Prossimo all'imbrunire

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Giancarlo Bruschini

Prossimo all’imbrunire POESIE

Edizioni Estro-Verso



Collana “Gli Estro-Versi”

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NOTA DELL’AUTORE

A Jonathan e Denis, miei figli adorati

I

l genio proustiano ha consegnato all’immaginario collettivo l’esperienza della “memoria involontaria”, dove un episodio all’apparenza marginale mette in moto una spirale di ricordi, che ricompongono un quadro emotivo sottratto alla fuga del tempo. È accaduto a molti di sperimentare questo particolare stato d’animo, anche se la sede privilegiata è indubbiamente quella letteraria. È accaduto anche a me con il brano che apre questa raccolta poetica: “Lettera ad un’amica”. Una lettera scritta sull’onda di un pensiero rivolto a una persona lontana e trasformatasi in una sorta di catalizzatore che ha scatenato la “chimica” dei ricordi. Una sequenza di connessioni e stati d’animo che mi ha quasi “costretto” a dare vita a questo libro, nato da una selezione di poesie scritte in epoche diverse. E che rendono testimonianza di un percorso esistenziale, costituendo quasi una sorta di “confessione” resa a me stesso attraverso i lettori che vorranno condividerla.

Giancarlo Bruschini



Prefazione Sciogliere le tensioni dell’esistenza, del multiforme e misterioso atteggiarsi dell’animo umano, nel lirismo artistico. Questo il leitmotiv, il fulcro della poetica dell’Autore, da intendersi però non alla maniera classica dell’ ubi consistam, ma secondo la connotazione affatto moderna del relativismo percettivo: un fulcro quindi che, per dir così, non ruota solo intorno a se stesso, ma evolve in maniera ellittica e “partecipata” (espressione quest’ultima che intenderemo meglio a conclusione di questa presentazione) verso dimensioni logico-emotive sempre nuove. Persino l’incipit prosastico delle prime pagine non appare porsi come punto di partenza definitivo: la “Lettera ad un’amica” reca, infatti, alcuni elementi fondamentali del discorso poetico che seguirà, ma anche questi elementi saranno ogni volta rielaborati, scomposti e ricomposti in chiave ogni volta diversa ed originale, secondo la “chimica dei ricordi” come la chiama lo stesso Bruschini nella sua nota introduttiva. E così non ci si deve meravigliare se la donna immaginata della lettera iniziale assuma ora il volto della solitudine (ho sbarrato la porta/chiuso gli occhi/ma tu eri lì/mia solitudine... e più oltre: anche stasera sei venuta a cercarmi/di vellutata angoscia rivestita/senza veli /senza speranze/senza raggiri… da “Prossimo all’imbrunire”) ora quello di una Madre ormai evocata nel ricordo (in “Muto silenzio”) ora quello fisico e sensuale dell’amata (nel vibrante “Volgiti”) ora persino quello della Poesia intesa come presenza immanente (in “Dedica alla Poesia”, dove la parola “dedica” richiama pur sempre un’entità amata quanto invocata). Non sfuggirà, poi, al lettore attento il profondo sensualismo che permea l’intera raccolta e che dalla “donna immaginata” in poi si irradia a dimensioni naturalistiche: di guisa che sembra proprio riferirne nei termini di un vero e proprio pansensimo poetico. Le prove di ciò non mancano: dalla fusione con il mare, la sabbia, il vento, il cielo – fusione fisica, sensuale appunto, non solo emotiva! – alla umanizzazione di elementi naturali: e basta leggere, tra 9


le tante, “Torno a tue rive” e “Di sogni nascevo (dialogando con un albero)” dove l’albero diviene un pronome personale che consola ed accoglie (“ed egli mi avvolse”). Tutto, nella poetica del Bruschini, è sensuale, persino la solitudine, persino la morte (come in “Campo 94 – Dedica ad una sconosciuta”, dove al cospetto di una “croce striminzita” si leva ancora una volta il canto verso questa donna sconosciuta). Ed è una sensualità chepuò salvare come devastare, ma che costituisce in ogni caso un elemento centrale del vivere, non solo in senso artistico. Anche la cifra stilistica adottata intende porsi in singolare diapason con il rilevato connotato della sensualità, ampiamente intesa. Talora è la rima a darne segno, talaltra e più spesso la ricerca di un linguaggio talmente conciso e minimale da superare per essenzialità la stessa forma haiku: si prenda, a quest’ultimo riguardo, il caso “estremo” della sorprendente poesia “Il ragno”, dove il processo – ancora una volta - di immedesimazione e poi l’apertura (ad un tempo inquietante e coraggiosa) all’ignoto sono meravigliosamente raggiunti in meno di dieci parole complessive. Non mancano, sempre sul piano stilistico, soluzioni ulteriori: dall’uso musicale della lingua francese, alla (ormai dimenticata?) composizione di un acrostico. Panteismo poetico, sensualità, segno, stile: e si comprende dunque meglio adesso il richiamo fatto in apertura al lirismo artistico come costante del discorso poetico del Bruschini. Un lirismo poetico, sia chiaro, che l’Autore non intende vivere e manifestare in chiave egotistica, ma partecipata. Su questo aspetto non sono consentiti, ad avviso di chi scrive, dubbi, e non soltanto perché è lo stesso Poeta a dichiararlo, dando conto nella sua nota introduttiva del fatto che il singolare processo creativo della sua “confessione” avviene “attraverso i lettori che vorranno condividerla”. L’intero percorso esistenziale e poetico è, infatti, ivi compiuto di pari passo con l’Altro, invocato in tutte le sue possibili manifestazioni: come una donna sconosciuta o amata, un mare od un cielo con cui fondersi, un albero con cui dialogare. Se c’è una poesia “partecipata” (è il caso di ricordare il lettore-creatore delle poesie in Borghes?) certo quella del 10


Bruschini vi rientra a pieno titolo. Non si può non fare menzione, al riguardo, della splendida “Ti salverà una poesia” dove il pathos che emerge dalla certezza della cancellazione di ogni umano appiglio diviene sofferenza condivisa con il lettore, e al tempo stesso apre al dono della speranza nella Poesia come dimensione salvifica. Una dimensione di speranza da vivere insieme, in questo tempo dell’uomo che sembra ormai prossimo all’imbrunire. Alfonso Angrisani

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Lettera ad un'amica Cara amica di sogni, è sera: sto ascoltando ancora una volta, per la prima volta il sussurrare del mare entrare a me nella stanza. Gli oggetti che ho intorno lascerò qui a morire per parlare con te che non sei qui, per scriverti una lettera, forse l'ultima. Qual è, diceva Nietzsche, la massima esperienza che possiamo vivere se non l'ora del grande disprezzo, quell'ora in cui la ragione, la felicità stessa, la nostra virtù e tutto il resto disdegniamo? Quello è il momento di cambiare, di decidere per se stessi e di voltare pagina; io lo sto vivendo ora, mesi dopo la tua assenza. Al bivio dei miei giorni riesco ora a contemplare, a vedere con chiarezza ciò che era, ciò che di noi è stato. Quali forze, stagioni e costellazioni celesti ci circondano come scialbi frutti maturati troppo presto, ma al loro posto da un sempre troppo insondabile, una realtà impenetrabile, se osservata da una piccola finestra. Dallo stesso oblò della mia stanza vedo Orione, silenziosa nel buio apparire e all'improvviso sono avvolto da un vuoto lacerante: questo silenzio, questa tua non presenza mi induce a ricordare, anche se con distacco, ormai e sono sicuro che capiterà anche a te, di ripercorrere in pochi attimi, velocemente, una vita intera fatta di ricordi, di cose e persone incontrate e smarrite, in un vuoto che si apre nell'anima tra causa ed effetto, di tirare le somme, arrivati ad un bivio e chiedersi dove, se e in che cosa abbiamo sbagliato. Di tutto ciò che ho avuto e perso, la tua amicizia mi ha colmato, amarti mi ha svuotato. In punta di piedi, proprio come hai fatto tu, vedo gente entrare in me ed uscire dalla mia vita con logica solenne, uno scintillio di erudite e onorabili preziosità e merletti di cui la vita è fatta; entità come me, come te, di cui a volte avverto la mancanza perché hanno lasciato qualcosa di indelebile, che non va più via. Quanti amici, amori e “gente” senza più un nome o una voce, senza più un volto: “Non più”, ”Avreipotutoessere”, ”Giammai”, e tanti “Addii”.Vivi anche tu tutto questo, non è vero? Antichi amori e angustie, ore di ribollimenti, antichi rigurgiti di sentimenti vanno e tornano al loro oblio in ore come questa, Amica mia. Gli uomini se ne vanno a 12


contemplare le vette delle montagne, i flutti vasti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri e non si concentrano sull’amore che li trasforma costantemente. Si sente spesso dire: “l’amore va, ma l’amicizia resta!”, ma anche questo non è vero e tu lo sai, che l’amicizia va nutrita, rispettata e conservata. Ma tu, sottile chiarezza del cielo, non lasciare che il buio della notte oscuri le stelle, affacciati e cerca una debole luce in cui specchiarti. Dall’alto verso ogni lontananza, dalla profondità verso ogni altitudine, dall’angolo verso ogni spazio, l’amico è un abisso in cui specchiarsi...e, quando guardi a lungo in un abisso, anche l’abisso ti scruta dentro.

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