Ferrara e il Parco Urbano. Il percorso di una città che riconquista il suo rapporto col territorio.

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Ferrara e il Parco Urbano

Il percorso di una cittĂ che riconquista il suo rapporto con il territorio

laureando // Ettore Guerriero relatori // Romeo Farinella Michele Ronconi

UniversitĂ degli Studi di Ferrara Laurea specialistica in Architettura, A.A. 2013/2014



Ai miei genitori, mie salde radici.


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INTRODUZIONE._________________________________________________________________8 PRIMA PARTE. LO SGUARDO SUL PAESAGGIO._____________________________________12 1. LA POLISEMIA DEL PAESAGGIO.________________________________________________15 1.1 Paesaggio culturale e paesaggio naturale. 17 1.2 Paesaggio geografico e paesaggio narrativo-estetico. 18 1.3 La polisemia come valore. 20 1.4 Un tentativo di unificazione. Il paesaggio come teatro. 22 2. LA CRISI DEL PAESAGGIO. ____________________________________________________35 2.1 La società industriale e la scoperta del paesaggio. 37 2.2 La deterritorializzazione. 38 2.3 La trasformazione del paesaggio agrario. 41 2.4 La Convenzione Europea del Paesaggio. 46 3. RITORNO ALLA TERRA: I PARCHI AGRICOLI_____________________________________51 3.1 Un’ipotesi di lavoro: i parchi agricoli. 53 3.2 Verso un progetto locale. 56 3.3 Milano. Parco Agricolo Sud. 58 3.4 Parc Agrari del Baix Llobregat 66 3.5 Il Parco agrumicolo di Ciaculli a Palermo. 70

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PARTE SECONDA. FERRARA E IL BARCO____________________________________________82 1. LA VOCAZIONE PAESAGGISTICA______________________________________________85 1.1 Il tema paesaggistico nella pianificazione ferrarese 88 1.2 Gli strumenti per la tutela 105 2. DAL BARCO AL PARCO________________________________________________________ 113 2.1 Il perché di una permanenza 115 2.2 L’addizione verde. Quale futuro per il Parco Urbano? 124 3. ANALISI TERRITORIALE______________________________________________________133 3.1 Introduzione 135 3.2 L’idrografia 140 3.3 La vegetazione 144 3.4 Il paesaggio agricolo 147 4. IL BARCO: UN PAESAGGIO PERIURBANO______________________________________169 4.1 Le aree industriali 171 4.2 Le aree dismesse 173 4.3 Le espansioni periferiche e i margini 175 4.4 Il sistema dei parchi 180 4.5 La rete ecologica 185 4.6 Le aree agricole virtuose 185 4.7 Le infrastrutture e i percorsi 187 4.8 I landmark e i punti di osservazione 189

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PARTE TERZA. LA RICONQUISTA DEL TERRITORIO__________________________________192 1. UN PARCO AGRICOLO PER FERRARA________________________________________195 1.1 Perché un Parco Agricolo 197 1.2 Programma strategico 198 1.3 La produzione innovativa: sperimentazione e tradizione 204 1.4 Una produzione competitiva e a km 0 207 1.5 Produzione come cura del territorio 209 1.6 L’addizione verde: un territorio da vivere e da scoprire 211 1.7 L’estensione territoriale, gli attori e la gestione del Parco 213 2. L’ADDIZIONE VERDE________________________________________________________219 2.1 Il rafforzamento della rete ecologica 221 2.2 I percorsi, le connessioni e la qualità degli spazi 225 2.3 Un territorio da scoprire: il museo diffuso 231 2.4 Il parco attivo 233 2.5 Il parco culturale 234 CONCLUSIONI________________________________________________________________252 BIBLIOGRAFIA_________________________________________________________________254 ALLEGATI______________________________________________________________________260 RINGRAZIAMENTI______________________________________________________________282

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Introduzione


Introduzione

Termine chiave della presente tesi, come dichiarato fin dal sottotitolo, è il rapporto con il territorio. Il geografo Franco Farinelli ci ricorda che territorio non deriva da terra, bensì da terrore e che quindi, se da una parte racchiude un’accezione geometrica e scientifica, indicando uno spazio di tipo cartografico-conoscitivo, dall’altra non può prescindere da quelle componenti umane soggettive che entrano in gioco nel lavoro del cartografo: l’osservazione e la rappresentazione. Come vedremo più avanti, la presenza umana fa sì che non esistano puri spazi astratti e che questi non possano che divenire luoghi culturali. Inizieremo il nostro percorso, quindi, cercando di delineare il concetto di paesaggio, un termine polisemico, tuttavia unificabile. Questo ci servirà a tracciare il quadro dell’attuale crisi del rapporto tra uomo e territorio, una crisi i cui effetti sono facilmente riscontrabili nelle nostre periferie, negli spazi periurbani, dove coesistono, come in una dimensione senza spazio e senza tempo, brandelli di campagna, distretti industriali e nuovi quartieri residenziali. Un paesaggio sconnesso dal quale l’uomo sembra aver distolto il suo sguardo, accecato dall’unico dictat dei nostri tempi: il profitto economico. Citando Magnaghi, è avvenuta quella che Deleuze definiva deterritorializzazione. Ci addentreremo più nello specifico nella questione agricola per delineare meglio

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Introduzione

le caratteristiche del paesaggio agro-industriale, sottolineare i suoi elementi di criticità e, finalmente, individuare degli elementi di opportunità. Vedremo che recuperare il rapporto con la natura non significa semplicemente bloccare lo spreco di suolo, né limitarsi a proporre una natura edulcorata e finta, frutto di un’artificialità senza radici. La crescente domanda di paesaggio e la necessità di rispondere ai problemi derivanti dalla crisi economica stanno infatti spingendo comunità e amministrazioni a riflettere su come rinsaldare il rapporto tra uomo e territorio, risolvendo contemporaneamente più istanze: quella produttiva, quella ecologica, quella sociale e culturale. Un possibile metodo di lavoro è rappresentato dal caso dei Parchi agricoli, una realtà sempre più diffusa sia all’estero che nel territorio nazionale. Infine approderemo a Ferrara, la prima città moderna d’Europa, della quale analizzeremo il particolare rapporto con il paesaggio. Questo sarà il campo di prova per testare in che modo sia possibile tornare a volgere lo sguardo su quel territorio che si estende dalle mura nord all’argine del Po, un lembo di terra sapientemente preservato dall’edificazione grazie ad un’illuminata amministrazione e al contributo di Giorgio Bassani, chiamato Parco Urbano.

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Introduzione

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PRIMA PARTE

Lo sguardo sul paesaggio




capitolo 1

La polisemia del paesaggio

Fetonte cade nel fiume Eridano e le sorelle si trasformano in pioppi. Phaethon, Thomas de Leu, 1614


Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

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1. La polisemia del paesaggio

1.1 Paesaggio culturale e paesaggio naturale. Cos’è dunque il paesaggio? Una prima definizione in cui possiamo imbatterci è quella di paesaggio culturale, un paesaggio, cioè, in cui sono presenti segni impressi dall’uomo e che quindi diviene espressione materiale della cultura della società che lo abita o che lo ha abitato. La definizione “è stata resa di particolare attualità dalle recenti politiche dell’Unione Europea mirate proprio alla tutela e alla valorizzazione dei paesaggi culturali” (1). Questi si differenzierebbero dai paesaggi naturali, quelli in cui non sono rinvenibili segni antropici e regna una natura intatta. Ma ha ancora senso questa distinzione? Se pensiamo a com’è il nostro pianeta oggi, ci rendiamo subito conto di quanti siano pochi i luoghi che non portano su di sé alcuna traccia dell’azione umana. Inoltre, se assumiamo un approccio semiotico, comprendiamo che non è necessaria l’azione diretta dell’uomo per avere un paesaggio culturale, ma è sufficiente la sua presenza, il suo sguardo. Indipendentemente dal fatto che sia stato abitato o meno, un paesaggio è segno, fenomeno di significazione, e dunque cultura, proprio perché c’è un uomo ad osservarlo, a caricarlo di significati. “Il paesaggio, anche quello incolto e spontaneo, privo di trasformazioni prodotte dall’uomo, è una scoperta alla quale l’uomo giunge perché guarda alla natura con un gusto che è sempre condizionato storicamente, è sempre il prodotto di

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

una cultura”. (2) Alla luce di questo, possiamo concludere che tutti i paesaggi della contemporaneità sono in realtà paesaggi culturali.

1.2 Paesaggio geografico e paesaggio narrativo-estetico. Quali sono, quindi, questi significati culturali di cui il paesaggio può essere caricato? Tanti quanti sono i modi di guardarlo, di percepirlo. Iniziamo dalla scienza e dal paesaggio cognitivamente perfetto della Geografia. È indispensabile chiarire subito che la perfezione di cui parliamo non può che essere provvisoria e che il sapere geografico, al pari di qualsiasi altra scienza, è in continua evoluzione. Cambiano i parametri di ricerca, i paradigmi utilizzati, tuttavia rimane il concetto di fondo che tutto sia connesso al tutto e che tutti i sistemi fanno parte di un sistema più grande che li racchiude. Esiste il paesaggio ecologico, quello geologico, quello politico, quello socio-economico, quello storico; ognuno di questi ci dice qualcosa di diverso, pur facendo parte del medesimo sistema conoscitivo. Il mondo è, quindi, un complesso sistema di sistemi. Tuttavia questo non è l’unico tipo di approccio per concepire il paesaggio. Se abbandoniamo le finalità proprie delle conoscenze scientifiche e ci poniamo di

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1. La polisemia del paesaggio

Mappa del territorio bolognese, J. Hondius 1626.

fronte ad esso senza un reale scopo pratico, ma col solo intento di osservarlo, ecco che lo carichiamo di nuovi significati, molto diversi dalle informazioni ricavabili dagli atlanti geografici. Ăˆ grazie all’approccio semiotico che si disvela l’infinita potenzialitĂ semantica del paesaggio. Stiamo parlando di un paesaggio narrativo, in cui il territorio ci parla come un libro aperto attraverso la memoria e le emozioni, e che proprio per questa sua natura labile ed estremamente soggettiva, si presenta contraddittorio e inafferrabile.

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

Ma allora qual è l’utilità di questo tipo di paesaggio, che non può certamente essere studiato scientificamente, né fornirci informazioni che abbiano un minimo di oggettività? È vero che, essendo la percezione, la memoria, il concetto di bellezza estremamente personali, la lettura narrativa del paesaggio varia da individuo da individuo, ma è pur vero che l’uomo non agisce da solo e che il nostro comportamento e in generale la nostra cultura è condizionata fortemente dalla società nella quale viviamo. Per questo la percezione estetica del paesaggio si configura come un fenomeno collettivo, sociale ed è a pieno diritto uno dei modi per dire qualcosa in più su questo scenario del nostro vivere, un tipo di percezione che non può essere assolutamente ignorato dalle discipline architettoniche e urbanistiche per una miglior comprensione e trasformazione del territorio.

1.3 La polisemia come valore. “Che ci stanno a fare degli architetti che si occupano di paesaggio estetico?” chiede Carlo Socco nel suo intervento al seminario internazionale Il senso del paesaggio, svoltosi a Torino nel 1998. “In un mondo che corre il rischio di ridurre la polivocità del paesaggio, per fargli raccontare un po’ dappertutto più

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1. La polisemia del paesaggio

o meno la stessa storia, l’architetto (con l’inevitabile cooperazione dei geografi) può tentare di tenere aperto il senso del paesaggio, progettando paesaggi che funzionino alla stregua di testi aperti: sarà poco, ma forse è il modo più avanzato di fare cultura disegnando il paesaggio-teatro della nostra esistenza.” Una conoscenza di tipo estetico-culturale, inoltre, è alla base di un processo di conservazione della memoria, messa a repentaglio dalle veloci trasformazioni proprie della nostra contemporaneità. Non sono forse assimilabili ai centri storici, la cui importanza è stata ormai da tempo riconosciuta, pure i ritagli di paesaggio agricolo in cui ancora sopravvivono tecniche e forme tradizionali? E non è forse interessante conservare traccia di quei sapienti metodi di trasformazione del territorio che, in epoche passate, crearono paesaggi di estrema bellezza? Forse, solo attraverso questo tipo di approccio sarà possibile concepire un’innovazione realmente sostenibile, in cui il paesaggio del futuro non presenti strappi inconciliabili rispetto ai paesaggi del passato. “Il paesaggio è uno di quegli oggetti fatalmente suggestivi […]. La sua suggestione deriva proprio dall’inesauribità del suo significato, il problema dunque non è di limitarne il senso, né tantomeno quello di smembrarne una parte per rivendicare qualche forma di primato disciplinare sul paesaggio tutto: in questa smania di protagonismo abbiamo visto avvicendarsi, nella lunga storia

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

del paesaggio, geomorfologi, storici, architetti, persino gli economisti quantitativi, e oggi vediamo soprattutto gli ecologi. In queste contese accademiche il paesaggio finisce appunto per smembrarsi divenendo irriconoscibile.”

1.4 Un tentativo di unificazione: il paesaggio come teatro. Ma allora è possibile unificare in qualche modo questa entità così suggestiva, ma anche particolarmente difficile da gestire? Eugenio Turri intraprende un percorso in tal senso nel suo libro “Il paesaggio come teatro” le cui riflessioni sono l’oggetto di questo capitolo. Il paesaggio è un referente del nostro progettare, del nostro rapportarci con la natura, costruire territori, più che l’obiettivo o il fine del nostro operare. Turri approda alla definizione di paesaggio come teatro, nel senso che gli individui e le società che ne fanno parte recitano le loro storie, compiono le loro “piccole grandi gesta”, modificano il palcoscenico, la regia, la scenografia a seconda della storia rappresentata. L’uomo e le società in questione assolvono quindi un duplice ruolo: da una parte sono attori che imprimono sul territorio le proprie azioni e lo trasformano; dall’altra sono spettatori che osservano e cercano di capire il senso di questo loro operare. Senza l’uomo, l’ambiente si configurerebbe come “bruto spazio biotico”.

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1. La polisemia del paesaggio

Delle due “azioni teatrali”, l’agire e l’osservare, la più importante è la seconda, perché funge da guida per la prima. L’emozione che l’uomo prova per lo spettacolo della natura e la capacità di rappresentare se stesso, riconoscendo il proprio segno nell’ambiente, fungono da guida per l’azione sul territorio. Questa è la “capacità propria degli antichi greci che attraverso l’azione teatrale hanno saputo rappresentare se stessi, i propri drammi sullo sfondo di una natura sorda, dominata dall’indifferenza degli dei (Snell 1963)”. La nostra società, però, non è di tipo olistico, nel senso che gli individui che ne fanno parte non si muovono secondo visioni, credenze, ideali comuni, ma le spinte individualistiche sono fortissime e generano rapporti differenti con l’ambiente. Questo fa sì che il nostro territorio sia costellato di “oggetti” molto diversi tra loro e senza legami con i paesaggi del passato. In una società olistica, invece, i rapporti con la natura sono regolati da un bagaglio comune di miti, di attribuzioni simboliche e di significati religiosi, valori che, impressi dai padri fondatori e dai suoi maggiori interpreti, si tramandano intatti di generazione in generazione. Il paesaggio perde di valore proprio nel momento in cui una società dimentica i propri “miti fondatori”. In Italia ad esempio, a differenza di altri Paesi europei in cui i valori paesistici propri della cultura nazionale si sono conservati fino ad oggi, con l’avvento

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

dell’era industriale è andato perduto lo spirito rinascimentale dell’uomo come “modellatore della natura”. Questo spirito, di cui Palladio si era reso grande interprete concependo le sue architetture come allestimenti teatrali capaci di plasmare il paesaggio, era forse troppo elitario per essere assorbito dalle masse e dalle nuove classi emergenti che, per riscattarsi dal passato rurale, preferirono sposare la nuova logica dell’industria consumistica. Inoltre, in un Paese così socialmente e culturalmente eterogeneo, la classe politica non ha saputo fornire quella spinta unificante necessaria per un buon governo del territorio, e si è invece resa responsabile delle fratture presenti nei nostri paesaggi. Come è possibile allora la riduzione ad unum del paesaggio? Riconducendolo al piano della conoscenza e della percezione, in cui il paesaggio si fa specchio del nostro agire sul territorio, inteso come spazio nel quale operiamo e ci identifichiamo. Questo accade proprio quando uno spazio naturale si carica di riferimenti, simboli, denominazioni e oggetti creati dall’uomo per la sua quotidiana “messa in scena” e diviene quindi spazio culturale. E’ qui che si innesca quel processo per cui la percezione/rappresentazione genera azione, che genera a sua volta una nuova rappresentazione e una nuova azione, un ciclo in cui “l’uomo che guarda” e “l’uomo che agisce” si stimolano a vicenda e diventano “attori” e “spettatori” del paesaggio. I paesaggi più belli, quelli esteticamente più

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1. La polisemia del paesaggio

riusciti, sono proprio quelli in cui l’uomo riconosce come predominante la sua funzione di spettatore e si preoccupa del risultato visivo del suo operare. Fin qui abbiamo visto come azione e rappresentazione si influenzino a vicenda, affermando tuttavia la superiorità dell’homo figurans sull’homo faber, in quanto solo il primo è capace di tirarsi fuori dalla scena e avviare quelle riflessioni che possano fungere da stimolo e da guida per la successiva azione sul territorio. Ovviamente, homo figurans e homo faber non sono per forza entità distinte, ma convivono nello stesso individuo, che nel suo essere attore si fa anche spettatore e viceversa. Questa presa di coscienza di essere attori sul palcoscenico del proprio territorio è tanto più forte quanto meno la società è in balìa delle urgenze e delle necessità produttive, e viene invece interrotta nei periodi di rapido sviluppo economico. Nella storia possiamo riscontrare un’alternanza tra epoche di profonde trasformazioni territoriali e momenti di revisione del proprio agire finalizzati a riparare le ferite inferte al paesaggio. Così avvenne nel Rinascimento in Italia dove, ad una prima concitata fase di costruzioni urbane, seguì l’opera di grandi architetti e pensatori che, desiderosi di ristabilire ordine e armonia nel rapporto uomo-natura, proposero un’azione sul territorio più consapevole e controllata. Allo stesso modo in Inghilterra, in risposta agli sconvolgimenti dovuti alla rivoluzione industriale, si affermò una

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

nuova attenzione al landscape, tutt’ora viva, per cercare di ricucire un territorio devastato dalle fabbriche e dalle rapide espansioni urbane. Emblematico è il fatto che gli input per l’avvio di queste fasi di pausa e riparazione provengano perlopiù dalle élites, dai poeti e dagli artisti, cioè da coloro che più di altri sanno farsi spettatori e non vivono in balìa del quotidiano impegno per il soddisfacimento dei propri particolari interessi. Coloro che guidano le sorti dell’economia, che spingono verso una sempre maggiore produttività e che sollecitano la continua antropizzazione e capitalizzazione del territorio, non hanno né tempo né modo di concedersi quella positiva distrazione che li renderebbe per un attimo spettatori del loro agire. Le istanze legate all’economia e al benessere immediato sono capaci di bloccare tutte quelle politiche che invece guardano al lungo termine e che si basano sul riconoscimento dell’enorme valore presente nel paesaggio. “Paesaggio-teatro è quello che si scopre in certi momenti magici della propria esistenza (ci sono infatti spettacoli indimenticabili e spettacoli banali e scontati), che esaltano la nostra partecipazione al mondo. Paesaggio-teatro è, ad esempio, quello che si può scoprire nel tardo pomeriggio di una sfolgorante giornata di settembre nella vallata alpina, con quella luce accesa, quasi fosforescente, magica, come talvolta capita di vedere da noi al declinare dell’estate. Da un

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1. La polisemia del paesaggio

lato i boschi che ammantano i versanti con i loro verdi diversi, più in alto le rocce come divinità enigmatiche al sole calante, poi, sopra i monti, giganteschi nembi che si gonfiano abbaglianti come esplosioni di luce, sul cui sfondo roteano alcuni alianti con le lunghe ali spalancate nel vento; sul lato opposto volteggia in sublime solitudine un’aquila reale; un castello domina trucemente un accesso vallivo; un borgo in alto si accende d’improvviso con i riflessi del sole sulle finestre delle case; sul fondovalle un treno corre sferragliando lungo il fiume luminoso e all’autostrada accanto giunge l’urlo delle automobili in gara di sorpasso; e ancora i gridi dei bambini che giocano nei cortili, il chiacchierio delle donne agli angoli delle strade, l’abbaiare dei cani, il rumoreggiare dei trattori nei campi dove si allineano in bell’ordine i vigneti carichi di uve; un suono di campane dal campanile vicino; una radio che diffonde una canzone alla moda, la scia bianca di un jet nel pozzo fondo e splendidamente azzurro del cielo... Che straordinario spettacolo, che ricchezza di motivi e che stupenda regia. Ma chi è il regista?” La regia è nostra, “di noi che percepiamo quel paesaggio, lo viviamo come teatro, mentre gli attori sono le persone che recitano le vicende quotidiane” (3) I primi registi del paesaggio-palcoscenico sono gli aedi, i cantori dei miti fondatori, coloro che raccontano al popolo le origini della sua identità. E nella creazione di

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

questi miti la morfologia del paesaggio gioca un ruolo importantissimo, perché influenza in maniera determinante la formazione dell’immaginario religioso e spirituale. Alcuni studi antropologici evidenziano come le religioni monoteiste, prima fra tutte quella ebraica, si siano sviluppate laddove la natura è meno incombente e il paesaggio più arido e piatto. I territori poco fertili avrebbero facilitato quel processo di astrazione che ha portato l’uomo a immaginare il suo dio nel cielo e non sulla terra, una forza totale e lontana difficilmente raggiungibile se non attraverso un percorso di sublimazione. Al contrario, in una natura feconda e ricca di forme, gli dei si rivelano in essa e sacralizzano il territorio, che si presta in maniera perfetta alla sua teatralizzazione. Basti pensare che il teatro nacque proprio in Grecia, una terra piena di forme, di colline, boschi, fiumi, promontori e vallate, dove gli dèi erano la manifestazione stessa delle forze della natura e dove veniva automatico ambientare miti e tragedie. In questi emerge il particolare rapporto tra uomo e territorio e il desiderio del primo di dominare il secondo, pur nel rispetto delle leggi degli dèi e cercando di non superare i limiti da loro imposti. Senso del limite e volontà di superarlo ricorrono nei viaggi di Ulisse, ma anche nel volo di Dedalo e Icaro, dove ad un atto di hybris segue sempre una punizione da parte del divino (o una rivalsa delle forze della natura sull’uomo).

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1. La polisemia del paesaggio

Alla luce di questo, capiamo perché, nelle antiche società rurali, l’intervento dell’uomo sulla natura è sempre molto timido e segue precise regole rituali (come tracciare particolari geometrie durante l’aratura o recitare specifiche preghiere prima della semina) che servono a ingraziarsi il volere degli dèi e le forze naturali. Le azioni di trasformazione del territorio diventano un copione da ripetere sempre identico e vanno a costituire una ben precisa teatralizzazione dell’agire. Tuttavia, in questa recita, svolta al cospetto degli dèi, l’uomo non arriva a compiacersi del proprio spettacolo, è solo attore e non ancora spettatore. Affinché la sua opera nel paesaggio diventi da contemplare, occorre che l’uomo si liberi dai condizionamenti di cui sopra, che non avverta più il peso dei tabù e dell’occhio divino. È in questa Gemütlichkeit che l’uomo trova la tranquillità per fermarsi e guardare. Nel corso del tempo, quindi, l’intervento dell’uomo agricolo si fa via via più ardito, anche grazie alla sicurezza che gli deriva dalla conquista di nuove tecnologie o dalla sublimazione degli dèi nel potere politico. In Cina ad esempio, le grandi opere idrauliche che trasformarono il territorio agricolo e permisero la coltivazione intensiva del riso, furono predisposte e legittimate dal sovrano, non a caso chiamato il Grande Idraulico, una sorta di incarnazione del potere divino. Il contadino dunque, ora può fermarsi a contemplare il risultato del suo lavoro,

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

un’opera non direttamente fatta per essere bella, ma che diventa bella proprio perché testimonianza delle proprie fatiche e della capacità di modellare la natura. E benché in questo agire, l’uomo agricolo sia guidato dalla logica della produttività, questa è in stretta sintonia con le caratteristiche naturali del luogo con la sua morfologia. C’è una forte correlazione, quindi, tra azione dell’uomo e condizioni ambientali, per cui, ad esempio, la scelta di cosa seminare e la geometria dei campi dipendono strettamente da che tipo di terreno abbiamo a disposizione. Si parla a tal proposito di iconemi e coremi, dove i primi sono le unità percettive, e i secondi le unità territoriali minime (cioè le caratteristiche intrinseche). Iconema è ciò che vediamo (la forma di un campo, un colore del terreno) e che di solito corrisponde a un preciso corema (la conformazione fisica, geologica, climatica di quel dato frammento di territorio). Ma è nel Rinascimento che l’uomo acquisisce quella sicurezza tale da rendersi pienamente conto del suo potere di antropizzazione della natura. L’uomo rinascimentale è libero dai condizionamenti religiosi, è consapevole delle sue virtù e può costruire paesaggi dalla forte carica teatrale, paesaggi da vivere ma soprattutto da guardare e di cui compiacersi. E siccome lo scenario per eccellenza in cui potersi fare spettatore è il paesaggio collinare (che permette visuali dall’alto), non è un caso che i vertici della produzione architettonico-

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1. La polisemia del paesaggio

paesaggistica del Quattrocento e del Cinquecento italiano vengano toccati in Toscana e in Veneto. E non è ancora un caso che nel mondo fiammingo del XVI e XVII secolo, dove i condizionamenti religiosi si fanno via via più deboli e le scienze danno nuove sicurezze all’uomo, vengano avviate le grandi opere di artificializzazione del territorio che porteranno alla polderizzazione. Anche la produzione pittorica sottolinea che il paesaggio è, ormai a tutti gli effetti considerato teatro dell’agire umano, poiché diventa per la prima volta protagonista dell’immagine, anche senza la presenza umana. Turri cita a tal proposito il notissimo dipinto di Bruegel, La caduta di Icaro, dove la scena mitologica descritta è relegata in una posizione di secondo piano, in un paesaggio ormai padrone della scena. A mio parere questo dipinto è ancor più emblematico proprio perché l’episodio narrato fa riferimento a quell’ardito volo che per tanto tempo aveva ricordato agli uomini la pericolosità di sfidare gli dèi. Ora le paure sono venute meno, il paesaggio può essere trasformato, contemplato, rappresentato.

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

La caduta di Icaro, Pieter Bruegel il Vecchio, 1558.

NOTE: 1. Socco C., La polisemia del paesaggio, in Castelnovi P. (a cura di), Il senso del paesaggio, Torino, IRES, 2000. 2. D’Angelo P., Estetica e paesaggio, Bologna, Il Mulino, 2009. 3. Turri E., Il paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Marsilio, 2006, pagg. 33-34.

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1. La polisemia del paesaggio

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capitolo 2

La crisi del paesaggio

Vista aerea dell’area industriale della Ruhr, Pilota dell’aviazione statunitense, 1945



2. La crisi del paesaggio

2.1 La società industriale e la scoperta del paesaggio. Abbiamo concluso il precedente capitolo con l’emancipazione dell’uomo rinascimentale nei confronti della natura, un’emancipazione dovuta ai progressi scientifici e alla conoscenza. Eppure, questa emancipazione produrrà nei secoli successivi un rinnovato scollamento tra homo faber e homo figurans. In altre parole, l’uomo della società industriale si spingerà troppo oltre nella sua attività di trasformazione del territorio e, guidato da logiche di stampo prettamente economicistiche, porterà a quella frattura che tutt’ora rintracciamo nei paesaggi della contemporaneità. Andiamo ad analizzare da più vicino. Con l’avvento dell’era industriale e grazie alle scoperte scientifiche, le potenzialità dell’uomo divengono enormi. La libertà di operare, di trasformare e quindi di incidere sullo spazio naturale crescono sempre più. Se associamo alla potenza dei mezzi tecnici la logica capitalistica del massimo profitto, otteniamo una società in cui la preoccupazione primaria è quella di produrre il più possibile al minor costo, trascurandone ovviamente gli effetti nocivi: il consumo di suolo, l’emissione di agenti inquinanti, lo sviluppo disordinato delle città, ecc. L’uomo industriale perde quella capacità riflessiva che gli permetteva di essere homo figurans e torna ad essere esclusivamente homo faber. Ma a differenza

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

di ciò che accadeva secoli prima, quando la paura suscitata dal territorio e lo scarso progresso tecnologico mettevano al riparo dal rischio di violentare il paesaggio, ora gli interventi umani diventano devastanti. Per fortuna, la presa di coscienza è immediata: l’uomo si accorge delle brutture e dell’abbassamento della qualità della vita derivanti dal passaggio ad una società industriale e riscopre il valore della natura. E’ proprio in questo periodo che nasce il concetto stesso di paesaggio e, come vedremo, si elaborano le prime forme di tutela. Non è un caso che i primi luoghi in cui si comincia a parlare di lanscape e si progettano i primi quartieri giardino siano quelli dove i traumi dell’industrializzazione sono più evidenti, prima fra tutti la Gran Bretagna.

2.2 La deterritorializzazione. Quale tipo di paesaggio caratterizza la contemporaneità? Nonostante la consapevolezza dell’uomo dei rischi cui va incontro a seguito dell’abuso di territorio, sembra che altre logiche abbiano preso il sopravvento. La crescente domanda di paesaggio dovuta al sempre più insopportabile stile di vita che si è andato affermando nelle città e nelle metropoli, è stato sublimato nella costituzione di “riserve verdi”, paradisi artificiali in cui andarsi a riposare nei periodi di pausa dal lavoro e dalla produttività. L’offerta attuale di paesaggio

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2. La crisi del paesaggio

si traduce in modelli piuttosto illusori, che se da un lato soddisfano il nostro desiderio di “verde” e di “aria aperta”, dall’altro non propongono nessuna rifondazione del sistema sociale ed economico da cui il problema si è generato. L’istituzione dei paesaggi turistici o dei parchi tematici è sicuramente una grande invenzione per fare soldi e magari risollevare economicamente un territorio depresso, ma siamo sicuri che questi spazi non siano l’ennesimo paradiso artificiale, pienamente inserito in un sistema economico in declino? Se da un lato, quindi, fioriscono illusori paesaggi da sogno (pensiamo a Dubai, dove l’immenso dispiegamento di risorse e capitali ha reso possibile la trasformazione del deserto in una grande oasi artificiale, ma i cui enormi sprechi in termini di energia e acqua possono trovare giustificazione solo all’interno di un capitalismo degenerato), dall’altra ci siamo dimenticati dei paesaggi ordinari, quelli in cui tutti i giorni svolgiamo le nostre quotidiane attività. La veloce espansione delle periferie ha generato degli spazi ibridi che, una volta persa la loro vocazione rurale, non sono stati reinseriti nei nuovi sistemi suburbani. Parallelamente, nei centri storici, sono comparsi i vuoti generati dalla dismissione di attività produttive obsolete o di funzioni incompatibili con il centro cittadino. Troviamo, quindi, un’alternanza di pieni e di vuoti, di spazi agricoli in città e di forme urbane in spazi rurali, di brandelli di territorio imprigionati tra le

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

direttrici infrastrutturali, che difficilmente può essere compresa e gestita nella sua totalità. Le problematiche relative a questo fenomeno non investono solo la sfera urbanistica né, se vogliamo, il lato prettamente estetico-culturale, ma hanno anche una consistente impronta ecologica: è sempre più evidente l’insostenibilità del nostro modo di produrre città. Oppure pensiamo a come le grandi infrastrutture, indispensabili per favorire scambi sempre più veloci, trasformino il paesaggio sconvolgendo gli ecosistemi, ma anche le stesse attività dell’uomo. La grande illusione di poter plasmare il territorio senza particolari accorgimenti deriva in parte dalla sicurezza tecnologica. Possiamo costruire quartieri e infrastrutture collocandole sul territorio indipendentemente dal fatto che ci siano monti, pianure, colline. Possiamo collegare due punti con arterie ad altissima velocità, imbrigliando ettari ed ettari di suolo nelle maglie infrastrutturali. In questo modo il paesaggio diventa una sorta di spazio virtuale, un contenitore da riempire, perdendo le sue qualità, le sue connotazioni, il suo ruolo di soggetto della trasformazione. Che forse non siamo ancora abituati o educati a considerare l’estetica delle forme del contemporaneo? Non è così. È impossibile trovare una qualche bellezza laddove è stato dimenticato e privato di senso uno degli elementi della

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2. La crisi del paesaggio

progettazione, anzi la principale materia prima del nostro essere costruttori: il paesaggio. E’ avvenuta quella che Alberto Magnaghi, utilizzando un termine di Deleuze, definisce deterritorializzazione: un venir meno del legame tra abitante e contesto, tra comunità e territorio di appartenenza. Vedremo ora più nel dettaglio cosa è avvenuto in tal proposito per quanto riguarda il paesaggio agrario.

2.3 La trasformazione del paesaggio agrario. Il paesaggio agrario è “quella forma che l’uomo, nel corso e ai fini delle sue attività produttive agricole, coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale”. Sono le parole di Emilio Sereni, tra i primi in Italia ad aver indagato questo particolare aspetto del rapporto tra uomo e ambiente. Da questa definizione comprendiamo come il paesaggio agrario, nonostante abbia a che fare con elementi vegetali e quindi naturali, sia un prodotto artificiale e la sua forma venga determinata in base a precise logiche di produttività. Tuttavia, l’attività agricola non è funzionale solo alla produzione di beni agroalimentari. Essa ha come effetto indiretto quello di proteggere il suolo, le risorse idriche e di tutelare la biodiversità. Attraverso la continuità delle pratiche agricole,

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

PRODUZIONE BENI AGRO-ALIMENTARI STORICIZZAZIONE DEL PAESAGGIO

MANUTENZONE DEL PATRIMONIO RURALE

EQUILIBRIO DEGLI ECOSISTEMI

TUTELA DELLA BIODIVERSITÀ

muldeltil’faunzi onalità ttività agricola PROTEZIONE DEL SUOLO

PROTEZIONE DELLE RISORSE IDRICHE MANUTENZIONE DEI PERCORSI

inoltre, si preserva il disegno storicizzato del paesaggio, mentre l’attività agricola nel suo complesso spinge verso una manutenzione del patrimonio edilizio rurale e un’attenzione per le componenti ricreative come percorsi, sentieri, zone boscate e specchi d’acqua. Per tali motivi l’agricoltura può definirsi multifunzionale (1). Nei capitoli precedenti abbiamo già ampiamente spiegato come la conformazione del paesaggio dipenda dal tipo di società che lo produce e quindi, se questa cambia, anche il paesaggio muta. Il paesaggio agrario, che è strettamente legato all’attività agricola, un’attività produttiva, è oggi molto diverso da com’era un secolo fa, proprio perché è cambiato il modo di coltivare i campi. Franco Cazzola, in un articolo intitolato “Segni perduti: l’evoluzione del paesaggio agrario ferrarese” osserva come il paesaggio che spesso ci troviamo

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2. La crisi del paesaggio

davanti sia difficilmente catalogabile come agrario, riferendosi in special modo alla Valle del Po, dove “l’agricoltura appare indissolubilmente connessa al settore più propriamente industriale della trasformazione”. Le stalle diventano simili ad edifici per attività meccaniche, i magazzini si trasformano in capannoni industriali. E’ un paesaggio agro-industriale, una campagna urbanizzata, forme a cui si è giunti attraverso un processo durato almeno tre secoli, in cui dalla cosiddetta agricoltura organica, quella cioè che funziona esclusivamente grazie all’energia solare, si è passati all’agricoltura chimica, ad energia fossile. Il paesaggio agricolo a base organica aveva una sua riconoscibilità immediata e, a seconda del luogo, esprimeva determinati modelli estetici che si riflettevano nella dimensione e nella forma delle aziende agricole e dei campi. Questa estetica era ovviamente figlia della funzionalità, “di continui adattamenti che l’uomo aveva imposto alle componenti del paesaggio in vista del migliore ottenimento dei suoi scopi produttivi” (2). Il paesaggio odierno è dominato dalla monocoltura e dalla drastica riduzione delle varietà coltivate, selezionate in modo tale da garantire i massimi profitti. Scompaiono i filari alberati, le siepi, i frutteti, le aie, le stalle, ma soprattutto è scomparsa la presenza nei campi dell’uomo e degli animali. Il disimpiego degli animali da tiro e la chiusura delle stalle poderali è dovuta

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

PRINCIPI ALLA BASE DELL’ATTIVITÀ AGRICOLA logiche di mercato

agricoltura integrata

trasmissione dei saperi fabbisogno familiare

risparmio delle manutenzione degli risorse ecosistemi riciclo degli strumenti cicli naturali

PRODUZIONE DI TERRITORIO

risparmio delle risorse

fabbisogno familiare

logiche di mercato manutenzione degli ecosistemi

cicli naturali

agricoltura integrata

riciclo degli strumenti

SFRUTTAMENTO DEL TERRITORIO

agricoltura organica

agricoltura chimica

(energia solare)

UMENTI

trasmissione dei saperi

(energia fossile)

paesaggio agrario

paesaggio agro-industriale

insediamenti rurali

insediamenti urbani, periferia

policoltura

monocoltura

filari e siepi

scomparsa di filari e siepi

lavoro di uomo e animali

lavoro delle macchine

44 PRODUZIONE BENI

EQUILIBRIO DEGLI


2. La crisi del paesaggio

in primo luogo alla meccanizzazione del lavoro agricolo, che limita fortemente anche la presenza umana, poiché grazie alle macchine è possibile svolgere alcuni lavori, come la trebbiatura dei cereali, l’aratura, la falciatura dei foraggi, il sollevamento dell’acqua dai bassifondi a scopo di bonifica, senza una grande manodopera. Le macchine, inoltre, hanno bisogno di spazi diversi e rendono necessario l’ampliamento delle unità colturali e il ricorso alla monocoltura. In realtà, la principale ragione dell’assenza dell’uomo nei campi è riconducibile non tanto al fatto che esistano macchine in grado di sostituirne il lavoro, quanto alla non convenienza di certe lavorazioni. Si prenda, ad esempio, il caso degli agrumeti del sud Italia: i frutti vengono lasciati marcire sulle piante perché il loro prezzo di vendita, fissato da regole di mercato, non permette al produttore di pagare del personale per la loro raccolta. Parallelamente, i ridotti nuclei familiari rurali, non consentono una gestione in proprio del raccolto. Ecco, quindi, l’altro importante fattore che ha mutato l’assetto del paesaggio agricolo: l’andamento del mercato globale. La degenerazione a cui è giunto il capitalismo e l’impossibile competizione con le società multinazionali, rendono i piccoli produttori inermi di fronte a logiche che esulano dalla loro competenza. La velocità della vita contemporanea, la necessità di ricorrere sempre di più ai centri commerciali, a punti vendita che ci

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

propongono frutta e verdura provenienti da chissà dove, ma a prezzi più bassi, ci fanno facilmente dimenticare del territorio in cui viviamo. Le conseguenze sono visibili sul paesaggio, e sono la scomparsa delle colture tradizionali, l’abbandono delle attività agricole nelle zone di montagna, la riduzione delle coltivazioni promiscue. Sopravvivono perlopiù le attività praticabili attraverso l’utilizzo delle macchine, che, come abbiamo visto, implicano unità colturali più ampie e la monocoltura. L’azione combinata di meccanizzazione del lavoro e mercato globale hanno privato il paesaggio agricolo di quella varietà, armonia e bellezza che lo caratterizzava fino a qualche decennio fa. Ma soprattutto ha perduto valore sociale, quella capacità che aveva di costruire comunità.

2.4 La Convenzione Europea del Paesaggio. Nel primo paragrafo, abbiamo visto come l’avvento dell’era industriale porta con sé anche la scoperta del paesaggio. Tuttavia la sua origine è frutto di una contrapposizione: il lavoro dell’uomo e il paesaggio non sono più connessi e interdipendenti, come avveniva nel ‘500, ma sono l’uno l’antitesi dell’altro. E’ così che in questa prima accezione, il paesaggio ha più le sembianze di uno sfondo da contemplare passivamente, una “riserva-rifugio dal degrado indotto

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2. La crisi del paesaggio

dalle trasformazioni urbane e territoriali e, come tale, da tutelare”. (3) Le prime leggi riguardanti la tutela del paesaggio seguono proprio questa impostazione, e infatti l’oggetto della tutela sono esclusivamente le “bellezze naturali”, le “bellezze panoramiche” e i “bei paesaggi”. In Italia abbiamo in questa direzione la Legge Bottai del 1939. Anche grazie alle riflessioni contenute nel primo capitolo del lavoro, capiamo quanto sia incompleta questa accezione puramente estetica di paesaggio. Dovremo attendere l’anno 2000 per una definizione di stampo differente, ossia la redazione della Convenzione Europea del Paesaggio. In questo importante documento si dichiara che “il paesaggio coopera all’elaborazione delle culture locali e rappresenta una componente fondamentale del patrimonio culturale e naturale dell’Europa, contribuendo così al benessere e alla soddisfazione degli esseri umani e al consolidamento dell’identità europea”. Ecco che riaffiora quel paesaggio culturale di cui abbiamo parlato precedentemente, ma non solo. Il paesaggio non è più in contrapposizione con l’attività dell’uomo, ma viene riconosciuto come risorsa per la stessa attività economica e produttiva, in quanto, se gestito nel modo corretto e salvaguardato, può contribuire alla creazione di nuovi posti di lavoro. Interesse culturale, quindi, ma anche economico, ecologico, ambientale e sociale.

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

Tuttavia, il vero punto di svolta contenuto all’interno della Convenzione Europea è quello relativo all’individuazione dei tipi di paesaggio meritevoli di attenzione e tutela. Nel testo si afferma che questi non devono essere solo i paesaggi di riconosciuto interesse, ma anche quelli percepiti come ordinari o degradati, e si sottolinea la necessità che la strategia di intervento non sia elaborata da una minoranza di politici, ma dalla comunità di riferimento coinvolta nel suo complesso. A tal proposito torneremo più avanti nella parte relativa al progetto locale.

NOTE: 1 Ferrara G., Paesaggio agricolo verso il futuro, in “Architettura del paesaggio”, n.24. 2 Cazzola F., Segni perduti: l’evoluzione del paesaggio agrario ferrarese, in AA.VV., Agrimondo: alla scoperta del pianeta agricoltura che rispetta l’ambiente., Centro IDEA, 2000. 3 AA.VV., Paesaggi periurbani. Linee guida paesaggistiche per il governo del territorio, Linee guida Pays Med Urban.

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2. La crisi del paesaggio

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capitolo 3

Ritorno alla terra: i parchi agricoli

Orti urbani a Tempelhof Park, Berlino 2012



3. Ritorno alla terra: i parchi agricoli

3.1 Un’ipotesi di lavoro: i parchi agricoli. Nella definizione di paesaggio agrario fatta da Emilio Sereni emergono gli avverbi coscientemente e sistematicamente, ma in una società in cui è solo il mercato a dettare le regole attraverso le quali fare agricoltura, non può esserci traccia né di coscienza né di sistema e vengono messe in secondo piano le necessità del risparmio, del riciclo, del mantenimento delle risorse ambientali e della trasmissione dei saperi (1). I paesaggi agrari tradizionali sapevano conciliare le ragioni del produrre a quelle della conservazione delle risorse, della salvaguardia della qualità ambientale. L’agricoltura contemporanea non produce più il territorio, ma semplicemente lo usa. Nel difficile cammino di ripensare un’agricoltura capace di tornare a “costruire la terra” in cui si realizzi quell’equilibrio funzionale ed estetico che ha costituito il carattere distintivo dei paesaggi italiani (2), non dobbiamo cadere in una progettualità di tipo statico con la quale applicare formalismi rurali obsoleti, né fare l’errore di voler conservare eternamente il paesaggio esistente. Il problema non è la trasformazione, ma come questa viene effettuata; il passaggio alla nuova morfologia deve, quindi, essere graduale, con una sperimentazione continua degli effetti dei singoli interventi.

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

Il dibattito su questi temi è aperto fin dagli anni ’80 e diversi sono stati i contributi, fino ad arrivare all’istituzione dei parchi agricoli. In particolare, citando un articolo del 1989 di G. Ferraresi e M. Prusicki “Parco agricolo, un’ipotesi di lavoro” in cui si parlava dell’istituzione del Parco agricolo sud di Milano, possiamo individuare un vero e proprio modus operandi che funga da guida nel percorso di risignificazione dell’attività agricola. Questa è tuttora vitale ed estesa in quelle che vengono definite aree agricole consolidate, dove, pur nel processo generale di mutamento del paesaggio agrario, è ancora possibile riconoscerne il sistema degli elementi morfologici costitutivi sia per la loro consistenza che per la loro coerenza reciproca interna all’ambito. Vi sono, invece, delle aree nelle quali l’attività produttiva primaria è presente in termini dominanti ma è caratterizzata da modalità improprie di utilizzo o da palese sottoutilizzazione delle strutture agricole e dove si possono rilevare fenomeni di compromissione strutturale dell’impianto agricolo esistente cui corrispondono dal punto di vista morfologico una scarsa riconoscibilità degli elementi ed una rottura della loro coerenza in sistema. Si tratta di ambiti agricoli da consolidare attraverso interventi di risanamento e innovazione: essi debbono essere sufficientemente accorpati e dove possibile ritrovare una connessione ed

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3. Ritorno alla terra: i parchi agricoli

una continuità con il sistema agricolo più ampio. Altre aree ancora potrebbero aver perso irrimediabilmente la loro vocazione agricola, configurandosi come aree agricole deboli e possono essere dismesse e riutilizzate a fini sociali. Queste aree, compattate con le aree urbane marginali in sistemi di verde e di spazi liberi, possono dar luogo a forme di “parco rado”. Possono essere effettuate sperimentazioni colturali; previsti orti urbani e riutilizzi dei fabbricati ex agricoli a fini sociali o per attività legate all’ambiente o allo svago. La costruzione di elementi di “parco attrezzato” e la formazione di aree boscate sono l’altra componente della destinazione di queste aree, cioè elementi del “parco urbano” vero e proprio che possono essere programmati nel tempo lungo. Infine abbiamo quelle aree che, avendo una chiara vocazione naturalistica o essendo o caratterizzate da complessi architettonici o altri insiemi di elementi di interesse monumentale o di rilevante valore storico, potrebbero essere trattati con prescrizioni particolari. In questo quadro, i percorsi agricoli, che sono una delle componenti irrinunciabili del sistema produttivo, diventano anche l’infrastruttura principale del “parco lineare” di uso pubblico (3). Da non sottovalutare sono gli apporti che potrebbero derivare dall’istituzione

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

di un ente gestore del parco, che coordini le varie azioni sul territorio e ne misuri l’efficacia nel tempo. In particolare, questo ente avrebbe una visione complessiva delle aree tutelate e in via di trasformazione, raccogliendo e conservando informazioni riguardo l’estensione delle terre coltivate, il quadro delle colture adottate, le infrastrutture urbane che interessano le aree agricole, le infrastrutture rurali e il loro grado di utilizzo e conservazione, lo stato delle acque, del suolo, dell’equilibrio ambientale.

3.2 Verso un progetto locale. Se riterritorializzazione, seguendo il pensiero di Magnaghi, vuol dire riappropriazione da parte della società locale del territorio di appartenenza, questa può avvenire solo attraverso un percorso di ripensamento del sistema della produzione e dei consumi, guidato da rinnovati valori etici e sociali. La spinta parte dal basso, ma deve essere costantemente facilitata dalle Istituzioni, che incoraggeranno l’incontro tra stakeholders e premieranno i progetti migliori. Il progetto è locale, perché si autogoverna e si svincola dagli interessi della grande industria e dalle logiche globalmente individuate dalle imprese multinazionali. Se il parco agricolo vuole essere una pratica di riterritorializzazione e quindi assumere i connotati di progetto locale, deve quindi fondarsi il più possibile

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3. Ritorno alla terra: i parchi agricoli

sul coinvolgimento della comunità di appartenenza. I portatori di interesse, gli agricoltori, i consumatori, gli Enti Locali, devono individuare insieme le necessità del territorio attraverso un percorso partecipato. Se motore di questo processo è la volontà di svincolarsi dalla logica produttiva di stampo esclusivamente economico, per raggiungere una migliore qualità della vita, lo strumento non può essere la mera conservazione o la cristallizzazione del territorio in forme ideali, ma la sua trasformazione e valorizzazione attraverso l’utilizzo. Utilizzare (e non sfruttare) il territorio è il miglior modo per prendersene cura, per produrre qualità. L’esperienza dei parchi agricoli, a mio parere, può essere un ottimo punto di partenza per cominciare a sperimentare forme di resistenza innovative al dilagante problema della crisi agricola. Nei prossimi paragrafi analizzeremo alcuni casi studio.

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

3.3 Milano. Parco Agricolo Sud. PARCO AGRICOLO SUD DI MILANO

superficie Comuni coinvolti aziende totali allevamenti cereali: frumento, mais, riso prato

ATTORI

STRUMENTI

46300 ca. 61 300 ca. 65% 16%

1200 ca.

FONDI

Il contesto. L’area del Parco agricolo sud di Milano insiste su un terriotorio in cui l’uomo, fin dal Medioevo, ha intrapreso una consistente attività di modificazione del paesaggio. Soprattutto il sistema delle acque è stato oggetto di modellazione e regolazione sia per l’irrigazione dei campi, che per scopi militari, commerciali e di comunicazione. Le attività e gli insediamenti antropici si sono sviluppate , quindi, attorno a questa risorsa caratterizzante. Non possiamo in questa sede esaminare nel dettaglio la ricchezza della flora, della fauna o del patrimonio storico-culturale rappresentato dalle numerose cascine, ville, rocche, castelli, abbazie e santuari. Ci basterà citare a titolo di esempio alcuni degli elementi più caratteristici: i fontanili e le marcite. I primi, dovuti alla particolare struttura geologica del terreno, sono delle risorgive

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3. Ritorno alla terra: i parchi agricoli

naturali che si generano quando le acque piovane o fluviali incontrano nel sottosuolo strati di roccia impermeabile che ne favoriscono la risalita. Questo fenomeno è stato sapientemente sfruttato dall’uomo sin dal Medioevo per l’irrigazione dei campi. Attualmente i fontanili, che dagli 870 dei

Marcite nel territorio milanese

primi del ‘900 sono passati ai 270 di fine secolo scorso, sono oggetto di tutela paesaggistica e ambientale, importanti sia come elemento storico che per l’equilibrio di flora e fauna. Altro elemento caratterizzante sono le marcite, i campi in cui viene attuata un’antica pratica

Fontanile

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

agricola consistente nel far scorrere tutto l’anno un velo d’acqua sul terreno, consentendo così al suolo di avere una temperatura costante anche nei mesi invernali e quindi di non gelare, preservando il raccolto. Questa tecnica, applicata soprattutto per la coltivazione del foraggio, ha consentito il forte sviluppo dell’attività di allevamento. Anche le marcite, come i fontanili, divengono così elementi di valore sia paesaggistico che ecologico, poiché contribuiscono al mantenimento della biodiversità. Messo a dura prova dalla disordinata espansione edilizia e dall’inquinamento dei nostri tempi, questo terriotorio trova oggi nell’istituzione del Parco agricolo una speranza per riappropriarsi della qualità paesaggistica e ambientale, nonché un sostegno per l’attività economica. “Il nostro riscatto come uomini contemporanei incomincia proprio attraverso il lungo e contraddittorio percorso che porta negli anni sessanta all’individuazione dell’idea di Parco, negli anni settanta e ottanta al suo sviluppo da concetto a strumento legislativo-amministrativo, negli anni novanta all’affermazione legislativa ed ai primi passi per dotarsi come Parco di strumenti gestionali fondamentali allo sviluppo di iniziative volte a recuperare e valorizzare il territorio. Obiettivo fondamentale è il governo dello sviluppo entro criteri di compatibilità ambientale e nel rispetto della sua vocazione agricola, prima compito impossibile

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3. Ritorno alla terra: i parchi agricoli

proprio in assenza di un strumento unitario come il Parco stesso.” (4) Istituzione Legge regionale 24/1990 Consistenza 46300 ha, 61 comuni, ca 1000 aziende Ente gestore Provincia di Milano, attraverso il Consiglio Provinciale, il Consiglio Direttivo e il Presidente. Organizzazione e sostenibilità Il Consiglio Provinciale nomina i membri del Consiglio Direttivo e delibera su sua proposta il regolamento del Parco e le sue modifiche, le previsioni annuali di spesa, la proposta di PTC (Piano territoriale di coordinamento), il piano triennale di gestione, i regolamenti delle strutture operative del Parco, la nomina, la revoca o la sostituzione del Direttore del Parco. Il piano territoriale del parco ed il relativo piano di gestione indicano le attività e gli interventi la cui progettazione, esecuzione e gestione è affidata ai Comuni, nei modi stabiliti dal regolamento del parco e dalla Legge regionale 24/1990. Il Consiglio Direttivo resta in carica quanto il Consiglio Provinciale ed è da esso nominato. Ne fanno parte il Sindaco del Comune di Milano o un suo delegato

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

permanente, tre Consiglieri Provinciali, quattro membri rappresentanti dei Comuni facenti parte del Parco, due membri scelti dalle organizzazioni degli agricoltori e dalle associazioni ambientaliste. Il Consiglio Direttivo assume tutti gli atti di amministrazione concernenti la gestione del Parco, compreso il rapporto annuale di gestione. Il Consiglio Direttivo nella sua attività può avvalersi della collaborazione di tutti gli enti pubblici e privati e di consulenze tecnicoscientifiche. Il Direttore del Parco è il respinsabile della direzione tecnico-operativa del Parco, ed è individuato dal Consiglio Provinciale tramite concorso pubblico aperto a dottori in architettura, ingegneria civile, urbanistica, biologia, geologia, scienze forestali ed agrarie. Il suo impegno lavorativo non è compatibile con altre attività professionali. A livello finanziario, i mezzi su cui si regge la gestione del Parco sono principalmente di due tipi: quelli relativi a fondi regionali, provinciali o dei Comuni interessati; quelli derivanti dalla gestione delle attrezzature, dei servizi, delle concessioni e delle sanzioni. Finalità. Tutela e recupero paesistico e ambientale delle fasce di collegamento tra città e campagna. Connessione delle aree esterne con i sistemi di verde urbano.

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3. Ritorno alla terra: i parchi agricoli

Riequilibrio ecologico. Salvaguardia, qualificazione, potenziamento delle attività agro-silvo-colturali. Fruizione culturale e ricreativa da parte dei cittadini. Attività agricola. L’area del parco si caratterizza come una delle zone di agricoltura più intensiva del territorio nazionale. Le coltivazioni più diffuse sono i cereali, principalmente mais e riso, e altre colture tradizionali della Pianura Padana. Oltre a vaste aree adibite a prato, troviamo piccoli appezzamenti per ortaggi, fiori e piante ornamentali e pioppeti. Consistente anche l’attività di allevamento (circa 300 aziende), che rappresenta la voce principale del reddito totale prodotto nel Parco. Marchio di produttore di qualità ambientale. Il Parco può rilasciare il marchio di produttore di qualità ambientale a quelle aziende che si impegnano ad impiegare tecniche agronomiche sostenibili e ad attuare azioni ambientali. Le aziende, in cambio, vengono valorizzate da una campagna di promozione e dalla concreta prospettiva di una valorizzazione economica. Ad oggi, 27 aziende agricole posseggono il marchio di qualità. Il Parco rilascia il Marchio di “produttore di qualità ambientale” a quelle aziende che attuano interventi volti al risparmio energetico, alla conservazione del paesaggio, all’aumento dela biodiversità, alla trasformazione del prodotto in

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

azienda, alla riduzione della filiera, al il minor utilizzo di imballaggi, alla riduzione della quantità di rifiuti, alla didattica, al mantenimento degli edifici tradizionali, al recupero attuato con materiali locali ed altre attività virtuose, previa valutazione operata da una commissione (professionisti, associazioni consumatori, e da un esponente di Camera di Commercio, Ente Parco e Provincia). Turismo rurale, sport e cultura. Molte aree del Parco sono visitabili autonomamente grazie ad una fitta rete di percorsi. Sono previste visite guidate per le aree naturalistiche, oltre alle attività didattiche e laboratoriali per scolaresche e gruppi. Sono presenti strutture per attività sportive come equitazione e pesca, oltre a percorsi per il jogging. E’ possibile conoscere l’attività rurale e la storia del territorio anche attraverso la visita di monumenti, antiche cascine e musei. Non mancano feste, mercatini e sagre. Capiamo da questa breve panoramica come, nonostante l’attività agricola sia la principale vocazione del Parco, esistono numerose attività collaterali svolte nel rispetto del sistema ecologico e paesaggistico che, anzi, conferiscono un valore aggiunto al territorio e favoriscono una maggiore fruibilità da parte del cittadino o del turista forestiero. Fattorie didattiche. Finalità:

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3. Ritorno alla terra: i parchi agricoli

- valorizzare la relazione città-campagna; - creare interesse per la scoperta dell’ambiente e dell’attività agricola; - favorire il recupero del valore culturale e ambientale del proprio territorio; - valorizzare l’impaortanza e eil ruolo sociale dell’agricoltura; - conoscere piante e animali della fattoria; - sensibilizzare al rispetto dell’ambiente e al ritmo della natura; - conoscere l’origine dei prodtti alimentari e il percorso dal campo alla tavola; - educare al consumo consapevole attraverso la comprensione delle relazioni esistenti tra sistemi produttivi, consumi alimentari e salvaguardia dell’ambiente.

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

PARC AGRARI DEL BAIX LLOBREGAT, BARCELONA superficie Comuni coinvolti

3332 ha 14

621

aziende totali allevamenti

70 ca.

orticoltura

26%

frutticoltura

ATTORI

STRUMENTI

63%

FONDI

3.4 Parc Agrari del Baix Llobregat Contesto Il territorio in questione è situato a sud di Barcellona, nell’area agricola (3332 ha) del delta e della bassa valle del Llobregat, uno dei fiumi più importanti della Catalogna. Il territorio ha recentemente subito un processo di deterioramento, conseguente soprattutto alla creazione di infrastrutture di forte impatto e all’azione di agenti inquinanti. Anche in questo caso, inutile ripetero, il danno è insieme economico, paesaggistico e ambientale. Verso un’idea di Parco. Il processo inizia del 1994, con un documento del Patronat de Promoció Agrícola

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3. Ritorno alla terra: i parchi agricoli

del Consell Comarcal del Baix Llobregat, l’ente preposto alla promozione agricola dell’area, intitolato Il futuro dell’agricoltura del delta e della bassa valle del Llobregat nell’ambito del Piano infrastrutture e ambiente. Proposta di Parco Agricolo del Llobregat. Negli anni successivi l’idea di parco va ad intrecciarsi con le politiche ambienteli e

di

programmazione

portate

avanti

dall’amministrazione territoriale per la gestione del sistema degli spazi liberi dell’area metropolitana di Barcellona: il progetto dell’Anello Verde,

Alcune aree del Parco

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

all’interno del quale lo spazio agrario del delta e della bassa valle del Llobregat doveva svolgere una funzione fondamentale di collegamento. Il progetto per un Parco Agrario va ad inserirsi, così, in questo sistema territoriale di 15000 ha tutelati intorno all’area metropolitana. Nel 1996 la Disputaciò de Barcelona individua nel Consorzio il modo per coinvolgere gli operatori socioeconomici locali e affida all’Uniò de Pagesos la determinazione del quadro generale per la definizione del Parco. Tutti questi organismi presenteranno il progetto all’interno del programma europeo LIFE. Nel 1998 si costituisce il Consorzio di enti pubblici: Disputaciò de Barcelona, Consiglio Commerciale del Basso Llobregat, Unioni di Agricoltori e le 14 municipalità interessate. Gli strumenti. Gli strumenti di cui ci si è dotati sono: - il Piano Speciale che, come figura urbanistica, delimita l’ambito territoriale del Parco Agrario, ne regola l’utilizzo e ne definisce le infrastrutture generali; - il Piano di Gestione e Sviluppo con la finalità di consolidare lo spazio agrario e di consentire il miglioramento delle rendite delle aziende agrarie mediante il conseguimento di un buon livello di efficienza delle infrastrutture e dei servizi generali e la promozione di sistemi di produzione e commercializzazione

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3. Ritorno alla terra: i parchi agricoli

adeguati alle esigenze del mercato, modernizzando le aziende agrarie per conseguire una buona redditività; - il Consorzio del Parco Agrario opera mediante accordi specifici con organismi e imprese del settore agrario per svolgere iniziative che implichino un avanzamento verso obiettivi convergenti (partenariato) e in collaborazione con i Comuni – membri del Consorzio – soprattutto per quanto riguarda le competenze di cui essi sono titolari, come le infrastrutture i servizi generali e disciplina urbanistica. Le linee strategiche. Raggiungere un buon livello di efficienza delle infrastrutture e dei servizi generali del territorio agrario. Promuovere sistemi di produzione e commercializzazioneche favoriscano l’incremento delle rendite generate dalle aziende agrarie. Sostenere la messa in opera di servizi e la modernizzazione delle aziende agrarie per migliorarne la redditività. Ottenere uno spazio di qualità integrato nel territorio e in armonia con l’ambiente naturale. Consolidare e far conoscere il patrimonio naturale e culturaledel Parco Agrario senza interferenze con l’attività agraria.

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

3.5 Il Parco agrumicolo di Ciaculli a Palermo.

PARCO AGRUMICOLO DI CIACULLI, PALERMO

superficie Comuni coinvolti aziende del Consorzio mandarino Tardivo mandarino Avana nespole giganti di Ciaculli limoni, albicocche, arance

ATTORI

STRUMENTI

850 ha 1 90 ca. 20%

80%

FONDI

Il contesto. Il Parco si sviluppa nei territori orientali della piana di Palermo e precisamente nelle contrade di Ciaculli e Croce Verde. La produzione agricola di quest’area è caratterizzata dalla coltivazione degli agrumi ed ha generato un paesaggio compatto e spesso dominato da terrazzamenti, a causa della progressiva pendenza del terreno. Per intensità della coltivazione e omogeneità dei prodotti, il territoro rappresenta il maggior comprensorio agricolo e mandarinicolo della Conca d’Oro. La coltura principale è il Mandarino Tardivo di Ciaculli, che occupa l’80% del suolo agricolo, seguita dal mandarino Avana, dalle nespole giganti rosse di Ciaculli, dai limoni e da piccole quantità di albicocche e arance. In seguito alla crisi agrumicola, si è assistito al progressivo abbandono delle attività agricole da parte delle nuove generazioni (soprattutto nelle aree

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3. Ritorno alla terra: i parchi agricoli

pedemontane) e al rischio di vedere queste aree aggredite dall’epansione urbana. E’ così che, anche in questo caso, gli strumenti per la tutela e la valorizzazione del territorio che si rendono necessari sono sia di natura

I terrazzamenti di agrumeti

ecologico-paesaggistica - la piana costituisce un indispensabile polmone verde per la città di Palermo – che economico-produttiva. Ad aggravare la situazione, la presenza delle organizzazioni mafiose che detengono il controllo di molte aree e favoriscono speculazione edilizia

Il mandarino tardivo di Ciaculli

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

e abusivismo, esercitando spesso pressioni per il cambiamento d’uso dei suoli agricoli in depositi, discariche o attività illegali. La fondamentale risposta a queste problematiche proviene dal Progetto Life, vincitore nel 1994 del Premio Città Sostenibile del Ministero dell’Ambiente, il quale ha convogliato sul territoro 250 milioni di vecchie lire, avviando un processo di rigenerazione dell’area, culminato con l’istituzione del Consorzio del Tardivo di Ciaculli nel 1999. Consistenza. 850 ha nel Comune di Palermo. Ente gestore. Non esiste, a differenza del caso del Parco Agricolo Sud di Milano, un Ente gestore del Parco. Le azioni sono state coordinate dal Progetto Life e attuate dal Comune, spesso tramite accordi con i privati. Istituzione. Il Parco agricolo viene definito tale nel PRG del 2002, ma il processo di creazione inizia già nel 1994 con il Progetto Life, la cui attuazione culmina con l’istituzione del Consorzio nel 1999. Il Progetto Life. Finalità, realizzazione, gestione. La finalità del progetto era la definizione di un modello di gestione per l’area

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3. Ritorno alla terra: i parchi agricoli

agricola periurbana, puntando sulla coltivazione del mandarino “Tardivo di Ciaculli”, e fu redatto dall’Istituto di Ricerche Ambiente Italia. Il principio su cui si basava il progetto era una collaborazione tra pubblico e privato, in virtù della quale all’impegno da parte dei proprietari di aprire i propri terreni ai visitatori, corrispondeva l’abbattimento dei costi dell’acqua da parte del Comune e l’attività di promozione del mandarino. Gli interventi, previo assenso dei proprietari, hanno riguardato la rinaturalizzazione e riforestazione di alcune aree, il ripristino dei muretti a secco, il recupero dei terrazzamenti e degli agrumeti abbandonati, la creazione di un percorso di 5 chilometri che dalle pendici della montagna sale fino a 300 metri, e la fondazione di un museo. Il progetto fu finanziato per il 50% dalla UE, la restante parte dal Comune di Palermo (Assessorato al Territorio) e dalla Confederazione Italiana Agricoltori, proponente e beneficiario del progetto. Ripercorriamo sinteticamente le tappe principali della realizzazione, così come presentate nell’articolo di Marcello Maltese, Il parco agricolo periurbano di Ciaculli (tratto dal volume Argomenti di Architettura. Periferie? Paesaggi urbani in trasformazione, Baio Editore, 2005): - parere favorevole del comitato di quartiere sulla variante al PRG, nel 1995,

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

dopo incontri animatissimi tra rappresentanti dell’Amministrazione, tecnici ed abitanti; - creazione di un’associazione e di una cooperativa per la salvaguardia ambientale e paesaggistica dell’insieme; - firma di una convenzione tra proprietari dei fondi e Comune; - creazione di un consorzio di agricoltori (1999) che coordina l’attività di tutti i produttori di Ciaculli. Il consorzio ha promosso un Piano di Azione per il Parco Agricolo di Ciaculli e un ‘Business Plan’, presentato dentro la proposta per il Patto territoriale agricolo; - fruizione pubblica tra 1997 e 1999 per mezzo di una convenzione tra la cooperativa ‘Il nespolo’ e le scuole della città; - redazione di un piano particolareggiato; - finanziamenti comunali con cadenza annuale (poi sospesi) per un programma di manutenzione e di fruizione dell’area, come aiuto ai contadini in relazione al prezzo dell’acqua (che rappresenta nella zona il 60% dei costi di produzione); - gestione del progetto inserita nei Patti Territoriali, cioè progetti integrati per lo sviluppo delle aree più svantaggiate, finanziati con risorse pubbliche. Nel giugno 2000 quello relativo a Ciaculli è stato inserito dal Ministero del Tesoro in prima posizione come progetto più interessante;

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3. Ritorno alla terra: i parchi agricoli

- espropriazione delle proprietà della mafia, grazie alle apposite leggi di confisca (furono confiscati soprattutto i pozzi illegali detenuti dai Greco, che fino a quel momento avevano rappresentato un grave danno per le finanze pubbliche e per le risorse idriche). Problematiche e fallimento del progetto. Purtroppo, già alla fine degli anni ‘90 che subentrano le prime difficoltà, come lamenta Salvino Bonaccorso, presidente dell’ associazione Il Tardivo di Ciaculli, in questo articolo del 2002 (Sorpresa dal piano regolatore condannato il parco di Ciaculli di Antonella Romano, La Repubblica, 21-03-2002) “Gli alberi adesso sono stati tutti bruciati. Il progetto in realtà è fermo da tempo: già dal ‘ 98 qui non arrivano più le scolaresche. Con il consorzio, di cui fanno parte un centinaio di contadini, siamo riusciti a conquistarci un mercato. Ma adesso quello che era un modello di integrazione tra città e campagna rischia di finire nel nulla. All’amministrazione comunale abbiamo chiesto servizi per gestire il terreno in maniera omogenea e con un marketing unitario. Se l’ interesse istituzionale verrà meno, comincerà la distruzione sistematica di un bene che ha un forte valore sia economico sia ambientale». Il problema è in primo luogo economico. La produzione del “Tardivo” necessita maggiori sforzi comuni per affermarsi sul mercato, che è sempre più dominato

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

da colture omologate vendute a prezzi stracciati. Alla mancanza di fondi locali non è stato ancora contrapposto un piano per reperire finanziamenti a livello europeo. Inoltre, con il cambiamento dell’amministrazione (che dal 1993 al 2000 era stata presieduta dal sindaco Leoluca Orlando), si affaccia l’idea di poter espropriare i terreni del Parco e di cambiarne la destinazione in Parco urbano, rinunciando alla vocazione agricola. La decisione suscita molti malumori e diffidenze, sia perché risulta particolarmente onerosa per il pubblico (costi di espropriazione e lavori di trasformazione del Parco), sia perché prospetta la fine dell’attività agrumicola. Situazione attuale e prospettive. Giuseppe Barbera, docente della Facoltà di Agraria di Palermo, assessore da poco dimessosi dell’attuale giunta e tra i redattori del Progetto Life, è una figura in prima linea nella definizione di un piano per riprendere quel processo virtuoso avviato negli anni ‘90. In particolare egli individua nel territorio un grande fermento da parte della “piccola politica”, cioè di tutti quegli interventi “dal basso”, determinati dal desiderio di riscatto e dalla volontà di “non rinunciare alla terra” da parte degli agricoltori, anche delle nuove generazioni. Queste energie però si infrangono se a sostenerle non interviene la “grande politica”,

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3. Ritorno alla terra: i parchi agricoli

la politica dall’alto. L’agricoltore non può oggi essere lasciato da solo di fronte alle regole del mercato, che di per sè tende ad emarginare la qualità dei prodotti a vantaggio della bassezza dei costi. Se l’agricoltura policoturale non è competitiva economicamente, è invece importantissima dal punto di vista della qualità della nostra vita e dell’ambiente poichè peserva la biodiversità. Bisogna quindi disporre strumenti dall’alto (Unione Europea) per sostenere questo tipo di produzioni virtuose. Il virtuoso processo avviato negli anni ‘90, quando grazie al Progetto Life arrivarono a Palermo il premio di “città sostenibile” e i fondi per dimezzare il costo dell’acqua di irrigazione e permettere agli agricoltori di continuare a coltivare gli agrumeti, si è interrotto in breve tempo allorquando “la politica locale non lo considerò prioritario e la Regione si limitò, nell’approvazione del Prg, a considerare i giardini (così i siciliani chiamano i loro frutteti) di Ciaculli normale zona di verde agricolo. Si apriva la strada alle varianti: quella dei centri commerciali, delle cooperative edili e dei piani integrati mentre nuove concessioni occupavano le aree ancora disponibili del piano regolatore.” E’ proprio durante l’amministrazione di centro-destra che la situazione si è aggravata, a causa dell’approvazione di un piano strategico che “nel nome della «valorizzazione delle risorse ecologiche e ambientali», prevedeva centri

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

direzionali, nuovi mercati generali, una tangenziale che riuniva le due autostrade verso Trapani o Messina, un “waterfront” che riqualificava i porticcioli della costa.” Nel 2012 la nuova giunta Orlando, avvia il processo per la redazione del nuovo PRG, proprio in virtù delle discrepanze che si sono andate delineando tra il vecchio PRG di Cervellati (2002) e il piano strategico di cui sopra. Nelle direttive del nuovo PRG si dichiara il superamento del piano strategico senza tuttavia respingerlo formalmente. Questa indeterminatezza, unita al fatto che non è stato ancora avviato un processo di urbanistica partecipata per affrontare questi temi, crea il timore nei cittadini, negli agricoltori e nelle associazioni che si possa ripetere un nuovo assalto cementizio. Sono due gli atti che vengono attualmente richiesti all’amministrazione: uno è l’avvio del piano di gestione della Favorita, il grande parco di Palermo, l’altro riguarda la salvaguardia degli agrumeti della Conca D’oro ancora liberi dal cemento. Perché avvenga questa salvaguardia, afferma Barbera, “si deve puntare ad una difesa attiva degli spazi verdi che promuova l’attività agricola, incentivando vecchi e nuovi produttori e, considerando l’ interesse pubblico, sostenga gli interessi ambientali, sociali, culturali e non sia affidata solo alla legge del mercato per quanto interessato a tipicità e qualità. Se così non fosse, se non

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3. Ritorno alla terra: i parchi agricoli

si riuscisse a sostenere la presenza degli agricoltori, all’abbandono dei giardini, come avviene in misura ogni giorno crescente, seguirebbe l’invasione dei rovi e degli ailanti, la morte degli alberi da frutto, gli incendi, le discariche, l’abusivismo e poi, chissà, nuovi palazzi. Non si tratta di affermare una visione nostalgica che guarda a un glorioso passato agricolo ma operare – e, essendo stato assessore all’ambiente fino allo scorso aprile, penso che ce ne siano tutte le premesse politiche – per la nascita di un sistema agricolo locale, urbano e periurbano, centrato sul raccordo (a km zero) tra produzione e consumo, sul riconosciuto ruolo polifunzionale dell’agricoltura non solo produttrice di alimenti, ma anche depositaria di valori e di stili di vita, capace di gestire in modo equilibrato le risorse naturali e ambientali e di tutelare e salvaguardare un paesaggio agrario tra i più illustri.” (5)

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Prima parte / Lo sguardo sul paesaggio

NOTE: 1. Scaramuzzi F., Il nuovo paesaggio agrario toscano, in “Architettura del paesaggio”, n.24. 2. Barbera G., Il paesaggio agricolo, in “Architettura del paesaggio”, n.24. 3. Ferraresi G., Prusicki M., Parco agricolo, un’ipotesi di lavoro, in “Urbanistica”, dic. 1989, n.24. 4.dal sito ufficiale del Parco Agricolo Sud di Milano http://www.provincia.milano. it/parcosud/presentazione/index.html) 5. Barbera G., Il lungo sacco della Conca D’Oro, in “Il Manifesto”, 17 luglio 2014. 80


3. Ritorno alla terra: i parchi agricoli

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SECONDA PARTE

Ferrara e il Barco




capitolo 1

La vocazione paesaggistica

Sottomura, 2014



1. La vocazione paesaggistica

1.1 Il tema paesaggistico nella pianificazione ferrarese. Quella che sotto il nome di Addizione Erculea, è certamente l’intervento urbanistico più importante nella storia della città di Ferrara. Voluta da Ercole I e realizzata dall’architetto di corte Biagio Rossetti tra il 1492 e il 1510, l’addizione ha fatto meritare a Ferrara l’appellativo di città moderna, poiché rappresenta il primo caso in Europa di espansione razionale del tessuto urbano. Un progetto atipico quello di Rossetti, in una città che pure si era espansa per tutto il medioevo attraverso le cosiddette addizioni (prima quella di Niccolò, poi quella di Borso), ma che non aveva mai visto una così coraggiosa opera di urbanizzazione. L’area della città aumenta più del doppio, e le mura si allontanano dalla percezione dei cittadini. Un particolare sistema di terrapieni rende praticamente invisibili le mura dall’interno, poiché un dolce declivio accompagna la vista evitando la percezione della cesura. I ferraresi si tengono lontani dalle mura nord e le strade, disposte secondo una griglia regolare, si interrompono molto prima. Non c’è alcun interesse a saturare lo spazio e all’interno della cinta muraria si conservano consistenti aree di campagna, di cui alcune tutt’ora sopravvissute. Che sia frutto di una pianificazione assai lungimirante, come convintamente sostenuto da Zevi, o semplicemente un fortunato errore di calcolo, l’addizione ha

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

condizionato sensibilmente lo sviluppo di Ferrara fino alle soglie del Novecento, poiché la lentezza con cui ha visto saturarsi le sue maglie ha prodotto il duplice effetto di preservare il territorio extra moenia dall’espansione urbanistica e di conservare all’interno dell’agglomerato storico brandelli di spazio inedificato. Che Rossetti avesse o no previsto gli esiti del suo progetto non ci è dato sapere con certezza; in ogni modo, la sua addizione ci consegna una città molto particolare rispetto ad altre realtà urbane italiane. Affermare che la presenza di uno spazio ancora vuoto all’interno delle mura storiche abbia frenato l’espansione periferica è vero solo in parte, poiché, come ben sappiamo, con l’avvento dell’era industriale, si affacciano nuove esigenze e lo sviluppo urbano comincia a rispondere logiche differenti che vogliono gli impianti industriali e i relativi quartieri operai all’esterno del nucleo storico. Inoltre, è abbastanza automatica, già in epoca rinascimentale, la formazione di sobborghi lungo le principali direttrici, come è avvenuto, ad esempio, lungo via Bologna a sud della città. In sostanza la città comincia ad espandersi all’esterno delle mura ancor prima di saturarsi al suo interno. Se aggiungiamo a questo i grandi cambiamenti storici che determinano il passaggio di Ferrara dallo Stato Pontifico al Regno d’Italia e la conseguente demolizione della fortezza papale, vediamo come all’interno della cinta muraria

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1. La vocazione paesaggistica

continuino a esistere grandi vuoti urbani sino ai primi anni del ‘900. La spinta “centrifuga” inizia con la localizzazione dei primi insediamenti per la lavorazione e la trasformazione dei prodotti agricoli nelle zone a contatto con i corsi d’acqua e a nord sul Po, nei pressi di Pontelagoscuro. Altri grandi interventi sono la realizzazione della darsena a sud sul Po di Volano, la creazione della stazione ferroviaria sul lato ovest e l’inaugurazione della linee Ferrara-Bologna, Ferrara-Suzzara e Ferrara-Rimini. Nel 1870 con il Progetto per i grandiosi lavori pubblici si intende mettere a sistema una serie di interventi per la sistemazione di punti nodali all’interno della città, della rete fognaria, dell’illuminazione e per la creazione di servizi pubblici, oltre alla dotazione di un sistema di infrastrutture urbane e di collegamento col territorio. Tuttavia, manca ancora un disegno d’insieme, almeno stando alle fonti pervenuteci. È con i primi studi per il Piano Regolatore (1911) che cominciano ad emergere le difficoltà derivanti dalla presenza delle mura cinquecentesche e degli spazi inedificati o da riedificare al suo interno. Il timore espresso nelle relazioni di quegli anni è proprio che si vada incontro ad una frammentarietà degli interventi,

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

dovuta alle cesure esistenti tra centro storico ed espansioni periferiche. Tuttavia, la scelta di preservare le mura, direziona gli sforzi parallelamente verso una ristrutturazione del centro, con i lavori per la progettazione di quello che va sotto il nome di Rione Giardino (ex fortezza papale) ed altri interventi volti a risanare zone critiche della città, e una pianificazione il più possibile unitaria delle nuove zone di espansione e dei sobborghi esistenti (San Giorgio, San Luca e San Giovanni). La relazione elaborata dal Contini nel 1911 prevede che le nuove zone di espansione siano localizzate seguendo le principali arterie di comunicazione ferroviaria e stradale e che interessino quindi la parte ad ovest, oltre Porta Po, e tutta la fascia compresa tra la Darsena sul Po di Volano, la stazione e le mura di fronte alla Piazza d’Armi. Con lo scoppio del primo conflitto mondiale, gli studi per il Piano regolatore si interrompono per essere ripresi, sempre dallo stesso Contini nel 1923. È in questa occasione che emerge sempre di più l’esigenza di occuparsi della messa in comunicazione dei sobborghi, Pontelagoscuro a nord e San Luca a sud, quartiere già molto prospero. Ancora una volta le vicende belliche (Contini è costretto a fuggire negli Stati Uniti

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1. La vocazione paesaggistica

Studi per il Piano in seguito all’emanazione delle leggi razziali)Regolatore. interrompono i lavori e conducono Pontelagoscuro viene localizzata più a

la città di Ferrara, pesantemente danneggiata dai bombardamenti, ad una sud in modo da agevolare il collegamento con Ferrara. situazione molto critica. Emerge l’idea di trasformare il sistema delle mura in un giardino e la volontà

Per riprendere i lavori e far fronte alla realtà post-bellica, il Comunechebandisce di realizzare una passeggiata da conduca fino agli aperto a nel 1945 quello che oggi andrebbe sotto il Porta nomeCatena di concorso di idee, stabilimenti balneari e alle attrezzature

tutta la cittadinanza. Tuttavia, questa iniziativa non produce gli effetti desiderati sportive sul Po.

in quanto nessuno dei quattro progetti individuati riesce a rispondere in maniera

costruito civile verde industriale ferrovia ferrovia soppressa ferrovia nuove

Concorso di idee del 1945

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

efficace ai problemi derivanti dai danni bellici subiti o a proporre soluzioni rispettose della maglia storica. Fra tutti, merita una nota di attenzione il progetto di De Sisti, Bassi e Gentilomo in cui si propone la creazione di una zona sportiva e balneare lungo il Po. Gli studi per il Piano Regolatore proseguono nel 1946 sulla scia del concorso di idee, affrontando in particolare il problema relativo alla ricostruzione di Pontelagoscuro. In una relazione si afferma che “la zona industriale verrà estesa fino alla località in cui sorgeva Pontelagoscuro, lungo la riva del Po compresa fra i due ponti stradale e ferroviario; si riconosce la necessità di creare una zona sportiva balneare lungo le rive del Po […] per il porto fluviale deve essere fissata apposita ubicazione rispondente alle necessità di traffico, del raccordo ferroviario e della zona industriale vicina; il nuovo paese di Pontelagoscuro sorgerà quindi più a sud verso Ferrara dopo lo zuccherificio Romana, e in modo che sia facile assicurare un più rapido e diretto collegamento col capoluogo”. (1) Altre direttive riguardano l’individuazione delle zone da ricostruire e l’indicazione che i nuovi quartieri periferici debbano rispondere a criteri di ordine e decoro per evitare “una prima deleteria impressione nel forestiero che si avvicina alla città”. Inoltre, è nel corso di questi studi che emerge la proposta di trasformare il sistema

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1. La vocazione paesaggistica

delle mura in un giardino, attraverso il rimboschimento e la formazione di una fascia di rispetto, sia interna che esterna. Un’idea considerata imprescindibile per lo “sviluppo di una città moderna”. Un altro interessante spunto legato alla progettazione del verde sta nella volontà di realizzare una passeggiata che da Porta Catena, conduca fino agli stabilimenti balneari e alle attrezzature sportive del Po. Quest’area verde avrebbe, inoltre, il compito di separare la zona industriale dai quartieri residenziali e di costituire un sistema unitario con i parchi pubblici posti tra le case operaie. In questi studi emerge la necessità di dedicarsi prima di tutto alla ricostruzione, per questo, ancor prima di giungere al definitivo Piano Regolatore, si arriva ad approvare singoli piani che riguardano Pontelagoscuro (1949), il quartiere di Arianuova (1951), il piazzale della Stazione e la Caserma Palestro (1954). Riguardo il programma di ricostruzione di Pontelagoscuro, la volontà della popolazione di riedificare il paese esattamente sul vecchio sedime, a ridosso dell’argine, si scontra con diversi problemi come la presenza dello zuccherificio, delle distillerie e i costi ingenti che deriverebbero dallo sgombero delle macerie. I progettisti, invece, propongono una riedificazione in senso longitudinale che faciliti il collegamento con Ferrara e la separazione dal centro industriale. In ogni

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

modo, entrambe le soluzioni vedono come un ostacolo la presenza della linea ferroviaria, che andrebbe a tagliare in due il nuovo insediamento, e per questo se ne decide la modifica del il tracciato, spostandolo tutto ad est dell’abitato. Pontelagoscuro va configurandosi, quindi, come un quartiere satellite connesso a Ferrara, alla zona industriale e alle aree per il tempo libero dislocate lungo il Po. Anche in occasione del piano di ricostruzione del quartiere Arianuova, emerge la volontà di agevolare la connessione a Pontelagoscuro e al Po. Nel programma di fabbricazione del 1955, si cerca di evitare l’espansione a macchia d’olio della città, favorendo invece lo sviluppo di quartieri satelliti autosufficienti e in grado di decongestionare il centro cittadino. È qui che si afferma la volontà di non occupare con le espansioni tutto il perimetro della città, ma di conservare in alcune parti gli ampi spazi di verde immediatamente fuori le mura. La linea viene confermata nel Piano Regolatore Generale del 1960, finalmente approvato dopo lunghi anni di studi e dibattiti. Nel piano, redatto dall’architetto Micheluzzi e dall’ingegner Savonuzzi, i nuclei di espansione vengono addirittura

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1. La vocazione paesaggistica

costruito sistema mura sportivo collegamenti ferrovia soppressa

Schema del PRG del 1960

paragonati alle new towns inglesi e la zona a nord delle mura viene destinata ad attrezzature sportive, fiere, mercati e mostre temporanee o stabili. Vengono introdotti dei vincoli riguardanti le aree verdi pubbliche e private, interne ed esterne alle mura. Riguardo gli spazi posti lungo le mura “la conservazione e l’ampliamento di questa ampia fascia verde è elemento importante per i vantaggi igienici e per la valorizzazione della città non solo, ma sarà anche elemento di

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

individuazione del vecchio nucleo cittadino nel più ampio organismo previsto dal piano.” Già nel 1968, a soli otto anni dall’adozione del Piano Regolatore Generale, a causa dell’emanazione di nuove norme urbanistiche (la Legge “ponte” del 1967 e alcuni decreti ministeriali del 1968) e della mutazione della situazione economico-sociale, si avverte l’esigenza di un adeguamento. Vengono quindi avviati nuovi studi in cui emergono diverse priorità: il centro storico necessita di un rigoroso restauro conservativo; il quartiere lungo via Bologna deve essere ristrutturato; va ricucita la zona di espansione verso Pontelagoscuro per assicurare una continuità viaria e di verde ed eliminando la commistione tra zone industriali e zone residenziali Benevolo, consulente della variante per la parte urbanistica, mette in discussione l’impostazione del Piano del 1960 che vedeva la giustapposizione al nucleo storico di un sistema lineare ad arco che muovendosi da sud a nord-ovest mettesse in collegamento Ferrara con le sue espansioni, con Pontelagoscuro e con la zona industriale. L’attuale struttura lineare secondo Benevolo non è in grado di inglobare quella radiocentrica antica e passa in secondo piano rispetto alle atre appendici di espansione verso sud e verso est. Viene quindi

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1. La vocazione paesaggistica

aree agricole industriale ferrovia nuovi insediamenti

Schema di ipotesi di assetto territoriale, L. Benevolo

contrapposto un modello che si sviluppi in direzione est-ovest lungo il Po di Volano, in sintonia con i provvedimenti per incentivare l’utilizzo dell’idrovia padana. Un ulteriore cambiamento di prospettiva si ha con gli studi del 1972 allorquando le analisi delle dinamiche socioeconomiche e delle componenti territoriali spingono in una direzione diversa rispetto alla politica di espansione urbana prevista nel piano vigente e negli studi di Benevolo. Si fa largo quindi il tema della riqualificazione del patrimonio edilizio esistente di periferia e centro storico,

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

oltre all’ormai consolidata idea che il territorio che si estende dalle mura nord fino al Po debba essere preservato dall’edificazione. I cambiamenti riscontrati a fine anni ‘60 sono il progressivo arresto dell’immigrazione verso Ferrara, la diminuzione delle attività connesse al settore primario e il conseguente esodo dalle campagne. Il sindaco Radames Costa sostiene che il Piano Regolatore debba “diventare sempre più strumento di attuazione delle scelte strategiche di sviluppo produttivo e di crescita sociale e culturale in termini di servizi di tutela ambientale di riorganizzazione dell’attività produttiva di riequilibrio spaziale in funzione di un sempre maggior benessere della popolazione”, in modo che pianificazione urbanistica e programmazione economica procedano di pari passo. È chiaro ormai che il rilancio dell’economia ferrarese, afflitta da processi di emarginazione produttiva e di calo demografico debba essere affrontato anche tramite scelte pianificatorie e grazie al più ampio programma di interventi presentato nel 1973 dalla neonata regione Emilia-Romagna, che coinvolge le città di Ravenna, Ferrara, Guastalla, Parma e Piacenza, il cosiddetto sistema cispadano. Le linee lungo le quali si intende procedere sono il potenziamento delle zone industriali esistenti, la ridistribuzione degli insediamenti all’interno del territorio

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1. La vocazione paesaggistica

comunale per minimizzare gli spostamenti degli addetti, il contenimento della crescita edilizia residenziale, la riqualificazione dell’abitato esistente in particolare delle espansioni periferiche a ovest (danneggiato dalla presenza delle fabbriche) e a sud (carente di servizi), e del centro storico. Rispetto agli studi precedenti rimane l’impostazione di sviluppo in direzione est-ovest, anche se entrano in gioco altri tipi di relazioni a livello comunale e provinciale. Prima di adottare la variante generale al Piano, si rende necessario occuparsi delle zone del forese, rimaste escluse dalla pianificazione del 1960. Per questo nel 1975 viene varata una variante parziale il cui intento è principalmente quello di frenare lo spopolamento delle campagne e di rendere più abitabili i centri del forese, paesi carenti di servizi ed esclusi da quello che viene chiamato “effetto città”. Questi agglomerati vengono individuati come punti di sviluppo del sistema territoriale. Tuttavia, gli indici di costruzione delle aree rurali sembrano ad alcuni troppo bassi per spingere gli agricoltori a vivere nei loro possedimenti. Nel 1977 viene approvata la Variante generale al Piano Regolatore, che vede protagonisti Carlo Melograni, per la parte urbanistico-architettonica, e Carlo

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

Parco Urbano aree agricole periurbane connessioni ecologiche

Variante al PRG - 1977

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1. La vocazione paesaggistica

Alberto Campi per la parte economica. Nella relazione si sostiene che i piani precedenti hanno acuito il contrasto tra centro e periferia, tra aggregato urbano e campagna, tra Ferrara e il suo territorio. Ora si vuole passare dalla logica dei “vincoli negativi”, che immobilizzano il territorio senza proporre valide soluzioni di sviluppo, a quella dei “vincoli positivi”. Il nodo centrale è ancora una volta il rapporto tra città e centri del forese, da risolvere contrastando la struttura gerarchica del territorio, potenziando la rete infrastrutturale di collegamento e riequilibrando la distribuzione delle funzioni produttive, residenziale e di servizio. In particolare si cerca di contenere l’espansione delle aree produttive vicine alla città (ovest), mentre si ampliano quelle nel forese. Viene contenuta anche l’espansione edilizia, da realizzare principalmente attraverso i Peep, in direzione est-ovest, per garantire la residenza ai meno abbienti. Tutta la zona a nord del centro urbano viene destinata a Parco e le fasce rivierasche dei principali fiumi e canali vengono individuate come ambiti di interesse ambientale. In questo modo, viene definitamente bloccata l’espansione a macchia d’olio e si punta verso la creazione di aree omogenee con una buona qualità di vita.

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

Nonostante il calo demografico, la domanda di abitazioni è ancora insoddisfatta a causa della crescita dei nuclei familiari. Si predispone, quindi, una nuova variante, approvata nel 1985 per la parte relativa al territorio comunale e nel 1987 per quella relativa al centro storico. Si mantiene la logica di potenziamento del ruolo di Ferrara all’interno del sistema emiliano romagnolo, mentre si cambiano le previsioni per l’espansione edilizia. Per quanto riguarda i centri agricoli, ci si rende conto che alcune aree di completamento del forese previste nella variante del 1977 sono irrealizzabili per errori di localizzazione e che alcune zone di espansione non trovano il favore degli abitanti locali. Si procede quindi ad una revisione di queste aree, preferendo localizzarle in ambiti più lontani dal capoluogo. Nei dintorni di Ferrara si continua a puntare su quelle aree assoggettate a Peep dalla precedente variante. Per quanto riguarda il centro storico, la variante assume un carattere transitorio e mira principalmente a porre le basi per i lavori del successivo Consiglio Comunale. Nel 1987, quindi, sulla scia di revisioni delle precedenti scelte progettuali e di mutamenti dell’assetto economico e sociale, si avviano i lavori per l’adozione di un nuovo piano regolatore, guidati da Carlo Melograni. In particolare, ci si rende

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1. La vocazione paesaggistica

conto che la spinta verso l’espansione residenziale è stata sovradimensionata, mentre non si è affatto approfittato del felice superamento della congiuntura economica negativa degli anni’80 per puntare sul terziario. Si decide, quindi, di rilanciare il settore, valorizzando diverse risorse locali quali l’università, il patrimonio naturale e ambientale, sfruttando la posizione strategica rispetto al sistema infrastrutturale regionale e alcuni elementi attrattori del territorio come il sistema museale, fieristico e commerciale. Ci si propone di superare l’isolamento cui la città intra moenia è sottoposta, un problema irrisolto dalla variante del ’77, e di affrontare i problemi legati al traffico e alla sosta. Inoltre, si vuole andare oltre la monofunzionalità delle aree e la persistente dicotomia tra centro e periferia. Nell’importante lavoro di analisi guidato dall’architetto Visser, si scompone il territorio urbano in parti, poi denominate “ambiti”, che hanno contemporaneamente un valore conoscitivo e progettuale, individuate in base a caratteristiche storiche, morfologiche e funzionali ma al contempo parte di un sistema generale. Di pari passo va l’identificazione di quattro grandi quadranti strutturanti la forma e il funzionamento urbano al di fuori del centro cittadino. Questi sono: il Parco Urbano a nord, le grandi infrastrutture e gli insediamenti industriali a ovest, la massiccia espansione residenziale di via Bologna a sud, gli insediamenti

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

residenziali discontinui tra città e campagna ad est. La cosa che ci interessa maggiormente di questi studi è il valore di connettivo che viene attribuito al verde e in particolare la necessità di sfruttare le aree dismesse tra Ferrara e Pontelagoscuro per risolvere le conflittualità tra la zona industriale e i quartieri residenziali. Con l’ingresso nel gruppo di consulenti dell’architetto Cervellati cambia radicalmente l’impostazione dei lavori. Viene data una grande importanza ai segni naturali ed antropici del territorio, quali il sistema idrico di fiumi e canali, il reticolo agricolo delle coltivazioni, le caratteristiche geomorfologiche del suolo. Vengono condotti studi per quantificare il rischio di esondazioni, allagamenti e inquinamento delle falde. La cosiddetta addizione verde diventa elemento strutturante del paesaggio urbano, grazie alla sua capacità di unificare i sistemi del centro storico, i centri minori e le parti di città considerate finora periferiche. Si ribadisce la vocazione a parco dell’area a nord, si limita l’espansione ad est e si spinge verso la conservazione di quelle aree agricole che arrivano a ridosso della cinta muraria addirittura “rafforzando la loro fisionomia mediante la presenza di baluardi che, circoscrivendo il già costruito permettono il disegno definitivo della forma di questa zona della città. Qui la città si conclude.” (2)

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1. La vocazione paesaggistica

Al termine di questo excursus, risulta evidente come i temi del verde, del trattamento delle aree vuote all’interno delle mura, del rapporto tra città e campagna e tra nucleo storico e centri del forese, siano stati centrali nei dibattiti che hanno guidato la formazione dei vari piani urbanistici fino agli anni ’90. E lo sono tutt’ora, alla luce dei nuovi strumenti urbanistici previsti a seguito della Legge Regionale n°20/2000. Nel prossimo capitolo vedremo cosa prevedono i piani vigenti in materia di spazi aperti e sistema ambientale e, più nello specifico, riguardo l’area oggetto di questo studio.

1.2 Gli strumenti per la tutela. I nuovi strumenti urbanistici, introdotti dalla Legge Regionale n°20/2000 e attualmente in vigore, pongono molta attenzione riguardo il tema della tutela del paesaggio e della sua valorizzazione. Inoltre, l’area del Parco Urbano è inserita in un sistema ambientale più vasto e viene riconosciuto come elemento di interesse paesaggistico. Nel PTCP, il Piano territoriale di coordinamento provinciale, troviamo disposizioni per quanto riguarda la tutela del sistema delle acque. La provincia di Ferrara è caratterizzata da numerosi canali che scorrono più o meno paralleli al Po, dall’entroterra al mare. Analizzeremo più avanti la morfologia di questo sistema,

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

invasi ed alvei dei corsi d’acqua zone di tutela dei caratteri ambientali di laghi bacini e corsi d’acqua zone di tutela dei corpi idrici superficiali e sotterranei aree di vulnerabilità idrogeologica zone di salvaguardia, riqualificazione tutela della costa e dell’arenile

PTCP - La tutela delle acque e della costa.

qui ci basterà richiamare l’attenzione dei piani urbanistici al tema. Nel PTCP sono individuate le aree di tutela dei corpi idrici, delle coste e le aree di vulnerabilità idrogeologica. La REP, rete ecologica provinciale, individua i nodi esistenti nel territorio e ne prevede altri di completamento. In particolare, notiamo la volontà di rafforzare il sistema verde delle mura per far diventare Ferrara stessa un nodo ecologico. I nodi sono connessi dai corridoi ecologici, primari e secondari. I corridoi si sviluppano principalmente lungo i canali e i fiumi - il Po, il Volano, il Reno, il

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1. La vocazione paesaggistica

nodi ecologici esistenti nodi ecologici di completamento corridoi ecologici primari corridoi ecologici secondari aree di interesse paesaggistico

PTCP - La rete ecologica provinciale.

Primaro e il Cavo napoleonico - grazie alla vegetazione riparia. E’ importante ribadire l’importanza di questi corridoi, messi a repentaglio dalla presenza di aree industriali e nuovi insediamenti urbani che spesso, sviluppandosi proprio lungo i corsi d’acqua, compromettono la ricca vegetazione riparia, elemento prezioso di biodiversità. Nel PSC, il Piano Strutturale Comunale, vediamo la parte relativa al sistema ambientale dove troviamo delle aree definite “città verde”. Sotto questa dicitura rientrano delle aree anche molto differenti tra loro, unite dalla volontà di creare

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

“città verde” aree agricole Parco Bassani aree agricole di cintura aree agricole del forese aree di mitigazione e compensazione ambientale alvei dei corsi d’acqua idrografia storica e dossi

PSC - Il sistema ambientale

un sistema di connessione degli spazi aperti per aumentare il livello della qualità urbana. Segnate con questa campitura troviamo il sistema verde delle mura, il Parco “G. Bassani”, le aree dismesse del Parco Urbano, e tutti quegli spazi agricoli minuti rimasti imbrigliati nella maglia delle espansioni urbane. In particolare notiamo una grande area a sud, compresa tra l’abitato di via Bologna e l’areoporto, che ambisce a diventare “Parco Sud”. Possiamo leggere 108


1. La vocazione paesaggistica

Nodi ecologici preval. terrestri (esistenti) preval. terrestri (progetto) preval. acquatici (esistenti) preval. acquatici (progetto)

PSC - La rete ecologica

Corridoi ecologici terrestri acquatici aree di appoggio terrestre connettivo ecologico diffuso

in questa mappa la volontà di completare il sistema di spazi aperti attorno alla città storica che dia respiro e doni qualità urbana alle espansioni periferiche. L’indirizzo è confermato anche nella tavola in cui viene individuato il sistema ecologico comunale, dove si individuano i nodi ecologici, rappresentati proprio dalle aree della “città verde”, e i corridoi ecologici, anche qui rappresentati da fiumi e canali, ma anche aree boscate e strade alberate e filari agricoli. 109


Seconda parte / Ferrara e il Barco

siti Unesco aree tampone

Ferrara città patrimonio dell’umanità UNESCO.

parco del Delta SIC/ZPS ZPS SIC

I siti Natura 2000 e il Parco del delta.

110


1. La vocazione paesaggistica

Viene sottolineata l’importanza delle aree agricole periurbane, segnate come connettivo ecologico diffuso (abbiamo già avuto modo di ragionare riguardo il valore ecologico dell’attività agricola). Concludiamo questo excursus segnalando altri riconoscimenti di valore del territorio ferrarese. Non dimentichiamo infatti che non solo l’intera città di Ferrara ma molte aree del territorio fino al delta del Po - che a sua volta è Parco Regionale - sono state dichiarate sito Unesco. Troviamo infine i siti Natura 2000, le SIC, siti di interesse comunitario, e le ZPS, zone di protezione speciale.

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capitolo 2

Dal Barco al Parco

Canale Conca 2014



2. Dal Barco al Parco

2.1 Il perché di una permanenza. Il Parco Urbano, area oggetto della presente tesi, è un’area di circa 1300 ettari che si estende dalle mura nord di Ferrara fino all’argine del Po, caratterizzata principalmente da campi agricoli. Nella parte bassa, troviamo il Parco “G.Bassani”, un’area attrezzata, con laghetti e aree per la sosta, che, per assimilazione, viene chiamata comunemente Parco Urbano. Sempre a sud sono localizzati degli impianti sportivi (un campo da golf, un campo da rugby, delle piscine) e alcuni circoli ricreativi, mentre più all’interno troviamo un depuratore delle acque, due canili, un’area di addestramento per cani, una ex discarica di detriti e l’area dell’ex zuccherificio SFIR. Sostanzialmente ci troviamo di fronte ad un paesaggio periurbano, in cui, cioè coesistono forme proprie della campagna, della città e dell’industria. Torneremo più avanti ad analizzare la conformazione del Parco e le attività in esso ospitate. In questo capitolo, invece, tratteremo di come sia stato possibile preservare il territorio del Parco dall’edificazione, nonostante la sua vicinanza al centro storico. La Variante del PRG del 1977 ha vincolato l’area grazie ad un’illuminata amministrazione e alle pressioni di Italia Nostra e dell’allora Presidente Giorgio Bassani, e quindi non è difficile spiegare perché da quel momento sia rimasta a destinazione agricola, fatta eccezione ovviamente per le sopracitate aree

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

Lo sviluppo di Ferrara. VII-VIII sec.

VIII-XII sec.

castrum e borgo di San Giorgio

città fluviale, Cattedrale (1135)

1159 Rotta di Ficarolo

1239 Gli Este a Ferrara

XIV sec.

145

addizione di Niccolò II, Castello (1385)

addizione di Bor

Francolino S.M.Maddalena Pontelagoscuro

castrum Quacchio San Giorgio

industriali e logistiche. Ma cosa è successo prima di questa data? Cosa era prima il Parco Urbano? Il Parco Urbano in epoca rinascimentale era il Barco: la riserva di caccia dei signori di Ferrara, gli Estensi, la cui istituzione risale al 1471. Tuttavia, la delimitazione dell’area, anche se non ancora a livello formale, può essere fatta risalire a qualche secolo prima, quando a seguito della rotta di Ficarolo, il Po smette di scorrere lungo la Ferrara medievale e si sposta più a nord, nei pressi

116


51

rso

2. Dal Barco al Parco

1471 istituzione del Barco di caccia

1492 addizione erculea

1597 Ferrara torna al Papato

XVII-XIX sec.

fine ‘800

fortezza papale, espansione dei borghi

abbattimento della fortezza

San Luca

Quacchio San Giorgio

di Santa Maria Maddalena, Pontelagoscuro e Francolino. In questo modo tra Ferrara e il Po viene a trovarsi proprio quel territorio che diventerà Barco di caccia, e poi Parco Urbano. La città medievale si sviluppava lungo il fiume e, anche dopo lo spostamento del Po, continuò ad espandersi linearmente lungo il Volano. I collegamenti verso nord erano costituiti dalla strada per Pontelagoscuro e da quella per Francolino, i due porti fluviali sul Po. Successivamente con la perdita di importanza di Francolino,

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

L’addizione erculea

Secondo la lettura di Bruno Zevi, Biagio Rossetti ebbe la precisa intenzione di sovradimensionare l’addizione per contenere lo sviluppo della città nei secoli successivi. Inoltre progetto dei terrapieni a ridosso delle mura per impedirne la vista dall’interno.

Carta topografica di Ferrara del 1850 - Nel 1850 gli spazi

Carta topografica di Ferrara del 1850 - Nel 1850 gli spazi vuoti dell’addizione erculea sono ancora molti, mentre sono già presenti i sobborghi all’esterno della cinta muraria.

vuoti dell’addizione erculea sono ancora molti, mentre sono già presenti i sobborghi all’esterno della cinta muraria.

Le mura - Il graduale dislivello del terreno a ridosso delle mura le rende invisibili all’interno. Oggi i terrapieni sono stati in molti punti rimossi per la creazione di nuove strade.

fu il collegamento con Pontelagoscuro a rafforzarsi, potendo contare sia su una strada che sul Canale Panfilio. In ogni modo, ecco che vengono definiti anche i margini est ed ovest del Parco, la cui forma si conserverà pressocchè inalterata fino ai giorni nostri. Nel rinascimento, dunque, il Barco è riserva di caccia del Duca, quindi una sorta di area protetta, ma anche dopo la caduta degli Estensi, quando Ferrara torna sotto il diretto controllo dello Stato Pontificio e il Barco viene diviso tra tanti proprietari terrieri, continua ad essere risparmiato dall’edificazione. Questo

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Le mura

del terren rende inv terrapieni rimossi pe strade.


2. Dal Barco al Parco

cia

ale area del o di caccia auna e a delimitata ad io che da ontelagoscuro, o, e ad est dalla

Francolino Pontelagoscuro

canale Panfilio

strada per Francolino

Canale Panfilio l’odierna strada forte al di là del l’attuale area altri canali e le utt’ora presenti a.

Catasto Carafa - Il Canale Panfilio seguiva il tracciato dell’odierna strada per Padova, un segno forte al di là del quale si è sviluppata l’attuale area industriale. Anche gli altri canali e le strade sono segni tutt’ora presenti nella topografia dell’area.

accade per diversi motivi. Principalmente, fino alla fine del XIX secolo, Ferrara non avrà bisogno di espandersi fuori dalle mura, grazie alla grande quantità di aree disponibili all’interno di esse. Biagio Rossetti, infatti, quando nel 1492 fu incaricato di pianificare lo sviluppo della città e progettò quella che va sotto il nome di addizione erculea, aumentò di più del doppio la superficie della città, tracciando una griglia razionale di strade e un nuovo circuito murario a nord dell’abitato antico, che finiva con gli attuali Viale Cavour e Corso della Giovecca. Quest’area

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francolino

PADOVA S. MARIA MADDALENA

la città antica primi del ‘900 1923-1946 1946-1960 anni ’60 oggi

Pontelagoscuro

canale Boicelli

Malborghetto

COMACCHIO BOARA MANTOVA MODENA POROTTO stazione ferroviaria

BAURA TRESIGALLO MARE

darsena

castrum borgo di san luca quacchio

BAURA TRESIGALLO LIDI

san giorgio LIDI

BOLOGNA

RAVENNA


2. Dal Barco al Parco

fu decisamente sovrastimata o, come sostiene convintamente Bruno Zevi, fu precisa volontà di Rossetti quella di tenere lontano l’abitato dalla cinta muraria. Le strade dell’addizione, infatti, si interrompono tutte molto prima di raggiungere le mura a nord - ad eccezione di via degli Angeli - e da questo disegno scaturisce una sorta di buffer zone a destinazione agricola, che si è in parte conservata fino ai giorni nostri. La volontà di distanziare l’abitato dalle mura e di eliminare la percezione di queste ultime da parte dei cittadini è dimostrata anche dalla progettazione dei terrapieni a ridosso della cinta, terrapieni che, aumentando gradualmente di livello, accompagnano la vista dell’osservatore annullando la sensazione di chiusura. La presenza di questa area “cuscinetto”, ma anche il fatto che non esistevano delle polarità da raggiungere al di là di Porta degli Angeli, fanno sì che le mura a nord rimangano invalicate. I principali collegamenti con il nord, infatti, passano ai lati del Parco, non attraverso di esso. Quando la città comincerà ad espandersi fuori dalle mura non lo farà per indisponibilità di spazi interni, ma per il subentrare di nuove necessità, come la localizzazione di aree industriali, di quartieri operai e di insediamenti funzionali ai collegamenti con gli altri centri urbani. Ferrara si espanderà per direttrici, le più importanti delle quali sono sicuramente

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

quella a nord per Pontelagoscuro e Padova, e quella a sud per Bologna. Abbiamo inoltre direttrici minori, ma comunque determinanti per lo sviluppo della città, che sono quelle ad ovest per Mantova e Modena, ad est per Copparo e i lidi e ancora a sud per Argenta e Ravenna. Nessuna direttrice attraversa l’area del Parco. In particolare è lungo la direttrice per Pontelagoscuro che si decide di localizzare le prime aree industriali all’inizio del ‘900, aree che si espandono in epoca fascista e dopo la seconda guerra mondiale, in seguito alla creazione dei primi quartieri operai. Nasce così il quartiere Barco, il cui disegno segue il tracciato storico del canale Panfilio, ora sede della linea ferroviaria e di via Padova. Lo stesso tracciato funge da matrice anche per la nuova Pontelagoscuro, ricostruita più a sud dopo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Si affaccia negli anni ‘50 l’idea di pianificare un’espansione all’interno dell’area del Parco ma, forse grazie allo spostamento della linea ferroviaria - retificata e traslata ad est di Pontelagoscuro e Barco - l’ipotesi viene presto abbandonata. A seguito di queste vicissitudini, l’area del Parco si conserva fortuitamente fino agli anni ‘60 del Novecento. Ed è proprio in questo periodo che comincia a farsi largo l’idea che l’area deve essere preservata attivamente, che se era un caso che fosse giunta intatta fino a quel momento, ora doveva essere una precisa volontà quella di difenderla dall’edificazione.

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2. Dal Barco al Parco

San Giorgio Primo insediamento della città di Ferrara. Si sviluppa all’altezza della biforcazione tra Po di Volano e Po di Primaro prima ancora del castrum. Il sobborgo si espande notevolmente nel ‘900.

Pontelagoscuro Probabilmente separata da Santa Maria Maddalena in seguito alla Rotta di Ficarolo, diventa porto fluviale. Completamente distrutta durante la seconda guerra mondiale viene ricostruita più a sud .

Ferrovia Risale al 1871, il tracciato ferroviario segue inizialmente quello del Canale Panfilio, ormai interrato, per poi essere spostata più ad est negli anni ‘60. Canale Boicelli Progettato dall’ingegner Boicelli nel 1914 il canale mette in comunicazione il Po con il Volano. Lungo di esso si sviluppano in epoca fascista i primi insediamenti industriali, perde pian piano importanza a vantaggio di Pontelagoscuro.

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

2.2 L’addizione verde. Quale futuro per il Parco Urbano? Come già evidenziato percorrendo le tappe della pianificazione ferrarese, nel 1977, in occasione della Variante al Piano Regolatore, l’area del Parco Urbano viene perimetrata e posta sotto vincolo di inedificabilità. Importantissimo per il raggiungimento di questo traguardo è stato il contributo di Italia Nostra ed in particolare delle figure di Giorgio Bassani e Paolo Ravenna. Si deve a quest’ultimo la definizione di Addizione verde, che sta a indicare l’importanza del sistema di spazi aperti delle mura e del Parco Urbano nell’evoluzione urbanistica della città di Ferrara. Così come in passato questa si è espansa attraverso successivi ampliamenti - il più celebre dei quali viene riconosciuto come il primo piano urbanistico moderno d’Europa - così ora la necessità diventa quella di evolvere la città, utilizzando come materia prima lo spazio aperto. Nel 1978, Paolo Ravenna e Giorgio Bassani presentano attraverso un corposo reportage fotografico lo stato di conservazione delle mura storiche e dichiarano la necessità del loro recupero. Viene posta l’attenzione anche sul Parco Urbano, per la cui valorizzazione non può bastare la semplice apposizione di un vincolo di inedificabilità. Negli anni ‘80 hanno luogo così gli interventi per il recupero delle aree verdi

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2. Dal Barco al Parco

a ridosso delle mura, fino ad allora dimenticate. Parallelamente ci si adopera anche per rendere fruibilie la parte a sud del Parco Urbano, quella di proprietà pubblica. Non furono necessari grandi interventi, bastò renderla accessibile al pubblico - come ricorda Andrea Malacarne nel numero de I nuovi quaderni di Italia Nostra, dedicato a Giorgio Bassani - per rendersi conto dell’interesse dei ferraresi per quello spazio. “In particolare fu immediatamente vissuto e percepito, nonostante la mancanza di un collegamento diretto adeguato, come la naturale prosecuzione del meraviglioso anello verde che veniva in quegli anni restituito alla città assieme al restauro delle Mura”. (2) Così, nel 1996, per iniziativa dell’Assessorato all’Ambiente del Comune viene avviato il Progetto di Tutela e Valorizzazione dei beni culturali ed ambientali del Parco Urbano di Ferrara, un progetto semplice, ma intelligente, che ribadisce l’importanza di rendere fruibile l’area senza bisogno di grandi opere. Al Parco, che è un parco-campagna, vengono attribuite finalità ecologiche, ricreative, produttive e culturali che devono essere messe in relazione e sviluppate con attività compatibili. Si è consapevoli del fatto che la maggior parte delle aree è di proprietà privata, ma questo non viene visto come un ostacolo alla realizzazione del progetto. In particolare, viene data importanza al sistema dei percorsi. Ne viene previsto

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

uno perimetrale di 13km che connetta tutti i sobborghi periferici alla città e costituisca il completamento del percorso di 9km delle mura. Viene individuata, inoltre, la necessità di avere collegamenti interni, sia in direzione sud-nord, dalle mura nord al Po, sia in direzione est-ovest, lungo i canali Bianco e Conca. Di questo progetto saranno realizzati solo alcuni interventi, tra cui la pista ciclabile lungo via de’ Calzolari e il sottopasso ferroviario. Carlo Magnani, in un intervento a proposito del Parco Urbano, afferma che bisogna dimenticarsi del concetto di parco che abbiamo avuto finora. Parco non deve essere una semplice area verde attrezzata, ma qualcosa di più articolato. Possiamo ricondurci al sopracitato concetto di “città verde”, definizione che abbiamo incontrato nel PSC, un sistema cioè che eviti visioni frammentarie. L’ostacolo principale alla realizzazione di un progetto completo per il Parco probabilmente sta proprio nella difficoltà di conciliare questa istanza di unitarietà, che garantisca un’integrità dal punto di vista della tutela e del valore, con la diversificazione degli spazi e delle esigenze dei cittadini. Di questa complessità si ha subito consapevolezza, fin dal primo progetto per il Parco, redatto da Carlo Aymonino nel 1981. Il progetto parte da una scrupolosa analisi territoriale, in cui vengono fatte emergere le caratteristiche del territorio. Siamo in presenza di un paesaggio prevalentemente agricolo, ma con una forte

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2. Dal Barco al Parco

potenzialità di integrazione con il sistema urbano. Tra le criticità che Aymonino individua vi è in primo luogo l’evidente frattura tra città e campagna, caratteristica certamente non esclusiva di questo territorio, ma tematica propria dei luoghi della contemporaneità. Più nello specifico, egli segnala un problema di disconnessione tra Porta degli Angeli e Parco Urbano e tra lo stesso e gli abitati di Barco e Pontelagoscuro. A tal proposito egli suggerisce la possibilità di integrare nel perimentro del Parco anche quelle aree residuali tra i suddetti sobborghi e la linea ferroviaria, rimasti intrappolati all’epoca dello spostamento dei binari e ormai privi di relazione con il contesto. Le linee del progetto possono essere riassunte in alcuni punti. Come prima proposta abbiamo quella di adibire la parte a nord delle mura ad attività ed impianti sportivi, proposta che ha trovato attuazione. Si propone inoltre di incentivare la vocazione turistica delle aree adiacenti al Po, e la possibilità di inserire attività quali la pesca, la balneazione, l’equitazione, oltre a una miglior valorizzazione dell’Isola Bianca, tutt’ora sottoutilizzata. Fin da questo progetto è chiaro, tuttavia, che la principale vocazione del Parco Urbano è quella agricola e che non bisogna trascurare le istanze produttive. A riguardo, Aymonino suggerisce delle linee guida per la corretta riconversione

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

delle corti rurali, importante elemento del paesaggio agricolo ferrarese. Non si può di certo pensare di cristallizzare la forma delle corti, rendendole quindi inutilizzabili. Anzi, per sua stessa identità storica, la corte agricola ferrarese è mobile, cangiante. Per quanto riguarda l’uso abitativo, quindi, il parere di Aymonino è che gli edifici che compongono la corte possano essere adeguati funzionalmente, salvaguardandone la struttura volumetrica e tipologica. Invece, per quanto riguarda la destinazione produttiva si suggerisce la costruzione di

nuovi edifici indipendenti da giustapporre ai preesistenti andando ad arricchire lo schema della corte. Il progetto di Aymonino, se da un lato si dimostra molto attento al contesto, dall’altra forse perde qualche punto per l’eccessiva previsione di aree costruite. C’è chi, come Ippolito Pizzetti, preferirebbe un progetto più paesaggistico e meno architettonico, o chi sottolinea che non è con l’introduzione di attività sportive che si dà significato ad un’area così particolare.

128


2. Dal Barco al Parco

Alla base di questi ragionamenti c’è sicuramente il discorso relativo a cosa è principalmente il Parco Urbano, cosa può ambire a diventare e in cosa deve sostanziarsi il concetto di Addizione verde, per essere realmente attuativo e portatore di qualità urbana. L’area in questione si chiama, è vero, Parco Urbano, ma, ribadiamo, non è un parco in senso classico, poichè troppo vasto e principalmente in mano a privati. Non può essere di certo essere considerato un parco naturalistico, o meglio, non solo. Non è neanche semplicemente un’area agricola, altrimenti non si spiega il perché di tanto interesse. L’interesse è dato proprio dal carattere periurbano dell’area, il fatto di essere territorio di passaggio, emblema della città diffusa, commistione di forme proprie della città e forme proprie della campagna. Insomma, un’apparente caos dal quale, però, si può ripartire per costruire un nuovo ordine. Stiamo analizzando in pratica quello che in teoria abbiamo studiato nella prima parte del presente lavoro: il paesaggio è polisemico, può essere caricato di significati differenti a seconda dell’ottica in cui lo guardiamo. Tuttavia abbiamo visto che è possibile unificarlo nell’accezione di paesaggio-teatro, cioè contemporaneamente scenario della nostra azione e oggetto del nostro agire. Se è vero che ci sembra di non comprendere i paesaggi contemporanei, è perché dobbiamo fermarci a osservarli nel loro complesso, riconoscerne le parti

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

generate da differenti pratiche progettuali e da diverse esigenze trasformative e riflettere su come ripensare la rete di relazioni. Come afferma Romeo Farinella nell’intervento Il progetto dello spazio aperto nei territori della diffusione urbana (2) la “discontinuità può essere progettata [...] i luoghi naturali e i luoghi urbani si relazionano nel formare una complessa struttura insediativa a partire dalla chiarezza dei propri limiti, dei propri caratteri peculiari, delle loro reciproche relazioni. [...] Il sistema è quindi un’unità complessa che presenta caratteri di omogeneità e di identificazione, se considerato come tutto, ma che associa al suo interno diversità e molteplicità derivanti dalla natura delle parti costituenti e dalle loro interrelazioni”. Da questo capiamo come la dicotomia, tanto citata anche nel presente lavoro, città-campagna comincia a starci stretta poiché ormai troviamo ovunque frammenti urbani nelle campagne e vuoti rurali dentro (come nel caso di Ferrara) o a ridosso delle città e non ha più senso pensare di scindere questi paesaggi. Sarebbe piuttosto naif pensare di riprodurre “tessuti urbani preindustriali” e “villaggi pittoreschi”, sistemi puri alla ricerca di una coerenza che non può essere recuperata se non intervenendo dall’interno, valorizzando proprio la discontinuità. In conclusione, abbiamo bisogno di un progetto che sia al tempo stesso urbanistico e di paesaggio, che sappia evidenziare le discontinuità, reinventare

130


2. Dal Barco al Parco

le relazioni tra le parti e lavorare sui margini, e che trovi la sua forza proprio nella successione di differenti identità, nelle gerarchie e nelle pause. Un ultimo spunto di riflessione ce lo fornisce il progetto di Joao Nunes, nel quale si punta l’accento sul ripensamento della funzione produttiva. Egli infatti, molto sensibile al tema del valore agronomico, propone di reintrodurre delle specie colturali desuete, come motore per la trasformazione in positivo del paesaggio e dell’economia locale. Alla luce di queste riflessioni preliminari, possiamo passare ad analizzare più nello specifico la morfologia del Parco Urbano, le sue caratteristiche fisiche, per poi vedere da vicino in cosa si esplicita concretamente il suo essere spazio periurbano.

NOTE: (1) Marangoni B., Marchigiani E., Ferrara. I piani 1870-1995, RAPU Preprint, 2003. (2) Malacarne A., Il parco urbano “Bassani” e l’Addizione verde, in AA.VV., Ferrara: dalla Addizione Erculea alla Città-Parco. Osservazioni al Progetto preliminare di PRG del Comune di Ferrara, Ferrara, Tipografia Artigiana di F.&M. Dasi/ Italia Nostra-Sezione di Ferrara, 1990. (3) Farinella R., Il progetto dello spazio aperto nei territori della diffusione urbana, in Pizzetti I., Alberti F., L’addizione verde. Leggere e progettare il paesaggio per il parco urbano di Ferrara, Ferrara, Corbo Editore, 1997.

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capitolo 3

Analisi territoriale

Pioppeto lungo l’argine del Po 2014


DESTRA PO

Francolino

S.M.Maddalena

ROVIGO PADOVA strada statale

PADOVA ferrovia

Isola Bianca

DESTRA PO

VALLELUNGA strada locale

Ex zuccherificio SFIR

Pontelagoscuro

RO

Impianto di depurazione Barco

Polo chimico

Malborghetto nuova

Ex discarica di detriti

FERRARA NORD uscita A13 Bologna-Padova

Parco “G.Bassani”

Malborghetto vecchia

Impianti sportivi

COPPARO strada provinciale 8

MODENA strada provinciale

Gli orti dentro le mura

Stazione ferroviaria

Il castello

La città murata Il sistema delle mura

Via Bologna - Foro Boario BOLOGNA ferrovia

LIDIPOMPOSA FERRARESI strada provinciale

BOLOGNA uscita A13 Bologna-Padova

Quacchio BOLOGNA uscita A13 Bologna-Padova

Via Comacchio - Villa Fulvia CONA OSPEDALE metro superficie

RAVENNA strada statale

CONA OSPEDALE

0 200m

1km


m

3. Analisi territoriale

3.1 Introduzione. Non possiamo parlare di Parco Urbano senza considerarlo parte del sistema della città di Ferrara e dele sue espansioni periferiche, proprio in virtù del suo carattere periurbano. La nostra area di analisi, quindi, ci presenta situazioni molto diverse tra loro, passando dal centro cittadino, ai sobborghi, ai parchi urbani, alle aree agricole, fino a toccare i centri abitati del forese. Abbiamo già dichiarato la volontà di mettere in relazione queste diverse situazioni

La popolazione.

12% 16.000 studenti 135.000 abitanti

Gli spazi aperti

100 ha

70%

spazi aperti della città storica 14% 70 ha sistema verde delle mura 16% 16 ha altri spazi verdi attrezzati 14 ha aree agricole interne

135


Seconda parte / Ferrara e il Barco

Padova

Bondeno

Ro Tresigallo Copparo

A13 Bondeno Cento Modena Mantova

raccordo autostradale Bologna

Comacchio

Argenta Comacchio

Ravenna

Le principali infrastrutture del territorio comunale Il percorso del corridoio n.8 dell’Eurovelo Ferrara è una delle città europee con la più alta percentuale di utilizzo di biciclette. Nel 2000 raggiungeva il 30,9% contro il 30% di Copenhagen e il 27,8% dell’Olanda. Consapevole di questa vocazione, Ferrara ha aderito alla rete europea Cities for Cyclist ed è una delle tappe del corridoio EuroVelo numero 8, quello che da Cadice arriva ad Atene. Grande è l’attenzione quindi per le piste ciclabili sia cittadine che di tipo naturalistico e negli strumenti di 136

Ferrara

Mantova Venezia Trieste Piacenza Nizza Barcelona Valencia Cadice

Malaga Almeria

Marsiglia

Monaco

Dobrovnik Tirana


3. Analisi territoriale

Padova Padova Padova Bondeno

Copparo A13

Codigoro

idrovia

Ferrara

E55

Modena Mantova

raccordo autostradale

Cento

Comacchio Bologna Argenta

infrastrutture principali infrastrutture di progetto ferrovia idrovia

Ravenna

Ravenna

Le principali infrastrutture del territorio provinciale

Mesola Copparo

Bondeno

Ferrara

Atene

Berra

Ro

Stellata

Goro Gorino

piano comunali sono previsti ulteriori ampliamenti. In particolare, merita attenzione il tratto di pista denominato Destra Po che da Stellata giunge fino al Delta (Gorino ferrarese). Questa pista costeggia tutto il margine nord del Parco Urbano e diviene quindi importante integrarlo con gli altri elementi del progetto.

137


Seconda parte / Ferrara e il Barco

Il territorio del Parco Urbano. 8%

6% 2%

1.300 ha totale Parco Urbano 84%

1.100 ha aree agricole 1.200 ha aree vincolate 100 ha Parco Bassani 75 ha aree dismesse 25 ha impianti tecnici

argine del Po

ferrovia

via dei calzolari via della canapa 0,5km

Le funzioni del Parco

1km

01. Teatro Julio Cortazàr. 02. Casa Lea 03. Circolo dei canottieri 04. Agriturismo e Centro cinofilo 05. Lega del cane 06. Canile e gattile municipale 07. Opera Pia 08. Biblioteca 09. Centro sociale anziani 10. Azienda agricola Castellina 11. B&B Locanda del Re Sole

12. Agriturismo Il Barchetto 13. Campagna Amica. 14. Istituto Agrario e Fond. Navarra 15. Centro di riabilitazione ANFFAS 16. Centro sportivo universitario 17. Camping. 18. Centro ricreativo per anziani 19. Casa del Boia 20. Agriturismo 21. Terraviva bio

usando gli spazi aperti come tessuto connettivo. Le aree verdi che prenderemo in considerazione vanno da quelle più minute e di carattere più urbano a quelle più estese di carattere territoriale. Gli spazi aperti della città storica sono principalmente costituiti dall’anello verde delle mura, ma anche da alcune aree agricole interne e dai parchi cittadini, molti dei quali di grande valore storico.

138


3. Analisi territoriale

1100 ha aree agricole 15% Parco Urbano

02

4400 ha totale aree agricole periurbane

03

01

04

sportivo sociale agricolo

05 08 07 09

10 11 12 15 18

Le attività

turistico

06

13

culturale 14

16 17 19 20 21

Il Parco nel sistema agricolo periurbano

ll Parco Urbano si sviluppa tra le mura nord e l’argine del Po, è delimitato ad est da via della Canapa e dalla linea ferroviaria Bologna-Padova, e ad ovest da via dei Calzolari, la strada per Francolino. Al suo interno trovano posto principalmente aree agricole (84%), ma anche la già citata area del Parco “G. Bassani”, un impianto di depurazione e le aree dell’ex zuccherificio SFIR e dell’ex discarica di inerti. All’interno del Parco e nelle aree limitrofe troviamo una varietà di servizi.

139


Seconda parte / Ferrara e il Barco

Le attività sportive sono concentrate nella parte a sud, troviamo inoltre diversi agriturismo, due canili, spazi per attività ricreative per anziani e bambini. Le attività di tipo culturale solo legate perlopiù ai centri abitati limitrofi, e in generale la concentrazione maggiore di servizi si ha nelle aree di contatto con la città, restando l’area interna del Parco a vocazione principalmente agricola. Le aree agricole del Parco Urbano possono essere considerate parte di un sistema più vasto di aree agricole periurbane che forma un anello intorno a Ferrara e ai suoi sobborghi.

3.2 Idrografia. In questa analisi troveremo dei caratteri di analogia tra l’area di studio e il territorio comunale. Questo perché l’intero Comune di Ferrara appartiene, così come il Parco Urbano, a quelle che vengono definite terre vecchie, quelle terre, cioè, in cui già da tempo sono state effettuate opere di bonifica e in cui, quindi, la gestione delle acque è demandata ad una rete consolidata di canali. Le terre nuove, invece, sono quelle che hanno conosciuto opere di bonifica solo a partire dal 1870 e corrispondono a quelle aree della provincia ferrarese più prossime al mare. Il sistema dei canali che scorrono lungo la provincia ferrarese, è organizzato in

140


fiume Po

fossa Lavezzola

canal Bianco

canal Conca

canale Boicelli

canale Gramicia

fiumi canali principali canali secondari Po di Volano

bacini argine 0 200m

1Km


Seconda parte / Ferrara e il Barco

15 14 13 12 11 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0

Po di Volano

castello

msl

direzione pi첫 o meno parallela rispetto al Po, ma sono presenti anche alcuni canali trasversali che connettono alcuni invasi in direzione nord-sud. Nella nostra area di studio troviamo, in senso longitudinale, la fossa Lavezzola, il canale Bianco, i canali Conca e Conchetta, il canale Gramicia, il canale di Burana e il Po di Volano. Il canale Boicelli, invece, collega da nord a sud il Po

142


3. Analisi territoriale

po A’

fossa lavezzola

canale boicelli canal bianco canale conca canale gramicia

canale di burana po di volano A

ex discarica

argine fiume Po 15 m 10 m 5m 0m -5 m

con il Volano. Dal punto di vista orografico, abbiamo una sezione altimetrica decrescente a mano a mano che dall’entroterra ci si avvicina al mare. La sezione in direzione nord-sud della nostra area di studio ci mostra un territorio pressocchè pianeggiante, con una leggera depressione proprio in corrispondenza delle aree

143


Seconda parte / Ferrara e il Barco

agricole del Parco Urbano, in cui gli unici dislivelli degni di nota sono l’argine del Po e la collinetta della ex-discarica. 3.3 La vegetazione. Anche qui gli elementi vegetali individuati nel Parco corrispondono a quelli rintracciabili più in generale nel territorio comunale. Questa analogia, che come vedremo sarà confermata anche nel caso del paesaggio agricolo, ci porta a definire il Parco Urbano come parte integrante di un sistema territoriale più ampio. Il paesaggio che ci troviamo di fronte è, come abbiamo visto, dominato da fiumi e canali, per cui individuiamo una forte presenza di vegetazione riparia che si sviluppa lungo le aree golenali e lungo gli argini. Abbiamo individuato, poi, masse arboree, filari urbani e strade alberate e, infine, filari agricoli. Questi ultimi sono decisamente meno presenti nel territorio rispetto al passato, quando i margini dei campi erano molto più spesso scanditi da elementi vegetali. Le masse arboree principali si sviluppano in corrispondenza degli spazi aperti urbani, sia semplici aree verdi di quartiere, sia parchi più strutturati. Per quanto riguarda l’area del centro cittadino, l’area in cui evidenziamo più vegetazione è sicuramente quella dell’anello delle mura, ma anche il quadrante nord-est,

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vegetazione riparia masse alberate pioppeti filari urbani strade alberate filari agricoli spazi aperti attrezzati aree agricole aree protette

0 200m

1Km


Seconda parte / Ferrara e il Barco

20m 10m 0m

acero cam

20m 10m 0m

salice pian vegetazione riparia masse alberate

30m

pioppeti

20m

filari urbani

10m

strade alberate filari agricoli

0m

alberi isolati

quello comprendente la Certosa, il Cimitero ebraico, Parco Massari e gli orti dentro le mura. Incontriamo numerosi filari urbani e strade alberate. Le specie pi첫 diffuse per questo tipo di sistemazione sono i faggi, i platani, i tigli, mentre nelle aree agricole dominano i pioppi e altre specie pi첫 inclini agli ambienti umidi.

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plata


mpestre

ngente

ano

3. Analisi territoriale

carpino

gelso

olmo campestre

Vegetazione riparia

robinia

pioppo nero

pioppo bianco

Residui di filari interpoderali

tiglio

faggio

farnia

Percorso ciclabile e strada alberata

Trattando del Parco Urbano non possiamo infatti non fare riferimento a quello che è piÚ in generale il paesaggio agricolo ferrarese, di cui esso è parte integrante.

3.4 Il paesaggio agricolo Il modello agricolo tradizionale della campagna ferrarese.

147


cereali frutteti industriali foraggio

0 200m

1Km

scomparsi


3. Analisi territoriale

In questa breve analisi dell’agricoltura storica della campagna ferrarese, faremo riferimento soprattutto a quelle che vengono definite terre vecchie, quei terreni cioè ormai assestati e in cui la gestione delle acque reflue avviene tramite un sistema consolidato di canali. Infatti, nelle terre nuove, quelle create dalle opere di bonifica dei territori orientali del ferrarese a partire dal 1870, l’attività agricola si trasforma molto rapidamente già prima del ‘900, allorquando, in queste aree appena prosciugate con le macchine idrovore, comincia a concentrarsi “una massa crescente di lavoratori avventizi e giornalieri. Aziende agricole con centinaia e migliaia di ettari diventeranno alle soglie del XX secolo protagoniste assolute della vita economica, creando un conflitto sociale sempre più acuto tra un capitalismo agrario e bancario e il lavoro precario di giornalieri e braccianti, nuova classe sociale unita dalla ricerca quotidiana e disperata di occupazione. La cerealicoltura praticata su queste terre nude di case, di alberi e viti, create in breve tempo dalla bonifica sarà infatti all’origine della forte disoccupazione stagionale dei lavoratori e dei gravi problemi sociali che investiranno le campagne ferraresi nel Novecento.” (1) Nelle terre vecchie, invece, tra le quali rientra l’area oggetto della presente tesi, l’attività agricola conserva metodi e forme tradizionali fino alla metà del

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

versuro aratro

casa stalla/fienile

versuro unitĂ colturale 25 ha

servizi/porcile

La questione agraria di Pietro Niccolini

La disposizione della corte rurale ferrarese

Novecento. Il versuro. In questo tipo di paesaggio, quel processo che lega armoniosamente morfologia del paesaggio e opera dell’uomo, e che abbiamo visto essere tipico dell’agricoltura a base organica, inizia a partire dal principale strumento di lavoro: il versuro, un aratro molto robusto, appositamente pensato per lavorare

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3. Analisi territoriale

conservate trasformate in rovina

il compatto e tenace terreno delle campagne ferraresi. Data la sua robustezza e la difficoltĂ di lavorazione del terreno, l’aratro doveva essere trainato da almeno quattro, fino a otto paia di buoi. Da ciò consegue sia che la stalla doveva essere grande a sufficienza da poter ospitare un tale numero di bestie, sia che il fondo doveva assicurare loro il giusto quantitativo di foraggio, oltre al sostentamento per la famiglia contadina. Traducendo in numeri, otteniamo la dimensione

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

dell’unità colturale antica, il versuro ferrarese (proprio dal nome dell’aratro) corrispondente a circa 20/27 ettari. La famiglia colonica. Grazie ai testi degli agronomi ottocenteschi Michele Cariani e Andrea Casazza, siamo a conoscenza di quale fosse la composizione tipica della famiglia colonica ferrarese. Anche questa era una diretta conseguenza del fatto che per lavorare il terreno occorrevano almeno quattro paia di buoi e quindi, in totale, dovevano essere presenti nel fondo circa sedici bovini, di cui dieci da tiro, “due vacche fattrici, due vitelli lattanti e due vitelli di un anno.” (2) A parte la presenza occasionale di lavoratori avventizi e giornalieri, chiamati in periodi di attività intensa, la forza lavoro ottimale per la sussistenza di un podere composto da venticinque ettari di seminativo e da cinque ettari di prato era fornita da circa otto individui attivi. Di questi, un uomo e due ragazzi si occupavano delle mansioni legate ai bovini, svolgendo rispettivamente il ruolo di boaro, boarolo (addetto alla stalla) e vaccarino (addetto ai vitelli e alle vacche), mentre altri due uomini, chiamati bragliani, erano addetti ai lavori campestri. Ad una donna spettava la gestione della casa, mentre altre due figure femminili aiutavano nei campi e si occupavano dei maiali e degli altri animali domestici.

152


3. Analisi territoriale

La tipologia insediativa. La tipologia insediativa del fondo prevedeva la giustapposizione di elementi sparsi, senza un preciso schema distributivo. Le uniche costanti erano il numero degli edifici e le loro funzioni: l’abitazione, una grande stalla/fienile e un piccolo edificio per i servizi con il forno e il porcile. Probabilmente la scelta di tenere queste strutture separate deriva dalla preoccupazione che nella stalla, considerandone la grandezza, potessero svilupparsi degli incendi. A seconda del tipo di utilizzo del fondo e di eventuali frazionamenti della proprietà, lo schema originario poteva anche cambiare di molto nel tempo, ad esempio con l’introduzione di più abitazioni per i braccianti o con l’accorpamento di stalla e abitazione in un unico edificio. Il sistema produttivo. In un’azienda agricola tradizionale, si svolgevano attività di produzione, trasformazione e consumo molto più variegate di quanto non avvenga oggi. Oltre alla lavorazione della terra, infatti, ci si poteva dedicare all’allevamento del baco da seta, delle api, delle pecore, alla lavorazione del lino e della canapa, alla preparazione del pane, alla produzione degli insaccati e dei formaggi, del

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

1990 2010

burro, della ricotta e del vino. “La relativa autosufficienza dell’azienda agricola tradizionale, pur nel quadro di

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10.948 16.226

+48,% -


3. Analisi territoriale

29.316 25.060

SAU 1990 SAU 2010

-14,5 variazione

oltre 100 ha 50-100 ha 10-50 ha meno di 10 ha fondazione pubblico urbanizzabile

727 208

934 1521

7.598 4.494

9.055 4.823

298 226

-71,4% +62,8% -40,7% -46,7% -21,8%

crescenti e sempre pi첫 strette relazioni con il mercato, era anche il prodotto di un preciso equilibrio dei rapporti agronomici e delle singole funzioni fra di

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

loro. Nel corso dell’Ottocento questo equilibrio appare consolidato e assume le caratteristiche di un vero e proprio modello economico-agrario.” (3) I tipi di coltura. Fin dal Rinascimento, l’agricoltura ferrarese ruota attorno alla semina del grano; al frumento era infatti riservata non meno della metà dell’arativo. Vi erano, poi, altri tipi di cereali detti inferiori, come la segale, l’orzo, l’avena e non mancavano i legumi (fave, ceci, fagioli) e le altre colture primaverili come il lino e il sorgo. Una parte dell’arativo veniva lasciata a riposo con la tecnica delle cosiddette terre manzatiche. Elementi tipici del paesaggio erano i filari di olmi, salici, pioppi, aceri a cui venivano maritate le viti secondo varie fogge (a festone, a cavalletto, …). L’alberatura dei campi (abbragliatura), oltre a fornire sostegno vivo alle viti, era fonte di combustibile, legname da opera e, praticando la sfrondatura, foraggio per gli animali. Completavano il quadro vaste aree di prato per il pascolo e numerosi frutteti. Alla fine del Cinquecento fa il suo ingresso tra le colture tipiche il mais; più tardi subentra la canapa e con essa i maceri, grandi vasche artificiali per la lavorazione del lino e della canapa, che, con le loro siepi di recinzione e la

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3. Analisi territoriale

loro vegetazione tipica diventeranno un altro importante elemento costitutivo del paesaggio. Infine, nell’ Ottocento, arriva la barbabietola da zucchero. Alla luce di quanto descritto, capiamo come questo modello di azienda, definito

Le colture industriali: la barbabietola da zucchero.

dall’azione combinata di morfologia del suolo, forza produttiva umana, animale e biomassa vegetale, fosse un sistema che privilegiava la biodiversità, a discapito della specializzazione produttiva; esattamente l’opposto di quanto avviene oggi.

Cereali: grano.

Le colture scomparse. Abbiamo già accennato come il declino o la definitiva scomparsa di alcuni tipi di coltura sia dovuto alle leggi del mercato. Il sistema agricolo a base organica, infatti, faceva parte di un tipo di economia a ciclo

Frutteti.

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

chiuso, in cui la produzione serviva perlopiù alla sussistenza della famiglia contadina ed in minima parte veniva immessa nel mercato. Con il passaggio alla società industriale, con l’avvento delle nuove tecniche colturali, della chimica in agricoltura e di un’economia a ciclo aperto, le esigenze e lo stile di vita si sono modificati, rendendo poco convenienti quei tipi di coltura che non rispecchiano il gusto dei consumatori. Inoltre, alcuni prodotti considerati “poveri” non sono più in linea con le esigenze della società del benessere. Per quanto riguarda le colture scomparse, possiamo citare tra tutti due varietà di mela, il Campanino e il Durello, ancora presenti in un’azienda che li ha recuperati. Vi erano inoltre Azzeruoli, Corbezzoli, Cornioli, Cotogni, Gelsi, Giuggioli, Melograni, Mirabolani, Nespoli, Noci, Ribes, Sorbi.

La coltivazione della canapa. La coltivazione e la lavorazione della canapa ebbe un grande sviluppo in Italia e soprattutto nella Pianura Padana, tra il XV e il XIX, per poi subire un rapido declino. Negli anni ‘50 del precedente secolo il nostro Paese era il secondo

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3. Analisi territoriale

produttore mondiale di questa fibra tessile, mentre oggi questa coltura è praticamente scomparsa. Il territorio ferrarese è particolarmente legato a questa coltura, come dimostra anche il fatto che fu proprio un ferrarese, Girolamo Baruffaldi, a dedicare alla canapa un poema in otto libri intitolato Il Canapajo. La canapa è una pianta erbacea che può raggiungere i 5 metri di altezza ed ha un ciclo annuale. La semina avveniva in marzo, preparando il terreno con la tecnica della ravagliatura, un lavoro molto duro eseguito in novembre dai contadini. In agosto avveniva la raccolta degli steli che, una volta essiccati, privati delle foglie e selezionati, venivano portati al macero (masadur), dove, immersi nell’acqua stagnante per 8 giorni, perdevano le sostanze collanti che

Scene di lavoro nei campi pr la coltivazione delle lavorazione della canapa tessile.

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

uniscono fibra tessile e stelo. Le successive fasi di scavezzatura e gramolatura servivano a frantumare gli steli legnosi e a ricavarne la fibra, che dopo alcune operazioni di pettinatura, era pronta per essere filata o venduta ai canapifici. Anche gli scarti della fibra trovavano il loro impiego, venendo utilizzati come imbottiture o per altri usi di minor qualità. La coltivazione della canapa venne gradualmente abbandonata a seguito dell’avvento delle fibre tessili artificiali e delle leggi contro gli stupefacenti. Dalla pianta della Cannabis Sativa, le cui varietà possono essere selezionate per rendere impossibile l’estrazione delle sostante psicotrope vietate per legge, si possono ricavare numerosi prodotti, non solo fibre per l’industria tessile. Ricordiamo, ad esempio, che i semi sono ricchi di olii dalle comprovate proprietà alimentari o, ancora, che grazie alle parti più legnose della pianta si può produrre una carta molto pregiata. Inoltre sono state sviluppate delle tecniche per ricavarne polimeri biodegradabili e combustibili. Nonostante il recente interesse per il recupero di questa coltura, il lungo e duro lavoro per produrla in mancanza di impianti meccanici che possano sostituire l’opera dell’uomo la rende ancora poco competitiva sul mercato rispetto al cotone e alle fibre sintetiche. D’altro canto, a nessuno viene in mente di predisporre impianti appositi per la lavorazione della canapa se non viene prodotta la

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3. Analisi territoriale

materia prima. Questo tipo di attività agricola è, quindi, ancora sopita e in attesa di valide iniziative, ma anche qualora fosse riattivata, non avverrebbe più nelle modalità di un tempo, il che rende impossibile, ad esempio, pensare di ridestinare i maceri al loro vecchio compito. Il biotopo del macero e della siepe Gli antichi bacini destinati alla macerazione della canapa, nonostante siano caduti in disuso, persistono ancora nel paesaggio agricolo, soprattutto nelle zone con abbondanza di acque, e rappresentano zone umide in miniatura in cui numerose specie possono proliferare. A causa del loro inutilizzo, molti maceri sono stati interrati o usati come discariche, ma quelli che rimangono costituiscono ancora una fonte di qualità per il paesaggio poiché con la loro flora e fauna contribuiscono a mantenere un buon livello di biodiversità. Per questo motivo è importante varare un piano di recupero e restauro di queste preziose nicchie ecologiche che, inserite all’interno di un circuito di miglioramento degli agroecosistemi, possono contribuire al ripristino dei corridoi ecologici. Nella fascia riparia del macero, cioè tra terraferma e acqua, si trovano canneti

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

I maceri nel territorio comunale, grado di conservazione dei maceri del Parco Urbano e schema della vegetazione del macero. 162


3. Analisi territoriale

maceri ben conservati maceri in estinzione

pioppo iris giallo, carex fascia fascia arborea semi-sommersa

phragmites typha zona palustre

ninfea brasca ricca,ceratofili miriofili, bianca zona fascia stagnante vegetazione sommersaa

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

e carici, tra cui Phragmites australis (cannuccia di palude), Typha latifolia (mazzasorda), Lysimachia nummulari (nummularia), Carex riparia (carice). Dove l’acqua diventa profonda possiamo rinvenire delle specie vegetali completamente immerse, oppure quelle specie che vanno a costituire il cosiddetto lamineto, cioè quelle piante le cui foglie galleggiano in superficie. Tra queste troviamo ad esempio la Lemna minor (lenticchia d’acqua), che ha radici fluttuanti, o la Nimphaea alba (ninfea bianca) e il Nuphar luteum (nannufero), che sono invece radicate al fondo. La vegetazione laminare può espandersi fino a coprire l’intera superficie dello stagno. Tra la vegetazione sommersa invece troviamo il Ceratophyllum demersum (ceratofilo) e il Myrophyllum (millefoglio d’acqua). Il macero è un ambiente soggetto ad ampie escursioni termiche, a causa della sua scarsa profondità, e questo rende impossibile la vita per un gran numero di specie ittiche. Invece per quanto riguarda gli anfibi, ne troviamo una grande varietà, dal Rospo comune alla Rana verde, alla Raganella. Troviamo anche dei rettili come la testuggine palustre e la biscia dal collare. Se il macero possiede una certa estensione ed è tale da ospitare una folta vegetazione, questo diventa un habitat perfetto per alcune specie di uccelli che qui hanno la possibilità di costruire i loro nidi e di nutrirsi, grazie alla presenza di

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3. Analisi territoriale

invertebrati e piante acquatiche. Troviamo quindi la Gallinella d’acqua, la Folaga, l’Airone cinerino, il Germano reale e la Cannaiola, ma anche merli tortore, gazze, fagiani e averle. Un altro elemento dell’antico paesaggio agrario del ferrarese, è la siepe. La siepe viene definita come un insieme di arbusti e piccoli alberi disposti fittamente e per una certa estensione seguendo una struttura lineare e in agricoltura veniva impiegata come recinzione “viva” tra campo e campo. Il suo non era solo un ruolo estetico, ma anche funzionale, in quanto molti arbusti da siepe forniscono anche dei frutti, come i gelsi, le more e le prugne, forniscono legna da ardere o alimenti per il bestiame e per il baco da seta. Recentemente è stata riconosciuta l’importanza della siepe, oltre che come elemento culturale ed estetico, anche come risorsa ambientale, poiché giocherebbe un importante ruolo nel sistema dei corridoi ecologici e quindi nel sostegno della biodiversità. Analizzeremo più avanti, nella proposta progettuale, le funzioni e i vantaggi che possono derivare dalla conservazione e dal restauro di questo biotopo.

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

NOTE: 1. Cazzola F., L’agricoltura ferrarese del passato. Profili strutturali e linee evolutive (secoli XV-XIX), in Ferrioli V., Roda R. (a cura di), La terra vecchia. Contributi per una storia del mondo agricolo ferrarese, Firenze, La Casa Usher, 1989. 2. Cariani M., L’agricoltura ferrarese in pratica, ovvero Guida per dirigere ed eseguire i lavori campestri secondo le più accurate osservazioni ed esperienze., Ferrara, Taddei, 1875. 3. Casazza A., Stato agrario economico del Ferrarese, Ferrara, Taddei, 1845. 4. Loberti L., Frutti di un tempo, in AA.VV., Agrimondo: alla scoperta del pianeta agricoltura che rispetta l’ambiente., Centro IDEA, 2000. 5. Tommasini P., La siepe e il macero: biotopi da conservare e valorizzare, in AA.VV., Agrimondo: alla scoperta del pianeta agricoltura che rispetta l’ambiente., Centro IDEA, 2000.

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3. Analisi territoriale

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capitolo 4

Il Barco: un paesaggio periurbano

Parco Urbano, 2014


distretti industriali distretti artigianali / terziario aree a forte impatto aree dismesse future aree di impatto

0 200m

1Km


4. Il Barco: un paesaggio periurbano

Paesaggio agro-industriale. Il complesso industriale che si sviluppa ad ovest del Parco costituisce un elemento di forte impatto, sia ambientale che visivo.

4.1 Le aree industriali In quanto area periurbana, il territorio del Barco è luogo di commistione tra differenti tipi di paesaggio, tra i quali quello industriale costituisce sicuramente l’elemento più critico. I distretti industriali si sono sviluppati lungo il margine ovest dell’area fin dai primi anni del ‘900, quando sorsero i primi stabilimenti di trasformazione dei prodotti alimentari. Attualmente, il complesso più grande è quello del polo chimico della 171


Seconda parte / Ferrara e il Barco

L’ex-discarica di inerti. La collinetta della discarica costituisce un elemento di spicco per il paesaggio di pianura. Essa è ben visibile anche da lontano e permette, salendoci, una visuale privilegiata.

Montedison, fonte di degrado sia paesaggistico che ambientale. Il paesaggio che abbiamo di fronte è a pieno titolo un paesaggio agro-industriale, dove le forme della campagna si mischiano ed entrano in conflitto con le forme proprie dell’industria.

4.2 Le aree dismesse In un contesto così caratterizzato, le aree dismesse costituiscono una fonte di

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4. Il Barco: un paesaggio periurbano

L’ex-zuccherificio SFIR. I residui industriali nel paesaggio modificano la percezione che si ha di esso e suggeriscono spunti progettuali.

opportunità. In questo lavoro non ci occuperemo, però, di quelle aree per le quali il PSC prevede già una destinazione residenziale. Porremo attenzione, invece, su quelle che possono svolgere un ruolo all’interno del sistema degli spazi aperti. In particolare, abbiamo inviduato le aree dell’ex Zuccherificio SFIR e quella dell’ex discarica di inerti. L’area dell’ex zuccherificio presenta ancora alcune strutture della precedente destinazione d’uso: il silos, alcuni fabbricati, una vasca di sedimentazione e

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B C

A

A1 B1 C1

D

D1

E1 E F1 F

assenza di relazione barriere fisiche

0 200m

1km


4. Il Barco: un paesaggio periurbano

residui di suoli cementificati. L’area del silos, in realtà, nel PSC è ancora indicata con una destinazione d’uso industriale, mentre il resto è in parte zona per l’insediamento di servizi collettivi e in parte area di mitigazione ambientale. L’ex discarica di inerti, già da tempo soggetta a rimboschimento, occupa una posizione centrale e costituisce uno dei pochi punti di risalita del territorio del Parco.

4.3 Le espansioni periferiche e i margini. Sempre lungo il margine ovest, quello che abbiamo capito essere una delle direttrici più importanti dell’espansione di Ferrara, troviamo i nuclei abitati costituiti dal quartiere Barco e dalla frazione di Pontelagoscuro. Il Barco nasce alla fine degli anni ‘30 come quartiere operaio, proprio per avvicinare i lavoratori alle fabbriche in cui erano occupati, ma continuerà ad espandersi nei decenni successivi. Questa espansione avviene nella forma di insediamenti popolari che tuttavia presentano dei caratteri di qualità urbana, in quanto, pur nella forma di case economiche, propongono un modello di risparmio di suolo a vantaggio del verde di quartiere. Diverso è il caso di Pontelagoscuro che, dopo essere stata distrutta durante la seconda guerra mondiale, viene ricostruita più sud seguendo una stretta maglia

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

I margini. Gli abitati di Barco e Pontelagoscuro sono a contatto con molte aree residuali, con le quali tuttavia non intrattengono rapporti funzionali. Questi spazi nè agricoli, nè urbani, privi di destinazione d’uso, possono innescare un processo progettuale. In realtà anche questi spazi vengono spontaneamente caricati di significato dagli abitanti, a seconda delle necessità. Ad esempio nell’immagine sopra vediamo degli orti urbani spontanei sorti lungo la fascia di rispetto della linea ferroviaria. Il percorso progettuale può partire da qui?

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A-A1 B-B1

C-C1 D-D1

E-E1

F-F1


4. Il Barco: un paesaggio periurbano

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spazi aperti da sviluppare aree verdi a bassa definizione parchi consolidati aree agricole virtuose aree ad alto valore ambientale nuovo residenziale (PSC) nuove attrezzature collettive (PSC)

0 200m

1km


4. Il Barco: un paesaggio periurbano

ortogonale che poco lascia agli spazi aperti e collettivi. Entrambi i nuclei risentono della presenza ad ovest di Via Padova e del petrolchimico, mentre ad est troviamo la linea ferroviaria. Tuttavia, la presenza di numerose aree residuali rappresenta per questi insediamenti una grande opportunità per migliorare la qualità urbana. Queste sono ex aree agricole sottratte al Parco Urbano a seguito dello spostamento della linea ferroviaria per Padova e rimaste intrappolate tra questa e l’abitato. In apparenza non vi è relazione tra gli insediamenti e questo margine di verde indefinito, tuttavia sono presenti degli elementi significativi, come ad esempio la presenza di orti urbani spontanei, sviluppatisi lungo alcuni tratti della ferrovia. E’ questo un imporante segnale delle reali esigenze di una comunità, che laddove intravvede possibilità di miglioramento della qualità urbana, adotta semplici politiche di appropriazione costruttiva dello spazio pubblico. Questo tipo di azione urbana è stata notata anche in altri luoghi a Ferrara, come ad esempio in via del Bove, dove fino a poco tempo fa, lungo tutto il bordo ferroviario sorgevano dei graziosi orti urbani, utile ampliamento di metratura per le case della via. Ora, a seguito dei lavori per la metro di superficie, purtroppo questa realtà è scomparsa. Tornando a Barco e Pontelagoscuro, a parte questi esempi di utilizzo spontaneo

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

Spazi aperti con basso livello di definizione. La bassa definizione progettuale non è sempre un difetto, tuttavia alcuni spazi hanno un livello di potenziale ancora inespresso.

dello spazio pubblico, rimangono inespresse le potenzialità delle aree aree di margine, in quanto nè agricole, nè integrate nel sistema del costruito.

4.4 Il sistema dei parchi Come abbiamo già osservato, Ferrara ha un rapporto molto forte con il tema degli spazi aperti. In effetti possiamo dire che il nostro obiettivo di condurre Ferrara verso una riconquista del suo territorio, dove per territorio stiamo

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4. Il Barco: un paesaggio periurbano

I parchi. Le aree verdi attrezzate non sono poche, soprattutto a ridosso della città. Sopra vediamo il noto Parco “G. Bassani”, la parte sud del Parco Urbano.

intendendo quelle aree che si estendono dalle mura nord fino al Po, ma anche, in senso esteso, tutto il sistema paesaggistico del territorio comunale e provinciale, si scontra con l’autosufficienza interna di cui la città gode. Ferrara infatti, conservando quasi intatto il suo circuito murario e avendolo salvato dal degrado negli anni ‘80, può contare su una cinta verde tutt’attorno alla città storica, valvola di sfogo immediata per chi intende allontanarsi dal caos cittadino e godere rapidamente del contatto con la natura. Soprattutto in alcuni tratti, le

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

La vegetazione riparia e i corridoi ecologici acquatici. La compresenza di aree urbane e aree industriali spesso compromette l’equilibrio ecologico.

mura hanno la qualità di essere vicinissime alle zone centrali della città e tuttavia abbastanza isolate da configurarsi come una salubre evasione. A questo si aggiunge che la parte sud del Parco Urbano, ossia quello intitolato a Giorgio Bassani, è un vero e proprio parco attrezzato, con impianti sportivi, laghetti e sede di alcune manifestazioni stagionali come Vulandra e il Balloon Festival. La scommessa di questo lavoro sta nel dimostrare come la domanda di paesaggio non può esaurirsi nella pur piacevole frequentazione degli spazi

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4. Il Barco: un paesaggio periurbano

Campagna come connettivo ecologico diffuso. Il potenziale ecologico delle aree agricole era più forte in passato, quando i campi erano scanditi quasi ovunque dai filari agricoli.

aperti esistenti e consolidati, ma che può e deve spingersi oltre, laddove esistono altre necessità da soddisfare. Non è il caso di tornare ora sugli obiettivi e sulle motivazioni che ci spingono ad occuparci del Parco Urbano, diremo solo che in questo percorso i parchi esistenti e le aree verdi consolidate costituiscono un valido caposaldo su cui ancorare il nostro progetto. Importantissime anche tutte quelle aree che non possono essere considerate dei veri e propri parchi progettati, poiché presentano un basso livello di definizione.

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DESTRA PO

percorsi carrabili principali percorsi carrabili minori strade del parco principali piste ciclabili infrastrutture critiche principali percorsi agricoli

ROVIGO PADOVA strada statale

PADOVA ferrovia

DESTRA PO VALLELUNGA strada locale

RO

FERRARA NORD uscita A13 Bologna-Padova

COPPARO strada provinciale MODENA strada provinciale

POMPOSA LIDI FERRARESI strada provinciale

BOLOGNA ferrovia

0 200m

1km

BOLOGNA FERRARA SUD uscita A13 Bologna-Padova

CONA OSPEDALE

RAVENNA strada statale

CONA OSPEDALE


4. Il Barco: un paesaggio periurbano

Troviamo questo tipo di spazi soprattutto nel quartiere del Barco e a Pontelagoscuro. Anche queste aree possono essere connesse al sistema complessivo e svolgere un importante ruolo di mitigazione ambientale.

4.5 La rete ecologica. Il paesaggio agricolo si configura come connettivo diffuso della rete ecologica, tuttavia in contesti periurbani come quello in esame il suo livello di qualità può essere duramente compromesso. La presenza dei distretti industriali e di espansioni periferiche incontrollate può portare all’interruzione di quei canali attraverso i quali flora e fauna possono proliferare e spostarsi indisturbati. E’ il caso del canale Boicelli, in cui l’equilibrio dell’ecosistema ripariale rischia di essere compromesso dalla presenza delle fabbriche circostanti. O ancora il caso della scomparsa dei filari e delle siepi dai margini dei campi agricoli, che un tempo arricchivano il paesaggio sia dal punto di vista estetico che da quello della qualità ambientale.

4.6 Le aree agricole virtuose. Concludiamo questa parte di analisi citando alcune aziende di qualità del territorio in questione. La prima è sicuramente la Fondazione Navarra, proprietaria di un’ampio

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

I percorsi ciclabili. Poter attraversare il territorio è già un modo per usufruirne. La vista dei campi, la possibilità di non dover condividere la carreggiata con le automobili sono elementi di qualità.

fondo agricolo proprio al centro dell’area del Parco e titolare dell’Istituto Agrario. L’altra è l’azienda Terraviva, una delle aziende rimaste “intrappolate” all’interno delle mura. Collocata in una delle aree più suggestive del centro, là dove la campagna e gli orti non hanno voluto cedere il posto all’avanzata della città, l’azienda produce con metodo biologico e organizza gruppi di acquisto solidale. Infine, sono numerose le occasioni di incontrare in città le bancarelle dei coltivatori diretti, sintomo di un’interesse a non perdere il rapporto con i produttori

186


4. Il Barco: un paesaggio periurbano

Attraversamenti critici. Alcune infrastrutture costituiscono una barriera per chi si sposta nel sistema degli spazi aperti. Questo nella foto è l’unico attraversamento su via Bacchelli.

e di fiducia per i prodotti locali.

4.7 Le infrastrutture e i percorsi Abbiamo già accennato nel caso di via Padova come la presenza di grandi infrastrutture possa ridurre considerevolmente la qualità degli insediamenti urbani. Il Parco Urbano è chiuso ad ovest dalla ferrovia, i nuclei di Barco e Pontelagoscuro sono a loro volta compresi tra questa e via Padova, mentre il

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7 5 6

8

4

3 2

landmark 0 200m

1km

1

elettrootto punti di vista privilegiati


4. Il Barco: un paesaggio periurbano

passaggio dalle mura nord al Parco è rallentato considerevolmente dal traffico di via Bachelli. Sono presenti numerose strade carrabili che rendono difficoltosa o addirittura impossibile la percorribilità delgli spazi aperti tra Parco e città da parte di cicli e pedoni. Pur essendo Ferrara la città delle biciclette, il circuito ciclabile risulta in più punti interrotto, come ad esempio nel bel mezzo del Parco Urbano, dove un fossato divide lettralmente a metà la strada battuta. Un elemento di qualità è rappresentato da via Calzolari, strada alberata e panoramica, dove la pista ciclabile congiunge l’estremo nord-est di Ferrara murata con la frazione di Francolino e quindi il Destra Po. Il Destra Po rientra in uno dei corridoi dell’EuroVelo, la rete ciclabile europea, ed è un suggestivo percorso lungo il fiume che passa per il delta e continua verso Venezia.

4.8 Landmark e punti di osservazione. Il paesaggio piatto della Pianura Padana è un tipo di paesaggio in cui raramente possiamo godere di una vista dall’alto. Per questo, quando capita di incontrare un dosso, o anche una leggerissima altura, ci sembra di poter comprendere qualcosa in più su quel territorio che altrimenti rimane piatto. Nell’area del Parco Urbano ci sono alcuni punti di vista privilegiati come ad esempio l’argine del Po e l’ex-discarica di detriti. Non stiamo parlando di grandi altezze, eppure il dislivello

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Seconda parte / Ferrara e il Barco

1

2

campanile di San Giorgio 45m

castello estense 50m

3

grattacieli della stazione 80m

4

edifici del petrolchimico 94m

5 6

ciminiera ex-eridania 47m

7

silos ex-SFIR 56m

campanile 45m Pontelagoscuro

90 80 70 60 50 40 30 20 10 m

190

8

edificio depuratore 63m


4. Il Barco: un paesaggio periurbano

è sufficiente a dare tridimensionalità allo spazio e capire meglio le distanze. In questo gioco di sguardi entrano anche i landmark, tutti quegli elementi di spicco, per i quali non è difficile farsi notare in mezzo alla campagna di pianura, priva di ostacoli visivi. Eppure, se rimaniamo a livello del terreno, anche questi oggetti ci sembreranno indefiniti e non avremo una reale percezione delle coordinate. Non comprendiamo bene né distanza né dimensioni, anche perché sono oggetti industriali, fuori scala, con i quali non abbiamo affinità. Abbiamo diversi tipi di landmark: quelli di tipo storico - campanili, le torri del Castello - o di architetture civili, quelli industriali, spesso sgradevoli alla vista, ma che, tuttavia, sono ormai protagonisti del paesaggio. Come dobbiamo relazionarci con questi elementi di discontinuità?

191


TERZA PARTE

La riconquista del territorio




capitolo 1

Un parco agricolo per Ferrara

Campo di mais, 2014


Terza parte / La riconquista del territorio

196


1. Un parco agricolo per Ferrara

1.1 Perchè un Parco Agricolo. A fronte dell’analisi fin qui condotta e delle tematiche affrontate, giungiamo alla prima proposta progettuale del presente lavoro: l’istituzione di un Parco Agricolo per il territorio ferrarese. Abbiamo visto nei capitoli precedenti come le logiche di mercato e il cambiamento dei metodi di produzione abbiano determinato, da una parte, un appiattimento del paesaggio agrario, condannato alla monocultura e alla perdita di quei connotati estetici che lo caratterizzavano nel passato, dall’altra, una profonda crisi che è al tempo stesso economica e sociale. Abbiamo anche osservato come al fenomeno della deterritorializzazione - che consiste nell’interruzione del rapporto tra abitante e paesaggio, allorché quest’ultimo diventa uno spazio virtuale nel quale produrre esclusivamente secondo una logica economicista - si possa rispondere attraverso l’avvio di progetti locali basati sul coinvolgimento delle comunità di appartenenza e sul sostegno delle Istituzioni. Infine, abbiamo analizzato diversi casi studio per capire cosa è un Parco Agricolo, come può funzionare e se può costituire un valido strumento per avviare il processo di riterritorializzazione. La conclusione è che il Parco Agricolo può costituire una valida risposta sia alla crescente domanda di paesaggio, sia alla crisi produttiva che ha investito le

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Terza parte / La riconquista del territorio

nostre campagne. Il parco agricolo ci offre la possibilità di ripensare i margini di contatto tra la città e la campagna - le cosiddette aree priurbane -, affiancare nuove attività a quelle della produzione agricola, rinnovare il sistema produttivo in virtù di un maggior coinvolgimento della comunità di riferimento.

1.2 Programma strategico Prendendo spunto dai casi studio analizzati, è stato redatto il programma strategico del Parco fissando una serie di ambiti strategici, obiettivi e azioni. Gli ambiti strategici individuati sono 4: la produzione agricola - che deve rimanere l’attività principale del Parco-, la rete ecologica, l’addizione verde - intesa come progettazione urbanistico-paesaggistica degli spazi del Parco -, la conoscenza del territorio. Per ognuno di questi ambiti strategici sono stati individuati una serie di obiettivi, concretizzabili con specifiche azioni.

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1. Un parco agricolo per Ferrara

Produzione agricola. Riconoscendo l’attività agricola come principale vocazione del Parco, sostenere le aziende in una produzione che sia al tempo stesso di qualità e competitiva sul mercato. Obiettivi Innovare la produzione con uno sguardo al passato, per un’agricoltura generatrice di un paesaggio di qualità.

Azioni

Avviare un programma di ricerca e sperimentazione in collaborazione con l’Istituto Agrario F.lli Navarra e la Facoltà di Agraria. Ripristinare i frutteti e introdurre la coltivazione dei “frutti scomparsi”. Incentivare il recupero della produzione della canapa tessile. Differenziare le colture.

Sostenere la produzione con mezzi economici e servizi.

Reperire fondi europei per sostenere le pratiche di agricoltura integrata e biologica. Concordare con il Comune dei prezzi ridotti per la fornitura dell’acqua da irrigazione. Predisporre strutture comuni per il trattamento, lo stoccaggio, la conservazione e la spedizione dei prodotti.

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Terza parte / La riconquista del territorio

Obiettivi

Azioni

Sostenere la produzione con mezzi economici e servizi.

Istituire i Marchi di qualità per i prodotti del Parco. Istituire un ufficio di sostegno alla commercializzazione per l’osservazione dei prezzi e studi di marketing. Creare punti di vendita che migliorino la visibilità delle aziende e la facilità di reperimento dei prodotti da parte dei cittadini.

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1. Un parco agricolo per Ferrara

Rete ecologica. In relazione al delicato equilibrio di aree a stretto contatto con le espansioni urbane periferiche e i distretti produttivi, rendere il Parco Agricolo un punto nodale della rete ecologica. Obiettivi

Azioni

Puntare su attività produttive e interventi compatibili con l’equilibrio dei sistemi ecologici.

Minimizzare gli agenti inquinanti nella produzione agricola. Adottare tecniche produttive generatrici di biodiversitĂ . Dismettere ove possibile le strutture ad alto impatto ambientale.

Intervenire direttamente per tutelare, ripristinare e consolidare le aree naturalistiche e i corridoi ecologici.

Rispristinare e prolungare i filari agricoli e urbani Individuare delle aree di riforestazione. Migliorare la manutenzione delle aree protette. Rinaturalizzare i maceri, risorsa per la biodiversitĂ . Prendersi cura delle sponde dei fiumi e dei canali.

201


Terza parte / La riconquista del territorio

Addizione verde. Pensare il Parco Agricolo anche come Parco Urbano. L’addizione verde è uno spazio di qualità contemporaneamente urbana e territoriale Obiettivi

Azioni

Riorganizzare il sistema delle connessioni e dell’accessibilità.

Creare percorsi tra le aree pubbliche di quartiere e il Parco.

Generare spazi di qualità inserendo nuove funzioni.

Progettare gli spazi: aree di sosta, spazi culturali, aree di mercato aree sportive e ludico-ricreative, nel rispetto della natura e dell’attività agricola.

Ottenere l’utilizzo pubblico dei percorsi agricoli per espandere la rete pedonale e ciclabile all’interno del parco.

Recuperare gli edifici abbandonati e le aree degradate. Restaurare gli edifici storici. Riconoscere e consolidare gli orti urbani spontanei.

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1. Un parco agricolo per Ferrara

Conoscenza del territorio. Intendere il Parco come occasione per favorire la conoscenza del territorio nei suoi aspetti naturalistici, storici, culturali e delle attività produttive che in esso hano luogo. Il Parco diventa un museo del territorio. Obiettivi

Azioni

Guidare il visitatore alla scoperta del Parco.

Predisporre una segnaletica chiara e completa e creare punti informativi. Supportare l’attività delle associazioni che organizzano visite naturalistiche guidate. Progettare punti di osservazione del paesaggio. Valorizzare i landmark come elementi di orientamento e conoscenza del territorio.

Offrire servizi e strutture per l’approfondimento degli aspetti storico-culturali del Parco.

Istituire una o più sale espositive per la raccolta di materiale storico relativo al Parco e all’attività agricola. Aprire le aziende agricole per far conoscere ai visitatori i prodotti agricoli e le tecniche di coltivazione.

Istituire un bosco didattico. Recuperare le tecniche antiche per la lavorazione della canapa a scopo divulgativo e didattico.

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Terza parte / La riconquista del territorio

1.3 La produzione innovativa: tra sperimentazione e tradizione. Nei precedenti capitoli abbiamo visto che la principale ragione dell’appiattimento del paesaggio agrario sta nell’affermazione della monocoltura e nella macchinizzazione della produzione agricola. La soluzione a questa problematica, però, non può consistere in un ritorno nostalgico al passato o nel rinunciare anacronisticamente al progresso tecnologico. Il paesaggio non può che essere espressione del proprio tempo, anche perché la pretesa di cristallizzare o ripristinare forme tipiche di altre epoche storiche, risulterebbe solo un goffo tentativo di mummificazione del paesaggio, oltre che un dispendioso e inutile onere per il pubblico. Se da una parte quindi, è giusto salvaguardare e conservare alcuni elementi di riconosciuto interesse storico-culturale, come ad

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1. Un parco agricolo per Ferrara

esempio le corti rurali o, come vedremo, riproporre soluzioni del passato che si adattano bene anche al nostro tempo, dall’altra è necessario trovare una nuova via per costruire e scoprire il nostro paesaggio, quello della nostra epoca. Questo discorso vale a maggior ragione per l’istanza produttiva, che non può non essere all’avanguardia e rifunzionalizzare intelligentemente le risorse del territorio. Lo sguardo al passato si esplicita nel recupero delle colture scomparse, come la canapa tessile e alcuni tipi di frutta, prodotti dei quali si è interrotta la coltivazione per motivi esclusivamente di mercato o, nel caso della canapa, anche per motivi legati all’assimilazione con la vicina parente cannabis indica (quella contenente sostante psicotrope, per intenderci).

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Terza parte / La riconquista del territorio

La canapa tessile già da diversi anni è stata riscoperta e in molte zone d’Italia si è riattivata la produzione con ottimi risultati. La pianta era una vera e propria risorsa della campagna ferrarese, fino a quando la concorrenza con le fibre tessili sintetiche ha determinato la non convenienza della sua produzione. Come se non bastasse, come accennavamo poco sopra, nel 1977 fu emanata una legge che ne vietava la coltivazione, fino alla deroga sopraggiunta nel 1997. Dalla canapa, oltre alla fibra tessile ben conosciuta, possono essere ricavati anche sostanze utili per la cosmesi, una farina priva di glutine e molti altri prodotti. E’ una pianta che ha bisogno di pochissima irrigazione e si presta a molti utilizzi, alcuni dei quali in fase sperimentale. Recupero di colture antiche non significa tornare a produrre come si produceva 50 o 100 anni fa, quanto piuttosto riscoprire prodotti antichi che potrebbero soddisfare il consumatore contemporaneo ideando nuove forme di produzione e di utilizzo, all’avanguardia e generatrici di qualità ambientale, economica e sociale. Per raggiungere questo obiettivo è fondamentale avviare percorsi di ricerca, che possono essere promossi dalla Facoltà di Agraria, dall’Istituto Agrario della Fondazione Navarra, con la collaborazione delle aziende interessate al programma, dei consumatori e dell’amministrazione locale. Non solo, puntare

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1. Un parco agricolo per Ferrara

ad una produzione innovativa e di qualità e avviare progetti di ricerca in tal senso è un ottimo modo per attirare i fondi europei messi a disposizione del settore agricolo. La ricerca scientifica e la sperimentazione, non solo in campo strettamente agricolo, ma anche nel settore della pianificazione (per questo scopo potrebbe essere coinvolta la Facoltà di Architettura di Ferrara, la Facoltà di Economia o il vicino IUAV di Venezia), servirà a comprendere come mitigare la dipendenza tra produzione e leggi di mercato. Questo non significa che debbano essere sostenute a tutti i costi produzioni completamente fuori dal mercato, ma che invece siano salvaguardate quelle produzioni locali di qualità che altrimenti soccomberebbero, o che sono già state spazzate via, dalla concorrenza globale. Inoltre, va educato il gusto del consumatore, ne vanno comprese le esigenze da una parte, mentre dall’altra va avviato un processo di conoscenza e valorizzazione dei prodotti.

1.4 Una produzione competitiva e a km 0. Ferrara è una città in cui la cultura del km 0 possiede già delle solide basi: molti sono i mercati rionali e le occasioni per acquistare frutta e verdura direttamente dal produttore. Tuttavia, queste occasioni vanno aumentate. E’

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Terza parte / La riconquista del territorio

sconcertante dover, per motivi di tempo, di vita frenetica o molto più spesso per motivi economici, acquistare prodotti ortofrutticoli provenienti dall’altra parte del mondo, incentivando lo sfruttamento di mano d’opera e il ricorso ai trasporti per recapitare le merci. A danno dell’ambiente e dell’economia locale. I prodotti del Parco devono essere conosciuti dalla comunità di appartenenza, devono essere noti i luoghi e i momenti della vendita, deve risultare conveniente l’acquisto. Per raggiungere questa serie di obiettivi si propone la costituzione del Consorzio del Parco Agricolo, un ente per unire le diverse aziende sotto la stessa egida della produzione innovativa e di qualità. Le aziende del Consorzio potranno aiutarsi tra loro, ad esempio, nell’utilizzo comune di silos e altre strutture per la produzione, condivideranno il marchio di qualità dei prodotti, potranno contare su finanziamenti comunitari e incentivi nell’utilizzo dell’acqua

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1. Un parco agricolo per Ferrara

da irrigazione. E ancora, saranno affiancate dai ricercatori del programma e da un ufficio marketing per la promozione dei prodotti. L’adesione al Consorzio deve risultare conveniente per le aziende e la sua presenza sul territorio una garanzia per il consumatore, che potrà attingere a prodotti di riconosciuta qualità. A tale scopo, verranno rilasciati alle aziende meritevoli e che adottano i principi enunciati nel programma strategico e, successivamente, del Regolamento del Parco, dei marchi specifici per il riconoscimento dei vari tipi di attività. Esisterà quindi il marchio della mela durello (un tipico frutto scomparso dalle campagne ferraresi), così come quello della canapa tessile ferrarese o quello indicatore di produzione biologica. I prodotti del Parco saranno indirizzati principalmente ad un pubblico locale, ma sicuramente potranno costituire fonte di attrazione anche per il visitatore ed andare ad inserirsi nel contesto di valorizzazione de turismo eno-gastronomico dell’area.

1.5 Produzione come cura del territorio. Se la produzione alla base dell’attuale paesaggio agricolo ha perso in parte quel carattere di multifunzionalità che prevedeva una serie di effetti positivi a cascata sul territorio, allora occorre recuperarlo. È necessario, sì, produrre con i

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Terza parte / La riconquista del territorio

mezzi moderni, ma bisogna anche recuperare quel senso di cura del paesaggio che permette da una parte di salvaguardarne l’equilibrio ecologico, dall’altra di aumentarne il livello estetico. Le aziende agricole devono sposare un’etica territoriale nuova, preferendo l’utilizzo di tecniche biologiche o riducendo al minimo gli agenti inquinanti impiegati nella coltivazione. Anche grazie all’utilizzo di strutture comuni (silos, magazzini, ecc.) può essere limitato l’impatto con il territorio. Le aree agricole devono tornare ad essere un connettivo ecologico diffuso, portatore di qualità ambientale. Le azioni necessarie consistono nel ripristino dei filari e delle siepi che un tempo caratterizzavano il paesaggio, dividendo i fondi e segnando i sentieri. Via via scomparsi per necessità di manovra delle macchine agricole, devono tornare a caratterizzare il paesaggio, non per un’operazione nostalgica, ma per una seria istanza ecologica. La contemporaneità, a maggior ragione a seguito delle tragiche esperienze di disastri ambientali, non può prescindere dalla cura delle sponde dei fiumi e dei torrenti, dalla preoccupazione per il livello di qualità delle falde acquifere o dalla individuazione di aree per il rimboschimento. Vedremo meglio più avanti alcuni interventi previsti nel progetto.

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1. Un parco agricolo per Ferrara

1.6 L’addizione verde: un territorio da vivere e da scoprire. Il ripristino di siepi e filari lungo i percorsi agricoli va anche nella direzione di portare il pubblico nel Parco, offrire al visitatore nuove prospettive di percorrenza. I vari tipi di spazi aperti, da quelli minuti contenuti dentro la griglia cittadina, a quelli

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Terza parte / La riconquista del territorio

più aperti e meno progettati propri delle aree periferiche, da quelli naturalistici a forte valenza ambientale a quelli agricoli, di stampo più prettamente produttivo, vengono connessi da una serie di percorsi senza soluzione di continuità. Questo permette al visitatore di passare con facilità attraverso differenti sistemi di verde, da quello urbano a quello territoriale. Il paesaggio agricolo periurbano non è più solo luogo di produzione, escluso sia dalle logiche urbane che da quelle delle aree più naturalistiche, ma ne diventa parte integrante. Diventa a pieno titolo addizione verde della città, luogo per lo svago, per la contemplazione del valore paesaggistico, storico e culturale, ma anche per la conoscenza delle attività produttive che vi si svolgono. A tal proposito sono organizzate le fattorie didattiche. Si andrà al Parco per passeggiare, si passerà piacevolmente attraverso di esso per raggiungere il Destra Po o l’Isola Bianca, si incontreranno punti di sosta e di svago, nuove attività ricreative. L’innalzamento della qualità degli spazi e l’individuazione di nuove funzioni da affiancare a quella produttiva - che comunque è e deve restare la principale vocazione del Parco – aggiungerà qualcosa in più a quel sistema di parchi urbani di cui Ferrara è dotata, fornendo una valida alternativa ma soprattutto un completamento del sistema verde territoriale.

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1. Un parco agricolo per Ferrara

Il Parco Agricolo si configura come spazio da vivere e strumento di conoscenza del territorio. Grazie ad una capillare segnaletica e alla individuazione di punti informativi, sarà possibile percorrerlo in modo più comodo e consapevole.

1.7 L’estensione territoriale, gli attori e la gestione del Parco. Nel presente lavoro non può essere definito nel dettaglio il sistema di funzionamento e di gestione del Parco, non per incompletezza o mancanza di approfondimento, ma perché a questo si deve giungere avviando un processo partecipativo che coinvolga amministrazione, portatori di interesse, aziende e comuntà di riferimento. Quello che possiamo fare in questa sede è proporre degli strumenti validi per avviare questo processo e suggerire alcune metodologie operative. Si è già discusso riguardo la necessità di istituire il Consorzio del Parco, ora vediamo di approfondire altri aspetti. In primo luogo, dobbiamo capire quanto deve essere esteso il Parco. Sicuramente, le aree di maggior interesse sono le aree agricole periurbane che, essendo a stretto contatto con le forme della città, hanno in sé una duplice valenza. Da una parte, infatti, sono le aree più degradate e compromesse, proprio perché invase dai distretti industriali e dalle espansioni periferiche, e

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Terza parte / La riconquista del territorio

NTI

SUD

NDI

214


1. Un parco agricolo per Ferrara

necessitano per questo di un intervento; dall’altro presentano alti livelli di potenzialità proprio in virtù della loro vicinanza con il centro abitato. Il nostro Parco Agricolo, dunque, non ricalcherà semplicemente il contorno del Parco Urbano, ma dovrà coinvolgere anche le altre aree agricole periurbane che circondano Ferrara. Questa operazione garantirà la salvaguardia del territorio dall’espansione della città in tutte le direzioni e riproporrà il discorso dell’integrazione tra i vari sistemi di verde anche per gli altri punti di contatto (non sono per quelli limitrofi al Parco Urbano in senso stretto, quindi). Osservando la planimetria dell’area, notiamo come, di pari passo alla creazione del Parco Agricolo, potranno essere attivati nuovi spazi Prima fase: Parco Urbano Seconda fase: Aree agricole periurbane Terza fase: Aree agricole del forese Principali parchi urbani

aperti da configurare come parchi urbani. Le aree limitrofe all’attuale aeroporto, situate a sud della città, potrebbero ad esempio costituire una sorta di Parco Urbano Sud, a 215


Terza parte / La riconquista del territorio

G LI ATTORI

CONSORZIO DEL PARCO AGRICOLO DI FERRARA

COINVOLTI

COMUN

URBAN rilascia

IM ARCHI DI QUALITÀ

CONSO

UNIVER

MARCHIO DI QUALITÀ DEL PARCO MARCHIO DI PRODUZIONE BIO

costituiscono

PRODOTTO TIPICO: CANAPA TESSILE PRODOTTO TIPICO: MELA DURELLO

servizio degli insediamenti di via Bologna e di via Ravenna, connesso a sua volta con il sistema del Parco Agricolo. E le aree agricole del forese? Potranno essere coinvolte nel progetto laddove se ne rintracci la necessità, per rispondere ad un maggior livello di fabbisogno. Ovviamente, per queste aree sarà applicato un programma più leggero rispetto 216


1. Un parco agricolo per Ferrara

predispone

NE DI FERRARA

G LI STRUMENTI PER LA GESTIONE STRUMENTI DI PIANO

N CENTER

!

CITTADINI

ORZIO DEL PARCO AGRICOLO

1. 2. 3.

REGOLAMENTO DEL PARCO PIANO DI GESTIONE

RSITÀ DI FERRARA

ratifica COMUNITÀ EUROPEA

EDELNTE GESTORE PARCO AGRICOLO DI FERRARA

GESTIONE DELLE ATTREZZATURE E DEI SERVIZI

nomina DIRETTORE TECNICO DEL PARCO

REGIONE, PROVINCIA, COMUNE gestisce

IPER FONDI LA GESTIONE

a quello fin qui tracciato, proprio per il fatto di non essere connotate come periurbane. Nella fattispecie, potremo mantenere i principi relativi alla produzione agricola e alla rete ecologica, ma perderemo qualcosa riguardo il discorso sulla connessione tra città e campagna e sul miglioramento della qualità urbana.

217


Ipotesi di recupero artistico e funzionale del silos. L’opera murale fotoinserita è un lavoro dell’artista folignate Come Achille.


capitolo 2

L’addizione verde

descrizione foto autore, anno


Terza parte / La riconquista del territorio

220


2. L’addizione verde

Per questioni di schematizzazione nel precedente capitolo abbiamo inteso il termine addizione verde come uno dei quattro ambiti strategici del programma per la costituzione del Parco Agricolo, quello relativo più specificamente al ripensamento degli spazi dal punto di vista urbanistico. In questo capitolo, invece, ritorneremo ad utilizzarlo nella sua accezione originaria, quella intesa da Paolo Ravenna. Addizione verde è, infatti, l’intero complesso degli interventi mirati a migliorare la qualità delle aree oggetto della presente tesi. Questi non possono che coinvolgere tutte le istanze che abbiamo finora preso in considerazione: quella produttiva, quella ecologica, quella urbanistico-paesaggistica e quella culturale. Nei prossimi paragrafi analizzeremo quindi nel dettaglio gli interventi che vanno a completare la nostra proposta progettuale.

2.1 Rafforzamento della rete ecologica In questo lavoro è stata riservata una particolare attenzione al tema della rete ecologica e al valore di connettivo diffuso che le aree agricole hanno. Per questo, come già accennato, si propone il ripristino e il rafforzamento di quegli elementi naturali che concorrono alla salvaguardia dell’equilibrio ambientale. I percorsi agricoli vengono sistemati con la reintroduzione di siepi e filari che un tempo dominavano il paesaggio agrario. Questi elementi sono portatori di

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0 200m

1Km


2. L’addizione verde

biodiversità, oltre a connotare il paesaggio dal punto di vista esteticofunzionale. Si prediligeranno specie arboree autoctone, primo fra tutti il pioppo cipressino, ma anche il pioppo bianco, l’acero campestre, l’olmo campestre, il tiglio e il platano, mentre per le siepi il gelso.

I margini Margini da significare

La rete ecologica Rafforzamento della rete ecologica

Margini da schermare

I landmark I percorsi

Infrastrutture da mitigare Consolidamento della rete ciclabile

Landmark da riqualificare Landmark nuovi Landmark storici

Le aree di progetto

Consolidamento dei percorsi naturalistici

Nuove polarità

Sistemazione dei percorsi agricoli

Aree del Parco agricolo - prima fase

Nuove connessioni

Aree del Parco agricolo - seconda fase

223


Terza parte / La riconquista del territorio

Connessione dei sistemi ecologici terrestri Il bosco come strumento per innalzare la qualità ecologica e urbana del margine città-campagna, in connessione con il sistema verde urbano. VIALE ALBERATO

VERDE DI QUARTIERE

BOSCO URBANO

Rafforzamento dei sistemi ecologici acquatici La vegetazione riparia è spesso compromessa dagli insediamenti circostanti (distretti industriali, infrastrutture)

Rafforzamento dei corradoi ecologici fluviali, cura dei canali e delle sponde

Riguardo al valore ecologico del macero abbiamo già avuto modo di riflettere. Questi vengono preservati dall’estinzione sfoltendo la vegetazione laddove ipertrofica o ripristinandola laddove estinta. Nella presente proposta, inoltre, si indica la possibilità di trasformare uno o più maceri in maceri didattici, utili per

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2. L’addizione verde

riproporre al visitatore l’antico uso di questi stagni. Si organizzeranno, quindi, visite guidate per capire come funzionava il lavoro di raccolta e macerazione della canapa, svolto in queste campagne non più di qualche decennio fa. Infine, si è deciso di riservare ampie aree di contatto tra città e campagna per la creazione di un bosco urbano.

2.2 I percorsi, le connessioni e la qualità degli spazi. Per quanto riguarda il sistema dei percorsi, si propone la mitigazione delle infrastrutture pericolose, il consolidamento della rete ciclabile, la bonifica dei percorsi naturalistici, l’apertura al pubblico dei sentieri agricoli e la creazione di nuove connessioni per aggirare le barriere fisiche presenti nel territorio. Dossi e semafori possono rallentare il traffico delle arterie più frequentate, come via Bachelli e via Padova, ma è ancora l’elemento vegetale a venirci in soccorso: dividendo il traffico carrabile da quello ciclopedonale attraverso la creazione di siepi, aiuole e filari, si evitano situazioni di percorrenza promiscua e si mitiga visivamente l’infrastruttura. Riconnettere i vari tratti di ciclabile sparsi nel territorio risulta fondamentale per permetterne la fruizione in maniera rapida e sicura. I sentieri ciclabili del Parco sono importantissimi in quanto connessione tra il sistema ciclopedonale

225


Terza parte / La riconquista del territorio

Mitigazione delle infrastrutture Strade promiscue e pericolose

Mitigazione delle strade pericolose, tramite divisione delle corsie e predisposizione di dossi e attraversamenti pedonali

Nuove connessioni pedonali e ciclabili La rete pedonale e ciclabile diventa capillare e senza soluzione di continuitĂ tramite sottopassaggi o passerelle sospese.

Percorsi naturalistici Percorsi dissestati, fangosi, soggetti ad allagamenti

Consolidamento dei percorse, tramite passerelle e pedane

Percorsi agricoli I percorsi agricoli privati, anche laddove accessibili, non presentano caratteristiche idonee all’utilizzo da parte del pubblico

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Una sistemazione in terra battuta, di bassissimo impatto ambientale, e il rispristino dei filari agricoli e delle siepi


2. L’addizione verde

I margini da significare Margini con assenza di relazione tra abitato e aree agricole, la presenza di aree residuali offre nuove opportunità

?

?

A partire dagli spunti presenti sul territorio, come ad esempio la presenza di orti urbani spontanei, si realizzano una serie di interventi per dare un nuovo significato agli spazi e connettere gradualmente il verde urbano al verde agricolo VERDE DI QUARTIERE

MASSE ALBERATE

ORTI URBANI AREE DI SOSTA

SENTIERI AGRICOLI

I margini da schermare L’elemento ecologico si presta alla doppia funzione di schermatura delle aree impattanti.

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Terza parte / La riconquista del territorio Terza parte / La riconquista delpaesaggio territorio piatto, dove I landmark si stagliano in un sono pochi i punti di vista rialzati. Per questo è difficile valutare le distanze e comprendere la morfologia del territorio.

Gli interventi mirano a trasformare i landmark in punti di riferimento, attrazioni e oggetti da osservare, per scoprire e comprendere meglio il territorio del Parco.

? Riqualificazione artistica

Le strutture dismesse o esteticamente impattanti possono essere riqualificate con opere di street art

cittadino che si sviluppa intorno alle mura e quello territoriale rappresentato dal Destra Po. Il sentieri naturalistici lungo le sponde

Punti di osservazione Le torrette di osservazione costituiscono sia dei privilegiati punti di vista, sia, se di adeguata altezza, nuovi elementi che si stagliano all’orizzonte.

del Po e quelli dell’Isola Bianca sono percorsi piuttosto labili in quanto una semplice pioggia o le esondazioni del Po ne compromettono frequentemente la percorribilità. Per questo si è deciso di consolidare questi percorsi attraverso la disposizione di passerelle in legno

Segnaletica e informazioni

Apposizione di pannelli informativi sia per riconoscere le tracce storiche nel paesaggio, sia per comprendere il paesaggio attuale

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che ne garantiscono l’usufruibilità con qualsiasi condizione meteorologica. In alcuni punti critici si è reso necessario


2. L’addizione verde

creare dei collegamenti per garantire la continuità dei percorsi ciclopedonali sena tuttavia risultare impattanti. In corrispondenza di Porta degli Angeli si propone l’eliminazione dell’attuale passerella, che collega la Porta al sottomura ma che può essere usata dal pubblico solo negli orari di apertura passando all’interno della Porta stessa. Al suo posto è prevista la costruzione di una nuova passerella che, appoggiandosi su un esistente varco nelle mura, connetta il sopramura al sottomura. Questo collegamento è utile per rendere più veloce ma anche più suggestivo l’ingresso al Parco dalle mura. In corrispondenza di via Bachelli, la passerella torna a livello stradale e l’attraversamento è assicurato semplicemente dalle strisce pedonali, debitamente segnalate, e dalla presenza di dossi per rallentare il traffico. L’esistente passaggio pedonale posto più ad ovest e provvisto di semaforo non verrà eliminato, ma si prevede possa perdere di importanza. Particolare attenzione meritano i margini, quelle aree a stretto contatto con l’abitato. Soprattutto per quanto riguarda i nuclei di Barco e Pontelagoscuro si è notato come questi non abbiano alcun tipo di relazione con le aree residuali circostanti. L’unica forma di utilizzo di questi spazi consiste nella presenza di orti urbani spontanei. Nell’ipotesi di progetto si propone la riorganizzazione ed espansione di questi orti, la creazione di aree di sosta e percorsi integrati con il

229


Terza parte / La riconquista del territorio

230


2. L’addizione verde

sistema del bosco urbano e con quello del Parco Agricolo.

2.3 Un territorio da scoprire: il museo diffuso. I landmark vengono inclusi nel progetto al fine di facilitare il processo conoscitivo del territorio: quelli di tipo industriale o dismessi, che necessitano di una riqualificazione possono essere risignificati attraverso la street art o associandovi nuove funzioni. Il silos dell’ex-zuccherificio SFIR viene messo a disposizione di artisti urbani, e contemporaneamente trasformato in parete da arrampicata. Vengono inoltre inseriti nel Parco degli elementi di salita e di osservazione, delle torrette che fungono contemporaneamente da punto di vista ed elemento da osservare. I landmark divengono così punti di riferimento per il visitatore. Completano questo sistema che chiamiamo museo diffuso del territorio una serie di interventi mirati a conoscere e comprendere il territitorio: punti di ascolto, camere oscure, fattorie aperte, spazi espositivi e segnaletica. I punti di ascolto sono installazioni per l’ascolto dei suoni della natura. Le camere oscure sono stanze disseminate nel Parco provviste di un unico piccolo foro dal quale entra la luce all’interno e da un ingresso per i visitatori. Con lo stesso principio ottico su cui si basa la fotografia all’interno della stanza viene proiettata

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2. L’addizione verde

l’immagine capovolta del paesaggio circostante. Negli spazi espositivi ricavati in alcuni edifici restaurati delle corti rurali, possono essere raccolti gli attrezzi tipici del lavoro nei campi ed altri oggetti della memoria.

2.4 Il parco attivo. L’ex zuccherificio SFIR viene trasformato in un parco attivo, che ospita quelle funzioni di tipo ludico sportive che non trovano posto nelle aree del Parco Bassani. Mentre quest’ultimo, infatti, offre impianti come la piscina, il campo da golf, il campo da rugby e altre attrezzature, il parco attivo a nord ospita sport perlopiù informali, quali lo skate, il crossbiking e l’arrampicata. Per l’attività di skate e parkour sono state utilizzate delle preesistenze. Si è deciso di sfruttare i residui di pavimentazione cementizia presenti nell’area per creare delle piste immerse nel verde. Nel progetto sono stati accentuati i tagli nel cemento per permettere alla vegetazione spontanea di crescere, inoltre sono state aggiunte delle passerelle in legno per connettere nel complesso la pavimentazione. L’incavo della vecchia vasca di purificazione dell’acqua viene utilizzato per ospitare una pista da skate più complessa. Il silos, come già detto, viene trasformato in parete da arrampicata.

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Terza parte / La riconquista del territorio

2.5 Il parco culturale. L’area dell’ex discarica di detriti diviene una nuova polarità del Parco ed ospita funzioni di tipo culturale. Principalmente l’area, sfruttando il naturale declivio, si presta ad essere luogo privilegiato per l’osservazione del territorio circostante e viene quindi disseminata sia di punti di osservazione, come la torretta e le camere oscure, ma anche di punti di ascolto. Il bosco urbano che si sviluppa anche all’interno di quest’area, assume qui i caratteri di bosco didattico: una selva in cui gli alberi sono divisi in base alle loro caratteristiche e formano boschi puri, misti, filari o siepi di arbusti. Il luogo adatto per prendere dimestichezza con le varie specie e saperle riconoscere nelle altre aree del Parco. Completano il bosco, alcune aree di sosta e altre dedicate alle installazioni artistiche. L’idea è che ogni anno la montagna si possa arricchire di nuove opere d’arte, fino a diventare un’attrazione sempre più preziosa da visitare. L’area ospita il centro culturale, un edificio a due piani in cui trovano posto l’infopoint, una sala conferenze utilizzabile per lezioni, seminari divulgativi, didattica in generale e riunioni, un bar, e infine degli spazi espositivi che possono ospitare mostre temporanee riguardanti il paesaggio. Accanto al centro culturale si sviluppa un’area polivalente composta da una tettoia e da uno spiazzo pavimentato. Quest’area è stata pensata principalmente

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2. L’addizione verde

per essere mercato ortofrutticolo: sotto la tettoia, servita da una strada per il carico-scarico, possono sistemarsi periodicamente le bancarelle dei produttori locali, mentre lo spiazzo diventa area di sosta di relax. Con un diverso utilizzo degli spazi, tettoia e spiazzo possono ospitare anche cene di quartiere, sagre ed eventi di degustazione.

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del Parco Attivo

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Passerella di Porta degli Angeli

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Il240 Parco Culturale


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Conclusioni


Conclusioni

Nella proposta progettuale presentata in questo studio, si è voluto limitare al minimo l’intervento architettonico, perché è il paesaggio il vero protagonista e non servono metri cubi di cemento per produrre un buon paesaggio. Tuttavia, questo non significa assenza di progetto. Abbiamo cercato di tracciare, quindi, delle linee guida per proporre una metodologia di riappropriazione del territorio. Questa può avvenire attraverso il ripensamento dell’attività produttiva che in esso si compie, attraverso un rinnovato senso di cura e responsabilità nei confronti del sistema ecologico e attraverso semplici interventi di ripensamento degli spazi che possano spingere il visitatore a sentire come proprio il territorio e a desiderare di conoscerlo. Il tutto è stato sintetizzato nella proposta di costituire un Parco Agricolo per la città di Ferrara, in cui affiancare all’istanza produttiva altri tipi di funzioni compatibili con essa e che anzi possono darle nuova linfa. Tuttavia, la proposta che qui è stata abbozzata potrà essere veramente definita e sviluppata solo sul campo, attraverso il coinvolgimento della comunità di riferimento e il sostegno delle istituzioni. Spero che nel suo piccolo, questo lavoro possa essere utile per stimolare amministrazione pubblica, cittadini, associazioni, agricoltori, ricercatori e qualsiasi altro portatore di interesse a trovare l’occasione per avviare un percorso simile.

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Bibliografia


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Allegati























Ringraziamenti

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Non sarò breve, non sarò grammaticalmente corretto e non cercherò di non essere ridicolo. Come diceva Pessoa tutte le lettere d’amore sono ridicole. E questa è una lettera d’amore a questi ultimi dieci anni di vita. Se ripenso a come è iniziato questo lungo percorso universitario, mi viene in mente una notte di novembre di dieci anni fa quando, tornandomene a casa con una bici sgangherata, scivolando sopra ciottoli rumorosi e sotto un cielo color lambrusco, Ferrara si mostrava ai miei occhi di studente appena iscritto in tutto il suo essere misteriosa e affascinante. Quante sensazioni mi ha trasmesso questa città; immagini, profumi e rumori di una Ferrara allora sconosciuta si sono ripetuti identici ad ogni stagione, e hanno conservato intatto ai miei occhi tutto il loro fascino. Grazie Ferrara, perché da dieci anni sei la mia città; perché ti sei lasciata amare, odiare, ignorare persino, e oggi sei di nuovo più bella che mai. Ai tuoi parchi umidi di notte e splendidi di giorno. Ai tuoi pioppi alti e vibranti. Alle tue mura grandiose, ai tuoi mattoni rossi. Alle tue strade, alle tue lapidi, ai tuoi cimiteri. Alla tua nebbia che tutto protegge, nei lunghi inverni. Alla tua neve che cade di rado, ma quando cade congela tutto. Alle tue panetterie, che nonostante quel che si dice sulla bontà del tuo pane, non ne ho mai viste di così poco assortite. Al tuo cibo e ai tuoi piaceri. Ai tuoi silenzi e alle tue pause. Alle tue campagne che prima vedevo piatte e ora mi sembrano profondissime. Tanti sono stati i volti che ho incrociato all’interno delle tue mura e tante le persone che hanno arricchito questo percorso. 283


Grazie perché non riesco ad immaginare come sarei se non mi avessi accolto. Grazie ai miei relatori, Romeo Farinella e Michele Ronconi, che siete stati pazienti nei miei momenti grigi e avete saputo spronarmi nelle difficoltà. A Bruna e Carlo, che se devo immaginare dei genitori migliori di voi non ci riesco. Che non avete mai smesso di supportarmi e di credere in me. Che non mi avete mai fatto sentire solo e vi voglio un mondo di bene. Alla vostra generosità e premura. A Maria, che sei la mia zia e la mia seconda mamma. Che con te mi piace parlare, ragionare e se a volte non ti rispondo al telefono non ci devi rimanere male. Alla tua energia e al tuo altruismo. A te che sei un po’ Monica Vitti, un po’ Raffaella Carrà. A te che trasmetti sempre il tuo sole interiore a chi ti circonda. Ai miei nonni, che non ci siete più. A nonno Carlo, che pensavi studiassi Medicina e mi chiedevi se conoscessi una cura per il tuo male. A nonna Gianna, che sei il mio più grande esempio. A tutte le belle persone che ho incontrato sulla mia strada. A Leonardo e Chiara, perché grazie a voi mi sono imbattuto in una delle avventure più formative della mia vita. Insieme siamo cresciuti e ci siamo persi a immaginare mondi nuovi. A Martino, che mi piace il tuo modo di ragionare, che sei una persona intelligente 284


e schietta, che sei il perfetto padrone di casa. A Dalia, che sei venuta da lontano e ci hai contaminato con la tua luce latina. Alle ragazze. Quelle che hanno abitato in via Putinati e quelle che non ci abitavano ma era come se ci abitassero. A Roberta, Federica, Cecilia, Cristina, Ilaria e Beatrice. A Laura, che sei dolce, e a tutte le cose belle che nascondi sotto la tua timidezza. A Sofia, che sei forte; agli aperitivi in terrazza e alle sigarette che ti scrocco ogni tanto. A Silvia, che sei la mia “stronza” preferita e che in realtà sei bella e gentile; che se devo immaginare una bella persona penso a te. A Lilia, che sei la mamma di tutti, che se non ci fossi tu non ci sarebbero i mille gruppi su facebook e tutti noi non ci vorremmo così tanto bene. Al tuo impegno, alla tua creatività e alle tue premure. E anche al bassotto. A Roberta, che avevi i capelli rosso fuoco; che con te, anche se ora ci sentiamo poco, ho passato tanti bei momenti. A Nicola che sei un esempio da seguire, che ti ammiro veramente e non so come fai a fare tutte le cose belle che fai. Ad Andrea che sei il fratello che non ho mai avuto, che insieme siamo diventati “grandi”. Alle nostre nottate di chiacchiere e ragionamenti, alle velleità poetiche, alle letture di Baricco e alle invettive contro l’omeopatia. Alla tua Sardegna che ha saputo accogliermi tante volte. A Sarah, che mi mancano i nostri caffè e i nostri abbracci. A tutti i coinquilini con cui, magari anche per poco tempo, ho condiviso un fornello e una lavatrice. 285


Grazie all’appartamento di via Eleonora d’Este; a quello di via Compagnoni; a quello di via Paolo V, a Pietro e Marta, i suoi fantastici proprietari, e a Massimo. Grazie alla casa di via Vittoria, intima e accogliente, e alla sua corte rotonda. Grazie a Fabio, che nei mesi in cui abbiamo abitato insieme ci siamo tanto confrontati e ti auguro ogni bene. Grazie a Valle Rillo, che è il porto felice in cui ho trovato la giusta concentrazione per portare a termine questo percorso di tesi, e ai naviganti che da tutto il mondo vi hanno attraccato anche solo per un giorno. A Fabiola, che ti ho vista arrivare piccola e ora sei una donna sempre più in gamba. A Ibrahim, che sei l’amico lontano, ma sempre vicino nei pensieri. Che abbiamo vissuto insieme tante emozioni. A Jan, che spero di ritrovarti presto. Grazie a Bologna, cugina maggiore di Ferrara, in cui tante volte mi sono rifugiato. Ai suoi treni notturni e al suo essere un grande paese. Grazie all’appartamento di via Mascarella, alla Lu e a Topo che parla napoletano. A via Orfeo, a Serena, Megghi, Luisa e agli spritz sotto casa. Ad Angelo, che fin da subito ti ho sentito parte della mia famiglia. A te che a volte non ci capiamo. Al nostro legame di sangue che non si spezzerà mai. Alla tua Rosarno, che ormai è anche mia. A lei che mi ha accolto sempre con tanto calore e alla sua gente onesta. Alla forza della Calabria e ad A di Città, il nostro progetto. A Giusy, che sei stata tu a portarmi nella Pianura Padana. A te che dici sempre 286


che sono saggio e invece sei stata tu a insegnarmi tante cose. Mi hai insegnato ad essere piÚ coraggioso e a buttarmi. Mi hai insegnato ad aprire gli occhi e a guardarmi intorno. Grazie per essere come una sorella. A Stefano, che in questi due anni e mezzo sei stato la mia forza piÚ grande. A te che mi fai stare bene e che mi dai coraggio. A te che sei come me. A te che mi hai fatto ricordare come essere felice. Alle risate insieme, alle serie tv e agli anime, alle puntatine, alle righette, ai nostri modi di dire e al nostro linguaggio strambo. Alla tua Lucca, che vuole imitare le mura di Ferrara ma non ci riesce. Alla tua bella famiglia. A te che mi sembra di averti sempre conosciuto e che ti voglio per sempre al mio fianco. Alla mia verde Umbria, che mi hai stampato a fuoco nel cuore le tue placide colline. Alla tua semplicità . Alle viti e ai piantoni. Al Subasio e alla Valle Umbra. Al Clitunno e al Topino, che i profumi delle tue piccole sponde mi riempiono di gioia. A Foligno, lu centru de lu munnu, che spero di fare qualcosa di bello per te; che, anche se sarò lontano, vorrei poter essere un cittadino migliore.

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