“EverySpace Magazine - #3� 16 settembre 2012 Distribuzione gratuita online ISBN: 9788897004233
Settembre 2012 - Distribuzione gratuita in Italia
Magazine
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EverySpace S.r.l.
ESM - #3
“EverySpace Magazine” - Numero 3 Data di pubblicazione online: 16 Settembre 2012 Responsabile della pubblicazione: Issuu Ideatore del progetto “EverySpace Magazine”: Simone La Torre Direttore Responsabile e Direttore Editoriale: Michele Caruso Società responsabile del progetto: EverySpace S.r.l. Presidente: Simone La Torre Direttore Generale: Mattia Stipa Sito web: www.everyspacedivision.com ***** Supplemento del giornale di informazione e cultura "Vento nuovo". Registrazione Tribunale di Roma n. 43 del 24.02.2010 Pubblicazione a cadenza saltuaria. ***** La totalità degli autori e dei collaboratori di “EverySpace Magazine” fornisce il proprio contributo a titolo gratuito, accettando ogni responsabilità in caso di contestazioni di diritti d’autore e proprietà intellettuali in merito ai propri articoli. La Redazione di “EverySpace Magazine” resta a disposizione degli aventi diritto, per quei casi in cui non è stato possibile risalire ai detentori di proprietà intellettuali di concetti, citazioni, o immagini utilizzate in questo numero. ***** Le inserzioni pubblicitarie su queste pagine, qualora presenti, sono a pagamento. ***** Supervisione editoriale, grafica, impaginazione e garanzia di qualità tecnica a cura di EverySpace S.r.l. Responsabile del processo di revisione linguistica degli articoli: Simone La Torre “EverySpace Magazine” è un progetto esclusivo di EverySpace S.r.l.
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ESM - #3 Indice
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Non c’è 2 senza 3! di S. La Torre
Sensazionale! L’uomo è andato sulla Luna! di D. De Angelis
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Rotolando verso Sud! di M. Caruso
Lo Space Shuttle di U. Pica
I velivoli ipersonici
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di G. Currao
Le orbite: cadute senza fine di M. Sciarra
ESM intervista: Samantha Cristoforetti di C. Riso, D. De Angelis e A. Menchinelli
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Nebulosa.
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Rubrica “Space People”: W. von Braun di D. De Angelis
Soddisfa la tua curiosità!
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a 3! Non c’è 2 senz
Carissimi lettori, ci siamo! “EverySpace Magazine” numero 3 è pronto! Come sempre, abbiamo curato ogni minimo dettaglio per offrirvi la migliore esperienza di lettura possibile. Quest’uscita è particolarmente importante perché, oltre a contenere un’intervista esclusiva a Samantha Cristoforetti, prima donna italiana della storia ad andare in orbita, ed oltre agli articoli scientifici che tanto vi fanno appassionare ogni volta, abbiamo deciso di esporci con un articolo che farà storia, dal titolo: “Sensazionale! L’uomo è andato sulla Luna!” In questo articolo troverete tutte le risposte a quella domanda che si sta insinuando nelle menti di tutti da molti anni: siamo andati davvero sulla Luna, oppure è stato tutto solo un imbroglio? La risposta, ovviamente, è sì, ci siamo andati veramente. Non devo far altro che augurarvi, come ormai sono solito fare, una “lettura spaziale”, perché gli articoli contenuti in questo numero sapranno accompagnarvi alla scoperta di realtà affascinanti e futuristiche, sebbene molto attuali. Simone La Torre
Presidente e Co-Fondatore di EverySpace S.r.l.
“EverySpace Magazine”,
Lo Spazio, Semplicemente!
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Foto della Luna.
Rotolando verso Sud! di Michele Caruso Direttore Responsabile ed Editoriale di “EverySpace Magazine”.
Viaggiare da un capo all’altro della Terra in un’ora con l’uso degli aerei ipersonici potrà presto essere un’impresa possibile. Un sogno che può diventare realtà. L’ultimo territorio di conquista dell’Ingegneria dell’aerospazio. Un traguardo che potrà rivoluzionare il nostro modo di intendere le distanze, di percepire il mondo e le sue dimensioni. Viaggiare ha da sempre affascinato l’uomo: dagli uomini primitivi che attraversarono lo stretto di Bering agli esploratori che nel Cinquecento si avventurarono alla scoperta dell’ignoto, fino alle grandi spedizioni spaziali del Novecento. Ho sempre pensato che ogni viaggio serbi in sé una consegna d’infinito. L’infinito si ritaglia dentro le grandi distese della pianura, ma anche nello spazio libero del cielo, nella sua mobile immobilità. Come scrive Guy de Maupassant nel suo Diario di viaggio in Algeria: “Il viaggio è una porta attraverso la quale si esce dalla realtà conosciuta e si entra in un’altra realtà inesplorata, che somiglia al sogno”. Ed il cielo notturno ci offre la possibilità di soddisfare la nostra sete di infinito. È esso stesso la percezione di un infinito ed imperscrutabile legame tra le parti, un’avventura meravigliosa del pensiero.
Buona lettura.
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Il mio ultimo viaggio in Mozambico, terminato qualche settimana fa, mi ha regalato, tra mille altre cose, la preziosa opportunità di scrutare il cielo dell’emisfero australe: una distesa meravigliosa di stelle che punteggiano il manto della notte. Emergono, fra tutte, come una spilla che brilla, come un aquilone di diamanti gelati, quattro stelle, quattro pietre azzurre. È la Croce del Sud che si adagia sul cuore della notte. E, orientando la nostra rotta verso di essa, il viaggio della rivista continua.
Sensazionale! L’uomo è andato sulla Luna! di Dario De Angelis Studente di Ingegneria Aerospaziale
Il 20 Luglio 1969 (data americana) il Lunar Excursion Module (per gli amici LEM), nome in codice EAGLE, atterra sulla superficie lunare (o forse dovremmo dire “alluna”). Pochi scalini, e il celebre astronauta Neil Armstrong pronuncia la storica frase: « That's one small step for [a] man, one giant leap for mankind. » (« Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un balzo da gigante per l'umanità. »)
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Impronta dell’uomo sul suolo lunare.
Ma e’ tutto vero? Nel 1976, gli americani Bill e Randy Raid pubblicano il libro “Non siamo andati sulla Luna”, in cui dichiarano che l’atterraggio sulla Luna è un imbroglio poiché, a parer loro, negli anni ’60 nessuno disponeva delle conoscenze tecnologiche per tentare una simile impresa. Successivamente, nel 2001, la Fox (emittente americana) rilancia la teoria del complotto convocando un gruppo di “esperti” dello spazio, per dimostrare che la storia dello sbarco fu solo una finzione creata dal governo americano e dalla NASA per cercare di vincere la Guerra Fredda.
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ESM - #3 In effetti i video e le foto in circolazione fanno nascere alcuni dubbi: come mai non si vedono le stelle sullo sfondo? Perché il LEM non crea un enorme cratere atterrando? Per quale motivo non siamo più tornati sulla Luna? Ma, soprattutto, come diavolo fa la bandiera americana a sventolare, non essendoci vento sulla Luna? Queste sono tutte domande lecite ma, come spesso succede, hanno tutte una risposta molto più semplice di quel che si pensa. Procediamo con ordine e consideriamo la figura in questa pagina; come è possibile che l’astronauta Buzz Aldrin, (pilota del LEM e secondo uomo sulla Luna, nonché fonte di ispirazione per i creatori di Buzz Lightyear) si veda in modo così nitido, mentre le stelle sullo sfondo non sono visibili? Semplice: chiunque si sia occupato anche per divertimento di fotografia sa che è praticamente impossibile fotografare allo stesso tempo oggetti luminosi e oggetti in penombra. Le pellicole, infatti, sono in grado di catturare ben determinati tipi di luce e hanno un piccolo campo di impiego. Considerando l’effetto combinato della luce solare, del riflesso lunare e del riflesso della tuta spaziale, l’astronauta era letteralmente brillante quindi, volendo fotografare lo sbarco dell’uomo sulla Luna, era assolutamente impossibile catturare allo stesso tempo la flebile luce delle stelle sullo sfondo. Per lo stesso motivo, ovvero il riflesso della superficie lunare, è possibile vedere distintamente il corpo dell’astronauta, nonostante la luce provenga dalle sue spalle.
Buzz Aldrin sul suolo lunare.
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Passiamo ad un'altra fantomatica “discrepanza fotografica”, lasciandoci guidare da un cronista della Fox: “Sulla Luna, l’unica fonte di luce per gli astronauti era il Sole. Invece, in questa foto dell’apollo 14, le ombre vanno in direzioni diverse, suggerendo più fonti di luce. Le ombre create dalle rocce dovrebbero essere rivolte verso est, come quella del LEM.”
L’ombra del LEM non è parallela a quella delle rocce...ovviamente! Sembra impossibile, ma anche questo mito (“le ombre divergenti”) è basato su osservazioni poco accurate. Per convincersene basta osservare la foto seguente:
Ombre divergenti? Ecco il perchè, nella foto di Ian Goddard. Come potete vedere in questa foto di Ian Goddard, la divergenza delle ombre non dipende dalla presenza di luci secondarie, ma dalla semplice pendenza del terreno. Lo stesso effetto può essere causato anche da una fonte luminosa “bassa sull’orizzonte”, come il Sole al tramonto, che colpisce oggetti distanti tra loro, LEM e rocce, causando così ombre con angoli differenti.
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Per rimanere in ambito fotografico, parliamo ora delle croci di allineamento.
La croce di allineamento sembra essere sotto l’asta della bandiera.
Queste croci sono utilizzate per dare un riferimento agli scienziati quando hanno bisogno di capire a che distanza si trova una montagna o quanto è grande un oggetto. Vi propongo un esperimento: prendete un capello nero, un cartoncino bianco ed una fonte di luce (per esempio la lampada che avete in camera o una torcia). Adesso incollate il capello al cartoncino, illuminatelo e scattate una foto. “Attacco d’arte” a parte, vi renderete conto che nella foto non si riesce a distinguere nessun capello nero, in quanto esso è stato “assorbito” dalla luce. E’ esattamente la stessa cosa che è capitata alle croci fotografiche degli scatti lunari, pertanto impossibili da vedere al di sopra Sotto l’ugello di oggetti chiari. del LEM non ci sono segni Passiamo a qualcosa di più scientifico. Come fa di distruzione. il LEM ad atterrare sulla superficie lunare senza Ovvio. lasciare un immenso cratere? Dopotutto stiamo parlando di tonnellate di navicella spaziale lanciate a velocità cosmiche. Prima di pensare al moto nello spazio, riflettiamo su una situazione più “terrena”: quando parcheggiamo la macchina non lo facciamo certo a 100 km/h, rallentiamo! Allo stesso modo il pilota Buzz Aldrin, dopo essere uscito dall’orbita intorno alla Luna, ha rallentato prima dell’atterraggio. Ora, qualche semplice passaggio matematico: il motore del modulo lunare, durante la fase di atterraggio, era in grado di fornire una spinta di circa 1300 kg attraverso un ugello (il cono posto alla base della navicella, attraverso il quale vengono espulsi i gas di scarico che generano la spinta) grande circa 15000 centimetri quadrati (1.5 metri quadrati). La pressione esercitata durante la fase di discesa equivale alla spinta diviso l’area ed è quindi pari a circa 0.1 kg su centimetro quadrato. Non una grande pressione in fin dei conti! Come paragone pensate ad una persona media (circa 80 kg): essa esercita sul pavimento poco più di 0.2 kg per centimetro quadrato di pressione…il doppio del LEM! Ecco spiegato perché non ha senso pensare ad un cratere nel punto dove è atterrato il LEM.
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Procediamo analizzando l’esclamazione: “ma se siamo stati capaci di andare sulla Luna 40 anni fa, perché non ci torniamo più?”. La questione è molto intrigante, ma purtroppo si basa su un’ipotesi sbagliata. In effetti, in totale, ben 12 persone tra il 1969 e il 1972 sono sbarcate sulla Luna e sono in grado di testimoniare. Dunque, tecnicamente, non è vero che non siamo più tornati sulla Luna. Successivamente, però, una volta ottenuti i dati di interesse scientifico, la NASA ha ritenuto che ulteriori lanci non fossero giustificati dal punto di vista economico e della sicurezza degli astronauti (perché, comunque sia, il volo nello spazio non è proprio una passeggiata). Per il futuro, anche grazie all’avvento della robotica e agli sviluppi nel campo delle missioni spaziali, si pensa già alla possibilità di stabilire piccole basi scientifiche sulla superficie lunare. Passiamo infine alla domanda da un milione di dollari: come fa la bandiera americana a sventolare nel vuoto? Sarà frutto di elaborazioni fotografiche, o forse è perché le foto sono state scattate sulla Terra, magari proprio nella famosa “Area 51”?
La bandiera sembra sventolare sulla Luna.
Ovviamente non può trattarsi di una raffica di vento, poiché nel vuoto, non essendoci aria, non ha senso parlare di vento, ma allora come fa a sventolare così? Nuovamente la soluzione di questo mistero è incredibilmente semplice! Per prima cosa dobbiamo notare che la bandiera non è “standard”. Se osserviamo la fotografia più da vicino, ci accorgiamo che sul lato superiore c’è una seconda asta telescopica, proprio per tenere il tessuto in posizione. Sembra un dettaglio e invece è proprio qui che si infrange questo ultimo mito. Infatti Armstrong e Aldrin riportarono che l’asta orizzontale non si aprì completamente, come avrebbe dovuto. Pensate alle tende di casa vostra: hanno le pieghe anche quando non c’è vento! Allo stesso modo, sembra che la bandiera stia sventolando. Questo simpatico “incidente” piacque talmente tanto alla NASA che, nei lanci successivi, gli astronauti ricevettero la consegna di non estendere l’asta telescopica completamente, per ricreare la stessa scena del primo volo sulla Luna.
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In caso non foste ancora convinti del fatto che non ci sia stata alcuna messa in scena, passiamo ora a una prova inconfutabile del passaggio dell’uomo su un altro corpo celeste. Basta studiare i 380 kg di rocce lunari che gli astronauti hanno portato dai loro viaggi e la roccia non mente! Infatti sono state rinvenute tracce di vetro all’interno dei campioni. E che c’entra, direte voi? C’entra moltissimo! Il vetro di questi campioni è stato prodotto da attività vulcanica e dall’impatto di meteoriti sulla superficie lunare avvenuto 3 miliardi di anni fa. La differenza con le rocce terrestri è che sul nostro pianeta la presenza di acqua fa sì che queste particelle scompaiano nel giro di pochi milioni di anni, quindi queste rocce devono per forza provenire da un altro pianeta (o satellite nel nostro caso). Qualcuno potrebbe dire: “se non vedo non credo”. Non c’è problema: nel 2009 la Nasa ha reso disponibili le foto scattate dal satellite Lunar Reconnaissance Orbiter nel suo passaggio a 25 Km dalla superficie lunare, nelle quali si possono riconoscere i resti del modulo lunare, delle attrezzature scientifiche utilizzate nella missione Apollo 14 e una scia di impronte lasciate da un astronauta.
Foto scattate dal LRO nel 2009. Sulla superficie lunare sono evidenti le prove dell’allunaggio. Inoltre, se consideriamo i dipendenti della NASA e delle società esterne che parteciparono al progetto Apollo nell’arco dei suoi 10 anni di sviluppo, otteniamo un totale di circa 400000 persone, tra tecnici, ingegneri, manager e astronauti. Come osserva il professor Longuski della Purdue University, sarebbe stato meno costoso mandare l’uomo sulla Luna, che creare un imbroglio di questa portata. Convincere un tale numero di persone a mantenere il segreto sarebbe stato praticamente impossibile.
Il Saturn V in fase di decollo.
Senza contare che il lancio del Saturn V e l’intero progetto erano tenuti sotto strettissimo controllo da parte delle stazioni di terra dell’URSS. La guerra tra le due superpotenze era così accesa che, se l’Unione Sovietica avesse avuto il minimo sospetto che l’Apollo 11 fosse un imbroglio, non avrebbe esitato un attimo a smascherare gli Stati Uniti, e, invece, accettò la sconfitta nella corsa allo spazio.
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ESM - #3 Nel corso di queste poche pagine abbiamo risposto alle stesse critiche proposte dai teorici del complotto, dimostrando che l’uomo è andato davvero sulla Luna. Guidati da prove scientifiche, storiche e dal semplice buonsenso, ci siamo resi conto che, per quanto affascinanti, queste teorie si basano su imprecisioni. Quello che è certo è che, grazie agli sforzi di migliaia di tecnici, ingegneri, astronauti, abbiamo mosso il nostro primo “piccolo passo” nello spazio.
Gli eroi della prima missione umana sulla Luna.
Bibliografia e Riferimenti per “Sensazionale! L’uomo è andato sulla Luna!” - A Settembre 2012
http://science.nasa.gov/science-news/science-at-nasa/2001/ast23feb_2/ http://www.badastronomy.com/bad/tv/foxapollo.html#crater http://www.jsc.nasa.gov/history/flag/flag.htm http://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_del_complotto_lunare http://www.bo.astro.it/universo/venere/Sole-Pianeti/planets/tervan.htm http://www.iangoddard.com/moon01.htm http://www.iangoddard.com/shadow05.jpg
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Lo Space Shuttle di Udrivolf Pica Studente di Ingegneria Spaziale
Parte come un razzo ed atterra come un aliante, potente e delicato allo stesso tempo; lo Shuttle si compone essenzialmente di 3 parti: l'orbiter, l'unico componente ad essere messo in orbita e che trasporta gli astronauti (è il componente a forma di aeroplano nella foto), il serbatoio esterno di colore arancione (che contiene il propellente liquido) e due razzi booster, posti lateralmente, i quali forniscono l’80% della spinta totale del velivolo in fase di lancio.
Space Shuttle in volo.
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Una delle macchine più complesse mai costruite dall’uomo, un sogno diventato realtà grazie alla più alta ingegneria, una navetta in grado di portare l’uomo nello spazio e riportarlo in modo sicuro sulla Terra: lo Space Shuttle, nome comune per identificare lo “Space Transportation System” (“sistema di trasporto spaziale”). Tutto cominciò più di 40 anni fa, subito dopo la conquista della Luna nel 1969. Il progetto spaziale americano già si prefiggeva, fra i futuri obiettivi, una missione umana sul pianeta rosso: Marte. Forti del sorpasso tecnologico avvenuto sui Sovietici e spinti da un’irrefrenabile voglia di esplorare il nostro universo, ingegneri e scienziati della NASA si misero al lavoro per realizzare un aeroplano spaziale, ovvero un veicolo riutilizzabile capace di compiere dei viaggi settimanali tra la Terra ed un’orbita bassa (200-300 km di altezza), un po’ come un comune autobus, per capirci. Lo sviluppo iniziò nel 1972; il 12 agosto 1977 si tenne il primo volo senza motore della navetta, portata in quota e poi sganciata da un Boeing 747; il primo volo spaziale dello Space Shuttle avvenne il 12 aprile 1981 con la missione STS-1. Lo Space Shuttle Columbia, con al comando l'esperto astronauta John W. Young e con Robert Crippen come pilota, realizzò 17 orbite in poco più di due giorni, rientrando in sicurezza presso la Edwards Air Force Base. Prima dell'impiego operativo vennero realizzati altri tre voli (STS-2, STS-3, STS-4) per testare tutto il sistema, avvenuti tra il 1981 e il 1982.
ESM - #3 Il complesso veniva assemblato nel “Vehicle Assembly Building” presso il Kennedy Space Center, in Florida, e quindi trasportato, per mezzo di una piattaforma mobile, presso il complesso di lancio 39. Il lancio della navetta avviene in posizione verticale come un razzo convenzionale: la spinta (come già anticipato) è fornita dai suoi tre motori principali e dai due booster (SRB) laterali. Dopo circa due minuti dal lancio i due SRB vengono espulsi e la navetta continua il suo volo fino all'orbita prevista utilizzando i suoi motori, alimentati dal propellente contenuto nel serbatoio esterno: idrogeno ed ossigeno liquido. Una volta raggiunta l'orbita, i motori principali vengono spenti e il serbatoio viene abbandonato a bruciare nell'atmosfera terrestre. La navetta è progettata per raggiungere orbite comprese tra i 185 ed i 643 km di quota con un equipaggio composto da due a sette astronauti (dieci in caso di una missione di recupero di emergenza). La manovra di rientro prevede che la navetta riduca la propria velocità attraverso i motori di manovra fino a trovarsi su una traiettoria di discesa che le permetta di attraversare i vari strati dell'atmosfera e fare ritorno sulla Terra. L'atterraggio avviene senza propulsione, come un aliante. L'intero sistema è stato ritirato dal servizio il 21 luglio 2011, dopo 135 lanci. Le missioni più importanti realizzate hanno permesso di lanciare satelliti (tra cui il telescopio Hubble) e numerose sonde interplanetarie, di condurre esperimenti scientifici nello spazio ed hanno consentito la manutenzione e la costruzione di stazioni spaziali. Nel corso del Programma Space Shuttle sono stati costruiti cinque orbiter, due sono andati distrutti in incidenti e tre sono rimasti attivi fino alla fine delle operazioni: • Columbia (OV-102): è stato il primo orbiter in servizio operativo. Ha effettuato 28 voli tra il 1981 e il 2003 prima di essere distrutto durante il suo rientro in atmosfera il 1 ° febbraio 2003. Columbia pesava 3,6 tonnellate in più rispetto agli orbiter più moderni: le ali e la fusoliera risultavano essere più pesanti. Il Columbia era dotato di strumentazione usata per il controllo e il monitoraggio di moltissimi parametri di volo durante i primi voli di test. • Challenger (OV-099, ex-STA-099): è stato il secondo orbiter costruito (nel 1982). Volò per la prima volta nel 1983 durante la missione STS-6. Rimase distrutto durante il lancio del suo decimo volo, STS-51-L, il 28 gennaio 1986. • Discovery (OV-103): ha fatto il suo volo inaugurale nel 1984, durante la missione STS-41-D Ha completato 39 missioni arrivando ad essere l'Orbiter con il maggior numero di voli. È stato ritirato dal servizio dopo la missione STS-133. • Atlantis (OV-104): ha fatto il suo volo inaugurale nel 1985 per la missione STS-51-J. È stato ritirato dal servizio dopo la missione STS-135 (è l’ultimo orbiter ad aver volato). • Endeavour (OV-105): primo volo nel 1992 durante la missione STS-49. È stato costruito dopo la perdita del Challenger e ha compiuto 26 voli. È stato ritirato dal servizio dopo la missione STS-134.
Tutti e cinque gli Space Shuttle in fase di decollo.
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Profilo di missione dello Space Shuttle.
Il 28 gennaio 1986 la navetta Challenger andò distrutta dopo 73 secondi dal lancio, uccidendo l'intero equipaggio della missione STS-51-L. La causa fu un guasto ad una guarnizione, detta O-ring, nel segmento inferiore del razzo a propellente solido (SRB) destro. Questa era la venticinquesima missione del Programma e il decimo volo del Challenger. L'indagine della Commissione Rogers evidenziò la cattiva gestione del programma da parte della NASA: Il problema che provocò l'incidente era già stato identificato ma sottovalutato a causa di un miope approccio e di una mancanza di dialogo tra i vari responsabili. Il rapporto rivelò, inoltre, che i rischi delle missioni erano superiori a quanto stimato. Il 1º febbraio 2003 l'orbiter Columbia, a causa dello scudo termico rimasto danneggiato da un pezzo del serbatoio esterno staccatosi al momento del lancio, si disintegrò al rientro nell'atmosfera uccidendo tutti i membri del suo equipaggio. Ancora una volta venne messa in discussione la gestione del Programma da parte della NASA: l'anomalia che aveva portato al disastro era già nota, ma non venne mai risolta. Inoltre, il fitto calendario di montaggio della Stazione Spaziale Internazionale, imposto nel 2001 dai tagli al bilancio imposti dalla NASA, mise sotto pressione l'ente spaziale americana, tanto da fargli sottovalutare i rischi. Quando, 18 mesi dopo l’incidente, i voli ripresero con la missione STS-114, molte misure vennero adottate per limitare i rischi. Ad ogni missione venne imposta un’accurata ispezione dello scudo termico (mediante l'Orbiter Boom Sensor System) una volta raggiunta l'orbita. Se la valutazione avesse riscontrato dei problemi irrisolvibili, un secondo Shuttle era pronto per essere lanciato per compiere una missione di salvataggio. Oltre i due disastri appena citati, l’enorme spesa annuale (diversi miliardi di dollari) e un cambiamento di politica spaziale da parte degli U.S.A. portarono il Senato americano alla decisione della chiusura definitiva del Programma Shuttle con l’ultima missione, partita l’8 luglio 2011. Il presente (ed il futuro) è rappresentato dai cosiddetti razzi “expendables”, ovvero endoreattori “usa e getta”. Fondamentalmente il motivo è economico: la manutenzione e i rischi di una navetta riutilizzabile hanno fatto propendere per la scelta attuale. La “United Launch Alliance” o ULA, una Joint Venture fra due grandi industrie come “Lockheed Martin” e “Boeing”, nata nel 2006, è una società che lavora per il governo Statunitense fornendo i 3 sistemi di lancio spaziale attuali: Delta II, Delta IV e Atlas V.
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ESM - #3
ESM - #3
Atlas V in fase di decollo.
Anche se il mondo spaziale corre e non si ferma un attimo, tutte le future missioni umane dovranno ringraziare il Programma Space Shuttle per tutto ciò a cui questi meravigliosi 30 anni di attività hanno portato. Migliaia di ingegneri, scienziati, tecnici, quasi 800 milioni di chilometri percorsi, migliaia di tonnellate di propellente bruciato, circa 4 milioni di singoli pezzi costituenti il sistema di lancio finale. Il contributo di questa leggendaria macchina spaziale ha ampliato gli orizzonti dell’umanità e preparato il sostrato per soddisfare, nel modo migliore, il desiderio più forte della nostra natura: esplorare.
Space Shuttle in fase di decollo.
Bibliografia e Riferimenti per “Lo Space Shuttle” - A Settembre 2012
John F. Guilmartin; John Maurer, A Space Shuttle Chronology (in en), NASA Johnson Space Center, 1988. Joseph Allen, Entering Space (in en), Stewart, Tabori & Chang, 1984. Henry S. F.1987 Cooper Jr., Before Lift-Off: The Making of a Space Shuttle Crew (in en), John Hopkins University Press. George Forres, Space Shuttle: The Quest Continues (in en), Ian Allen, 1989. Tim Furniss, Space Shuttle Log (in en), Jane's, 1986. Gene Gurney; Jeff Forte, The Space Shuttle Log: The First 25 Flights (in en), Aero Books, 1988. Dennis Jenkins, Space Shuttle: The History of Developing the National Space Transportation System (in en), Walsworth Publishing Company, 1996. Kerry Mark Joels; Greg Kennedy, Space Shuttle Operator's Manual (in en), Ballantine Books, 1982. http://it.wikipedia.org/wiki/Space_Shuttle
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I velivoli ipersonici di Gaetano Currao Studente di Ingegneria Spaziale
Mini glossario: Numero di Mach: definisce la velocità, in questo caso di un velivolo, rispetto alla velocità del suono. Mach=5 significa che l’oggetto vola 5 volte più veloce del suono. USAF: acronimo per “United States Air Force” (“Aeronautica degli Stati Uniti”). -
Quando un oggetto raggiunge velocità superiori di circa cinque volte rispetto alla velocità del suono, allora si parla di regime ipersonico (cioè “più che supersonico”). Qualcuno molto pragmatico potrebbe esordire dicendo: ''vogliamo velocità più elevate? Nessun problema! Costruiamo aerei più potenti e più aerodinamici!'' A questo pragmatismo è necessario, però, contrapporre due problematiche: come può un aereo raggiungere velocità così elevate come quelle ipersoniche? E quali sono gli effetti di un numero di Mach tanto elevato? Per rispondere a questi quesiti, è necessario precisare che, purtroppo, queste velocità sono praticamente irraggiungibili per un aereo comune a causa di un limite tecnologico fondamentale. Attualmente, il record di velocità per un velivolo capace di decollare e atterrare autonomamente è detenuto dal Lockheed SR-71 Blackbird che può raggiungere numeri di Mach anche superiori a tre. Questo aereo è nato però negli anni '70, quando ancora si investiva molto in ambito aerospaziale. Il limite tecnologico di cui si appena parlato è da ascrivere al principio di funzionamento dei motori a reazione aeronautici (detti ''air-breathing'' cioè che “respirano aria”), il quale consiste nell'espellere la portata di gas ad una velocità maggiore di quella con cui essa entra nella presa d'aria. Per ovvi motivi, aerei spinti da motori di questo tipo (cioè i comuni velivoli civili) non possono andare più veloci dei gas di scarico dei motori poiché, nel momento in cui l'aereo raggiunge una velocità pari a quella di uscita dei gas, la spinta si annulla e il motore spende carburante esclusivamente per mantenere questa velocità di crociera (il velivolo, quindi, non può accelerare oltre).
SR-71 Blackbird.
Insomma oltre una certa velocità sembrerebbe impossibile andare. Per ovviare a questa forte limitazione tecnologica, sono in fase di studio dei motori di ultima generazione detti “statoreattori” (in particolare gli “scramjet”, che funzionano a velocità ipersoniche o, meglio, funzionano ''solo'' a velocità ipersoniche: cioè se l’aereo non raggiunge velocità sufficientemente elevate prima di azionare questi motori ipersonici, essi sono inutili).
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Tiriamo le somme: abbiamo un motore che funziona a velocità molto elevate, ma non abbiamo un aereo che ci consenta di raggiungere le velocità iniziali necessarie ad accenderlo e ad utilizzarlo. Non è il caso di disperarsi: fino ad ora gli studi sull'ipersonica sono stati condotti tramite l'ausilio di razzi che hanno conferito ai velivoli velocità iniziali molto elevate, consentendo di raggiungere anche numeri di Mach pari a 20. Occorre notare che, in regime ipersonico, si hanno flussi di calore sulla superficie dell'oggetto elevatissimi. Attorno al corpo, infatti, si crea un'onda d'urto che determina, a pochi centimetri dalla superficie, livelli di temperatura e pressione non facilmente tollerabili. Tali flussi di calore costituiscono il principale motivo per cui i piccoli meteoriti che colpiscono la Terra si disintegrano, fortunatamente, prima di accedere agli strati più bassi dell’atmosfera; ed è anche il motivo per cui i satelliti che hanno concluso la loro vita operativa vengono semplicemente lasciati precipitare per effetto della forza di gravità (rientrando nell’atmosfera a velocità ipersoniche essi, semplicemente, si disintegrano). Per approfondire la questione della temperatura elevata, pensiamo di essere sulla superficie di una capsula di rientro che raggiunge numeri di Mach pari a 20: a pochi centimetri da noi, l'aria arriva ad una temperatura prossima a 11000 °C (circa tre volte quella della superficie solare). Questo ''tepore'' è troppo persino per i più tecnologici materiali esistenti. Le capsule, infatti, sono rivestite da materiale “ablativo”, cioé che disperde calore staccandosi dalla capsula, evaporando al fine di proteggere i materiali sottostanti. Si può dimostrare che, per rendere il flusso di calore a parete più piccolo possibile, la superficie deve essere grande (questo è il motivo per cui lo Space Shuttle entra, anzi entrava, nell'atmosfera mostrando il ventre, cioé esponendo più superficie possibile al flusso di calore).
X-43 della NASA.
Le grandi dimensioni non rappresentano un grande problema durante i rientri atmosferici, dove avere superfici ampie soddisfa sia le necessità di un flusso di calore minimo, sia quelle di massima resistenza, perché si vuole rallentare il più possibile il velivolo in fase di rientro. Lo stesso non è vero per un eventuale volo di linea a velocità ipersoniche, dove si vuole una resistenza piccola (cioè profili aerodinamici).
ESM - #3
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ESM - #3 Quanto appena detto giustifica le geometrie particolari di questi velivoli di ultima generazione, che appaiono decisamente futuristiche. In generale, si riconosce un velivolo ipersonico perché non si è capaci di distinguere tra loro fusoliera, ali e motore. Nelle immagini si può vedere come l'X-43 appaia effettivamente come una ''grande ala'' con una particolare presa d'aria sul ventre. Quest’ultima è proprio un motore scramjet, ovvero un particolare condotto che comprime l'aria e poi la espelle a velocità elevatissime. La compressione iniziale dell'aria avviene già sul profilo del velivolo, ossia la pancia stessa del velivolo ''funziona da motore''.
X-43-A durante l’ascesa, portato prima da aereo e poi da razzo.
Boeing X-51-A Waverider. Rappresentazione artistica.
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ESM - #3 Il Boeing X-43 fa parte del progetto Hyper-X della Nasa, in particolare l' X-43-A è riuscito a mantenere un volo di crociera a Mach 10 per circa 10 secondi stabilendo così il record di velocità nel Novembre del 2004. Il velivolo era accelerato a grande velocità da un razzo Pegasus lanciato da un bombardiere B-52. Arrivato alla quota di 36 km circa, l'X-43-A si separava dal razzo per autosostenersi grazie al motore scramjet. Il Boeing X-5-A WaveRider ha compiuto il record di permanenza in volo per un veicolo propulso da motore scramjet, sostenendosi a velocità ipersonica per tre minuti e mezzo, ma fallendo l’obiettivo di arrivare a Mach 6. Se le prove condotte nell’anno 2013 daranno i risultati attesi, l’USAF potrà iniziare a progettare immediate applicazioni basate sulla tecnologia del WaveRider. Un missile cruise così concepito potrebbe coprire 1000 km in un quarto d’ora, ideale per attacchi da grandi distanze. Un altro progetto di grande interesse è il prototipo HTV-2 (Hypersonic Technology Vehicle), sviluppato dalla Darpa, noto come Falcon. L'ultima missione dell’HTV-2 è stata un successo parziale: il prototipo è stato lanciato ad alta quota tramite un razzo Minotaur IV, per poi cominciare la sua discesa ad alta velocità. L'HTV-2 è riuscito a raggiungere un numero di Mach pari a 20 (circa 23000 chilometri all’ora). Purtroppo il velivolo non ha potuto mantenere tale velocità per i 30 minuti previsti. Cosa dire di più? Moltissimo! Questa è solo la punta dell'iceberg! Il futuro sembra essere ricco di sorprese. Riusciremo a costruire aerei ipersonici per usi civili? L'USAF promette di riuscirci entro il 2035! Velivoli capaci di percorrere la distanza tra New York e Los Angeles in un quarto d'ora… E poi? Si scatenerà forse una terza guerra mondiale (speriamo di no) per via di certi razzi capaci di colpire ogni punto del globo in meno di un'ora? Ci stancheremo anche dell'ipersonico e nascerà l'ultrasonico? L'unica cosa che ci auguro è di mettere le mani su queste tecnologie e di dare anche un contributo, seppur piccolo, ad un futuro che cambierà le nostre vite e quelle dei nostri figli. ''Uno scienziato senza fantasia non è un vero scienziato.'' (Giuseppina Maria Rita Roccella)
HTV-2 della Darpa.
Bibliografia e Riferimenti per “I velivoli ipersonici” - A Settembre 2012 www.darpa.com www.nasa.gov/x-43
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Le orbite: cadute senza fine di Matteo Sciarra Studente di Ingegneria Spaziale
Sin dai tempi di Aristotele e Tolomeo, il moto dei pianeti è stato associato al movimento di sfere concentriche nei quali erano “incastonati” i corpi celesti allora conosciuti, ossia la Terra (che costituiva la sfera centrale attorno al quale avvenivano i movimenti delle altre sfere) e, nell’ordine, la Luna, Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Giove e Saturno.
Rappresentazione del modello tolemaico.
La nascita ufficiale dell’Astronomia moderna può essere ricondotta al 1609, quando il matematico Giovanni Keplero pubblicò le prime due delle sue leggi sul moto dei pianeti, seguite dalla terza nel 1619. Le tre leggi di Keplero possono essere enunciate come segue:
1. L’orbita di ogni pianeta è un’ellisse, di cui il Sole occupa uno dei due fuochi; 2. La linea che congiunge il pianeta al Sole “spazza” aree uguali in tempi uguali; 3. Il quadrato del periodo di rivoluzione di un pianeta è proporzionale al cubo del semiasse maggiore della sua orbita.
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ESM - #3
Schema della prima e seconda legge di Keplero.
In questa immagine possiamo vedere una rappresentazione schematica delle prime due leggi di Keplero: abbiamo due pianeti su orbite ellittiche ed entrambi ruotano attorno al Sole (Sun) posizionato nel fuoco in comune delle due orbite (f1), mentre gli altri due fuochi (f2 e f3) sono vuoti; per il pianeta 1 sono anche rappresentate le due aree A1 e A2, ossia due aree uguali i cui segmenti esterni curvi vengono percorsi nello stesso tempo dal pianeta. Poiché si vede dall’immagine che il segmento di A1 è più lungo di quello di A2, si intuisce che il pianeta non abbia una velocità costante lungo l’orbita e che esso debba essere più veloce quando è più vicino al Sole e più lento quando è più lontano. In aggiunta, la terza legge ci dice, invece, che tanto più lontano sarà un pianeta dal Sole, tanto maggiore sarà il tempo necessario a percorrere un’orbita completa attorno ad esso. Partendo dalla definizione di queste tre leggi, cercheremo ora di esaminare il concetto di orbita e, in particolare, vedremo come esse possano essere considerate come la caduta “senza fine” di un corpo verso un altro, che potrà essere, a seconda dei casi, la Terra, il Sole o un altro corpo celeste. L’orbita Letteralmente, l’orbita è la traiettoria che il corpo attratto, che potrà essere ad esempio un satellite artificiale o naturale (come la Luna nel caso della Terra) oppure un pianeta, compie attorno al corpo attrattore, che sarà appunto un pianeta nel primo caso, o il Sole nel caso del Sistema Solare. Nel 1687 Isaac Newton, nel suo Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (in italiano: I principi matematici della filosofia naturale) dimostrò che i corpi celesti vengono attratti e si muovono secondo la legge della gravitazione universale, ossia: due corpi si attraggono con una forza direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza che li separa. In base a ciò, essi possono muoversi solamente lungo un particolare tipo di orbite curve, chiamate coniche: queste curve sono ottenute dall’intersezione di un piano con un cono di rotazione (ottenuto tramite la movimentazione di una retta attorno ad un punto fisso appartenente alla retta stessa) e potranno essere chiuse, come ad esempio la circonferenza o l’ellisse, o aperte, come la parabola e l’iperbole.
ESM - #3
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Le sezioni coniche.
Il tipo di sezione varierà in base all’angolo tra piano e cono: avremo quindi una parabola (1), un’ellisse (2 in alto), una circonferenza (2 in basso), o un’iperbole (3). Le leggi di Keplero nella forma sopra riportata, si riferiscono perciò a delle orbite di forma ellittica, ma ciò non toglie che alcuni corpi celesti possano seguire traiettorie diverse come, ad esempio, alcune comete provenienti dallo spazio profondo che hanno orbite aperte di tipo iperbolico e che, quindi, transitano una sola volta vicino al Sole per poi perdersi nello spazio; diverso è il caso delle comete periodiche, come ad esempio quella di Halley, che transita vicino al Sole ogni 76 anni circa e il cui ritorno è atteso per il 2061. Il cannone di Newton Abbiamo visto finora cos’è un’orbita: ma com’è possibile che un satellite (ad esempio) continui a ruotare attorno alla Terra senza ricadere su di essa? Per spiegarlo torniamo ai Principia di Newton e ad una loro illustrazione.
Il cannone di Netwon.
Supponiamo di avere un cannone posizionato su di una montagna altissima, tanto da superare l’atmosfera terrestre (in modo da poterne trascurare l’attrito), e di sparare un proiettile orizzontalmente, ossia in direzione parallela alla superficie terrestre in quel punto. Idealmente, il proiettile ricadrà ad una certa distanza dal cannone, dipendente dalla velocità iniziale data al proiettile (traiettoria A).
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ESM - #3
Il cannone di Netwon. Rappresentazione moderna.
Sparando “più forte”, ossia aumentando la velocità iniziale, esso ricadrà ad una distanza maggiore (traiettoria B) finché, raggiunta una certa velocità, il proiettile non riuscirà più a toccare terra, ma compirà un intero giro attorno al pianeta fino a ripassare per il punto iniziale e da lì ricominciare una nuova rotazione. Vediamo quindi quanto anticipato prima: il proiettile continuerà a cadere verso la Terra per un tempo infinito, senza mai riuscire a toccarla. Ovviamente i satelliti non verranno posti in orbita con un cannone! Essi saranno lanciati mediante endoreattori (chiamati lanciatori) i quali, pur partendo inizialmente in posizione verticale, curveranno durante la loro ascesa fino a lasciare il satellite in orbita in posizione orizzontale, così come l’ipotetico proiettile sparato dal cannone di Newton. Tornando alla nostra immagine di esempio, vediamo che esiste una velocità iniziale tale da rendere l’orbita circolare (traiettoria C): questa velocità è chiamata prima velocità cosmica, o velocità di circolazione, ed è ottenuta mediante l’uguaglianza della forza di attrazione gravitazionale e della forza centrifuga dovuta appunto alla traiettoria curva del satellite (essa è una forza dello stesso tipo di quella che sentite in macchina quando si percorre una curva troppo velocemente e ci si sente “spinti” verso l’esterno della curva). Aumentando la velocità iniziale, si percorreranno orbite via via più ellittiche (traiettoria D), fino ad arrivare ad una velocità, chiamata seconda velocità cosmica o velocità di fuga, tale per cui l’orbita diventa parabolica, ossia aperta, e quindi il satellite si allontanerà in maniera indefinita dal pianeta. Per la Terra, questa velocità è pari a circa 40320 km/h (calcolata al livello del suolo) e assumerà valori minori se ad esempio il corpo si troverà già in orbita. Per velocità ancora maggiori le traiettorie diventeranno delle iperboli e saranno anch’esse delle traiettorie di fuga. Tipi di orbite A seconda della distanza media dalla Terra, avremo diversi tipi di orbite:
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Orbite LEO (Low Earth Orbit, orbita terrestre bassa), con distanze comprese tra 200 e 2000 km. Sono anche usate come orbite di parcheggio nel caso si debbano raggiungere orbite più alte;
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Orbite MEO (Medium Earth Orbit, orbita terrestre media), con distanze comprese tra 2000 e 35786 km. Vengono usate generalmente per i satelliti di telecomunicazioni e posizionamento (GPS, Galileo, ecc.);
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Orbite GEO (Geostationary Orbit, orbita geostazionaria), circolare e posizionata esattamente a 35786 km: questa distanza è determinata dal fatto che un satellite posto in orbita circolare a quella quota ha una velocità di rotazione attorno alla Terra esattamente pari a quella di rotazione terrestre. In altre parole, un satellite posto in orbita equatoriale GEO appare fermo nel cielo rispetto ad un osservatore sulla Terra; per questa peculiarità, tale orbita viene usata principalmente da satelliti di telecomunicazione e broadcasting televisivo;
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Orbite SSO (Sun Synchronous Orbit, orbita eliosincrona), orbite fortemente inclinate che sfruttano un disturbo dell’orbita causato dal Sole per fare in modo che un satellite posto su tale traiettoria sorvoli ogni dato punto della superficie terrestre sempre alla stessa ora solare locale. In questo modo l’illuminazione solare sulla superficie terrestre risulta essere la stessa per ogni rivoluzione, cosa che aiuta l’osservazione essendo le condizioni di luce grosso modo invariate orbita dopo orbita;
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Orbite di trasferimento interplanetario: sono orbite iperboliche, come descritto precedentemente, che consentono di sfuggire dall’attrazione terrestre; tuttavia, una volta usciti dalla sfera di influenza della Terra, esse rappresentano delle orbite ellittiche rispetto ad un ipotetico osservatore posto sulla superficie del Sole poichè, anche quando si è lontani dalla Terra, occorre comunque fare i conti con l’attrazione gravitazionale solare.
ESM - #3
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ESM - #3 Un classico esempio di traiettoria interplanetaria può essere quella seguita dalla sonda Cassini, che ha permesso di arrivare su Saturno mediante due sorvoli “ravvicinati” di Venere, uno della Terra ed uno di Giove, sfruttando il cosiddetto effetto di “fionda gravitazionale”, arrivando su Saturno quasi 7 anni dopo la data di lancio iniziale.
Schema della traiettoria interplanetaria di Cassini.
Cassini in volo vicino a Saturno. Raffigurazione artistica.
Bibliografia e Riferimenti per “Le orbite: cadute senza fine ” - A Settembre 2012 http://www.black-holes.org/images/PtolemaicSystem_Small.jpg http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/9/98/Kepler_laws_diagram.svg/2000px-Kepler_laws_diagram.svg.png http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/4/41/NewtonsPrincipia.jpg http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/d/d3/Conic_sections_with_plane.svg/2000px-Conic_sections_with_plane.svg.png http://www.waowen.screaming.net/revision/force&motion/newtmtn.gif http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/7/73/Newton_Cannon.svg/2000px-Newton_Cannon.svg.png http://www.nasa.gov/images/content/59913main_interplanetary.jpg http://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/8/84/Orbita_EO.png
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EverySpace Magazine intervista: Samantha Cristoforetti di Cristina Riso, Dario De Angelis e Alessandro Menchinelli Studenti di Ingegneria Aerospaziale
Dopo un lungo e faticoso addestramento, prima di tante emozioni e rischi, al momento del lancio, esiste un istante in cui si pensa: “ma chi me l’ha fatto fare?” A 20 anni dalla sua missione, Franco Malerba, primo astronauta italiano sulla Stazione Spaziale Internazionale, non ha dubbi. “No”, risponde, “quello che si pensa è: finalmente!” La ricorrenza del suo storico volo, unita ai 50 anni di collaborazione tra Italia e Stati Uniti, sono stati l’occasione per inaugurare la nuova sede dell’Agenzia Spaziale Italiana a Roma il 25 luglio 2012 e celebrare come il passato, il presente e il futuro delle missioni spaziali sia “azzurro”, non solo per il colore delle divise degli astronauti. All’evento hanno preso parte il Presidente ASI Enrico Saggese, che ha riassunto le tappe della conquista “italiana” dello spazio, Lory Garver, Deputy Administator della NASA, la quale ha ringraziato il nostro Paese per quanto fatto in questo mezzo secolo, auspicando una altrettanto lunga collaborazione futura, il Ministro dell’Istruzione Profumo e il team di astronauti italiani quasi al completo. In ordine, Franco Malerba, Maurizio Cheli, Umberto Guidoni e Roberto Vittori (assente Paolo Nespoli), hanno raccontato le loro esperienze di lancio e cosa li ha guidati nel perseguimento del loro obbiettivo, mentre i “nuovi arrivati” della squadra, Luca Parmitano (collegato da Houston dove si trova per il suo addestramento) e Samantha Cristoforetti, hanno descritto il loro addestramento in vista delle missioni future, previste rispettivamente per metà 2013 e fine del 2014. Proprio in questa occasione, a termine delle celebrazioni, abbiamo raggiunto Samantha Cristoforetti, prima astronauta donna italiana della storia, per porle qualche domanda.
Samantha interviene alla conferenza.
Samantha nel corso di un’intervista.
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ESM - #3
ESM - #3 Come hai deciso di diventare astronauta? E’ un mestiere che concilia le mie grandi passioni: volo, scienza e tecnica. E, oltre a questo, è per me stimolante anche il poter lavorare in un ambiente internazionale e multiculturale con uno scopo importante, quello di muovere i primi passi perché in un futuro diventiamo una civiltà non solo planetaria, ma in grado di muoversi ed agire nello Spazio. Sei la prima astronauta donna italiana, e ti stai preparando per una missione di sei mesi in orbita. Come ti senti, qual è il tuo stato d’animo? Sicuramente molto carica, molto entusiasta, molto motivata e anche molto impegnata, perché l’addestramento è intenso e bisogna mantenere un livello alto di attenzione e concentrazione. Hai pensato a cosa ti mancherà una volta in orbita? Sicuramente mi mancheranno tante cose…vedremo! Una volta raggiunta la Stazione Spaziale Internazionale, quale sarà il tuo compito? Non ci sono compiti rigidamente definiti, tranne quello del comandante, che chiaramente sarà un astronauta esperto che avrà la responsabilità di coordinamento dell’attività dell’equipaggio. Tutti gli altri sono considerati ugualmente e una distribuzione dei task nel dettaglio avverrà in un momento più prossimo alla missione. Come conseguenza, ci sarà un adeguamento dell’addestramento in base ai compiti specifici assegnati ad o g n u n o , ma principalmente si tratterà di attività di manutenzione, attività scientifica e attività robotica, ovvero la gestione del braccio robotico della Stazione: nel 2014-2015 ci saranno molti veicoli che arriveranno e necessiteranno quindi di essere “afferrati”. A conclusione, forse sarà anche prevista attività extra-veicolare. Parlando di attualità, che cosa ne pensi della riduzione dei fondi alle agenzie nazionali? No, ragazzi, questa è politica! E per quanto riguarda le compagnie private, pensi che possano essere indice di un nuovo business che si va a creare? Non sono molto esperta in questo campo, ma mi auguro che questi progetti possano ampliare la prospettiva dello Spazio: più persone potranno andarci, più io sarò felice. Quale consiglio daresti ad una ragazza che ha il tuo stesso desiderio di diventare astronauta? Il consiglio che posso dare riguarda i giovani in generale, si tratta di sognare. Dicendo questo non vorrei essere interpretata male, perché con la parola “sogno” non intendo qualcosa di slegato dalla realtà. Quando parlo di sognare, mi riferisco alla capacità di possedere una passione forte, ma che diventi un “driver”, uno stimolo concreto all’azione, e una motivazione che accompagni nella quotidianità. Non è poi importante che il sogno si realizzi, perché è normale che se ci sono molte persone che ambiscono a diventare astronauti, per la maggior parte di queste il desiderio non si potrà avverare. Ma, nonostante questo, se hanno una passione così motivante, sicuramente diventeranno professionisti migliori nel tempo, indipendentemente dal campo che sceglieranno, e anche delle persone migliori in senso generale, ovvero realizzate e felici.
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Dopo averci trasmesso la forte passione e determinazione che è stata la sua guida fino a questo punto, Samantha scherza lamentandosi delle continue domande circa la sua esperienza di donna in un ambiente prettamente maschile e la possibilità che le sue capacità possano esservi sottovalutate: sono domande da vecchi, ci spiega, le cose non stanno così. Quando una giornalista accanto a noi le chiede come una professione così impegnativa e piena di responsabilità possa conciliarsi con la famiglia, lei non si spaventa, e la sua risposta è: “Tutto si può conciliare, dipende da cosa si intende per “conciliare”. Se lei mi dice che a 35 anni vuole avere 11 figli e poter stare spesso a casa per preparare la torta di mele, la risposta è no!”. Facendo tesoro delle sue parole, non possiamo quindi che ringraziare Samantha della sua disponibilità e del suo importante consiglio, ponendole i migliori auguri per una nuova, emozionante, avventura “azzurra” sulla Stazione Spaziale Internazionale.
Gli inviati di “EverySpace Magazine” intervistano Samantha.
Roberto Vittori ascolta i primi interventi della celebrazione.
ESM - #3
Luca Parmitano saluta in collegamento Skype da Houston.
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Rubrica Space People - W. von Braun
ESM - #3
di Dario De Angelis Studente di Ingegneria Aerospaziale
Nome: Wernher Magnus Maximilian Freiherr Cognome: von Braun Data di nascita: 23 marzo 1912 Nato a: Wirsitz, Prussia (ora Polonia) Campo di interesse: Missilistica
W. von Braun
Il 7 Settembre 1944 uno scienziato del Terzo Reich sperimenta su Londra il frutto dei suoi studi: il temibile razzo V2, primo impiego militare della tecnologia missilistica “moderna”. Quest’arma è talmente veloce da colpire l’obiettivo ancor prima che giunga il rombo del motore. Il 20 Luglio 1969 (data americana) tutto il mondo guarda senza fiato il volo dell’Apollo 11, che porterà Neil Armstrong e compagni sulla Luna. Il vettore utilizzato è il Saturn V, missile a 3 stadi con combustibile liquido, nonché il più grande lanciatore che sia mai stato creato. A creare il terrore e la meraviglia dei cieli fu la stessa persona: Wernher von Braun. Inizialmente poco attratto dalle scienze, dopo aver letto “Die Rakete zu den Planetenräumen” (“Il missile nello spazio interplanetario”) di Oberth, il giovane von Braun si appassiona alla fisica e alla missilistica. Neodiplomato, si unisce alla “Società per la navigazione Spaziale”, accettando di svolgere ogni tipo di mansione pur di imparare il più possibile da Oberth e Nebel. Nonostante i numerosi insuccessi iniziali, la determinazione di von Braun venne premiata con la nomina a direttore tecnico della base nazista di Peenemunde, dove potè sviluppare le sue ricerche sulla propulsione a combustibile liquido. Lo scienziato non era mai stato un sostenitore del partito nazista, ma la ricerca spaziale aveva il difetto di richiedere tempi lunghi e ingenti risorse economiche; da parte loro i militari avevano intuito la possibilità di creare un’arma potentissima e che allo stesso tempo non fosse vietata dal trattato di Versailles (che riduceva di fatto a zero la potenza bellica tedesca) in quanto, nel trattato, non erano contemplate le armi balistiche, che ancora non erano state inventate. Dall’incontro di queste due necessità, fondi da un lato, armi dall’altro, nacque nel 1944 il Vergeltungswaffe 2 (“arma di rappresaglia” n.2), soprannominata V2. Questo precursore delle armi balistiche aveva una gittata di quasi 400 Km, una velocità massima di 5200 Km/h ed era in grado di colpire i bersagli con 800 Kg di tritolo e ammonio. Nel 1945 gli alleati erano ormai alle porte. Con 500 colleghi, von Braun lasciò la Germania a bordo di un treno per consegnarsi agli Stati Uniti. Una volta espatriato gli scienziati scampati alle SS si misero all’opera per trasferire la loro conoscenza e proseguire le ricerche. Poiché l’odio per i nazisti era ancora molto acceso, i rifugiati tedeschi condussero i loro studi quasi in reclusione, per evitare aggressioni (von Braun fu considerato da Gran Bretagna e Belgio un criminale di guerra a tutti gli effetti per aver provocato 2700 morti e più di 6500 feriti).
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A sinistra: W. von Braun illustra un progetto.
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Sotto: W. von Braun accanto al Saturn V.
Inizialmente anche in America i fondi per la sperimentazione missilistica erano insufficienti, ma ad aiutare von Braun scese in campo, niente meno che l’Unione Sovietica. Infatti i russi riuscirono per primi a mettere in orbita un satellite, lo Sputnik, scatenando così la reazione del governo statunitense, deciso a colmare il divario scientifico con l’altra superpotenza mondiale. Con i fondi necessari ed una squadra di scienziati scelti da lui, fu sufficiente aspettare un anno per il volo del satellite americano Explorer-1, messo in orbita dal razzo Jupiter-C. Nel 1960, a seguito della sempre maggiore importanza della corsa allo Spazio, il presidente Eisenhower creò una nuova agenzia governativa dedicata al settore aerospaziale, la NASA. Nello stesso anno von Braun fu nominato direttore del Marshall Space Fligh Center, a patto di poter continuare a lavorare al suo Saturn V. Grazie ad anni di intenso lavoro e ricerca, finalmente il 21 Luglio del 1969 lo scienziato tedesco realizzò il suo più grande sogno: consentire di raggiungere la Luna. Negli anni successivi continuò a lavorare per la NASA, ricoprendo il ruolo di direttore della pianificazione nel 1970. I tempi però erano ormai cambiati, lo Spazio non faceva più notizia ed i fondi iniziavano a diminuire, dunque decise di dimettersi e dedicare il resto della sua vita alla divulgazione nelle università americane e alla creazione della National Space Society. Lavorò per diverse società, tra cui la tedesca OTRAG, prima compagnia privata a costruire un sistema di lancio e si battè per la riduzione dell’uso bellico delle armi balistiche. Von Braun morì nel 1977 all’età di 65 anni ed attualmente riposa all’Ivy Hill Cemetry di Alexandria, Virginia. Nonostante abbia dichiarato di vergognarsi per le vittime delle sue ricerche, verrà per sempre ricordato come lo scienziato dai due volti, capace di spingere l’umanità verso vette inesplorate, ma anche di causare migliaia di vittime pur di proseguire le sue ricerche.
Bibliografia e Riferimenti per “W. von Braun” - A Settembre 2012 http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/vonbrau2.htm http://www.tanogabo.it/Von_Braun.htm http://it.wikipedia.org/wiki/Wernher_von_Braun http://timemarcheson.files.wordpress.com/2011/11/von-braun.jpg http://history.msfc.nasa.gov/vonbraun/photo/images/disney.gif http://earthobservatory.nasa.gov/Features/vonBraun/Images/vonbraun_saturnv.jpg
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Il razzo Saturn V sulla rampa di lancio.
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