FASHIONTREND MAGAZINE 32

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theultimateissue

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Ph Stratis / Fashion Editor Manos Samartzis / Necklace Frankie Morello

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INDEX 32 INDEX>>10//EDITORIAL>>12// PIATTAFORMAMODA>>14// PRELUDE* WHIMSICAL CLOUD>>16// VISUAL DIALOGUE>>18// SILENCIO>>20// DREAM THE WORLD AWAKE>>22// MUSEUM PAGES>>24// JUNIOR BOYS>>26// TURKEY*>>28//DESIGN>>30//ART>>42// MODE>>54//MUSIC>>66 ROCK ON THE ROCKS>>70// ceremony>>78//pura vida>>86// rodarte>>96// angelos frentzos>>102// Beauty farm>>106// sugar mama>>114// still life>>126// working decor>>134//flood>>138// visual remix>>150// SLEEPING OR WAKING?>>156// dreaming mArilyn>>164// SHOPPING LIST>>174 COLOPHON>>175//SUBSCRIPTION>>176//



EDITORIAL

FASHIONTREND 32 BY FRANCESCA SOFIA CHIAPPONI

HUSH THE NOISE

©



fashioncareer.it

Una mappa delle professioni moda che attraversa tutta la filiera. Una guida ai migliori corsi per realizzare i propri sogni. Un forziere di curricula certificati e specializzati che colleghi aziende e professionisti. Ecco in breve un progetto articolato, fashioncareer.it. Un sistema sofisticato e monitorato, ideato e messo a punto dalle menti di Piattaforma Sistema Formativo Moda PSFM. PerchĂŠ l’eccellenza si alimenta e si valorizza. A map of the fashion profession that covers all areas. A guide to the best courses to start you on your dream career. A strongbox of certified and specialised curricula that connects firms and skilled professionals. In short, the fashioncareer.it. project. A sophisticated, monitored system created and perfected by the brains behind Piattaforma Sistema Formativo Moda PSFM. (Fashion Training System Platform) To nurture and enhance excellence. fashioncareer.it

piattaformamoda.it



by Betty Demonte

Whimsical Cloud by Visual Prostitutes

Viviamo in un tempo che cerca di controllare quasi tutto. Viaggiamo senza perderci, prima di raggiungere una meta spesso l’abbiamo già esplorata virtualmente. Una delle poche sfere a restare misteriosa, imprevedibile e capricciosa è quella delle previsioni meteo. Così difficile, nonostante le tecnologie, avere in mano la situazione anche quando si tratta di un semplice acquazzone in arrivo a movimentare i programmi di un weekend. Partendo da questa riflessione, le artiste Helga Schmid e Kika Espejo hanno creato una nuvola incostante e soprendente, immaginandola come arredo originale. Una scultura formata da sacchetti di plastica contenenti acqua colorata, un artwork che ricorda i designi di un bambino o un pattern di Pollock, da inserire insieme a tutti quegli elementi ispirati alla natura di cui ci circondiamo nelle nostre case. Effetto dripping assicurato, sopra a un letto o un tavolo o un divano. Effetto sopresa comunque garantito, in ogni contesto la si voglia collocare. We live in a time that tries to control everything. We travel without ever losing our way, before we reach a destination we’ve most likely already explored it virtually. But one of the few spheres that remains truly mysterious, unpredictable and capricious is that of weather forecasting. So difficult, despite all our technology, to control the situation when dealing with a simple rainstorm on its way changes the plans of a weekend. With this thought in mind, artists Helga Schmid and Kika Espejo have created a cloud, surprising and unpredictable, imagining it like an original furnishing item. A sculpture made out of plastic bags full of colored water, an artwork that recalls children’s drawings or a pattern from a Pollock painting, to install along with all those other elements inspired by nature with which we surround ourselves in our homes. Dripping effect guaranteed, above a bed, a table or a couch. Surprise effect guaranteed, too, wherever you want to place it. VISUALPROSTITUTES.COM


VISUALPROSTITUTES.COM

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Visual Dialogue

Due artisti affermati, due vite parallele e una collaborazione intensa. A distanza. Senza mai incrociarsi, né influenzarsi ma abbandonandosi alla visione dell’altro. Uno, Issey Miyake, genio della moda giapponese, alla ricerca di uno sguardo interiore per i suoi abiti. L’altro, Irving Penn, maestro della luce, in trepidante attesa di creazioni da esplorare e immortalare. Interlocutori silenziosi. In un ballo dialogico fatto solo di espressione ed estetica, interpretazione e immagine. Un gioco delle parti che tacitamente si esalta nel risultato finale, da vent’anni a questa parte, fino ad approdare a Tokyo nella cornice di 21_21 Design Sight ideata da Tadao Ando per la Fondazione Issey Miyake. Un omaggio al genio e alla creatività, all’universo estetico di 2 maestri dell’espressione visiva. Un’opera in sé. Due artisti affermati, due vite parallele e una collaborazione intensa. A distanza. Senza mai incrociarsi, né influenzarsi ma abbandonandosi alla visione dell’altro. Uno, Issey Miyake, genio della moda giapponese, alla ricerca di uno sguardo interiore per i suoi abiti. L’altro, Irving Penn, maestro della luce, in trepidante attesa di creazioni da esplorare e immortalare. Interlocutori silenziosi. In un ballo dialogico fatto solo di espressione ed estetica, interpretazione e immagine. Un gioco delle parti che tacitamente si esalta nel risultato finale, da vent’anni a questa parte, fino ad approdare a Tokyo nella cornice di 21_21 Design Sight ideata da Tadao Ando per la Fondazione Issey Miyake. Un omaggio al genio e alla creatività, all’universo estetico di 2 maestri dell’espressione visiva. Un’opera in sé.

2121DESIGNSIGHT.JP

21_21 DESIGN SIGHT (Tokyo) September 16, 2011 – April 8, 2012


Ad un mitico indirizzo parigino, vecchia sede di autorevoli giornali di sinistra, L’Humanité e L’Aurore non dimenticando il famoso “J’accuse” di Émile Zola, ha aperto a settembre Silencio pensato e progettato nei minimi dettagli dall’artista multidisciplinare David Lynch. Il suo nome, Silencio ripreso dal film Mullholland Drive, offre già l’illusione del mondo cinematografico di Lynch che in questo caso ha idealizzato la sua visione di club. Il locale dispone di un bar, ristorante, cinema, sala concerti e galleria d’arte. In altre parole, un club di cultura di 2100mq, aperto dalle 18:00 fino a 6:00, ma che fino a mezzanotte è riservato esclusivamente ai membri del club ed i loro ospiti, che possono godere senza limiti l’accesso ai concerti, film e altri spettacoli.


by Roberta Molin Corvo

Silencio

At a legendary Paris address, the old headquarters of the authoritative left-wing newspapers L’Humanité and L’Aurore, not forgetting the famous “J’accuse” by Émile Zola, September saw the opening of Silencio conceived and designed in the tiniest detail by multidisciplinary artist David Lynch. The name, Silencio, taken from the film Mullholland Drive, already offers the illusion of the American director’s cinematic, but this time it’s his vision of the club. A club with bar, restaurant, cinema, concert hall and art gallery. In other words, a 2100 square metre culture club open from 6 to 6, but that up to midnight reserved exclusively for club members and their guests who can enjoy unlimited access to concerts, films and all kinds of other events. SILENCIO 142, rue Montmartre 75002 PARIS - SILENCIO-CLUB.COM

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by Fabiana Gilardi

Dream the world awake Walter Van Beirendonck: Dream the world awake è il titolo della mostra che il 14 settembre ha aperto al MoMu di Anversa per offrire la prima grande del poliedrico stilista belga. Famoso per le inusuali combinazioni di colore e le forti influenze grafiche che connotano le sue creazioni, Walter Van Beirendonck non è, infatti, solo un designer di moda: oltre a disegnare una collezione che porta il suo nome e a collaborare a più riprese con cinema, teatro e musica, egli è, a tutti gli effetti, un artista contemporaneo e multisfaccettato, autore di opere e installazioni che nelle sue mani diventano mezzo di denuncia e critica verso la società. In esse confluiscono arti visuali, echi letterari e influenze etniche utilizzate per rielaborare la realtà. Il risultato è quello di un’immagine tradotta in chiave pop che ripercorre i segni della fantasia consumistica (a partire dai nani da giardino), del fetish e dell’arte primitiva, combinandosi con quelli tipici dell’età fanciullesca (giocattoli, cartoons e giochi circensi). L’anticonformista di Anversa, come il designer viene spesso indicato in un’etichetta che intende identificarlo come singola entità rispetto all’Antwerp Six, il gruppo di stilisti laureatisi nel 1981 presso la Royal Academy of Fine Arts, non è nuovo alle sale museali: nel 2009 la Galerie Polaris di Parigi lo vide protagonista con 2357, la sua prima installazione. Ora il sogno si ripropone in versione allargata, pronto per stupire gli occhi (e le menti) di chi vi entrerà… entro il 19 febbraio 2012. Walter Van Beirendonck: Dream the world awake is the title of the exhibition that on the 14th of September opened at the MoMu in Antwerp, the first big exhibition by this polyhedral Belgian stylist. Famous for the unusual combinations of colors and strong graphic influences that characterize his creations, Walter Van Beirendonck is indeed not just a fashion designer: as well as designing a collection that bears his name and working at different times with cinema, theatre and music, his is, to all effects, a contemporary and multifaceted artist, author of works and installations that in his hands become the means for denouncing and criticizing society. They bring together visual arts, literary echoes and ethnic influences used to rework reality. The result is that of an image translated a pop key that run through the signs of the consumerist fantasy (starting out from garden gnomes), fetish and primitive art, combining with those typical of infancy (toys, cartoons and circus games). The Antwerp anti-conformist, like the designer, is often given a label that tries to identify him as an individual entity with respect to the Antwerp Six, the group of stylists who graduated in 1981 from the Royal Academy of Fine Arts, and is not new to the exhibition halls: in 2009 the Galerie Polaris in Paris saw him as protagonist with 2357, his first installation. Now the dream is restaged in an expanded version, ready to amaze the eyes (and minds) of whoever enters … before the 19t of February 2012.

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by Elena Valdini

THE LAST SAMURAI

C’è un museo aperto ventiquattrore su ventiquattro, trecentosessantacinque giorni l’anno. Un museo come mai ne sono esistiti prima in cui è custodita la storia dell’espressione umana, dai dipinti rupestri a oggi. Oltre tre millenni di arte raccontati in circa tremila fra i più significativi capolavori, e tutto questo in un unico luogo. Un libro. Il libro. “The art museum”, vale a dire un migliaio di grandi (anche nel formato 420X320 mm) pagine che traboccano di opere e alla cui visita ci accompagnano i più illustri direttori di musei, studiosi d’arte e archeologi. Un giro del mondo dell’arte in venticinque “gallerie”, quattrocentocinquanta “stanze” in cui ammirare non solo le opere custodite in seicentocinquanta diverse istituzioni di ogni continente, ma anche quelle conservate nelle collezioni private. «The art museum è il progetto più ambizioso cui Phaidon abbia mai lavorato» dice l’editore Richard Schlagman, un volume che ha richiesto dieci anni di lavoro e la collaborazione internazionale di cento esperti, un progetto ideato e seguito in tutto il suo sviluppo da Amanda Renshaw, direttore editoriale del settore arte della prestigiosa casa editrice londinese. La struttura dell’opera – cartonato, in libreria da settembre in edizione inglese – rispecchia quella di un vero e proprio museo: ogni stanza presenta pannelli esplicativi che illustrano il tema o la cultura esposti, mentre ogni opera è accompagnata dalla didascalia di riferimento. Una collezione che include dipinti, sculture, affreschi, fotografie e installazioni, opere di and art, video, xilografie, gioielli, ceramiche, vetrate, arazzi, mosaici, e manoscritti miniati. In alcune gallerie, così come una mostra, è costruito un percorso per osservare più da vicino uno specifico tema o periodo. Un volume che ha l’aspettativa di diventare un imprescindibile libro d’arte, con gallerie dedicate anche all’arte giapponese, australiana, cinese, coreana, africana e asiatica. Nella galleria del Rinascimento italiano, una doppia pagina è dedicata alla Gioconda, ma – sempre in questa sezione – troviamo la riproduzione a piena pagina anche delle meno note Dama con l’ermellino e Ginevra de Benci. Un percorso monografico che è possibile visitare è, per esempio, quello dedicato a Picasso - Picassos’s Women, con una selezione di ritratti delle sue compagne – mentre la galleria dedicata alla Cina raccoglie dipinti della Dinastia Ming, oltre a una mostra dedicata all’armata di terracotta. Un viaggio dagli innumerevoli stimoli, che possiamo fare quando vogliamo. Alle tre del mattino di un qualsiasi giorno dell’anno, la notte di Natale, quando saremo in casa bloccati dal gelo o da quell’insopportabile afa tropicale. Oppure a puntate, mentre aspettiamo che maturi un qualsiasi tempo di cottura. Giorno dopo giorno, anche per scegliere nuovi e paralleli viaggi da fare. There’ a gallery open twenty-four/seven, three hundred and sixty-five days a year. A gallery like none before that contains the history of human expression, from cave drawings to the present day. More than three millennia of art narrated by around three thousand of the most significant masterpieces, and all this in a single place. A book. The book. “The art museum”, a thousand big pages (some even in 420x320 mm format) overflowing with artworks to view in the company of some of the most celebrated gallery directors, art historians and archaeologists. A trip around the world through twenty-five “galleries” and four hundred and fifty “rooms” where you can admire not only the works kept in six hundred and fifty different institutions in every continent, but also those kept in numerous private collections. «The art museum is the most ambitious project that Phaidon has ever embarked on» says the editor Richard Schlagman. It’s a volume that demanded ten years of work and the international collaboration of a hundred experts, a project conceived and developed entirely by Amanda Renshaw, chief editor of the art sector of this prestigious London based publisher. The book – hardcover, with the English edition released in September – is structured just like a real art gallery: each room has explanatory panels illustrating the themes or cultures exhibited, and each work is accompanied by captions. A collection that includes paintings, sculptures, frescoes, photographs and illustrations, video, woodcuts, jewellery, ceramics, stained glass, tapestries, mosaics and illuminated manuscripts. In some of the galleries there are routes just like in a real exhibition, to bring you closer to specific themes or periods. A volume that has expectations of becoming the essential art book, with galleries dedicated even to Japanese, Australian, Chinese, African and Asian art. In the Italian Renaissance gallery, there’s a double page dedicated to the Mona Lisa, but – still in the same section – we find full page reproductions of the lesser known Lady with and Ermine and the portrait of Ginevra de Benci. There are also monographic routes to visit, like the one dedicated to Picasso – Picasso’s Women, with a selection of portraits of his mistresses– while the Chinese gallery brings together paintings from the Ming Dynasty, as well as an exhibition dedicated to the terracotta army.A journey full of stimuli, which we can take whenever we like. At three in the morning any day of the year, on Christmas night when we’re stuck indoors in the freezing winter or the sultry heat of the tropics. Or in instalments, day by day choosing new and parallel journeys.


Museum Pages Bull’s Head Rython c.1600-1450 BC; steatite, gilded wood, shell, rock crystal and jasper H (including horns): 35.6 cm / 1 ft 2 in Šakg-images/De Agostini Picture Library

The Art Museum conceived and edited by Phaidon Editors, Phaidon 2011 phaidon.com

PHAIDON.COM

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by Tommaso Toma

Junior Boys Può ancora il synth pop essere un genere autentico? Difficile, ma esempi di pura creatività e di composizioni brillanti, senza l’abuso di facili clichè, sono ancora possibili. Da circa otto anni è in circolazione un duo canadese: Junior Boys, disco dopo disco, sono riusciti a ridare nuova linfa all’oramai corrotto mondo del pop eletrronico. Jeremy Greenspan è la mente del gruppo e ad accompagnarlo c’è un ottimo strumentista/dj, Matthew Didemus. Insieme sono cresciuti nel distretto di Hamilton, Ontario, isolati dal mondo che conta, unica città musicale di riferimento, Detroit a 3 ore di auto. Svela Jeremy del suo passato: «Da ragazzo, per trovare lavoro in un rinomato studio di registrazione, mi sono inventato un ricco CV dove segnalavo un tirocinio con Brian Eno, approfittando del fatto che a 16 anni avevo vissuto per un certo periodo in Inghilterra... Mi presero e per fortuna mi diedi da fare moltissimo realizzando cose stupefacenti, prima che il boss si accorgesse del mio finto CV». A volte la sfrontatezza serve, che è necessaria anche per dare forma a una personalissima estetica musicale. I Junior Boys esordirono alla fine del 2007 con l’eccellente Last Exit, un attento e coraggioso disco di pop dove si incrociavano con naturalezza il soul bianco di Hall & Oates, il jazz annacquato degli Steely Dan e la musica electro pop dei Depeche Mode. «Sono tutti artisti che da sempre ascoltiamo – ci spiega il duo– ma ultimamente abbiamo provato attrazione per le prime cose di Carole King, il dubstep londinese e i dischi di Neil Young, soprattutto quelli dove lui ha usato il vocoder». Questi sono alcuni buoni indizi per entrare nel mondo del nuovissimo album della band, il loro quarto: It’s All True, uscito sempre per la Domino Records e un titolo rubato da un celebre film di Orson Welles. La voce di Jeremy è ancora più soul del previsto, «qualcuno mi ha detto che sembro imitare gli Wham!», ci scherza su Jeremy. Ci sono anche insolite citazioni dal sapore esotico: «Ho lavorato al disco mentre ero a Shanghai, dove mia sorella scultrice espone all’Expo (la cover di It’s All True è un particolare di un’opera esposta proprio dalla sorella di Greenspan n.d.r) e mi sono fatto influenzare dalle canzonette pop che uscivano dalla radio». Ancora una volta i Junior Boys hanno avuto coraggio, e hanno vinto la loro sfida con la pop music, rendendola ancora per una volta qualcosa di terribilmente attraente e stimolante. Can synth pop still be considered an authentic genre? Not easy, but some examples of pure creativity and brilliant composition, without abusing easy clichés, are still possible. For about eight years now there’s been a Canadian duo around: Junior Boys, disk after disk they’ve managed to breathe new life into the now pretty much corrupted world of electronic pop. Jeremy Greenspan is the mind of the group and accompanying him is a great musician/DJ, Matthew Didemus. They grew up together in the Hamilton district of Ontario, isolated from everything that counts in the world, with the only musical city 3 hours away by car. Jeremy tells us something about his past: «when I was starting out, to get a job in a famous studio I invented a rich CV where I said I’d done an apprenticeship with Brian Eno, taking advantage of the fact I’d lived in England for a while when I was 16... Luckily enough they took me on and gave me the chance to do some really fantastic things, before my boss found out about the fake CV». Sometimes it’s useful to have the nerve, and you really need it if you want to give shape to your own personal musical aesthetic. The junior boys debuted in late 2007 with the excellent Last Exit, and extremely bold pop record where the white soul of Hall & Oates, the watery jazz of Steely Dan and the electro pop of Depeche Mode mix in an extraordinarily natural way. «They’re the artists we’ve always followed – the duo explains – but recently we’re started to like some early Carole King, London dubstep and a lot of Neil Young’s music, especially the stuff he uses a vocoder on ». This is all you need to know to get into their fourth and latest album: It’s All True, released by Domino Records with its title taken from a celebrated Orson Welles film. Jeremy’s voice is even more soul than before, «someone said it sounds like I’m imitating Wham! », jokes Jeremy. The album also has some unusual exotic citations: «I worked on the album while I was in Shanghai, where my sister, who’s a sculptress, was exhibiting at the Expo (the cover of It’s All True is a detail from work exhibited by Greenspan’s sister – ed)) and I think I was influenced by the poppy tunes I kept hearing on the radio». Once again the Junior Boys showed they had the nerve and won their challenge with pop music, managing to turn it into back into something terribly attractive and stimulating. 26





HERITAGE AND FUTURE the contemporary mark of Turk-ish design

by Ali Filippini

IN THE PROJECTS OF THE BEST TURKISH DESIGNERS THERE’S THE OTTOMAN TRADITION REVISITED WITH A DESIGNER SLANT, A LITTLE IRONY AND LOTS OF FUTURE. Ci sono due anime del design turco: quella dei “local” che vivono e operano perlopiù ad Istanbul pur intrattenendo relazioni con aziende internazionali e quella dei “global” che hanno studiato o iniziato a lavorare fuori dal paese a cavallo tra due continenti (preferendo spesso Milano come hanno fatto Inci Mutlu, Defne Koz, Sezgin Aksu ma anche Parigi come Koray Ozgen o New York nei casi di Birsel + Seck e Mirzat Koc). Per far meglio comprendere questa categorizzazione, in un libro che li raccontava si usavano le espressioni turkish per i primi e turks per i secondi. Stilisticamente parlando LE RADICI DEI

TURKISH SAREBBERO DA RINTRACCIARE NELLA TRADIZIONE DEL MODERNO (IL PAESE INIZIA NEI TARDI CINQUANTA AD APRIRE LE SUE SCUOLE E A FORMARE DESIGNER), QUINDI NELLA PREDILEZIONE PER FORME ORGANICHE O GEOMETRICHE E NEL RECUPERO PIÙ O MENO EVIDENTE A SECONDA DEI CASI E DELLE POETICHE DI SEGNI LEGATI AL PASSATO. IL SECONDO GRUPPO ACCOGLIE MAGGIORMENTE LA CONTAMINAZIONE DEI LINGUAGGI, DELL’APPORTO TECNOLOGICO, DELL’ESPRESSIVITÀ DEI MATERIALI, A SECONDA DELLE DIVERSE CULTURE IN CUI CI SI TROVA A LAVO-


RARE.

In entrambi i casi ciò che emerge chiaramente è il riferimento alla tradizione, agli archetipi della cultura materiale legata agli stili di vita, le abitudini, i costumi popolari. Accade soprattutto nei progetti di alcuni designer che si distinguono per una ripresa di segnali legati alla cultura artigianale, non solo per i processi o materiali usati ma anche per la rilettura delle forme degli oggetti. Nel corso degli anni cinquanta dopo la guerra in Turchia si pensava a ricostruire e persino la grande tradizione dell’arte legata all’impero ottomano non veniva considerata, neanche dal design. Ora accade esattamente il contrario e questo patrimonio è come se venisse rivelato dai progettisti che disegnano narghilè, bicchieri per il tè, tappeti e persino l’iconico fez interpretando la cultura turca con gli strumenti del design. L’enfant terrible del design turco, l’under quaranta Erdem Akan, molto attivo con progetti diversi, agli inizi della sua attività fonda maybedesign, una società che edita e vende prodotti con il medesimo nome basata su due studi: uno a Instanbul e l’altro a Vienna. La prima collezione si chiamava “reincarnation” e si sviluppava a partire dal recupero di vecchi oggetti seguita poi da un’altra, “turkish reforms”, dedicata ad esplorare riti e tradizioni specifiche della cultura turca.

AGGANCIARSI ALLA TRADIZIONE È QUELLO CHE FA ANCHE LA DESIGNER SEMA TOPALOGLU , TRA I NUOVI NOMI PIÙ IN VISTA, CHE CON I SUOI MOBILI E OGGETTI IN MATERIALI “NOBILI” COME IL LEGNO O IL METALLO RENDE VIVO E CONTEMPORANEO UN MONDO ARTIGIANALE FATTO DI QUALITÀ E DETTAGLI.

Oggi in Turchia c’è molto interesse per il design e la cosa è certamente predisposta dal risveglio dell’economia che ha favorito nel tempo gli spostamenti, come quello dei giovani che decidono di andare all’estero a studiare per formarsi dopo l’università. Le aziende all’inizio degli anni ottanta si basavano su quello che vedevano fare in giro dalle altre produzioni, oggi invece investono nel design nazionale o chiamano noti progettisti a collaborare da fuori. (Si pensa all’export, si cercano mercati esterni e le stesse aziende stanno imparando molto dai progettisti stranieri.) Ne sono dimostrazionE alcuni nomi come quelli dell’azienda di mobili per ufficio Nurus (promotrice qualche anno fa della mostra Turkish 31


Sema Topaloğlu, “O” hanger unit, Sema Topaloğlu



Touch in Design che per la prima volta cercava di fotografare lo stato dell’arte del design turco); Derin Design il cui fondatore Aziz Sarıyer è tra i nomi più noti in Turchia e all’estero; l’azienda di accessori per il bagno Vitra che ha chiamato big designer come Ross Lovegrove per disegnare le prime collezioni; Gaia e Gino, marchio cool fondato da Gaye Çevikel che in pochi anni ha messo insieme una collezione con i nomi più interessanti del design internazionale.

A FARE DA SPONDA AL RISVEGLIO DEL DESIGN DAL 2005 SI TIENE AD INSTANBUL LA DESIGN WEEK CHE SI È AL SUO INIZIO IMPOSSESSATA DEL VECCHIO PONTE DI GALATA (RIBATTEZZATO GALATA BRIDGE) RECUPERATO COME UN READY MADE ARCHITETTONICO, POI SEDE DELL’ANNUALE MANIFESTAZIONE CHE HA PORTATO IN CITTÀ MOSTRE DIVERSE (quella in corso è dedica-

ta al design olandese) e crea occasioni di incontro tra le diverse comunità del design attraendo i media internazionali. Quest’ultimo appuntamento sconta forse ancora la mancanza delle aziende di settore internazionali, ma si sente nell’aria il fermento, la vitalità degli operatori e l’attenzione del mondo politico e delle istituzioni locali. Il territorio del “progetto” ha diverse facce. Si va da quella più trasversale di grandi studi come Autoban (di Seyhan Özdemir e Sefer Çağlar) che spazia a tuttotondo dall’architettura all’arredo o di Kilit Taşi studio (Kunter Şekercioğlu e Taner Şekercioğlu) molto attivo sul versante product. Altri designer più giovani si sono formati in anni recenti dalle università locali, come il caso di Nazar Sigaher, che si sono affermati soprattutto lavorando per importanti local brand quali Nusus e Derin. Altri nomi sono emersi frequentando i grandi appuntamenti fieristici internazionali come successo a Ömer Ünal e Alper Böler di Unal&Boler Studio (autori di un’interessante libreria in filo metallico tutta sospesa che li ha resi noti ai più) che anche nei loro lavori ricorrono spesso a riferimenti dalla cultura turca o a Aykut Erol, animatore di un paio di edizioni della Istanbul Design Week con le sue stravaganti creazioni.

TRA LE NUOVE LEVE TROVIAMO SERHAN GURKAN, CHE AMA RACCONTARE ATTRAVERSO I SUOI OGGETTI UN PO’ SPERIMENTALI STORIE E OSSESSIONI PERSONALI. È TRA I NOMI NUOVI EMERSI NEGLI ULTIMI ANNI E DICE DI SE STESSO: “MI PIACE PROGETTARE ED ESSE-


RE LIBERO, CORAGGIOSO, CONCRETO”. Lo ha dimostra-

to nella serie cosiddetta Fetish Collection con pezzi scultorei dalle linee dure, spezzate, dirompenti, che creano una sorta di tensione con l‘intorno e il loro utilizzatore. Il design turco avrà ancora molto da dire nei prossimi anni, c’è da scommetterci. Turkish design has two souls: the “local” one that lives and works mainly in Istanbul but nevertheless engaged in relations with International level companies, and the “global” one that studied or started working outside the country, straddling two continents (and often with a preference for Milan, like it was for Inci Mutlu, Defne Koz, Sezgin Aksu, or Paris like for Koray Ozgen, or even New York, like for Birsel + Seck and Mirzat Koc). To get an idea of the real meaning of this categorization, a book that talks about exactly this tells us that the former are described as “Turkish”, whereas the latter are usually referred to as “Turks”. Stylistically speaking, THE ROOTS OF “TURKISH” ARE TO BE

FOUND IN THE TRADITION OF THE MODERN ( WHEN, IN THE LATE ‘FIFTIES THE COUNTRY BEGAN TO OPEN ITS SCHOOLS AND TO TRAIN DESIGNERS), WITH ITS PREDILECTION FOR ORGANIC OR GEOMETRIC FORMS AND IN THE MORE OR LESS (ACCORDING TO CASE) EVIDENT RECOVERY OF THE POETICS OF SIGNS LEFT BY THE PAST, WHEREAS THOSE OF THE “TURKS” ARE MORE OPEN TO LINGUISTIC CONTAMINATION, NEW TECHNOLOGY, AND THE EXPRESSIVENESS OF MATERIALS THAT VARIES ACCORDING TO THE CULTURE THEY’RE WORKING IN.

In both cases what clearly emerges is the reference to tradition, the archetypes of material culture linked with lifestyles, habits and popular custom. This is apparent in the projects of a number of designers who stand out for their use of signs linked with artisan culture, not simply in terms of processes or materials, but for their way of reinterpreting the forms of the artifacts. In the post-war years and through the ‘fifties Turkey was more focused on reconstruction, as so even the great tradition of art associated with the Ottoman Empire was no longer taken into due consideration, not even by the designers. What’s happening now is the exact opposite, and it’s like this heritage is being rediscove-


Autoban, Pebble Cloud



red by designers designing hookah pipes, tea services, carpets and even the iconic fez, reinterpreting Turkish culture with the tools of design. At the start of his career the enfant terrible of Turkish design, the under-forty Erdem Akan, an extremely prolific designer, founded maybedesign, a company that edits and sells products with the same brand name through two studios, one in Istanbul, the other in Vienna. The first collection was entitled “reincarnation” with its roots in the recovery of old objects, followed by another, “Turkish reforms”, dedicated to the exploration of rituals and traditions specific to the Turkish culture.

LIKEWISE LATCHED ON TO TRADITION IS DESIGNER SEMA TOPALOGLU, ONE OF THE EMERGING NEW NAMES WHO WITH HIS FURNITURE AND ARTIFACTS IN “NOBLE” MATERIALS LIKE WOOD OR METAL TURNS AN ARTISAN WORLD MADE OF QUALIT Y AND DETAIL INTO SOMETHING LIVING AND CONTEMPORARY.

In Turkey today there’s great interest in design, and this is certain to have positive repercussions for the economy that in the past tended to lose its young talent to foreign attractions after university. In the early ‘eighties design companies based their projects on what they saw in foreign production, but today they’re investing in domestic design and even calling in famous designers to work on domestic projects, and giving more importance to export, searching for outlets on foreign markets while learning a great deal from foreign designers. A number of names are a clear demonstration of this, like the office furniture design firm Nurus (which a few years ago sponsored the exhibition Turkish Touch in Design that for the first time took a snapshot of the state of the art of Turkish design). Then there’s Derin Design, whose founder Aziz Sarıyer is one of the best known designers in Turkey and abroad, the bathroom fittings company Vitra that called in big designers like Ross Lovegrove for design its first collections, and Gaia and Gino, the truly cool brand founded by Gaye Çevikel that in just a few years put together a collection with some of the most interesting names in international design.

TO BACK THIS REAWAKENING OF DESIGN, SINCE 2005 ISTANBUL HAS BEEN HOSTING A DESIGN WEEK, WHICH AT ITS OUTSET TOOK OVER THE OLD GALATA BRIDGE RECOVERED THROUGH A READY-MADE ARCHITECTO-


NIC PROJECT, THAT HAS SINCE BECOME THE VENUE FOR AN ANNUAL EVENT THAT BRINGS A WIDE RANGE OF EXHIBITIONS TO THE CIT Y (this year’s edition is dedi-

cated to Dutch design) creating opportunities for meetings between the various design communities and attracting the international media. Though the event still lacks truly international companies, there’s nevertheless ferment in the air and the vitality of the operators and the attention of both the political world and local institutions is tangible. The “projectual” territory is multifaceted, ranging from the most horizontal of big studios like Autoban (Seyhan Özdemir and Sefer Çağlar) dealing with everything from architecture to furnishing, or the Kilit Taşi studio (Kunter Şekercioğlu and Taner Şekercioğlu) that’s extremely active on the ‘product’ front. In recent years other younger designers have trained at local universities, like Nazar Sigaher, and have affirmed themselves working for important local brands like Nusus and Derin. Other names have emerged after their presence at big International fairs, like in the case of Ömer Ünal and Alper Böler from the Unal&Boler Studio (creators of a very interesting totally suspended bookcase made from metal wire that really got them noticed) who in their own works also draw on Turkish culture, not to mention Aykut Erol, who was the life and soul of a couple of editions of the Istanbul Design Week with his extravagant creations.

AMONG THE NEW GENERATION WE FIND SERHAN GURKAN, WHO LOVES TO EXPRESS PERSONAL STORIES AND OBSESSIONS THROUGH HIS SOMEWHAT EXPERIMENTAL PROJECTS. HE EMERGED IN RECENT YEARS AND ABOUT HIMSELF HE SAYS: “I LOVE DESIGNING AND BEING FREE, BOLD AND CONCRETE”. He

gave a demonstration of this in his new Fetish Collection through his ground-breaking sculptural pieces with hard-lines that create a sort of tension with their surroundings and their users. We’re betting that Turkish design will certainly have a lot more to say in the future.


Autoban, Nest Lounge Chair, De La Espada


WWW

designers AYKUTEROL.COM AUTOBAN212.COM DERINDESIGN.COM KILITTASI.COM SERHANGURKAN.COM SEMATOPALOGLU.COM ALPERBOLER.COM ERDEMAKAN.COM DEFNEKOZ.COM INCIMUTLU.COM MIRZATKOC.COM OZGEN.FR MAYBEDESIGN.AT AKSUSUARDI.COM organisations_showrooms_galleries_museums ISTANBULDESIGNWEEK.COM ISTANBULDESIGNCENTER.ORG ISTANBULMODERN.ORG HAAZ.INFO ADDRESISTANBUL.COM schools MIMARSINANARTS.COM MARMARA.EDU.TR BILKENT.EDU.TR


GATEWAY TO ART

by Santa Nastro

THEY ARE TWENT Y, THIRT Y YEARS OLD. THEY TALK POLITICS, SOCIET Y AND HERITAGE, THEY SEARCH THEIR SOULS AND OUTSIDE THEIR COUNTRY, TO LOOK FOR ALLIANCES AND EMBRACE NEW WORLDS. THEY ARE THE NEW ARTISTS OF TURKEY. Passeggiare per Istiklâl Caddesi, a Istanbul, e pensare di essere a Chelsea. Può succedere, quando, salendo le scale, tra un piano e l’altro trovi solo gallerie d’arte. O quando, andando per vetrine, scopri che tra un negozio di design e uno showroom di moda c’è uno spazio no-profit con una batteria impressionante di giovani artisti. Frequentato magari da un pubblico giovane, folto, numeroso. Perchè la Turchia negli ultimi anni, ha saputo produrre UNA

SCENA CONTEMPORANEA SEMPRE PIÙ INTERESSANTE, AGGUERRITA, CON LA FORTE VOLONTÀ DI USCIRE DALL’ISOLAMENTO E DIRE LA PROPRIA. A TUTTI.

Nel frattempo Istanbul promuove da circa ventiquattro anni una delle Biennali più importanti al mondo (Istanbul Biennial) e ha lanciato da sei anni una fiera internazionale d’arte contemporanea (Contemporary Istanbul). Si è, inoltre, dotata di un circuito di spazi espositivi davvero competitivo, vanta importanti curatori internazionali (da Beral Madra a Vasif Kortun), fino a diventare nel 2010 Capitale europea della cultura. Ma cosa rende la scena turca originale, appassionante, unica al mondo? Abbiamo provato a dirlo in tre parole.DONNE Sono molte, sempre di più le signore che fanno arte in Turchia. INTELLIGENTI, POCO DISPOSTE AL

COMPROMESSO, DESIDEROSE DI PARLARE DI SÉ, DI RACCONTARE IL PROPRIO MONDO, ANCHE TALVOLTA


DI METTERSI IN MOSTRA. Come Deniz Gül, classe 1982, che

utilizza fotografia, video e testi per raccontare i meccanismi di costruzione dell’identità. I temi del controllo e le relazioni interpersonali sono inoltre fondamentali nella ricerca di questa giovanissima. Più interessata alla relazione tra immagine e linguaggio è la midcareer Nancy Atakan, tra le più importanti della sua generazione, nata a New York, oggi residente a Istanbul. Implicazioni sociologiche e psicologiche e le tematiche di gender affiorano sulle superficie delle sue stampe digitali, come in Nowhere (2002) che ci insegna che tutto è in costante mutamento, che la stasi non esiste, e che anche quando ci sentiamo protetti e al sicuro, il pericolo è in agguato. O come in Father Knows Best (2011), una serie di frame tratti dallo show televisivo omonimo (USA, 1957) che ci dimostra che i programmi televisivi non sono mai innocenti e che la parola, come diceva Gorgia, è un grande dominatore che con un corpo piccolissimo e invisibile sa compiere cose più che divine. Riesce, infatti, a calmare la paura, a eliminare il dolore, a suscitare la gioia e ad aumentare la pietà. CITTA’ La città ricopre un ruolo protagonista nelle opere degli artisti turchi. A VOLTE È UN MODO

PER RACCONTARSI, ALTRE HA UN RETROGUSTO POLITICO. Pensiamo a Sitki Kösemen, architetto, che attraverso la

fotografia e il video, immortala come ad occhi chiusi i luoghi più nascosti della città che ama, Istanbul, studiandone le trasformazioni, inquadrandone i dettagli che aprono la mente e rimandano a realtà più grandi, descrivendone la vita, la cultura, la tradizione, con lo sguardo rivolto al futuro grazie alle micro storie. Quelle che nessuno racconta, quelle che nessuno nota. LA CITTÀ NON È

SOLO UN LUOGO DOVE LAVORARE, VIVERE, INNAMORARSI, MA ANCHE UNO SPAZIO REMOTO, UNA META IRRAGGIUNGIBILE. Ce lo dice Silva Bingaz, nata nella Turchia

orientale da una famiglia armena. In Where, if not at home? Silva racconta il tema dell’esilio, attraverso la storia di una rifugiata irachena, sulla quale ha lavorato per ben tre anni. NET WORKING Comunicare, fare “rete”, raccontarsi sembra essere uno dei tratti distintivi dei giovani artisti turchi. Come se sentissero di appartenere ancora ad una sfera marginale. Come se avessero bisogno, non solo nella vita di tutti i giorni, ma anche nell’arte, il bisogno di costruire dei ponti. Non solo tra l’Asia e l’Europa, ma anche tra la Turchia e il resto del mondo. Pensiamo a Burak Arikan, nato nel 1976, residente tra New York e 43


Sitki Kosemen series “Invisible� diasec prints 120 x 120 cm and 120 x 150 cm, courtesy of the artist



Istanbul, che lavora, con un approccio politico sulle nozioni di ambiente, di sostenibilità economica e di networking culturale. EM-

BLEMATICI SONO A QUESTO PROPOSITO NET WORK OF FOUNDATION E NET WORK OF ARTISTS, DI RECENTISSIMA CONCEZIONE. OPPURE IL PROGETTO TRANSIT DI ALI TAPTIK che, coinvolgendo persone (colleghi, gente

comune, studiosi) provenienti da cinque città marinare (Napoli, Istanbul, Liverpool, Gdansk, Marsiglia), forse avvicinate da uno “spirito”comune, dà vita ad un pensiero sulle tematiche della migrazione e dell’identità culturale. Non bisogna inoltre dimenticare l’importanza che i blog ricoprono nelle vite di questi giovanissimi artisti. Ali Taptik, ad esempio, ne ha uno, dove racconta le sue opere, il suo lavoro, le sue esperienze. E questo vale anche per Sümer Sayın, artista e violinista classe 1985, come pure per Volkan Aslan e Nalan Yırtmaç. Per un aggiornamento sistematico e quotidiano su cosa “bolle in pentola”. Strolling through istiklâl caddesi, in istanbul and thinking you’re in chelsea. That can happen, especially when going upstairs and downstairs all you find between one floor and another are art galleries. Or when out window shopping, between a design shop and a fashion showroom there’s a no-profit space fielding an impressive battery of young artists in streets frequented by a young and very numerous public. Because turkey in recent years has had the wherewithal to produce A CONTEMPORARY SCENE THAT’S

GAINING INTEREST ALL THE TIME, COMBATIVE WITH A STRONG DESIRE TO ESCAPE ITS ISOLATION AND START BEING HEARD. BY EVERYONE. In the meantime istanbul has

been hosting one of the world’s most relevant biennials (the istanbul biennial)for the last twenty-four years, and an international contemporary art fair for the last six (the istanbul contemporary). The city has also furnished itself with an exhibition circuit that’s truly competitive, boasting important international curators (from beral madra to vasif kortun), and in 2010 was elected european capital of culture. But what makes the turkish scene so original, passionate and unique to the world? Here’s our attempt to put it in three words. WOMEN So many women, and so many more of them turning to art in turkey. INTELLIGENT, UNCOMPROMISING

WOMEN WITH A BURNING DESIRE TO TALK ABOUT THEMSELVES, THEIR WORLDS AND TO EXHIBIT. Like deniz gül, class of 1982, who uses photography, video and text to


narrate the mechanisms of the construction of identity. The subjects of control and interpersonal relationships are at the core of this very young artist’s search for expression, whereas the midcareer artist nancy atakan (one of the most important of her generation, born in new york and now residing in istanbul) is more interested in the relationship between image and language. Sociological and psychological implications, and the themes of gender come to the surface of her digital prints, like in nowhere (2002) that teaches us that everything is in a state of perpetual change, that stasis doesn’t exist, and that even when we feel safe and protected, dangers are lurking just around the corner. Or like in father knows best (2011), a series of frames taken from the tv show with the same title (usa, 1957) that shows how tv shows are never innocuous and that the word, as georgia used to say, is a great dominator that even with a tiny, invisible body is capable of achieving things beyond the divine. Indeed, it manages to calm fear, eliminate pain, incite joy and augment pity. CIT Y the city is the protagonist in the works of turkish artists. AT TIMES IT’S A MEANS OF PERSONAL

EXPRESSION, AT OTHERS IT HAS A POLITICAL AFTERTASTE. This is the case of sitki kösemen, an architect that through

photography and video immortalises the most hidden spaces of the city he loves, istanbul, with eyes wide shut, studying the transformations, focusing on details that open the mind and lead to broader realities, describing life, culture, tradition, with a gaze that looks to the future through these micro-stories. The things that no-one talks about, that no-one notices. For silva bingaz, born in eastern turkey into an armenian family, THE CIT Y ISN’T JUST A PLACE IN

WHICH TO WORK, LIVE, FALL IN LOVE, BUT IS ALSO A REMOTE SPACE, AN UNREACHABLE DESTINATION.

In where, if not at home? Silva talks to us about exile, through the story of an iraqi refugee on which she’s been working for over three years. NET WORKING communicating, building “networks”, talking about themselves, seems to be one of the distinctive traits of young turkish artists. As if they still feel trapped in a marginal sphere. As if they felt the need, not only in everyday life but also in art, to build bridges. Not only between asia and europe, but also between turkey and the rest of the world. Like burak arikan, born in 1976, resident in new york and istanbul, who works with a political approach on the notions of environment, economic sustainability and cultural networking. T WO EMBLE-


Sitki Kosemen series “Invisible� diasec prints 120 x 120 cm and 120 x 150 cm, courtesy of the artist



Nancy Atakan, How much?, 2 digital prints, 50 x 70 com, 2003, courtesy of the artist



Nancy Atakan, How Much?, 2 digital prints, 50 x 70 cm, 2003, courtesy of the artist


MATIC WORKS ON THESE THEMES ARE NET WORK OF FOUNDATION AND NET WORK OF ARTISTS, BOTH EXTREMELY RECENT. OR THE TRANSIT PROJECT BY ALI TAPTIK that by involving people (colleagues, everyday folk and

intellectuals) from five great port cities (naples, istanbul, liverpool, gdansk, marseilles), who perhaps share a common “spirit”, breathes life into a meditation on migration and cultural identity. The role that blogs play in the lives of these extremely young artists is certainly another factor that shouldn’t be forgotten. Ali taptik, for example, has one where he talks about his art, his work and his experience. Likewise hyperlink “http://www.Blogger.Com/profile/0038 2323256629518109”sümer sayın, artist and violinist, class of 1985, just as volkan aslan and nalan yırtmaç. For a systematic and daily update on “what’s on the boil”.

WWW galleries ART XIST.COM GALERISIYAHBEYAZ.COM RODEO-GALLERY.COM PIART WORKS.COM museums and exhibition spaces ISTANBULMODERN.ORG ELGIZMUSEUM.ORG EN.PERAMUZESI.ORG.TR schools and organisations BILGI.EDU.TR ART.BILKENT.EDU.TR events ISTANBULARTFAIR.COM CONTEMPORARYISTANBUL.COM IKSV.ORG blogs BLOGGER.COM/SÜMER SAYIN PLUVERSUM.BLOGSPOT.COM SUPREMEPOLICY.BLOGSPOT.COM SITKIKOSEMENBLOG.COM ALITAPTIK.TUMBLR.COM PLATFORMGARANTI.BLOGSPOT.COM


Dice Kayek, Istanbul Contrast collections.



NU-IDENTIT Y by Fabiana Gilardi

LIKE CLOUDS CRASHING TOGETHER RELEASING ENERGY, WHERE EAST MEETS WEST FACING EACH OTHER OVER THE BOSPORUS DIFFERENT WAYS AND MEANS ARE CONSTANTLY FORMING. AND NEW NAMES FOR FASHION. Essere, in dieci anni, il quinto punto di riferimento del fashion system a livello mondiale (dopo Milano, Parigi, Londra e New York). Questo l’obiettivo della Turchia, da sette stagioni impegnata sul fronte più glamour ed eccitante del sistema moda con una fashion week (con sede ad Istanbul) sempre più ricca di designer, proposte e nomi del jet set internazionale come l’icona del burlesque contemporaneo Dita Von Teese, la supermodel russa Irina Shayk, e la it-girl Alice Dellal. PERSONAGGI CELEBRI CHE FANNO

RUMORE E CHE SERVONO FORSE DA CASSA DI RISONANZA, MA SUPERFLUI RISPETTO A UNA CONCRETA CREATIVITÀ IN ASCESA, SEMPRE PIÙ RICONOSCIUTA IN OCCIDENTE. Lo dimostra il caso di Hussein Chalayan, vi-

sionario designer dell’avanguardia minimal-chic e anche artista tecnologicamente ispirato che sul corpo femminile spesso inscena paesaggi surreali che anelano a un universo futurista. Lo conferma quello di Umit Benan (nuovo stilista del marchio Trussardi), autore di collezioni maschili in cui convergono personaggi e immagini raccolte nel suo peregrinare tra Londra, New York, Boston. Approdato a Milano, questo vagabondo dello stile contemporaneo attinge alla tradizione sartoriale e al gusto dell’eleganza italiana, in collezioni dal mood eversivo e al contempo intellettuale, come quella della P/E 2012 ispirata a Nino Cerruti, suo amico e mentore. Hanno


scelto di fermarsi a Parigi Ece e Ayse Ege, rispettivamente designer e amministratrice di Dice Kayek, sinonimo di collezioni romantiche e femminili, dall’anima intensa e concettuale. Esposti nelle sale museali del mondo, presenti nei concept store più rinomati e citati nelle pagine patinate di giornali d’avanguardia, i nomi di Chalayan, Benan e delle sorelle Ege, si accompagnano quelli di Simay Bülbül, Günseli Türkay, Mehtap Elaidi, Özgür Mansur, Gamze Saraçolu, Özlem Kaya, anch’essi protagonisti sui catwalk del Bosforo. Basta citarli per capire che questo Paese presenta tutte le caratteristiche per diventare una vetrina di valore nel mondo della moda. Complici una solida industria tessile e pellettiera (la Turchia è il principale produttore di pelle ed esportatore a livello mondiale di pelle double-face), una giovane imprenditoria cosmopolita e una ricchezza mentale e spirituale che affonda le proprie radici nello splendore di Costantinopoli: perchè, che si tratti di emigrati o “immigranti di ritorno”, il codice creativo espresso nei loro abiti non tradisce quello genetico, in un mix di rimandi ai decori bizzantini, alle tradizioni gitane e al misticismo dei dervishi. Sarà per questo che I DESIGNER, UNA VOLTA COSTRUITE ALL’ESTE-

RO LE BASI PER DIVENTARE STILISTI, ATTRAVERSO LA FREQUENTAZIONE DI SCUOLE PRESTIGIOSE E LA GAVETTA NEGLI UFFICI STILE DELLE GRANDI GRIFFE, SPESSO RITORNANO IN PATRIA. O, ALMENO, CI TORNANO CON GRANDE FREQUENZA, COME RICHIAMATI DA CANTI DI SIRENE. E’ stato così per le sorelle Erza e Tuba

Cetin, designer del marchio “Ezra + tuba”, che dopo gli studi tra Europa e Giappone, hanno fondato nel 2003 un brand destinato a una donna futuristica che veste abiti definiti da tagli netti, borchie, trasparenze e grafiche appuntite; e pure per Gül Aı, alias Lug Von Siga, nome del marchio, fra le giovani promesse della moda mondiale, che dopo aver frequentato l’Istituto Marangoni a Milano ed aver lavorato per C’N’C COSTUME NATIONAL e Givenchy, è tornata in patria per fondare la propria linea. Bora Aksu, invece, a Londra ci è rimasto: dopo gli studi presso la Saint Martins, ha iniziato a calcare le passerelle londinesi affondando qui le proprie radici. Le sue creazioni si distinguono per le forme destrutturate e metropolitane, ricche di panneggi e suggestioni sartoriali dal mood rock. Si dimena fra Istanbul e il resto del mondo Atıl Kutolu, designer da tempo noto ai catwalk di New York, autore di collezioni che affascinano per l’eleganza nostalgica e il sapore di terre lontane: in 57


Gamza Saracoglu, Collection


Umit Benan, Investment Bankers collections, A/I 2011-12. Š Simone Falcetta


ogni sua proposta echeggiano fiabe e racconti di sultani, amanti e viaggiatori. “Le mie collezioni sono un mix di Oriente e Occidente ha spiegato -. Mi piace combinare ispirazioni dalla storia dell’arte austriaca, in particolare quella del periodo intorno agli inizi del XX secolo. La mischio con le mie impressioni di nativo ottomano e turco. Adoro le opere di Gustav Klimt, Egon Schiele e dell’architetto Adolf Loos come quelle dell’architettura bizantina e ottomana”. L’impero Ottomano incontra l’oggi nelle collezioni di Arzu Kaprol, stilista abile nel mixare stoffe artigianali e tessuti ultima generazione con effetti sofisticati al limite della Haute Couture. Significativo il titolo della sua collezione A/I 2011-12: Archeology of the future. Kaprol sfila a Parigi da due stagioni, ma il suo headquarter è a Istanbul. Del resto, IL FILOSOFO FRANCESE CHARLES

FOURIER, RIFERENDOSI ALL’ODIERNA COSTANTINOPOLI, DISSE “QUESTA DIVENTERÀ LA CAPITALE DELLA TERRA”, UN’IDEA SOSTENUTA ANCHE DAL PENSIERO DALLO SCRITTORE GUSTAVE FLAUBERT: “E’ DAVVERO ENORME COME L’UMANITÀ”. ISTANBUL È OVUNQUE.

To become, in ten years, the fifth reference point of the fashion system at world level (after Milan, Paris, London and New York). This is the goal of Turkey, for the last seven Seasons committed to on the most glamorous and exciting front of the fashion system with a fashion week (based in Istanbul) ever richer in designers, ideas and names from the International jet set like the icon of contemporary burlesque Dita Von Teese, the Russian supermodel Irina Shayk, and the itgirl Alice Dellal. FAMOUS PEOPLE THAT MAKE WAVES AND

PERHAPS SERVE AS A SOUNDING BOARD, BUT SUPERFLUOUS WITH RESPECT TO THE CONCRETE CREATIVIT Y ON THE ASCENT AND INCREASINGLY ACKNOWLEDGED IN THE WEST. An exemplary case is that of Hussein

Chalayan, visionary designer of the avant-garde minimal chic and even technologically inspired artist who often presents surreal landscapes on the female body that yearn for a futurist universe. The confirmation comes from Umit Benan (new stylist for Trussardi), creator of men’s collections that are the convergence of characters and images collected on his pilgrimages between London, New York and Boston. Having landed in Milan, this vagabond of contemporary style draws on the sartorial tradition and the taste of Italian elegance in collections with a subversive but at the same time intellectual feel, like the S/S 2012 collection inspired by Nino Cerruti,


his friend and mentor. Paris on the other hand, was the choice of Ece and Ayse Ege, respectively designer and administrator of Dice Kayek, synonym of romantic and feminine collections with an intense, conceptual soul. Exhibited in the world’s museums, present in the most famous concept stores and cited on the glossy pages of avant-garde magazines, the names of Chalayan, Benan and the Ege sisters, go hand in hand with those of Simay Bülbül, Günseli Türkay, Mehtap Elaidi, Özgür Mansur, Gamze Saraçolu and Özlem Kaya, other protagonists of the Bosporus catwalks. Just mentioning them is enough to understand that this country already has all it takes to become a valuable shop-window for the fashion world. They are aided by a solid textiles and leather industry (Turkey is the leading producer of leather and a world-level exporter of double-face leather), young and cosmopolitan enterprise and an intellectual and spiritual richness that sinks its roots in the splendour of Constantinople: because, whether they are émigrés or “returning immigrants”, the creative code expressed in their apparel never betrays their genetic one, in a mix of references to Byzantine decor, Gitan traditions and the mysticism of the Dervishes. It’s probably for this that THE DESIGNERS, ONCE THEY’VE BUILT THE BASE

FOR BECOMING ST YLISTS ABROAD, ATTENDING PRESTIGIOUS SCHOOLS, AND AFTER APPRENTICESHIPS IN THE ST YLE OFFICES OF THE BIG BRANDS, VERY OFTEN RETURN HOME. OR, AT LEAST, THEY COME HOME EVER MORE OFTEN, AS IF CALLED BY THE SONG OF THE SIRENS. That’s how it was for the Erza sisters and Tuba

Cetin, designers of the “Ezra + Tuba” brand who, after studying between Europe and Japan, in 2003 founded a brand destined for a futuristic woman dressed in clean cuts, studs, transparencies and sharp graphics; and likewise for Gül Aı, alias Lug Von Siga, the name of a brand among the young hopefuls of world fashion, who after attending the Marangoni Institute in Milan and working for C’N’C COSTUME NATIONAL and Givenchy, returned home to found her own brand. Bora Aksu, on the other hand, remained in London: after studying at the Saint Martin’s School, he began working the London catwalks and digging his roots in the city. His creations stand out for their destructured and metropolitan forms, rich in drapery and sartorial evocations with a rock mood. Atıl Kutolu instead commutes between Istanbul and the rest of the world. Well known to the catwalks of New York, author of collections that fascinate for their


Hussein Chalayan, Absent Presence collections, 2005. © Thierry Bal



nostalgic elegance and flavour of distant lands: every single one of his proposals echoes fairytales and stories of sultans, lovers and travellers. “My collections are a mix of East and West – he explains – I love to combine inspirations from the history of Austrian art, especially that of the period around the turn of the nineteenth century. I mix it with my native Ottoman and Turkish impressions. I adore the works of Gustav Klimt, Egon Schiele and the architect Adolf Loos as much as I love Byzantine and Ottoman architecture “. The Ottoman Empire meets today in the collections of Arzu Kaprol, a stylist skilled in mixing artisan cloths and latest generation textiles with sophisticated effects bordering on Haute Couture. The title of his F/W 2011-12 collection has particular significance: Archaeology of the future. Kaprol has been showing in Paris for two seasons, but her headquarters are in Istanbul. Then again, THE FRENCH PHI-

LOSOPHER CHARLES FOURIER, TALKING ABOUT LATTER DAY CONSTANTINOPLE, ONCE SAID “THIS WILL BECOME THE CAPITAL OF THE EARTH”, AN IDEA ALSO SUSTAINED BY THE THOUGHTS OF WRITER GUSTAVE FLAUBERT: “IT’S TRULY ENORMOUS LIKE HUMANIT Y”. ISTANBUL IS EVERY WHERE.

WWW HUSSEINCHALAYAN.COM UMITBENAN.COM DICEKAYEK.COM LUGVONSIGA.COM BORAAKSU.COM ATILKUTOGLU.COM


Umit Benan, Investment Bankers collections, A/I 2011-12. Š Simone Falcetta


CROSSING VIBES by Tommaso Toma

AND MUSIC TAKES THE ROLE OF THE TOOL FOR SEARCHING, DEFINING AND REAFFIRMING THE IDENTIT Y OF A PEOPLE IN LIMBO BET WEEN THE DESIRE TO ALIGN WITH THE WEST AND THE CONSCIENCE OF A RADICAL DIFFERENCE. Avete visto per caso Crossing The Bridge, il favoloso documentario musicale del regista Fatih Akin? Se sì, avrete compreso almeno parzialmente la Turchia, dove ogni elemento si mescola, si confonde e si rigenera seguendo dinamiche imprevedibili. La ricchezza sonora di questa regione è davvero un mondo ancora da scoprire per noi: si passa senza soluzione di continuità da forme che presentano un maggior grado di commistione con i caratteri occidentali (il rock-punk dei Duman, quello sofisticato e intellettuale dei Replikas, l’hip-hop impegnato di Ceza e la breakdance degli Istanbul Style Breakers) a quelle più legate alla tradizione e alle influenze arabeggianti (con il saz meravigliosamente suonato da Orhan Gencebay, Müzeyyen Senar). Ci sono artisti capaci di condurvi senza traumi nel caleidoscopico mondo della nuova musica orientale e sufi, contaminata dagli stimoli di artisti provenienti da ogni parte del pianeta: gli Istanbul Sessions, capaci di un ottimo mix tra reggae, acid jazz e musiche anatoliche, i Kirika, autori di un pop-folk che è vero ponte sonoro tra Oriente e Occidente e soprattutto il polistrumentista Mercan Dede, che dalla fine degli anni Novanta ad oggi, ha prodotto album di estremo interesse collaborando con una pletora di musicisti davvero molto differenti tra loro, dall’italiano Ludovico Einaudi all’icona del dark britannico Peter Murphy alla cantante di origini Tamil, Susheela Raman. NON DOBBIAMO


DIMENTICARCI DEI TURCHI EMIGRATI, CHE HANNO PORTATO ALTROVE – CON GRANDE ORGOGLIO – LA LORO CULTURA MA SONO STATI CAPACI ANCHE DI ASSIMILARE LE USANZE DELLA TERRA CHE LI OSPITA.

Molti turchi si sono stabilizzati nel Nord Europa, principalmente in Germania, Danimarca, Svezia e le nuove generazioni si sono perfettamente integrate, anche attraverso la musica ed esistono moltissime band ed artisti che suonano rock, pop, dance e rimano in rap le loro intuizioni musicali, senza rinnegare le origini anatoliche. Ma ci pare molto più interessante farvi due casi di realtà che nascono in Turchia, trovano fortuna e successo altrove e poi tornano nel loro paese portandosi dietro tutta la loro invidiabile esperienza. Ilahn Ersahin, che é turco-svedese ha fondato un locale e un’etichetta a New York: Nublu (nublu.net), nel suo club ogni sera si incontrano dj e musicisti turchi che jammano con artisti provenienti da tutto il mondo, in brevissimo tempo il luogo è diventato un must newyorkese. Mentre con l’omonima etichetta discografica, Ilahn si è prodigato a proporre in Occidente le sonorità turche più particolari, ad esempio adesso potreste ordinare i tre favolosi volumi di Istambul 70, compilation già culto, dove troverete molte delle oscure produzioni di funk, psichedelia, disco e rock turco, incise tra la fine degli anni Sessanta e i Settanta. Per concludere, la nostra attenzione passa per una ragazza davvero speciale, Deniz Kurtel, che si è saputa imporre con personalità nel panorama della musica elettronica internazionale. Deniz è stata per molto tempo lontana dalla madrepatria, visto che lei è figlia di una importante artista e sin da bambina ha viaggiato assieme alla madre. Anche Deniz si è interessata a lungo di arte e in particolare di scultura, facendosi notare, durante i suoi studi a New York, grazie alle sue installazioni luminose. Le sue produzioni possiedono un profondo spirito mercuriale, che si è sviluppato proprio grazie alla sua vita in continuo movimento ma senza dimenticarsi il proprio background culturale. Anche lo stile musicale di Deniz Kurtel è interessante, AUDA-

CE E POCO CONVENZIONALE, LE SUE TRACCE DANCE SONO IN APPARENZA SEGNATE DAL CLASSICO TIMBRO OCCIDENTALE – oseremmo dire tipicamente newyorkese – MA SOTTO I BEAT SI CELANO INTERESSANTI INTUIZIONI INNOVATIVE CHE LA RENDONO DAVVERO UNICA TRA LE NUOVE FEMMINE CHE SCRIVONO MUSICA CON IL LAPTOP, PERCHÉ SI INTUISCE CHE IL SOUND DI DE-


NIZ KURTEL È ANCHE FIGLIO DELLA CULTURA TURCA;

un toccante ascetismo e un languore tipicamente orientale emergono infatti dalle 12 tracce del suo album di debutto Music Watching Over Me, appena uscito, per la Crosstown Rebels. Conosciamola meglio con il nostro fulminante questionario. Have you by any chance seen Crossing The Bridge, the fabulous documentary by director Fatih Akin? If you have, then you will have at least partially understood Turkey, where every element mixes and blends and regenerates in the most unpredictable ways. The musical richness of this region is truly a world waiting to be discovered: it moves uninterruptedly from forms with a greater degree of western influence (like the rock-punk of Duman, the sophisticatedintellectual of Replikas, the highly committed hip-hop of Ceza and the break-dance of the Istanbul Style Breakers) to forms more linked with tradition and Arabic influences (with the saz beautifully played by Orhan Gencebay, Müzeyyen Senar). There are artists capable of leading you without trauma into the kaleidoscopic world of Eastern music and Sufi, contaminated by the stimuli of artists from every corner of the planet: the Istanbul Sessions, capable of an optimal mix of reggae, acid jazz and Turkish music, Kirika, authors of a pop-folk that’s a real musical bridge between East and West, and above all the multi-instrumentalist Mercan Dede, who since the ‘nineties has produced some extremely interesting albums with a plethora of extremely different musicians, from Italian Ludovico Einaudi to the icon of British dark Peter Murphy or the Tamil singer Susheela Raman. NOT FORGETTING THE TURKISH ÉMI-

GRÉS, WHO WITH GREAT PRIDE TRANSFERRED THEIR CULTURE ELSEWHERE BUT WEREN’T ABLE TO ASSIMILATE THAT OF THEIR HOST COUNTRIES. A great number

of Turks settled in northern Europe, mainly in Germany, Denmark and Sweden, and the new generations are perfectly integrated, even through music, and there are lots of bands and artists playing rock, pop, dance and rhyming their musical intuitions in rap, without denying their Turkish origins. However, we’ve chosen to offer you two cases of musicians born in Turkey who found fame and fortune elsewhere and then came home with all their enviable experience. The first is Ilahn Ersahin, a Swedish-Turk who founded a club and a label in New York: Nublu (nublu.net). Every night at his club you can find Turkish DJ’s and musicians jamming with artists from all over the world, and in an extremely short lapse of time the place has


become an absolute must in New York, while with his label (of the same name), Ilahn has been working on presenting the West with the best and most particular of Turkish sound, for example, now you can order the three fabulous volumes of Istambul 70, a compilation that’s already cult with some of the most obscure Turkish funk, psychedelia, disco and rock productions recorded between the late ‘sixties and ‘seventies. To conclude, we shift our attention to a truly special girl, Deniz Kurtel, who had the wherewithal to impose her personality on the international electronic music scene. Deniz was away from her homeland for a long time, being the daughter of an important artist, and travelled everywhere with her mother from a very early age. Deniz, too, developed a great interest in art, sculpture in particular, getting herself noticed during her student years for her amazing illuminated installations. Her productions have a profoundly Mercurial spirit thanks to her life continually on the move, but never neglecting her cultural background. Even THE MUSICAL ST YLE OF DENIZ KURTEL IS INTE-

RESTING, BOLD AND NOT EXACTLY CONVENTIONAL, HER DANCE TRACKS ARE APPARENTLY OF A CLASSIC WESTERN STAMP – dare we say typically New York – BUT UNDER THE BEAT THERE ARE INTERESTING INNOVATIVE INTUITIONS THAT MAKE HER MUSIC TRULY UNIQUE AMONG THE NEW BREED OF WOMEN WRITING MUSIC WITH LAPTOPS, BECAUSE YOU CAN FEEL THAT THE SOUND OF DENIZ KURTEL IS ALSO THE OFFSPRING OF TURKISH CULTURE: indeed, a touching ascetic and a typi-

cally eastern languor emerge in the 12 tracks on her newly released debut album Music Watching Over Me for the Crosstown Rebels. Let’s get to know her better with out lightning questionnaire. DENIZ KURTEL

INTERVIEW ?!

Wich are the three things you like the most about your home country.MY FAMILY, NATURE AND FOODThe album you have listened to more frequently in the last periodTHE ENGLISH RIVIERA METRONOMYTHE FIRST ALBUM YOU GOTSTRONGER THAN PRIDE SADEThe soundtrack of the first kissesTOUCH YOU GENTLY ART DEPARTMENTWho did you like when you were 15?SadeAnd now?SadeA soundtrack to make love?THE WAY I FEEL DENIZ KURTEL, GUTI, GADI MIZRAHI To get ready to go outHER FLOWER VOICES OF BLACKOn sunday morning?THE SHINING J DILLA FEAT COMMON & D’ANGELOYour favourite cover version he Man WHO SOLD THE WORLD (DAVID BOWIE SONG) BY NIRVANA And your favourite cover artworkHouses of the Holy Led Zeppelin The most exciting concert you ever seen?Depeche ModeA presonal definition of your kind of musicBASSLINE DRIVENAn unavoidable passionMusic


Rock Rocks

on the

Photographer: Stratis Fashion Editor: Manos Samartzis Fashion Assistant: Josefine Englund And Maria Dimou Make Up: Dimitra Altani Hair Stylist: Gabriel Georgiou Production Manager: Panagiotis Gaglias


Shirt: Gianfranco Ferrè



Top: Etam Skirt: Ermanno Scervino Belt And Shoes: Gianni Versace Bag: Giuseppe Zanotti Design Sunglasses: Stylist Own


Top: Moschino Shirt: Etam Pins: Sharra Pagano


Dress: Moschino Shirt: Etam Pins: Sharra Pagano Shoes: Gianni Versace



Dress Roberto: Cavalli Class Shirt: Gianfranco Ferre’ Shoes: Gianni Versace Pins: Sharra Pagano


Ceremony photographer : Aline&Jacqueline Tappia styling : Micaela Sessa

Louis Vuitton



Iceberg


jacket&trousers Z Zegna pull CK Calvin Klein


suit Dsquared2 tue Dolce&Gabbana


Prada


Giorgio Armani


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RODARTE PROVINCIAL OUTSIDERS OUT TO CONQUER THE WORLD BY Fabiana Gilardi

A sei anni di vita un bimbo inizia le scuole elementari. Il suo percorso

verso la realizzazione di sé è ancora lungo e momenti di pausa si alterneranno alla voracità del fare. Ma c'è chi, a sei anni di vita, È

GIÀ IDOLATRATO DA UNA FOLTA COLTRE DI FAN ED ESTIMATORI, SIANO ESSI PERSONAGGI DELLO STAR SYSTEM, PLAYER DELLA STAMPA INTERNAZIONALE, BUYER O DIRETTORI MUSEALI. Come Rodarte,

collezione donna disegnata dalle sorelle Kate e Laura Mulleavy nata nel 2005. A partire da una rinuncia.

At six years of age a child begins primary school. THE PATH TOWARD SELF REALIZATION IS STILL VERY LONG AND PUNCTUATED BY MOMENTS OF REFLECTION ALTERNATING WITH VORACIOUS PERIODS OF DOING. BUT THERE ARE SOME, AT SIX YEARS, already idolized by a vast number of fans and admirers, from celebrities of the star system and players from the international press to museum directors. Like Ro-

darte, the women’s collection designed by sisters Kate and Laura

Mulleavy born in 2005, that started out from a dropped idea.


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Laurea presa. Si torna a casa, a Pasadena (California, America). E poi si parte. Destinazione: Italia. Si va a vedere dal vivo le opere dei più grandi artisti di tutti i tempi. E poi c’è da visitare Roma, la città dov’è nata la nonna. Però c’è quel progetto, quella passione che stuzzica la voglia di fare, quel desiderio creativo che esige una forma. I titoli umanistici dei diplomi conseguiti all’Università della California (a Berkeley nel 2001) non hanno il sapore della conquista: lavorare in un museo o stare seduti dietro una cattedra ad insegnare inglese non fa parte delle nostre autentiche aspirazioni. Che fare? Non si parte. Vendiamo tutti i vinili della collezione di papà. Si, anche Velvet Underground e il primo album dei Black Sabbath. Dai papà... ci sono milioni di copie identiche a questa. La vuoi tenere solo perché associ la memoria alle cose. Ma non sono gli oggetti a definire chi sei! Vendiamoli. Vedrai, sarà una liberazione. Li acquista la Amoeba Records di Los Angeles. E con l’aggiunta di quei soldi a quelli risparmiati per il viaggio in Italia (poco meno di 20 mila dollari) potremo creare la nostra prima collezione: 10 pezzi per lei presentati a persone art-addicted, in una sorta di festa in giardino con ex compagne di scuola improvvisatesi modelle. Chiameremo l’etichetta Rodarte, come il nome da nubile della mamma, Victoria Rodarte (un cognome che svela la provenienza spagnola). Got our degrees, now it’s time to go home, to Pasadena (California, America). And then off again. Destination: Italy. To see the works of the greatest artists of all time in the flesh. Then we have to see Rome, the city where grandma was born. But then there’s that project, that passion that fires the desire to do things, that creative desire that demands a form. The humanist titles of the degrees awarded at the University of California (Berkeley in 2001) don’t have the taste of conquest: working in a museum or sitting behind a desk teaching English just don’t fit in with our real aspirations. What to do then? We don’t leave. Let’s sell all dad’s vinyls. Yeah, even the Velvet Underground and the first Black Sabbath album. Come on, dad... there’re millions of copies all identical to this. You only keep them because they remind you of things. It’s not objects that define what you are! Let’s sell them. You’ll see, you’ll feel lighter without them. Amoeba Records in Los Angeles buys them. And with that money, along with the savings for the trip to Italy (a little less than 20 thousand dollars) we can create our first collection: 10 items for women presented to art-addicted people, in a sort of garden party with old school friends improvising as models. We’ll call the label Rodarte, like mum’s maiden name, Victoria Rodarte (a surname that reveals their Spanish origins).



Detto, fatto. Kate e Laura Mulleavy (31 e 30 anni) creano così nel 2005 uno dei brand più ambiti e idolatrati degli ultimi anni, un fenomeno di moda e costume che conquista prima la copertina del Women’s Wear Daily, poi gli apprezzamenti di Anna Wintour, e da lì la gloria delle passerelle newyorkesi. Numerosi i premi e i riconoscimenti ottenuti da Kate e Laura come migliori stiliste, tra cui il CFDA Womenswear Designer of the Year nel 2009 e il Cooper-Hewitt National Design Award for Fashion nello stesso anno. Il Costume Institute del Metropolitan Museum of Art e il Museum at FIT di New York hanno voluto i loro abiti nelle collezioni permanenti e, anche il LACMA, il Museum of Contemporary Art di Los Angeles, è stato quest’anno teatro della prima mostra, nella West Coast, dedicata unicamente al loro lavoro. Titolo: “Rodarte: States of Matter”. Le celeb di tutto il mondo desiderano i loro abiti, mix di romanticismo e sperimentazione ai limiti della drammaticità espressiva. Tra loro Michelle Obama, Cate Blanchett, Keira Knightley e Natalie Portman, per la quale hanno realizzato gli abiti di Black Swan, film diretto da Darren Aronofsky, ottenendo la nomination come migliori costumiste ai 16° Annual Critics’ Choice Movie Awards. Da non dimenticare Kirsten Dunst, l’attrice e neo-regista del cortometraggio Bastard, che le ha scelte come costumiste per questo film, incarico che le sorelle Mulleavy hanno accettato con entusiasmo. E’ noto infatti l’amore di Kate e Laura per il cinema, strumento funzionale, ieri, alla loro formazione stilistica (“per un anno ci siamo rinchiuse a casa a vedere film pensando servisse a diventare fashion designers) e da cui oggi traggono ispirazione (“siamo delle cinefile”). Ad appassionarle sono soprattutto i film horror: The Omen, Suspiria, Rosemary’s Baby e A tale of Two Sisters sono i loro film preferiti; l’amico David Lynch, il regista più apprezzato. Con lui condividono la visione onirica della creazione, tangibile in collezioni che alternano soluzioni surreali aduna sartorialità ricca, mai leziosa, facilmente indossabile. Ma le due sorelle non disdegnano neppure i western: qualcosa di quel mondo, delle grandi praterie e delle foreste del Nebraska e del Kansas, unita all’estetica severa delle comunità Amish, s’intravede nella collezione A/I 2011-12. Special guest di Pitti W, salone dedicato alla sperimentazione donna aperto in parallelo a Pitti Immagine Uomo, Kate e Laura sono state a Firenze il giugno scorso per presentare 10 abiti d’alta moda ispirati all’arte del capoluogo toscano, un omaggio agli affreschi di Fra Angelico e all’estasi di Santa Teresa del Bellini: un trionfo di plissé, cristalli, drappeggi e corpetti dorati, riletti in chiave dark e calati in un contesto post moderno, persino allucinogeno, che Lynch di certo avrà approvato. Come forse approva la scelta di Laura e Kate di rimanere a vivere a Pasadena: “A New York tutto è condizionato da inviti e amicizie - hanno risposto incalzate da Natalie Portman, intervistatrice d’eccezione per Interview -. In provincia le subculture sono incredibili, sono una certezza di libertà”. No sooner said than done. That’s how Kate and Laura Mulleavy (31 and 30 years) in 2005 created one of the most sought after and idolatrised brands of recent years, a phenomenon of fashion and costume that first conquered the cover of Women’s Wear Daily, then the appreciation of Anna Wintour, and from there the glory of the New York catwalks. Numerous, the prizes and acknowledgements awarded to Kate and Laura as best stylists, including the CFDA Womenswear Designer of the Year in 2009 and the Cooper-Hewitt National Design Award for Fashion the same year. The Costume Institute of the Metropolitan Museum of Art and the Museum at FIT in New York wanted their clothes in their permanent collections, and even this year the LACMA, the Los Angeles Museum of Contemporary Art was the venue for the first exhibition on the West Coast dedicated exclusively to their work. Title: “Rodarte: States of Matter”. Celebs the world over want their clothes, mixtures of romanticism and experimentations at the limits of dramatic expressivity. Among them Michelle Obama, Cate Blanchett, Keira Knightley and Natalie Portman, for whom they made the costumes for Black Swan, the film directed by Darren Aronofsky, that got them the nomination for best costume designers at the 16th Annual Critics’ Choice Movie Awards. Not forgetting Kirsten Dunst, the actress and neo-director of the short film Bastard, who chose them as costume designers for this film, a commission that the Mulleavy sisters accepted with enthusiasm. Indeed, the sisters’ love for the cinema is well known, and that they used in the past to develop their sense of style (“for a year we spent every evening shut up at home watching films thinking they’d help us become fashion designers) and from which today they draw inspiration (“we’re cinema addicts”). Their favourite genre is horror: The Omen, Suspiria, Rosemary’s Baby and A tale of Two Sisters are the absolute favourites; their friend David Lynch their best-loved director. With him they share the dreamlike vision of creativity, tangible in collections that alternate surreal solutions with a rich but affected, easily wearable sartoriality. But the two sisters don’t disdain westerns either, with the great prairies and the forests of Nebraska and Kansas, combined with the austere aesthetic of the Hamish community that shows through in the F/W 2011-12 collection. Special guests at Pitti W, the event dedicated to female fashion experiment running parallel to Pitti Immagine Uomo, Kate and Laura were in Florence last June to present 10 high fashion items inspired by the art of the Tuscany’s capital, a homage to the frescoes of Fra Angelica and the ecstasy of Santa Teresa del Bellini: a triumph of pleats, crystals, drapes and gilded bodices, transposed in a dark key and set in a post-modern, almost hallucinogenic context that Lynch would surely approve. The way he approves Laura and Kate’s decision to stay in Pasadena: “In New York everything is conditioned by invites and acquaintances – they replied when asked by Natalie Portman, special interviewer for Interview -. In the provinces the subcultures are incredible, they’re the certainty of freedom “.




Angelos Frentzos BY Roberta Molin Corvo

1.92M X 128KG. troppo funny per essere serio. meglio felicità, SCHERZO E UNA BUONA DOSE DI AUTOIRONIA. e il designer è servito.

1.92m x 128kg. TOO FUNNY TO BE SERIOUS. BETTER TO BE HAPPY and

joking with a good dose of self-mockery. And the designer is served...

Ha sempre portato la barba perché senza si vede troppo giovane. Il suo primo tattoo se l’è fatto da ragazzo, il simbolo del gruppo Black Light Burns, poi un giorno trova un libro sui tatuaggi, ci sono riprodotti prostitute e marinai; decide così di realizzarli, e solo su parti del corpo ben in evidenza: due a Parigi, tre a Milano, uno ad Atene e adesso in settembre altri due da Pietro Sedda, Milano. Angelos ha un bellissimo rapporto con il cibo, da poco ha imparato a cucinare semplicemente perché, come ci spiega, “gli uomini mi lasciavano perché non cucinavo; tengo molto al ragazzo che frequento ora, non voglio perderlo, quindi ho imparato”. Impazzisce per il rumore del soffritto, lo spignattare di pentole e coperchi. I piatti tradizionali greci, versione vegetariana, come fagioli e hummus, sono i suoi preferiti, mentre quelli giapponesi li considera standard, un po’ come il Mc. Donald. Ama i ristoranti a Londra, dove ha vissuto durante gli studi alla Saint Martins School, un’esperienza che non gli è piaciuta spiegandoci che lì c’è troppa creatività ma non è pensata. Ai suoi tempi una t-shirt non bastava, ti spingevano provocando al massimo la fantasia. Angelos non sogna più, è un uomo pratico non romantico. Vorrebbe trovare una consulenza in Italia e venire a vivere a Milano, città in cui si sente bene. Gli piace viaggiare e ama Parigi; per lui la moda si trova solo lì, in una città estremamente scenografica, quasi come un perenne set cinematografico. La sua giornata inizia all’alba. Nel suo atelier è il primo ad arrivare e l’unico a decidere, e in questo caso si considera un grande egoista. Lavora fino alle 13 poi inizia a navigare su internet, guarda i blog e legge le e-mail di amici dj che postano nuovi brani da ascoltare. He’s always had a beard because without it he thinks he looks too young. He got his first tattoo when he was a kid, the symbol of the Black Light Burns group, then one day he found a book about tattoo, all whores and sailors, so he decided to get some of them too, and only well visible parts of the body: two in Paris, three in Milan, another in Athens and now, in September, another two by Pietro Sedda, Milan. Angelos has a great relationship with food, recently he’s learned to cook simple stuff because, as he explains, “men used to leave me because I couldn’t cook. I’m really attached to the boy who’s with me now, I don’t want to lose him, so I learned”. He goes crazy for the sound of frying, the clatter of pans and lids. Traditional Greek dishes, strictly vegetarian versions, like beans and humus, are his favourites, while Japanese stuff he considers standard, a bit like McDonald’s. He loves the restaurants of London, where he lived while he was studying at the Saint Martins School, an experience he didn’t really enjoy because he felt there was too much creativity and not enough thought. In his days a T-shirt wasn’t enough, they pushed you to express the absolute maximum imagination. Angelos doesn’t dream any more, he’s a practical, not a romantic man. He’d like to find a consultant’s post in Italy and come live in Milan, a city he feels good in. He loves to travel and loves Paris. For him it’s the only place to find fashion, in a city that’s so theatrical, almost like a permanent cinema set. His day starts at dawn. He’s always the first to get to the atelier and the only one who makes the decisions, and in that respect he considers himself as an incredible egoist. He works ‘til one pm then starts surfing the Internet, checking out blogs and reading mails from his DJ friends who send him new pieces to listen to. All Photos by Panos Davios

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Appassionato del movimento punk americano degli anni 80’ ci parla dei Black Flag, Kennedy, The Cure prime band del movimento Grunge. Cresciuto con i gruppi Dark Dream inglesi come Joy Division, è con loro che pensa, crea e presenta il suo lavoro. La sua ultima collezione è ispirata al video di Bat For Lashes, What’s a Girl To Do. Un primo input. Poi il collegamento con il film di David Lynch, Rabbit, e così via. Il suo metodo di ricerca è accurato e rigoroso: “Ok! questo video ha un’idea che mi piace, ma dove è venuta l’idea al gruppo? Allora parte la ricerca, chi è il regista, il fotografo, … e così inizia il viaggio”. Grazie alla copertina di un album dei The Cure ha conosciuto il fotografo Sonny Kiev e con lui tutta una generazione di creativi di Los Angeles, tra cui gli artisti-musicisti Mike Kelley, Raymond Pettibon e ancora Paul McCarthy, . Al suo primo viaggio ad Art Basel a Miami vede le loro opere e trova i fili che lo congiungono a questa cultura realistica. Un insieme di movimenti culturali che Angelos rapporta ai suoi vestiti con ironia, con un suo senso estetico; un guardaroba che - pur usato, lavato, stracciato - non manca di ricami e paillette, di gioia. Il riferimento è strong ma poi diventa “Angelos”. Ama i concerti, le feste e i club ma non ama più fare tardi. Non fa sport, è piuttosto pigro, non guarda la tv ma va al cinema con piacere. Per leggere ha un metodo tutto suo: quando un libro lo appassiona, legge l’inizio e la fine, e della parte centrale fa una sua storia. Adora il suo lavoro e la sua idea di lusso è di poterlo fare, non cerca la ricchezza estrema ma fare sempre quello in cui crede. Uomo fedele a se stesso mantiene un suo equilibrio sostenendo i suoi valori per ottenere rispetto anche dagli altri. Riconosce le difficoltà della vita ma ci spiega che la moda è un sogno e se non sai sognare, cerca chi sogna. Si lamenta delle modelle troppo magre, adora Laura Stone, il suo canone di bellezza femminile è una donna non molto truccata naturale che veste normale, sexy, come la donna di Rick Owen, non quella in passerella, ma quella per strada. Gli uomini non li vede belli, gli piacciono quando sono buffi magari vestiti Commes des Garçons. Adoro le vacanze in posti tranquilli, al mare, stare in spiaggia libera dalle 6 alle 21, giocare, mangiare, stare con gli amici come in un reality. Le sue isole preferite sono in Grecia, Anafi e Sitia. Angelos è un uomo da albergo a 5 stelle, la sua casa ideale è una suite, una casa compact. Il suo studio al contrario è pieno di cose, oggetti e opere, mentre la sua vera casa è completamente vuota, bianca. Oggi vorrebbe avere qualche animaletto… tipo un serpente albino, giallo, qualche topolino… gli animali in genere gli piacciono molto, spesso lo ispirano, sono esseri naturali, non ascoltano Lady Gaga e non hanno un profilo su facebook. He’s got a passion for the ‘eighties American punk movement and talks to us about Black Flag, Kennedy, The Cure, and the first Grunge bands. He grew up in the epoch of the British dark dream bands like Joy Division, and it’s with them that he conceives, creates and presents his work. His latest collection is inspired by the video by Bat For Lashes, What’s a Girl To Do. The initial input. Then come the connections with the David Lynch film, Rabbit, and so on. His research method is strict and precise: “Ok! this video’s got an idea I can go for, but where did the band get the idea from? So the search starts: who’s the director, who’s the cameraman, … that’s how the trip starts out”. Thanks to the cover of a Cure album he got to know photographer Sonny Kiev and through him a whole generation of creatives from Los Angeles, including artist-musicians Mike Kelley, Raymond Pettibon and even Paul McCarthy. On his first trip to Art Basel in Miami he got to see their works and found the threads that connect them to this realistic culture. A set of cultural movements that Angelos associates with his garments with irony, with his aesthetic sense; a wardrobe that – though used, washed, torn – doesn’t lack embroideries and sequins, and joy. The reference is strong, but then turns into “Angelos”. He loves concerts, parties and clubs but hates staying out late. He’s no sportsman, he’s pretty lazy, he doesn’t watch TV but loves going to the cinema. When it comes to reading he’s got a method all his own: when a book catches his attention, he reads it from start to finish, and makes his own story from the middle part. He loves his work and his concept of luxury is being able to do it, he’s not looking to get stinking rich but does everything he believes in. A man faithful to himself keeps his balance, sustaining his values to earn the respect of others. He recognises the problems of life but explains that fashion is a dream and if you don’t know how to dream, you have to find someone who does. He complains abut the models that are too thin, he loves Laura Stone, his canon of female beauty is a woman without much make-up, natural, who dresses normally, sexy, like Rick Owen’s woman, not the ones on the catwalks, but the ones on the streets. He doesn’t see beauty in men, but he likes them when they’re a bit clumsily dressed, maybe in something from Commes des Garçons. He loves holidays in peaceful places, by the sea, on a free beach from 6 am to 9 pm, playing, eating, being with friends like in a reality show. His favourite islands are in Greece, Anafi and Sitia. Angelos is a 5 star hotel man, his ideal house is a suite, nice and compact. His studio is the opposite, full of stuff and work, whereas his real home is totally empty, white. Now he’d like to have a little animal… maybe an albino or a yellow snake, maybe a couple of mice… he really likes animals in general, and often draws inspiration from them. They’re natural beings, they don’t listen to Lady Gaga and don’t have a facebook profile.


Beauty Farm Photographer: Antonello Trio Beauty Editor: Lucia Campisi Digital Retouching: Cristian Buonomo

Yves Saint Laurent, La laque, Noir Indigo



Chanel, Le vernis, PĂŠridot



Dior, Dior Vernis, Blue Denim Dior, Dior Vernis, Tuxedo



O.P.I., Nail lacquer, Verde Chanel, Le Vernis, Graphite



Sugar Mama

Photographer : Antonello Trio Stylist : Cat.Wennekamp Makeup Artist and Hair Stylist : Samuel Paul Digital Retouching : Cristian Buonomo Model : Tori Walker at NEXT Models


Scarf And Hat: Moschino Dress: Love Shorts: Jean Paul Gaultier Necklace: The Ltd Body Jewelry: Rouse By Annabelle Lee





Leather Vest: Alexander McQueen Bracelets: Rouse By Annabelle Lee Necklace: The Ltd Skirt: Millau Jacket: Stylists Own



Scarf: Dolce&Gabbana Dress: Yves Saint Laurent Body Jewelry: Rouse By Annabelle Lee Necklace: The Ltd Belt: Stylist Own



Top: Dolce&Gabbana Skirt: Kelly Bergin Belt: Vintage Large Cuff: Yves Saint Laurent Bracelets: Rouse By Annabelle Lee



Top: Haider Ackermann Bottoms: Mara Hoffman Jewelry: Rouse By Annabelle Lee


STILL LIFE

BY BETTY DEMONTE

Hastens Vividus


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« THE OBJECT IS THE BEST SPOKESTHING of the supernatural: IN THE OBJECT THERE IS EASILY A PERFECTION TOGETHER WITH AN ABSENCE OF ORIGIN, A CLOSURE AND A BRILLIANCE, a transformation of life into matter (matter being far more magical than life) and to say it all a silence that belongs to the origins of the wonderful. » roland barthes

Rinascita, riciclo creativo, regenesi. Concetti complessi che vengono interpretati in chiave light da arte e design, in un’ottica di sostenibilità e consapevolezza. Una celebrazione della natura come vita che si trasforma in elemento living, senza più confini netti tra indoor e outdoor. Nel contesto urbano la terra si scopre complemento d’arredo, da sola o vicina a oggetti di recupero, mentre animali non domestici diventano coinquilini inconsapevoli. Si avverte il bisogno di avvicinarsi agli elementi, più o meno metaforicamente. Il materialismo si orienta alle emozioni, il rapporto con l’oggetto è sempre più simbolico e soggettivo. Nel tempo libero, la soluzione più immediata è un viaggio. Nel quotidiano si può sempre scegliere di vivere di fianco a oggetti da cui si avvertono le vibrazioni della natura.

Rebirth, creative re cycling, regenesis. Concepts that are interpreted in a light key by art and design, in a context of sustainability and awareness. A celebration of nature as the life that transforms into living element, without any clear confine between indoor and outdoor. In the urban context, the ground becomes an element of furnishing, whether free-standing or combined with recovered objects, while non-domestic animals become innocent cotenants. You feel the need to come closer to the elements, metaphorically to a greater or lesser extent. Materialism aligns with the emotions, the relationship with the object is increasingly symbolic and subjective. In leisure time the most immediate solution is travel. In everyday life you can always choose to live alongside objects through which you can feel the vibration of nature.

« Gli oggetti intrattengono con noi rapporti complessi. Ci fanno compagnia e diventano parte della nostra vita affettiva […]. Gli oggetti diventano tramite tra le persone, ne costituiscono le relazioni, diventano regali, doni […]. Noi siamo animali significanti e appena tocchiamo una cosa la rendiamo viva e corpo vivente come noi. » Franco La Cecla

« Objects entertain complex relationships with us. They keep us company and become part of our affective life […]. Objects become go-betweens between people, Constitute relationships, become presents, gifts […]. We are significant animals and as soon as we touch something web ring it alive just as we ourselves are. » Franco La Cecla


Dal suo studio in Bethnal Green, East London, raccoglie uccelli caduti dal nido, volpi investite da automobilisti distratti, conigli e altri piccoli animali a cui regala una nuova anima. Polly Morgan è un’imbalsamatrice-artista, la nuova darling della Brit Art amata da Banksy e Damien Hirst, Kate Moss e Courtney Love. C’è qualcosa di poeticamente

noir nelle sue creazioni, corpi inermi trasformati in sculture addormentate, vittoriane, surreali. Solo apparentemente macabre e decadenti,

in realtà vibrano di vita e magia. In contesti inaspettati, diventano curiosi oggetti d’arte che di notte potrebbero animarsi vivendo chissà quali avventure.

From her studio in Bethnal Green, East London, she gathers birds fallen from the nest, foxes run over by distracted drivers, rabbits and other small animals to which she gives a new soul. Polly Morgan is an artistic embalmer, the new darling of Brit Art animated by Bansky and Damien Hirst, Kate Moss and Courtney Love. THERE’S SOMETHINGFFFPING, VICTORIAN, SURREAL SCULPTURES. Only apparently macabre and decadent, in reality vibrant with life and magic. In unexpected contexts, they become curious art objects that perhaps animate by night to live who knows what kind of adventures.

PollyMorgan

For Sorrow, 2007 by Polly Morgan

POLLYMORGAN.CO.UK


Iconico, Made in Sweden dal 1852 e interamente artigianale. Un letto prezioso e personalizzabile, il risultato di un mix di materiali che provengono dalla natura e alla natura tornano, in quanto biodegradbili. Il legno di pino svedese cresce lentamente per essere solido e affidabile. Lana e cotone provengono da coltivazioni environmentally-friendly. Il crine, l’altra componente chiave, è ventilato e flessible, rendendo il letto un ambiente naturale e piacevole. Il pattern a scacchi aggiunge una piacevole sfumatura rétro. Per un’esperienza di benessere green e un risveglio unico nel suo genere. Iconic, Made in Sweden since 1852 and entirely by hand. A bed

both precious and customizable, THE RESULT OF A MIXTURE of materials drawn from nature and to nature destined to return, being totally biodegradable. Swedish pine wood grows slowly to become solid and reliable. Wool and cotton

grown in environmentally friendly cultivations. Horsehair, the other key component, is airy and flexible, making the bed a natural and extremely pleasing environment. The check pattern adds a pleasantly retro feel. For an experience of green well-being and a truly original awakening.

HASTENS.COM

Hästens.Afairytalebed

Hastens 2000T II


Oggetti abbandonati, destinati a diventare rifiuti, vengono riletti e reinterpretati da Peter Bottazzi e Denise Bonapace in collaborazione con Fratelli Ingegnoli, la storica azienda milanese che dal 1789 coltiva e produce sementi. Lui proviene dal teatro, lei dal mondo della moda. In comune hanno la volontà di mescolare arte e sostenibilità. Nel loro progetto di riuso creativo, presentato durante la Milano Design Week 2011, INNESTI DI VERDE

GENERANO NUOVI ARREDI, ORTI DA CAMERA, PENSIERI GREEN DA DEDICARE A CASE E CITTÀ. momenti educativi e piccole oasi di meditazione, sospesi tra coltura e cultura.

( tr. Dead to Vegetable Patch) Abandoned objects, destined to become refuse, are reread and reinterpreted by Peter Bottazzi and Denise Bonapace in collaboration with Ingegnoli Brothers, the historic Milan based company that since 1789 cultivates and produces seeds. He with a background in the theatre, she from the world of fashion. They share the desire to mix art and sustainability. In their creative reuse project, presented at the Milan Design Week 2011, grafts of green generate new furniture, bedroom vegetable patches, green thoughts to dedicate to home and city. EDUCATIVE MOMENTS AND LITTLE OASES OF MEDITATION, SUSPENDED BETWEEN CULTURE AND CULTIVATION.

DaMortoAOrto

Da Morto a Orto. Peter Bottazzi & Denise Bonapace in collaboration with Amsa and Ingegnoli, 2011, ph Pietro Scapin


Piante senza vasi. Solo terra, fiori e foglie, appesi e sospesi con fili di nylon grazie a un gioco di intrecci 3D in cui le radici incontrano erba e muschio. L’olandese Fedor van der Valk ha pensato a una versione più eterea del classico giardino pensile: piante a fioritura perenne o alberi in miniatura, esemplari carnivori e orchidee. CREATURE IN DIVENIRE CHE NUOTANO NELL’ARIA E

CAMBIANO FORMA NEL TEMPO.

Plants without vases. Just ground, flowers and leaves, hung and suspended with nylon strings tank to a play of 3D weaves in which the roots dig into grass and moss. Dutchman Fedor van der Valk has developed a more

ethereal version of the classic hanging garden: perennial plants or miniature trees, carnivorous species and orchids. CREATURES GROWING THAT SWIM IN THE AIR

AND CHANGE SHAPE OVER TIME.

STRINGGARDENS.COM

StringGardens

Orchid: cattleya aurantiaca by Fedor Van der Valk


Giardini segreti e mondi incantati, rigorosamente di carta. L’artista e art director Su Blackwell crea delle vere e proprie sculture, scolpite da vecchi libri e inserite in scatole-cornici di legno. Sono scenari da favola, leggermente malinconici, definiti

da colori soft e luci soffuse. Rappresentano la curiosità dell’infanzia, la magia della natura, la fragilità di ogni esistenza. Castelli

nordici e farfalle, foreste e creature misteriose, balocchi e lune piene popolano questi artwork delle meraviglie in cui è facile perdersi. Attraverso storie visive ipnotiche, parallele a quelle raccontate dalle parole.

Secret gardens and enchanted worlds, strictly of paper. The artist and art director Su Blackwell creates real and proper sculptures, sculpted from old books and inserted into wooden box-frames. They are fairytale scenes, slightly melancholic defined by

soft colors and diffused light. They represent the curiosity of infancy, the magic of nature, the fragility of every existence. Nordic castles and

butterflies, forests and mysterious creatures, toys and full moons populate these artworks of wonder and so easy to lose yourself in. Through hypnotic visual stories, parallel to those narrated by words.

SuBlackwell

Wild Flowers, 2007 by Su Blackwell Su Blackwell

SUBLACKWELL.CO.UK


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Working I VASI DELLA COLLEZIONE DUST COLLECTOR DI SEBASTIAN STRAATSMA INVENTANO UNA SCRITTURA DECORATIVA PER RACCONTARE STORIE REGALANDO nuove identità all’archetipo DEL

TRADIZIONALE.

Sebastian Straatsma ha fiuto per l’osservazione delle cose di tutti i giorni, sa come ricavare dall’ordinario qualcosa di magico e inafferrabile. Stavolta è toccato ai vasi in ceramica iperdecorati che di solito si vendono nei negozi cheap a pochi soldi come imitazioni o nella migliore delle ipotesi compaiono nelle aste di Christie’s e Sotheby’s.

IL MODELLO DI PARTENZA È UNO SOLO, L’ARCHETIPO DEL VASOURNA IN CERAMICA, COME LA SUA “FUNZIONE”: DECORARE E PRENDERE POLVERE, visto che non sono quasi mai usati per accogliere fiori, riso o

incenso (a seconda delle culture che attraversano). Così il designer olandese ha deciso che sarebbe stato più onesto ripensarne la forma esaltando la loro decorazione in modo esagerato, trasformandoli in un tutto decorazione, in pura decorazione, ma con funzione autentica di “acchiappa polvere”. L’operazione, a dire il vero un po’ concettuale, è quindi traslare la forma dei vasi attraverso il loro stesso décor; col risultato di ottenere una forma “aperta” e leggera perché tutta risolta con una filigrana che sostituisce la materia piena.

E se i primi tentativi lavorano sulla restituzione del vaso tradizionale, decorato con i colori iconici delle porcellane antiche cinesi, il resto è un puro abbandonarsi al mondo ipertrofico e carico di segni della comunicazione.

I Vasi Diventano Il Palinsesto Di Tutta La Cultura Pop Del Momento (Da Pikachu’ Ai Graffiti Metropolitani Passando Per I Supereroi) In Modo Divertito E Un Po’ Scioccante. La Loro Mole (Sono Alti E Voluminosi Ma Leggeri) Fa Di Essi Delle Sculture Contemporanee Da Collezionare (Ogni Vaso È Rigorosamente Fatto A Mano Da Stampi In Legno). Il materiale che li compone è una resina lavorata e colorata a mano, colata su stampi un po’ come accade per la costruzione delle uova di Pasqua; quando il materiale si rapprende il vaso viene staccato ed estratto delicatamente dal suo stampo. Come evidente la resina ha al tempo stesso una funzione decorativa e strutturale, diventa la sostanza un po’ magica che dà forma al pezzo. In alcuni casi la forma diventa più rarefatta (e questo nasce dall’osservazione conseguente alla sperimentazione del processo succitato), quindi i riferimenti formali finiscono per spaziare dal vaso vero e proprio ad altri universi. Così i pezzi con i fiori e le foglie somigliano ai graticci in legno dei giardini inglesi con i loro rampicanti; mentre quando vi si posano le farfalle la memoria va alle gabbie in ferro di epoche passate. Benvenuti nel mondo incantato e pieno di storie di Straatsma.

VASO


Decor

BY ALI FILIPPINI

The vases of the Dust Collector COLLECTION

BY SEBASTIAN

Straatsma invent a decorative language to narrate stories and give new IDENTITY TO THE ARCHETYPE OF THE TRADITIONAL VASE.

Sebastian Straatsma has a special feel for observing everyday things, and knows how to get something magical and unreachable from something truly ordinary. This time it’s the turn of hyper decorated ceramic vases that you usually find in cheap shops as imitations or in the best of cases appear at Christie’s and Sotheby’s auctions.

The basic model is just one, the archetype of the urnvase in ceramic, just as its “function”: to decorate and collect dust, seeing as they’re almost never used to hold flowers, rice or incense (according to the cultures they cross). So, this Dutch designer decided that it would be more honest to rethink the form and exaggeratedly exalt their decoration, transforming it into a whole, pure decoration but with the authentic original function of “dust collector”. The operation, in truth a little conceptual, is to translate the form of the vases through their very decor, with the result of obtaining an “open” and light form resolved by filigree that substitutes the full material.

AND IF THE FIRST ATTEMPTS WORK ON THE RESTITUTION OF THE TRADITIONAL VASE, DECORATED WITH THE ICONIC COLORS OF ANCIENT CHINESE PORCELAIN, THE REST IS PURE ABANDON TO THE HYPERTROPHIC WORLD AND CHARGED WITH SIGNS OF COMMUNICATION.

The vases become the stage of all the pop culture of the moment (from Pikachu’ to metropolitan graffiti and passing through superheroes) in a way that’s fun and even a bit shocking. Their sheer size (tall and voluminous, but light) turns them into collectable contemporary sculptures (each vase is strictly hand-made using wooden moulds). The material they’re made from is a hand-worked, hand-colored resin poured into moulds in a somewhat hap-hazard way a bit like the way they make Easter eggs. Once the material sets the vase is detached and delicately removed from its mould. This means that the resin serves both a decorative and a structural function, turning into an almost magical substance that gives the piece its form. Sometimes the form becomes more rarified (the result of experimenting with the technique), so the formal references end up ranging from the real and proper vase to other completely different universes. Thus the pieces with flowers and leaves begin to take on the appearance of the classic wooden trellises of English gardens with their vines, while when butterflies settle on them they recall the iron cages of periods past. Welcome to Straatsma’s enchanted world full of stories. 135


Wack(Daikaijus serie) L’universo è quello dei game giapponesi con i mostri da combattere, i riferimenti SPAZIANO ALLA POP ART CON LE SCRITTE DA STRIP COMICS COME NEI QUADRI DI LICHTENSTEIN; la

superficie del vaso diventa pura comunicazione con versi che sarebbero piaciuti ai futuristi. Scritte e colore sU SFONDO BIANCO PER IL VASO WACK CHE FA PARTE DELLA SERIE DAIKAIJUS, un puro godimento “punk design”.

The universe is that of Japanese games with monsters to fight, with Pop

art references and captions like in a Lichtenstein painting. The surface of the vase becomes pure

communication with verses that the futurists would have loved. Captions and colors on a white background for the WACK VASE THAT’S PART

OF THE DAIKAIJUS SERIES, PURE “PUNK DESIGN” FUN.

ph Carmen Kemmink



Flood photographer : FabioCostĂŹ fashion : FilippoL.M.Biraghi&AndreaBoschetti hair&make-up: ChiaraGuizzetti@GreenApple fashionassistant : JoaoPauloDurao models : Sarah@Ice,/Pierre@Urban special thanks to : AntonioAmorena

HER : bodysuit&bootsMaisonMartinMargiela HIM : jacket&trousersBananaRepublic



HER : bodysuit,dress&bootsMaisonMartinMargiela HIM : waistcoat&trousersVivienneWestwoodMan



HIM : shirt&pants:Esprit



HER : bodysuit,dress&bootsMaisonMartinMargiela HIM : jacket&trousersCarloPignatelli



HER : bodysuitMaisonMartinMargiela



HER : bodysuit&dressMaisonMartinMargiela HIM : trousersHackettLondon



apalazzo.net

VISUAL

Painted Mask I, Collage, 2006, 54 x 40 cm, Courtesy A Palazzo Gallery, Brescia


REMIX

by Francesca Cogoni

Patchwork, assemblaggio, remix, collage, cut-up & paste... COME LA SI VOGLIA DENOTARE, LA PRATICA DEL PRELIEVO E DEL RIUTILIZZO DI IMMAGINI E OGGETTI È DA SEMPRE UNA FRA LE FAVORITE DAGLI ARTISTI CONTEMPORANEI E IL GIOCO DEI RICHIAMI E DEI RIFERIMENTI, espliciti o mascherati, casuali o intenzionali, è assai frequente. Si pesca da un bacino di proporzioni gigantesche, per poi proporre, attraverso il filtro della propria immaginazione, combinazioni di elementi, a volte sconnessi e inattesi, altre ben amalgamati, come una ricetta in cui tutti gli ingredienti sono dosati con la massima cura. OLIVER PIETSCH, JOHN STEZAKER E ANNA GALTAROSSA SONO TRE ARTISTI LA CUI RICERCA ESPRIME IN MODO ESEMPLARE TALE MODALITÀ OPERATIVA. Sebbene adottino tecniche e media differenti (rispettivamente video, fotografia e scultura), essi sono accomunati dalla geniale capacità di creare opere d’arte che sono mix esplosivi di frammenti animati da nuova vita. Il collante? Il gusto e l’inclinazione per la raccolta e per lo stravolgimento visivo. Patchwork, assembly, remix, collage, cut & paste... whatever you want to call it, THE PRACTICE OF TAKING AND REUSING IMAGES AND OBJECTS HAS ALWAYS BEEN A FAVORITE OF CONTEMPORARY ARTISTS, and the game of recalls and references, whether explicit or veiled, CASUAL OR INTENTIONAL, IS SOMETHING WE SEE ALL THE TIME. They draw from an immense database, and then through the filter of their own imagination, propose combinations of elements sometimes disjointed and surprising, other times well amalgamated like in a recipe where all the ingredients are measured with the greatest care. Oliver Pietsch, John Stezaker and Anna Galtarossa are three artists whose personal research offers an exemplary EXPRESSION OF THIS MODUS OPERANDI. ALTHOUGH THEY USE DIFFERENT TECHNIQUES AND MEDIA (VIDEO, PHOTOGRAPHY AND SCULPTURE RESPECTIVELY), THEY ALL SHARE THE SAME GENIAL CAPACITY TO CREATE WORKS OF ART THAT ARE EXPLOSIVE MIXTURES OF FRAGMENTS ANIMATED BY NEW LIFE. THE GLUE? THE TASTE AND INCLINATION FOR COLLECTION AND VISUAL DISRUPTION.

(parole chiave: innesto fisionomico, ibridazione surreale, eleganza del grottesco) L’inglese John Stezaker, classe 1949, fin dagli anni Settanta è un virtuoso del collage, tecnica mediante la quale elabora composizioni al contempo raffinate e destabilizzanti. Cartoline e foto d’epoca, vecchie immagini pubblicitarie e locandine, santini, ritratti hollywoodiani e icone glamour estrapolate da libri e riviste rappresentano la materia prima di Stezaker. Le sue

opere sono ibridazioni surreali in cui i soggetti vengono sfigurati attraverso l’innesto disarmonico di più volti (come nella serie Marriage), o mediante l’inserimento di un antico dipinto (Painted Mask), o ancora la sovrapposizione di cartoline paesaggistiche (Sense). Senso e identità originari scompaiono per lasciare spazio a nuove significazioni

e suggestioni. Le immagini recuperate e rielaborate da Stezaker manifestano una forte predilezione per l’assurdo, per l’abbinamento inatteso e grottesco, e mentre la percezione comune vacilla, lo sguardo resta ammaliato da figure tanto sconosciute quanto cariche di fascino. (key words: physionomic grafting, surreal hybridization, elegance of the grotesque) English-born John Stezaker, class of 1949, since the ‘seventies has been a virtuoso of collage, the technique he uses to create compositions that are elegant but at the same time destabilizing. Period postcards and photos, images from old adverts and billboards, saints, Hollywood portraits and glamour icons extrapolated from books and magazines are his raw materials.

His works are surreal hybridizations in which the subjects are disfigured by the disharmonic grafting of several faces (like in the series Marriage), or through the insertion of an old painting (Painted Mask), or even the superimposition of landscape postcards (Sense). The original sense and identity disappear leaving space for new meanings and suggestions. The images that Stezaker recovers and reworks show a strong predilection for the absurd, for unexpected and grotesque combinations, and while the common sense of perception vacillates, the gaze is captivated by figures as unknown as fascinating.

John Stezaker

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carasi.it

VISUAL

(parole chiave: “smontaggio” cinematografico, narrazione alterata, decostruzione filmica) È il cinema il bacino da cui pesca a piene mani Oliver Pietsch, nato a Monaco nel 1972 ma con base a Berlino. I video dell’artista tedesco sono il risultato di un accurato lavoro di selezione e montaggio di scene e frame estratti da film noti e non. Attorno a precise tematiche, spesso conturbanti e scomode, l’artista tedesco imbastisce opere video dal carattere accattivante, grazie anche alla scelta di coinvolgenti colonne sonore che amplificano la forza, a volte corrosiva, altre volte catartica, del flusso visivo. Saccheggiando il vasto archivio cinematografico, Pietsch diventa regista di inedite e concitate narrazioni. Maybe Not (2005), per esempio, presenta una carrellata di sequenze il cui comune denominatore è l’atto del cadere nel vuoto. L’EFFETTO È STRUGGENTE E INQUIETANTE. In Domin, Libra Nos (2006) il leitmotiv è per stomaci forti: uno dopo l’altro, sullo schermo si susseguono decine di colpi d’arma da fuoco alla testa. Come magnetizzato, lo spettatore è spinto a individuare i film da cui Pietsch ha attinto le scene. La droga, in tutte le sue forme e modalità di assunzione è invece protagonista di The Conquest of Happiness: quaranta minuti di “stupefacente” mixaggio visivo. (key words: cinematographic “de-editing”, altered narration, filmic deconstruction). For Oliver Pietsch, born in Munich in 1972 but now based in Berlin, cinema is the source he draws on with both hands. The videos of this German artist are the result of attentive selection and editing of scenes and frames extracted from films, both famous and otherwise. Around precise themes, often disturbing and uncomfortable, the artist creates captivating video works, thanks also to the choice of soundtracks that amplify the force, at times corrosive, at others cathartic, of the flow of images. Plundering the vast archive that is cinema,

Pietsch becomes the director of concitated narrations never before seen. Maybe Not (2005), for example, presents a carousel of sequences in which the

common denominator is the act of falling into the void. The effect is harrowing and disturbing. In Domin, Libra Nos (2006) the leitmotiv is for the strong of stomach: one after the other in succession on the screen dozens of shots to the head. TRANSFIXED, THE

OBSERVER IS PUSHED TO GUESS THE FILMS FROM WHICH PIETSCH TOOK THE SCENES. Drugs, in all forms and methods of assumption, are instead the protagonist of The Conquest of Happiness: forty minutes of “stupefying” visual mixing.

Maybe Not, 2005, video (found footage, 04’:25”), Courtesy The Flat, Massimo Carasi, Milano


REMIX

Oliver Pietsch


studiolacitta.it

VISUAL

(parole chiave: stratificazione materica, ipercromatismo, pop tribale) Le sculture di Anna Galtarossa (Verona, 1975) sono folli agglomerati di materiali e colori.

È facile perdersi a osservare gli infiniti elementi che le compongono, posti assieme a formare entità visionarie e polimorfe. CATAPULTATO IN UN MONDO PARALLELO, LO SPETTATORE NON PUÒ CHE LASCIARSI INCANTARE DA QUESTE CREATURE SOSPESE TRA SOGNO E REALTÀ. Per dar loro

vita, l’artista setaccia non solo la soffitta di casa o il mercato delle pulci (stoffe, pailettes, legno, piume, feltro, cartapesta, conchiglie... la lista è infinita!) ma anche quell’immaginario collettivo legato a dimensioni extraumane e sovrannaturali. Oltre ai recenti Totem e Divinità Domestiche, Anna Galtarossa ha realizzato negli anni passati imponenti installazioni, tra cui le fantastiche opere di arte pubblica Chili Moon Town e Homeless Rocket with Chandeliers (entrambe realizzate nel 2007, in collaborazione con l’artista argentino Daniel González), e il Mostro di Castelvecchio (2009), bizzarra scultura meccanica itinerante. (key words: material stratification, hyperchromatism, tribal pop) The sculptures of Anna Galtarossa (Verona, 1975) are crazy agglomerations of materials and colors. IT’S EASY TO LOSE YOURSELF STUDYING THE INFINITY OF ELEMENTS

THAT MAKE THEM UP, PLACED TOGETHER TO FORM VISIONARY AND POLYMORPHIC ENTITIES. Catapulted into a parallel world, the only choice for

the observer is to be enchanted by these creatures suspended between dream and reality. To give them life, the artist rummages not only in attics and flea-markets (for cloth, sequins, wood, feathers, felt, papier-mâché, sea-shells…the list goes on forever!) but also in that collective imagination linked with extra-human and supernatural dimensions. In addition to the recent Totem and Divinità Domestiche, in the past Anna Galtarossa has realized some truly imposing installations, including the fantastic public artworks Chili Moon Town and Homeless Rocket with Chandeliers (both realized in 2007 in collaboration with the Argentinean artist Daniel González), and the Mostro di Castelvecchio (2009), a bizarre itinerant mechanical sculpture.

Divinità Domestiche, Gli Antenati, bags, pom-poms, cloth flowers, cypress wood, paper mache, sequins, shells, cloth, rollers, wig, 2010, 105 x 70 x 40 cm, Courtesy Studio la Città, Verona, ph Michele Sereni


REMIX

Anna Galtarossa


SLEEPING OR WAKING?

Hallucinations on the works of Karla Black, Christian Holstad and Katharina Fritsch by Milovan Farronato

simil goda e più a p a a un festazion susopr ni a ndi a c i nerp o latte, m prono gra ndono i i s o diste bianc e rico ni balen arco mella in i cadono alcano e oncrezio n U c c r . e i ra c i t e g r i a d t v e i l t e e s r o o di ul he app una tor ?P m a c l o l u e l e o c i o c z r t n i tu ti i oc sto tio to, na list gges li, accan zata: po ntuosi. R opra que iviata, u vvista di nnou s i o i d S liz E m rch pro uegli tasie a.... è rea re profili nto, to, a e ggio? i, fan osa virat le in cui mira li accon escreme appesi, q nvincent r a o n n l g u o e r c a i o o i s t r E i i i r t c o d o . d d e l e i t l e e t co tta dio ma agg te a fazzo aren vinto a in Tripu uziale, tu ente del a dispos un paes trasp ta di tort me quei ggia con t e n c È a n n i i a . t a i o c t e v t tor .C on ret a fe ech rtoc one. loph ta e c rta acca rie e omb so in cel orpulent ro. Deriva egatura re di sap t e r i d c s o b ca lo di di cip ome e od rasco gom ci di perfi ui colori cielo bur spoglie c siduo. In Un cumu e un acr d n . e nei te ifesta un o mentite imane. R e brame” rno perva n r tt o tr si ma alizza so Ma terra delle nos tutto int E “ . u . i s o i o h s v si ecc ratifican l ca ri de di sp t deco imulacri i che si s s il centi rie infant o mem


A blaze of co lours, fantas ies of sugges pagoda, all of tions and ap faded pink... petites. A ra and there al manifestatio inbow arches ongside, a tw n of the mat over a weddi in tower, milk erial in which crumpled pa ng-cake-like -white, the m it’s made: po per arranged ost direct an lystyrene? D to design profi colours of ey d convincing us ts falls and les of mount eshadow an covers gran ains. Rocks d face-powde a stormy sky d areas of that crowd to r. Is it a land in transparen open out into scape or a m t cellophane. a corpulent the tenuous irage? Above And there, ar slice of excr th is mound of em ch en iv But earth it re ed, a clump t-coloured ca co ncretio of mains. Resid ke, with all th ue. Encumbr e decorations earth sees itself in the gu ns simulacra of ance. Drifted. mirrors mirror ise of of the case. Like those ha s ‘on the wall�. of infancy th nging handke A mound of sa at settle in la rchiefs, thos wdust echoes yers. And al e innocent l around the , convinced an pervasive, ac d convincing,m rid smell of so emories ap.

Scotland+Venice, Installation Image Palazzo Pisani, [detail], Karla Black

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flora e/o un alseppia la sabbia e portato a riva un’insolita Una mareggiata ha tinto d’inchiostro nero di arsi simili pales loro nel e tipich urazioni astratte, a tratti arche trettanto bizzarra fauna marina. Sono config ntano prese Si ta. nquis qualu o umism Cons ente venturo a simulacri del recente, presente e verosimilm nuto asconte o stess loro del rica mate a stenz consi la o come carrelli della spesa che hanno conquistat neppure i un’immediata abbuffata. Non hanno trattenuto sente. Non sono colmi e stracolmi di beni per carnivora una di coli tenta come rano lici significanti. Si most prodotti a lunga scadenza. Sono vuoti, semp luce del alla cinata abba e giata Spiag are. afferr riesce ad dea Medusa che tutto vorrebbe a sé e nulla ia et sabb di lli grane ai A imprimere la sua profana sindone sole è destinata ancora alla consunzione? ne inden nno rvera conse la anni e che ha ingurgitato per anni requiescat in pace? O le sostanze plastiche in una morte eterna?


and/or equally bid ashore an unusual flower d with black sepia and dragge l in their revelations A high tide has tinted the san rations, at times archetypa na. They are abstract configu e shopping trolleys zarre example of marine fau Indifferent consumerism. Lik , present and likely future. longer brimming and like simulacra of the recent ir very absent content. No material consistency of the long life stuff. They are that have conquered the didn’t even keep hold of the an immediate binge. They beast of the goddess overflowing with goods for tentacles of a carnivorous y show themselves as the dazzled in the light empty, simply significant. The to grasp. Washed up and to itself and never managing of sand et requieMedusa drawing everything profane shroud in the grains consumption? To imprint its an eternal death? of day and still destined for ed for years keep it fresh in stic substances it has consum scat in pace? Or do the pla

Christian Holstad, Medusa, [detail], 2010


So n o tesor le medus i e coba sui fonda che pop l l o e e sen no. Si pa i marini n lano i no eri co stri m suali vone M m g c a g o a r e i i m a i c l n a n e o la sb verità nu se voles o, si gonfi pece. So n strani m sero iadita lla re disp ano la ch no medu archi e gall sta sco e g g i are è perta di loro; alcu orsi di fro ioma, la se imbel tanti orp elli. S lettat una nte a n mi incre atter qu e st ll’ o s ra n o p d e t a n ella p alche bo ro da sv bbiettivo ano e la alle sfum o medus ttig e e c ro d a i f n o n c dità d lia priva lare; alcu i un fotog otonano. ture dei color erca di no s rafo, di me Si re el lor c i c a o a b isso. ssaggio oop per c lla penn linano se dell’ard’am ellat Il ca ui a duc a e r r o r r n d o r e e ti i s l l o è vuoto che non sire. Sol un pittore o, qu . aven , la s a d p e s a è fini o più forz e là, ta. a pe r


Christian Holstad, Medusas Adrift in the Great Pacific Garbage Patch, 2009

in as dus f the Me o ls. d es inse nuanc tive an of t o c lots by the e sedu y are n e d and lin the f som gs tifie h rec rkin beau They in trut very o s of its ma s t t. th co nge edusa ssing i ter. Bu ed dis in dep stra m flo ain fad nded with y are and ap a the eas The urling kes of here, t has l t c a ur s ch. ro te o as pit rowns, ush st re and ay aflo k pula br rc i , he to st e t e s h blac t po tha beds well th lens, t op. Ju rength t as s dus n sea strut, pher’s ing sco t the s me he ures o . They otogra arrass ing los s re t ow a ph emb t hav b ya trea The ch of he rain ng for al, no ge tha r t i sea rs of f pos o reve messa i u t l as stery s love one. colo y sua it sen , no m ed of ing is d g p trip shopp thin tle s bot s. The s aby


o che lino il cap te. c re i, h c c spetta do gli o ese e ina olinità rdo, chiu tt a a u in g s à it lo d sc ton sso cubo. Ma ichiara ro ioni abba solo un in a armonia, ma ità che d ueste vis ic è q s e fi in rs a e n fo u ri lt a so e, in à. M pensie , di una ri o. Come quelle mia nudit gli pertien in questi nciamento rp che non ia, per la a o rr o il Costretto c a b rp z io o iz te c m b n n e il ento. Mi a in u anifesta convinc dentro m n a u ta rz ’inquinam itorie. i s ll d fo e sprofond e u a d n q o rc ri r c e c e c p la ri ta u o ta z z o trans iolen ra sim cificata Ho imbara testa è v ivenute o e e quanto eteree più in pa d ia n o e m n n o à la v it a il e np iastr e femmin no nell’altro, com t coda di u anto dolc head tha l’u ti come la ri. Non importa qu o. n ia rg a , rest my incastrati g s s e li m e y g a ri e lv e I lo o v y . o s p s c ri m e ss se dai o al ia, le meduse gaze, clo expected roundne re. Male e, l’infanz un po’, almeno fin a n lower my r olo le tort u I s e tm s p h s o n re ig n ra n io la ta o c s is c a re ese v that de ’s just th nere an it y e d s it tt n p ic a ut locked a a s b tr y , rh o ts h y e li . But p Le vog harmon s e though elong to, into a p s s te e urs e n lu th d o s e k in d b y na of a re laring colo , Constricte body it does not as with b tion, for m vincing balance, s es ta u k s d a e c e if n e m a a e th n r a co ins are izarre m ike thos fo a b L sinks into h . m y is rc d re a th o t e r b a ld s to ho on in my sed fo . All th acific nt. I want the force embarras no longer in the p f pollution ie y o s b n ra d a c e tr p la d u an le is ra ethereal me the sim my head and fema now beco ly sweet and how other, like e v e a th h h in ic k e on il, wh w sic cock’s ta matter ho like a pea the dust. Doesn’t y, ake. the infanc r, at least ‘till I aw e g n lo le tt a li

Katharina Fritsch, 1. Garden Sculpture (Torso) e 1. Postcard (Essen), 2005-2006



Dreaming Marilyn Photographer Laura Villa Baroncelli & Manuele Geromini. Make up artist Hugo Villard. Hair stylist  Vincent de Moro. Stylist Yuanyi Jeff Lee. Assistant Stylist Hung Jun Lai. Special thanks to Doors Studio Paris, Machine Chine Vintage Paris.

Renate: blue dress and silver necklace with blue dimonds all by vintage (Machine Chine Paris) earring Chanel vintage, watch Cartier.



Matvey: leather shirt by Acne, Glasses Yves Saint Laurent.


Renata : Fur coat Spon Diogo (Door studio Paris), skirt vintage Yves Saint Laurent. Shoe Vintage. Matvey: white shirt Raf Simons, jacket Yves Saint Laurent.



Renate : print shirt vintage, skirt Agnes B vintage (machine chine paris). Matvey : leather shirt by Acne, belt by Marni, pants by Xander Zhou. Glasses Yves Saint Laurent. Renate : black jumper and belt by Spon Diogo (Door studio Paris) earring vintage.


Matvey: : Shirt by Perrret Schaad (Door studio Paris), Belge coat and pants by Xander Zhou, shoes by Gucci.


Renate: golden dress by vintage.


Renata: white sweater by Kristofer Kongshaug (Door studio Paris), necklace by ABRE (Door studio Paris). Matvey: White shirt by Raf Simons, suit by Pierre Cardin vintage.



SHOPPINGLIST 28.5 28dot5.com ABRE abre-bijoux.blogspot.com Acne acnestudios.com Agnes B vintage usa.agnesb.com Alessandro Debenedetti alessandrodebenedettistudio.com Alessia Xoccato alessiaxoccato.com Alexander McQueen alexandermcqueen.com Amen amenstyle.com Babbu babbu.it Banana Republic bananarepublic.com Bingabangles binglabangles.com Borsalino borsalino.com Bottega Veneta bottegaveneta.com Byblos byblos.it Carlo Pignatelli carlopignatelli.com Cartier cartier.it Chanel Vintage chanel.com CORAGROPPO coragroppo.com Corsine corsinelabedoli.com Cristiano Burani cristianoburani.com Dolce&Gabbana dolcegabbana.it Dsquared2 dsquared2.com Elisabetta Franchi elisabettafranchi.it Esprit esprit.com Fabrizio Talia esartisanal.com FRANKIE MORELLO frankiemorello.it Gaetano Navarra gaetanonavarra.com Gianluca Capannolo gianlucacapannolo.com Giorgio Armani armani.com Gnonga Negro gnonga-negro.com Gucci gucci.com

Hackett London hackett.com Haider Ackermann haiderackermann.be Htc Accessories htc.com Iceberg iceberg.com Jean Paul Gaultier jeanpaulgaultier.com Kelly Bergin kellybergin.us Kristofer Kongshaug kristoferkongshaug.com Krizia krizia.net Louis Vuitton louisvuitton.com Love inlovewithfashion.com Luciano Padovan lucianopadovan.com Maison Martin Margiela maisonmartinmargiela.com MANILA Grace manilagrace.com Mara Hoffman marahoffman.com Marni marni.com Millau portobellodesigners.com/millau.php M Missoni m-missoni.com Moschino moschino.it Perret Schaad perretschaad.com Pierre Cardin pierrecardin.com Prada prada.com Raf Simons rafsimons.com Rouse By Annabelle Lee rousebyannabellelee.com Schield schieldcollection.com Sermoneta sermonetagloves.com Sharra Pagano sharrapagano.it Spon Diogo spondiogo.com The LTD thelimited.com Ugo Cacciatori ugocacciatori.it Vivienne Westwood Man viviennewestwood.co.uk Xander Zhou xanderzhou.com Yves Saint Laurent ysl.com Z Zegna zzegna.com


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EDITOR IN CHIEF Francesca Sofia Chiapponi

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ART DIRECTOR Antonello Trio

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