Le Scienze - Malattie Rare (2016)

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MALATTIE RARE Marzo 2016

Editoriale

“Farmaci orfani�: un corretto uso del termine e una riflessione sulle risorse economiche

News

La Carta Europea del paziente con fibrosi polmonare idiopatica

Orizzonti

Ipercolesterolemia familiare: cause, nuovi trattamenti e testimonianze

Scenari

Citomegalovirus e ruolo delle Associazioni

Focus

Malattie genetiche rare: sequenziamento del genoma e riposizionamento dei farmaci

News

a cura di

Una banca dati in continuo aggiornamento per la classificazione delle malattie rare

Inserto realizzato da Fonema Comunicazione SRL - OK Salute e Benessere non ha partecipato alla sua realizzazione e non ha responsabilitĂ per il suo contenuto


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malattie rare

editoriale

Farmaci orfani, non facciamoci ingannare dalle parole

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o una malattia rara, ma non c’è una cura: alle aziende farmaceutiche non conviene investire per pochi pazienti”. Lettere così arrivano spesso all’ Osservatorio Malattie Rare. Lo sconforto di chi è malato è giustificato, ma questa lettura non è corretta. A portar fuori strada è l’uso del termine ‘farmaci orfani’. Una delle definizioni diffuse è questa: “i farmaci ‘orfani’ sono destinati alla cura di malattie rare. Le aziende farmaceutiche sono solitamente restie a sviluppare questi farmaci secondo le normali condizioni di mercato, poiché i capitali investiti per la ricerca e lo sviluppo dei prodotti non vengono recuperati attraverso le vendite a causa della scarsa domanda”. Di vero c’è che i farmaci orfani vengono usati per condizioni rare. Ad oggi ne sono note nel mondo tra le 7.000 e le 8.000: moltissime non hanno un farmaco che può curarle. In questi casi sono le specifiche malattie ad essere ‘orfane di una terapia’, più semplicemente ‘malattie orfane’. Il termine ‘farmaco orfano’ compare con il Regolamento CE n. 141/2000, più o meno l’equivalente europeo dell’Orphan Drug Act approvato negli Usa nel 1983. Tradurre ‘Orphan Drug’ con ‘Farmaco orfano’ è molto immediato, eppure per rendere meglio l’idea si dovrebbe dire ‘farmaco per malattia orfana’. Il termine ‘farmaco orfano’, estratto da questo contesto, può portare a domandarsi ‘di cosa sono orfani i farmaci?’. Da qui alcune risposte poco corrette: c’è chi ritiene che siano orfani di interesse da parte delle aziende e chi ritiene siano orfani di ricerca e di investimenti, ma è una lettura scorretta. È l’esistenza stessa di un numero sempre maggiore di terapie per malattie che prima non avevano alcuna cura a dimostrare che non mancano

OSSERVATORIO malattie rare O.Ma.R. O.Ma.R. è la prima agenzia giornalistica nazionale, dedicata al mondo delle malattie e dei tumori rari, accreditata tra le maggiori fonti di informazione su ricerca scientifica, assistenza, sperimentazioni ed iniziative delle associazioni. Questo risultato è dovuto ad una attenta verifica delle fonti d’informazione e alla chiarezza di linguaggio che rende i contenuti scientifici comprensibili a un ampio target. Il portale www.osservatoriomalattierare.it ha la certificazione Hon Code per l’affidabilità dell’informazione medica.

Ilaria Ciancaleoni Bartoli

Ilaria Ciancaleoni Bartoli

Direttore O.Ma.R. – Osservatorio Malattie Rare

né ricerca né interesse. Dal 2000 a oggi oltre 1160 molecole hanno ricevuto la designazione di ‘farmaco orfano’. Questo vuol dire che team di esperti, nel 90% circa dei casi finanziati da aziende private – e con molte eccellenze italiane di cui vi raccontiamo nelle prossime pagine - si sono messi all’opera per trovare soluzioni a delle malattie rare. Tuttavia, nonostante il grande numero di molecole candidate a diventare farmaci, poco meno di un centinaio hanno superato tutte le fasi della sperimentazione e sono arrivate ai pazienti: meno del 9% del totale. Tutte le altre molecole non si sono dimostrate valide, sono ancora in fase di sperimentazioni oppure attendono ancora di completare gli iter burocratici per poter entrare sul mercato. Perché i tempi della scienza sono lunghi e le basi di molte malattie rare sono state chiarite solo da poco. Ma se i pazienti sono pochissimi, se i tempi per lo sviluppo di un farmaco orfano sono tanto lunghi e il rischio di fallimento tanto alto, che

Laureata in scienze politiche e specializzata in relazioni pubbliche dal 2010 decide di concentrarsi sulle malattie rare. Da qui la nascita del quotidiano on line Osservatorio Malattie Rare.

Ilaria Vacca

Laureata in Filosofia e specializzata in bioetica, ha scelto la strada del giornalismo scientifico e sociale. Coordinatore editoriale di O.Ma.R., è appassionata di medical drama e social media. La trovate su twitter: @vivosunamela.

Francesco Fuggetta,

laureato in Scienze della Comunicazione alla Nottingham Trent University, ha scritto su Libero e L’Unione Sarda. Per due anni addetto stampa dell’Azienda Sanitaria di Carbonia, collabora con O.Ma.R. dal 2014.

Margherita De Nadai

Laureata in Strategie di Comunicazione, si dedica a due delle sue più grandi passioni: la scrittura e la medicina. È la web editor dell’O.Ma.R. dal 2015 e scrive su diverse testate di area sanitaria.

cosa ha reso possibile alle aziende farmaceutiche investire in questo settore? Se questi risultati in termini di terapie si sono potuti raggiungere, parte del merito va certamente all’Orphan Drug Act prima, e ai regolamenti comunitari poi, che hanno previsto delle facilitazioni per le aziende che sviluppano farmaci orfani. Alcuni paesi, tra cui anche l’Italia, hanno poi previsto ulteriori agevolazioni. Tutto questo ha permesso alle aziende di investire e arrivare al risultato. Senza questi aiuti probabilmente molte malattie non avrebbero una cura.

Il vero ostacolo oggi sono le difficoltà economiche in cui versano molti paesi. Perché questi farmaci, frutto delle più avanzate biotecnologie, hanno un costo, e le risorse sono sempre meno. In Italia la spesa per farmaci orfani è circa il 5% della spesa farmaceutica complessiva e meno dell’1% della spesa sanitaria complessiva, un costo limitato ma in un periodo di tagli nessun settore viene risparmiato. Il rischio è che i pazienti si vedano negate delle terapie in base a dinamiche di spesa e di budget da rispettare. Questo è quello che non deve accadere. Ilaria Ciancaleoni Bartoli

Doing now what patients need next La vita pone domande. Noi cerchiamo le risposte. L’innovazione è la nostra risposta alle continue sfide della salute. Lavoriamo ogni giorno per salvare le vite dei pazienti e per aiutare milioni di persone in tutto il mondo.

Un inserto realizzato da Fonema Comunicazione srl • Editorial manager: Giuseppe Burzo • Project director: Ginevra De Fassi Negrelli • Redazione: O.Ma.R, redazione@fonemacomunicazione.com • Contatti: www.fonemacomunicazione.com info@fonemacomunicazione.com - Tel. +39 0692948749 - Fax +39 0692932720 - Fonema Comunicazione @FonemaC Impaginazione e grafica: Fabio Salamida • Stampa: Ciscra spa • Distribuzione: Ok Salute e Benessere • Carta Giornale Migliorato ISO 72° da 55 gr/mq


indice

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INDICE NEWS

ORIZZONTI

Fibrosi Cistica, i nuovi trattamenti possono cambiare la vita dei pazienti

Tommasa: “la mia lotta contro il colesterolo”

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Voce ai pazienti: la Carta Europea per la fibrosi polmonare idiopatica

NEWS

Telethon Italia: la lotta alle malattie genetiche rare Pagina 5

ORIZZONTI

Malattie rare endocrinologhe: sono più di 300 e necessitano di competenza specifica

Ipoparatiroidismo: ora sono disponibili le linee guida internazionali Pagina 6

IL 2015 IN CIFRE Europa 93 nuovi farmaci autorizzati dall' EMA (Agenzia Europea per i Medicinali) 39 (42%) sono nuove sostanze attive 18 (19%) sono destinati al trattamento delle malattie rare 5 (5%) hanno una procedura di approvazione accelerata Fonte: European Medicine Agency

USA 45 farmaci innovativi approvati dalla Food and Drug Administration (FDA) 16 (36%) sono First in Class hanno dei meccanismi d'azione diversi da quelli delle terapie esistenti 21 (47%) sono destinati al trattamento delle malattie rare 27 (60%) hanno una procedura di approvazione accelerata Fonte: Rapporto annuale del Centro per la Valutazione dei Farmaci e della Ricerca (CDER)

Ipercolesterolemia familiare omozigote: anche in Italia il nuovo trattamento

SCENARI

Citomegalovirus in gravidanza: subdolo e pericoloso

Acromegalia, i farmaci arrivano dove la chirurgia non ce la fa Mieloma multiplo: il secondo tumore del sangue più diffuso Pagina 8

NEWS

La distrofia di Duchenne: stato dell’arte e innovazioni terapeutiche Pagina 9

FOCUS

Riposizionamento dei farmaci: uno sguardo al futuro Lucia è veneta, ha 5 anni e due malattie rare Pagina 10

NEWS

Recordati Rare Diseases Foundation: formazione e informazione sulle malattie rare

Orphanet: il database dedicato a malattie rare e farmaci orfani Pagina 11


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news

FIBROSI CISTICA, I NUOVI TRATTAMENTI POSSONO CAMBIARE LA VITA DEI PAZIENTI Per la fibrosi cistica non esiste una cura, ma da circa 8 mesi anche in Italia è disponibile il primo trattamento che agisce direttamente sulle cause della patologia e non solo sui sintomi. Si tratta di Ivacaftor, un modulatore della proteina CFTR

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a fibrosi cistica è una malattia rara a trasmissione genetica che colpisce 1 neonato su 2.500 – 2.700. A causare la malattia è un difetto della proteina CFTR la cui funzione è di regolare gli scambi idroelettrolitici. L’alterazione della proteina comporta un’anomalia del trasporto di sali e determina principalmente la produzione di secrezioni “disidratate”: il sudore è molto ricco in sodio e cloro, il muco è denso e vischioso e tende a ostruire i dotti nei quali viene a trovarsi. A essere colpiti dagli effetti della malattia sono principalmente l’apparato respiratorio, le vie aeree, il pancreas, il fegato, l’intestino e l’apparato riproduttivo, soprattutto nei maschi a causa dell’ostruzione dei dotti spermatici. Per la fibrosi cistica non esiste una cura, ma da circa 8 mesi anche in Italia è disponibile il primo trattamento che agisce direttamente sulle cause della patologia e non solo sui sintomi. Si tratta di Ivacaftor, un modulatore della proteina CFTR, che si

usa in pazienti con almeno una mutazione ‘gating’, cioè in pazienti in cui la CFTR è presente sulla membrana cellulare, ma non svolge la corretta funzione di canale per il trasporto del cloro, e anche per i pazienti con almeno una mutazione R117H. “Sulla base dei risultati ottenuti dai miei pazienti – spiega il Dr. Vincenzo Carnovale, Medico del Centro di Riferimento Regionale Fibrosi Cistica dell’Adulto della Campania – Università degli Studi di Napoli Federico II – posso certamente affermare che grazie a questo farmaco i pazienti stanno molto meglio. Abbiamo osservato che i pazienti che presentavano una condizione clinica di gravità lieve-moderata, attualmente stanno benissimo. Chi aveva già sviluppato i danni legati all’avanzamento della patologia, ha manifestato un chiaro miglioramento clinico, oltre alla normalizzazione del test del sudore. Questo ci permette di dichiarare che per i pazienti è estremamente vantaggioso iniziare il trattamento il più

precocemente possibile, per evitare che la patologia si possa aggravare.” “L’esperienza ci ha dimostrato che il farmaco funziona e cambia il decorso della malattia. Agisce, inoltre, come se fosse un antibatterico: favorendo il ripristino della funzione proteica, il farmaco modifica il microambiente polmonare, che così non favorisce più la proliferazione batterica: i pazienti si ammalano di meno e vivono meglio. Ivacaftor, inoltre, permette il recupero di un’ottimale condizione nutrizionale, che è fondamentale per combattere la malattia. Il miglioramento della qualità della vita è tale che – ad esempio – una mia giovane paziente ha espresso il desiderio di affrontare una gravidanza per il forte desiderio di maternità. Attualmente presso il nostro centro sono 17 i pazienti che hanno iniziato il trattamento: la funzionalità respiratoria è migliorata, il peso corporeo è aumentato e hanno mostrato meno esacerbazioni di malattia. Ciò significa che ora possono

sentire la propria voce è più difficile. Uno degli esempi più recenti del successo di tali azioni è rappresentato dalla Carta Europea del Paziente con Fibrosi Polmonare Idiopatica: un documento ufficiale, pubblicato anche sulla rivista European Respiratory Journal, e presentato al Parlamento Europeo nell’ottobre 2015. La Carta, realizzata grazie alla collaborazione tra medici e pazienti, è stata promossa da 11 associazioni di 9 Paesi Europei. L’Italia è stata rappresentata dall’associazio-

ne AMA Fuori dal Buio di Modena. Attualmente in Europa si stima che il numero di soggetti affetti da Fibrosi Polmonare Idiopatica (IPF) sia compreso tra 80.000 e 111.000 persone. Ma di che malattia stiamo parlando? Si tratta di una patologia polmonare, per la quale i polmoni si riempiono di tessuto fibroso; la malattia toglie letteralmente il fiato, fino all’insufficienza respiratoria. Le cause di questa malattia non sono note, da qui il nome ‘idiopatica’, e non esiste una cura definitiva. Tuttavia esiste una terapia in

VOCE AI PAZIENTI: LA CARTA EUROPEA PER LA FIBROSI POLMONARE IDIOPATICA

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gruppi e le associazioni di pazienti svolgono oggi un ruolo sempre più importante nel difendere e sostenere i diritti di chi è affetto da patologie gravi e invalidanti. Promuovere la ricerca scientifica, garantire le migliori prestazioni sanitarie, l’equità e l’eguaglianza delle cure, offrire supporto psicologico ai pazienti: sono i principali obiettivi che si prefiggono oggi i gruppi di advocacy. Tale azione è più che mai necessaria nell’ambito delle malattie rare: essendo pochi i pazienti a far

Vincenzo Carnovale

Responsabile del Centro di Riferimento Regionale Fibrosi Cistica dell’adulto della Campania – Università degli Studi di Napoli Federico II

praticare terapie antibiotiche meno impegnative, possono dedicare meno tempo alla terapia in generale e più tempo alla propria vita.” Il farmaco però serve solo ai pazienti che presentano delle mutazioni specifiche. La seconda buona notizia è che presto i pazienti italiani potranno disporre anche di un nuovo farmaco, da poco approvato dall’EMA. Si tratta di una combinazione di Lumacaftor e Ivacaftor: di fatto il primo medicinale, per il trattamento della causa alla base della fibrosi cistica, in soggetti di età pari o superiore a 12 anni che presentano due copie della mutazione F508del, la più diffusa. Ilaria Vacca

grado di rallentane la progressione. Si tratta del pirfenidone, molecola disponibile anche in Italia dal 2013, al quale ora tutti i pazienti possono accedere. Non è però sempre stato così. Troppo spesso i pazienti si scontrano con la lentezza della burocrazia e con il mancato riconoscimento della propria patologia o la mancata esenzione dai ticket. Per tutti questi motivi è stata redatta la Carta Europea del Paziente con Fibrosi Polmonare Idiopatica, che ha individuato 5 temi chiave: la necessità di migliorare la diagnosi, l’accesso al trattamento, l’approccio olistico, la consapevolezza della malattia e le cure palliative. “Gli sforzi fino ad ora compiuti – ha detto Rosalba Mele, presidente di AMA - potrebbero risultare vani senza l’appoggio dei decisori politici: per questo abbiamo inviato un forte messaggio alla Commissione Europea e agli stati membri sollecitando una tempestiva presa in carico, perché i nostri pazienti tutto hanno tranne che tempo da attendere.” Per saperne di più: www.ipfcharter.org. Ilaria Vacca


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TELETHON ITALIA: LA LOTTA ALLE MALATTIE GENETICHE RARE

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on sempre hanno un nome e ancora meno spesso una cura. Colpiscono una percentuale molto bassa della popolazione, circa il 6-8%, per questo sono definite ‘rare’ e si manifestano più frequentemente nei primi anni di vita. La diagnosi, quando c’è, arriva in un tempo medio di 6-8 anni tra indagini e ipotesi errate. Possono colpire più organi, compromettendo funzioni fondamentali per la vita quotidiana. Alcune di loro colpiscono solo una decina di persone nel mondo, eppure non è un buon motivo per il quale non cercare una terapia, una cura per migliorare la loro qualità della vita, per salvarle. Sono oltre seimila quelle finora conosciute: stiamo parlando delle malattie genetiche rare, causate

da una o più mutazioni dei geni o alterazioni dei cromosomi in grado di dare origine a una o a molteplici patologie e che nell’Unione Europea hanno una prevalenza di 5 casi su 10.000 persone. Conoscerle, studiarle e trovare una cura è l’obiettivo di Telethon, Fondazione nata negli Stati Uniti negli anni ’60, poi approdata anche in Italia, grazie alla volontà di Susanna Agnelli in collaborazione con l’Unione italiana lotta alla distrofia muscolare, allo scopo di finanziare e promuovere la ricerca scientifica su questo tipo di malattie. Telethon Italia si compone di tre istituti: l’Istituto San Raffaele-Telethon per la Terapia Genica (TIGET) con sede a Milano, l’Istituto Telethon di Genetica e Medicina (TIGEM) con sede a Pozzuoli

(Napoli) e l’Istituto Telethon Dulbecco, un istituto virtuale intitolato al premio Nobel per la Medicina Renato Dulbecco. Con i fondi raccolti, grazie all’omonima maratona televisiva che ogni anno va in onda sulle reti Rai, alle iniziative di raccolta, alla rete dei partner e ai volontari sul territorio, la Fondazione Telethon a oggi ha avuto la possibilità di compiere la sua attività di ricerca su 450 malattie genetiche rare, e per oltre 20 patologie sono riusciti a trovare una cura. Sono oltre 10.222 gli articoli che hanno pubblicato dal 1990 ad oggi, le cui citazioni medie sono le più alte rispetto a quelle italiane, europee e statunitensi. Inoltre oltre 50 bambini affetti da tre gravi patologie, grazie alla ricerca finanziata da Telethon

Telethon Italia si compone di tre istituti: l’Istituto San Raffaele-Telethon per la Terapia Genica (TIGET) con sede a Milano, l’Istituto Telethon di Genetica e Medicina (TIGEM) con sede a Pozzuoli (Napoli) e l’Istituto Telethon Dulbecco, un istituto virtuale intitolato al premio Nobel per la Medicina Renato Dulbecco

sulla terapia genica, ora stanno bene. Nel 2014-2015 Telethon ha destinato 43,7 milioni di euro, pari al 75% degli impieghi totali, per finanziare la propria attività di ricerca, finanziando il lavoro di centinaia di ricercatori italiani. Sono state messe a punto 23 linee di ricerca nei loro istituti e avviati 55 attività e progetti nell’anno. Le ultime sfide e gli ultimi successi? Telethon ha recentemente identificato il primo gene che controlla la forma dell’ippocampo, struttura del nostro cervello responsabile della memoria, aprendo importanti scenari per la comprensione dei disturbi cognitivi. E ancora, un gruppo di ricerca italiano ha dimostrato che l’antidepressivo mirtazapina può avere effetti benefici sui sintomi della sindrome di Rett, una malattia neurologica genetica rara che causa ritardo mentale in 1:10.000 bambine. Inoltre, un team di ricerca internazionale ha individuato una possibile strategia terapeutica per la cura della sindrome di Duncan, una malattia genetica che si manifesta con una mononucleosi infettiva fulminante scatenata da un virus molto diffuso della famiglia degli herpes. Ma questi sono solo gli ultimi successi ottenuti dalla ricerca finanziata da Telethon. Grazie alle numerose donazioni e all’impegno dei ricercatori si può fare molto altro ancora. Marghertina De Nadai


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MALATTIE RARE ENDOCRINOLOGICHE: SONO PIU’ DI 300 E NECESSITANO DI COMPETENZA SPECIFICA

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e malattie rare endocrinologiche rappresentano un gruppo di patologie estremamente eterogeneo, che interessano circa 20-25 persone ogni milione di abitanti. Comprendono tumori rari, disordini metabolici minerali e ossei, patologie legate a squilibri ormonali, patologie di pancreas, surreni e paratiroide. In totale le malattie endocrinologiche classificate dalla SIE, Società Italiana di Endocrinologia, sono ben 346. Si tratta di patologie, per lo più geneticamente determinate, di difficile diagnosi e per le quali spesso si accumula un ritardo diagnostico che può arrivare anche a 10 anni. “Riconoscere una patologia rara può essere difficile – spiega Maria Luisa Brandi - ma da quel riconoscimento dipende la salute del paziente. Per questo motivo con la SIE abbiamo realizzato una classificazione completa, che per ogni patologia riporta fenotipo, marcatori biologici, età di manifestazione, incidenza, prevalenza e bibliografia di riferimento.

Si tratta di uno strumento prezioso, che potrà aiutare gli endocrinologi nella loro pratica quotidiana.” Il mancato riconoscimento di una patologia, o l’errata diagnosi, possono cambiare completamente la vita dei pazienti. “Basti pensare ai casi in cui vengono eseguiti trattamenti chirurgici inutili, oppure ai drammatici casi in cui un tumore benigno non viene individuato e, col tempo, si trasforma in neoplasia maligna. Quando un paziente arriva da noi con un’anomalia endocrinologica abbiamo il dovere di indagare sulla sua storia familiare, sulla specificità della sua condizione. Non possiamo fermarci alle apparenze.” L’immenso lavoro di classificazione della SIE, pubblicato lo scorso anno sul Journal of Endocrinological Investigation, è la risposta a una fortissima necessità di informazioni sulle malattie rare. Tra le patologie probabilmente meno note ci sono le malattie rare genetiche delle ossa, come l’osteogenesi imperfetta. Per queste

malattie lo Skeletal Rare Diseases Working Group della International Osteoporosis Foundation (IOF), di cui la Prof.ssa Brandi è il Presidente, ha recentemente elaborato una nuova classificazione delle rare malattie genetiche delle ossa che si basa sulla loro patogenesi metabolica. Questo lavoro, già pubblicato su Osteoporosis International, rappresenta un primo passo verso la creazione di un registro internazionale delle malattie scheletriche rare e fornisce importanti informazioni utili allo sviluppo di nuovi percorsi diagnostici e terapeutici per queste patologie che, sebbene debilitanti, sono spesso trascurate. “A causa della rarità di queste malattie la diagnosi rappresenta una sfida, e la maggior parte dei pazienti, che spesso sono bambini, dispone attualmente di poche opzioni terapeutiche. Ad oggi, la diagnosi delle malattie scheletriche rare si basa principalmente sull’analisi del fenotipo clinico e sugli esami di radiografia. Crediamo che la conoscenza della via

metabolica che caratterizza queste malattie fornisca importanti informazioni che possono aiutare i medici a selezionare il trattamento farmacologico più appropriato”. Ilaria Vacca

Per tentare di colmare l’attuale carenza di informazioni in merito alla diagnosi e al trattamento della malattia, la Società Europea di Endocrinologia (ESE) ha creato un gruppo di lavoro multidisciplinare, principalmente composto da ricercatori clinici europei, che ha condotto un’analisi sistematica della letteratura nel tentativo di identificare il miglior trattamento per i pazienti adulti con ipoparatiroidismo cronico. Al termine di questa ricerca, poco più di 300 studi sull’ipoparatiroidismo sono stati considerati

pertinenti e sottoposti ad una valutazione dei dati e degli elementi di prova necessari all’elaborazione delle linee guida. Tale documento è stato poi pubblicato sull’ European Journal of Endocrinology, allo scopo di fornire ai medici un insieme strutturato di consigli pratici per la diagnosi, il trattamento e la gestione quotidiana di pazienti adulti affetti da ipoparatiroidismo cronico non associato a malattia renale allo stadio terminale (ESRD). In generale, le raccomandazioni dell’ESE sono focalizzate sull’im-

portanza di effettuare tempestivi esami per l’ipoparatiroidismo in tutti i pazienti che manifestano bassi livelli di calcio e di ormone paratiroideo, ma anche sulla necessità di una rinnovata attenzione a quelle specifiche circostanze, come la fertilità, la gravidanza o l’allattamento, che rendono particolarmente delicato il trattamento delle giovani donne, le quali hanno una maggiore probabilità di essere colpite dalla malattia. Ilaria Vacca

Maria Luisa Brandi

Professore ordinario di endocrinologia all’Università di Firenze, coordinatrice del Club su Malattie Rare della Società Italiana di Endocrinologia, Presidente dello Skeletal Rare Diseases Working Group della International Osteoporosis Foundation (IOF)

IPOPARATIROIDISMO: ORA DISPONIBILI LE LINEE GUIDA INTERNAZIONALI

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ipoparatiroidismo è una rara malattia endocrina caratterizzata da un deficit di ormone paratiroideo e da bassi livelli di calcio nel sangue. Principalmente, la patologia si manifesta come conseguenza della rimozione chirurgica della tiroide o delle ghiandole paratiroidi. Sebbene esista una terapia specifica, approvata per ora negli USA, l’attuale standard di cura per l’ipoparatiroidismo è rappresentato dalla somministrazione di integratori di calcio e di analoghi attivi della vitamina D.

Nessuna malattia è così rara da non meritare attenzione.

Il portale delle malattie rare e dei farmaci orfani www.orphanet.it


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TOMMASA: “LA MIA LOTTA CONTRO IL COLESTEROLO”

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ommasa ha 24 anni ed è nata in provincia di Agrigento. Oggi vive a Frosinone, studia all’Università di Tor Vergata e col suo sorriso contagioso racconta quello che definisce “un percorso in salita”. Perché da quando è nata Tommasa lotta contro l’ipercolesterolemia familiare omozigote, una forma molto rara e grave di ipercolesterolemia ereditaria. Secondo le ultime stime della European Atherosclerosis Society, tuttavia, pare che questa forma abbia una prevalenza di 1:160.000-300.000: molto maggiore, quindi, di quella storica di 1:1.000.000. Inoltre, la patologia è spesso trattata in ritardo e in modo insufficiente, e anche con le migliori terapie disponibili (statine ad alto dosaggio e inibitori dell’assorbimento del colesterolo),

solo circa il 20% dei pazienti raggiunge gli obiettivi di colesterolo LDL raccomandati dalle linee guida. Tommasa, che fa parte dell’Associazione Nazionale Ipercolesterolemia Familiare, ha raccontato all’Osservatorio Malattie Rare cosa significhi convivere con questa patologia. “Ho scoperto di essere affetta da ipercolesterolemia familiare omozigote all’età di due anni, quando dietro i gomiti e dietro le cosce apparvero degli xantomi, macchie giallastre causate dall’accumulo di lipidi sotto la pelle. Così i medici di Palermo mi indirizzarono all’Umberto I di Roma, dalla Prof.ssa Claudia Stefanutti, che mi prese in cura e da lì è iniziato il mio percorso di vita, sempre in salita”. A quattro anni e mezzo, Tommasa inizia a sottoporsi alla plasmaferesi,

una procedura extracorporea simile alla dialisi, che rimuove dal sangue il colesterolo in eccesso. “All’inizio – racconta – è stata una grande sofferenza; poi col tempo, facendola ogni settimana, mi sono abituata. Con gli altri pazienti e con i medici si è instaurato un rapporto straordinario, e mi sono sentita come in una famiglia”. Ma le difficoltà continuano: nel 2009 la ragazza subisce un’operazione per l’inserimento di un bypass alla coronaria sinistra. “Ho sostituito due valvole, l’aortica e la mitrale, e la mia vita è cambiata: prima stavo malissimo, non potevo fare praticamente nulla, né attività fisica, né uscire con gli amici: dopo l’operazione ho iniziato persino a fare sport”. Poi, nel gennaio 2014, arriva la notizia di un nuovo trattamento, la lomi-

tapide. “Per me è stato fantastico: lo attendevo da tanto tempo, quindi ho voluto iniziare subito la sperimentazione. All’inizio è stato un po’ un calvario, perché è vero che con la plasmaferesi occorre fare una determinata dieta, però ogni tanto potevo sgarrare, mangiare un po’ di cioccolato o qualcosa di più grasso, mentre con la lomitapide no, perché ha degli effetti collaterali non indifferenti e quindi bisogna stare più attenti”. Oggi Tommasa continua la terapia, e non si sottopone più all’aferesi ogni settimana, ma ogni 15 giorni. “I risultati sono straordinari, sto meglio anche dal punto di vista psicologico. Mi sento più libera di uscire, spostarmi da casa, fare vacanze: non avrei mai pensato a un cambiamento del genere”. Francesco Fuggetta

IPERCOLESTEROLEMIA FAMILIARE OMOZIGOTE, ANCHE IN ITALIA IL NUOVO TRATTAMENTO

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eccesso di colesterolo nel sangue può dipendere da varie cause, dall’alimentazione alla presenza di diverse patologie. Ma il fattore scatenante può essere anche ereditario: è il caso dell’ipercolesterolemia familiare, una rara e grave malattia causata da un difetto genetico che altera la funzione del recettore delle lipoproteine a bassa densità (LDL-C, il cosiddetto “colesterolo cattivo”). Quando un soggetto eredita il gene difettoso per il recettore delle LDL da entrambi i genitori, si parla di ipercolesterolemia familiare omozigote. Queste sono forme rarissime: colpiscono infatti circa un individuo su 300.000, ma sono anche molto più gravi di quelle eterozigoti. Chi è affetto da questa malattia sviluppa una precoce e progressiva aterosclerosi, cioè un restringimento delle arterie che può portare a infarto, ictus

o altri problemi cardiovascolari. Fino ad oggi per questi pazienti le uniche opzioni terapeutiche erano rappresentate da una dieta ferrea, dall’uso di farmaci come le statine e dall’aferesi delle lipoproteine, un procedimento di rimozione meccanica del colesterolo dal sangue. Ma questi trattamenti, anche se efficaci, in genere non sono in grado di ridurre il colesterolo fino ai livelli raccomandati dalla European Atherosclerosis Society (EAS). Ora, però, per questi pazienti è arrivata un’importante novità: un farmaco specifico per la loro patologia. Nel giugno 2015, infatti, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha autorizzato la commercializzazione in Italia della lomitapide. Il farmaco è un inibitore della proteina di trasferimento microsomiale dei trigliceridi e permetterà ai pazienti adulti di ridurre ulteriormen-

te i loro livelli di “colesterolo cattivo”. Sarà poi compito dei clinici arrivare all’approvazione di linee guida sulle nuove indicazioni di trattamento di questi nuovi farmaci e sulla loro combinazione con l’aferesi lipoproteica. La società scientifica internazionale Mighty Medic, costituita lo scorso 18 dicembre a Roma, è già al lavoro. “Il nostro obiettivo – spiega la Prof.ssa Claudia Stefanutti, Responsabile dell’U.O. Tecniche Terapeutiche Extracorporee dell’Università “Sapienza” di Roma e coordinatrice di Mighty Medic – è condividere in modo interdisciplinare competenze diverse nell’ambito delle malattie dismetaboliche. La società non si pone solo obiettivi di ricerca, ma anche di tipo educativo e formativo, perché queste patologie sono ancora poco note e sotto diagnosticate”. Francesco Fuggetta

Claudia Stefanutti

Responsabile della Unità di Tecniche Terapeutiche Extracorporee - Centro afferente alla rete dei Presidi di Riferimento per le Malattie Rare della Regione Lazio - Laboratorio per lo Studio, Diagnosi e Terapia delle Dislipidemie e Prevenzione della Aterosclerosi - Dipartimento di Medicina Molecolare - “Sapienza” Università di Roma.

Coordinator of the Multidisciplinary International Group for Hemapheresis Therapy and MEtabolic DIsturbances Contrast - MIGHTY MEDIC.


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malattie rare

scenari

CITOMEGALOVIRUS IN GRAVIDANZA: SUBDOLO E PERICOLOSO

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l citomegalovirus (CMV) è un agente infettivo molto comune, tanto che il 60-80% degli adulti lo contrae. I sintomi sono simili a quelli dell’influenza e nella maggior parte dei casi l’infezione non ha conseguenze rilevanti. Durante la gravidanza però contrarre questa infezione diventa estremamente rischioso: il virus potrebbe essere trasmesso al feto, che non è dotato delle armi immunitarie per combatterlo. In questo caso si parla di citomegalovirus congenito. Questa infezione può produrre danni di entità variabile al nascituro e riguardare il sistema nervoso centrale, provocare ritardo cognitivo, sordità congenita o cecità. La prima arma contro il CMV è sicuramente la prevenzione: il CMV si trasmette attraverso i fluidi corporei, quindi una corretta igiene (lavarsi le mani, evitare il

contatto con le secrezioni orali, evitare i rapporti sessuali a rischio) può prevenire l’infezione. In particolar modo devono fare attenzione le donne in gravidanza che hanno altri figli di età prescolare e scolare e le donne che lavorano con i bambini (insegnanti, educatrici etc). Si tratta però di un virus estremamente comune, tant’è che in gravidanza sarebbe bene eseguire il test di screening. Consiste in un semplice esame del sangue, attraverso il quale vengono misurati gli anticorpi specifici, detti immunoglobuline. Se alle analisi gli anticorpi IgM risultano positivi l’infezione è in atto. Se gli anticorpi IgG sono negativi siamo in presenza di un’infezione primaria, la più pericolosa. Se anche le IgG sono positive, può trattarsi di un’infezione primaria recente

o una riattivazione o reinfezione. Sarà quindi necessario eseguire il cosiddetto test di avidità che permette di sapere se l’infezione si è avuta nei tre mesi precedenti o se è avvenuta anteriormente: se ci si è ammalate prima della gravidanza i rischi si abbassano all’1% circa. Se è confermata l’infezione primaria in gravidanza, è bene rivolgersi ad una struttura specializzata. Quando si scopre l’infezione primaria nella maggior parte dei casi viene consigliata l’interruzione di gravidanza, senza nemmeno fare i test di approfondimento, anche se solo con l’amniocentesi però si può poi essere sicuri che l’infezione fetale sia in corso. In caso l’infezione materna sia confermata esiste un’opzione terapeutica, rappresentata dalla somministrazione

di immunoglobuline specifiche, che abbattono notevolmente il pericolo di trasmissione del virus al feto (nel caso in cui non abbia ancora contratto il virus), o lo aiutano a combattere la malattia. Le immunoglobuline specifiche sono però ancora considerate una terapia sperimentale, malgrado le ormai numerose pubblicazioni internazionali, e in Italia di rado vengono proposte alla gestante, se non in strutture private e a pagamento. In Italia è attiva l’associazione AntiCito Onlus, che da anni si occupa di far conoscere questa patologia, promuovere la prevenzione, supportare la ricerca scientifica e offrire assistenza alle famiglie che si trovano a dover fronteggiare la malattia. Ilaria Vacca

ACROMEGALIA, I FARMACI ARRIVANO DOVE LA CHIRURGIA NON CE LA FA

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acromegalia è una malattia rara, grave e invalidante caratterizzata dal progressivo ingrossamento delle ossa acrali (della testa, delle mani e dei piedi), delle labbra e di alcuni altri organi con conseguenti alterazioni metaboliche che comportano un rischio per la vita dei pazienti. I pazienti con acromegalia non trattata, infatti, hanno un tasso di mortalità pari a circa il doppio rispetto a quello osservato nella popolazione generale e una riduzione media dell’aspettativa di vita di circa 10 anni.

La patologia è causata da un’ipersecrezione cronica di ormone della crescita (GH), che, in oltre il 95% dei pazienti, ha origine da un tumore: un adenoma ipofisario secernente GH. La diagnosi è spesso tardiva rispetto all’esordio della malattia e gli effetti a lungo termine possono essere irreversibili. Le complicanze possono comprendere diabete, alterazione del metabolismo dei lipidi e ipertensione, con un elevato rischio di infarto e ictus. Un problema particolarmente grave per i pazienti può essere quello delle

fratture vertebrali da osteoporosi: sono a rischio infatti anche quando i valori di densità minerale ossea all’esame della mineralometria ossea computerizzata (MOC) sono solo lievemente ridotti o addirittura normali. Lo ha mostrato nel 2005, per la prima volta nella letteratura internazionale, un gruppo degli endocrinologi guidato da Andrea Giustina, professore ordinario di Endocrinologia all’Università degli Studi di Brescia. Per questa patologia esistono oggi diverse opzioni terapeutiche, in primis la

chirurgia. Nei casi però in cui l’adenoma non sia asportabile, l’opzione farmacologica consiste negli analoghi della somatostatina, un ormone prodotto dall’ipotalamo. Questi farmaci, in circa la metà dei pazienti, raggiungono l’obiettivo di inibire l’ormone della crescita; per l’altra metà sarà disponibile a breve anche in Italia la molecola di nuova generazione pasireotide. Un’ulteriore alternativa è il pegvisomant, che ha un effetto periferico sull’ormone della crescita bloccandone l’azione, ma non ha alcun effetto sull’adenoma. Ilaria Vacca

MIELOMA MULTIPLO: IL SECONDO TUMORE DEL SANGUE PIU’ DIFFUSO

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on il progressivo incremento dell’età media della popolazione nei paesi più industrializzati, anche l’incidenza complessiva delle malattie neoplastiche del sangue sta progressivamente crescendo. Ciò è diretta conseguenza della maggiore suscettibilità a sviluppare tumori nell’anziano, regola cui non si sottraggono le neoplasie ematologiche. I progressi della ricerca hanno tuttavia portato all’introduzione nella pratica clinica di farmaci a bersaglio molecolare che alla maggiore attività antineoplastica associano una minore tossicità e si adattano quindi anche al trattamento dei pazienti più anziani. Questi farmaci hanno pertanto contribuito significativamente allo sviluppo di strategie terapeutiche efficaci e migliorano sensibilmente l’aspettativa di vita, soprattutto nei pazienti più anziani per cui in passato vigeva un certo nichilismo terapeutico. Un tipico esempio è costituito dal mieloma multiplo: è il secondo tumo-

re del sangue più diffuso, dopo il linfoma non-Hodgkin. Questa patologia è dovuta alla trasformazione neoplastica delle plasmacellule, cellule immunitarie che hanno la funzione di produrre anticorpi e difenderci dalle infezioni. Si manifesta con l’avanzare dell’età: due terzi dei casi insorgono dopo i 65 anni. In Italia ogni anno si registrano più di 4.500 nuovi casi, con un’incidenza lievemente maggiore negli uomini rispetto alle donne. Negli ultimi 30 anni per questa malattia il tasso di sopravvivenza dei soggetti con mieloma è molto migliorato, in relazione all’uso di nuovi agenti farmacologici. “Le innovazioni in questo settore iniziano dal primo decennio degli anni 2000 – spiega il Prof. Fabrizio Pane - quando due categorie di farmaci, immunomodulatori e inibitori di proteosoma, sono stati impiegati prima nei trials clinici e poi nella pratica clinica per il trattamento di questi tumori. Siamo passati dunque da una terapia basata unicamente su agenti chemioterapici (quindi dotati

di una tossicità non troppo selettiva nei confronti delle cellule neoplastiche), ai farmaci biologici: molto più tollerabili e efficaci verso lo specifico bersaglio molecolare, le plasmacellule neoplastiche del mieloma.” Il mieloma multiplo è una malattia dell’anziano, paziente per antonomasia poco capace di reggere una chemioterapia aggressiva. “I farmaci biologici sono in grado di impattare significativamente sulle aspettative di vita di questi pazienti. Per questo noi ematologi abbiamo necessità di avere a disposizione nuovi farmaci, soprattutto quelli che rappresentano un’innovazione, perché sono quelli che si traducono in un guadagno in termini di efficacia terapeutica. Riserviamo dunque una grande attenzione verso questo nuovo prodotto che è atteso con ansia proprio per i risultati che ne hanno consentito la registrazione”. Un esempio di tali risultati è rappresentato dall’approvazione da parte di AIFA di pomalidomide, farma-

co biologico per assunzione orale, in associazione a desametasone, per il mieloma multiplo recidivante e refrattario. Il farmaco è disponibile in Italia dal settembre 2015. Ilaria Vacca

Fabrizio Pane

Presidente SIE (Società Italiana di Ematologia), professore Ordinario di Ematologia e direttore dell’Unità Operativa di Ematologia e Trapianti di Midollo all’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli


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LA DISTROFIA DI DUCHENNE: STATO DELL’ARTE E INNOVAZIONI TERAPEUTICHE

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a distrofia muscolare di Duchenne (DMD) è una malattia genetica rara neuromuscolare a trasmissione recessiva legata al cromosoma X, quindi che colpisce solo i maschi, caratterizzata da degenerazione progressiva dei muscoli scheletrici. È la più grave tra le distrofie muscolari: ha un esordio precoce e colpisce progressivamente tutta la muscolatura portando i ragazzi a perdere la deambulazione ed essere costretti sulla sedia a rotelle intorno ai 9/12 anni, a perdere anche l’uso delle braccia e ad aver bisogno di aiuto nella respirazione. La DMD colpisce infatti in modo specifico il tessuto muscolare scheletrico, compresi i muscoli respiratori e cardiaci, ed è caratterizzata da una progressiva distruzione del tessuto muscolare che viene sostituito da tessuto fibroso e adiposo. I primi sintomi della patologia si manifestano intorno ai tre anni: i bambini hanno difficoltà nel correre, salire le scale, saltare. Con il progredire dell’età, le difficoltà motorie diventano evidenti e al momento dell’ingresso nella scuola elementare il quadro clinico è chiaro: l’andatura è oramai anomala e con frequenti cadute, la camminata avviene spesso in punta di piedi. L’approccio terapeutico fino ad ora è stato basato solo sull’uso di corticosteroidi e su una presa in carico multidisciplinare che comprende fisioterapia, chirurgia ortopedica, prevenzione cardiologica e assistenza respiratoria. Tale approccio ha permesso di prolungare la sopravvivenza dei ragazzi dalla prima adolescenza fino ai 25-30 anni. Ma questo non

rappresenta un punto di arrivo; alcune opzioni terapeutiche sono in sviluppo nei laboratori di alcune biotech e nelle strutture sanitarie di tutto il mondo, Italia in primis. In particolare, per alcuni pazienti portatori di una particolare mutazione genetica chiamata ‘nonsenso’, oggi è già disponibile

una specifica terapia in grado di rallentare la progressione della malattia e la conseguente perdita della capacità di camminare. In Italia la principale realtà associativa di riferimento per la DMD è Parent Project Onlus, attiva dal 1996, con il fine di migliorare la qualità della vita dei bambini e

ragazzi affetti da tale patologia, attraverso tre obiettivi primari: informare e sostenere le famiglie, promuovere e finanziare la ricerca scientifica per sconfiggere la patologia, sviluppare un network collaborativo, attivo su tutto il territorio nazionale. Ilaria Vacca


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RIPOSIZIONAMENTO DEI FARMACI: UNO SGUARDO AL FUTURO

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e malattie genetiche rare sono tra le più difficili da diagnosticare. Sono migliaia, ma ancora moltissime quelle senza un nome, che probabilmente interessano solo qualche decina di pazienti in tutto il mondo. “Per le malattie rare c’è ancora grande necessità di diagnosi – spiega il prof. Giuseppe Novelli - quando una famiglia o un paziente sono orfani di diagnosi si verifica quel fenomeno che possiamo definire ‘turismo medico’: intere famiglie che ripetono analisi su analisi, spostandosi da un centro medico all’altro, con costi economici e umani altissimi. Fino a qualche tempo fa purtroppo per una diagnosi genetica c’era bisogno di collezionare i dati di un gran numero di casi simili. Oggi tutto è cambiato: grazie alle nuove tecnologie è possibile ottenere il sequenziamento completo del genoma, con costi relativamente contenuti e tempistiche brevi. ”Il progresso scientifico ha quindi cambiato completamente la storia di questi bambini e di queste famiglie, altrimenti destinati a vivere orfani di diagnosi, orfani di terapia e senza

alcuna risposta alle tantissime domande che quotidianamente logorano chi vive in tali condizioni di incertezza. “Abbiamo finalmente assegnato a queste malattie un nome e un cognome, scoprendo che spesso sono accomunate dallo stesso difetto genetico. In questi casi abbiamo un’arma in più a nostra disposizione, quella che ora viene definita la strategia di riposizionamento dei farmaci.” Si tratta sostanzialmente dell’utilizzo di farmaci ‘vecchi’ per nuovi impieghi terapeutici, una nuova strategia di sviluppo farmacologico e un promettente ambito di ricerca, nel campo della scienza medica traslazionale. Celebre è l’esempio della talidomide, molecola proposta come sedativo poi rivelatasi teratogena. Questo trattamento è stato escluso dal mercato fino a pochi anni fa, quando i ricercatori hanno scoperto la sua azione di inibitore dell’angiogenesi e della sintesi del TNF-alfa nel mieloma multiplo e nel sarcoma di Kaposi, aprendo la strada allo sviluppo di derivati di nuova generazione. Farmaci praticamente scomparsi dal mercato,

perché ritenuti obsoleti o addirittura dannosi e molecole il cui percorso di sviluppo non si è mai concluso, possono essere rilanciati per indicazioni diverse. “Quando c’è una base genetica comune tra patologie abbiamo delle opportunità di azione in più, per questi farmaci come la metformina (utilizzata per il controllo del diabete, dal costo peraltro bassissimo) viene oggi utilizzato per il trattamento del tumore del colon e della mammella. Per le malattie rare questo tipo di vantaggio è più utile che mai: si può arrivare presto al farmaco, senza necessità di sperimentazioni su grandi numeri, a favore dei gruppi geneticamente stratificati. Per una patologia rara ridurre i tempi di sperimentazione di un farmaco a meno di 8 anni è un risultato straordinario: tutto ciò è possibile grazie al sequenziamento del genoma.” Per questo in Italia è nato un progetto, da un’idea della Senatrice Cattaneo, per costruire un programma nazionale, sotto l’egida ministeriale. “Si tratta del ‘Progetto Genoma Italia’, progetto sul quale il Ministero della Salute in-

sintomi: febbre, transaminasi ben sopra i limiti, una colecistite, inappetenza, vomito, diarrea. La bimba a volte non riesce nemmeno a camminare, le infezioni si susseguono e per lei non ci sono i giochi all’aria aperta, l’asilo e gli amichetti, ma camici bianchi, prelievi, biopsie e ricoveri. “Il fegato le si stava ingrossando – dice il papà – i linfonodi aumentavano, poi si sono aggiunte dermatiti, panniculite e infiammazioni. È in quel momento che è cominciata la terapia di immunosoppressione. Sempre nel 2012 si sono accorti che aveva pochissimo tessuto adiposo sottocutaneo, ma in un quadro così complesso non gli è stata data troppa importan-

za”. Lucia però è sempre più magra e la sua pancia è sempre più gonfia: i valori del sangue non sono mai tornati nella norma. Nel 2013 la famiglia fa i bagagli e va al Meyer di Firenze per ricominciare tutte le visite da capo in cerca di una soluzione. Al Meyer riescono a controllare le infiammazioni con dei farmaci approvati per un gruppo di malattie rare chiamate CAPS, che funzionano. Il fegato però continua a crescere, transaminasi e colesterolo sono fuori controllo. Al Meyer indirizzano la famiglia negli Usa, al centro NIH di Bethesda. “Lì ci hanno parlato di un medico di Pisa, il prof. Santini, che stava utilizzando la leptina per curare la lipodistrofia, una malattia che si manifesta con la mancanza di tessuto adiposo sottocutaneo e accumuli di grasso negli organi interni, come in mia figlia. Da Bethesda abbiamo telefonato a Santini, fissato un incontro e siamo tornati in Italia”. Il medico che poteva aiutare Lucia era a pochi chilometri dall’Ospedale in cui aveva passato tanto tempo. “La situazione è apparsa subito grave – racconta il prof. Ferruccio Santini, Responsabile Centro Obesità U.O. Endocrinologia 1 Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana –, la bambina aveva una lipodistrofia generalizzata autoimmune e il fegato pieno di grasso. Volevo usare Metreleptin, un farmaco a base di leptina umana ricombinante, lo avevo già somministrato in altri casi all’interno di un programma di

LUCIA È VENETA, HA 5 ANNI E DUE MALATTIE RARE: DAGLI USA L’HANNO MANDATA A CURARSI IN ITALIA, A PISA

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uando mamma e papà l’hanno portata a casa dopo la nascita Lucia era una bimba come le altre. Ad appena 6 mesi, però, sono arrivate le prime infezioni, una alle vie urinarie e una sottocutanea da streptococco. A Verona, l’ospedale più vicino, sono cominciati gli accertamenti: i globuli bianchi erano bassissimi. “Non sapevano che dire – racconta il papà – e allora siamo andati al Gaslini di Genova. La prima diagnosi è stata di neutropenia autoimmune. Le hanno dato il G-CSF per far alzare i globuli bianchi, lì per lì ha funzionato e ci siamo tranquillizzati”. La serenità però ha breve durata, Lucia dopo poco ha altri

Che cos’è la lipodistrofia generalizzata

“La lipodistrofia generalizzata - spiega il prof. Ferruccio Santini è una malattia ultra rara e che si manifesta in modo eterogeneo. Quello che accomuna i pazienti è la perdita, parziale o totale, del tessuto adiposo sottocutaneo. Le cause possono essere genetiche oppure autoimmuni. Più il paziente perde il ‘grasso’ più la patologia è grave. La scomparsa del tessuto adiposo crea una serie di scompensi metabolici: il grasso circolante, non avendo dove depositarsi, si ‘attacca’ dove può, per lo più al fegato o nei visceri. Il valore dei trigliceridi nel sangue sale e si manifesta dislipidemia, compare il diabete, e in alcuni casi ci possono anche essere delle complicanze cardiache”. Fino ad oggi i medici cercavano di controllare le complicanze, oggi invece c’è un’opzione farmacologica. Negli Usa è già regolarmente in commercio un farmaco specifico, Metreleptin, a base di leptina umana ricombinante, un ormone che normalmente viene prodotto proprio dal tessuto adiposo; per l’Europa si attendono invece le necessarie autorizzazioni.

Giuseppe Novelli

Rettore dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e Ordinario di Genetica medica Direttore dell’UOC di Genetica Medica della stessa Università

vestirà attenzione e 15 milioni di euro in tre anni. I fondi non sono certamente sufficienti, ma i contributi dei privati non tarderanno ad arrivare.” Un progetto quindi dalle potenzialità enormi, così come enormi sono le potenzialità della genomica, intesa come settore di ricerca e sviluppo di tecnologie, sia in termini strettamente medici che di spinta economica. Ilaria Vacca

Ferruccio Santini

Responsabile Centro Obesità U.O. Endocrinologia 1 Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana

uso compassionevole americano. Il programma però nel frattempo era terminato, negli Usa il farmaco era in commercio ma in Italia ancora no. Non sapendo come averlo mi sono rivolto all’azienda farmaceutica, vista l’urgenza sono stati disponibili a darmelo gratuitamente. Ha funzionato”. “Da quando Lucia ha cominciato a usare questo farmaco – dicono i genitori - la pancia è sparita, il fegato si è ridotto, trigliceridi, colesterolo, transaminasi sono tornati nella norma. La lipodistrofia è sotto controllo, rimane ora da affrontare la linfoproliferazione. Stiamo pensando di tornare a Bethesda e vedere se si può tentare una terapia diversa dall’immunosoppressione, anche sperimentale”. “Lucia ormai sa di essere malata – dice la mamma – ci sono periodi in cui tutte le settimane deve fare un prelievo e come tutti i bimbi non ama aghi e punture, ma sa di averne bisogno. Spesso la sorprendo a guardare video sul corpo umano, per lei è normale sentire parlare dei vari organi e vuole capire”. Ilaria Ciancaleoni Bartoli


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Recordati Rare Diseases Foundation: formazione e informazione sulle malattie rare La Recordati Rare Diseases Foundation è stata fondata per colmare alcuni vuoti educazionali, migliorare le conoscenze in questo delicato settore e per riuscire a porre sempre più al centro il paziente

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l numero di malattie rare conosciute e diagnosticate oscilla tra le 7.000 e le 8.000, ma è una cifra che cresce con l’avanzare della scienza e in particolare con i progressi della ricerca genetica. Stiamo dunque parlando non di pochi malati, ma di milioni di persone in Italia e addirittura decine di milioni in tutta Europa. Nonostante gli enormi passi in avanti compiuti nel settore, la formazione e l’informazione in questo settore rappresentano ancora una criticità, siano esse rivolte ai medici che agli stessi pazienti. La Recordati Rare Diseases Foundation è stata fondata proprio per colmare alcuni di questi vuoti educazionali e migliorare le conoscenze in questo delicato settore e per riuscire a porre sempre più al centro il paziente. Ogni anno la fondazione organizza corsi di formazione professionale avanzati e indipendenti, che sono altamente specializzati nell’area delle malattie rare. Sin dal 2000, anno della creazione ufficiale della “Orphan Europe

Academy”, sono stati formati più di 2.000 professionisti in tutto il mondo. Il Prof. Bruno Dallapiccola, Direttore Scientifico Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, è uno dei sei membri del Comitato Scientifico composto da scienziati, clinici e accademici che lavorano nel campo delle malattie rare. Dallapiccola ci ha spiegato nel dettaglio la mission della fondazione: “La Fondazione promuove il miglioramento della diagnosi e della cura delle persone affette da malattie rare. Per raggiungere questo obiettivo, si fa carico di organizzare eventi con un focus specifico sulla formazione. Questa attività non ha molti altri esempi significativi analoghi, data la complessità della tematica, l’elevato livello di competenza richiesti e la limitata esperienza basata spesso su piccoli numeri di pazienti, obiettivi che la Fondazione raggiunge cooptando nei suoi corsi i più autorevoli esperti disponibili a livello europeo e mondiale. La maggior parte dei corsi realizzati e

in programmazione si focalizzano sulle malattie metaboliche. I temi principali oggetto di questi programmi formativi riguardano le modalità con le quali sospettare la presenza di una malattia rara, la sua diagnosi, la presentazione clinica, le migliori strategie terapeutiche, con l’obiettivo ultimo di migliorare il riconoscimento della malattia e la sua presa in carico. In secondo luogo condividere esperienze nel trattamento delle malattie rare, per le quali le esperienze individuali sono limitate. Inoltre, migliorare il dialogo tra le diverse specializzazioni mediche, in particolare nel caso delle malattie mutisistemiche. Infine, rafforzare la collaborazione scientifica e incoraggiare la ricerca nel campo delle malattie rare. In occasione della Giornata delle Malattie Rare, che ricorre quest’anno il 29 febbraio, la Fondazione supporta il primo Incontro tra i pazienti e gli esperti, a Praga, dedicato all’omocistinuria, una patologia rara, multisistemica, che coinvolge gli oc-

Bruno Dallapiccola

Direttore Scientifico Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Genetista, Coordinatore di Orphanet Italia e membro di EUCERD (European Union Committee of Experts on Rare Diseases) per l’Italia

chi, lo scheletro, il sistema nervoso e l’apparato vascolare. A questo evento saranno presenti i pazienti e i clinici provenienti da tutto il mondo, con l’obiettivo di informarsi e informare, ragionando insieme sull’obiettivo del miglioramento diagnostico attraverso lo screening neonatale e una migliore presa in carico dei pazienti affetti dalla patologia. Nel 2016 sono previsti altri due eventi principali, il primo in Asia a Taipei dal 10 al 12 giugno dedicato alle malattie pediatriche neurometaboliche e ai disturbi del movimento, il secondo a Parigi, dal 3 al 5 novembre, che avrà un focus sulle miopatie metaboliche”. Ilaria Vacca

ORPHANET: IL DATABASE DEDICATO A MALATTIE RARE E FARMACI ORFANI Il database è supervisionato da un comitato di gestione, un comitato direttivo, un comitato scientifico internazionale e, in alcuni paesi, da un comitato scientifico nazionale

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rphanet è il più importante database multilingue dedicato alle malattie rare e ai farmaci orfani, ad accesso libero e gratuito. È gestito da un consorzio di 40 paesi, coordinato dal team francese dell’INSERM, Institut National de la Santé et de la Recherche Médicale. Collegandovi a www.orphanet-italia.it potrete quindi accedere a un elenco delle malattie rare con relative classificazioni, un’enciclopedia sul tema in lingua francese e in inglese (progressivamente sarà tradotta in tutte le altre lingue del sito), un elenco dei farmaci orfani con tutte le loro fasi di sviluppo, un elenco dei servizi specialistici presenti nei paesi che fanno parte di Orphanet. Informazioni sui

centri specializzati, sui laboratori di diagnosi, sui progetti di ricerca in corso, sulle sperimentazioni cliniche, sui registri, sui network, sulle piattaforme tecnologiche e sulle associazioni di pazienti. Troverete anche una sezione dedicata alle raccomandazioni per la presa in carico in situazioni d’urgenza e le linee guida sull’utilizzo dell’anestesia (in caso di necessità di interventi chirurgici) per un gran numero di patologie. È inoltre presente una raccolta di studi e articoli tematici: moltissime informazioni di grande interesse per i pazienti, i familiari, i medici di medicina generale e gli specialisti. Come si ottengono dunque tutti questi preziosi dati e che valore hanno? I team nazionali hanno il

compito di raccogliere informazioni sulle consulenze specialistiche, sui laboratori di diagnosi, sulle attività di ricerca in corso e sulle associazioni di pazienti nei rispettivi paesi. Inoltre, si occupano delle traduzioni. La raccolta dei dati e la diffusione delle informazioni si attengono alle disposizioni legali in vigore nei vari Paesi impegnati nel progetto: codice etico professionale, legge sull’elaborazione dati, sui diritti di proprietà intellettuale e qualsiasi altra legge o regolamento applicabile. Le informazioni e i servizi presenti in Orphanet sono conformi ai codici e alle indicazioni emanati da comitati etici ad hoc, riconosciuti a livello nazionale e internazionale, riguardanti il rispetto dei diritti

dei pazienti, il rispetto della confidenzialità delle informazioni, la pratica della medicina on-line e la sicurezza dei network. Il database è supervisionato da un comitato di gestione, un comitato direttivo, un comitato scientifico internazionale e, in alcuni paesi, da un comitato scientifico nazionale. Il coordinatore di Orphanet Italia è il Prof. Bruno Dallapiccola, uno dei più famosi genetisti italiani e Direttore Scientifico Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Tutte le informazioni disponibili al pubblico sono validate da un componente del comitato scientifico prima della pubblicazione on-line. Tutti i team si attengono alle Procedure Operative Standard di Orphanet. Il team coordinatore francese è responsabile della gestione di database e sito web, controllo di qualità, elenco delle malattie rare, classificazioni e dell’edizione dell’enciclopedia. Ilaria Vacca


I.P. - realizzato da Fonema Comunicazione SRL


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