, tre per parte, e gli scaffali carichi di stoffe e sono uscito, chiudendomi piano la porta alle spalle. Dentro, al buio, potevo vedere tutto nitidamente. Alla luce del sole ero come cieco. Davanti a me il vicolo da cui dipendeva la mia salvezza. Ma non riuscivo a imboccarlo. Avevo bisogno del braccio di qualcuno a cui aggrapparmi per lasciarmi guidare. Ma non c’era nessuno con me. Ero solo. MIO FRATELLO All’inizio degli scontri ho lasciato il quartiere dove vivevo e ho raggiunto mio fratello. Non sono andato a stare da lui: troppo pericoloso. Mio fratello era nella guardia personale del vecchio presidente. Quello che dopo la sconfitta nelle elezioni si rifiutava di andarsene perché diceva che c’erano stati dei brogli. Proprio lui che a ogni elezione vinta negli ultimi dieci anni era stato accusato di avere truccato il gioco. Io ho sempre cercato di non occuparmi di politica. Ero informato di tutto però, questo sì. Dai clienti della mia sartoria. Raccoglievo tutte le loro storie, alcune pronunciate ad alta voce, altre a voce più bassa. Raccoglievo le loro storie e mi facevo le mie idee. Ma non ne parlavo. Così riuscivo ad andare d’accordo anche con mio fratello. Lui non parlava mai del suo lavoro quando veniva a farsi prendere le misure per i vestiti. Ma la gente del quartiere diceva che c’era sempre lui di mezzo ogni volta che spariva qualcuno senza lasciare traccia. Il quartiere dove si trovava la mia sartoria appoggiava il nuovo presidente, per questo mi sono allontanato all’inizio degli scontri. Giunto nell’altra parte della città, mio fratello mi disse di restare chiuso in casa. Sono uscito solo al terzo giorno di tregua. Per cercarlo. C’erano stati scontri a fuoco tra i sostenitori dei due presidenti e lui si trovava in prima linea. Ora il vecchio presidente era stato definitivamente sconfitto e si era aperta la resa dei conti. Andai nella zona dove era stato visto l’ultima volta. Avevo
24 paura a chiedere di lui. Con le labbra tenute strette, seguivo ogni sagoma che mi sembrava la sua, lo superavo e mi voltavo a guardarlo, rallentando. Quando ero troppo stanco di inseguimenti, mi fermavo al caffè a guardare la folla e i poliziotti con le divise nuove. Il caffè con i tavoli nascosti dai rampicanti. RICOSTRUZIONE Dentro la fabbrica abbandonata, tra le tende che puzzavano di umido e sotto l’intonaco che cadeva a pezzi, ho piazzato la mia macchina da cucire. Lavoravo soprattutto di notte. All’inizio protestavano per il rumore della macchina da cucire, poi hanno smesso di protestare, per l’abitudine, e perché le riparazioni ai loro vestiti erano gratis. Una lampada era sospesa sopra la macchina da cucire. Era bello lavorare di notte. La lampada illuminava il mio tavolo e lasciava al buio tutto il resto, come il raggio del faro sul mare. Anche la mia tenda non la vedevo più. Cominciarono a venire persone che non abitavano nella fabbrica a chiedermi di sistemare vestiti, borse, persino scarpe, anche se il calzolaio non è il mio mestiere, persone di qui, perché i miei prezzi erano i più bassi di tutti, in tempo di crisi. Se non avevo clienti, cucivo il vestito per mio fratello. Camicia e pantaloni. La stoffa era come quelle che usavo nella mia sartoria, qui si trova tutto, tutto arriva facilmente dal mio paese. Tutto. Solo per le persone è così difficile arrivare. Le misure di mio fratello le conoscevo a memoria, conoscevo il suo corpo come una cartina geografica. I pantaloni larghi all’altezza dell’inguine che si restringono già sopra i ginocchi e scendono aderenti alle gambe, lasciando scoperte le caviglie. La camicia tutta larga, niente collo, una V aperta senza bottoni, maniche larghe sotto le ascelle, tutto largo, a lui piace stare comodo. Nel silenzio della notte, sotto il cono di luce della lampada che oscillava alla brezza del mare, cucivo il vestito per mio fratello. Attaccavo la manica destra al busto della camicia, la manica sinistra, una gamba dei pantaloni, l’altra gamba. Così ricostruivo il corpo di mio fratello, dissolto nel nulla, bruciato vivo durante gli scontri tra i due presidenti nella nostra città. Pezzo per pezzo lo ricomponevo. Solo i piedi e
Otello le mani non potevo rifarli: il calzolaio non è il mio mestiere, e i guanti non li abbiamo mai usati. Solo le mani e i piedi. E il volto. Quello nemmeno potevo ricomporlo con la stoffa.
* I racconti sono stati raccolti ed elaborati da Giuseppe De Mola, operatore di Medici Senza Frontiere nel corso degli ultimi due anni tra rifugiati e richiedenti asilo, sia nei centri di prima e seconda accoglienza, sia in insediamenti informali in tutta Italia.
Jessica Nuccio, Stuart Neill
Jessica Nuccio
27 SOGGETTO
ATTO PRIMO Cipro, isola del Mediterraneo dominata da Venezia. In mare infuria una tempesta che flagella la nave del generale Otello, che sta tentando di entrare nel porto mentre la folla assiste all’impresa. Dopo la sconfitta della flotta turca e il superamento della tempesta, l’esultanza per Otello da parte degli isolani è grandiosa, fatta eccezione di Jago che lo odia perché ha promosso capitano, al suo posto, Cassio, e medita la vendetta. Durante la festa, Jago inizia a tessere la sua trama, coinvolgendo Cassio. A Roderigo, che gli ha confidato i suoi sentimenti amorosi per Desdemona, dice che anche Cassio prova amore per la donna. Quindi invita a ripetuti brindisi il neocapitano che, ubriaco, cede alle provocazioni fino ad arrivare ad un accesso duello con Roderigo. Montano prova a placare gli animi, ma viene ferito da Cassio e permette al malvagio Jago di lanciare l’allarme e agitare la popolazione. Otello interviene e, falsamente informato da Jago, punisce Cassio e lo degrada dal suo ruolo di capitano. ATTO SECONDO Nel salone del castello continua il diabolico piano di Jago; da una parte si mostra disponibile al dialogo con Cassio tanto da consigliarlo sulle azioni da compiere per riconquistare la fiducia del Moro, come un incontro con Desdemona affinché questa interceda per lui. Dall’altra, cerca di rendere insicuro Otello relativamente alla fedeltà di sua moglie e, tra dialoghi spezzati e incerti, riesce ad insinuare la gelosia nei confronti di Cassio, che sta elemosinando aiuto alla donna. Il rapporto tra Otello e Desdemona viene incrinato da incomprensioni date dallo stratagemma di Jago che si fa consegnare dalla moglie Emilia il fazzoletto che il generale ha regalato a Desdemona, affermando di averlo visto nelle mani di Cassio. Per il Moro è la prova della relazione amorosa.
ATTO TERZO Durante l’arrivo degli ambasciatori di Venezia, Desdemona, ignara della trama tessuta da Jago, chiede la grazia per Cassio, ma il comportamento di Otello diventa aggressivo. Egli le impone di mostrargli il fazzoletto che le aveva donato come pegno d’amore, ma poiché la donna non può consegnarlo, il Moro l’accusa di essere una cortigiana e la scaccia via. Otello, convinto del tradimento della moglie, giura di ucciderla. Ferito, sfoga il suo dolore e Jago lo spinge a spiare il dialogo in cui, con l’inganno, induce Cassio a mostrare il fazzoletto, ritrovato in casa sua. Il Moro giura di volere uccidere gli amanti. Approdati a Cipro, l’Ambasciatore della Repubblica Veneta porta un messaggio del Doge: Otello è richiamato a Venezia, Cassio sarà il suo successore a Cipro. Desdemona si dispera mentre il Moro, interpretando le lacrime come ulteriore prova del tradimento, l’aggredisce e urla a tutti di andare via. Quindi sviene in preda a una crisi convulsiva, tra il turbamento dei presenti. Jago, che intanto ha spronato Roderigo ad uccidere Cassio, si gode il suo trionfo. ATTO QUARTO Desdemona si prepara alla notte e dichiara alla sua ancella Emilia la sofferenza per l’atteggiamento del marito. Appena terminato di pregare, nella stanza entra Otello che l’accusa di tradimento. Desdemona spaventata proclama la sua innocenza, ma il Moro l’ha ormai condannata, e la soffoca. Di ritorno, Emilia annuncia che Roderigo è stato ucciso nel tentativo di ammazzare Cassio. Scopre Desdemona morta e accusa Otello di assassinio. Giunto anche Jago sulla scena del delitto, la donna gli rinfaccia l’intrigo e a questi non resta che fuggire. Otello, sconvolto e illuminato dell’inganno nel quale è caduto, dopo un ultimo bacio alla sposa si trafigge con un pugnale.
28 SYNOPSIS
ACT I Cyprus, a Mediterranean island ruled over by the Republic of Venice. A storm batters the coast. A large crowd watches Otello’s ship as it strives to reach the port safely. The Turkish fleet has been defeated and the storm abates; it is time for the Cypriots to celebrate Otello. Everybody cheers him but Jago, who hates Otello for choosing Cassio as captain over himself, plans his revenge. During the celebrations, Jago gets Cassio involved in his evil plans. He informs Roderigo, who has just confessed his love for Desdemona, that Cassio is his love rival. During the celebrations, Jago keeps toasting and filling Cassio’s cup. Once drunk, the newly-appointed captain starts a fight with Roderigo. Then, Montano appears and tries to calm Cassio down, but he gets wounded. Jago raises the alarm and confusion spreads through the port. Otello bursts upon the scene and, wrongly informed by Jago, he punishes and demotes Cassio, thus no longer a captain. ACT II In the castle hall, Jago pursues his evil plans. He pretends to be Cassio’s friend and suggests that he tries to regain the Moor’s trust by meeting Desdemona and seeking her intercession. Meanwhile, he also strives to make Otello suspicious of his wife’s fidelity and, with ambiguous, unfinished sentences, he persuades Otello to be jealous of Cassio, whereas the latter is only trying to seek the woman’s help. Otello and Desdemona’s relationship is wrecked by a series of misunderstandings caused by Jago, who asks his wife Emilia to hand him the handkerchief Otello had given to Desdemona, stating he saw it in Cassio’s hands. Otello thus truly suspects the two to be lovers.
Otello ACT III The Venetian Ambassador is about to arrive and Desdemona, unaware of Jago’s evil plans, asks Otello for Cassio’s mercy. Otello is truly upset and, in return, asks his wife to show him the handkerchief he had given her. As Desdemona fails to find it, Otello calls her a vile courtesan and pushes her away. Utterly persuaded that his wife is unfaithful, he swears to kill her. Otello is hurt and shares his pain with Jago. The latter persuades him to listen to a conversation in which, by deception, he manages to convince Cassio to show the handkerchief he has found in his room. Otello swears he will kill the two lovers. Once in Cyprus, the Ambassador of the Venetian Republic conveys the Doge’s message: Otello is summoned in Venice and Cassio is to take his place in Cyprus. Desdemona bursts into tears and Otello sees this as a further proof of her infidelity. He throws her to the ground and demands that everyone leave. Otello becomes delirious and falls in a faint. Meanwhile, Jago has persuaded Roderigo that he should kill Cassio: he thus enjoys his further success. ACT IV Desdemona prepares for the night and tells her maid, Emilia, that she is saddened by her husband’s attitude. She has just said her prayers when Otello enters her room and accuses her of being unfaithful to him. Desdemona is terrified and pleads for her innocence, but Otello has by now condemned her. He suffocates her. Emilia returns, to announce that Roderigo was killed in his attempt to assasinate Cassio. She realizes that Desdemona is dead and accuses Otello of taking her life. Jago arrives on the crime scene and Emilia says he is the cause of all these deaths. Jago runs away and Otello finally realizes he has fallen into Jago’s trap. He kisses his wife one last time and stabs himself to death.
Soggetto DIE HANDLUNG
ERSTER AUFZUG Zypern, eine Insel im Mittelmeer dominiert von Venedig. Auf dem Meer wütet ein Sturm der an das Schiff von Otello peitscht, der versucht in den Hafen einzulaufen, während die Menge zusieht. Nach der Niederlager der türkischen Flotte und der Überwindung des Sturmes, freuen sich die Inselbewohner für Otello, außer Jago der ihn hasst und auf Rache sinnt, weil er Cassius an seiner stelle zum Hauptmann befoerdert hat. Während des Festes, beginnt Jago seinen Anschlag zu schmieden, und verwickelt Cassio. An Roderigo, welcher ihm seine liebe an Desdemona anvertraut hat, erzaehlt er, dass auch Cassio liebe fuer die Frau verspuert. Jago stoesst wiederholte Trinksprüche auf den neuen Kapitän an, welcher, betrunken, von den provokationen kapituliert bis hin zu einem heftigen Kampf mit Roderigo. Montano versucht die Gemüter zu beruhigen, aber wird von Cassio verletzt, und erlaubt dem boesartigen Jago Alarm zu schlagen und das Volk aufzuregen. Otello tritt dazwischen welcher faelschlicherweise von Jago informiert wurde und bestraft Casisio indem er Ihn in seiner Rolle als Kapitaen degradiert. ZWEITER AUFZUG In dem Empfangszimmer des Schlosses fuehrt Jago seinen diabolischen Plan fort; einerseits zeigt er sich verfügbar zum Zwiegespräch mit Cassio, so sehr, dass er sich von ihm beraten lässt wie er handeln soll um das Vertrauen von Moro zurückzugewinnen, wie ein Treffen mit Desdemona damit sie sich für ihn einsetzt. Anderseits versucht er Otello zu verunsichern relativ über die Treue seiner Frau und zwischen gebrochenen und unsicheren Dialogen, schafft er es Eifersucht gegen Cassio zu erwaecken, welcher die Frau um Hilfe bittet. Die Beziehung zwischen Otello und Desdemona leidet unter Missverstaendnissen nach Jagos strategie der sich von seiner Frau Emilia das Taschentuch welcher der General an Desdemona
29 geschenkt hat bringen laesst, und behauptet es in den Händen von Cassio gesehen zu haben. Für den Moro ist das der Beweis für ein Liebesverhältnis. DRITTER AUFZUG Während der Ankunft der venezianischen Botschafter, bittet Desdemona, nichtsahnend ueber Jagos geschmiedete Handlung, um Gnade fuer Cassio, aber Otellos verhalten wird aggressiv. Er zwingt sie ihm das Taschentuch zu zeigen, das er ihr als Liebespfand geschenkt hatte, aber weil sie es ihm nicht geben kann, beschuldigt Moro sie, eine Kurtisane zu sein und jagt sie fort. Otello, überzeugt vom Verrat seiner Frau, schwört sie zu töten. Verletzt, lässt er seinem Schmerz freien Lauf, und Jago überredet ihn die Bespraechung zu belauschen, in der Cassio, unter Anwendung einer Täuschung, das Taschentuch, das in seinem Haus gefunden wurde, zeigt. Moro schwört die Liebhaber zu töten. Als sie auf Zypern gelandet sind, überbringt der Botschafter der Venezianischen Republik eine Nachricht von Doges: Otello wurde nach Venedig einberufen, und Cassio wird sein Nachfolger auf Zypern sein. Desdemona ist in Verzweiflung, während Moro ihre Tränen als weiteren Beweis für den Verrat interpretiert, greift sie an und befiehlt allen weg zu gehen. In Ohnmacht gefallen, erleidet sie einen Krampf, unter den Blicken der Anwesenden. Jago welcher inzwischen Roderigo angestiftet hat Cassio zu toeten geniesst seinen Triumph. VIERTER AUFZUG Desdemona bereitet sich auf die Nacht vor und sagt ihrer Magd Emilia, dass sie ueber das Verhalten ihres Mannes leidet. Als sie gerade fertig mit dem Gebet ist, tritt Otello in den Raum und beschuldigt sie des Verrats. Desdemona ist erschrocken und beteuert ihre Unschuld, aber Moro hat sie bereits verurteilt und erstickt sie. Emilia, die auf dem Rückweg ist, verkündigt, dass Roderigo, bei dem Versuch Cassio zu töten, selbst getötet wurde. Emilia entdeckt, die tote Desdemona und beschuldigt Otello des Mordes. Als auch Jago an die Szene des Verbrechens kommt, hält ihn die Frau in die Tat verwickelt und ihm bleibt nichts uebrig als zu fliehen. Othello, schockiert und aufgeklaert über die Täuschung auf die er hereingefallen ist, ersticht sich mit einem Dolch nachdem er die Braut gekuesst hat.
30 SUJET
ACTE PREMIER Chypre, île de la Méditerranée placée sous l’autorité de Venise. Une violente tempête en mer s’abat sur le navire du général Othello alors qu’il tente de faire son entrée dans le port sous les regards de la foule venue assister à cette entreprise. Après avoir vaincu la flotte turque et maîtrisé la tempête, tous les habitants de l’île exultent et acclament à grand bruit Othello, à l’exception de Iago. En effet, celui-ci déteste le Maure depuis que le général a nommé Cassio capitaine à sa place et médite sa vengeance. Pendant la fête qui s’ensuit, Jago commence à tisser son intrigue en y impliquant Cassio. Il confie à Roderigo qui lui a fait part de ses sentiments amoureux pour Desdémone que Cassio aussi éprouve les mêmes sentiments pour la jeune femme. Il invite ensuite le nouveau capitaine à porter un toast après l’autre ; enivré par l’alcool, ce dernier cède aux provocations et en vient à affronter Roderigo dans un duel enflammé. Montano essaie d’apaiser les cœurs mais Cassio le blesse en retour. Il laisse donc le perfide Iago donner l’alarme et ameuter la population toute entière. Othello intervient alors et faussement renseigné par Jago, il punit Cassio et le déchoit de son rang de capitaine. ACTE DEUXIEME Dans le salon du château, Iago poursuit son plan diabolique. D’une part, il se montre très disposé au dialogue avec Cassio au point de lui donner des conseils quant aux actions à entreprendre pour regagner la confiance du Maure, comme celle de rencontrer Desdémone afin qu’elle puisse intercéder pour lui. De l’autre, il tente de faire douter Othello à propos de la fidélité de son épouse et entre un dialogue brisé ou ambigu et l’autre, il parvient à insinuer la jalousie à l’égard de Cassio. Celui-ci est, d’ailleurs, en train de mendier de l’aide à la jeune femme. Les incompréhensions nées du stratagème de Iago demandant à sa femme Emilia de lui remettre le mouchoir que le général
Otello avait offert à Desdémone après lui avoir affirmé qu’il l’avait vu dans les mains de Cassio, minent les relations entre Othello et Desdémone. Pour le Maure, il s’agit bien là de la preuve de leur liaison. ACTE TROISIEME Desdémone, ignorant tout de l’intrigue tissée par Iago, demande, lors de la venue des ambassadeurs de Venise, la grâce pour Cassio. Le comportement d’Othello devient alors de plus en plus agressif. Il la somme de lui montrer le mouchoir qu’il lui avait donné en gage d’amour mais puisque la jeune femme n’est pas en mesure de le lui remettre, le Maure l’accuse de n’être qu’une courtisane et finit par la chasser. Persuadé de la trahison de son épouse, Othello jure de la tuer. Profondément blessé, il laisse libre cours à sa souffrance. Jago l’invite alors à surprendre le dialogue où celui-ci parvient par la ruse à pousser Cassio à lui montrer le mouchoir retrouvé chez lui. Le Maure jure de vouloir tuer les deux amants. Une fois à Chypre, l’Ambassadeur de la République de Venise apporte un message du Doge: Othello est rappelé à Venise et Cassio sera son successeur sur l’île. Desdémone se désespère à tel point que le Maure prenant ses larmes pour une nouvelle preuve de sa trahison, l’agresse et congédie à grands cris toute l’assistance. Il s’évanouit alors en proie aux convulsions devant un public médusé. Après avoir poussé Roderigo à tuer Cassio, Iago savoure son triomphe. ACTE QUATRIEME Desdémone se prépare pour la nuit ; elle confie à sa servante Emilia toute la douleur qu’elle ressent devant l’attitude de son époux. Après avoir terminé ses prières, Othello pénètre dans sa chambre en l’accusant de trahison. Terrifiée, elle proclame haut et fort son innocence mais le Maure qui l’a désormais condamnée, l’étrangle. A son retour, Emilia annonce que Roderigo a été tué en tentant d’assassiner Cassio. Apercevant le corps sans vie de Desdémone, elle accuse Othello d’en être l’assassin. Iago fait également irruption sur la scène du crime ; à sa vue, sa femme lui reproche d’avoir tramé cette intrigue. Il ne lui reste donc plus qu’à s’enfuir. Bouleversé et comprenant subitement la duperie dont il a été victime, après un ultime baiser à son épouse, Othello se pourfend d’un coup poignard.
Stuart Neill
Davide Giusti
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Atto primo
Coro Una vela! Una vela! Un vessillo! Un vessillo! Montano È l’alato Leon! Cassio Or la fòlgor lo svela. Altri che sopraggiungono Uno squillo! Tutti Ha tuonato il cannon! Cassio È la nave del Duce. Montano Or s’affonda or s’inciela... Cassio Erge il rostro dall’onda. Coro Nelle nubi si cela e nel mar, e alla luce dei lampi ne appar. Tutti Lampi! Tuoni! Gorghi! Turbi tempestosi e fulmini! Treman l’onde! Treman l’aure! Treman basi e culmini.
Fende l’etra un torvo e cieco spirto di vertigine. Iddio scuote il cielo bieco, come un tetro vel. Tutto è fumo! Tutto è fuoco! L’orrida caligine si fa incendio, poi si spegne più funesta. Spasima l’universo, accorre a valchi l’aquilon fantasima, i titanici oricalchi squillano nel ciel. Dio, fulgor della bufera! Dio, sorriso della duna! Salva l’arca e la bandiera della veneta fortuna! Tu, che reggi gli astri e il Fato! Tu, che imperi al mondo e al ciel! Fa che in fondo al mar placato posi l’àncora fedel. Jago È infranto l’artimon! Roderigo Il rostro piomba su quello scoglio! Coro Aita! Aita! Jago (L’alvo frenetico del mar sia la sua tomba!) Coro È salvo! è salvo! Voci interne Gittate i palischermi! Mano alle funi! Fermi! Coro Forza ai remi! Alla riva!
Otello
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Voci interne All’approdo! Allo sbarco! Coro Evviva! Evviva! Otello Esultate! L’orgoglio musulmano sepolto è in mar, nostra e del ciel è gloria! Dopo l’armi lo vinse l’uragano. Tutti Evviva Otello! Vittoria! Vittoria! Coro Vittoria! Stermino! Dispersi, distrutti, sepolti nell’orrido Tumulto piombâr. Avranno per requie la sferza dei flutti, la ridda dei turbini, l’abisso del mar. Si calma la bufera. Jago Roderigo, ebben, che pensi? Roderigo D’affogarmi... Jago Stolto è chi s’affoga per amor di donna. Roderigo Vincer nol so.
Jago Suvvia, fa senno, aspetta l’opra del tempo. A Desdemona bella, che nel segreto de’ tuoi sogni adori, presto in uggia verranno i foschi baci di quel selvaggio dalle gonfie labbra. Buon Roderigo, amico tuo sincero mi ti professo, nè in più forte ambascia soccorrerti potrei. Se un fragil voto di femmina non è tropp’arduo nodo pel genio mio nè per l’inferno, giuro che quella donna sarà tua. M’ascolta benchè finga d’amarlo, odio quel Moro... ...E una cagion dell’ira, eccola, guarda. Quell’azzimato capitano usurpa il grado mio, il grado mio che in cento ben pugnate battaglie ho meritato; tal fu il voler d’Otello, ed io rimango di sua Moresca Signoria... l’alfiere! Ma, come è ver che tu Roderigo sei, cosi è pur vero che se il Moro io fossi vedermi non vorrei d’attorno un Jago. Se tu m’ascolti... Coro Fuoco di gioia! – l’ilare vampa fuga la notte – col suo splendor, guizza, sfavilla – crepita, avvampa fulgido incendio – che invade il cor. Dal raggio attratti – vaghi sembianti movono intorno – mutando stuol, e son fanciulle – dai lieti canti, e son farfalle – dall’igneo vol. Arde la palma – col sicomoro, canta la sposa – col suo fedel, sull’aurea fiamma, – sul lieto coro soffia l’ardente – spiro del ciel. Fuoco di gioia – rapido brilla!
Atto primo
Rapido passa – fuoco d’amor! Splende, s’oscura – palpita, oscilla, l’ultimo guizzo – lampeggia e muor. Jago Roderigo, beviam! Qua la tazza, Capitano. Cassio Non bevo più. Jago Ingoia questo sorso. Cassio No. Jago Guarda! Oggi impazza tutta Cipro! È una notte di gioia, dunque... Cassio Cessa. Già m’arde il cervello per un nappo vuotato. Jago Sì, ancora bever devi. Alle nozze d’Otello e Desdemona!
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Roderigo Pur modesta essa è tanto. Cassio Tu, Jago, canterai le sue lodi! Jago (Lo ascolta.) Io non sono che un critico. Cassio Ed ella d’ogni lode è più bella. Jago (Ti guarda da quel Cassio.) Roderigo Che temi? Jago Ei favella già con troppo bollor, la gagliarda giovinezza lo sprona, è un astuto seduttor che t’ingombra il cammino. Bada...
Coro Evviva!
Roderigo Ebben?
Cassio Essa infiora questo lido.
Jago (S’ei inebria è perduto! fallo ber.) Qua, ragazzi, del vino! Innaffia l’ugola! Trinca, tracanna! Prima che svampino canto e bicchier.
Jago (Lo ascolta.) Cassio Col vago suo raggiar chiama i cuori a raccolta.
Otello
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Cassio Questa del pampino verace manna di vaghe annugola nebbie il pensier. Jago Chi all’esca ha morso del ditirambo spavaldo e strambo beva con me! Coro Chi all’esca ha morso del ditirambo spavaldo e strambo beve con te. Jago (Un altro sorso e brillo egli è.) Il mondo palpita quand’io son brillo! Sfido l’ironico Nume e il destin! Cassio Come un armonico liuto oscillo; la gioia scalpita sul mio cammin! Jago Chi all’esca ha morso del ditirambo spavaldo e strambo beva con me! Tutti Chi all’esca ha morso del ditirambo
spavaldo e strambo beve con te! Jago (Un altro sorso e brillo egli è.) Fuggan dal vivido nappo i codardi... che in cor nascondono frodi e mister. Cassio In fondo all’anima ciascun mi guardi! Non temo il ver... Non temo il ver... E bevo! Coro Ah! Ah Ah! Ah ah! Ah ah!... ... Ah ah! Ah ah! Ah ah! Cassio Del calice gli orli s’imporporino!... Jago (Egli è briaco fradicio. Ti scuoti. Lo trascina a contesa; è pronto all’ira t’offenderà... ne seguirà tumulto! Pensa che puoi così del lieto Otello turbar la prima vigilia d’amor!) Roderigo (Ed è ciò che mi spinge.) Montano Capitano, v’attende la fazione ai baluardi. Cassio Andiam! Montano Che vedo?!
Atto primo
Jago (Ogni notte in tal guisa Cassio preludia al sonno.)
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Montano (Otello il sappia.)
Jago (Va al porto, con quanta più possa ti resta, gridando: sommossa! Sommossa! Va! Sspargi il tumulto, l’orror. Le campane risuonino a stormo.) Fratelli! l’immane conflitto cessate!
Cassio Andiamo ai baluardi...
Donne del Coro Fuggiam!
Roderigo e Coro Ah, ah! Ah, ah!
Jago Ciel! Già gronda di sangue Montano! Tenzon furibonda!
Cassio Chi ride? Roderigo Rido d’un ebro... Cassio Bada alle tue spalle! Furfante! Roderigo Briaco ribaldo! Cassio Marrano! Nessun più ti salva! Montano Frenate la mano, Signor, ve ne prego. Cassio Ti spacco il cerèbro se qui t’interponi. Montano Parole d’un ebro... Cassio D’un ebro?!
Donne del Coro Fuggiam! Jago Tregua! Uomini Tregua! Donne S’uccidono! Uomini Pace! Jago Nessun più raffrena quell’ira pugnace! Si gridi l’allarme! Satàna li invade!! Coro All’armi!! Soccorso!! Otello Abbasso le spade! Olà! Che avvien? Son io fra i Saraceni?
Otello
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O la turchesca rabbia è in voi trasfusa da sbranarvi l’un l’altro?... Onesto Jago, per quell’amor che tu mi porti, parla.
Si soccorra Montàno. Al proprio tetto ritorni ognun. Io da qui non mi parto se pria non vedo deserti gli spaldi.
Jago Non so... qui tutti eran cortesi amici, dianzi, e giocondi... ma ad un tratto, come se un pianeta maligno avesse a quelli smagato il senno, sguainando l’arme s’avventano furenti... avess’io prima stroncati i pie’ che qui m’addusser!
Otello Già nella notte densa s’estingue ogni clamor. Già il mio cor fremebondo s’ammansa in quest’amplesso e si risensa. Tuoni la guerra e s’inabissi il mondo se dopo l’ira immensa vien quest’immenso amor!
Otello Cassio, come obliasti te stesso a tal segno? Cassio Grazia... perdon... parlar non so... Otello Montàno... Montano Son ferito... Otello Ferito!... Pel cielo Già il sangue mio ribolle. Ah! L’ira volge l’angelo nostro tutelare in fuga! Che?... La mia dolce Desdemona anch’essa per voi distolta da’ suoi sogni?! Cassio, non sei più capitano.
Desdemona Mio superbo guerrier! Quanti tormenti, quanti mesti sospiri e quanta speme ci condusse ai soavi abbracciamenti! Oh! Com’è dolce il mormorare insieme: te ne rammenti! Quando narravi l’esule tua vita e i fieri eventi e i lunghi tuoi dolor, ed io t’udia coll’anima rapita in quei spaventi e coll’estasi in cor. Otello Pingea dell’armi il fremito, la pugna e il vol gagliardo alla breccia mortal, l’assalto, orribil edera, coll’ugna al baluardo e il sibilante stral.
Jago (Oh! Mio trionfo!)
Desdemona Poi mi guidavi ai fulgidi deserti, all’arse arene, al tuo materno suol, narravi allor gli spasimi sofferti e le catene e dello schiavo il duol.
Otello Jago, tu va nella città sgomenta con quella squadra a ricompor la pace.
Otello Ingentilìa di lagrime la storia il tuo bel viso e il labbro di sospir;
Atto primo
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scendean sulle mie tenebre la gloria, il paradiso e gli astri a benedir.
Desdemona Otello...
Desdemona Ed io vedea fra le tue tempie oscure splender del genio l’eterea beltà.
Otello Un bacio... ancora un bacio. Gia la pleiade ardente al mar discende.
Otello E tu m’amavi per le mie sventure ed io t’amavo per la tua pietà.
Desdemona Tarda è la notte.
Desdemona Ed io t’amavo per le tue sventure e tu m’amavi per la mia pietà. Otello Venga la morte! Mi colga nell’estasi di quest’amplesso il momento supremo! Tale è il gaudio dell’anima che temo, temo che più non mi sarà concesso quest’attimo divino nell’ignoto avvenir del mio destino. Desdemona Disperda il ciel gli affanni e amor non muti col mutar degli anni. Otello A questa tua preghiera “Amen” risponda la celeste schiera. Desdemona “Amen” risponda. Otello Ah! La gioia m’innonda si fieramente... che ansante mi giacio... Un bacio...
Otello Vien... Venere splende.
Roberto Frontali
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Atto secondo
Jago Non ti crucciar. Se credi a me, tra poco farai ritorno ai folleggianti amori di Monna Bianca, altiero capitano, coll’elsa d’oro e col balteo fregiato. Cassio Non lusingarmi... Jago Attendi a ciò ch’io dico. Tu dêi saper che Desdemona è il Duce del nostro Duce, sol per essa ei vive. Pregala tu, quell’anima cortese per te interceda e il tuo perdono è certo. Cassio Ma come favellarle? Jago È suo costume girsene a meriggiar fra quelle fronde colla consorte mia. Quivi l’aspetta. Or t’è aperta la via di salvazione; vanne. Jago Vanne; la tua meta già vedo. Ti spinge il tuo dimone, e il tuo dimon son io.
E me trascina il mio, nel quale io credo, inesorato Iddio. – Credo in un Dio crudel che m’ha creato simile a sé, e che nell’ira io nomo. – Dalla viltà d’un germe o d’un atòmo vile son nato. – Son scellerato perché son uomo; e sento il fango originario in me. Sì! questa è la mia fe’! – Credo con fermo cuor, siccome crede la vedovella al tempio, che il mal ch’io penso e che da me procede, per il mio destino adempio. – Credo che il guisto è un istrion beffardo, e nel viso e nel cuor, che tutto è in lui bugiardo: lagrima, bacio, sguardo, sacrificio ed onor. – E credo l’uom gioco d’iniqua sorte dal germe della culla al verme dell’avel. – Vien dopo tanta irrision la Morte. – E poi? E poi? La Morte è il Nulla. e vecchia fola il Ciel. Jago Eccola... Cassio... a te... Questo è il momento. Ti scuoti... vien Desdemona. (S’è mosso; la saluta e s’avvicina. Or qui si tragga Otello!... Aiuta, aiuta Sàtana il mio cimento!... Già conversano insieme... ed essa inclina, sorridendo, il bel viso. Mi basta un lampo sol di quel sorriso per trascinare Otello alla ruina. Andiam... Ma il caso in mio favor s’adopra. Eccolo... al posto, all’opra.)
Otello
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Jago Ciò m’accora...
Otello Di’ il tuo pensiero, Jago.
Otello Che parli?
Jago Vi confidaste a Cassio?
Jago Nulla... voi qui? Una vana voce m’uscì dal labbro...
Otello Spesso un mio dono o un cenno portava alla mia sposa.
Otello Colui che s’allontana dalla mia sposa, è Cassio? Jago Cassio? No... quei si scosse come un reo nel vedervi. Otello Credo che Cassio ei fosse. Jago Mio signore... Otello Che brami? Jago Cassio, nei primi dì del vostro amor, Desdemona non conosceva? Otello Sì. Perché fai tale inchiesta? Jago Il mio pensiero è vago d’ubbìe, non di malizia.
Jago Dassenno? Otello Si, dassenno. Nol credi onesto? Jago Onesto? Otello Che ascondi nel tuo core? Jago Che asondo in cor, signore? Otello «Che ascondo in cor, signore?» Pel cielo! Tu sei l’eco dei detti miei, nel chiostro dell’anima ricetti qualche terribil mostro. Sì, ben t’udii poc’anzi mormorar: «Ciò m’accora.» Ma di che t’accoravi? Nomini Cassio e allora tu corrughi la fronte. Suvvia, parla, se m’ami. Jago Voi sapete ch’io v’amo. Otello Dunque senza velami t’esprimi, e senza ambagi.
Atto secondo
T’esca fuor dalla gola il tuo più rio pensiero colla più ria parola! Jago S’anco teneste in mano tutta l’anima mia nol sapreste. Otello Ah! Jago Temete, signor, la gelosia! È un’idra fosca, livida, cieca, col suo veleno se stessa attosca, vivida piaga le squarcia il seno. Otello Miseria mia! No! Il vano sospettar nulla giova. Pria del dubbio l’indagine, dopo il dubbio la prova, dopo la prova (Otello ha sue leggi supreme), amore e gelosia vadan dispersi insieme! Jago Un tal proposto spezza di mie labbra il suggello. Non parlo ancor di prova, pur, generoso Otello, vigilate, soventi le oneste e ben create coscienze non vedono la frode: vigilate. Scrutate le parole di Desdemona, un detto può ricondur la fede, può affermare il sospetto... . Eccola; vigilate... Coro Dove guardi splendono raggi, avvampan cuori, dove passi scendono nuvole di fiori. Qui fra gigli e rose, come a un casto altar, padri, bimbi, spose vengono a cantar.
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Fanciulli T’offriamo il giglio soave stel che in man degl’angeli fu assunto in ciel, che abbella il fulgido manto e la gonna della Madonna e il santo vel. Donne e Marinai Mentre all’aura vola lieta la canzon, l’agile mandòla ne accompagna il suon. Marinai A te le porpore, le perle e gli ostri, nella voragine còlti del mar. Vogliam Desdemona coi doni nostri come un’immagine sacra adornar. Donne e Fanciulli Mentre all’aura vola lieta la canzon, l’agile mandòla ne accompagna il suon. Donne A te la florida messe dai grembi a nembi, a nembi, spargiam al suolo. L’april circonda la sposa bionda d’un etra rorida che vibra al sol. Fanciulli e Marinai Mentre all’aura vola lieta la canzon, l’agile mandòla ne accompagna il suon. Tutti Dove guardi splendono
Otello
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raggi, avvampan cuori, dove passi scendono nuvole di fiori. Qui fra gigli e rose, come a un casto altar, padri, bimbi, spose vengono a cantar. Desdemona Splende il cielo, danza l’aura, olezza il fiore. Gioia amore, speranza cantan nel mio core. Coro Vivi felice! Addio. Qui regna Amore. Otello ... Quel canto mi conquide. S’ella m’inganna, il ciel se stesso irride! Jago (Beltà ed amor in dolce inno concordi! I vostri infrangerò soavi accordi.) Desdemona D’un uom che geme sotto il tuo disdegno la preghiera ti porto. Otello Chi è costui?
Desdemona Lui stesso, e il suo dolor che in me s’infonde tanto è verace che di grazia è degno. Intercedo per lui, per lui ti prego. Tu gli perdona. Otello Non ora. Desdemona Non oppormi il tuo diniego. Gli perdona. Otello Non ora. Desdemona Perché torbida suona la voce tua? Qual pena t’addolora? Otello M’ardon le tempie... Desdemona Quell’ardor molesto svanirà, se con questo morbido lino la mia man ti fascia. Otello Non ho d’uopo di ciò. Desdemona Tu sei crucciato, signor.
Desdemona Cassio.
Otello Mi lascia! Mi lascia!
Otello Era lui che ti parlava sotto quelle fronde?
Desdemona Se inconscia, contro te, sposo, ho peccato, dammi la dolce e lieta parola del perdono.
Atto secondo
Otello (Forse perchè gl’inganni d’arguto amor non tendo...) Desdemona La tua fanciulla io sono umile e mansueta; ma il labbro tuo sospira, hai l’occhio fiso al suol. Guardami in volto e mira come favella amore. Vien ch’io t’allieti il core, ch’io ti lenisca il duol. Otello (... forse perchè discendo nella valle degli anni, forse perchè ho sul viso quest’atro tenebror, ella è perduta è irriso io sono e il cor m’infrango e ruinar nel fango vedo il mio sogno d’or.) Jago (Quel vel mi porgi ch’or hai raccolto.) Emilia (Qual frode scorgi? Ti leggo in volto. Jago T’opponi a voto quand’io commando. Emilia Il tuo nefando livor m’è noto.
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Jago Sospetto insano! Emilia Guardia fedel è questa mano. Jago Dammi quel vel! Su te l’irosa mia man s’aggrava! Emilia Son la tua sposa, non la tua schiava. Jago La schiava impura tu sei di Jago. Emilia Ho il cor presago d’una sventura. Jago Né mi paventi? Emilia Uomo crudel! Jago A me... Emilia Che tenti? Jago A me quel vel! (Già la mia brama conquido, ed ora
Otello
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su questa trama Jago lavora!) Emilia (Vinser gli artigli truci e codardi. Dio dai perigli sempre ci guardi.) Otello Escite! – Solo vo’ restar. Jago (Ti giova tacere. Intendi?) Otello Desdemona rea! Jago (Con questi fili tramerò la prova del peccato d’amor. Nella dimora di Cassio ciò s’asconda.) Otello Atroce idea! Jago (Il mio velen lavora.) Otello Rea contro me! – Contro me! Jago (Soffri e ruggi!) Otello Atroce!!!... Atroce!!!... Jago Non pensateci più.
Otello Tu?! Indietro! Fuggi! M’hai legato alla croce!... Ahimè!... Più orrendo d’ogni orrenda ingiuria dell’ingiuria è il sospetto. Nell’ore arcane della sua lussuria (e a me furate!) m’agitava il petto forse un presagio? Ero baldo, giulivo... Nulla sapevo ancora; io non sentivo sul suo corpo divin che m’innamora e sui labbri mendaci gli ardenti baci di Cassio! – Ed ora! Ed ora... Ora e per sempre addio sante memorie, addio, sublimi incanti del pensier! Addio schiere fulgenti, addio vittorie, dardi volanti e volanti corsier! Addio, vessillo trionfale e pio! E diane squillanti in sul mattin! Clamori e canti di battaglia, addio!... Della gloria d’Otello è questo il fin. Jago Pace, signor. Otello Sciagurato! Mi trova una prova secura che Desdemona è impura... Non sfuggir! Nulla ti giova! Vo’ una secura, una visibil prova! O sulla tua testa s’accenda e precipiti il fulmine del mio spaventoso furor che si desta! Jago Divina grazia difendimi! – Il cielo vi protegga. Non son più vostro alfiere. Voglio che il mondo testimon mi sia che l’onestà è periglio.
Atto secondo
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Otello No... rimani. Forse onesto tu sei.
Otello Oh! Mostruosa colpa!
Jago Meglio varebbe ch’io fossi un ciurmador.
Jago Io non narrai che un sogno.
Otello Per l’universo! Credo leale Desdemona e credo che non lo sia; te credo onesto e credo disleale... – La prova io voglio! Voglio la certezza! Jago Signor, frenate l’ansie. E qual certezza v’abbisogna? – Avvinti vederli forse? Otello Ah! Morte e dannazione! Jago Ardua impresa sarebbe; e qual certezza sognate voi se quell’immondo fatto sempre vi sfuggirà?... – Ma pur se guida è la ragione al vero, una sì forte congettura riserbo che per poco alla certezza vi conduce. Udite. Era la notte, Cassio dormìa, gli stavo accanto. Con interrotte voci tradia l’intimo incanto. Le labbra lente, lente movea, nell’abbandono del sogno ardente; e allor dicea, con flebil suono: «Desdemona soave! Il nostro amor s’asconda. Cauti vegliamo! L’estasi del ciel tutto m’innonda.» Seguìa più vago l’incubo blando; con molle angoscia l’interna imago quasi baciando, ei disse poscia: «Il rio destino impreco che al Moro ti donò.» E allora il sogno in cieco letargo si mutò.
Otello Un sogno che rivela un fatto. Jago Un sogno che può dar forma di prova ad altro indizio. Otello E qual? Jago Talor vedeste in mano di Desdemona un tessuto trapunto a fior e più sottil d’un velo? Otello È il fazzoletto ch’io le diedi, pegno primo d’amor. Jago Quel fazzoletto ieri (certo ne son) lo vidi in man di Cassio. Otello Ah! Mille vite gli donasse Iddio! Una è povera preda al furor mio!!! Jago ho il cuor di gelo. Lungi da me le pietose larve! Tutto il mio vano amore esalo al cielo, guardami, – ei sparve. Nelle sue spire d’angue, l’idra m’avvince! Ah! Sangue! Sangue! Sangue! Si, pel ciel marmoreo giuro! Per le attorte folgori!
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Per la Morte e per l’oscuro mar sterminator! D’ira e impeto tremendo presto fia che sfolgori questa man ch’io levo e stendo! Jago Non v’alzate ancor! Testimon è il Sol ch’io miro, che m’irradia e inanima l’ampia terra e il vasto spiro del Creato inter, che ad Otello io sacro ardenti, core, braccio ed anima s’anco ad opere cruenti s’armi il suo voler! Jago e Otello Sì, pel ciel marmoreo giuro! Per le attorte folgori! Per la Morte e per l’oscuro mar sterminator! D’ira e d’impeto tremendo presto fia che sfolgori questa man ch’io levo e stendo! Dio vendicator!
Otello
Tanta Tarieli, Seung Pil Choi
Giacomo Medici, Manuel Pierattelli
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Atto terzo
Araldo La vedetta del porto ha segnalato la veneta galea che a Cipro adduce gli ambasciatori. Otello Bene sta. Continua. Jago Qui trarrò Cassio e con astute inchieste lo adescherò a ciarlar. Voi là nascosto scrutate i modi suoi, le sue parole, i lazzi, i gesti. Paziente siate o la prova vi sfugge. Ecco Desdemona. Finger conviene... io vado. Il fazzoletto... Otello Va! Volentieri obliato l’avrei. Desdemona Dio ti giocondi, o sposo dell’alma mia sovrano. Otello Grazie, madonna, datemi la vostra eburnea mano. Caldo mador ne irrora la morbida beltà. Desdemona Essa ancor l’orme ignora del duolo e dell’età.
Otello Eppur qui annida il demone gentil del mal consiglio, che il vago avorio allumina del piccioletto artiglio. Mollemente alla prece s’atteggia e al pio fervore... Desdemona Eppur con questa mano io v’ho donato il core. Ma riparlar vi debbo di Cassio. Otello Ancor l’ambascia del mio morbo m’assale; tu la fronte mi fascia. Desdemona A te. Otello No; il fazzoletto voglio ch’io ti donai. Desdemona Non l’ho meco. Otello Desdemona, guai se lo perdi! Guai! Una possente maga ne ordìa lo stame arcano: ivi è riposta l’alta malia d’un talismano. Bada! Smarrirlo, oppur donarlo, è ria sventura! Desdemona Il vero parli? Otello Il vero parlo. Desdemona Mi fai paura!... Otello Che!? L’hai perduto forse?
Otello
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Desdemona No...
Desdemona Atroce idea!
Otello Lo cerca.
Otello Guardami in faccia! Dimmi chi sei!
Desdemona Fra poco... lo cercherò...
Desdemona La sposa fedel d’Otello.
Otello No, tosto!
Otello Giura! Giura e ti danna...
Desdemona Tu di me ti fai gioco. Storni cosi l’inchiesta di Cassio; astuzia è questa del tuo pensier.
Desdemona Otello fedel mi crede.
Otello Pel cielo! L’anima mia si desta! Il fazzoletto... Desdemona È Cassio l’amico tuo diletto. Otello Il fazzoletto! Desdemona A Cassio perdona... Otello Il fazzoletto! Desdemona Gran Dio! Nella tua voce v’è un grido di minaccia! Otello Alza quegli occhi!
Otello Impura ti credo. Desdemona Iddio m’aiuti! Otello Corri alla tua condanna, di’ che sei casta. Desdemona Casta... Io son... Otello Giura e ti danna! Desdemona Esterrefatta fisso lo sguardo tuo tremendo, in te parla una Furia, la sento e non l’intendo. Mi guarda! Il volto e l’anima ti svelo; il core infranto mi scruta... io prego il cielo per te con questo pianto, Per te con queste stille cocenti aspergo il suol. Guarda le prime lagrime, che da me spreme il duol.
Atto terzo
Otello S’or ti scorge il tuo dèmone, un angelo ti crede e non t’afferra. Desdemona Vede l’Eterno la mia fede! Otello No! La vede l’inferno. Desdemona La tua giustizia impetro, sposo mio! Otello Ah! Desdemona! – Indietro! Indietro! Indietro! Desdemona Tu pur piangi?!... E gemendo freni del cor lo schianto! E son io l’innocente cagion di tanto pianto! Qual è il mio fallo? Otello E il chiedi?... Il più nero delitto sovra il candido giglio della tua fronte è scritto. Desdemona Ahimé! Otello Che? Non sei forse una vil cortigiana? Desdemona Ciel! No... no... pel battesmo della fede cristiana!...
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Otello Datemi ancor l’eburnea mano, vo’ fare ammenda. Vi credea (perdonate se il mio pensiero è fello) quella vil cortigana che è la sposa d’Otello. Otello Dio! Mi potevi scagliar tutti i mali della miseria, – della vergogna, far de’ miei baldi trofei trionfali una maceria, – una menzogna... E avrei portato la croce crudel d’angosce e d’onte con calma fronte e rassegnato al volere del ciel. Ma, o pianto, o duol! M’han rapito il miraggio dov’io, giulivo, – l’anima acqueto. Spento è quel sol, quel sorriso, quel raggio che mi fa vivo, – che mi fa lieto! Tu alfin, Clemenza, pio genio immortal dal roseo riso, copri il tuo viso santo coll’orrida larva infernal! Otello Ah! Dannazione! Pria confessi il delitto e poscia muoia! Confession! Confessione! La prova! Jago Cassio è là!
Otello Che?...
Otello Là?! Cielo! Gioia! Orror! – Supplizi immondi!
Desdemona Ah!... Non son ciò che esprime quella parola orrenda.
Jago Ti frena! Ti nascondi!
Otello
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Jago Vieni, l’aula è deserta. T’inoltra, o Capitano. Cassio Questo nome d’onor suona ancor vano per me. Jago Fa cor, la tua causa è in tal mano che la vittoria è certa. Cassio Io qui credea di ritrovar Desdemona.
Cassio Rider mi fai. Jago Ride chi vince. Cassio In tal disfide, – per verità, vince chi ride – Ah! Ah! Jago Ah! Ah!
Otello (Ei la nomò.)
Otello (L’empio trionfa, il suo scherno m’uccide; Dio frena l’ansia che in core mi sta!)
Cassio Vorrei parlarle ancora, per saper se la mia grazia è profferta.
Cassio Son già di baci sazio e di lai.
Jago L’attendi, e intanto, giacché non si stanca mai la tua lingua nelle fole gaie, narrami un po’ di lei che t’innamora.
Jago Rider mi fai.
Cassio Di chi? Jago Di Bianca. Otello (Sorride!) Cassio Baie!... Jago Essa t’avvince coi vaghi rai.
Cassio O amor’ fugaci! Jago Vagheggi il regno – d’altra beltà. Colgo nel segno? – Cassio Ah! Ah! Jago Ah! Ah! Cassio Nel segno hai colto. Sì, lo confesso. M’odi...
Atto terzo
Jago Sommesso parla. T’ascolto. Cassio Jago, t’è nota la mia dimora... Otello (Or gli racconta il modo, il luogo e l’ora...) Cassio ... da mano ignota... Otello (Le parole non odo... Lasso! E udir le vorrei! Dove son giunto!) Cassio ... un vel trapunto... Jago È strano! È strano! Otello (D’avvicinarmi Jago mi fa cenno.) Jago Da ignota mano? Baie! Cassio Da senno. Quanto mi tarda saper chi sia... Jago (Otello spia.) L’hai teco? Cassio Guarda.
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Jago Qual meraviglia! (Otello origlia. Ei s’avvicina con mosse accorte) Bel cavaliere, – nel vostro ostel perdono gli angeli – l’aureola e il vel. Otello (È quello! È quello! Ruina e morte!) Jago (Origlia Otello.) Otello (Tutto è spento! Amore e duol. L’alma mia nessun più smova Tradimento, la tua prova spaventosa mostri al Sol). Jago Questa è una ragna dove il tuo cuor casca, si lagna, s’impiglia e muor. Troppo l’ammiri, troppo la guardi; bada ai deliri vani e bugiardi. Cassio Miracolo vago dell’aspo e dell’ago che in raggi tramuta le fila d’un vel, più bianco, più leve che fiocco di neve, che nube tessuta dall’aure del ciel.
Otello
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Jago Quest’é il segnale che annuncia l’approdo della trireme veneziana. Ascolta. Tutto il castel co’suoi squilli risponde. Se qui non vuoi con Otello scontrarti, fuggi.
Jago Il tosco no, al meglio soffocarla, là nel suo letto, là, dove ha peccato.
Cassio Addio.
Jago A Cassio Jago provvederà.
Jago Va. Otello Come la ucciderò? Jago Vedeste ben com’egli ha riso? Otello Vidi. Jago E il fazzoletto? Otello Tutto vidi. Coro Evviva! Alla riva! Allo sbarco! Otello È condannata. Fa ch’io m’abbia un velen per questa notte. Tutti Evviva! Evviva il Leon di San Marco!
Otello Questa giustizia tua mi pace.
Otello Jago, fin d’ora mio Capitano t’eleggo. Jago Mio Duce, grazie vi rendo. Ecco gli Ambasciatori. Li accogliete. Ma ad evitar sospetti, Desdemona si mostri a quei Messeri. Otello Si, qui l’adduci. Lodovico Il Doge ed il Senato salutano l’eroe trionfatore di Cipro. Io reco nelle vostre mani il messaggio dogale. Otello Io bacio il segno della Sovrana Maestà. Lodovico Madonna, v’abbia il ciel in sua guardia. Desdemona E il ciel v’ascolti. Emilia (Come sei mesta.)
Atto terzo
Desdemona (Emilia, una gran nube turba il senno d’Otello e il mio destino.) Jago Messer, son lieto di vedervi. Lodovico Jago, quali nuove?... Ma in mezzo a voi non trovo Cassio. Jago Con lui crucciato è Otello. Desdemona Credo che in grazia tornerà. Otello Ne siete certa? Desdemona Che dite?
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Otello Demonio, taci! Lodovico Ferma! Tutti Orrore! Lodovico La mente mia non osa pensar ch’io vidi il vero. Otello A me Cassio! Jago (Che tenti?) Otello (Guardala mentr’ei giunge.)
Lodovico Ei legge, non vi parla.
Coro Ah! triste sposa!
Jago Forse che in grazia tornerà.
Lodovico Quest’è dunque l’eroe? Quest’è il guerriero dai sublimi ardimenti?
Desdemona Jago, lo spero; sai se un verace affetto io porti a Cassio...
Jago È quel ch’egli è.
Otello Frenate dunque le labbra loquaci...
Lodovico Palesa il tuo pensiero.
Desdemona Perdonate, signor...
Jago Meglio è tener su ciò la lingua muta.
Otello
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Otello (Eccolo! È lui! Nell’animo lo scruta) Messeri! Il Doge... – (ben tu fingi il pianto) mi richiama a Venezia... Roderigo (Infida sorte!) Otello E in Cipro elegge mio successor colui che stava accanto al mio vessillo, Cassio. Jago (Inferno e morte!) Otello La parola Ducale è nostra legge. Cassio Obbedirò. Otello (Vedi? Non par che esulti l’infame.) Jago (No.) Otello La ciurma e la coorte... (Continua i tuoi singulti... ) e le navi e il castello lascio in poter del nuovo Duce. Lodovico Otello, per pietà la conforta o il cor le infrangi.
Otello Noi salperem domani. A terra!... E piangi! Desdemona A terra!... Sì... Nel livido fango... percossa... io giacio... Piango... m’agghiaccia il brivido dell’anima che muor. E un dì sul mio sorriso fioria la speme e il bacio, ed or... l’angoscia in viso e l’agonia nel cor. Quel Sol sereno e vivido che allieta il cielo e il mare non può asciugar le amare stille del mio dolor. Emilia (Quella innocente un fremito d’odio non ha né un gesto, trattiene in petto il gemito con doloroso fren. La lagrima si frange muta sul volto mesto: no, chi per lei non piange non ha pietade in sen.) Roderigo (Per me s’oscura il mondo, s’annuvola il destin, l’angiol soave e biondo scompar dal mio cammin.) Cassio (L’ora è fatal! Un fulmine sul mio cammin l’addita. Già di mia sorte il culmine s’offre all’inerte man
Atto terzo
L’ebbra fortuna incalza la fuga della vita. Questa che al ciel m’innalza è un’onda d’uragan.) Lodovico (Egli la man funerea scuote anelando d’ira, essa la faccia eterea volge piangendo al ciel. Nel contemplar quel pianto la carità sospira, e un tenero compianto stempra del core il gel.) Dame Pietà! Pietà! Pietà! Ansia mortale, bieca, ne ingombra, anime assorte in lungo orror. Vista crudel! Ei la colpi! Quel viso santo, pallido, blando, si china e tace e piange e muor. Piangon così nel ciel lor pianto gli angeli quando perduto giace il peccator. Cavalieri Mistero! Quell’uomo nero è sepolcrale, e cieca un’ombra è in lui di morte e di terror! Strazia coll’ugna l’orrido petto! Figge gli sguardi immoti al suol. Poi sfida il ciel coll’atre pugna, l’ispido aspetto ergendo ai dardi alti del Sol. Jago (Una parola.) Otello E che?
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Jago T’affretta! Rapido slancia la tua vendetta! Il tempo vola. Otello Ben parli. Jago È l’ira inutil ciancia. Scuotiti! All’opra ergi tua mira! All’opra sola! Io penso a Cassio. Ei le sue trame espia. L’infame anima ria l’averno inghiotte! Otello Chi gliela svelle? Jago Io. Otello Tu? Jago Giurai. Otello Tal sia. Jago Tu avrai le sue novelle questa notte. (I sogni tuoi saranno in mar domani e tu sull’aspra terra). Roderigo Ahi triste! Jago Ahi stolto! Stolto! Se vuoi, tu puoi sperar; gli umani, orsù! Cimenti afferra, e m’odi.
Otello
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Roderigo (T’ascolto).
Otello Tutti fuggite Otello!
Jago (Col primo albor salpa il vascello. Or Cassio è il Duce. Eppur se avvien che a questi accada sventura... allor qui resta Otello.)
Jago Lo assale una malìa che d’ogni senso il priva.
Roderigo Lugubre luce d’atro balen! Jago Mano alla spada! A notte folta io la sua traccia vigilo, e il varco e l’ora scruto; il resto a te. Sarò tuo scolta. A caccia! A caccia! Cingiti l’arco! Roderigo Sì! t’ho venduto onore e fé. Jago (Corri al miraggio! Il fragile tuo senno ha già confuso un sogno menzogner. Segui l’astuto ed agile mio cenno, amante illuso, io seguo il mio pensier.) Roderigo (Il dado è tratto! Impavido t’attendo, ultima sorte, occulto mio destin. Mi sprona amor, ma un avido, tremendo astro di morte infesta il mio cammin.)
Otello Chi non si scosta è contro me rubello. Lodovico Mi segui... Coro Evviva! Desdemona Mio sposo! Otello Anima mia, ti maledico! Tutti Orror! Otello Fuggirmi io sol non so!... Sangue! Ah! L’abbietto pensiero! «Ciò m’accora!» Vederli insieme avvinti... il fazzoletto!... Ah!
Otello Fuggite!
Jago (Il mio velen lavora.)
Tutti Ciel!
Coro Viva Otello!
Atto terzo
Jago L’eco della vittoria... porge sua laude estrema. Chi può vietar che questa fronte prema col mio tallone? Coro Evviva Otello! Gloria al Leon di Venezia! Jago Ecco il Leone!
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Mimi
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Atto quarto
Emilia Era più calmo? Desdemona Mi parea. M’ingiunse di coricarmi e d’attenderlo. Emilia, te ne prego, distendi sul mio letto la mia candida veste nuziale. Senti. Se pria di te morir dovessi mi seppellisci con un di quei veli. Emilia Scacciate queste idee. Desdemona Son mesta, tanto, tanto. Mia madre aveva una povera ancella, innamorata e bella. Era il suo nome “Barbara”. Amava un uom che poi l’abbandonò; cantava un canzone: “la canzon del Salice”. – Mi disciogli le chiome – Io questa sera ho la memoria piena di quella cantilena: “Piangea cantando nell’erma landa, piangea la mesta... O Salce! Salce! Salce! Sedea chinando sul sen la testa!
Salce! Salce! Salce! Cantiamo! il Salce funebre sarà la mia ghirlanda”. – Affrettati; fra poco giunge Otello. – “Scorreano i rivi fra le zolle in fior, gemea quel core affranto, e dalle ciglia le sgorgava il cor l’amara onda del pianto. Salce! Salce! Salce! Cantiamo! Cantiamo! Il Salce funebre sarà la mia ghirlanda”. “Scendean ‘augelli a vol dai rami cupi verso quel dolce canto. E gli occhi suoi piangean tanto, tanto, da impietosir le rupi”. – Riponi quest’anello. – Povera Barbara! – Solea la storia con questo semplice – suono finir: “Egli era nato per la sua gloria, io per amarlo...” – Ascolta. Odo un lamento. Taci. Chi batte a quella porta?... Emilia È il vento. Desdemona “Io per amarlo e per morir” – Emilia, addio. Come m’ardon le ciglia! È presagio di pianto. Buona notte. Desdemona Ave Maria, piena di grazia, eletta fra le spose e le vergini sei tu, sia benedetto il frutto, o benedetta, di tue materne viscere, Gesù. Prega per chi adorando a te si prostra, prega nel peccator, per l’innocente, e pel debole oppresso e pel possente,
Otello
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misero anch’esso, tua pietà dimostra. Prega per chi sotto l’oltraggio piega la fronte e sotto la malvagia sorte; per noi tu prega, sempre e nell’ora della morte nostra. prega per noi, prega per noi, prega. Amen. ... Chi è là? Otello? Otello Sì! Diceste questa sera le vostre preci? Desdemona Orai. Otello Se vi sovviene di qualche colpa commessa che attenda grazia dal ciel, imploratela tosto. Desdemona Perché? Otello T’affretta. Uccidere non voglio l’anima tua.
Desdemona E abbiate pietà voi pure. Otello Pensa ai tuoi peccati. Desdemona Mio peccato è l’amor. Otello Perciò tu muori. Desdemona E perché t’amo m’uccidi?... Otello Ami Cassio. Desdemona No! Sull’anima mia! Otello Quel fazzoletto ch’io ti donai gli desti. Desdemona Non è vero!
Desdemona D’uccider parli?
Otello Nella sua man lo vidi.
Otello Sì.
Desdemona Io rea non sono!
Desdemona Pietà di me, mio Dio.
Otello Confessa!
Otello “Amen”.
Desdemona Giuro!
Atto quarto
Otello Bada allo spergiuro... Pensa che sei sul tuo letto di morte. Desdemona Non per morir. Otello Per morir tosto. Desdemona Aita! Cassio non amo... ch’ei qui venga... ei parli. Otello Muto è per sempre. Desdemona Cielo! Morto? Otello Morto. Desdemona Son perduta! ... Ei tradito!
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Otello Giù! Cadi, prostituta! ... Desdemona Pietà! Otello Muori! Desdemona Ch’io viva questa notte... Otello No. Desdemona Un’ora... Otello No. Desdemona Un istante. Otello No.
Otello E pianger l’osi?
Desdemona Sol ch’io dica un’Ave.
Desdemona Otello... non uccidermi...
Otello È tardi!
Otello Tu invano ti difendi.
Otello Calma come la tomba.
Desdemona Ch’io viva ancor...
Emilia Aprite! Aprite!
Otello
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Otello Chi è là? – Chi batte?
Otello O mentitrice! Io l’uccisi.
Emilia Signor mio... ven prego, lasciate ch’io vi parli... Aprite!
Emilia Assassino!
Otello Emilia, che avvenne? Emilia Un gran delitto! Cassio uccise Roderigo. Otello E Cassio? Emilia Vive. Otello Cassio vive! Desdemona Ingiustamente... uccisa ingiustamente... Emilia Chi geme là?... Orror! Desdemona Muoio innocente...
Otello Fu di Cassio la druda. A Jago il chiedi. Emilia A Jago? Otello A Jago. Emilia Stolto! E tu il credesti? Otello Negarlo ardisci? Emilia Non ti temo. Otello Bada! Emilia Olà! Soccorso! Aiuto! Otello uccise Desdemona!
Emilia Gran Dio!... Chi fu?
Cassio, Jago, Lodovico Quai grida! Orrore! Orrore!
Desdemona Nessuno... io stessa... Al mio signor mi raccomanda... muoio innocente... Addio.
Emilia Jago, smentisci quel vile assassino. Hai tu creduto Desdemona infida? Parla!
Atto quarto
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Jago Tal la credea.
Montano S’insegua.
Otello Quel fazzoletto che un dì le diedi, a Cassio essa donava.
Cassio, Lodovico Afferratelo!
Emilia O potenza divina! Jago Taci! Emilia No, tutto rivelo! Jago Taci! Emilia No! Costui dalla mia man quel fazzoletto svelse a viva forza. Cassio E nella mia dimora trovai quel vel. Montano Rodrigo morente mi svelò di quest’uom l’arti nefande. Otello Ah! Discolpati! Jago No. Lodovico Ferma.
Otello E il ciel non ha più fulmini?!... Lodovico La spada a me! Otello Tant’osi?... Niun mi tema s’anco armato mi vede. Ecco la fine del mio cammin... Oh! Gloria! Otello fu. E tu... come sei pallida! E stanca, e muta, e bella, pia creatura nata sotto maligna stella. Fredda come la casta tua vita... e in cielo assorta. Desdemona! Desdemona!... Ah... morta! morta! morta!... Ho un’arma ancor! Cassio Ah! Ferma! Lodovico, Montano Sciagurato! Otello Pria d’ucciderti... sposa... ti baciai. Or morendo... nell’ombra... ov’io mi giacio... Un bacio... un bacio ancora... un altro bacio...
Michele Gamba
SFERISTERIO 23, 29 luglio, 7* agosto - ore 21.00 Anteprima giovani 19 luglio - ore 21.00 Vincenzo Bellini
Norma Tragedia lirica in due atti. Libretto di Felice Romani Rappresentante CASA RICORDI, Milano
Maria José Siri Rubens Pelizzari Sonia Ganassi Nicola Ulivieri Rosanna Lo Greco Manuel Pierattelli
Norma Pollione Adalgisa Oroveso Clotilde Flavio
Direttore Michele Gamba Regia Luigi Di Gangi e Ugo Giacomazzi Scene Federica Parolini Costumi Daniela Cernigliaro Luci Luigi Biondi Maestro del coro Carlo Morganti Assistente alla regia Luca Mazzei Assistente alle scene Eleonora De Leo Assistente ai costumi Agnese Rabatti Assistente per i movimenti mimici Giuseppe Sangiorgi Fondazione Orchestra Regionale delle Marche Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini” Complesso di palcoscenico Banda “Salvadei” Coproduzione con la Fondazione Teatro Massimo di Palermo * serata con audio descrizione in collaborazione con Unione Italiana Ciechi e Museo Tattile Statale Omero
Ugo Giacomazzi, Luigi Di Ganci
73 Direttore di scena Giacomo Benamati Direttore musicale di palcoscenico Gianfranco Stortoni Vocal coach Simone Savina Maestro di sala Claudia Foresi Maestri di palcoscenico Marta Marrocchi, Sabrina Scaramelli Maestro alle luci Melissa Mastrolorenzi Maestro ai sopratitoli Daniele Gabrielli Mimi Paolo Andrenucci, Simone Baldassarri, Andrea Bassi, Matteo Canesin, Alessia Lucia Donadio, Roberto Marinelli, Lucia Marinsalta, Chiara Muscato, Marta Negrini, Ezio Passacantilli, Fulvio Sacco Figuranti Mattia Intermesoli, Israel Osunbur Direttore di palcoscenico Mauro De Santis Responsabile allestimento e servizi di palcoscenico Enrico Sampaolesi Ufficio tecnico Francesco Lozzi Logistica Giorgio Alici Biondi Scenografo realizzatore Serafino Botticelli Capo macchinista Secondo Caterbetti Capo elettricista Fabrizio Gobbi Responsabile sartoria Simonetta Palmucci Responsabile vestizioni Maria Antonietta Lucarelli Capo attrezzista Emanuela Di Piro Capo squadra aiuti tecnici Mauricio Cesar Pasquali Supervisore trucco e parrucchieria Raffaella Cipolato Responsabile parrucchieria Serena Mercanti Responsabile trucco Sara Croci Coordinatrice personale di sala Caterina Ortolani Fotografo Alfredo Tabocchini Scene Laboratorio Scenografia Pesaro di Lidia Trecento, Montelabbate (PU) Attrezzeria Laboratori del Macerata Opera Festival Costumi e Calzature Sartoria del Macerata Opera Festival, Teatro Massimo di Palermo, Accademia di Belle Arti di Palermo Parrucche Audello, Torino Illuminotecnica Seven, Ancona Fonica AMS, Macerata Sopratitoli e audio descrizioni Macerata Opera Festival e UniversitĂ di Macerata
Luigi Biondi, Federica Parolini, Daniela Cernigliaro
75 Norma. Del fato ombra di speme Macerata Opera Festival e Medici Senza Frontiere Giuseppe De Mola* A.S. dal Pakistan e I. dalla Somalia sono due rifugiati che dopo un periodo in un progetto di accoglienza hanno intrapreso il difficile percorso di costruzione di una vita autonoma in Italia. A.S. racconta con ricchezza di particolari il suo passaggio delle montagne al confine tra l’Iran e la Turchia. I., invece, la sua attraversata del deserto del Niger non riesce proprio a raccontarla, perché ogni volta le parole devono interrompersi per non arrendersi alle lacrime. Il racconto del mare nasce dalle testimonianze di numerose donne – provenienti soprattutto dalla Nigeria e dall’Eritrea – che raggiungono il nostro Paese dopo aver subito violenze indicibili in Libia. L’episodio delle persone che per sfuggire al terrore e alla disperazione si lasciano cadere dalle barche in mare, viene da altri rifugiati con storie assai simili a quelle raccolte sulle nostre coste: uomini e donne in fuga dalla Somalia e dall’Etiopia che attraversavano il golfo di Aden diretti in Yemen. Quando lo Yemen appariva ancora un luogo sicuro dove cercare rifugio. LA MONTAGNA Non è difficile attraversare il passo. Ma prima hai detto che ci vogliono due giorni e due notti. Sì, ma la salita non è ripida. E comunque siccome cammineremo solo di notte non te ne accorgerai. Poi io non è che fossi magro come adesso. Ero più in forma, avevo più muscoli, facevo sport. Cricket soprattutto. Anche qui gioco a cricket, anche se nessuno capisce le regole, e il pubblico applaude sempre al momento sbagliato. Siamo partiti in sessanta in fila indiana, su per la montagna. C’erano anche donne e molti bambini. Nello zaino avevo soltanto vestiti. Poi neanche più quelli perché li ho indossati tutti per il freddo. Oltre ai vestiti, il passaporto. Solo il passaporto e lo zaino vuoto. Camminavamo di notte tenendoci per mano, una mano stretta a quella di chi ci pre-
cedeva, l’altra dietro. Per farmi coraggio pensavo ai bambini della fila, se loro si arrampicavano senza lamentarsi, dovevo farcela anch’io. Non ci era permesso di usare le torce, le guardie di confine ci avrebbero scoperti. Sentivamo la fatica della salita nei polpacci e i sassi rotolare sotto le scarpe e perdersi giù, nell’oscurità. Solo i trafficanti avevano ciascuno una piccola torcia, tre trafficanti, uno all’inizio uno al centro e l’altro in coda alla fila. Solo loro tenevano una piccola torcia e ci illuminavano in faccia quando ci fermavamo per riprendere fiato e ci contavano. Cinquantasette. Le urla soffocate di poco fa. I tre mancanti. Con la mano sinistra stringevo quella di Abbas dietro di me. Aveva sedici anni Abbas, ed era magro, molto più magro di come sono io adesso. Di notte ripeteva che si sentiva svenire. Di giorno, sulla montagna, recuperando le forze, parlavamo di casa. I trafficanti ci dicevano di restare in silenzio, ché le parole potevano richiamare le guardie di confine. Però continuavamo sottovoce a parlare di casa, delle nostre madri, della sua scuola, del mio matrimonio, quando i maschi della famiglia mi sollevarono in aria aggrappato alla tavola del mio letto e mi sentivo di precipitare, come adesso su questo sentiero. Cinquantadue. All’improvviso ho sentito le dita della mano di Abbas scivolare tra le mie e la mia mano ritrovarsi vuota. Abbas era rotolato di sotto, come i sassi spostati dalle nostre scarpe. Abbas dove sei? ho urlato. Poi ho urlato la seconda volta verso il trafficante in coda alla fila. Il raggio della torcia puntato contro i miei occhi, non ho visto partire la mano che si è abbattuta sulla mia faccia. Che cazzo urli? È finito di sotto. Abbas è finito di sotto. Stai zitto, non possiamo farci niente. Dobbiamo proseguire. Ma forse è rimasto aggrappato a un albero, almeno fammi provare, punta la torcia qui sotto, per favore. Ti do solo un minuto, e se urli di nuovo ti ammazzo. Ho tirato su Abbas aiutato da tre persone della fila. Non avrei mai pensato che fosse così pesante. Perché quando sono morte le persone diventano più pesanti? Cinquantuno. Sulla cima della montagna, prima di cominciare la discesa verso il fiume che segna il confine, ho sepolto il mio passaporto. Se i turchi ti trovano con un passaporto ti rimandano indietro al tuo paese e devi ricominciare il viaggio daccapo.
76 Ci sono migliaia di passaporti sepolti sulla montagna. No. Abbas non era tra i nove mancanti all’appello. Si è salvato, Abbas. Adesso è in Norvegia che lavora in un take away. Senza documenti. Sempre magro. Però vivo. IL DESERTO Io non voglio ricordare. E per non ricordare non devo parlare. E tu, non chiedermi. Scrivere è diverso. Mi farà male mentre scrivo, ma riuscirò a liberarmi dei ricordi una volta per tutte, usciranno attaccati alle parole che getterò sul foglio. “Abbiamo sete!”. “State zitti e risparmiate la saliva”. Mi sembrava anche troppa l’acqua che avevo portato con me all’inizio della traversata del deserto. All’inizio la offrivo ai miei compagni di viaggio. I bambini e le donne, soprattutto. Poi ho smesso. Ripetevo a tutti che le borracce erano vuote. Anche ai bambini. E bevevo di nascosto, non più di un sorso per volta. E cercavo di tenere in bocca ogni sorsata il più a lungo possibile. Ero ossessionato dal pensiero che qualcuno mi rubasse le borracce. E che l’acqua mi scorresse attraverso la gola troppo in fretta. Quanti giorni è che abbiamo aspettato che ci venissero a riprendere? Quando una persona sentiva che il suo tempo era finito, chiedeva al compagno di viaggio di prendere le sue cose, di portarle con sé e di consegnarle a un familiare, dall’altra parte del deserto e del mare. Poi si stendeva a terra, sollevava le ginocchia fino al petto, le braccia sopra le orecchie, le mani dietro la nuca, e non si muoveva più. Alla fine il camion è venuto a prenderci. Riuscivo appena a reggermi sulle gambe, ho pensato che non sarei mai riuscito ad arrampicarmi. Dietro di me, voci impastate di sabbia supplicavano aiuto per alzarsi in piedi e salire sul camion. Mi sono guardato intorno. Volevo gridare ma mi mancavano le forze e avevo paura che quelli si sarebbero arrabbiati, che mi avrebbero picchiato e non mi avrebbero più fatto salire. Ho guardato verso le voci che chiedevano aiuto. Il viso di mia madre, della mia donna, di mio fratello. Ho voltato loro le spalle, con una bestemmia. La notte è scesa insieme al freddo. L’acqua nelle borracce adesso era finita per davvero. Sotto il cielo stellato, per non morire di sete, come tutti gli altri avrei bevuto il mio piscio. Non chiedere più.
Norma IL MARE Acqua. Dappertutto acqua. Io il mare così non l’avevo mai visto. Quel colore così, non l’avevo mai visto. Blu. Durante la traversata il mare era piatto come una tavola. Però faceva paura lo stesso. Non ricordo se facesse più paura a guardarlo verso l’orizzonte e non vedere la fine; oppure quando fissavo un punto sotto il gommone, dove quel colore era ancora più scuro e il blu diventava nero, una paura così insopportabile che veniva voglia di tuffarsi, per farla finita. Soprattutto quando la sete aumentava e il sole piagava la pelle, se guardavi fisso sotto il canotto, al richiamo del mare non potevi resistere. E alcuni di noi l’hanno fatto. Semplicemente così. Si sono alzati in piedi sul gommone, facendosi largo tra la gente, e si sono lasciati scivolare in mare, prima i piedi uniti, poi il resto del corpo, senza emettere neppure un suono. Noi non cercavamo di fermarli, eravamo più preoccupati che la barca non si squilibrasse di lato. Anche noi senza emettere un suono. Però non era solo paura, no. Mi sentivo bene, sul mare. Nessun muro intorno, a parte i miei compagni di viaggio, uno attaccato all’altro. Ma io avevo cercato un posto accanto al bordo del gommone, il desiderio di avere lo sguardo libero era stato più grande della paura. Quando la brezza disperdeva le voci dei miei compagni e il puzzo della benzina dei motori mischiato all’acqua salata, il senso di solitudine aumentava, ma anche il senso di libertà aumentava, la camicia sollevata come una vela, e il senso di essere finalmente pulita. Ho visto la scaletta di corda pendere sulla fiancata del mercantile, sempre più alta. Fissandola dal fondo del canotto, mi sono vista arrampicarmi sulla fiancata e, a metà della scaletta, voltarmi verso il mare e salutare tutti, agitando una mano. Sì, in quel momento mi sono sentita proprio bene.
* I racconti sono stati raccolti ed elaborati da Giuseppe De Mola, operatore di Medici Senza Frontiere nel corso degli ultimi due anni tra rifugiati e richiedenti asilo, sia nei centri di prima e seconda accoglienza, sia in insediamenti informali in tutta Italia.
Maria JosĂŠ Siri
Sonia Ganassi
79 SOGGETTO
ATTO PRIMO In una foresta considerata sacra, la casta sacerdotale dei druidi sfila in processione, insieme alle schiere dei galli, verso l’altare del dio Irminsul. Il gran sacerdote Oroveso annuncia l’arrivo di sua figlia Norma, sacerdotessa e veggente, per compiere il sacro rito della divinità della luna. Mentre la processione si interna nella foresta, giunge Pollione, proconsole romano, che confessa all’amico Flavio di non amare più Norma, a cui è segretamente legato, e di essersi invaghito di un’altra sacerdotessa, Adalgisa. Rientra in scena la processione, mentre i due romani si allontanano e il coro annuncia l’arrivo di Norma per compiere il rito lunare. La sacerdotessa comunica ai suoi guerrieri che non è ancora arrivata l’ora di sollevarsi contro gli oppressori, intona la preghiera alla luna e ordina a tutti di lasciare la foresta. Nel bosco rimane solo Adalgisa che viene raggiunta da Pollione, il quale la convince a seguirlo a Roma. Nell’abitazione di Norma, la sacerdotessa rivela a Clotilde, affidandole i suoi due figli avuti da Pollione, di avere paura di essere abbandonata. Intanto arriva Adalgisa che, ignara di tutto, confida il suo amore a Norma, non rivelando il nome. Alla descrizione del primo incontro e degli sguardi, Norma si commuove e scioglie i voti della donna, concedendole di andarsene liberamente. Proprio in quel momento sopraggiunge Pollione e Norma viene a sapere che la fanciulla ama il suo stesso uomo. Rabbiosa, minaccia il proconsole e avverte Adalgisa di non fidarsi del traditore. La donna, sentendosi ingannata, promette a Norma di rinunciare a lui. ATTO SECONDO Altro interno dell’abitazione di Norma. La sacerdotessa decide di uccidere i due figlioletti avuti da Pollione per ven-
detta ed entra, con un pugnale in mano, nella stanza dove dormono. L’istinto materno la blocca, manda a chiamare Adalgisa e le fa giurare di portarsi nel campo romano i due fanciulli, prima che lei si uccida. Ma la donna rifiuta e tenta di convincere Pollione a tornare dalla sacerdotessa. Nella foresta, Oroveso si incontra con i guerrieri galli e annuncia la partenza di Pollione, che verrà sostituito da un altro proconsole più temuto e più fiero. In attesa del segnale della rivolta da parte di Norma, invita tutti a dissimulare. Intanto la sacerdotessa aspetta la buona notizia da parte di Adalgisa, ma Clotilde le annuncia la verità: non solo la donna non è riuscita a convincere Pollione, ma il proconsole è deciso a rapirla e portarla con sé. Sconvolta dall’ira, Norma percuote tre volte lo scudo di Irminsul. È il segnale di guerra atteso dai galli. Ai guerrieri accorsi, la sacerdotessa annuncia guerra, strage e sterminio e tutti inneggiano. Oroveso chiede a sua figlia il nome della vittima prescelta per il sacrificio rituale richiesto dagli dèi, prima della battaglia. La vittima sarà Pollione, sorpreso nel sacro recinto delle vergini. Il proconsole viene condotto in ceppi, Norma allontana tutti col pretesto di interrogarlo e sapere il nome della sacerdotessa complice. Rimasta sola con lui tenta di convincerlo a non andarsene con Adalgisa, in cambio della vita. Pollione offre resistenza, ma di fronte alla minaccia dell’uccisione dei suoi figli, accetta. Norma fa rientrare tutti per rivelare il nome di colei che ha commesso il sacrilegio e preparare il rogo, mentre Pollione la supplica di salvare Adalgisa. Ma la sacerdotessa rivela di essere lei la colpevole, tra la costernazione generale e il dolore di Oroveso. Tardivamente si risveglia la coscienza del proconsole che capisce di amare ancora la sua donna e decide di morire con lei sul rogo. Dopo aver chiesto al padre di prendersi cura dei suoi figli, Norma e Pollione vanno incontro alla tragica sorte.
80 SYNOPSIS
ACT I In a sacred forest a forest which is deemed sacred, the Druids are filing in procession towards the altar of their God Irminsul together with the Gauls. The high priest Oroveso announces his daughter Norma, herself a priestess and a clairvoyant, who is about to perform a rite for the moon goddess. While the Gauls and Druids are getting deeper into the forest, the Roman proconsul Pollione arrives and confesses to his friend Flavius that he no longer loves Norma, to whom he is secretly bound, because he has fallen in love with another young priestess, Adalgisa. As the two Romans disappear, the choir announces Norma who is about to offer her prayers to the moon. She tells her warriors that the time has not yet come for rising against the Roman oppressors, she then prays to the moon and asks the Gauls to disperse. Only Adalgisa is left in the forest, and when Pollione joins her he succeeds in persuading the priestess to flee to Rome with him. Back in her dwelling, Norma talks to Clotilde and avows her fears that Pollione might desert her. She entrusts her confidante with the care of the two children she had from Pollione, and when Clotilde leads them away Adalgisa arrives. The young priestess naively unburdens her heart to Norma, although not revealing her lover’s name. As Adalgisa tells her superior about her first meetings with her lover and the glances they exchanged, Norma is moved to pity and resolves to absolve the young priestess from her vows. At that very moment, Pollione arrives and Norma soon realizes that he is Adalgisa’s suitor. Filled with anger, Norma threatens the proconsul and warns Adalgisa not to trust such an unfaithful man. The young priestess feels deceived by Pollione and swears to Norma that she will renounce her lover.
Norma ACT II While still in her house, an impulse comes over Norma to kill her children and take revenge on Pollione. She approaches enters the room where the little ones in their sleep are sleeping, dagger in hand, but motherhood prevails over vengeful feelings. She then summons Adalgisa and persuades the young priestess to take the two children to the Roman camp before she kills herself. Adalgisa cannot subdue to this request; instead, she decides to try and persuade Pollione to return to Norma. In the forest, Oroveso meets the warriors and announces that Pollione is being replaced by a crueller, fiercer commander. Waiting for Norma’s signal to assault the Roman invaders, Oroveso exhorts the Gauls to dissimulate. Meanwhile, the priestess is awaiting good news from Adalgisa, but Clotilde comes to her and unveils the truth: not only have Adalgisa’s entreaties to Pollione been in vain, but the proconsul has decided to snatch her and take her away with him. Norma’s wrath is now beyond control: she strikes Irminsul’s shield three times and thus sends out the war message to the Gauls. They gather around her as she cries out for war and destruction. Oroveso then asks his daughter the name of the sacrificial victim which is demanded by the gods before the Gauls go into war. It has to be Pollione, who has been caught in the sacred sanctuary, but as soon as the proconsul is dragged in Norma begs everyone to leave them alone so that she can question him and find out the name of the priestess who has been his accomplice. Alone with Pollione, she offers to set him free if he renounces Adalgisa. Pollione refuses at first, but upon hearing that Norma would kill his children he cannot but accept her offer. Norma summons everyone to prepare the funeral pyre and hear the name of the sinful priestess who has broken her sacred vows. Pollione begs her to save Adalgisa’s life, but just like the others he is soon shocked to hear Norma pronounce her own name. Amidst the execrations of the people and her father’s groans, Norma mounts the pyre. Pollione feels remorse for his conduct and realizes that his love of Norma has not died. Thus, he decides to share her fate. After asking Oroveso to take care of the children, Norma leads Pollione to their tragic end.
Soggetto DIE HANDLUNG
ERSTER AUFZUG In einem als heilig geltenden Wald bewegen sich die Priester der Druiden mit den Galliern in einer Prozession angeordnet auf den Altar des Gottes Irminsul zu. Der Hohepriester Oroveso kündigt seine Tochter Norma an, Priesterin und Seherin, die die Zeremonie der Mondgöttin vollziehen wird. Während die Prozession weiter in den Wald eindringt, kommt Pollione, der römische Statthalter hinzu. Er gesteht seinem Freund Flavio, dass er Norma, mit der er eine heimliche Beziehung hat, nicht mehr liebt. Er hat sich statt dessen in Adalgisa verliebt, eine junge Novizin. Während sich die beiden Römer entfernen, nähert sich die Prozession und kündigt Norma an. Die Priesterin lässt ihre Krieger wissen, dass die Stunde des Aufstands gegen die Unterdrücker noch nicht gekommen ist. Sie spricht ein Gebet an den Mond und befiehlt allen, den Wald zu verlassen. Nur Adalgisa bleibt. Pollione überrascht sie und bestürmt sie, ihm nach Rom zu folgen. In ihren Gemächern enthüllt Norma Clotilde, dass sie Angst hat verlassen zu werden und vertraut ihr ihre beiden, von Pollione gezeugten Kinder an. Adalgisa weiß nichts von Normas heimlicher Beziehung und erzählt dieser von ihrer Liebe, ohne dabei allerdings Namen zu nennen. Als Norma die Beschreibung des ersten Treffens hört, ist sie zutiefst gerührt und befreit Adalgisa von ihrem Gelübde und gesteht ihr zu, frei zu sein. Genau in diesem Moment stößt Pollione zu den beiden Frauen – Norma versteht alles. Sie droht dem Prokonsul und warnt Adalgisa dem Verräter nicht zu trauen. Diese fühlt sich betrogen und verspricht Norma auf ihn zu verzichten. ZWEITER AUFZUG In den Gemächern Normas. Aus Rache will die Priesterin ihre und Polliones Kinder töten und geht mit einem Dolch in
81 das Zimmer in dem die beiden schlafen. Der Mutterinstinkt bremst sie und sie lässt Adalgisa zu sich rufen. Diese muss ihr schwören die Kinder mit sich ins römische Lager zu nehmen, bevor Norma sich umbringen wird. Die Frau weigert sich und versucht Pollione dazu zu bringen zu der Priesterin zurückzukehren. Im Wald trifft sich Oroveso mit den gallischen Kriegern und kündigt an, dass Pollione nach Rom zurückkehrt und dass dessen Nachfolger noch gefürchteter und stolzer ist. Er bittet alle so zu tun, als seie nichts, solange sie auf ein Signal Normas zum Aufstand warten. Diese wartet ihrerseits auf gute Nachricht von Adalgisa. Clotilde öffnet ihr die Augen: Adalgisa ist beim Versuch Pollione zu überzeugen gescheitert. Schlimmer noch: Er will sie sogar entführen und mit sich nehmen. Vom Zorn übermannt schlägt Norma dreimal auf das Schild von Irmansul. Dieses ist das von den Galliern lang erwartete Kriegssignal. Die Priesterin ruft die heraneilenden Soldaten zum Blutvergießen, ja zum Gemetzel auf. Ein Schrei geht durch die Masse. Orveso bittet seine Tochter das zuvor noch dem Gott zu bringende Opfer namentlich zu nennen. Es wird Pollione sein, der in dem heiligen Bezirk der Novizinnen überrascht wurde. Der Prokonsul wird gefesselt hereingeführt. Norma lässt alle unter dem Vorwand entfernen, ihn verhören zu wollen, um den Namen seiner Komplizin herauszufinden. Mit ihm allein geblieben, versucht sie ihn dazu zu bewegen, nicht mit Adalgisa zu gehen. Als Lohn bietet sie ihm sein Leben an. Pollione versucht sich ihr zu widerzetzen, gibt aber nach, als sie droht seine Kinder umzubringen. Norma lässt alle wieder herein kommen um den Namen derjenigen preiszugeben, die das Sakrileg begangen hat. Ein Scheiterhaufen wird aufgetürmt. Pollione fleht sie an Adalgisa zu schonen. Zur allgemeinen Überraschung gesteht die Priesterin allerdings selber die Schuldige zu sein. Oroveso ist entsetzt – alle sind konsterniert. Zu spät erwacht das Gewissen des Prokonsuls der erkennt, immer noch seine Frau zu lieben und er beschließt, mit ihr auf dem Scheiterhaufen zu sterben. Nachdem sie ihren Vater gebeten hat, sich ihrer Kinder anzunehmen gehen Norma und Pollione ihrem tragischen Schicksal entgegen.
82 SUJET
ACTE PREMIER Dans une forêt considérée sacrée, la caste sacerdotale des druides défile en procession avec les Gaulois vers l’autel du Dieu Irminsul. Le grand druide Oroveso annonce l’arrivée de sa fille Norma, qui est elle-même grande prêtresse et voyante, afin d’accomplir le rite sacré de la divinité de la lune. Lorsque la procession entre dans la forêt, Pollione, le proconsul de Rome, arrive et avoue à son ami Flavio qu’il n’aime plus Norma, à laquelle il est secrètement lié, et qu’il est tombé amoureux d’une autre prêtresse, Adalgisa. La procession apparaît à nouveau sur la scène ; les deux romains s’éloignent et le chœur annonce l’arrivée de Norma pour accomplir le rite de la lune. La prêtresse annonce aux guerriers qu’il n’est pas encore temps de se soulever contre les oppresseurs, elle entonne la prière à la lune et ordonne à tout le monde de quitter la forêt. Seule Adalgisa reste, que Pollione essaie de convaincre à le suivre à Rome. Dans l’habitation de Norma, la prêtresse révèle à Clotilde, à laquelle elle confie les deux enfants qu’elle a eus de Pollione, qu’elle a peur d’être abandonnée par le consul. Adalgisa arrive alors, qui, ignorant tout, avoue son amour à Norma, mais ne lui révèle pas le nom de l’aimé. Devant la description de la rencontre dans la forêt et de leurs premiers regards, Norma s’émeut et délie la femme de ses vœux, en lui concédant de partir. Pollione arrive alors, et Norma apprend qu’elle et la jeune fille aiment le même homme. En proie à la rage, Norma menace le proconsul et met en garde Adalgisa, en l’exhortant à ne pas faire confiance au traître. La femme, qui se sent trompée, promet à Norma de renoncer à Pollione. ACTE DEUXIEME Nous nous trouvons dans une autre pièce de l’habitation de Norma. La prêtresse décide de tuer les deux enfants qu’elle
Norma a eus de Pollione pour se venger et entre, un poignard à la main, dans la chambre dans laquelle ils dorment. L’instinct maternel la bloque ; elle envoie appeler Adalgisa et lui fait promettre d’amener les deux enfants dans le camp romain avant qu’elle ne se tue. Mais la femme refuse et essaie de persuader Pollione à se réconcilier avec la prêtresse. Dans la forêt, Oroveso rencontre les guerriers gaulois et annonce le départ de Pollione, qui sera remplacé par un autre proconsul plus craint et plus fier. En attendant le signal de la révolte de la part de Norma, il invite tout le monde à dissimuler ce qui va arriver. La prêtresse attend de son côté une bonne nouvelle de la part d’Adalgisa, mais Clotilde lui annonce la vérité : non seulement la femme n’a pas réussi à persuader Pollione, mais le proconsul a décidé de l’enlever et de l’amener avec lui. Aveuglée par la fureur, Norma frappe par trois fois le bouclier d’Irminsul. C’est le signal de guerre attendu par les Gaulois. Lorsque les guerriers accourent, la prêtresse annonce guerre, massacre, et destruction et tout le monde l’acclame. Oroveso demande à sa fille le nom de la victime désignée pour le sacrifice rituel, demandé par les dieux avant la bataille. La victime sera Pollione, surpris dans l’enclos sacré des vierges. Le proconsul est emprisonné ; Norma fait éloigner tout le monde pour l’interroger et connaître le nom de la prêtresse qui est sa complice. Restée seule avec lui, elle essaie de le persuader à ne pas partir avec Adalgisa pour avoir la vie sauve. Pollione résiste, mais lorsque ses enfants sont menacés de mort il accepte. Norma fait rentrer tout le monde pour révéler le nom de celle qui a commis le sacrilège et fait préparer le bûcher, alors que Pollione la supplie d’épargner Adalgisa. Mais la prêtresse revendique pour elle-même la responsabilité de la faute, en provoquant la consternation générale et la douleur d’Oroveso. Finalement la conscience du proconsul s’éveille ; il comprend qu’il aime encore sa femme et décide de mourir avec elle sur le bûcher. Après avoir demandé à Oroveso de s’occuper de leurs enfants, Norma et Pollione affrontent leur fin tragique.
Rubens Pelizzari
Nicola Ulivieri
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Atto primo
pari al fragor del tuono, nella città dei Cesari tremendo echeggerà. Oroveso e Druidi Luna, ti affretta sorgere! Norma all’altar verrà.
Oroveso Ite sul colle, o druidi, ite a spïar ne’ cieli quando il suo disco argenteo la nuova luna sveli; ed il primier sorriso del virginal suo viso tre volte annunzi il mistico bronzo sacerdotal! Druidi Il sacro vischio a mietere Norma verrà? Oroveso Sì, Norma. Druidi Dell’aura tua profetica, terribil dio, l’informa: sensi, o Irminsul, le inspira d’odio ai Romani e d’ira, sensi che questa infrangano pace per noi mortal. Oroveso Sì: parlerà terribile da queste querce antiche, sgombre farà le Gallie dall’aquile nemiche, e del suo scudo il suono,
Pollione Svanir le voci – dell’orrenda selva libero è il varco. Flavio In quella selva è morte. Norma tel disse. Pollione Profferisti un nome che il cor m’agghiaccia. Flavio Oh! che di’ tu? L’amante!... La madre de’ tuoi figli!... Pollione A me non puoi far tu rampogna, ch’io mertar non senta; ma nel mio core è spenta la prima fiamma, e un dio la spense, un dio nemico al mio riposo: ai piè mi veggo l’abisso aperto, e in lui m’avvento io stesso. Flavio Altra ameresti tu? Pollione Parla sommesso. Un’altra, sì... Adalgisa... Tu la vedrai... fior d’innocenza e riso
Norma
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di candore e di amor. Ministra al tempio di questo iddio di sangue, ella vi appare come raggio di stella in ciel turbato.
Pollione Io n’ho fidanza.
muto si spande intorno un sepolcrale orror. Più l’adorata vergine io non mi trovo accanto; n’odo da lunge un gemito misto de’ figli al pianto... Ed una voce orribile eccheggia in fondo al tempio: «Norma così fa scempio di amante traditor.»
Flavio E l’ira non temi tu di Norma?
Flavio Odi?... I suoi riti a compiere Norma dal tempio move.
Pollione Atroce, orrenda, me la presenta il mio rimorso estremo... Un sogno...
Druidi Sorta è la luna, o druïdi, ite, profani, altrove.
Flavio Misero amico! E amato sei tu del pari?
Flavio Ah! Narra. Pollione In rammentarlo io tremo. Meco all’altar di Venere era Adalgisa in Roma, cinta di bende candide, sparsa di fior la chioma. Udia d’Imene i cantici, vedea fumar gl’incensi, eran rapiti i sensi di voluttade e amor. Quando fra noi terribile viene a locarsi un’ombra: l’ampio mantel druïdico come un vapor l’ingombra; cade sull’ara il folgore, d’un vel si copre il giorno,
Flavio Vieni... Pollione Mi lascia... Flavio Ah, m’ascolta! Pollione Barbari! Flavio Fuggiam... Pollione Io vi preverrò! Flavio Vieni... Fuggiam... Scoprire alcun ti può.
Atto primo
Pollione Traman congiure i barbari... ma io li preverrò... Me protegge, me difende un poter maggior di loro. È il poter di lei che adoro; è l’amor che m’infiammò. Di quel dio che a me contende quella vergine celeste arderò le rie foreste, l’empio altare abbatterò. Coro Norma viene: le cinge la chioma la verbena ai misteri sacrata; in sua man come luna falcata l’aurea falce diffonde splendor. Ella viene, e la stella di Roma sbigottita si copre di un velo; Irminsul corre i campi del cielo qual cometa foriera d’orror. Norma Sedizïose voci, voci di guerra avvi chi alzar si attenta presso all’ara del dio? V’ha chi presume dettar responsi alla veggente Norma, e di Roma affrettar il fato arcano?... Ei non dipende da potere umano. Oroveso E fino a quando oppressi ne vorrai tu? Contaminate assai non fur le patrie selve e i templi aviti dall’aquile latine? Omai di Brenno ozïosa non può starsi la spada. Uomini Si brandisca una volta.
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Norma E infranta cada. Infranta, sì, se alcun di voi snudarla anzi tempo pretende. Ancor non sono della nostra vendetta i dì maturi: delle sicambre scuri sono i pili romani ancor più forti. Oroveso e Uomini E che ti annunzia il dio? Parla: quai sorti? Norma Io nei volumi arcani leggo del cielo: in pagine di morte della superba Roma è scritto il nome... Ella un giorno morrà; ma non per voi. Morrà pei vizi suoi: qual consunta morrà. L’ora aspettate, l’ora fatal che compia il gran decreto. Pace v’intimo... e il sacro vischio io mieto. Norma e Ministre Casta diva, che inargenti queste sacre antiche piante, a noi volgi il bel sembiante senza nube e senza vel. Tempra, o Diva, tempra tu de’ cori ardenti, tempra ancora lo zelo audace, spargi in terra quella pace che regnar tu fai nel ciel. Tutti Al noi volgi il bel sembiante, senza nube e senza vel! Norma Fine al rito; e il sacro bosco sia disgombro dai profani.
Norma
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Quando il nume irato e fosco chiegga il sangue dei Romani, dal druïdico delubro la mia voce tuonerà. Tutti Tuoni; e alcun del popol empio non isfugga al giusto scempio; e primier da noi percosso il proconsole cadrà. Norma Sì: cadrà... punirlo io posso... (Ma punirlo il cor non sa.) (Ah! bello a me ritorna del fido amor primiero, e contro il mondo intiero difesa a te sarò. Ah! bello a me ritorna del raggio tuo sereno, e vita nel tuo seno, e patria e cielo avrò.) Coro Sei lento, sì, sei lento, o giorno di vendetta; ma irato il dio t’affretta che il Tebro condannò. Adalgisa Sgombra è la sacra selva, compiuto il rito. Sospirar non vista alfin poss’io, qui, dove a me s’offerse la prima volta quel fatal Romano che mi rende rubella al tempio, al dio... Fosse l’ultima almen! – Vano desio! Irresistibil forza qui mi strascina... e di quel caro aspetto il cor si pasce... e di sua cara voce
l’aura che spira mi ripete il suono. Deh! Proteggimi, o dio: perduta io sono. Pollione (Eccola – va’ – mi lascia – ragion non odo.) Adalgisa Oh, tu qui! Pollione Che veggo? Piangevi tu? Adalgisa Pregava. Ah! T’allontana, pregar mi lascia. Pollione Un dio tu preghi atroce, crudele, avverso al tuo desire e al mio. O mia diletta! Il dio che invocar devi, è amor... Adalgisa Amor! Deh! Taci, ch’io più non t’oda! Pollione E vuoi fuggirmi? E dove fuggir vuoi tu ch’io non ti segua? Adalgisa Al tempio, ai sacri altari che sposar giurai. Pollione Gli altari? ... E il nostro amor? Adalgisa Io l’obbliai.
Atto primo
Pollione Va’, crudele; e al dio spietato offri in dote il sangue mio. Tutto, ah! Tutto ei sia versato, ma lasciarti non poss’io: sol promessa al dio tu fosti... ma il tuo cuore a me si diè... Ah! non sai quel che mi costi perch’io mai rinunzi a te. Adalgisa E tu pure, ah! Tu non sai quanto costi a me dolente! All’altare che oltraggiai lieta andava ed innocente... Il pensiero al ciel s’ergea, il mio dio vedeva in ciel... Or per me spergiura e rea cielo e dio ricopre un vel. Pollione Ciel più puro e dèi migliori t’offro in Roma, ov’io mi reco. Adalgisa Parti forse? Pollione Ai nuovi albori...
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Pollione Il dirò tanto che ascoltato io sia da te. Adalgisa Deh! Mi lascia! Pollione Ah! Deh! Cedi! Cedi a me! Adalgisa Ah! Non posso... Mi proteggi, o giusto ciel! Pollione Abbandonarmi così potresti? Adalgisa! Adalgisa! Vieni in Roma, ah! Vieni, o cara... dov’è amore, è gioia, è vita: inebbriam nostr’alme a gara del contento a cui ne invita... Voce in cor parlar non senti, che promette eterno ben? – Ah! Da’ fede ai dolci accenti... sposo tuo mi stringi al sen.
Pollione Tu vieni meco. De’ tuoi riti è amor più santo... a lui cedi, ah! cedi a me.
Adalgisa (Ciel! Così parlar l’ascolto... sempre, ovunque, al tempio istesso... con quegli occhi, con quel volto fin sull’ara il veggo impresso... Ei trionfa del mio pianto, del mio duol vittoria ottien... Ciel! Mi togli al dolce incanto, o l’error perdona almen.)
Adalgisa Ah! Non dirlo! ...
Pollione Adalgisa!
Adalgisa Parti? Ed io?...
Norma
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Adalgisa Ah! Mi risparmi tua pietà maggior cordoglio.
Clotilde E qual ti turba strano timor, che i figli tuoi rigetti?
Pollione Adalgisa! E vuoi lasciarmi?...
Norma Non so... diversi affetti strazian quest’alma. – Amo in un punto ed odio i figli miei... Soffro in vederli, e soffro s’io non li veggo. Non provato mai sento un diletto ed un dolore insieme d’esser lor madre.
Adalgisa Nol poss’io... seguir ti voglio. Pollione Qui... domani, all’ora istessa... verrai tu? Adalgisa Ne fo promessa. Pollione Giura. Adalgisa Giuro. Pollione Oh! Mio contento! Ti rammenta ... Adalgisa Ah! Mi rammento. Al mio Dio sarò spergiura, Ma fedele a te sarò. Pollione L’amor tuo mi rassicura, e il tuo dio sfidar saprò. Norma Vanne, e li cela entrambi. – Oltre l’usato io tremo d’abbracciarli...
Clotilde E madre sei?... Norma Nol fossi! Clotilde Qual rio contrasto!!... Norma Imaginar non puossi. O mia Clotilde!... richiamato al Tebro è Pollïon. Clotilde E teco ei parte? Norma Ei tace il suo pensier. – Oh! S’ei fuggir tentasse... e qui lasciarmi?... Se obbliar potesse questi suoi figli!... Clotilde E il credi tu?
Atto primo
Norma Non l’oso. È troppo tormentoso, troppo orrendo un tal dubbio. – Alcun s’avanza. Va’... li cela. Norma Adalgisa! Adalgisa (Alma, costanza.) Norma T’inoltra, o giovinetta, t’inoltra. – E perché tremi? – Udii che grave a me segreto palesar tu voglia. Adalgisa È ver. – Ma, deh! Ti spoglia della celeste austerità che splende negli occhi tuoi... Dammi coraggio, ond’io senza alcun velo ti palesi il core. Norma Mi abbraccia e parla. – Che ti affligge?
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Adalgisa Da un solo sguardo, da un sol sospiro, nella sacra selva, a piè dell’ara ov’io pregava il dio. Tremai... sul labbro mio si arrestò la preghiera: e tutta assorta in quel leggiadro aspetto, un altro cielo mirar credetti, un altro cielo in lui. Norma (Oh! Rimembranza! Io fui così rapita al sol mirarlo in volto.) Adalgisa Ma non mi ascolti tu? Norma Segui... t’ascolto. Adalgisa Sola, furtiva, al tempio io l’aspettai sovente; ed ogni dì più fervida crebbe la fiamma ardente
Adalgisa Amore... Non t’irritar... lunga stagion pugnai per soffocarlo... ogni mia forza ei vinse... ogni rimorso. – Ah! Tu non sai pur dianzi qual giuramento io fea!... Fuggir dal tempio... tradir l’altare a cui son io legata, abbandonar la patria...
Norma (Io stessa... anch’io arsì così: l’incanto suo fu il mio.)
Norma Ahi! sventurata! del tuo primier mattino già turbato è il sereno?... E come, e quando nacque tal fiamma in te?
Norma (Io fui così sedotta!)
Adalgisa Vieni, ei dicea, concedi ch’io mi ti prostri ai piedi, lascia che l’aura io spiri.
Adalgisa De’ dolci tuoi sospiri,
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del tuo bel crin le anella dammi poter baciar. Norma (Oh! cari accenti! Così li proferia... così trovava del mio cor la via.) Adalgisa Dolci qual arpa armonica m’eran le sue parole; negli occhi suoi sorridere vedea più bello un sole. Io fui perduta, e il sono; d’uopo ho del tuo perdono. Norma Avrò pietade! Adalgisa Deh! Tu mi reggi e guida, me rassicura, o sgrida, salvami da me stessa, salvami dal mio cor. Norma Ah! Tergi il pianto: alma non trovi di pietade avara, te ancor non lega eterno nodo all’ara. Ah! Sì, fa’ core, abbracciami. Perdono e ti compiango. Dai voti tuoi ti libero, i tuoi legami io frango. Al caro oggetto unita vivrai felice ancor. Adalgisa Ripeti, o ciel, ripetimi sì lusinghieri accenti:
per te, per te, s’acquetano i lunghi miei tormenti. Tu rendi a me la vita, se non è colpa amor. Norma Ma di’... l’amato giovane quale fra noi si noma? Adalgisa Culla ei non ebbe in Gallia... Roma gli è patria... Norma Roma! Ed è? Prosegui... Adalgisa Il mira. Norma Ei! Pollïon!... Adalgisa Qual ira! Norma Costui, costui dicesti?... Ben io compresi? Adalgisa Ah! Sì. Pollione Misera te! Che festi? Adalgisa Io?...
Atto primo
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Norma Tremi tu? Per chi? Oh non tremare, o perfido, no, non tremar per lei... essa non è colpevole, il malfattor tu sei... Trema per te, fellone... pei figli tuoi... per me...
giudichi solo il cielo qual più di noi fallì.
Adalgisa Che ascolto?... Ah! Pollïone! Taci! T’arretri!... Ahimè!
Norma Fermati! E a me sottrarti speri?
Norma Oh! Di qual sei tu vittima crudo e funesto inganno! Pria che costui conoscere t’era il morir men danno. Fonte d’eterne lagrime l’empio a te pure dischiuse... come il mio cor deluse, l’empio il tuo core tradì.
Pollione Vieni.
Adalgisa Oh! Qual mistero orribile! Trema il mio cor di chiedere, trema d’udire il vero... Tutta comprendo, o misera, tutta la mia sventura... essa non ha misura, se m’ingannò così. Pollione Norma! De’ tuoi rimproveri segno non farmi adesso. Deh! A questa afflitta vergine sia respirar concesso... Copra a quell’alma ingenua, copra nostr’onte un velo...
Norma Perfido! Pollione Or basti.
Adalgisa Mi lascia, scostati... Sposo sei tu infedele. Pollione Qual io mi fossi obblio... l’amante tuo son io. È mio destino amarti... destin costei lasciar. Norma Ebben: lo compi... e parti. Seguilo. Adalgisa Ah! Pria spirar. Norma Vanne, sì: mi lascia, indegno, figli obblia, promesse, onore... Maledetto dal mio sdegno non godrai d’un empio amore. Te sull’onde, te sui venti
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seguiran mie furie ardenti, mia vendetta e notte e giorno ruggirà d’intorno a te. Pollione Fremi pure, e angoscia eterna pur m’imprechi il tuo furore! Questo amor che mi governa è di te, di me maggiore... Dio non v’ha che mali inventi de’ miei mali più cocenti... Maledetto io fui quel giorno che il destin m’offerse a te. Adalgisa Ah! non fia, non fia ch’io costi al tuo cor sì rio dolore... Mari e monti sian frapposti fra me sempre e il traditore... Soffocar saprò i lamenti, divorar i miei tormenti: morirò perché ritorno faccia il crudo ai figli e a te.
Norma
Rosanna Lo Greco
Manuel Pierattelli
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Atto secondo
Norma Dormono entrambi... non vedran la mano che li percuote. – Non pentirti, o core; viver non ponno... Qui supplizio, e in Roma obbrobrio avrian, peggior supplizio assai... schiavi d’una matrigna. – Ah! No: giammai. Muoiano, sì. Muoiano, sì. Non posso avvicinarmi: un gel mi prende, e in fronte mi si solleva il crin. – I figli uccido!... Teneri figli... essi, pur dianzi delizia mia... essi nel cui sorriso il perdono del ciel mirar credei!... Io li svenerò?... Di che son rei? Di Pollïon son figli: ecco il delitto. Essi per me son morti; moian per lui. E non sia pena che la sua somigli. Feriam... Ah! No... son figli miei!... Miei figli! Clotilde! Norma Corri... vola... Adalgisa a me guida.
Adalgisa Me chiami, o Norma!... Qual ti copre il volto tristo pallor? Norma Pallor di morte. – Io tutta l’onta mia ti rivelo. Una preghiera sola odi, e l’adempi, se pietà pur merta il presente mio duolo... e il duol futuro. Adalgisa Tutto, tutto io prometto. Norma Il giura. Adalgisa Il giuro. Norma Odi. – Purgar quest’aura contaminata dalla mia presenza ho risoluto, né trar meco io posso questi infelici... a te gli affido... Adalgisa Oh cielo! A me gli affidi? Norma Nel romano campo guidali a lui... che nominar non oso.
Clotilde Ella qui presso solitaria si aggira, e prega e plora.
Adalgisa Oh! Che mai chiedi?
Norma Va’. – Si emendi il mio fallo... e poi... si mora.
Norma Sposo ti sia men crudo. – Io gli perdono, e moro.
Norma
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Adalgisa Sposo!... Ah, mai! Norma Pei figli suoi t’imploro. Deh! Con te, con te li prendi... li sostieni, li difendi... Non ti chiedo onori e fasci: a’ tuoi figli ei fian serbati; prego sol che i miei non lasci schiavi, abbietti, abbandonati... Basti a te che disprezzata, che tradita io fui per te. Adalgisa, deh! Ti muova Tanto strazio del mio cor. Adalgisa Norma! Ah! Norma, ancora amata, madre ancor sarai per me. Tienti i figli. Non fia mai ch’io mi tolga a queste arene.
Più non t’odo – parti... va’. Adalgisa Ah! No, giammai, no, ah no. Mira, o Norma, a’ tuoi ginocchi questi cari pargoletti. Ah! Pietà di lor ti tocchi, se non hai di te pietà. Norma Ah! Perché la mia costanza vuoi scemar con molli affetti? Più lusinghe, più speranza presso a morte un cor non ha. Adalgisa Cedi!... Deh! Cedi! Norma Ah! Lasciami! Ei t’ama.
Norma Tu giurasti...
Adalgisa Ei già sen pente.
Adalgisa ...Sì, giurai... ma il tuo bene, il sol tuo bene. Vado al campo, ed all’ingrato tutti io reco i tuoi lamenti: la pietà che mi hai destato parlerà sublimi accenti... Spera, spera... amor, natura ridestarsi in lui vedrai... Del suo cor son io secura... Norma ancor vi regnerà.
Norma E tu?...
Norma Ch’io lo preghi?... Ah! no: giammai.
Adalgisa Lo amai... quest’anima sol l’amistade or sente. Norma O giovinetta!... E vuoi?... Adalgisa Renderti i dritti tuoi, o teco al cielo e agli uomini giuro celarmi ognor.
Atto secondo
Norma Hai vinto... hai vinto... abbracciami. Trovo un’amica ancor. Norma e Adalgisa Sì, fino all’ore estreme compagna tua m’avrai: per ricovrarci insieme ampia è la terra assai. Teco del fato all’onte ferma opporrò la fronte, finché il mio core a battere io senta sul tuo cor. Coro Non partì? Finora è al campo. Tutto il dice. I feri carmi, il fragor, il suon dell’armi, delle insegne il ventilar. Attendiam: un breve inciampo non ci turbi, non ci arresti; e in silenzio il cor si appresti la grand’opra a consumar. Oroveso Guerrieri! A voi venirne credea foriero d’avvenir migliore. Il generoso ardore, l’ira che in sen vi bolle io credea secondar; ma il dio non volle. Coro Come? E le nostre selve l’abborrito proconsole non lascia? Non riede al Tebro? Oroveso Un più temuto e fiero
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latino condottiero a Pollïon succede, e di novelle possenti legïoni afforza il campo che ne tien prigioni. Coro E Norma il sa? Di pace è consigliera ancor? Oroveso Invan di Norma la mente investigai. Coro E che far pensi? Oroveso Al fato piegar la fronte, separarci, e nullo lasciar sospetto del fallito intento. Coro E finger sempre? Oroveso Ah! Del Tebro al giogo indegno fremo io pure, e all’armi anelo; ma nemico è sempre il cielo, ma consiglio è il simular. Divoriamo in cor lo sdegno, tal che Roma estinto il creda: dì verrà che desto ei rieda più tremendo a divampar. Coro Sì fingiam, se il finger giovi; ma il furore in sen si covi. Guai per Roma allor che il segno dia dell’armi il sacro altar!
Norma
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Norma Ei tornerà... Sì, mia fidanza è posta in Adalgisa: ei tornerà pentito, supplichevole, amante. Oh! A tal pensiero sparisce il nuvol nero che mi premea la fronte, e il sol m’arride come del primo amore ai dì felici. Clotilde!
Clotilde Ed egli rapirla giura anco all’altar del nume.
Clotilde O Norma!... Uopo è d’ardir.
Coro Squilla il bronzo del Dio!
Norma Che dici?
Oroveso Norma! Che fu? Percosso lo scudo d’Irminsul, quali alla terra decreti intima?
Clotilde Lassa! Norma Favella. Clotilde Indarno parlò Adalgisa, e pianse. Norma Ed io fidarmi di lei dovea? Di mano uscirmi, e bella del suo dolore presentarsi all’empio ella tramava.
Norma Troppo il fellon presume. Lo previen mia vendetta – e qui di sangue... sangue romano... scorreran torrenti.
Norma Guerra, strage, sterminio. Oroveso e Coro A noi pur dianzi pace s’imponea pel tuo labbro! Norma Ed ira adesso, armi, furore e morti. Il cantico di guerra alzate, o forti. Guerra, guerra!
Clotilde Ella ritorna al tempio. Triste, dolente implora di profferir suoi voti.
Oroveso e Coro Guerra, guerra! Le galliche selve quante han querce producon guerrier. Quai sui greggi fameliche belve sui Romani van essi a cader.
Norma Ed egli?
Sangue, sangue! Le galliche scuri fino al tronco bagnate ne son.
Atto secondo
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Sovra i flutti del Ligeri impuri ei gorgoglia con funebre suon.
Oroveso È Pollïon.
Strage, strage, sterminio, vendetta! già comincia, si compie, si affretta. Come biade da falci mietute son di Roma le schiere cadute. Tronchi i vanni, recisi gli artigli, abbattuta ecco l’aquila al suol. A mirar il trionfo dei figli viene il dio sovra un raggio di sol.
Norma (Son vendicata adesso.)
Oroveso Né compi il rito, o Norma? Né la vittima accenni? Norma Ella fia pronta. Non mai l’altar tremendo di vittime mancò. – Ma qual tumulto! Clotilde Al nostro tempio insulto fece un Romano: nella sacra chiostra delle vergini alunne egli fu colto.
Oroveso Sacrilego nemico, e chi ti spinse a vïolar queste temute soglie, a sfidar l’ira d’Irminsul? Pollione Ferisci, ma non interrogarmi. Norma Io ferir deggio. Scostatevi. Pollione Chi veggio? Norma! Norma Sì. Norma.
Oroveso e Coro Un Romano?
Oroveso e Coro Il sacro ferro impugna, vendica il tempio e il dio.
Norma (Che ascolto? Se mai foss’egli?)
Norma Sì. Feriamo. Ah!
Oroveso e Coro A noi vien tratto.
Oroveso e Coro Tu tremi?
Norma (È desso!)
Norma (Ah! Non poss’io.)
Norma
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Oroveso Che fia? Perchè t’arresti? Norma (Poss’io sentir pietà?) Coro Ferisci! Norma Io deggio interrogarlo... investigar qual sia l’insidïata o complice ministra che il profan persuase a fallo estremo. Ite per poco. Oroveso e Coro (Che far pensa?) Pollione (Io tremo.) Norma In mia mano alfin tu sei: niun potria spezzar tuoi nodi. Io lo posso. Pollione Tu nol dei. Norma Io lo voglio. Pollione Come! Norma M’odi. Pel tuo dio, pe’ figli tuoi...
giurar dei che d’ora in poi... Adalgisa fuggirai... all’altar non la torrai... e la vita ti perdono... e non più ti rivedrò. Giura. Pollione No: sì vil non sono. Norma Giura, giura. Pollione Ah! Pria morrò! Norma Non sai tu che il mio furore passa il tuo? Pollione Ch’ei piombi attendo. Norma Non sai tu che ai figli in core questo ferro... Pollione Oh dio! Che intendo? Norma Sì, sovr’essi alzai la punta... vedi... vedi... a che son giunta!... Non ferii, ma tosto... adesso consumar poss’io l’eccesso... un istante... e d’esser madre mi poss’io dimenticar.
Atto secondo
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Pollione Ah! Crudele, in sen del padre il pugnal tu dei vibrar. A me il porgi.
Già mi pasco ne’ tuoi sguardi del tuo duol, del suo morire. Posso alfine, e voglio farti infelice al par di me.
Norma A te!
Pollione Ah! T’appaghi il mio terrore; al tuo piè son io piangente... in me sfoga il tuo furore, ma risparmia un’innocente: basti, ah! Basti a vendicarti ch’io mi sveni innanzi a te. Dammi quel ferro.
Pollione Che spento cada io solo! Norma Solo!... Tutti. I Romani a cento a cento fian mietuti, fian distrutti... e Adalgisa... Pollione Ahimè! Norma Infedele a’ suoi voti ... Pollione Ebben, crudele? Norma Adalgisa fia punita; nelle fiamme perirà. Pollione Oh! Ti prendi la mia vita, ma di lei, di lei pietà! Norma Preghi alfine? Indegno! è tardi. Nel suo cor ti vo’ ferire.
Norma Sorgi: scostati. Pollione Il ferro, il ferro! Norma Olà, ministri, sacerdoti, accorrete! Norma All’ira vostra nuova vittima io svelo. Una spergiura sacerdotessa i sacri voti infranse, tradì la patria, il dio degli avi offese. Oroveso e Coro Oh! Delitto! Oh! Furor! La fa palese. Norma Sì, preparate il rogo. Pollione Oh! Ancor ti prego... Norma, pietà!
Norma
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Oroveso e Coro La svela!
Oroveso Oh! Mio rossor!
Norma Udite. (Io, rea, l’innocente accusar del fallo mio?)
Norma Qual cor tradisti, qual cor perdesti quest’ora orrenda ti manifesti. Da me fuggire tentasti invano; crudel Romano, tu sei con me. Un nume, un fato di te più forte ci vuole uniti in vita e in morte. Sul rogo istesso che mi divora sotterra ancora sarò con te.
Oroveso e Coro Parla: chi è dessa? Pollione Ah! Non lo dir. Norma Son io. Oroveso e Coro Tu! Norma! Norma Io stessa: il rogo ergete. Oroveso e Coro (D’orrore io gelo!) Pollione (Mi manca il cor!) Oroveso e Coro Tu delinquente!
Pollione Ah! Troppo tardi t’ho conosciuta... sublime donna, io t’ho perduta... col mio rimorso è amor rinato, più disperato, furente egli è. Moriamo insieme, ah! Sì, moriamo; l’estremo accento sarà ch’io t’amo. Ma tu morendo non m’abborrire, pria di morire perdona a me. Oroveso e Coro Oh! In te ritorna, ci rassicura; canuto padre te ne scongiura: di’ che deliri, di’ che tu menti, che stolti accenti uscir da te. Il dio severo che qui t’intende se stassi muto, se il tuon sospende, indizio è questo, indizio espresso che tanto eccesso punir non de’.
Pollione Non le credete.
Oroveso Norma!... Deh! Norma! Scolpati... Taci? ...Ne ascolti appena?
Norma Norma non mente.
Norma Cielo! E i miei figli?
Atto secondo
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Pollione Ahi! Miseri!
Tu li raccogli... e ai barbari l’invola insiem con lei...
Norma I nostri figli?
Oroveso Giammai... giammai... va’, lasciami.
Pollione Oh pena!
Norma Ah! Padre!... Un prego ancor. Deh! Non volerli vittime del mio fatale errore... Deh! Non troncar sul fiore quell’innocente età. Pensa che son tuo sangue... del sangue tuo pietà. Padre! Tu piangi!
Coro Norma sei rea? Norma Sì, oltre ogni umana idea. Oroveso e Coro Empia! Norma Tu m’odi. Oroveso Scostati. Norma Deh! M’odi! Oroveso Oh! Mio dolor! Norma Son madre ... Oroveso Madre!!! Norma Acquetati, Clotilde ha i figli miei...
Oroveso Oppresso è il core. Norma Piangi e perdona. Oroveso Ha vinto amore. Norma Ah! Tu perdoni. Quel pianto il dice. Pollione e Norma Io più non chiedo. Io son felice. Contenta/o il rogo ascenderò. Oroveso Ah! consolarmene mai non potrò. Coro Piange!... Prega!... Che mai spera? Qui respinta è la preghiera. Le si spogli il crin del serto:
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sia coperto di squallor. Vanne al rogo; ed il tuo scempio purghi l’ara e lavi il tempio. Maledetta all’ultim’ora! Maledetta estinta ancor! Oroveso Va’, infelice! Norma Padre!... Addio! Pollione Il tuo rogo, o Norma, è il mio. Norma e Pollione Là più puro, là più santo incomincia eterno amor.
Norma
Orchestra Filarmonica Marchigiana
Didascalia
Daniel Oren
SFERISTERIO 31 luglio, 6*, 12 agosto - ore 21.00 Anteprima giovani 28 luglio - ore 21.00 Giuseppe Verdi
Il trovatore Dramma in quattro parti. Libretto di Salvatore Cammarano Rappresentante CASA RICORDI, Milano
Marco Caria Anna Pirozzi Enkelejda Shkosa Piero Pretti Alessandro Spina Rosanna Lo Greco Augusto Celsi Alessandro Pucci
Il Conte di Luna Leonora Azucena Manrico Ferrando Ines Ruiz Un messo
Direttore Daniel Oren Direttore Francesco Ivan Ciampa (6/8) Regia Francisco Negrin Scene e costumi Louis Désiré Luci Bruno Poet Maestro del coro Carlo Morganti Assistente alla regia Angela Saroglou Fondazione Orchestra Regionale delle Marche Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini” Complesso di palcoscenico Banda “Salvadei” * serata con audio descrizione in collaborazione con Unione Italiana Ciechi e Museo Tattile Statale Omero
Francesco Ivan Ciampa
113 Direttore di scena Luisella Caielli Direttore musicale di palcoscenico Gianfranco Stortoni Vocal coach Simone Savina Maestro di sala Cesarina Compagnoni Maestri di palcoscenico Chiara Cirilli, Sabrina Scaramelli, Marta Marrocchi Maestro alle luci Manuela Belluccini Maestro ai sopratitoli Daniele Gabrielli Mimi Leonardo Buratti e Adua De Candia Figuranti Jacopo Catinari, Federico Chiattelli, Leonardo Coppari, Andrea Farina, Federico Grandoni, Lorenzo Laviola, Nicola Mennichelli, Matteo Giovanni Marcolini, Tommaso Pasquali, Giovanni Pilesi, Mattia Rossi, Leonardo Travaglini, Matteo Travaglini Direttore di palcoscenico Mauro De Santis Responsabile allestimento e servizi di palcoscenico Enrico Sampaolesi Ufficio tecnico Francesco Lozzi Logistica Giorgio Alici Biondi Scenografo realizzatore Serafino Botticelli Capo macchinista Secondo Caterbetti Capo elettricista Fabrizio Gobbi Responsabile sartoria Simonetta Palmucci Responsabile vestizioni Maria Antonietta Lucarelli Capo attrezzista Emanuela Di Piro Capo squadra aiuti tecnici Mauricio Cesar Pasquali Supervisore trucco e parrucchieria Raffaella Cipolato Responsabile parrucchieria Serena Mercanti Responsabile trucco Sara Croci Coordinatrice personale di sala Caterina Ortolani Fotografo Alfredo Tabocchini Scene Chiediscena, Chieti - Macerata Opera Festival Attrezzeria E. Rencati, Milano Costumi Sartoria teatrale Arrigo, Milano Calzature C.T.C. Pedrazzoli, Milano Effetti speciali Guerini Flavio, Brescia Illuminotecnica Seven, Ancona Fonica AMS, Macerata Sopratitoli e audio descrizioni Macerata Opera Festival e UniversitĂ di Macerata
Francisco Negrin
115 Il trovatore. La strega in forme altrui si mostri Macerata Opera Festival e Medici Senza Frontiere Giuseppe De Mola* I tre racconti che seguono sono stati ispirati da un viaggio realizzato nel 2015 da Medici Senza Frontiere in edifici occupati, tendopoli, parchi, sottovia di stazioni ferroviarie abitati da rifugiati in tutta Italia. G. è un rifugiato della Guinea che vive nascosto in una baraccopoli di lavoratori agricoli stagionali. Ha vinto una causa di lavoro e sta aspettando il risarcimento dal proprietario di un’azienda che, da parte sua, continua a minacciarlo di morte. L. è un sarto, viene dall’Africa sub-sahariana e vive da due anni in una fabbrica abbandonata dove la Protezione civile ha installato una ventina di tende. A Roma c’è un edificio occupato – erano degli uffici – dove uomini e donne provenienti dall’Eritrea hanno esposto uno striscione: “Siamo rifugiati, non terroristi”. Girato l’angolo di un corridoio, all’improvviso vedi parcheggiati decine di tricicli. CIRCUITO CHIUSO Nelle campagne del Sud c’è un posto dove i migranti sono trasferiti appena sbarcati dal mare e sono accolti il tempo necessario per ricevere un documento da rifugiato oppure una carta di rigetto, negativo, niente, sei solo un morto di fame, tornatene a casa tua in Africa. Le case prefabbricate sono circondate da una rete di metallo. Fuori della recinzione, a pochi metri, ci sono altri ripari, vecchi container che erano all’interno in passato, ma che sono stati dismessi e spostati su una pista di aeroporto, pure in disuso. La fila di container dismessi è stata occupata da altri con un foglio da rifugiato o di rigetto nella tasca, del tutto identici a quelli che si trovano dentro la recinzione. La recinzione è piena di buchi. Chi sta fuori entra a mangiare alla mensa delle case prefabbricate scambiando i tesserini di riconoscimento con chi sta dentro, che invece esce per andare al bar abusivo allestito in un casolare a ridosso della rete di recinzione. Seidou è seduto su
una sedia di legno, da fuori guarda verso i prefabbricati, osservato dalle telecamere montate sopra la rete di recinzione. - Stavo meglio dentro. Sicuro. Dentro, ero convinto che fosse solo per un tempo limitato, mi dicevo che sarei uscito presto e che sarei andato da ogni parte, che mi sarei trovato un lavoro e una donna con i capelli azzurri. Adesso sono libero e nessuna barriera mi impedisce lo sguardo. Però adesso so. So che non andrò da nessuna parte, perché sono stanco di nascondermi sotto i sedili di un treno senza biglietto, so che non avrò mai un lavoro decente, so che le uniche donne che potrò permettermi sono quelle che lavorano dietro il bar. Quando la porta del bar è aperta e soffia il vento, le tende all’entrata delle stanze piccole come stie e gli asciugamani che circondano i fianchi delle ragazze sventolano come tante bandiere, e le ragazze tengono il busto e il collo ritto come aste, vuoi che mi metta in questa posizione, in quest’altra, così va bene? - Ho lavorato un’estate intera nelle campagne qua intorno e alla fine della stagione la persona che mi aveva procurato l’ingaggio mi ha detto sparisci, non ti pago, se vuoi denunciami pure alla polizia. Io avevo un foglio da rifugiato in tasca e li ho denunciati. Ora devono darmi trentamila euro. Però sto ancora aspettando. Sto ancora aspettando e il padrone ha mandato a dirmi di stare attento, che se continuo a reclamare i miei soldi mi farà sparire dentro una vasca per l’acqua piovana con una pietra al collo, come quelle che indicano i chilometri sul bordo della strada. Per questo vivo nascosto nel bar, insieme alle ragazze, in attesa che mi paghino. E quando sono fuori, passo tutto il tempo davanti alle telecamere, così se mi aggrediscono qualcuno verrà forse a salvarmi, o almeno registreranno le loro facce per la polizia. TRICICLO La polizia ha fatto irruzione nell’atrio dell’albergo occupato. I picchetti dei compagni non sono riusciti a tenerli fuori. Hanno sfondato i picchetti. Ecco, adesso stanno salendo. Sento le loro urla. Dovrei salire sul tetto con gli altri compagni e organizzare la resistenza li sopra. Però non lo farò. Non ho voglia di combattere, oggi. Ho mio figlio da proteggere. Nel mio paese non abbiamo tanti edifici grandi come questo
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Il trovatore
albergo. E non abbiamo così tanti edifici vuoti, senza gente che ci vive dentro o ci lavora, come in questa città. Perché li hanno costruiti? Fa impressione camminare in periferia alla sera e vedere le sagome di questi edifici enormi senza neanche una finestra illuminata. Come se fossero stati abbandonati allo scoppio della guerra. Nel mio paese non è normale entrare in un luogo che non è nostro, anche quando non ci abita nessuno, e vivere lì, al posto del proprietario. Ma qui c’è tanta gente che vive in strada, che non sa dove andare, e ci sono tanti edifici che nessuno utilizza, inutili. Così, quando ci hanno detto che potevamo semplicemente entrare e prendere per noi quello che nessuno utilizzava, ho pensato che forse sì, si trattava di un mio diritto: visto tutto quello che mi era successo dopo aver lasciato il mio paese, quel posto mi era in un certo senso dovuto. Il poliziotto si è alzato la visiera e ha cominciato a guardarsi intorno nella mia camera. La TV accesa, il fornelletto con il gas attaccato, il caffè con la posa sul fondo della tazza che aveva indovinato che il picchetto non avrebbe resistito quella mattina. Il braccio con il manganello si è disteso lungo il fianco. “Parli italiano?”. Ho annuito con un cenno del capo. “Che c’è dietro quella porta?”. “Niente. Il mio bambino”. “Apri”. “Per favore, no. Si spaventerà”. “Apri, ho detto”. Mi sono spostata leggermente davanti alla porta, proprio nell’istante in cui questa si è spalancata. Il braccio con il manganello si è alzato di scatto. Dalla stanza è uscito mio figlio a cavallo di un triciclo. Guardando fisso davanti a sé, senza smettere di pedalare, ha superato di fianco il poliziotto e si è lanciato nel corridoio. Subito, dietro di lui sono apparsi altri tricicli pedalati da altri bambini, uno due tre quattro cinque, un numero infinito di tricicli che passavano ai lati e in mezzo alle gambe spalancate dell’uomo in divisa. Come potevano starci tutti quanti in quella stanza? Che ridere!
terno, più caldi si stava. La tosse di notte non mi faceva dormire. Non la mia. Ma almeno uno dei miei compagni, a turno, di notte tossiva e io restavo sveglio con lo sguardo fisso verso il punto più alto della tenda. Era per colpa della polvere. Le tende si trovavano all’interno di una fabbrica abbandonata. Noi pulivamo ogni giorno, ma i muri della fabbrica si sbriciolavano e c’era sempre polvere. Alla fine abbiamo smesso di pulire. E siccome non c’erano porte in quella fabbrica e alle finestre all’altezza del soffitto mancavano i vetri, la brezza che si alzava dal mare sollevava i calcinacci e la polvere si ficcava a mulinelli nel naso, nella bocca. E la notte tossivamo. Non mi sono mai abituato a sentire qualcuno tossire. Quella fabbrica che si sbriciolava e quelle tende fradice erano tutto ciò che erano riusciti a offrire a noi profughi in tempo di crisi. Subito dopo il nostro arrivo, la fabbrica si è riempita di topi. E di piccioni. Quegli uccelli erano dappertutto e cacavano sopra qualunque cosa. Abbiamo chiesto aiuto. Un giorno i miei compagni hanno urlato il mio nome. Ho pensato che quella notte avremmo dormito più stretti e più caldi nelle tende. Invece erano venuti a risolvere il problema dei piccioni. L’uomo aveva la mano sinistra protetta da un guanto di pelle di bue. L’uccello era immobile sulla sua mano. Fissai il becco e gli artigli affilati. Poi il falco spiccò il volo all’interno della fabbrica. Il primo piccione precipitò al suolo dopo pochi istanti. Pensai che fosse morto stecchito per lo spavento. Scommettemmo su quale dei piccioni sarebbe stato il prossimo a cadere. “Adesso tocca a quello”. “Punto dieci euro”. “Ma non li hai dieci euro”. “Tu scommetti, i soldi li trovo”. A chi toccherà adesso? Non so. Ancora oggi non riesco a crederci. A sentire qualcuno tossire non mi sono mai abituato, la notte restavo con gli occhi aperti sul mio materasso a fissare il punto più alto della tenda. In dormiveglia.
PICCIONI Venti tende blu, venti metri quadrati ciascuna. Dormivamo in dieci in quelle tende, qualche volta in quindici. Erano fredde, puzzavano di umido, ma sempre meglio che stare all’aperto. Perciò non ci riuscivamo a dire di restar fuori a quelli appena arrivati dal mare. E poi, più gente era all’in-
* I racconti sono stati raccolti ed elaborati da Giuseppe De Mola, operatore di Medici Senza Frontiere nel corso degli ultimi due anni tra rifugiati e richiedenti asilo, sia nei centri di prima e seconda accoglienza, sia in insediamenti informali in tutta Italia.
Louis Désiré
Bruno Poet
Anna Pirozzi
119 SOGGETTO
PARTE PRIMA Saragozza, inizio del Quattrocento. Nell’atrio del palazzo dell’Aliaferia, Ferrando, capitano degli armigeri del Conte di Luna, attende il rientro del suo signore, che passa le notti a sorvegliare la casa di Leonora, la dama di compagnia della principessa di Aragona. Ne è innamorato ed è geloso delle attenzioni che le rivolge un misterioso Trovatore. Ferrando narra ai presenti la storia di una zingara che fu bruciata sul rogo per aver stregato il figlio del vecchio Conte di Luna e racconta che la figlia della zingara, Azucena, aveva rapito il bambino e lo aveva gettato nello stesso rogo. Intanto, nel giardino del palazzo, Leonora confida all’amica Ines d’essersi innamorata di uno sconosciuto cavaliere. Le due rientrano nell’appartamento, dove è nascosto il Conte di Luna, che vorrebbe dichiarare alla dama il suo amore. Si sente il canto del Trovatore. Leonora scende per abbracciare l’amato ma, nell’oscurità, si lancia tra le braccia del Conte; appena la luna riappare, la dama si accorge dell’errore e si getta ai piedi del Trovatore. Il Conte, furioso, vuole conoscere l’identità dell’uomo e scopre che è Manrico, un seguace del ribelle Urgel. I due si sfidano a duello. PARTE SECONDA Azucena, davanti ad un fuoco acceso, racconta a Manrico, che crede di essere suo figlio, la storia della propria madre, accusata di maleficio dal Conte di Luna e arsa sul rogo. Dice anche d’aver rapito per vendetta uno dei figli del conte e di averlo bruciato nello stesso rogo; tuttavia, accecata dall’ira, non si era accorta di averlo scambiato con il proprio bimbo. Manrico, stupito, è assalito dai dubbi sulla propria identità; Azucena risponde in maniera elusiva e afferma di voler vendicare la propria madre. Un messo, nel frattempo, informa Manrico della decisione di Leonora che, credendolo
morto dopo la conquista di Castellor da parte dell’esercito di Urgel, sta per prendere i voti. Il Trovatore parte per impedire all’amata di entrare in convento. Nelle vicinanze della fortezza di Castellor, il Conte di Luna si prepara con i suoi a rapire Leonora. Il nobile si fa avanti per catturare la fanciulla, circondata da un coro di religiose, ma d’improvviso compare Manrico. Ruiz e i seguaci di Urgel disarmano il Conte e consentono a Manrico e Leonora di fuggire. PARTE TERZA Nell’accampamento nelle vicinanze di Castellor, Ferrando annuncia ai soldati del Conte di Luna che l’indomani attaccheranno la fortezza. Gli armigeri catturano una zingara: è Azucena, nella quale Ferrando crede di riconoscere la donna che un tempo rapì il bambino. Lei nega ma poi si svela, invocando l’aiuto di Manrico. Il conte capisce di avere in mano la madre del suo rivale e la possibilità di vendicare il fratello. Intanto nell’atrio della cappella di Castellor, Manrico e Leonora stanno per celebrare le nozze. Ruiz, accorrendo, dice che Azucena sta per essere arsa e Manrico corre subito in soccorso della madre. PARTE QUARTA Manrico è stato catturato e, condannato a morte, attende l’esecuzione rinchiuso nel palazzo dell’Aliaferia. Leonora, decisa a salvarlo a prezzo della propria vita, si offre al Conte in cambio della libertà dell’uomo. Il nobile accetta. Leonora ottiene di portare al prigioniero la notizia della grazia, ma, prima di entrare nella prigione, beve il veleno da un anello. Mentre Manrico cerca di calmare la madre, arriva Leonora e gli dice che ora è libero. Quando questi conosce il prezzo della sua libertà, inveisce contro la donna; tuttavia, non appena si accorge che l’amata sta per morire, capisce il suo gesto. Il Conte si rende conto che Leonora lo ha ingannato e ordina che Manrico sia giustiziato. Obbliga Azucena ad assistere all’esecuzione, mentre la zingara dichiara “Egli era tuo fratello. La madre è vendicata”.
120 SYNOPSIS
ACT I Zaragoza, beginning of the fifteenth century. In the atrium of the Aliaferia Palace, Ferrando, captain of Count Di Luna’s soldiers, is waiting for his master to come back. The Count spends his nights monitoring the palace where Leonora, lives: he is in love with her and he is jealous of a mysterious troubadour, who rivals him for the favour of the Lady Leonora. Ferrando tells his men the story of a Gypsy woman burned at the stake for bewitching Di Luna’s brother. The Gypsy’s daughter, Azucena, kidnapped the child and burned him at the very stake where her mother died. In the meantime, in the palace gardens, Leonora confides to her friend, Ines, her love for an unknown knight. The two women reenter the palace where Di Luna is waiting for Leonora to confess his love for her. The Troubadour starts to sing. Leonora hears his voice and runs outside to hug him, but in the dark she mistakes the Count for the Troubadour. In the moonlight, Leonora realizes she is embracing the Count and she quickly rushes into the Troubadour’s arms. The Count becomes furious and he wants to know the man’s identity. He finds out the man is Manrico, a Urgel’s supporter, and he challenges him to a duel. ACT II Sitting in front of a fire, Azucena tells Manrico, who believes he is her son, the story of her mother, who was accused of bewitching by Di Luna’s father and burnt at the stake. She also says that, in order to take her revenge, she kidnapped one of the Count’s children and she burned the child in the same pit of fire where her mother died. However, blinded by fury, she did not realize she hurled her own son into the flames. Manrico, astonished, has many doubts about his own identity. Azucena replies vaguely and affirms she wants revenge her mother. Meanwhile, a messenger tells Manrico that Leonora,
Il trovatore believing that he was dead after Urgel’s troops conquered Castellor, plans to enter a convent. The Troubadour leaves, determined to stop her. Nearby the Castellor fortress, Di Luna, together with his men, is ready to kidnap Leonora. When the Count strides forward to kidnap the lady, who is surrounded by a choir of nuns, Manrico suddenly appears. As the forces struggle, Manrico and Leonora escape. ACT III In the camp near the fortress of Castellor, Ferrando announces Di Luna’s soldiers that he will attack the bastion the following day. The armigers kidnap a gypsy woman, Azucena, and Ferrando recognizes her as the person who kidnapped Di Luna’s younger brother. At first she denies her identity but then she reveals herself and she appeals for Manrico’s help. The count realizes that Azucena is his rival’s mother and he has the chance to revenge his brother. In the meantime, Manrico and Leonora are going to get married in the atrium of the Castellor chapel. Ruiz rushes in and tells them that Azucena is going to be burned at the stake. Manrico runs to rescue his mother. ACT IV Manrico has been kidnapped, sentenced to death and imprisoned in the Aliaferia Palace, where he is waiting to be executed. Leonora, determined to save him, decides to pledge herself to Di Luna in exchange for her lover’s freedom. The count accepts her proposal. Before meeting Manrico for the last time, Leonora swallows a poison hidden in her ring. While Manrico tries to comfort his mother, Leonora arrives and announces him that he is free. Manrico comprehends the price of his freedom and denounces her. However, when he realizes that Leonora is going to die, he understands the reason for her extreme action. Furious at being cheated of his prize, Di Luna orders to execute Manrico. He forces Azucena to witness the execution, while the Gipsy woman declares: “He was your brother. My mother is avenged”.
Soggetto DIE HANDLUNG
ERSTER TEIL Saragoza, Beginn des 15. Jahrhunderts. Im Atrium des Schlosses von Aliaferia wartet Ferrando, Kapitän der Soldaten des Grafen von Luna auf die Rückkehr seines Herren. Dieser verbringt seine Nächte damit, das Haus von Leonora, zu bewachen. Er ist in sie verliebt und eifersüchtig auf einen mysteriősen Troubadour. Ferrando erzählt den Anwesenden die Geschichte einer Zigeuenrin, die auf dem Scheiterhaufen verbrannt worden war. Weil sie den Sohn des alten Grafen Luna verhext hatte. Azucena, die Tochter der Zigeunerin, hatte dann dieses Kind entführt und auf demselben Scheiterhaufen verbrannt. Während der Erzählung Ferrandos vertraut Leonora in den Gärten des Schlosses ihrer Freundin Ines an, dass sie sich in einen unbekannten Kavalier verliebt hat. Die beiden ziehen sich in ihre Räume zurück, in denen sich der Graf von Luna versteckt hat, der Leonora seine Liebe gestehen mőchte. Da hőrt man den Troubadour singen. Leonora läuft hinaus, um den Geliebten zu umarmen, wirft sich aber in der Dunkelheit in die Arme des Grafen. Kurz darauf bemerkt sie die Verwechslung, sieht den Troubadour und sinkt zu seinen Füssen. Der vor Wut schäumende Graf will wissen, wer der Troubadour ist und erkennt, es mit Manrico zu tun zu haben, Vertrauter des Rebellen Urgels. Die beiden fordern sich zum Duell. ZWEITER TEIL Azucena sitzt mit Manrico, der glaubt ihr Sohn zu sein, vor einem Lagerfeuer. Sie erzählt ihm die Geschichte ihrer Mutter, die wegen Hexerei angeklagt war und daher auf dem Scheiterhaufen verbrannt wurde. Sie erzählt weiter, aus Rache einen der Sőhne des Grafen entführt und seinerseits verbrannt zu haben. Blind vor Wut hatte sie aber nicht bemerkt, dieses Kind mit ihrem eigenen Sohn verwechselt zu haben. Manrico
121 ist zutiefst entsetzt und ihn nagen Zweifel über seine eigene Identität. Azucena bleibt ihm gegenüber allerdings vage und beteuert ihre Mutter rächen zu wollen. Da kommt ein Bote und informiert Manrico darüber, das Leonora ihn nach der Eroberung von Castellor tot glaubt und daher beschlossen hat, sich ins Kloster zurückzuziehen. Der Troubadour will sie davon abhalten. DRITTER TEIL Im Lager in der Nähe von Castellor, kündigt Ferrando seinen Soldaten an, dass sie am folgenden tag die Burg angreifen werden. Die Bewaffneten haben eine Zigeunerin aufgegriffen: es ist Azucena, in der Ferrando die Frau zu erkennen glaubt, die vor Zeiten das Kind entführt hat. Zunächst leugnet sie, um sich dann erkennen zu geben, indem sie Manrico um Hilfe anfleht. Der Graf begreift die Mutter seines Rivalen in den Händen zu haben und also die Gelegenheit, seinen Bruder zu rächen. Gleichzeitig sind Manrico und Leonora kurz davor in der Kapelle der Burg ihre Hochzeit zu feiern. VIERTER TEIL Manrico ist gefangen worden, zu Tode verurteilt und auf die Vollstreckung wartend, im Schloss von Aliaferia eingesperrt. Leonora, die ihn auch um den Preis ihres eigenen Lebens retten möchte, biete sich dem Grafen zum Tausch gegen die Freiheit des von ihr geliebten Mannes an. Der Edelmann akzeptiert. Sie darf dem Gefangenen die Nachricht seiner Freilassung selber überbringen, trinkt aber, bevor sie ins Gefängnis geht Gift aus ihrem Ring. Während Manrico versucht seine Mutter zu beruhigen, kommt Leonora und sagt ihm er seie frei. Als dieser versteht, was der Preis für seine Freiheit ist, beschimpft er seine Braut. Kaum merkt er, was sie sich für ihn angetan hat, schämt er sich seines Verhaltens. Der Graf begreift, das Leonora ihn betrogen hat und befiehlt Manrico hinzurichten. Er zwingt Azucena der Hinrichtung beizuwohnen und diese schreit: „Er war dein Bruder! Die Mutter ist gerächt!“
122 SUJET
PREMIERE PARTIE Saragosse, début du XV° siècle. Dans l’entrée du palais de l’Aliaferia, le capitaine de la garde armée du comte de Luna, Ferrando, attend le retour de son seigneur. Ce dernier passe toutes ses nuits à surveiller la maison de Leonora. Il en est follement amoureux et jaloux des attentions que lui adresse un mystérieux troubadour. Ferrando narre aux spectateurs l’histoire d’une gitane brûlée vive sur le bûcher pour avoir jeté un sort au fils du vieux comte de Luna. Il raconte aussi que la fille de la gitane, Azucena, avait par la suite enlevé l’enfant et jeté dans ce même bûcher. Entre-temps, dans le jardin du palais, Leonora confie à son amie Iñez son amour pour un chevalier inconnu. Les deux jeunes femmes rentrent dans l’appartement où se cache le comte de Luna, venu déclarer son amour à Leonora. L’on entend au loin le chant du Trouvère. Leonora se précipite pour étreindre son bien-aimé mais trahie par l’obscurité, elle s’élance dans les bras du comte; dès que la lune réapparaît, elle se rend compte de son erreur et se jette aux pieds du trouvère. Furieux, le comte veut à tout prix savoir qui est cet homme et découvre qu’il s’agit de Manrico, un partisan d’Urgel le rebelle. Les deux hommes se livrent à un duel. DEUXIEME PARTIE Assise autour du feu, Azucena raconte à Manrico qui croit en être le fils, l’histoire de sa propre mère, accusée de sorcellerie par le comte de Luna et de ce fait condamnée au bûcher. Elle lui apprend qu’elle s’est emparée par vengeance de l’un des fils du comte et qu’elle l’a jeté dans ce même bûcher. Cependant, aveuglée par la colère, elle ne s’était pas aperçue qu’elle l’avait confondu avec son propre enfant. Manrico, stupéfait, est assailli de doutes concernant sa propre identité. Azucena lui répond de façon évasive et affirme vouloir venger sa propre mère. Pendant ce temps, un messager vient informer Manrico de la décision
Il trovatore de Leonora qui, le croyant mort après que les troupes d’Urgel se soient emparées de Castellor, est sur le point de prononcer ses vœux. Le Trouvère part précipitamment pour empêcher que l’armée ne pénètre dans le couvent. Aux alentours de la forteresse de Castellor, le comte de Luna et ses hommes se préparent à enlever Leonora. Le comte s’avance et s’apprête à capturer la jeune fille encerclée par un chœur de religieuses, lorsque soudain Manrico apparaît. Ruiz et les hommes d’Urgel désarment le comte et laissent s’enfuir Manrico et Leonora. TROISIEME PARTIE Dans le camp à proximité de Castellor, Ferrando annonce aux soldats du comte de Luna qu’ils attaqueront le lendemain la forteresse. Les gardes armées capturent une gitane: il s’agit d’Azucena. En la voyant, Ferrando croit reconnaître la femme qui avait autrefois enlevé l’enfant. Elle commence par nier mais se trahit ensuite en appelant Manrico à son secours. Le comte réalise qu’il tient entre ses mains la mère de son rival ainsi que la possibilité de venger son frère. Pendant ce temps, dans l’entrée de la chapelle de Castellor, Manrico et Leonora se préparent à célébrer leur mariage. Ruiz arrive précipitamment et leur apprend qu’Azucena est sur le point d’être brûlée vive. Manrico vole immédiatement au secours de sa mère. QUATRIEME PARTIE Manrico a été capturé et condamné à mort. Il attend son exécution, enfermé dans le palais de l’Aliaferia. Leonora, bien décidée à vouloir le sauver même au prix de sa propre vie, se donne au comte en échange de la liberté de Manrico. Le comte accepte. Leonora obtient de pouvoir apporter elle-même au prisonnier la nouvelle de sa grâce, mais avant de pénétrer dans la prison, elle absorbe le poison dissimulé dans sa bague. Tandis que Manrico tente de calmer sa mère, Léonore arrive et lui annonce qu’il est libre. Lorsqu’il apprend à quel prix il obtient sa liberté, il s’emporte contre la jeune femme. Cependant, dès qu’il s’aperçoit que sa bien-aimée se meurt, il comprend toute la portée de son geste. Le comte réalise qu’il a été dupé par Leonora et ordonne que Manrico soit exécuté. Il oblige Azucena à assister à son exécution, tandis que la gitane s’écrit “C’était ton frère. Ma mère est vengée”.
Piero Pretti
Marco Caria
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Parte prima
Ferrando All’erta, all’erta! Il Conte n’è d’uopo attender vigilando; ed egli talor presso i veroni della sua cara, intere passa le notti. Familiari Gelosia le fiere serpi gli avventa in petto! Ferrando Nel Trovator, che dai giardini move notturno il canto, d’un rivale a dritto ei teme. Familiari Dalle gravi palpebre il sonno a discacciar, la vera storia ci narra di Garzia, germano al nostro Conte. Ferrando La dirò: venite intorno a me. Armigeri Noi pure... Familiari Udite, udite.
Ferrando Di due figli vivea padre beato il buon Conte di Luna: fida nutrice del secondo nato dormia presso la cuna. Sul romper dell’aurora un bel mattino ella dischiude i rai; e chi trova d’accanto a quel bambino? Coro Chi?... Favella... Chi mai? Ferrando Abbietta zingara, fosca vegliarda! Cingeva i simboli di una maliarda! E sul fanciullo, con viso arcigno, l’occhio affiggeva torvo, sanguigno! D’orror compresa è la nutrice... Acuto un grido all’aura scioglie; ed ecco, in meno che il labbro il dice, i servi accorrono in quelle soglie; e fra minacce, urli e percosse la rea discacciano ch’entrarvi osò. Coro Giusto quei petti sdegno commosse; l’insana vecchia lo provocò. Ferrando Asserì che tirar del fanciullino l’oroscopo volea... Bugiarda! Lenta febbre del meschino la salute struggea! Coverto di pallor, languido, affranto ei tremava la sera. Il dì traeva in lamentevol pianto... Ammaliato egli era!
Il trovatore
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Ferrando La fattucchiera perseguitata fu presa, e al rogo fu condannata; ma rimanea la maledetta figlia, ministra di ria vendetta!... Compì quest’empia nefando eccesso!... Sparve il fanciullo e si rinvenne mal spenta brace nel sito istesso ov’arsa un giorno la strega venne!... E d’un bambino... ahimè!... L’ossame bruciato a mezzo, fumante ancor! Coro Ah scellerata!... Oh donna infame! Del par m’investe odio ed orror!
Ferrando Calcolando gli anni trascorsi... lo potrei. Armigeri Sarebbe tempo presso la madre all’inferno spedirla. Ferrando All’inferno? È credenza che dimori ancor nel mondo l’anima perduta dell’empia strega, e quando il cielo è nero in varie forme altrui si mostri. Coro È vero!
Alcuni E il padre?
Alcuni Su l’orlo dei tetti alcun l’ha veduta!
Ferrando Brevi e tristi giorni visse: pure ignoto del cor presentimento gli diceva che spento non era il figlio; ed, a morir vicino, bramò che il signor nostro a lui giurasse di non cessar le indagini... Ah! Fur vane!...
Altri In upupa o strige talora si muta!
Armigeri E di colei non s’ebbe contezza mai?
Altri In corvo tal’altra; più spesso in civetta! Sull’alba fuggente al par di saetta. Ferrando Morì di paura un servo del conte, che avea della zingara percossa la fronte!
Ferrando Nulla contezza... Oh, dato mi fosse rintracciarla un dì!...
Apparve a costui d’un gufo in sembianza nell’alta quiete di tacita stanza!... Con l’occhio lucente guardava... guardava, il cielo attristando d’un urlo feral! Allor mezzanotte appunto suonava...
Familiari Ma ravvisarla potresti?
Tutti Ah! Sia maledetta la strega infernal!
Parte prima
Ines Che più t’arresti?... L‘ora è tarda: vieni. Di te la regal donna chiese, l’udisti. Leonora Un’altra notte ancora senza vederlo... Ines Perigliosa fiamma tu nutri!... Oh come, dove la primiera favilla in te s’apprese? Leonora Ne’ tornei. V’apparve bruno le vesti ed il cimier, lo scudo bruno e di stemma ignudo, sconosciuto guerrier, che dell’agone gli onori ottenne... Al vincitor sul crine il serto io posi... Civil guerra intanto arse... Nol vidi più! Come d’aurato sogno fuggente imago! Ed era volta lunga stagion... ma poi... Ines Che avvenne? Leonora Ascolta. Tacea la notte placida e bella in ciel sereno la luna il viso argenteo mostrava lieto e pieno... Quando suonar per l’aere, infino allor sì muto, dolci s’udiro e flebili gli accordi d’un liuto,
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e versi melanconici un Trovator cantò. Versi di prece ed umile qual d’uom che prega Iddio in quella ripeteasi un nome... il nome mio!... Corsi al veron sollecita... Egli era! Egli era desso!... Gioia provai che agli angeli solo è provar concesso!... Al core, al guardo estatico la terra un ciel sembrò. Ines Quanto narrasti di turbamento m’ha piena l’alma!... Io temo... Leonora Invano! Ines Dubbio, ma triste presentimento in me risveglia quest’uomo arcano! Tenta obliarlo... Leonora Che dici!... Oh basti!... Ines Cedi al consiglio dell’amistà... Cedi... Leonora Obliarlo! Ah, tu parlasti detto, che intendere l’alma non sa. Di tale amor che dirsi mal può dalla parola, d‘amor che intendo io sola, il cor s’inebriò! Il mio destino compiersi
Il trovatore
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non può che a lui dappresso... S’io non vivrò per esso, per esso io morirò! Ines (Non debba mai pentirsi chi tanto un giorno amò!) Conte Tace la notte! Immersa nel sonno, è certo, la regal Signora; ma veglia la sua dama... Oh! Leonora, tu desta sei; mel dice, da quel verone, tremolante un raggio della notturna lampa... Ah! L’amorosa fiamma m’arde ogni fibra!... Ch’io ti vegga è d’uopo, che tu m’intenda... Vengo... A noi supremo è tal momento... Il Trovator! Io fremo! La voce del trovatore Deserto sulla terra, col rio destino in guerra e sola speme un cor al Trovator! Ma s’ei quel cor possiede, bello di casta fede, e d’ogni re maggior il Trovator! Conte Oh detti!... Oh gelosia!... Non m’inganno... Ella scende!
Leonora Anima mia! Conte (Che far?) Leonora Più dell’usato è tarda l’ora; io ne contai gl’istanti co’ palpiti del core!... Alfin ti guida pietoso amor tra queste braccia... La voce del trovatore Infida!... Leonora Qual voce!... Ah, dalle tenebre tratta in errore io fui! A te credei rivolgere l’accento e non a lui... A te, che l’alma mia sol chiede, sol desìa... Io t’amo, il giuro, io t’amo d‘immenso, eterno amor! Conte Ed osi? Manrico (Ah, più non bramo!) Conte Avvampo di furor! Se un vil non sei discovriti. Leonora (Ohimè!)
Parte prima
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Conte Palesa il nome...
Manrico Andiam...
Leonora Deh, per pietà!...
Leonora (Che mai farò? Un sol mio grido perdere lo puote...) M’odi...
Manrico Ravvisami, Manrico io son. Conte Tu!... Come! Insano temerario! D’Urgel seguace, a morte proscritto, ardisci volgerti a queste regie porte? Manrico Che tardi?... Or via, le guardie appella, ed il rivale al ferro del carnefice consegna. Conte Il tuo fatale istante assai più prossimo è, dissennato! Vieni... Leonora Conte! Conte Al mio sdegno vittima è d’uopo ch’io ti sveni... Leonora Oh ciel! T’arresta... Conte Seguimi...
Conte No! Di geloso amor sprezzato arde in me tremendo il foco! Il tuo sangue, o sciagurato, ad estinguerlo fia poco! Dirgli, o folle, - Io t’amo - ardisti!... Ei più vivere non può... Un accento proferisti che a morir lo condannò! Leonora Un istante almen dia loco il tuo sdegno alla ragione... Io, sol io, di tanto foco son, pur troppo, la cagione! Piombi, ah! Piombi il tuo furore sulla rea che t’oltraggiò... Vibra il ferro in questo core, che te amar non vuol, né può. Manrico Del superbo vana è l’ira; ei cadrà da me trafitto. Il mortal che amor t’ispira, dall’amor fu reso invitto. La tua sorte è già compita... L’ora ormai per te suonò! Il suo core e la tua vita il destino a me serbò!
Enkelejda Shkosa, Leonardo Buratti
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Parte seconda
Grido feroce - di morte levasi; l‘eco il ripete - di balza in balza! Sinistra splende - sui volti orribili la tetra fiamma - che s’alza al ciel! Zingari Mesta è la tua canzon!
Zingari Vedi! Le fosche notturne spoglie de’ cieli sveste l’immensa volta; sembra una vedova che alfin si toglie i bruni panni ond’era involta. All’opra! All’opra! Dàgli, martella. Chi del gitano i giorni abbella? La zingarella! Uomini Versami un tratto; lena e coraggio il corpo e l’anima traggon dal bere. Tutti Oh guarda, guarda! Del sole un raggio brilla più vivido nel mio/tuo bicchiere! All’opra, all’opra... Dàgli, martella... Chi del gitano i giorni abbella? La zingarella! Azucena Stride la vampa! - La folla indomita corre a quel fuoco - lieta in sembianza; urli di gioia - intorno echeggiano: cinta di sgherri - donna s’avanza! Sinistra splende - sui volti orribili la tetra fiamma - che s’alza al ciel! Stride la vampa! - Giunge la vittima nerovestita, - discinta e scalza!
Azucena Del pari mesta che la storia funesta da cui tragge argomento! Mi vendica... Mi vendica! Manrico (L’arcana parola ognor!) Vecchio zingaro Compagni, avanza il giorno a procacciarci un pan, su, su!... Scendiamo per le propinque ville. Uomini Andiamo. Donne Andiamo. Zingari Chi del gitano i giorni abbella? La zingarella! Manrico Soli or siamo; deh, narra questa storia funesta. Azucena E tu la ignori, tu pur!... Ma, giovinetto, i passi tuoi
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d‘ambizion lo sprone lungi traea!... Dell’ava il fine acerbo è quest’istoria... La incolpò superbo Conte di malefizio, onde asserìa colto un bambin suo figlio... Essa bruciata venne ov’arde quel foco! Manrico Ahi! Sciagurata! Azucena Condotta ell’era in ceppi al suo destin tremendo! Col figlio sulle braccia, io la seguìa piangendo. Infino ad essa un varco tentai, ma invano, aprirmi... Invan tentò la misera fermarsi e benedirmi! Ché, fra bestemmie oscene, pungendola coi ferri, al rogo la cacciavano gli scellerati sgherri! Allor, con tronco accento: «Mi vendica!» esclamò. Quel detto un’eco eterna in questo cor lasciò. Manrico La vendicasti? Azucena Il figlio giunsi a rapir del Conte: lo trascinai qui meco... Le fiamme ardean già pronte. Manrico Le fiamme!... Oh ciel!... Tu forse?... Azucena Ei distruggeasi in pianto... Io mi sentiva il core dilaniato, infranto!... Quand’ecco agli egri spirti, come in un sogno, apparve la vision ferale di spaventose larve! Gli sgherri ed il supplizio!... La madre smorta in volto... Scalza, discinta!... Il grido, il noto grido ascolto... Mi vendica!... La mano convulsa tendo... Stringo
la vittima... nel foco la traggo, la sospingo... Cessa il fatal delirio... L’orrida scena fugge... La fiamma sol divampa, e la sua preda strugge! Pur volgo intorno il guardo e innanzi a me vegg’io dell’empio Conte il figlio... Manrico Ah! Come? Azucena Il figlio mio, mio figlio avea bruciato! Manrico Che dici! Quale orror! Azucena Sul capo mio le chiome sento rizzarsi ancor! Manrico Non son tuo figlio? E chi son io, chi dunque? Azucena Tu sei mio figlio! Manrico Eppur dicesti... Azucena Ah!... Forse... Che vuoi! Quando al pensier s’affaccia il truce caso, lo spirto intenebrato pone stolte parole sul mio labbro... Madre, tenera madre non m’avesti ognora? Manrico Potrei negarlo?
Parte seconda
Azucena A me, se vivi ancora, nol dêi? Notturna, nei pugnati campi di Pelilla, ove spento fama ti disse, a darti sepoltura non mossi? La fuggente aura vital non iscovrì, nel seno non t’arrestò materno affetto?... E quante cure non spesi a risanar le tante ferite!... Manrico Che portai nel dì fatale... Ma tutte qui, nel petto!... Io sol, fra mille già sbandati, al nemico volgendo ancor la faccia!... Il rio De Luna su me piombò col suo drappello; io caddi, però da forte io caddi! Azucena Ecco mercede ai giorni, che l’infame nel singolar certame ebbe salvi da te!... Qual t’acciecava strana pietà per esso? Manrico Oh madre!... Non saprei dirlo a me stesso! Mal reggendo all’aspro assalto, ei già tocco il suolo avea: balenava il colpo in alto che trafiggerlo dovea... Quando arresta un moto arcano, nel discender, questa mano... Le mie fibre acuto gelo fa repente abbrividir! Mentre un grido vien dal cielo, che mi dice: «Non ferir!».
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Azucena Ma nell’alma dell’ingrato non parlò del cielo un detto! Oh! Se ancor ti spinge il fato a pugnar col maledetto, compi, o figlio, qual d’un Dio, compi allora il cenno mio! Sino all’elsa questa lama vibra, immergi all’empio in cor. Manrico Sì, lo giuro, questa lama scenderà dell’empio in cor. L’usato messo Ruiz invia! Forse... Azucena Mi vendica! Manrico Inoltra il piè. Guerresco evento, dimmi, seguìa? Messo Risponda il foglio che reco a te. Manrico “In nostra possa è Castellor; ne dêi tu, per cenno del prence, vigilar le difese. Ove ti è dato, affrettati a venir... Giunta la sera, tratta in inganno di tua morte al grido, nel vicin Chiostro della croce il velo cingerà Leonora”. Oh giusto cielo! Azucena (Che fia!)
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Manrico Veloce scendi la balza, e d’un cavallo a me provvedi... Messo Corro... Azucena Manrico! Manrico Il tempo incalza... Vola, m’aspetta del colle a’ piedi. Azucena E speri, e vuoi?... Manrico (Perderla?... Oh ambascia!... Perder quell’angelo?...) Azucena (È fuor di sé!) Manrico Addio... Azucena No... ferma... odi... Manrico Mi lascia... Azucena Ferma... Son io che parlo a te! Perigliarti ancor languente per cammin selvaggio ed ermo! Le ferite vuoi, demente,
rïaprir del petto infermo? No, soffrirlo non poss’io... Il tuo sangue è sangue mio!... Ogni stilla che ne versi tu la spremi dal mio cor! Manrico Un momento può involarmi il mio ben, la mia speranza!... No, che basti ad arrestarmi terra e ciel non han possanza... Ah!... Mi sgombra, o madre, i passi... Guai per te s’io qui restassi!... Tu vedresti ai piedi tuoi spento il figlio dal dolor! Conte Tutto è deserto, né per l’aura ancora suona l’usato carme... In tempo io giungo! Ferrando Ardita opra, o Signore, imprendi. Conte Ardita, e qual furente amore ed irritato orgoglio chiesero a me. Spento il rival, caduto ogni ostacol sembrava a’ miei desiri; novello e più possente ella ne appresta... L’altare! Ah no, non fia d‘altri Leonora!... Leonora è mia! Il balen del suo sorriso d’una stella vince il raggio! Il fulgor del suo bel viso novo infonde in me coraggio!...
Parte seconda
Ah! L’amor, l’amore ond’ardo le favelli in mio favor! Sperda il sole d’un suo sguardo la tempesta del mio cor. Qual suono!... Oh ciel... Ferrando La squilla vicino il rito annunzia! Conte Ah! Pria che giunga all’altar... si rapisca!... Ferrando Ah bada! Conte Taci!... Non odo... andate... di quei faggi all’ombra celatevi... Ah! Fra poco mia diverrà... Tutto m’investe un foco! Ferrando, seguaci Ardire!... Andiam... Celiamoci fra l’ombre... nel mister! Ardire!... Andiam!... Silenzio! Si compia il suo voler. Conte Per me, ora fatale, i tuoi momenti affretta: la gioia che m’aspetta gioia mortal non è!... Invano un Dio rivale s’oppone nemmeno un Dio, donna, rapirti a me!
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Coro interno di religiose Ah!... Se l’error t’ingombra, o figlia d’Eva, i rai, presso a morir, vedrai che un’ombra, un sogno fu, anzi del sogno un’ombra la speme di quaggiù! Vieni e t’asconda il velo ad ogni sguardo umano! Aura o pensier mondano qui vivo più non è. Al ciel ti volgi e il cielo si schiuderà per te. Leonora Perchè piangete? Donne Ah!... Dunque tu per sempre ne lasci! Leonora O dolci amiche, un riso, una speranza, un fior la terra non ha per me! Degg’io volgermi a Quei che degli afflitti è solo sostegno e dopo i penitenti giorni può fra gli eletti al mio perduto bene ricongiungermi un dì!... Tergete i rai e guidatemi all’ara! Conte No, giammai!... Donne Il Conte! Leonora Giusto ciel!
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Conte Per te non havvi che l’ara d’imeneo.
hanno de’ fiumi l’onde! Ma gli empi un Dio confonde! Quel Dio soccorse a me.
Donne Cotanto ardìa!...
Donne Il cielo in cui fidasti pietade avea di te.
Leonora Insano!... E qui venisti?... Conte A farti mia. Leonora E deggio... E posso crederlo? Ti veggo a me d’accanto! È questo un sogno, un’estasi, un sovrumano incanto! Non regge a tanto giubilo rapito, il cor sospeso! Sei tu dal ciel disceso, o in ciel son io cor te? Conte Dunque gli estinti lasciano di morte il regno eterno! A danno mio rinunzia le prede sue l’inferno! Ma se non mai si fransero de’ giorni tuoi gli stami, se vivi e viver brami, fuggi da lei, da me. Manrico Né m’ebbe il ciel, né l’orrido varco infernal sentiero... Infami sgherri vibrano mortali colpi, è vero! Potenza irresistibile
Ferrando, seguaci Tu col destin contrasti: Suo difensore egli è. Ruiz Urgel viva! Manrico Miei prodi guerrieri! Ruiz Vieni... Manrico Donna, mi segui. Conte E tu speri? Leonora Ah! Manrico T’arresta... Conte Involarmi costei! No! Ruiz, armati Vaneggi!
Parte seconda
Ferrando, seguaci Che tenti, Signor? Conte Di ragione ogni lume perdei! Leonora (M’atterrisce‌) Conte Ho le furie nel cor! Ruiz, armati Vien: la sorte sorride per te. Ferrando, seguaci Cedi; or ceder viltade non è.
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Alessandro Spina
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Parte terza
Alcuni armigeri Or co’ dadi, ma fra poco giocherem ben altro gioco. Altri Quest’acciar, dal sangue or terso, fia di sangue in breve asperso! Alcuni Il soccorso dimandato! Altri Han l’aspetto del valor! Tutti Più l’assalto ritardato or non fia di Castellor. Ferrando Sì, prodi amici; al dì novello è mente del capitan la rocca investir d’ogni parte. Colà pingue bottino certezza è rinvenir più che speranza. Si vinca; è nostro. Tutti Tu c’inviti a danza! Squilli, echeggi la tromba guerriera, chiami all’armi, alla pugna, all’assalto;
fia domani la nostra bandiera di quei merli piantata sull’alto. No, giammai non sorrise vittoria di più liete speranze finor!... Ivi l’util ci aspetta e la gloria, ivi opimi la preda e l’onor. Conte In braccio al mio rival! Questo pensiero come persecutor demone ovunque m’insegue!... In braccio al mio rival!... Ma corro, surta appena l’aurora, io corro a separarvi... Oh Leonora! Conte Che fu? Ferrando Dappresso il campo s’aggirava una zingara: sorpresa da’ nostri esploratori, si volse in fuga; essi, a ragion temendo una spia nella trista, l’inseguir... Conte Fu raggiunta? Ferrando È presa. Conte Vista l’hai tu? Ferrando No; della scorta il condottier m’apprese l’evento.
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Conte Eccola.
Conte (Da Biscaglia!)
Esploratori Innanzi, o strega, innanzi...
Ferrando (Che intesi!... O qual sospetto!)
Azucena Aita!... Mi lasciate... O furibondi, che mal fec’io?
Azucena Chiedi!
Azucena Giorni poveri vivea, pur contenta del mio stato; sola speme un figlio avea... Mi lasciò!... M’oblìa, l’ingrato! Io deserta, vado errando di quel figlio ricercando, di quel figlio che al mio core pene orribili costò!... Qual per esso provo amore madre in terra non provò!
Conte Ove vai?
Ferrando (Il suo volto!)
Conte S’appressi. A me rispondi e trema dal mentir!
Azucena Nol so. Conte Che? Azucena D’una zingara è costume mover senza disegno il passo vagabondo, ed è suo tetto il ciel, sua patria il mondo. Conte E vieni? Azucena Da Biscaglia, ove finora le sterili montagne ebbi a ricetto!
Conte Di’, traesti lunga etade tra quei monti? Azucena Lunga, sì. Conte Rammenteresti un fanciul, prole di conti, involato al suo castello, son tre lustri, e tratto quivi? Azucena E tu, parla... sei?... Conte Fratello del rapito.
Parte terza
141
Azucena (Ah!)
Coro Ella stessa!
Ferrando (Sì!)
Azucena Ei mentisce...
Conte Ne udivi mai novella?
Conte Al tuo destino or non fuggi.
Azucena Io?... No... Concedi che del figlio l’orme io scopra.
Azucena Deh!...
Ferrando Resta, iniqua...
Conte Quei nodi più stringete.
Azucena (Ohimè!..) Ferrando Tu vedi chi l’infame, orribil opra commettea... Conte Finisci. Ferrando È dessa.
Azucena Oh! Dio!... Oh Dio!... Coro Urla pure. Azucena E tu non m’odi, o Manrico, o figlio mio?... Non soccorri all’infelice madre tua?
Azucena (Taci)
Conte Sarebbe ver? Di Manrico genitrice?
Ferrando È dessa che il bambino arse!
Ferrando Trema!...
Conte Ah! Perfida!
Conte Oh sorte!... In mio poter!
Il trovatore
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Azucena Deh, rallentate, o barbari, le acerbe mie ritorte... Questo crudel supplizio è prolungata morte... D’iniquo genitore empio figliuol peggiore, trema... V’è Dio pe’ miseri, e Dio ti punirà!
Leonora Ahimè!... Che dici!...
Conte Tua prole, o turpe zingara, colui, quel traditore?... Potrò col tuo supplizio ferirlo in mezzo al core! Gioia m’innonda il petto, cui non esprime il detto!... Meco il fraterno cenere piena vendetta avrà!
Leonora Di qual tetra luce il nostro imen risplende!
Ferrando, coro Infame pira sorgere, ah, sì, vedrai tra poco... Né solo tuo supplizio sarà terreno foco!... Le vampe dell’inferno a te fina rogo eterno; ivi penare ed ardere l’anima tua dovrà! Leonora Quale d’armi fragor poc’anzi intesi? Manrico Alto è il periglio! Vano dissimularlo fora! Alla novella aurora assaliti saremo!...
Manrico Ma de’ nostri nemici avrem vittoria... Pari abbiam al loro ardir, brando e coraggio!... Tu va’; le belliche opre, nell’assenza mia breve, a te commetto. Che nulla manchi!...
Manrico Il presagio funesto, deh, sperdi, o cara!... Leonora E il posso? Manrico Amor... sublime amore, in tale istante ti favelli al core. Ah! Sì, ben mio, coll’essere io tuo, tu mia consorte, avrò più l’alma intrepida, il braccio avrò più forte; ma pur se nella pagina de’ miei destini è scritto ch’io resti fra le vittime dal ferro ostil trafitto, fra quegli estremi aneliti a te il pensier verrà e solo in ciel precederti la morte a me parrà! Leonora e Manrico L’onda de’ suoni mistici
Parte terza
pura discende al cor! Vieni; ci schiude il tempio gioie di casto amor.
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Manrico Che?
Ruiz... Va... Torna... Vola... Di quella pira l’orrendo foco tutte le fibre m’arse, avvampò!... Empi, spegnetela, o ch’io fra poco col sangue vostro la spegnerò... Era già figlio prima d’amarti, non può frenarmi il tuo martir. Madre infelice, corro a salvarti, o teco almeno corro a morir!
Ruiz La zingara, vieni, tra ceppi mira...
Leonora Non reggo a colpi tanto funesti... Oh, quanto meglio sarìa morir!
Manrico Oh Dio!
Ruiz, armati All’armi, all’armi! Eccone presti a pugnar teco, teco a morir.
Ruiz Manrico?
Ruiz Per man de’ barbari accesa è già la pira... Manrico Oh ciel! Mie membra oscillano... Nube mi copre il ciglio! Leonora Tu fremi! Manrico E il deggio!... Sappilo. Io son... Leonora Chi mai? Manrico Suo figlio!... Ah! Vili!... Il rio spettacolo quasi il respir m’invola... Raduna i nostri, affrettati...
Adua De Candia
Rosanna Lo Greco
Augusto Celsi, Alessandro Pucci
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Parte quarta
Miserere di lei, bontà divina, preda non sia dell’infernal soggiorno! Leonora Quel suon, quelle preci solenni, funeste, empiron quest’aere di cupo terror!... Contende l’ambascia, che tutta m’investe, al labbro il respiro, i palpiti al cor!
Ruiz Siam giunti; ecco la torre, ove di Stato gemono i prigionieri... Ah, l’infelice ivi fu tratto! Leonora Vanne, lasciami, né timor di me ti prenda... Salvarlo io potrò forse. Timor di me?... Sicura, presta è la mia difesa. In quest’oscura notte ravvolta, presso a te son io, e tu nol sai... Gemente aura che intorno spiri, deh, pietosa gli arreca i miei sospiri... D’amor sull’ali rosee vanne, sospir dolente: del prigioniero misero conforta l’egra mente... Com’aura di speranza aleggia in quella stanza: io desta alle memorie, ai sogni dell’amor! Ma deh! Non dirgli, improvvido, le pene del mio cor! Voci interne Miserere d’un’alma già vicina alla partenza che non ha ritorno!
Manrico Ah, che la morte ognora è tarda nel venir a chi desia morir!... Addio, Leonora! Leonora Oh ciel!... Sento mancarmi! Sull’orrida torre, ah! Par che la morte con ali di tenebre librando si va! Ahi! Forse dischiuse gli fian queste porte sol quando cadaver già freddo sarà! Manrico Sconto col sangue mio l’amor che posi in te!... Non ti scordar di me! Leonora, addio! Leonora Di te, di te scordarmi?... Tu vedrai che amore in terra mai del mio non fu più forte; vinse il fato in aspra guerra, vincerà la stessa morte. O col prezzo di mia vita la tua vita io salverò,
Il trovatore
146
o con te per sempre unita nella tomba io scenderò.
Leonora Clemente Nume a te l’ispiri...
Conte Udite? Come albeggi, la scure al figlio ed alla madre il rogo. Abuso io forse del poter che pieno in me trasmise il prence! A tal mi traggi, donna per me funesta!... Ov’ella è mai? Ripreso Castellor, di lei contezza non ebbi, e furo ondarne tante ricerche e tante! Ah! Dove sei, crudele?
Conte È sol vendetta mio Nume... Va.
Leonora A te davante.
Leonora Il vedi.
Conte Ah! Dell’indegno rendere vorrei peggior la sorte: fra mille atroci spasimi centuplicar sua morte; più l’ami, e più terribile divampa il mio furor!
Conte A che venisti?
Leonora Conte...
Leonora Egli è già presso all’ora estrema; e tu lo chiedi?
Conte Né cessi?
Conte Qual voce!... Come!... Tu, donna?
Conte Osar potresti?...
Leonora Mira, di acerbe lagrime spargo al tuo piede un rio: non basta il pianto? Svenami, ti bevi il sangue mio... Calpesta il mio cadavere, ma salva il Trovator!
Leonora Grazia!...
Leonora Ah sì, per esso pietà dimando...
Conte Prezzo non havvi alcuno ad ottenerla... Scostati...
Conte Che! Tu deliri! Io del rival sentir pietà?
Leonora Uno ve n’ha... Sol uno!... Ed io te l’offro.
Parte quarta
Conte Spiegati, qual prezzo, di’. Leonora Me stessa! Conte Ciel!... Tu dicesti?... Leonora E compiere saprò la mia promessa. Conte È sogno il mio? Leonora Dischiudimi la via fra quelle mura... Ch’ei m’oda... Che la vittima fugga, e son tua.
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Leonora (Vivrà!... Contende il giubilo i detti a me, Signore... Ma coi frequenti palpiti merce’ ti rende il core! Ora il mio fine impavida, piena di gioia attendo... Potrò dirgli morendo: salvo tu sei per me!) Conte Fra te che parli?... Volgimi, volgimi il detto ancora, o mi parrà delirio quanto ascoltai finora... Tu mia!... Tu mia!... Ripetilo. Il dubbio cor serena... Ah!... Ch’io lo credo appena udendolo da te! Leonora Andiam...
Conte Lo giura.
Conte Giurasti... pensaci!
Leonora Lo giuro a Dio che l’anima tutta mi vede!
Leonora È sacra la mia fe’!
Conte Olà! Leonora (M’avrai, ma fredda esanime spoglia.) Conte Colui vivrà.
Manrico Madre?... Non dormi? Azucena L’invocai più volte, ma fugge il sonno a queste luci... Prego... Manrico L’aura fredda è molesta alle tue membra forse?
Il trovatore
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Azucena No; da questa tomba di vivi sol fuggir vorrei, perché sento il respiro soffocarmi!... Manrico Fuggir! Azucena Non attristarti: far di me strazio non potranno i crudi! Manrico Ah! Come? Azucena Vedi?... Le sue fosche impronte m’ha già stampato in fronte il dito della morte! Manrico Ahi! Azucena Troveranno un cadavere muto, gelido!... Anzi uno scheletro! Manrico Cessa! Azucena Non odi?... Gente appressa... I carnefici son... vogliono al rogo trarmi!... Difendi la tua madre! Manrico Alcuno, ti rassicura, qui non volge...
Azucena Il rogo! Parola orrenda! Manrico Oh madre!... Oh madre! Azucena Un giorno, turba feroce l’ava tua condusse al rogo... Mira la terribil vampa! Ella n’è tocca già! Già l’arso crine al ciel manda faville!... Osserva le pupille fuor dell’orbita lor!... Ahi... chi mi toglie a spettacol sì atroce? Manrico Se m’ami ancor, se voce di figlio ha possa d’una madre in seno, ai terrori dell’alma oblìo cerca nel sonno, e posa e calma. Azucena Sì, la stanchezza m’opprime, o figlio... Alla quîete io chiudo il ciglio... Ma se del rogo arder si veda l’orrida fiamma, destami allor. Manrico Riposa, o madre: Iddio conceda men tristi immagini al tuo sopor. Azucena Ai nostri monti... ritorneremo... L’antica pace... ivi godremo... Tu canterai... sul tuo liuto... In sonno placido... io dormirò!
Parte quarta
Manrico Riposa, o madre: io prono e muto la mente al cielo rivolgerò. Manrico Ciel!.. Non m’inganna quel fioco lume?... Leonora Son io, Manrico... Manrico Oh, mia Leonora! Ah, mi concedi, pietoso Nume, gioia sì grande, anzi ch’io mora? Leonora Tu non morrai... vengo a salvarti... Manrico Come!... A salvarmi? Fia vero!
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Leonora Guai se tardi! Manrico No... Leonora La tua vita!... Manrico Io la disprezzo... Pur figgi, o donna, in me gli sguardi!... Da chi l’avesti?... Ed a qual prezzo?... Parlar non vuoi?... Balen tremendo!... Dal mio rivale!... Intendo... intendo!... Ha quest’infame l’amor venduto... Venduto un core che mi giurò!
Leonora Addio... Tronca ogni indugio... t’affretta... parti!...
Leonora Oh, come l’ira ti rende cieco! Oh, quanto ingiusto, crudel sei meco! T’arrendi... Fuggi, o sei perduto! Nemmeno il cielo salvar ti può!
Manrico E tu non vieni?
Manrico Ti scosta...
Leonora Restar degg’io!...
Leonora Non respingermi... Vedi?... Languente, oppressa, io manco...
Manrico Restar!... Leonora Deh! Fuggi!... Manrico No.
Manrico Va’... Ti abbomino... Ti maledico... Leonora Ah, cessa! Non d’imprecar, di volgere
Il trovatore
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per me la prece a Dio è questa l’ora! Manrico Un brivido corse nel petto mio!
Manrico Insano!... Ed io quest’angelo osava maledir! Leonora Più non resisto!
Leonora Manrico!
Manrico Ahi misera!...
Manrico Donna, svelami... Narra!
Leonora Ecco l’istante... io moro... Manrico! Or la tua grazia... Padre del cielo... imploro... Prima... che... d’altri vivere... Io volli... tua morir!
Leonora Ho la morte in seno... Manrico La morte!... Leonora Ah, fu più rapida la forza del veleno ch’io non pensava!...
Conte (Ah! Volle me deludere, e per costui morir!) Sia tratto al ceppo! Manrico Madre... oh madre, addio!
Manrico Oh fulmine!
Azucena Manrico!... Ov’è mio figlio?
Leonora Senti! La mano è gelo... Ma qui... qui foco orribile arde...
Conte A morte corre!...
Manrico Che festi!... O cielo! Leonora Prima che d’altri vivere... Io volli tua morir!...
Azucena Ah ferma!... M’odi... Conte Vedi?... Azucena Cielo!
Parte quarta
Conte Ăˆ spento! Azucena Egli era tuo fratello!... Conte Ei!... Quale orror!... Azucena Sei vendicata, o madre! Conte E vivo ancor!
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Foto di Nebojsa Babic
SFERISTERIO 24 luglio - ore 21.00
Goran Bregovi`c and His Wedding & Funeral Orchestra in coproduzione con Adriatico Mediterraneo
SFERISTERIO 11 agosto - ore 21.00
Medea da Cherubini a Pasolini con Daniela Dessì Direttore Francesco Ivan Ciampa Fondazione Orchestra Regionale delle Marche Cesare Bocci nel ruolo di Giasone e con la partecipazione di Maria Pilar Pérez Aspa conduce Francesco Micheli allestimento Enrico Sampaolesi Fabrizio Gobbi Marco Luchetti Francesco Raffo sul palco scenografie digitali realizzate sui bozzetti di Dante Ferretti e abiti disegnati da Piero Tosi per il film “Medea” e realizzati dalla Tirelli Costumi - Roma
Didascalia
SFERISTERIO 14 agosto - ore 21.00
Ezio Bosso The 12th Room Tour
OperAttivaMente
Laboratori per bambini realizzati con la collaborazione del corso di Psicologia dello sviluppo dell’Università di Macerata
Enea Migrante rante
Letture con accompagnamento musicale, realizzate con la collaborazione di Adriatico Mediterraneo r rraneo Festival F
Omero, Iliade di Alessandro Ome o Baricco a cura di Antonio Lovascio ascio usicali di Gionni Di Clemente, oud interventi musicali
Il poema del furore: e: Didone e le altre a cura di Isabella Carloni oretti, percussioni interventi musicali di Francesco Savoretti,
Eneide Canto dei Transiti a cura di Lucia Bendia
Ermitage visual and performing art’s presenta
Recital a ingresso gratuito
Prenotazioni su energia.sferisterio.it e in biglietteria Grazie al contributo di
HERA
Suoni e canti del Mediterraneo Giovanni Seneca & Orchestrina Adriatica in collaborazione con Adriatico Mediterraneo Festival
Mediterranea, Onde sonore Prima assoluta Melologo in quattro Approdi con Prologo ed Epilogo Carla Magnan, Roberta Vacca, Carla Rebora, Cinzia Pennesi Maria Letizia Gorga, attrice-cantante Accademia della libellula Cinzia Pennesi, direttrice su testo di Maria Letizia Gorga realizzato con il contributo del Consiglio delle Donne del Comune di Macerata
Nuits d’été Recital di Veronica Simeoni Michele D’Elia, pianoforte
“Solo la musica è all’altezza del mare” (A. Camus)
Maestri di sala, Direttore musicale di palcoscenico e Maestro del Coro
Banda Salvadei
Pueri Cantores “D. Zamberletti”
Gruppo comunicazione
Direttore di palcoscenico, Direttori di scena, Maestri di palcoscenico, Maestri alle luci
Fonici
Gruppo audio descrizioni e sopratitoli
Sartoria
Trucco e parrucchieria
Amministrazione
Medico di sala, maschere e sorveglianti
Elettricisti
Attrezzisti
Macchinisti e aiuto tecnici
Area amministrazione Ufficio amministrativo Maria Sara Rastelli Ufficio contabilitĂ e controllo Rosa Silvestri responsabile Francesco Bellezze collaboratore Ufficio del personale Roberta Spernanzoni
Area segreteria generale Ufficio segreteria Paola Pierucci Ufficio promozione Mauro Perugini
Area produzione Direttore di palcoscenico Mauro De Santis Segretario artistico Gianfranco Stortoni Assistente alla direzione artistica Francesca Gianola Assistente di produzione Riccardo Benfatto
Area comunicazione Marketing, Comunicazione e Fund Raising Esserci Comunicazione Andrea Compagnucci responsabile Carlo Scheggia editoria e comunicazione istituzionale Veronica Antinucci promozione Domenico Dialetto relazioni con gli sponsor Sara D’Angelo progetti per l’infanzia Emilio Antinori, Sofia Fazi, Luca Giustozzi, Manuela Moreschini, Maurizio Verducci collaboratori Illustrazioni e grafica Francesca Ballarini Ufficio Stampa Marco Ferullo responsabile Andrea De Mauro collaboratore Pubbliche relazioni Angela Tassi Servizi di biglietteria AMAT Simone Del Gobbo Helen Zazzini Valentina Angelini collaboratrice
Resp. allestimento e servizi di palcoscenico Enrico Sanpaolesi Consulente Logistica e magazzini Giorgio Alici Biondi Scenografo Realizzatore Serafino Botticelli Ufficio tecnico allestimenti Francesco Lozzi Macchinisti Secondo Caterbetti capo macchinista Federico Montemarani resp. Teatro Lauro Rossi Angelo Boccadifuoco Leandro Bruno Francesco Cervigni Sandro De Leva Franco Dipré Pasquale Emiliani Marco Gagliardini Stefano Ortolano Mario Rossetti Alfredo Rossi Federico Rossi Gennaro Santo Gruista Adriano Buresta Paolo Marinozzi Aiuti Tecnici Mauricio Cesar Pasquali capo squadra Fabrizio Baioni Giuseppe Cesca Filippo Gallo Paolo Gentili Christos Kagias Ruben Leporoni Marco Maggi Mauro Pettinari Stefano Prosperi Sauro Tartari Daniele Caruso aiuto orchestra Roberto Tabocchini aiuto orchestra Attrezzisti Emanuela Di Piro capo attrezzista Federica Bianchini Luigi Candice Andrea Conti Daniele Pettorossi Alessandro Prosperi Johara Cariddi aiuto attrezzista Paolo Copparoni aiuto attrezzista Aleksandr Proskurin aiuto attrezzista
Elettricisti Fabrizio Gobbi capo elettricista Ludovico Gobbi consolle Roberto Butani Claudio Bellagamba Stefano Callimaci Lorenzo Caproli Gustavo Federici Marco Gentili Laura Piccioni Roberto Valentini Roberto Vignola Federico Caterbetti aiuto elettricista Olmo Callimaci assistente aiuto elettricista Sartoria Simonetta Palmucci resp. sartoria Maria Antonietta Lucarelli resp. vestizione Elisabetta Seu assistente resp. sartoria Roberta Fratini tagliatrice Giulia Ciccarelli Maria Dignani Giuseppina Giannangeli Silvia Lucchetti Pierina Moretti Daniela Patacchini Gemma Tasso Elisa Ciammella aiuto sarta Katia Corvatta aiuto sarta Lorenzo Gismondi aiuto sarto Trucco Raffaella Cipolato supervisore Sara Croci responsabile Mara Del Grosso ass. responsabile Ambra Bellotti Cristina Pallotta Graziana Fasino aiuto truccatrice Beatrice Livi aiuto truccatrice Lucia Longhi aiuto truccatrice Andrea Montani aiuto truccatore Hisako Mori aiuto truccatrice Parrucchieria Serena Mercanti responsabile Gloria Melagrani ass. responsabile Paola Pierini ass. responsabile Patrizia Castelletti Massimiliano Ciferri Monica Marini Anna Maria Cavalieri aiuto parrucchiera Mohammad Musazadeh aiuto parrucchiere
Fonici Fabio Alfonsi Franco Alfonsi Coordinatore del personale di sala Caterina Ortolani Medico Marco Sigona Servizio prevenzione e protezione Giorgio Meschini RSPP Giorgio Domizi ASPP Carlo Gualco medico competente Sopratitoli e audiodescrizioni Elena di Giovanni coordinatrice ai servizi di accessibilità Daniele Gabrielli maestro ai sopratitoli Francesca Raffi audio descriz. e percorsi tattili Chiara Pazzelli servizi accessibilità Silvia Andreani progetto sopratitoli Maria Antonelli progetto sopratitoli Hanno collaborato al Macerata Opera Festival gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Macerata: Benedetta Annevieni, Francesco Cicarelli, Alessia Corallini, Giulia Dionisi, Giorgia Gagliardini, Alice Gentili, Bianca Negrea, Francesco Palma, Nicola Pavlidi, Sara Siniscalchi, Giorgia Stella, Elisabetta Tentella Enrico Pulsoni Docente tutor Master Opera Academy Verona Veronica Bolognani, Aboim João Carvalho, Johanna Gelesz Servizio Volontario Europeo Ana Almeida, Romaine Chapet, Maria Cuevas, Anna Jachymek, Oliwia Kwatkowska, Audrey Lemoine, Monica Parreira, Maria Perez, Mafalda Perdigão, Milena Pudlo, Manon Sarlin, Guillem Ramirez
Orchestra Filarmonica Marchigiana
Giuseppe Franchellucci Elena Antongirolami Chiara Burattini
Violini primi Alessandro Cervo** Giannina Guazzaroni* Lisa Maria Pescarelli Elisabetta Spadari Cristiano Pulin Paolo Strappa Elisa I Elia Torregiani Matteo Di Iorio Silvia Stella Stefano Gullo Alessandro Zerella Ludovica Lorenzini Laura Calamosca
Contrabbassi Luca Collazzoni * Andrea Dezi Marco Cempini Michele Mantoni Michele Valentini David Padella
Violini secondi Simone Grizi* Laura Barcelli Baldassarre Cirinesi Simona Conti Andrea Poli Sandro Caprara Olena Larina Sergio Morellina Gisberto Cardarelli Andrea Esposto Jacopo Cacciamani Viole Greta Xoxi* Massimo Augelli Cristiano Del Priori Claudio Cavalletti Lorenzo Anibaldi Andrea Pomeranz Fabio Cappella Laura Pennesi Federica Isidori Violoncelli Alessandro Culiani * Antonio Coloccia Gabriele Bandirali Nicolino Chirivì Federico Perpich Denis Burioli
Flauti Francesco Chirivì * Stella Barbero Ottavino Saverio Salvemini
Tromboni Diego Giatti * Eugenio Gasparrini Diego Copponi Tuba David Beato Arpa Margherita Scafidi * Timpani Adriano Achei * Percussioni Deny Mina Alessandro Carlini Valerio Marcantoni Gianmaria Tombari
Oboe Fabrizio Fava * Maria Chiara Braccalenti
Ispettore d’orchestra Michele Scipioni
Corno Inglese Marco Vignoli
Direttore artistico Fabio Tiberi
Clarinetti Danilo Dolciotti * Sergio Bosi * Luigino Ferranti
*prime parti **spalla dei violini primi
Clarinetto Basso Marco Messa Fagotti Paolo Rossetti * Giacomo Petrolati Luca Bonci Luca Ridolfi Corni Alessandro Fraticelli * Giovanni Cacciaguerra Roberto Quattrini Martino Torquati Trombe Giuliano Gasparini * Manolito Rango Mario Biancucci Devid Buresta
Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini” Tenori I - II Sante Alosi Enzo Boccanera Roberto Bruglia Giuvanni Carità Guido Carmenati Davide Ciarrocchi Christian Crescinbeni Andrea Cutrini Mauro Faragalli Giacomo Gandaglia Stefano Grassoni Nenad Koncar Luca Mancini David Mazzoni Alfonso Mendola Massimo Morosetti Marco Palazzesi Carlo Alberto Patrignoni Francesco Pesaresi Alberto Piasterllini Alessandro Pucci Andrea Reginelli Carlo Velenosi Baritoni - Bassi Alen Abdacic Lucio Di Giovanni Franco Di Girolamo Massimiliano Fiorani Giorgio Grazioli Loris Manoni Lado Mebonia Alessandro Menduto Gianni Paci Yu Ji Peng Gagik Petrosian Andrea Pistolesi Alessandro Rossi Roberto Scandura Alberto Signori Hai Zhang Soprani Chiara Ardito Gulnora Baydjanova Aliya Beisenova Denise Biga Lucia Caggiano Cristiana Checchi
Valentina Chiari Raffaela Chiarolla Mirela Cisman Catia Cursini Angela De Pace Silvia Giannetti Doriana Giuliodoro Silvia Marcellini Ilaria Micarelli Alessandra Molinelli Chiara Moschini Adriana Palmese Cinzia Pasquinelli Maria Elisabetta Santarelli Mina Suzuki Emanuela Torresi Mezzi - Contralti Naira Aghasaryan Monica Astolfi Sara Bacciocchi Fiorella Barchiesi Annamaura Barigelli Paola Incani Monica Manfredini Maria Elena Marinangeli Rossella Massarini Olga Maria Salti Tamara Uteul Presidente Angela De Pace
Pueri Cantores “D. Zamberletti” Giada Bisconti Federica Buratti Helena Cakerri Joni Cakerri Alessandro Ceresani Elisa Ceresani Beatrice Cippitelli Pietro Cippitelli Sofia Cippitelli Laura Fiorani Christian Fiorani Caterina Froccani Eleonora Francesconi Elisa Giulia Gaman Bernadette Garbuglia Dorotea Leonori Petra Leonori Denis Nika Jerry Ongundolor Margherita Paolucci Martina Paolucci Anna Piermarteri Caterina Piergiacomi Francesca Ribichini Veronica Valeri Maestro Gian Luca Paolucci
Complesso di palcoscenico Banda “Salvadei”
Maschere e sorveglianti
Chitarrista Ettore Baiamonte Francesco Madonia
Lucia Andreani Elisabetta Angelini Federica Barcaglioni Edoardo Bartolini Carlotta Benedetti Gianluca Bocci Federica Carlini Francesco Cartuccia Matteo Compagnucci Giulia Cuini Valentina Di Mascio Michele Distefani Daniela Domizi Giulia Emiliozzi Marina Farabolini Stefano Fermanelli Conzuelo Fogante Cinzia Giacomini Leonardo Gigli Valentina Gironella Alison Guerrero Elena Innocenzi Marta Innocenzi Giulia Maponi Alessandro Mariani Marta Marresi Eleonora Mercuri Edoardo Micozzi Alessia Montalboddi Margherita Montali Davide Orsetti Martina Ortolani Sara Eugenia Palazzetti Jessica Pennesi Riccardo Persichini Simone Pettinari Francesco Ramazzotti Cecilia Rossi Luca Salaris Andrea Scipione Federica Severini Lorenzo Sigona Francesco Sopranzi Ludovica Spadoncelli Giulia Spina Alex Stizza Ilaria Tobaldi Martina Tobaldi
Clarinettista Cristiana Chmielewski Fabrizio Del Gobbo Andrea Giovagnoli Silvia Lanari Simona Tisba Cornista Sabrina Barboni Mattia Battistini Antonio Riccobelli Flautista Elisa Ercoli Mandolinista Raffaele Pullara Mauro Schembri Oboista Fabrizia Broglia Ilaria De Maximy Ottavinista Marta Montanari Percussionista Federico Gasparrini Andrea Piermartire Trombonista Andrea Marconi Luca Morresi Andrea Piergentili Niccolò Serpentini Trombettista Paolo Brunori Matteo Giammaria Giovanni Pellegrini Federico Perugini Yuri Valenti Tubista Gabriele Contadini Pasquale La Tocca Ispettore - responsabile Marco Gasparrini
Amici dello Sferisterio 2016 Stefania Annini Rosanna Armellini Roberta Baglioni Paola Ballesi Daniela Barbaresi Giuseppina Battaglioni Alessandro Battiato Carla Becattini Adriana Biagiarelli Fernando Bianchini Claudia Biondi Francesco Bury Francesco Calcagni Giorgia Cannella Alessandro Canullo Iginia Carducci Letizia Carducci Simone Carletti Maria Luisa Cassese Domenico Ceci Maria Chinellato Piero Chinellato Patrizia Cipolla Maurizia Cirilli Gabriella Clementi Sara Conti Fabrizio Cortella Linda Croci Annalisa Del Monte Grazia Di Petta Francesco Fabiani Giovanni Fagiani Gian Nicola Ferranti Claudia Ferretti Federico Forti
Francesco Forti Alvaro Germani Romina Germani Sophie Katja Hamann Ines Laubbicher Giannamaria Leone Aurora Lomeo Danis Lopez Fulvia Lucarini Sauro Macrolei Giovanni Mancia Maria Rosaria Marcone Michela Mariucci Tania Mariucci Sergio Massi Marzio Merli Chiara Messi Elisa Messi Nanda Primavera Monachesi Umberto Moretti Ilenia Paciaroni Dante Pagnanelli Serenella Pagnanini Marina Pallotto Antonella Paolini Floriana Pasquali Coluzzi Domenico Patacchini Giovanna Perozzi Alba Pilesi Gianna Pinti Elena Prokopenko Elisabeth Rossi Tommaso Ruffini Elvira Salvucci Giovanna Salvucci
Miria Salvucci Serenella Santoni Raffaella Scari Mario Seghetta Nazzareno Sopranzi Eleonora Sperandini Pietro Sperandini Bice Spernanzoni Luana Spernanzoni Luigi Staffolani Ermenegildo Stocchi Stefania Tibaldi Matteo Trillini Emma Varcasia Clara Verdecchia
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#MILIONIDIPASSI: dalla parte di chi fugge da guerre, violenze e povertà Più di 60 milioni di persone nel mondo sono state costrette ad abbandonare la propria casa per sopravvivere, un’emergenza umanitaria epocale che ha colpito decine di paesi e che in Europa è aggravata dalle politiche dei muri e della deterrenza. Alle persone in fuga, siano sfollati interni, rifugiati nei paesi limitrofi, o i richiedenti asilo che in minima parte arrivano in Europa, è dedicata la campagna di Medici Senza Frontiere #MILIONIDIPASSI che vuole ridare umanità al tema delle migrazioni forzate e racconta i passi di chi è costretto a fuggire, i passi degli operatori umanitari per assisterli e quelli che tutti possono fare per sostenere questa azione. Medici Senza Frontiere (MSF) è la più grande organizzazione medicoumanitaria indipendente al mondo creata da medici e giornalisti nel 1971 e oggi fornisce soccorso in quasi 70 paesi. Negli ultimi anni MSF ha aumentato i propri sforzi per le popolazioni in movimento, nei paesi di origine, nei paesi confinanti – dove si trova la maggioranza delle persone in fuga – e lungo tutto il percorso verso la salvezza. Oggi MSF offre assistenza medico-umanitaria a sfollati, rifugiati e richiedenti asilo in più di 30 Paesi.
Fai un passo anche tu! Mettiti nelle scarpe di chi ogni giorno fugge da guerre e persecuzioni, leggi e ascolta le loro storie, e sostieni l’azione salvavita di MSF. Aiutaci a cambiare prospettiva sulla condizione in cui vivono milioni di persone in movimento. Solo attraverso un cambio di passo infatti possiamo portare i governi a cambiare le loro politiche di assistenza e accoglienza. Firma il nostro appello su www.milionidipassi.it
Questo volume è stampato in 2899 copie, una per ogni persona inghiottita dal Mediterraneo dall’inizio del 2016 a seguito dei ripetuti naufragi di barconi carichi di migranti: uomini, donne e bambini in fuga dalle proprie terre che, nel tentativo disperato di trovare rifugio dalla guerra, vanno incontro alla morte. I numeri di questa immane tragedia non sono mai stati così drammatici dal secondo conflitto mondiale a oggi. Le sponde del Mare Nostrum sono ancora una volta scenario di una crisi umanitaria di gravità e durata straordinaria: moltitudini di uomini scappano dalle violenze in Siria, Iraq e Libia, dalla Repubblica Centroafricana, Sud Sudan e Repubblica Democratica del Congo, dalle controverse vicende di Somalia, Eritrea e Ucraina, Afghanistan e Pakistan. A pagare il prezzo più alto c’è un esercito di vittime innocenti, disposte a rischiare la vita per un’esistenza migliore.