All'Archimede: Biagio Burlini, n.1 e 2 del 2014

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trimestrale n. 1 e 2 / 2014 Associazione Culturale Archivio Carlo Montanaro Direttore responsabile Carlo Montanaro registrato presso il Tribunale di Venezia al n. 2/2014 il 18/01/2014


Insegna per “carta da involto” acquaforte 260 x 214 mm Fabrica di Biasio Burlini Ochialer sopra la fondamenta dell’Osmarin a san Provolo in Venezia all’Archimede.


Indice

Visionando... All’inizio era Galileo, Pasquale Ventrice Biagio Burlini: ochialer, Enrico Zanoni La raccolta di macchine, ed instrumenti... Riproduzione del Catalogo Burlini del 1758 Collezionando Burlini Padovan Collezionando Burlini Vascellari Il Museo di Fisica Antonio Traversi Prisma del Burlini Il microscopio veneziano del Burlini Oggi a Venezia i telescopi... Oggi nel mondo i radiotelescopi... Associazione Carlo Montanaro

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Visionando...

È stato del tutto casuale l’incontro con Biagio Bulini Ochialer. Volando da icononauta, sempre curioso di ogni aspetto del vedere, mi sono imbattuto su alcuni cataloghi di mostre storiche dedicate a lenti e occhiali. E sfogliando le pagine ecco apparire un’incisione, l’antiporta del Catalogo del 1758, con la gondola, la riva, l’interno del laboratorio “in fondamenta dell’Osmarin” di Burlini. L’idea di riuscire ad entrare in possesso, prima o dopo di questo libro del settecento è andata a collocarsi nell’angolino delle voglie… Un angolino mentale, lo sterminato luogo dove sono accatastate tutte le ipotesi di ritrovamenti auspicati e auspicabili. Ritrovamenti magari casuali, magari a poco prezzo, magari esaustivi rispetto ai mille interrogativi che ci si pone quotidianamente quando si vive da appassionati: quanti e quali erano i fotografi veneziani dell’800, e prima, chi faceva le lanterne magiche e i pantascopi, e prima ancora, come

si divertivano i veneziani. Ma anche dove ha alloggiato l’équipe Lumière che ha portato il primo Cinématographe al Teatro Minerva di Venezia, come la famiglia Roatto si è stabilizzata vendendo prima fonografi e poi cinematografo, dov’era esattamente collocato in “barbaria delle tole”, il loro “studio” vetrato e, soprattutto, se ritroveremo prima o poi in qualche soffitta, in qualche sottoscala (difficilmente in qualche magazzino, dopo il 4 novembre del ’66) i loro film, da Biagio el Luganagher ad Anima Santa… Ma torniamo all’altro Biagio, l’Ochialer. Perché Giacomo Ragazzo, della libreria Emilana (ora in trasloco ai Frari) un giorno mi telefona per dirmi se mi interessa una “carta da involto” di un antico ottico. Naturalmente si. E così mi trovo tra le mani l’illustrazione con gli specchi ustori dentro la cornice di strumenti i più diversi: occhiali si, ma anche telescopi, microscopi, cannocchiali, lanterne più o meno

3 magiche e quant’altro: sotto l’insegna All’Archimede, appunto. Insegna che ancora però non scatena curiosità pressanti confermando una voglia di conoscere collocata in una posizione medio bassa della lista d’attesa. Fino alla comparsa di Roberto Vascellari, che mi coinvolge nella Mostra degli “Occhiali del Doge” alla Marciana e che non solo mi fa riconsiderare l’importanza di Burlini, ma anche quello che significa in quella filiera dei mestieri di cui si son perse le tracce. Ed ecco allora riapparire il tormentone dell’icononauta. Siamo talmente pieni di bellezze, di eccellenze, che non ci passa nemmeno per l’anticamera del cervello di andare a recuperare, nel passato, le cose di tutti i giorni. Con le professioni indispensabili (anche dei più normali “botegheri”) che si sono evolute. Con gli oggetti d’uso che continuiamo a comperare, usare, rompere, sostituire quasi senza notare le continue differenze. Con quella parte del sistema della comunicazione e dello spettacolo dedicata ai meno abbienti, alla gente comune. L’arte in multiplo, popolare, diffusa casa per casa, o “eccezionalmente” presente in fiere e Luna Park. Arte che si rifaceva ai prototipi d’eccellenza altrimenti irrangiungibili. Arte da cui sono derivate forme importanti di intrattenimento che, come continua ad accadere per gli oggetti di uso comune, continuano a mutare forma e attitudine confermando la vocazione alla conoscenza e al divertimento. Parlando allora di incisione, vedute d’ottica, fotografia, cinematografo, visione e televisione, è apparso logico partire da alcuni dei componenti fondamentali come gli apparati ottici, celebrando il grande precursore. All’Archimede proverà ad esaudire, una alla volta, le moltissime curiosità dell’angolino delle voglie, sperando ardentemente che le voglie di chi scrive, dei suoi soci, dei suoi collaboratori e dei suoi amici, possano diventare le voglie e quindi le curiosità di un vasto pubblico. Quello cui si rivolgevano gli imbonitori con il tipico “venghino, signori, venghino, andiamo ad incominciare” senza ormai più minacciare: “chi no ga palchi o no ga scagni torna indrio”… Carlo Montanaro


ALL’ARCHIMEDE

Anno I n. 1 e 2 gennaio-aprile 2014

REDAZIONE Direttore: Carlo Montanaro Direttore editoriale: Alberto Prandi Comitato di redazione: Luisa Pagnacco Giovanni Montanaro

TABULA GRATULATORIA

Accademia di Belle Arti di Venezia presidente Luigino Rossi direttore Carlo Di Raco Daniela Adamo Michele Alassio Luigi Albertotanza Chiara Augliera Lisa Balasso Si ringraziano: Loredana Balboni Pasinetti Don Riccardo Batocchio e Francesco Barasciutti Giovanna Bergantino Seminario Antonella Barina Vescovile di Padova ‘sezione antica’ Etta Lisa Basaldella Diego Padovan Camillo Bassotto Roberto Vascellari Guido, Davide Beggio Maurizio Messina direttore de la Bruno Bozzetto Biblioteca Nazionale Marciana Tinto Brass Maria Letizia Sebastiani della Gian Piero Brunetta Biblioteca Nazionale di Firenze Gabriella Cardazzo Pierandrea Malfi Paolo, Angelica Cardazzo Ornella Fassina Laura Carlotta Gottlob Rocco Fiano del Museo di Fisica A. Rosa Cardona M. Traversi del liceo classico Marco Piero Casarin con Marina Foscarini di Venezia Bassotto Casarin Pasquale Ventrice, già docente Clarenza Catullo all’Istituto Universitario di Guido Cecere Architettura di Venezia (IUAV), Centro tedesco di Studi Veneziani Presidente del Centro Studi direttore Sabine Meine Arsenale Paolo Cerchi Usai Enrico Zanoni del Dipartimento Cineteca del Friuli: Ingegneria dell’Informazione Piera Patat con Livio Jacob dell’Università di Padova Cineteca Italiana: Romano e Mariastella Zen Matteo Pavesi, Luisa Comencini e quanti hanno contribuito alla Gabriele Coassin ricerca dei materiali e documenti. Piero Costa Roberto Crovato Gianni Da Campo Denis, Giovanna De Cet, Pietro Scapin Maria Teresa De Gregorio Elisabetta Di Sopra Pino Donaggio Claudio Emmer Gianpaolo, Fiorenzo Fallani, Center for the Arts

Ermanno Tito Ferretti Giorgio Foppa con Maya Gibba Franco Jesurun con Giuliana Mario Lanfranchi Eric Lange Marie-Hèlène Lehérissey Méliès Sandro Manoni Beatrice Martin Starewicz Laura Minici Zotti Alessandro Molin Angelo Montanaro Carlo Naccari con Giorgia Margherita Naim Ferruccio Nordio Roberta Novielli con il nonno Francesco Genovese Pier Maria Pasinetti Paola Perugino Paolo Pigozzo Antonio Pintus con Ilaria Roberta Reeder Riccardo Redi Enrico Ricciardi David Robinson Antonello Satta Gilberto Scarpa David Shepard Angelo Schwarz Orlando Sinibaldi con Carla Giovanni Soccol con Margherita Angelo Tabaro Piero Tortolina Claudio Vinale Norman Witty Maurizio Zennaro Philippe Zimmermann Sara Zucchi e a tutti coloro che hanno sostenuto l’Archivio Carlo Montanaro e hanno contribuito all’avvio della Fabbrica del Vedere.


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All’inizio era Galileo

Gli occhiali di Hettore Ausonio e il telescopio di Galileo Galilei Nel XVI secolo l’ottica o perspectiva si basava in larga parte sul lavoro dell’arabo Alhazen che ebbe una profonda influenza su studiosi successivi come Witelo, Ausonio, Dalla Porta, Magini, Galilei, Keplero. In quel secolo, rispetto al Medioevo, si verificò, nella comprensione dei problemi ottici, una profonda svolta che culminerà nella costruzione del telescopio di Galileo. Ettore Ausonio (1520- 1570 c.a.), che così si autonominava con evidente vezzo classicheggiante (il nome Hettore, con quell’ H anteposta, in realtà traslitterava il vernacolare Vettor) fu, un matematico che occupò la cattedra dell’Accademia veneziana della Fama fondata da Federico Badoer attorno al 1558 e soppressa per ragioni poco chiare nel 1560. Di questo autore come dell’Accademia rimangono oscure sia le vicende relative alla loro esistenza sia il fatto che l’enorme opera manoscritta non abbia trovato l’onore della stampa; di quest’ultima, a stampa, possediamo un vasto programma editoriale i cui titoli però, anche in questo caso, non videro mai, curiosamente, la luce. L’Ausonio, veneziano con abitazione a S. Giobbe alle Ciovere, fu anche un costruttore di strumenti ottici e meccanici da lui stesso progettati e disegnati come è documentato da un catalogo in cui è proposta un’intera gamma di strumenti ottici per il Duca di Savoia Emanuele Filiberto. Oltre ad essere un matematico apprezzato e tenuto in grande reputazione dai tutti i suoi contemporanei e soprattutto da un principe della categoria del corso del XVI secolo: Federico Commandino, si addottorò in medicina presso lo studio patavino cui rimase sempre legato. Fu anche un poligrafo impegnato su vari argomenti attinenti tutte le scienze della sua epoca: dall’ astronomia, all’ottica, alla meccanica, alla musica e, per finire, all’idraulica sia teorica sia tecnico pratica. Dei suoi molteplici interessi sono valida testimonianza, come si diceva,

i numerosissimi manoscritti depositati presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano, dove sono pervenute dopo varie peripezie, all’interno della raccolta di scritti dell’altrettanto misterioso Vincenzo Pinelli il cui nome è legato a quello di Galileo Galilei. Frammenti di scritti sull’ottica l’Ausonio, considerato anche, in quel periodo, inventore delle più strabilianti teorie matematiche mai viste e sentite, sono sintetizzate nel suo scritto la Theorica che sintetizza tutti gli appunti catottrici composti tra il 1550 e il 1560 data in cui fu composto tale scritto che lo consacrò, in questa disciplina, come uno dei più importanti esperti, assieme al Dalla Porta. Di lui ci parla Giovanni Antonio Magini, (Padova, 1555 – Bologna,1617) l’importante astronomo, cartografo, matematico del secolo XVI professore presso lo

grande autorità sull’argomento. Come lo stesso Magini ci informa, fu infatti lui stesso a divulgare a stampa la sorprendente sopra citata operetta dell’Ausonio intitolata Theorica, rimastaci anche manoscritta, e a trarne spunto per la composizione della sua opera, che fu scritta, come si può costatare, ben più tardi. Tuttavia la più completa discussione di Ettore Ausonio in materia di ottica rimane lo scritto D’una nuova invenzione di uno specchio. Ripresa in uno scritto dal titolo, Secreti di alcune apparenze in uno specchio, che riecheggia il titolo del Magini. Sostanzialmente Ausonio e Magini approfondiscono, il primo qualche decennio prima di Galilei e il secondo nel periodo coevo, lo studio sulla propagazione della luce nel caso dei raggi diretti, riflessi e rifratti nelle lenti concave e convesse che

Ettore Ausonio, Theorica speculi concavi sphaerici, 1592-1601

Studio di Bologna, ma rimasto sempre legato all’ambiente scientifico veneto e veneziano. Ausonio, inoltre si dedicò al problema degli specchi e pubblicò una teoria sugli specchi sferici concavi col titolo Breve instruttione sopra l’apparenze et mirabili effetti dello specchio concavo sferico, (In Bologna: presso Gio. Battista Bellagamba, 1611) e sulla base di questo suo interesse coltivato successivamente, in questa pubblicazione, cita più volte Ausonio considerato con il Dalla Porta come

consentirono d’acquisire il fenomeno dell’ingrandimento una volta individuato il cosiddetto punctum inversionis che, con l’ideazione del cannocchiale, apriva alla scoperta galileiana che riuscì a combinare la comprensione delle lenti concave e convesse sulla base dei principi ottici geometricamente, con la costruzione pratica del telescopio di cui riusciva a calibrare la precisione visiva attraverso la progressiva messa a punto del meccanismo anche mediante una più mirata costruzione pratica delle lenti.


Ausonio quindi identifica il punto di combustione con il punto d’inversione, cosa ben nota all’ottica medievale, ma la novità da lui introdotta è rappresentata dal fatto che, per primo, si rende conto di come tale punto sia anche quello e di confusione massima e di ingrandimento massimo dell’ immagine: questa deduzione è del tutto nuova e non è riscontrabile nel quadro dell’ottica precedente antica e medievale. L’originalità di questa scoperta ci è confermata dal Magini che era sicuramente uno dei protagonisti del dibattito sulle “meraviglie” e curiosità ottiche assieme a G.B. Dalla Porta. Quest’ultimo, alchimista e scienziato la cui opera pone l’accento più sul meraviglioso che sul metodo scientifico, attento alla formulazioni di principi, attraverso esperienze pratiche.. Scrive Magini: «Gli antichi tutti concordemente tennero per fermo che il punto d’accensione fosse il centro dello specchio, della sfera o globo di cui è porzione. Come Euclide,Witelione, Alhazen e altri. Ma ciò è manifestamente falso perchè nel mezzo non solo non accende, ma non riscalda punto. Sicchè è stupore che tutta l’antichità sia stato in questo errore. È dunque il vero sito d’abbruggiare è nella quarta parte del diametro come ho veduto notato da Hettore Ausonio, medico e matematico eccellente in Venetia nella sua Theorica dello specchio concavo da noi altre volte fatta stampare, perchè ivi si fa maggiore raccolta dei raggi solari». (MAGINI, Breve instruttione sopra l’apparenze et mirabili effetti...cit.) Il punctum inversionis è quindi quel punto in cui si osserva il capovolgimento della figura che invertendosi produce un evento singolare e sorprendente che va ad aggiungersi al già noto evento della combustione ottenuta tramite lo specchio concavo; tuttavia quest’ultimo fenomeno era ben noto alla tradizione sia antica sia medievale che aveva favoleggiato de cosiddetti specchi ustori così grandi e potenti da provocare veri e propri incendi. Tuttavia è lo stesso Magini ad informarci di quale fosse stato il contributo scientifico sia del Dalla

Porta sia dell’Ausonio, ma soprattutto di quest’ultimo ben provvisto di conoscenze matematiche. Esso consisteva nel fatto che il punto della combustione negli specchi concavi si situa nella quarta parte del diametro dove avviene appunto l’inversione dell’immagine. Scrive Magini: «Voglio qui avvertire che ha preso errore il Signor Giambattista Dalla Porta nella sua magia naturale dicendo che quel punto,dove s’accende il fuoco che è nella quarta parte del diametro come abbiamo detto di sopra sia quello ove si rivolta l’immagine;parrebbe non si rivolta altrimente in altro luogo che nel centro dello specchio, che è al doppio intervallo di quell’altro ponto dell’incenzione; e cade nello stesso errore ancora Messer Ettore Ausonio nella suo Theorica dello specchio concavo da noi altre volte date in luce» (MAGINI, Breve instruttione sopra l’apparenze et mirabili effetti... cit.). La spiegazione di Ausonio costituiva un decisivo anteprima che apriva la porta alla soluzione tecnica del cannocchiale combinando in pratica la spiegazione scientifica delle lenti concave e convesse integrata dalla intuizione che collegava il fenomeno dell’ingrandimento non alla distanza focale, ma anche al diametro delle lenti. Come è noto, la scoperta galileiana è il risultato della combinazione intelligente dell’effetto di ingrandimento del punctum inversionis con la giunta della lente convessa, sottolineando come quest’ultima sia importante per l’ingrandimento sia per il raddrizzamento dell’immagine, il che non era chiarissimo in quel contesto storico. Per collegare correttamente la Theorica di Ausonio, con il telescopio di Galileo, occorre precisare anche che l’Ausonio introduce il suo elemento di novità rispetto all’ottica medievale proprio con il suo studio sulle proprietà dello specchio concavo e dello specchio convesso, ambedue coinvolti nell’invenzione del telescopio, partendo dal concetto di punctum inversionis, che è allo stesso tempo il punto di combustione e il punto dove l’immagine è confusa al massimo e ingrandita al massimo. Per tanto anche se questa connessione

non fu posta nella dovuta evidenza quando Galilei trattò il problema del telescopio nel 1592-1601, è un dato storico che lo scienziato pisano abbia perfezionato il suo celebre cannocchiale in ambiente veneziano, probabilmente nel gabinetto di esperimenti di palazzo Sagredo a Sant. ma Ternita (S.S. Trinità) a ridosso delle mura dell’Arsenale. Crediamo utile insistere sul collegamento tra il lavoro di Galileo sul telescopio (composto tra il 1592-1601) che però fu messo in atto dall’astronomo pisano che, nei suoi interessi pratici, pare fosse più attratto dalle funzionalità militari del telescopio, che condivideva con Ricci e probabilmente con lo stesso Sagredo, anziché da problemi ottici di natura più generale. Infine, Galileo una volta acquisito che l’ingrandimento era dipendente dalla distanza focale, aveva, perfezionato, per così dire, tale acquisizone con la pratica costruttiva delle lenti sperimentate e costruite nei laboratori vetrari e nelle officine dei costruttori locali di occhiali. Riferiamo a proposito del tema che oggi ci riguarda da vicino: gli occhiali, proprio per sottolineare l’abilità tecnologica della lavorazione del vetro a fini ottici. In una lettera che Federico Commandino, considerato uno dei più grandi matematici del secolo XVI, in una lettera conservata all’Ambrosiana, che il matematico pesarese, scriveva ad Ausonio avanzandogli nel p.s.la curiosa richiesta di un paro d’occhiali necessario per una sua cugina germana probabilmente presbite. Scriveva: «Ho una mia sorella consubrina (prima cugina) che ha più di settant’anni et haveria bisogno d’un paro d’occhiali, chè qui non trovano cosa a suo proposito. Può vu eccellentissima che è informatissima di ciò, ne trovarà un paro che giudicarà essere boni per lei, che Messer Bolognino gli pagarà e me gli mandarà. Mi avisarà ancora quanto costa il paro dei occhiali fatti di cristallo di montagna». Il cristallo di montagna in questione era il cristallo di quarzo, a testimonianza del’interesse verso i solidi cristallini accostati al vetro la cui formazione solida non ha una disposizione periodica e ordinata di atomi ai vertici


7 di una struttura reticolare, per cui è detta amorfa. A conclusione di ciò che si è sinteticamente e non articolatamente esposto, ne discende anche che l’origine olandese del telescopio galileiano deve essere ridimensionata alla luce di quanto maturava nella scienza ottica coltivata a Venezia e nella connessa tecnologia di lavorazione del vetro. Per quanto concerne il cannocchiale olandese Dalla Porta scrive a Federico Cesi (1609): « Circa il segreto dell’occhiale olandese, l’ho visto, et è una coglionaria, et è presa dal mio libro nono De Refratione». A maggior ragione acquista forza la Theorica di Ausonio che anticipa e chiarisce il fenomeno della rifrazione cui fa riferimento anche Dalla Porta giunto alle medesime conclusioni di Ettore Ausonio sopra brevemente esposte. Pasquale Ventrice

Breve nota bibliografica: Il primo a parlare di Ausonio è stato il geografo Polo Revelli, in Il Trattato della marea di Jacopo Dondi, in “Rivista geografica italiana” XIX, 1912, pp. 200-282, seguito da P. Ventrice, Ettore Ausonio matematico dell’Accademia veneziana della Fama, in Ethos e Cultura. Studi in onore di Ezio Riondat, Padova, Antenore, 1991., pp. 1133-1154. Più recente una fondamentale tesi dottorale di Sven Dupré, Renaissance Optics: Instruments, Practical Knowledge and the Appropriation of Theory, tesi dottorale sostenuta presso il Max Planck Institut for History of Science, 2003.


Biagio Burlini: ochialer Biagio Burlini, occhialaio e costruttore di giochi ottici, telescopi e microscopi, è nato a Venezia da Francesco Burlini nel 1709 e lì ha vissuto fino alla sua scomparsa il 13 gennaio 1771. Nel 1758 pubblica il suo catalogo dal titolo “Raccolta di macchine, ed istrumenti d’ottica che si fabbricano in Venezia da Biagio Burlini, occhialajo sopra la Fondamenta del Rosmarino all’Insegna dell’Archimede” L’opera è dedicata a Gio: Antonio Riva, patrizio veneto e senatore. L’opera, stampata da Modesto Fenzo, in forma di opuscolo in 8vo,contiene un’antiporta che rappresenta l’Officina Burlini, e una grande tavola ripiegata fuori testo che rappresenta gli strumenti prodotti da Burlini (ne sono rappresentati 21): occhiali e vari tipi di lenti, giochi ottici con lenti poliedriche, anamorfosi, specchi ustori, microscopi, lanterne magiche, cannocchiali da teatro e per osservazioni terrestri e astronomiche, binocoli. Entrambe le tavole sono state incise da Filosi, autore delle immagini a corredo di un gran numero di opere scientifiche stampate a Venezia nel ’700. Nell’introduzione Burlini chiarisce con forse eccessiva modestia la natura del suo lavoro: “Non mi vanto già di aver fatto nuove scoperte, ma ne esibisco di simili alle più ricercate, fra le quali ve ne fossero alcune degne di qualche approvazione, la meriterebbero solo per il cammino, che segnano a migliorare un Arte, che è stata sempre la delizia de Naturalisti più illuminati”. Non stiamo parlando quindi di ricerche originali, ma di innovazioni tecniche che permettono di migliorare la qualità degli strumenti esistenti. Nel suo catalogo, Burlini critica il pregiudizio secondo il quale gli strumenti prodotti all’estero devono essere sempre considerati di migliore qualità rispetto a quelli veneziani “Questo inganno misurar fà dai più la perfezion loro, colla distanza del Clima d’onde vengono, quasi che il viaggio dia merito, ed in conseguenza prezzo maggiore...”. Ricorda che anche a Venezia vi sono stimati professori di ottica e

cita Domenico Selva, scomparso quello stesso anno. Di fatto, Burlini dimostra di conoscere la letteratura tecnica e scientifica dell’epoca, e le ultime innovazioni nell’ambito della costruzione di cannocchiali e telescopi operate in particolare dai costruttori italiani ed inglesi del ’700. I suoi strumenti verranno acquistati da collegi e università in tutta Europa: oggi possiamo trovare strumenti firmati da Burlini nel museo del Seminario vescovile Gregorio Barbarigo di Padova, allo Science Museum di Londra, al museo Boerhaave di Leida in Olanda, al Museo di Storia della Scienza dell’Università di Gent, Belgio. Oltre al catalogo, si conoscono altre incisioni (tutte opera di Filosi) che raffigurano strumenti di Burlini: una mostra un telescopio a lunga focale (“di lunghezza di piedi 20”) con una struttura modulare sospesa tramite corde ad un palo centrale e chiaramente ispirata alla costruzione del telescopio aereo di Hevelius del 1673; una seconda presenta una serie di giochi ottici consistenti in quadri che, osservati attraverso cannocchialetti con lenti poliedriche, svelano immagini sorprendenti non visibili ad occhio nudo. Dopo il 1760 Burlini inizia una collaborazione con il Padre Ludovico Zucconi, nato a Venezia nel 1706, un sacerdote appassionato di astronomia e dotato di un osservatorio privato con strumenti allo stato dell’arte, costruiti dai Selva e da Geminiano Montanari. Zucconi aveva ideato un eliometro, destinato all’osservazione delle macchie solari e dei transiti dei pianeti davanti al disco del Sole, che aveva descritto nel suo De Heliometri structura et usu pubblicato a sue spese presso Domenico Lovisa nel 1760. Lo strumento viene commercializzato da Burlini, che lo pubblicizza in un foglio volante nel quale ringrazia “il sacerdote nostro” che ha ideato lo strumento, rispettando la modestia di Zucconi che pubblicava le sue opere firmandole con le sole iniziali. L’eliometro, utilizzato da Zucconi per lo studio dell’attività

solare dal 1754 al 1757, viene proposto da Burlini per l’osservazione dell’imminente transito di Venere (1761 e 1769). In una seconda opera, che descrive una versione migliorata dell’eliometro, De altera Machinula parallatica ad Heliometrum erigendum liber unus, pubblicata nel 1761, Zucconi riporta “... ho avuto modo di verificare che questo strumento è stato accolto ovunque con favore; anzi, grazie al lavoro dei nostri straordinari artigiani, è stato adottato da alcuni seguaci di Urania: da Lorenzo Selva, noto per le sue realizzazioni oltre che per un certo suo opuscolo, e da Biagio Burlini”. Il nome di Burlini viene quindi accostato a quello del massimo costruttore veneziano di strumenti ottici dell’epoca, studioso dell’acromatismo e futuro autore dei Sei dialoghi ottici teorico-pratici, pubblicati da Simone Occhi a Venezia nel 1787. Anche Burlini porterà delle migliorie al suo eliometro, e costruirà uno strumento completamente nuovo. Questa nuova “macchina parallattica” è stata recentemente identificata da Diego Padovan all’interno della collezione Louwman a Wassenaar in Olanda. Rimangono da studiare e scoprire molti aspetti della vita e della produzione scientifica di Biagio Burlini, figura unica ed originale nel panorama dei produttori di strumenti ottici veneziani del ’700. Enrico Zanoni


La Raccolta di macchine, ed istrumenti d’ottica

La Raccolta di macchine, ed istrumenti d’ottica che si fabbricano in Venezia da Biagio Burlini occhialaio sopra la Fondamenta del Rosmarino all’insegna dell’Archimede, in Venezia: appresso Modesto Fenzo, 1758, è un libro 13,50 x 20 composto da XXIV pagine con due tavole incise, la porta iniziale 9,9 x 13,6 (officina Burlini, S. Filosi SC)

e una tavola fuori testo finale ripiegata 29 x 40 (Macchine, ed istrumenti d’ottica che si fabbricano in Venezia da Biagio Burlini occhialajo sopra la Fondamenta del Rosmarino all’insegna dell’Archimede, S. Filosi SC) che illustra gli oggetti descritti nel testo. È presente in molte biblioteche pubbliche e private.

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A complemento, anche allegate posteriormente, sono state eseguite altre tavole sempre opera del Filosi e illustranti materiali progettati e prodotti da Burlini. Che sono: - Polledri con descrizione alla base - Telescopio con descrizione alla base - Eliometro con descrizione in due tavole dritto e rovescio - Macchina Parallattica con descrizione in due tavole dritto e rovescio. Di quest’ultima è stato da poco identificato un esemplare nella collezione Louwman di Wassenaar, Olanda (vedi fotografia). Il corpo del testo proviene dalla Biblioteca Nazionale Marciana, Misc. 0269.026. E viene pubblicato “per una singola edizione” “su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo – Biblioteca Nazionale Marciana. Divieto di riproduzione” grazie all’autorizzazione a firma del direttore dott. Maurizio Messina, prot. 2128, Class. 28.13.15.01/8, Aut 73/14 del 3 giugno 2013. Le tavole non numerate provengono dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, MAGL. 11.4.47. “L’autorizzazione, incedibile e intrasferibile, è concessa in via non esclusiva e per una sola edizione” “su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo – Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze” con il documento, a firma della Dirigente dott.ssa Maria Letizia Sebastiani, MBAC - BNC - FI MANOSCRITTI N. 6429 CL28.13.10 del 10 luglio 2014 La verifica della massima integralità possibile dei materiali è avvenuta grazie al confronto con l’esemplare con allegati della collezione del prof. Enrico Zanoni.



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Macchina Parallattica con descrizione in due tavole dritto e rovescio. L’esemplare della collezione Louwman di Wassenaar, Olanda.


Collezionando Burlini Padovan Mi chiamo Diego Padovan e da circa tre anni colleziono cannocchiali dal XVII al XIX secolo. Fu mio cugino Ugo Padovan, un antiquario specializzato in strumenti scientifici a farmi conoscere questo fantastico mondo. Ricordo ancora il giorno in cui mi recai presso casa sua e rimasi ammaliato di fronte ad alcuni cannocchiali veneziani del ‘700 che aveva esposto in una bacheca. Pergamena, carta, cartone e fregi dorati risvegliarono in me il fascino che emanano i libri antichi, una mia vecchia passione. Da quell’istante iniziò a diffondersi in me la sana “malattia” del collezionismo ottico antico. Conobbi Biagio Burlini leggendo un estratto dal Nuncius scritto da Alberto Lualdi “Biagio Burlini, un ottico del ’700 veneziano”. Opuscolo che fu indispensabile per il riconoscimento e l’acquisto in Germania del mio primo cannocchiale “Burliniano” (CL001) avente sul corpo due cartigli ovali contenenti la scritta: “Biasio Burlini Professor Venezia al ARCHIMEDE”. Il secondo (CL002) lo trovai dopo qualche mese. Me lo vendette una signora francese che lo trovò intonso in un baule della sua soffitta. La cosa buffa fu che ignoravo fosse di Burlini... Scoprii che si trattava di lui svitando la ghiera che serrava la lente obiettiva.. Una curiosità in merito a questo esemplare, è che la carta fiorata utilizzata per rivestire il gruppo erettore è la stessa che riveste il catalogo di Burlini della Biblioteca “Mario Gromo” del Museo Nazionale del Cinema di Torino. Il terzo esemplare (CL003), proveniente da un importante collezionista americano, è davvero un pezzo straordinario e curioso. Il tubo erettore è composto da cinque lenti anzichè le classiche tre che hanno tutti i cannocchiali di Burlini conosciuti ed elencati nel suo

sempre ignaro che si trattasse del medesimo costruttore.. Pensavo di avere abbastanza Burlini in collezione, ma qualche mese fa mi imbattei nel cannocchiale corto con astuccio (CC001). Lo vidi in vendita da un rigattiere in Cile e lo riconobbi dai fregi perchè identici a quelli sul cannocchiale CL003. Una volta nelle mie mani sorrisi incredulo quando vidi la lente oculare firmata “BIASIO BURLINI PROFESSOR (I)N VENEZIA”... Leggendo il catalogo di Burlini ed osservando i suoi cannocchiali presenti nella mia collezione salta subito all’occhio la varietà di materiali e tecniche decorative utilizzate da questo costruttore. Burlini fu infatti uno dei pochi ottici veneziani che mirò ad offrire una vasta gamma di prodotti (realizzati anche su ordinazione) per accontentare una clientela sempre più esigente. Nonostante le diversità estetiche di questi miei cinque pezzi, vi sono delle similitudini costruttive che li collegano tra loro: lenti, fregi, carte, ecc.. ma in merito agli aspetti tecnici e ad una descrizione più approfondita di ogni singolo pezzo vi rimando ad una prossima pubblicazione. catalogo. L’unico allungo riporta marchiato su due righe “BIASIO BURLINI IN VENEZIA”. La posizione del marchio e l’erettore composto da cinque lenti sono due particolari comuni nei cannocchiali inglesi della stessa epoca. Il quarto esemplare (CL004) lo trovai l’anno scorso in Svizzera

Diego Padovan


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Collezionando Burlini Vascellari Roberto Vascellari ha fatto della sua professione una missione. La sua famiglia affonda le proprie radici a Calalzo di Cadore ed è ormai da generazioni inserita nella cultura dell’ottica. Il padre Urbano ha aperto il negozio di famiglia (L’Ottico di Rialto, in ruga, a due passi dal ponte) nel 1964, resistendo, due anni dopo, al dramma dell’acqua alta del 4 novembre. Roberto Vascellari ha conseguito un valore aggiunto alla sua professione: ha cominciato a raccogliere testimonianze sulla conoscenza e sullo sviluppo del suo lavoro. Da collezionista, poi, è diventato studioso e, infine,

divulgatore, organizzando mostre:

l’ultima, Occhiali da Doge, è stata ospitata nello scorso giugno dalla Biblioteca Nazionale Marciana per poi passare al Museo dell’Occhiale di Belluno (Catalogo Supernova). E insieme a manuali, memorie, incisioni, lenti, montature, scavando nella storia del fare dell’ottica veneziana, Vascellari insegue anche le tracce di Biagio Burlini. In giro per il mondo (lo vediamo al Museo del Louvre) ma anche nel suo laboratorio situato nei pressi del negozio dove, tra gli altri oggetti rari che custodisce anche un cannocchiale originale Burlini.

Roberto Vascellari al Museo del Louvre

Cannocchiale originale Burlini A causa della scheggia non è possibile leggere interamente il nome: Burlini a Venezia. Queste le misure del cannocchiale: Diametro corpo principale: 5 cm Corpi totali: 4 Lunghezza chiuso: 46 cm Lunghezza focalizzato: 101 cm Corpo principale: Cartapesta dipinta a

motivi floreali Allunghi: Cartapecora verde Anelli ferma allunghi in corno e tappi parapolvere in ottone


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Museo di fisica

Antonio Maria Traversi

Il Liceo Marco Foscarini di Venezia ospita al suo interno un piccolo museo aperto al pubblico, il Museo di Fisica Antonio Maria Traversi, inaugurato il 20 dicembre 2003. Degli antichi strumenti superstiti un numero rilevante è in ottimo stato di conservazione e in buona parte ancora oggi funzionante. Nel museo è esposta una selezione (su un totale di quasi 460 pezzi) di circa 300 antichi strumenti di fisica sia di tipo didattico sia di ricerca che datano dal XVII fino ai primi decenni del XX secolo, alcuni dei quali sono pezzi unici. È intitolato all’abate Antonio Maria Traversi (21/02/1765 - 21/09/1842), che fu anche docente di fisica. Prima di diventare nel 1807 primo Provveditore del Liceo Santa Caterina (poi Liceo Marco Foscarini) il gabinetto di fisica del suo collegio privato maschile era ben fornito di strumenti, anche di grande pregio e raffinatezza costruttiva, che poi Traversi donò quando passò a dirigere il nuovo istituto, dotandolo così fin

dall’inizio di un insieme di apparecchi di alto livello e bellezza. La presenza in un Liceo di una collezione così singolare e preziosa è dovuta alla bicentenaria storia dell’istituto e al fatto che per tutto il XIX secolo, grazie all’opera degli illustri docenti che si sono avvicendati alla cattedra di fisica, il Gabinetto di Fisica ha assolto a un importante duplice compito. Da un lato offrire agli studenti un valido aiuto pratico a quanto veniva affrontato teoricamente attraverso un gran numero di apparati di grande efficacia didattica. Dall’altro essere il teatro in cui si svolgeva la ricerca scientifica di altissimo livello, portata avanti con regolarità dai vari docenti di fisica. I docenti commissionavano a particolari artigiani la costruzione di un gran numero di strumenti di elevata qualità e precisione per l’epoca, in modo da tenersi sempre al passo con le nuove scoperte sia in ambito teorico che strumentale. Si deve anche osservare che all’epoca

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il governo austriaco adottò nei confronti del Liceo una politica illuminata, cercando di soddisfare le richieste d’acquisto inoltrate dai docenti, non solo di fisica. Da qui il numero così elevato di strumenti posseduti dall’istituto. Anima e vita del museo Traversi sono anno dopo anno un gruppo di studenti del Liceo che, dopo il superamento di un apposito corso di formazione teoricopratico, svolgono l’attività di guida per gruppi di visitatori, per le scolaresche e anche su richiesta dei docenti dell’istituto. Il Museo Traversi, oltre a esporre al pubblico un patrimonio di alto valore non solo scientifico, ma anche estetico, vuole essere di stimolo soprattutto ai giovani verso l’interesse per la scienza e per la sua storia, offrendo un particolare percorso nella storia della fisica tra “scienza e arte”, oltre a proporsi come centro di studio e di ricerca per la strumentazione scientifica di interesse storico.


Prisma del Burlini Tra gli strumenti della collezione del Liceo Marco Foscarini di Venezia è presente un prisma a base equilatera opera del Burlini. Il pezzo faceva parte della collezione personale di strumenti scientifici dell’Abate Traversi. Il dispositivo, non firmato, risulta catalogato col N° 167 nell’inventario del 1870 come “Vecchio prisma su piede di legno” (l’etichetta originale è ancora presente). In entrambi gli inventari del 1838 e del 1818 (rispettivamente ai numeri 92 e 123) figura la voce “Prisma nitidissimo del Burlini incassato in ottone con montatura in noce”. Non essendoci altri prismi semplici con montatura lignea inventariati, per esclusione il prisma dello strumento N° 167 è stato identificato come quello opera del Burlini. Ma oltre agli inventari un’altra fonte merita di essere citata: gli Elementi di

Fisica generale dell’Abate Traversi. Un prisma perfettamente identico è raffigurato nella tavola VI fig. 109 del vol. VII dell’opera (Venezia, Tipografia Antonio Curti), sia nella prima edizione (1806-1809), che nella successiva (1822). Ad essere differente è la “montatura in noce”, che nella tavola risulta dotata di uno stante telescopico, mentre la montatura presenta uno snodo grazie al quale il prisma può essere ruotato fino in posizione verticale. Merita osservare che, per contenere i costi, si tendeva nelle tavole dei trattati del XVIII e XIX secolo anche a riutilizzare certe raffigurazioni degli strumenti scientifici, piuttosto che a far eseguire ex novo a un incisore tutte le vedute della strumentazione scientifica del proprio gabinetto. Ma è anche possibile che in oltre 200 anni la montatura del prisma possa esser stata rifatta. Comunque sia l’elemento

fondamentale del dispositivo per operare la dispersione della luce è il prisma, che in figura 109 è identico sia nella forma che nella montatura in ottone. Lo strumento è ancora perfettamente funzionante e in buono stato di conservazione. Dalla già citata tavola del trattato del Traversi se ne vedono le modalità di utilizzo per ottenere lo spettro della luce su uno schermo nel buio del laboratorio. È stato individuato un intervento di riparazione a livello della montatura in legno eseguito in epoca non definita. Appena sopra lo snodo il legno risulta spezzato da parte a parte e incollato.


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Microscopio Veneziano Composto

sec XVIII

Il microscopio in avorio e cartone ricoperto, è alloggiato in una custodia di legno rivestita di pelle. È firmato «Blasij Burlini OpusVenetiis» dimensioni L 180 (min. tiraggio) D 40 mm Il corpo è di tipo telescopico a due sezioni di cartone. L’oculare è composto da due lenti convergenti poste a distanza fissa del diametro di 27 mm. Ci sono tre obiettivi intercambiabili dei quali uno è sferico di diametro di 4,4 mm.

Seminario Vescovile di Padova L’Istituto è intitolato fin dalla sua fondazione al vescovo san Gregorio Barbarigo, che guidò la diocesi di Padova dal 1664 al 1697, fondando il Seminario diocesano e distinguendosi per l’impegno pastorale e la promozione della cultura e delle scienze e divenendo negli anni, al pari di San Carlo Borromeo a Milano, uno dei simboli della Riforma cattolica, come risposta alla crisi successiva al diffondersi del Protestantesimo. Gregorio Barbarigo volle che gli studenti più dotati del suo Seminario fossero istruiti anche “nelle matematiche” e nella fisica per una migliore preparazione e comprensione della teologia. Il corso degli studi prevedeva la geometria, la meccanica e l’astronomia, e per facilitare lo studio di quest’ultima il vescovo Barbarigo fece costruire un Osservatorio astronomico provvisto di compassi, di cannocchiali, di tavole numeriche e geometriche,

di sfere armillari e di ogni altro strumento indispensabile alla ricerca. La qualità degli strumenti scientifici nel Seminario fu tale da permetterle di competere con quelli dell’Università e quando alcuni decenni più tardi il Gabinetto di fisica fu istituito, fu dotato si una collezione di strumenti così ricca da

essere comparabile a quella di altre importanti università europee. E’ anche dotato di una prestigiosa biblioteca, che custodisce circa 300.000 volumi.


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Oggi a Venezia i telescopi... È stata una specie di scommessa che ha posto le basi all’ultima “fabbrica” di manufatti ottici di Venezia. Una scommessa nata in famiglia alla lettura di un estratto di “Scientific American” che spiegava come farsi da soli un telescopio. E Maristella, moglie di Romano, come continua a fare da una vita, candidamente dice a suo marito: “ti che ti xe bon de far tuto perché no ti ‘o fa?”. E così Romano Zen comincia. Conoscenza e passione ne ha, insegnando Educazione tecnica nelle scuole e provandoci con Ingegneria anche se poi lo studiare, il lavorare e lo stare in famiglia gli impediscono presto, di concludere. Comincia “molando” a mano un vetro industriale per ottenerne uno specchio. Con la parte da scavare messa a contatto con una simile che, nella rotazione, asporta grazie all’azione di un abrasivo sempre più fine, arrivando alla lucidatura ottenuta grazie alla pece. Mancando l’eccellenza del risultato per centesimi di micron. Cercando allora solidarietà presso qualcuno che però gli dice che ciascuno ha i suoi segreti per raggiungere risultati perfetti, salvo poi basire quando, riprovandoci, Romano riesce ad andare oltre la qualità dello stesso presunto specialista col quale in seguito nasce una sincera amicizia che in alcuni casi diventa collaborazione. Così, una passione confermata dalla scommessa vinta del “fai da te”, si evolve nella “Costruzioni ottiche Zen”, una ditta fondata nel 1977 che si è perfezionata nel tempo sino a gestire oggi apparecchiature e operazioni in “solitaria”, in una officina che risponde con modernissime attrezzature alle varie attitudini (varie? Maristella continua a chiedergli di tutto partendo dal presupposto che sa far tutto…) e alla variabilità della componentistica della

strumentazione necessaria per osservare il cielo. Un aspetto della conoscenza che avvicina privati e Associazioni, a Università e enti pubblici. Che continuano a commissionare a Zen, malgrado la temibile concorrenza cinese, strumenti di ogni genere per una clientela dispersa in tutto il mondo. Pubblicizzati inizialmente tramite riviste specializzate (il fratello Sandro, architetto e designier, che ora non c’è più gli procura agli esordi, con il suo gruppo grafico, anche il logo così vicino alle opere “optical” di Vasarely) e oggi affidati al web: www.costruzioniottichezen.com. L’attività manuale è ora delegata a macchine automatiche e perfezionate, alcune delle quali uniche, come quella che serve a rifare l’alluminatura degli specchi in

una campana di alto vuoto. Anche se per alcune lavorazioni finali di asferizzazione serve ancora il lavoro a mano. Ma il genio della lampada che gestisce le meraviglie


della grotta magica (il grande pianoterra dell’officina che per puro caso era la sede dell’antica stamperia di TOMMASO Baglioni che nel 1610 stampa il SIDEREUS

È costituito da una coppia di rifrattori acromatici da 150 mm di apertura focale 1000. La visione diritta a 90° lo rende particolarmente adatto all’osservazione visuale del profondo cielo. La lunghezza focale di un metro rende il piano focale particolarmente corretto e consente elevati ingrandimenti.

NUNCIUS di Galileo Galilei…) rimane sempre lui, Romano Zen. Che sfata, una volta per tutte, un possibile luogo comune sulla presenza antica e costante di lavoratori di lenti e strumenti ottici a Venezia, da Sagredo a Galileo, dai Selva a Burlini, fino ai Ponti, ottici e poi pionieri della fotografia ottocentesca. Costoro e il relativo lavoro nulla hanno a che vedere con l’esistenza secolare della produzione muranese di vetro soffiato. La presenza oggettivamente esiste, ma a causa di una summa di interessi che faceva della repubblica Serenissima un centro di richiamo internazionale non solo delle arti ma anche della scienza (l’Università a Padova). Anche perché in quantità e in qualità esistevano nell’ordine: lavoro, denaro e donne, e quindi opportunità e curiosità non solo per i cittadini ma anche per i “foresti”. Hanno provato nel 2006, per il

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centenario galileiano a ricostruire con le tecnologie dell’epoca delle lenti simili a quelle del genio pisano. Ma da una trentina realizzate, di utili ne son risultate solo due o tre. Il vetro muranese è frutto di una lavorazione a caldo disomogenea. Mentre per fare lenti serve un vetro con una maggiore omogeneità dell’indice di rifrazione, mentre per fare specchi serve un vetro con un coefficiente di dilatazione termica molto basso. Quello delle lavorazioni industriali, il vetro borosilicato (detto anche pyrex), che negli ultimi anni è stato affiancato dal vetroceramico. L’esistenza dell’ultimo “molatore” veneziano va a sovrapporsi comunque alla produzione muranese. Entrambe continuano ad esistere e a produrre. Sfidando la concorrenza soprattutto asiatica e vincendo. Speriamo ancora per molto, molto tempo.


Oggi nel mondo i radiotelescopi... Alla la fine degli anni ’90 chiudeva, a Marghera, a due passi da Venezia, con la Galileo prima e la I.O.R. poi un’avventura industriale che aveva nel dopoguerra prodotto lenti normali e corneali, apparecchi fotografici. Un mesto finale rispetto alla tradizione antica di cui si è parlato in queste pagine. Mentre questo accadeva, poco lontano, nasceva un altro gruppo, che puntava ancora più alto sia industrialmente che tecnicamente. L’EIE GROU, infatti, rappresenta un’eccellenza nel panorama industriale italiano, operando nei settori dell’Astronomia e dell’Astrofisica oltre che nello sviluppo di macchine, equipaggiamenti e sistemi integrati per l’industria e la scienza, un vero leader internazionale nella realizzazione di Telescopi, Radiotelescopi, Osservatori astronomici e strumentazione scientifica con particolari assets ingegneristici e consolidate competenze nella fabbricazione, montaggio e gestione di meccanismi e impianti. “EIE da oltre 25 anni lavora in ambito astronomico spiega Gianpietro Marchiori - EIE ha progettato e realizzato importantissimi strumenti astronomici quali Ntt (New tecnology telescope), Vlt (Very large telescope), Alma Lbt, Large binocular telescope, il più grande telescopio al mondo costituto da due grandi specchi di 8,4 metri montati su un’unica struttura, e altri strumenti, quali Vista, un telescopio che lavora nel campo dell’infrarosso e Vst, un “piccolo” telescopio (3 metri di diametro) utilizzato quale strumento di prima ricerca per il potente Vlt. Grazie a questo lavoro e alle conoscenze acquisite e grazie soprattutto all’efficacia dimostrata dagli strumenti fin qui progettati, dal 2006 EIE è stata chiamata a

una nuova importante sfida: la progettazione e costruzione di E-Elt un telescopio gigantesco da 39 metri di diametro. Un telescopio di questo tipo rappresenta una sfida importante, perché oltre a richiedere una continua ricerca tecnologica per avere il meglio che c’è nel mondo industriale, richiede anche che vengano studiate nel minimo dettaglio le tecniche di trasporto, assemblaggio e management.” Quali sono le principali caratteristiche di Alma? ”Alma, che sta per Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, è un radiotelescopio composto da 66 antenne di 12 metri di diametro, frutto di una collaborazione internazionale tra Europa, Stati Uniti e Giappone. È attualmente in costruzione in Cile, nel deserto di Atacama, e opererà a un’altitudine di 5.000 metri sopra il livello del mare. Sarà il più grande strumento astronomico al mondo dei prossimi anni. Dotato di un’alta risoluzione e accuratezza, darà la possibilità agli scienziati di “vedere” al di là dei nostri occhi e sentire al di là delle nostre orecchie, aprendo una nuova finestra sull’universo. Una finestra straordinaria, perché permetterà di svelare antichi e importanti misteri dell’astronomia. Aiuterà a indagare

sull’origine del cosmo. L’universo è costituito, infatti, per l’85% da materia oscura, cioè non ancora identificabile con i mezzi oggi a disposizione, e Alma, operando a frequenze diverse, ci darà la possibilità di svelare parte di questo universo sconosciuto.” Per poter consentire tutto questo ci vorranno strumenti molto affidabili. “Sì, le radio antenne di Alma sono strumenti altamente tecnologici. In particolare, le antenne europee sono costituite da pannelli in nickel supportati da una struttura in fibra di carbonio che permette allo strumento di essere al contempo molto leggero, molto rigido e molto più stabile rispetto alle variazioni di temperatura, per ottenere un’accuratezza dello specchio principale inferiore ai 25 millesimi di millimetro. Il tutto viene guidato da un sofisticato sistema di controllo costituito da un sistema di motori lineari, cioè senza contatto meccanico, e un sistema metrologico che corregge in real time le deformazioni della struttura dovute alla temperatura e al vento. Questo consente allo strumento di seguire la sorgente con un errore di puntamento inferiore a 0.0002 gradi.”


L’ASSOCIAZIONE CULTURALE “ARCHIVIO CARLO MONTANARO” si è costituita in data 24 marzo 2010 presso il notaio Paolo Chiaruttini di Venezia ed è stata registrata al n. 127015. Con il decreto 114 del 23 settembre 2013, in base alla legge regionale 5 settembre 1984, n. 50, art. 41, i fondi e le raccolte documentarie appartenenti all’Archivio Carlo Montanaro di Venezia sono dichiarati di interesse locale. L’Associazione Culturale “Archivio Carlo Montanaro”, ha sede legale in 30125 Venezia, san polo 896, telefono +39 041 5231299 dov’è collocata anche la redazione di ALL’ARCHIMEDE. L’Associazione sta predisponendo LA FABBRICA DEL VEDERE, la sua sede operativa (spazio pubblico e/o espositivo, biblioteca, videoteca, fototeca, laboratorio, emeroteca, archivio cartaceo, raccolta di oggetti e memorabilia - collezione Trevisan, Montanaro, D’Este -) in 30121 Venezia,

Cannaregio 3857, telefono +39 041 5231556. L’Associazione Culturale “Archivio Carlo Montanaro” può ricevere donazioni e contributi liberali non soggetti a IVA ai sensi dell’art. 4 commi 2 e 4 del DPR 633/72. L’IBAN di Banco San Marco, (gruppo Banco Popolare S.C. AG 9 VE) è IT86H0503402022000000001192, ma si può operare anche tramite PAYPAL collegandosi al sito www.archiviocarlomontanaro.it. L’Archivio Carlo Montanaro ha 94072930277 come Codice Fiscale. Per comunicare: acmve@inwind. it, facebook archiviocarlomontanaro, cellulare 3474923009. ALL’ARCHIMEDE è il periodico dell’Associazione Culturale Archivio Carlo Montanaro, è stampato in proprio e poi diffuso, non scaricabile, nel sito archiviocarlomontanaro.it. Copyright ©Associazione Culturale Archivio Carlo Montanaro e, ove indicato, dei singoli autori.

FOTO E ILLUSTRAZIONI copertine Archivio Carlo Montanaro p. 3 foto Orlando Sinibaldi p. 5 collezione privata Pasquale Ventrice p. 9 Archivio Carlo Montanaro p. 44, 46, 47 foto Diego Padovan p. 48-49 foto Roberto Vascellari p.50-53 foto Museo Antonio Maria Traversi, Venezia p. 54-55 foto Seminario Vescovile, Padova p. 58 foto EIE Marghera



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