In occasione dell’approssimarsi del centenario della nascita di Eladio Dieste, ritengo importante per diffondere la conoscenza, rendere disponibile questo articolo, pubblicato sulla rivista : Formas para la construccion, n. 5 ottobre 1982 - Cordoba Argentina, che costituisce il primo rendiconto completo scritto da Eladio Dieste dell’esperienza fatta con la “ceramica armada”. Copia di questa preziosa ed oramai introvabile rivista, mi è stata regalata dalla Prof. Arq. Adriana Guisasola della FAU di Mendoza (AR). Buona parte del testo era già stato tradotto da Juan Martin Piaggio e pubblicato su COSTRUIRE IN LATERIZIO n. 52-53, 1996, io l’ho solo completato e rieditato con le foto ed i disegni originali. Fausto Giovannardi fausto.giovannardi@gmail.com
2016.11.27 Foto del testo senza indicazioni dell’autore: arch. Mariano Arana, Ing. Eladio Dieste, Arq. Ezcurra, Sr. Jorge Ferrer, Ing. Eugenio Montañez, Arq. Navarro, Foto Ruétalo, ing. Marcelo Sasson, sr. J.D. Schilde, Ing. José Zorrilla. Every reasonable attempt has been made to identify owners of copyright. Errors or omissions will be corrected in subsequent editions.
A mo’ di prologo 1.Introduzione 2. La scelta del mattone 3. Volte gaussiane 4.Volte autoportanti 5. Chiesa di Atlantida 6. Chiesa di San Pedro 7. Silos orizzontali 8.Serbatoi d’acqua 9. Pareti di superficie rigata 10. Mercado de Maceió - Brasile 11. Deposito Julio Herrera y Obes nel porto di Montevideo 12. Agroindustria Massaro, a Juanico, Dep. Canalones 13. Obra Refresco del Norte 14. Copertura per una stazione di servizio di Benzina 15 Parador Ayuí 16 Cupole danneggiate della TEM 17 Conclusioni
A mo’ di prologo La rassegna che segue è la più completa mai fatta sul nostro lavoro. L’enfasi è stata posta sulla descrizione delle opere e sulla spiegazione dei metodi di costruzione. Questa è la cosa essenziale e la più difficile quando si tratta di tecnica. Sapere che qualcosa si può fare, e come, è il primo e più grande passo. Nella descrizione vi sono già, latenti, i concetti meccanici che sorreggono le soluzioni passate in rassegna, ma siamo andati oltre ed abbiamo esplicitato, senza gli sviluppi matematici che qui sarebbero fuori luogo, i metodi con cui vengono calcolate le strutture che descriviamo. Ci rimane da porre in evidenza una cosa ovvia, sebbene talvolta venga dimenticata: quello che esponiamo è un lavoro collettivo, non di una persona. È la società che fa le cose, quella presente e quella passata. Detto questo, è altrettanto ovvio che vi sono opere più solitarie di altre; ma anche nelle più solitarie, come la chiesa di Atlántida, vi è la collaborazione e l’aiuto di tutto ciò che ci ha formato e che ci sorregge. In altre, come la chiesa di Durazno, ed a partire da alcune idee di base molto semplici riguardanti funzione e struttura, l’opera prese la sua prima forma in stretta collaborazione con l’arch. Castro e l’ing. Romero. Non è esatto affermare che sono stati i miei collaboratori; abbiamo collaborato gli uni con gli altri al progetto. Altrettanto può dirsi delle tecniche qui in rassegna: la loro essenza era già nelle opere che ho realizzato nella seconda metà della decade dei ’40, ma è a partire dal ’53, quando abbiamo iniziato a lavorare con l’ing. Montañez, che si sono affermate ed hanno spiccato il volo. E tutti gli ingegneri, architetti, muratori che hanno lavorato con noi dovrebbero esseri citati. Per i gusci autoportanti, che richiedono così tanti chiarimenti concettuali, dovrei far cenno agli ing. Montañez, Sasson, Romero, Ramos e soprattutto all’ing. Zorrilla. Ma il carattere collettivo di ogni opera è per me talmente evidente che forse questi cenni invece di chiarire questa realtà, la rimpiccioliscono. Resti stabilito che so bene che è sempre una squadra e non una persona che fa le cose, e che, se pensiamo lucidamente, questa squadra deve estendersi alla società nel suo complesso. È sviluppo, sviluppo desiderabile, tutto quello che porta a far si che l’uomo sia più felice e si realizzi più pienamente. Chi conosce i paesi cosi detti sviluppati, seppure superficialmente sa quanto di questo è pura vacuità ed illusione,visto che niente ha a che vedere con la felicità ne con la pienezza dell’uomo. ED
1.Introduzione 1.Introduzione Tutti sappiamo che il mattone è stato usato nell’antichità in strutture che ancora oggi ci stupiscono (pensate a Roma) per la loro complessità, per la loro maestria costruttiva e per la loro audacia (audacia nonostante il loro aspetto massiccio che contribuisce anche esso al nostro stupore). Oggigiorno sarebbero quasi irrealizzabili economicamente. Questa pesantezza era dovuta alla necessità di evitare gli sforzi di trazione. Effettivamente, il problema del costruttore di ponti o edifici è di varcare vuoti o coprire spazi, per cui deve lottare contro la gravità, contro il peso; tuttavia, se deve evitare gli sforzi di trazione, è il peso stesso del materiale di cui è fatta l’opera, convenientemente disposto nello spazio, che la rende atta a resistere alle flessioni sempre inevitabili. Tutta la storia delle costruzioni, fino alla rivoluzione industriale, è la storia dei mezzi con cui l’ingegno e l’inventiva dell’uomo hanno fatto fronte alla necessità di lavorare con materiali che non resistevano a flessione, fatta eccezione (in questa visione globale) per il legno (in quanto appartenente ad un altro ambito costruttivo). Quando la Rivoluzione Industriale rese possibile l’impiego massiccio dell’acciaio, le costruzioni si liberarono dalla restrizione che implicava la necessità di evitare gli sforzi di trazione, sebbene la stessa razionalità costruttiva tenda a ridurle ancora oggi per quanto possibile, o meglio, a rendere compatibile, in modo da ottenere la massima economia, il loro costo con la semplificazione costruttiva che possono comportare. Da qui nasce il ritorno delle volte, delle cupole, delle strutture piegate, dapprima in c.a., poi in laterizio. Tutte le cose umane hanno una specie di inerzia; per questo le prime strutture in calcestruzzo copiarono quelle di ferro e quelle di laterizio armato (prefabbricando conci o travetti) quelle di calcestruzzo. Sin dalla prima opera la nostra strada è stata diversa (facendo tesoro ovviamente delle esperienze anteriori): alleare il laterizio armato alla casseratura mobile, che può essere impiegata qui molto più efficacemente di quanto non avessimo già fatto per costruire gusci in c.a. Questa indipendenza di fronte alle tecniche contemporanee ispirate al c.a. era dovuta al fatto che
ne ignoravamo l’esistenza; quando arrivammo a conoscerle avevamo già una quantità di lavoro realizzato e di riflessione personale sufficienti a farci vedere (le analisi dettagliate prendono molto più tempo) che la strada prescelta era fertile. E abbiamo continuato a percorrerla impiegando tutti i raffinamenti della tecnica attuale, senza alcuna preoccupazione folcloristica o falsamente tradizionalista, ma neppure copiando tecniche, e invece ricreandole. I nostri metodi costruttivi hanno molto a che fare con quelli tradizionali, ciò è imposto dal materiale, ma anche qui senza copiarli. Questo è il modo per restare fedeli al filo profondo della vera tradizione che è sempre la fonte delle cose rivoluzionarie, in questo come in ogni altro campo. Ogni problema costruttivo, nell’industria che conosco, dovrebbe essere affrontato con una specie d’ingenuità, non con l’animo di essere originale, ma con attitudine umile e vigilante. Pensarlo di nuovo, con la consapevolezza che è già patrimonio di tutti gli uomini, ma senza lasciarci impigliare in dettagli risolti da altri e con situazioni che hanno ben poco a che vedere con la nostra. ED
2. La scelta del mattone Più di una volta mi sono trovato davanti a persone sorprese, tra l’incredulo ed il divertito, circa il fatto che avessimo costruito grandi strutture laminari in mattoni, come lasciando supporre che si trattasse di una mania personale, intrasferibile e peritura, per la supposta complessità delle tecniche e dei metodi di calcolo adottati, e per il fatto che l’inevitabile evoluzione verso una civiltà industriale ad alta tecnologia avrebbe spazzato via le vestigia di tecniche che si suppongono superate. Non è così: le tecniche sono semplici ed economiche ed i metodi di calcolo (una volta superata la remora lasciata da una tradizione in materia non sempre felice) meno - e non più - complessi di quelli propri ad altre strutture laminari; quest’ultimo fatto chiaramente non in conseguenza del materiale o della tecnica impiegati. Sarebbe sciocco negare che dietro ad ognuna delle soluzioni qui passate in rassegna ci sia un’ingente mole di lavoro tecnico, ma non è quello che è dato di supporre bensì un altro, insieme più difficile e più facile, nel quale la forma pensata, i metodi di calcolo, la tecnica di esecuzione e la progettazione delle attrezzature necessarie, sono intimamente collegati fra di loro, richiedendo tutto il processo, più che una grande complessità analitica (sebbene talvolta, e nei casi più inaspettati ve ne sia), una specie di fedeltà vigile ai fondamenti della meccanica teorica e della resistenza dei materiali. Ci riferiremo più avanti al fatto se esse siano o meno, o meglio come lo siano, soluzioni “contropelo” nell’evoluzione della tecnica. Le opere che descriviamo ed illustriamo sono state fatte in mattoni, ma il materiale non è essenziale, essenziale è che esse vengano costruite con elementi che potrebbero essere stati di qualsiasi altro materiale; noi abbiamo scelto il mattone per una serie di motivi che crediamo conveniente esplicitare, poiché si riferiscono a fatti non sempre ben conosciuti: 1. La sua elevata resistenza meccanica. Pochi sanno che nei paesi industrializzati la grande massa del materiale prodotto ha una resistenza compresa tra i 500 ed i 1000 kg/cmq , e vi sono mattoni di prezzo accessibile che raggiungono i 1500 kg/cmq , resistenze che uguagliano o superano quelle dei migliori calcestruzzi. Anche in Uruguay, Argentina, Brasile, ecc., vi sono mattoni di elevata qualità. 2. Con la terracotta sono possibili elementi di una leggerezza inarrivabile col calcestruzzo o col cemento. E questa leggerezza si mantiene nell’assemblarlo per costruire pezzi di dimensioni paragonabili a quelle usuali nel calcestruzzo armato o nel ferrocemento. 3. A parità di resistenza il mattone ha un modulo di elasticità minore del calcestruzzo, la quale cosa è un vantaggio e non un inconveniente, poiché conferisce alla struttura una maggiore adattabilità alle deformazioni. Il rischio di svergolamento, se esistesse, potrebbe essere ovviato impiegando soluzioni come quelle da noi usate nei gusci gaussiani, che aumentano di poco il peso ed il costo. 4. Buon invecchiamento: con un minimo di cure la struttura invecchia meglio di quelle in calcestruzzo e resiste anche meglio agli sbalzi di temperatura. 5. Contrariamente a quanto potrebbe supporsi, le riparazioni, le sostituzioni o le aggiunte, si notano meno che in una struttura di calcestruzzo a vista. 6. Buon isolamento termico della massa di terracotta, incrementata ulteriormente dalla possibilità di introdurvi dei vuoti, sia quelli a tutti noti dei pezzi prodotti per estrusione o pressatura, sia quelli che potrebbero aversi includendo nella sua massa dei granuli di argilla espansa. 7. Miglior comportamento acustico dovuto al minor modulo di elasticità (E) e per la facilità con cui si fanno in laterizio forme acusticamente convenienti.
8. Capacità di regolazione “naturale” dell’umidità ambientale, di effetto più grande di quanto non potrebbe supporsi. 9. La superficie, confrontata con una in calcestruzzo (esprimendomi deliberatamente in forma non tecnica), irraggia meno calore d’estate e ce ne sottrae meno d’inverno. 10. Con le tecniche di fabbricazione correnti e con una razionalizzazione globale dell’industria, è possibile ottenere un prezzo a metro cubo di materiale prodotto non paragonabile a quello di alcun altro materiale di qualità simile. 11. In molti casi di cui sono esempio le opere qui esaminate, anche il costo della struttura è molto basso, non facilmente raggiungibile con altri materiali di qualità equivalente. È legittimo parlare del materiale poiché i processi costruttivi e le forme strutturali a cui faremo riferimento nel seguito lo presuppongono in misura maggiore o minore. Conviene sottolineare che questa economia non è indipendente da una facilità naturale e molto ampia che hanno i nostri muratori per apprendere le tecniche necessarie; sia perché discendono da popoli con tradizioni costruttive in quel senso, sia, più probabilmente, perché al livello economico in cui si trovano i nostri paesi si danno le condizioni affinché queste attitudini si sviluppino.
3. Volte gaussiane Il primo guscio di mattoni che abbiamo costruito, più di trent’anni fa [sessanta per chi legge - N.d.T.], era un lamina cilindrica che scaricava su travi di calcestruzzo; le spinte venivano contrastate da normali tiranti di ferro. Già allora ci siamo resi conto di alcuni fatti essenziali i quali formarono un’immagine che è stata il filo conduttore nell’evoluzione di una tecnica e di una forma, il cui risultato finale sono le volte gaussiane: 1) L’insieme mattone-malta-ferro si comporta come un’unità strutturalmente fattibile. Questo è stato il fatto basilare a partire dal quale si poteva cominciare a pensare ed intuire. 2) Abbiamo scelto come direttrice la catenaria, per cui il peso proprio produce compressione semplice; e questa compressione rende la struttura atta a sopportare le flessioni. Questa attitudine aumenta molto se consideriamo un “minimo costruttivo” di armatura. 3) Gli sforzi di compressione dovuti al peso proprio sono indipendenti dalla sezione, poiché lo sforzo normale è proporzionale al peso per unità di sviluppo, cioè alla sezione. Questi sforzi sono bassi: in una volta di 100 m di luce e 10 m di freccia la compressione è di 27 kg/cmq , supponendo un peso specifico medio di 2 tonnellate/mc. 4) L’armatura minima assicura che una parte importante della lunghezza del guscio (ampiamente sufficiente ad assicurare tensioni ammissibili con ipotesi di calcolo semplici) si comporti come un’unità elastica a fronte dei carichi concentrati. 5) Considerando che l’unico materiale che indurisce è quello dei giunti e che la presa dell’impasto fa sì che la malta assuma rapidamente una resistenza che, sebbene ridotta, può essere sufficiente, si intuisce subito che, per disarmare la volta, non è necessario aspettare l’indurimento normale della malta. Questo è stato confermato dalle prove non solo per volte piccole ma anche per grandi strutture. Sebbene questi primi esperimenti fossero guidati da intuizioni, ogni passo venne controllato da una grande (e spesso ingenua e maldestra) mole di lavoro di calcolo. Le capacità di sintesi e di analisi sono interdipendenti; quella visione di cui parlavamo prima si ottiene con molto lavoro. È opportuno chiarire questo punto poiché è facile cadere in uno di due errori: o sottovalutare tutto quel che non è analisi matematica (che ha bisogno di materiale non matematico su cui applicarsi), o supporre che la creazione sia figlia di un’intuizione magica che, come si può immaginare, non esiste. Volendo aumentare le luci da coprire, quello che abbiamo appena detto ci mostra che il problema non sono gli sforzi dovuti al peso proprio, ma piuttosto le flessioni, sempre inevitabili, e il rischio di svergolamento. L’aspetto analitico di questo problema non è semplice (ne parleremo più avanti) ma è ovvio che per far fronte allo svergolamento e alle flessioni è opportuno aumentare la rigidità del guscio. La soluzione corrente è (o era) di disporre degli archi di irrigidimento al di sopra o al di sotto della volta, che non è una buona soluzione poiché crea brusche discontinuità di sezione che alterano in modo poco opportuno il regime elastico della membrana, complicando la casseratura e il disarmo se vengono posti all'intradosso, e, se sull’estradosso, sono fonte di fessure tra i due elementi, lamina ed arco, di spessori così diversi. È molto meglio ondulare la volta longitudinalmente, aumentando così la sua rigidità senza aumentare se non lievemente il suo sviluppo ed il suo peso, senza creare discontinuità nella sezione trasversale.
Ma l’ondulazione costante su tutto lo sviluppo trasversale non risolve bene il problema perché costringe ad appoggiare la volta su elementi resistenti di larghezza pari all’ampiezza dell’onda più lo spessore della volta, che sono antieconomici e pesanti, oppure a complicati sistemi per scaricare gli sforzi. Abbiamo risolto queste difficoltà rendendo variabile l’ampiezza dell’onda della volta, da un massimo in corrispondenza della chiave, a zero contro gli elementi resistenti di bordo, i quali possono pertanto essere fatti in maniera economica, di spessore ridotto quanto quello della volta stessa. Questi sono i fondamenti statici della forma geometrica della volta, che si ottiene quindi spostando una catenaria a corda fissa e freccia variabile, compresa in un piano verticale mobile il quale trasla, mantenendosi parallelo ad un altro piano verticale fisso, in modo che gli estremi di queste catenarie percorrano due rette parallele, generalmente contenute in uno stesso piano orizzontale. A partire da questa forma base si può ottenere un altro tipo di superficie gaussiana, quando sia desiderabile un’illuminazione opportunamente orientata. Il risultato è una copertura simile ai conoidi a denti di sega, ma con possibilità, quanto a luci che è possibile coprire, non raggiungibili economicamente coi conoidi correnti in calcestruzzo armato. Le virtù resistenti delle strutture che cerchiamo dipendono più dalla forma, per mezzo di essa sono stabili, non per un accumulo goffo di materia, e niente c’è di più nobile ed elegante da un punto di vista intellettuale che questo: resistere per la forma, e nient’altro che ci impone più responsabilità plastica. ED
Mostriamo –nella pagina seguente - prospettive schematiche dei due tipi di volta gaussiana (fig.1) e dettagli degli elementi indispensabili per costruire questo tipo di copertura (Fig. 2a,2b). La forma di tetto descritta è conveniente a causa dell’economia di materiali che consente, ma presenterebbe grandi difficoltà costruttive se venisse realizzata con le tecniche usuali del c.a., che comporterebbero la casseratura completa o un cassero mobile di dimensioni rilevanti che rendesse possibili le modalità di lavoro e i tempi di disarmo propri di questo modo di costruire. Queste difficoltà vengono meno se si realizza la copertura in mattoni nel modo seguente. Supponiamo di disporre di un cassero la cui forma fosse quella già descritta e di aver costruito una struttura che sia in grado di sopportare gli sforzi che la volta gli trasmette. Supponiamo inoltre di aver riempito questo cassero con conci perfettamente tagliati e che questi siano vincolati longitudinalmente in modo che la lamina a doppia curvatura possa comportarsi come un’unità. Se i conci avessero la necessaria resistenza a compressione, se la lamina nel suo insieme non si svergolasse e se la struttura di sostegno resistesse agli sforzi che gli trasmette la volta, si potrebbe rimuovere il cassero immediatamente dopo averlo riempito e la volta sarebbe, non soltanto stabile per il suo peso proprio, ma la compressione dovuta allo sforzo normale gli permetterebbe di sopportare carichi che modificassero, entro certi limiti, la curva delle pressioni. Ma i mattoni non sono conci perfettamente tagliati e si rende quindi indispensabile frapporre tra di essi un qualche materiale che trasmetta gli sforzi in modo regolare. Per costruire quindi la volta si dispongono i mattoni (o le pignatte cave usuali) secondo le diverse catenarie, unendole con malta di sabbia e cemento che si cerca di far sì che riempia tutta la sezione trasversale, facendo inoltre il giunto tra pezzo e pezzo il più piccolo possibile. Siccome in genere non ci starà un numero intero di pezzi si dovrà tagliare almeno uno di essi.
Per motivi di finitura può essere opportuno tagliarne più d’uno per avere continuità nei giunti. Quel che noi facciamo è di segnare il cassero, formando una scacchiera di circa un metro di lato, e di preparare i pochi pezzi di misura speciale necessari ad ottenere giunti regolari. Poiché le catenarie hanno frecce diverse, anche le loro tensioni saranno diverse e, di conseguenza, anche i loro accorciamenti quando vengono caricate; differenze rese più importanti dal fatto che la scasseratura avviene in tempi molto ristretti. Quelle con freccia minore sono, ovviamente, quelle che si assestano maggiormente, e si capisce facilmente che se non si vincolano longitudinalmente gli archi fra di loro, potrebbero prodursi tra di essi delle fessurazioni trasversali, invalidando quindi tutte le considerazioni che abbiamo fatto all’inizio sulla rigidità che la doppia curvatura conferisce alla lamina. Si rende quindi indispensabile dare continuità longitudinale alla membrana. Per far ciò disponiamo un’armatura longitudinale che, nel caso si usino mattoni, va messa semplicemente nel giunto longitudinale tra pezzo e pezzo. Quando si adoperano le pignatte, quest’armatura viene disposta tra due file di pignatte facendo un intaglio nei pezzi della fila più vicina all’imposta, le quali restano tutte, naturalmente, da uno stesso lato dell’armatura. (fig.3) In questo modo si ottiene che il giunto che contiene l'armatura longitudinale abbia la stessa larghezza degli altri. Affinché l’armatura resti inglobata nella malta i buchi delle pignatte adiacenti l’armatura vengono preventivamente riempiti con uno strato sottile della stessa malta. Con gli intagli si evitano inoltre le concentrazioni di tensioni che produrrebbe l’armatura contro le pareti delle pignatte quando si effettua la scasseratura rapida di cui parliamo più avanti. Le nervature trasversali tra pignatta e pignatta, o i giunti trasversali tra mattone e mattone, vengono inoltre armate con un minimo di due ferri ø 6 mm (sufficienti per resistere alle flessioni anche nelle volte più grandi costruite finora) e poi riempite di malta, e la volta viene infine completata con una cappa di sabbia e cemento armata con una rete elettrosaldata a maglie fini. Non appena il cassero è stato riempito, disponiamo di una lamina a doppia curvatura con le seguenti caratteristiche: 1. Mediante l’ondulazione già descritta abbiamo potuto irrigidirla a volontà. 2. Le parti che non hanno ancora fatto presa, cioè i giunti, rappresentano una percentuale molto bassa della superficie totale, circa il 2%. 3. Nei giunti tra i pezzi vi è una maglia di ferri che costituisce una vera e propria rete i cui elementi longitudinali sono a contatto, attraverso la malta, con le facce dei conci che lavoreranno a compressione. Ne consegue la possibilità di scasseratura rapida di cui abbiamo parlato, che rende economicamente fattibile questo guscio. Il tempo che conviene attendere, affinché la malta abbia una resistenza che assicuri una buona distribuzione degli sforzi, è stato, nei casi sperimentati, di circa tre ore per le volte di 15 m di luce e di circa 14 ore per le volte con 50 m di luce. Non va dimenticato che anche nell’attimo della scasseratura la volta lavorerà come lamina gaussiana, resa solidale in senso trasversale dalla stessa forza di gravità, e in senso longitudinale dai ferri di armatura disposti in questo senso, che la compressione trasversale vincola ai diversi mattoni o pignatte; e cioè che anche in questo caso è la forza di gravità, in ultima analisi, che trasforma la lamina, i cui giunti hanno fatto presa in modo imperfetto, in un tutto solidale. Nel momento della scasseratura questi giunti sono delle vere e proprie semi-articolazioni che abbassano il modulo di elasticità del guscio nel suo insieme. Quando si studia il carico critico di svergolamento bisogna prendere in considerazione la situazione della struttura nel momento della messa sotto carico; avremo pertanto un coefficiente di sicurezza transitorio minore di quello definitivo (essendo l’E transitorio minore di quello definitivo). È opportuno sottolineare che in conseguenza di ciò ogni scasseratura diventa una prova di carico nelle condizioni più sfavorevoli. Con la tecnica che abbiamo descritto è possibile un ritmo continuo di lavoro con un cassero che è una piccola frazione della superficie da coprire; sebbene il cassero sia unitariamente costoso, dato che lo si impiega svariate volte il suo costo pesa molto poco sul costo finale della struttura.
La rigidità della lamina appena scasserata è molto buona. (Fig.4) Va evidenziato un vantaggio addizionale dell’ondulazione: con essa si ottiene un buon comportamento acustico; le onde sonore incidono sulla superficie della copertura con diversi angoli con conseguente dissipazione dell’energia sonora. (Fig.4) Questa struttura, di 42 m. di luce, terminata alle 17 del giorno precedente, si disarmò alle 7 della mattina seguente, abbassando la cassaforma a 10 cm di distanza dalla volta, per sicurezza in caso di non resistenza. Si costruirono ringhiere di protezione, si segnarono le posizioni per avere un carico ordinato e si caricò con la totalità degli operai che lavoravano all’opera, arrivando al carico completo ( qualcosa più di 4 ton.) appena 16 ore dopo aver terminato la costruzione della volta e due ore dopo di averla disarmata. ED In fondo si vede in piedi l’ing. Eladio Dieste.
Per la costruzione della casseratura vi è una parte principale di ferro, che si può adattare a diverse luci, e il cassero viene poi completato con tavole di legno. La trave superiore di questo cassero viene normalmente montata a terra e sollevata fino alla sua posizione definitiva, e la centina viene completata man mano che la si tira su. (fig.5) Il cassero ha dei martinetti meccanici per poterlo sollevare ed abbassare dolcemente e dispositivi semplici per far passare la catena quando questa viene lasciata a vista all’interno dell’edificio. Siamo arrivati a farne una macchina semplice con la quale la volta viene “fabbricata” in modo altrettanto semplice e sicuro.
(Fig.5) Non è una buona foto, ma non ne ho di migliori. La cassaforma è molto interessante anche come forma, mi fa sempre pensare allo scheletro di un animale gigantesco. È molto difficile da fotografare per la sua leggerezza e quasi immaterialità. Sono sempre stato colpito dalla capacità dell’occhio umano, che trascura quello che non interessa e centra l’attenzione sull’essenziale. Questo della cassaforma è un buon esempio di quello che non si riesce, o non ci sono riusciti i fotografi che lo hanno cercato, di dare con la fotografia quello che l’occhio percepisce tanto chiaramente. La foto risulta sempre confusa quando c’è sola la struttura di sostegno e, quando c’è il tavolato, si vede solo quello. ED
Per l’esecuzione della volta non occorre manodopera molto specializzata ed è facile ottenere un buon livello di finitura. Il comportamento nel tempo è molto buono. Predisponendo una rete adeguata nella cappa di sabbia e cemento si ottiene un efficace controllo delle fessurazioni dovute al ritiro della malta ed alle variazioni di temperatura, potendosi così eliminare l’impermeabilizzazione. Onde evitare brusche variazioni termiche nello strato superiore della malta e per isolare meglio il locale voltato siamo soliti dipingere la superficie di malta con pittura bianca. Oramai facciamo i tiranti in cavi post-tesi in guaine di plastica ad iniezione, ma talvolta dobbiamo, ancora oggi, impiegare ferro da armature, che viene allora disposto in numero pari per ogni tirante, coi ferri inizialmente separati e messi in tensione per pinzatura. Si pone quindi un problema di cui merita parlare per la fertilità tecnica che ha o che potrebbe avere. È (o era) uso sospendere questi tiranti per evitare che la sovrapposizione degli sforzi di trazione, dovuti alla spinta ed alla flessione del peso proprio, superasse quelle ammissibili, soluzione costosa e antiestetica. Lo studio teorico del problema, cioè la coesistenza di sforzi di trazione lungo l’asse del pezzo e di carichi trasversali ad esso, è semplice, analogo a quello della coesistenza di compressione assiale e di carichi laterali trattato negli studi sullo svergolamento. Pensavamo, prima e dopo aver fatto lo studio analitico corrispondente, che il non sospendere il tirante ed il fatto che nell'incastro di quest’ultimo si raggiungesse la tensione di “fluage” del ferro non potessero modificare il coefficiente di sicurezza. Siccome la prova del pezzo nelle condizioni reali è impraticabile, abbiamo riprodotto in laboratorio le condizioni di tensoflessione della sezione di incastro mettendo in trazione un tondino di ferro,opportunamente incastrato alle estremità nelle ganasce della macchina di prova, con un carico laterale che riproducesse le tensioni di trazione e di
flessione in opera. Il carico laterale veniva aumentato man mano in modo da mantenere sempre la relazione tra tensioni di trazione e di flessione reali. Il risultato fu quello previsto: il coefficiente di sicurezza del tirante non viene modificato dalla presenza di carichi laterali, nemmeno nel caso in cui le flessioni sul pezzo di prova siano, relativamente agli sforzi di trazione, molto maggiori di quelle che si danno nei tiranti reali; la ridistribuzione in regime plastico delle tensioni all’incastro assicura un coefficiente di sicurezza uguale a quello che si avrebbe se il tirante non fosse incastrato ma avesse un giunto articolato sul pilastro. Riassumendo quanto finora detto, le idee basilari che informano questa soluzione sono le seguenti: 1. Dar forma di catenaria a tutte le sezioni trasversali della volta, in modo che per il peso proprio tutte le sezioni risultino soggette a sola compressione. 2. Utilizzo dell’ondulazione, con piccolo aumento del peso a mq , per incrementare il suo momento d’inerzia e di conseguenza la sua rigidità allo svergolamento e la sua capacità di resistere ad azioni che, come il vento, danno curve di pressione diverse da quella del peso proprio. 3. Impiego di pezzi prefabbricati di piccole dimensioni perché si adattino bene alla forma del cassero e siano facilmente manipolabili. Questi pezzi possono essere di calcestruzzo, normale o poroso, di laterizio o di qualsiasi altro materiale. Il laterizio ci sembra, almeno per ora, quello ideale. 4. Predisporre non soltanto l’armatura trasversale (secondo gli archi) la cui funzione è ovvia, ma anche quella longitudinale, di legatura, essenziale al funzionamento del sistema: le differenze di assestamento dovute alla diversa freccia causerebbero delle fessurazioni trasversali che renderebbero inoperante l’ondulazione che ci dà la rigidità necessaria di calcolo, se non ci fosse del ferro che assorbisse le trazioni corrispondenti. Quest’ondulazione si rende particolarmente necessaria nel momento della scasseratura, quando il modulo di Young medio del guscio è più basso. Al momento della scasseratura la malta ha fatto presa solo in parte; i giunti longitudinali sono compressi dallo sforzo normale trasversale della lamina, specialmente grande in questi casi a causa dell'importanza delle luci trasversali per cui vengono adoperate e che giustificano queste volte, e a causa del fatto che esse sono molto ribassate. Questo sforzo normale complementa, per attrito, l’insufficiente aderenza dovuta all’incompleto indurimento; ovverosia, contribuisce a vincolare le successive coppie di pezzi adiacenti al giunto longitudinale armato. 5. Il cassero mobile, la cui dimensione longitudinale è una piccola frazione della lunghezza totale del vano da coprire e il cui costo è elevato, si ammortizza in un gran numero di usi e grava molto poco sul costo finale della copertura. 6. Come risultato delle idee precedenti, la possibilità di scasserare strutture di grandi dimensioni in tempi ridottissimi. 7. Come risultato a sua volta dei sei punti precedenti, la possibilità di un ritmo di lavoro continuo con un cassero di ridotte dimensioni. 1
I metodi di calcolo adoperati per queste volte sono nei lavori citati nella bibliografia ; qui ci limiteremo ad accennare alla loro sostanza concettuale. Il problema essenziale da risolvere è quello dello svergolamento. Con un coefficiente di sicurezza allo svergolamento maggiore di 4, le tensioni per qualsiasi sollecitazione diversa dal peso proprio possono essere calcolate sovrapponendo quelle di compressione e quelle di flessione senza che sia necessario procedere ad un secondo calcolo nel quale vengano considerate, oltre alle flessioni dirette dovute alla sollecitazione considerata, quelle della flessione dovuta allo sforzo normale. È intuitivo, e lo abbiamo comprovato, che le flessioni dovute al peso proprio sono trascurabili. Il problema è quindi di ottenere un coefficiente di sicurezza adeguato allo svergolamento. Consideriamo innanzitutto il caso dell’ondulazione variabile ma continua. In questo caso la struttura svergolata comporterà lo svergolamento di un cilindro che contenga i centri di gravità di tutte le sezioni, essendo ovviamente sufficiente lo studio di una sola onda. Immaginiamo mezzo arco soggetto in chiave allo sforzo H ed all'imposta alla reazione N. Lo sforzo normale cambia da N ad H per l’azione del peso proprio. Il mezzo arco può essere assimilato a una colonna caricata alle sue estremità da forze uguali allo sforzo normale dell’arco più un termine che dipende dall’inerzia e dal raggio di curvatura, ossia a una colonna caricata con forze N ed H alle sue estremità e con forze distribuite lungo il suo asse e con la direzione di quest’ultimo. Il problema può venire risolto per approssimazioni successive a partire da una linea elastica supposta per la colonna, che prenda in considerazione almeno qualitativamente la sua forma probabile a partire dalla
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“Pandeo de bóvedas gausas”, Facultad de Ingenieria de Montevideo Uruguay
variazione dell’inerzia. Si può anche procedere per computazione utilizzando le equazioni differenziali che si trovano nella bibliografia citata. Quando abbiamo una volta discontinua non è ovvia la configurazione di svergolamento per ogni fascia della volta. Quel che facciamo è di supporre che le rotazioni si producano in ogni sezione attorno all’asse baricentrico per il quale è minimo il momento d’inerzia. Quest’ipotesi sfavorevole, che equivale a trascurare la rigidità torsionale della lamina, è molto approssimativamente esatta secondo le misurazioni di cantiere.
4.Volte 4.Volte autoportanti Le coperture realizzate con le classiche volte autoportanti sono molto razionali a causa della loro economia di materiali. L’economia globale è minore se prendiamo in considerazione il fatto che occorre una casseratura per l’intera volta, da timpano a timpano, dato che questi gusci lavorano come un corpo unico. Nel caso si dispongano i timpani o le strutture che ne fanno le veci all’estradosso della volta, in maniera da poter usare casseri mobili sempre da timpano a timpano), si guadagna qualcosa, ma il ritmo del cantiere non è continuo a causa dei tempi necessari per la scasseratura, la quale cosa crea delle discontinuità di lavoro che cospirano contro l’economia e addirittura contro la qualità, poiché è molto variabile la squadra di operai necessari nelle varie fasi della costruzione. Tuttavia è possibile fare volte autoportanti in laterizio armato, a casseratura mobile, impiegando tecniche imparentate con quelle finora descritte. Supponiamo di avere un gruppo di volte cilindriche che fa da copertura a un locale (fig.6) e di fare queste volte a direttrice catenaria. Supponiamo inoltre di disporre: 1. Lungo le generatrici AA’, BB’, CC’, DD’, EE’, FF’, puntelli in grado di sopportare il carico verticale corrispondente. (fig.6) Queste “generatrici” (tranne l’ultima) sono le valli tra due volte, che possono essere risolte come si vede in fig.7b. 2. Travi di piano sugli estremi (fig.6) in grado di resistere: a) durante la costruzione, alla componente orizzontale delle spinte; b) finita la costruzione agli sforzi necessari a fissare nello spazio le ariste estreme come la AA’ (il peso di queste travi di piano viene sopportato: a) durante la costruzione da puntelli o da elementi permanenti d’appoggio quali muri, travi, ecc.; b) finita la costruzione sia da questi elementi permanenti e dalla volta stessa, sia lavorando come mensola a sbalzo dalla volta). In figura 7c si vede un esempio in cui la soletta terminale appoggia su un muro e sulla generatrice estrema. In figura 7d un esempio in cui appoggia sulla generatrice estrema a sbalzo dalla volta. In entrambi i casi, durante la costruzione la soletta terminale sarà casserata o puntellata verticalmente. Può essere in qualche caso conveniente puntellarla in orizzontale finché dura la costruzione per ridurre le flessioni durante questo periodo transitorio; quelle derivanti dalle sollecitazioni definite sono minori. Più avanti avremo modo di spiegare come lavora la struttura in entrambi i periodi, quello transitorio e quello definitivo. 3. Pilastri alle estremità di ogni valle. 4. Tiranti o contrafforti in grado di assorbire le spinte: quelle delle reazioni delle travi di piano orizzontali di estremità, nel periodo transitorio, e quelle delle reazioni dell’insieme volta-trave, nel definitivo.
Viene inoltre costruita una serie di casseri, uno per ogni volta, di ridotta lunghezza, che possono essere fatti scorrere lungo percorsi paralleli alle generatrici. Le luci più importanti sono qui quelle che si hanno lungo queste generatrici, quelle trasversali sono modeste. I casseri sono pertanto leggeri e poco costosi e la loro manovra semplice ed economica. Le volte vengono costruite lasciando nei giunti, tra i mattoni, l’armatura necessaria affinché esse possano lavorare, una volta indurita completamente la malta, come autoportanti, e gli ancoraggi per i cavi di post-tensionamento se ve ne sono. Poiché al momento della scasseratura la malta nei giunti è ancora fresca si può ritoccare molto facilmente, dando così un livello di finitura molto buono. Nelle valli le spinte delle volte si neutralizzano e danno soltanto un carico verticale che viene contrastato dal puntellamento che, data la leggerezza della struttura, è molto economico. Per le volte terminali le travi orizzontali previamente costruite resistono alle spinte, restando anche qui il carico verticale assorbito dal puntellamento previamente disposto. Quando si finisce di costruire la parte in laterizio delle volte esse vengono finite con una cappa di sabbia e cemento nella quale viene annegata una rete elettrosaldata fine per controllare le fessure da ritiro, l’eventuale armatura supplementare a taglio e quella in cui ancoriamo le estremità dei cavi di precompressione, se ve ne sono. È sufficiente attendere che la presa sia avvenuta per poter (una volta realizzata la post-tensione se le volte sono post-tese) rimuovere il puntellamento dalle valli e delle travi terminali, restando la struttura a lavorare come volta autoportante costruita con un cassero molto economico, poiché rappresenta una parte molto piccola della superficie da coprire. Il calcolo teorico e le opere realizzate provano che questi gusci possono essere costruiti senza i costosi ed antiestetici timpani delle volte autoportanti classiche, ed è questo uno dei loro vantaggi. In quello che precede abbiamo sintetizzato le idee principali che stanno alla base del metodo costruttivo ideato per le volte autoportanti. Per mostrare come si è arrivati alla struttura finale occorre che spieghiamo due intuizioni importanti come i metodi costruttivi. 1) Immaginiamo la struttura già fatta e puntellata. Tutte le volte possono pensarsi come archi di grande luce a spinta eliminata, le cui sezioni stanno lavorando, per il peso proprio, a compressione semplice. Se elimino i puntelli e supponiamo che la struttura globale resista, niente di essenziale cambia nel funzionamento “trasversale” della struttura, dal momento che i punti A,B,CT e gli altri punti della sezione trasversale, si muovono molto poco. Che significa dire che la struttura globale resiste? Precisamente che i punti A,B,CT si muovono molto poco e che questa indeformabilità della struttura trasversale sarà duratura. Ma se questo si compie, è evidente che posso dimensionare ogni lamina (per vederlo immaginiamo la struttura formata nella sezione trasversale, tra due chiavi successive) come una trave appoggiata sui pilastri estremi. Naturalmente, come vedremo dopo, questa indeformabilità della sezione trasversale presuppone di farla capace di resistere ai momenti flettenti di asse momento secondo le generatrici. 2) Abbiamo detto prima, che con la struttura puntellata, tutte le sezioni dell’arco di grande luce lavorano a compressione semplice, per conseguenza con momento totale nullo. Allo spuntellare la struttura. E sempre che assicuriamo l’indeformabilità della sezione trasversale, cambia molto poco in quanto al momento totale in ogni sezione dell’arco di grande luce, rimane nullo o, detto più precisamente, la l somma dei momenti lungo di una generatrice deve essere nulla: ∑0 Mi ∆Xi = 0 Queste intuizioni mescolate ai metodi costruttivi hanno preso forma nella mente faticosamente tra quello che già si sapeva. Ognuno di noi ed in ogni tema, tiene una storia: abbiamo iniziato a costruire volte costruendole di direttrice ellittica, con timpani, e tutta la teoria conosciuta dava per scontato che la direttrice catenaria non era adatta per costruire volte autoportanti. Il ragionamento era questo: è ovvio che, con direttrice catenaria, raggiunge con la componente delle tensioni secondo la tangente per equilibrare il peso proprio. Questa componente, variabile lungo la direttrice, dovrà essere sostenuta agli appoggi da una trave, la volta necessita di travi laterali e non può essere autoportante. Ma che succede se noi non mettiamo nessuna trave laterale, ne timpani e dimensioniamo la volta in modo che la sua sezione non si deformi? Indeformabilità nel senso corrente in Resistenza dei materiali, in cui si parla della invarianza della geometria delle strutture e sue sezioni, per quelle che si suppongono deformazioni del 2° ordine rispetto alla dimensione di questa geometria. Diamo per ottenuta questa indeformabilità e supponiamo poi che consideriamo ogni tronco di copertura, tra due generatrici di chiavi successive, come una trave appoggiata ai pilastri estremi. Le armature per il lavoro globale della “trave” (flessione degli assi momento orizzontale e taglianti verticali) si calcolano con metodi elementari. La sollecitazione fondamentale per la successione di archi che formano la sezione trasversale, sono i momenti dell’asse momento secondo le generatrici (o il cui vettore momento sta secondo le generatrici). I tagli corrispondenti a questi momenti sono molto piccoli e le torsioni sopra gli elementi di guscio si possono trascurare. Se dimensioniamo la sezione trasversale in modo che resista a questi momenti e che le deformazioni che si producono siano di secondo ordine rispetto alla dimensione della sezione trasversale, si hanno le condizioni
previste all’inizio per potersi calcolare la struttura formata per una valle con i due rami di volta adiacenti fino alla chiave, come una trave. Si vede da quanto precede che quanto pensato non è il risultato di una serie di sillogismi ma qualcosa di visto globalmente in una volta. È poi per spiegare quanto visto e fissarlo anche per noi stessi, abbiamo dovuto ordinare il processo di calcolo come si esplica nel seguito. Questo processo di pianificazione è fondamentale; se ciò non viene fatto, la visione è confusa e ciò che era già stato visto chiaramente si dimentica. Analizzeremo poi i due periodi di lavoro a cui prima ci siamo riferiti, con i procedimenti di calcolo utilizzati oggi, alla fine del processo. 1. Periodo transitorio La struttura puntellata lavora come una serie di archi sollecitati dal solo peso proprio. I momenti che si generano per la deformazione della generatrice all’entrare in carico, sono trascurabili. Sopra le travi-solette d’estremità, che supponiamo orizzontali, agirà una spinta che la deformerà in fuori. Nel caso di strutture di grandi dimensioni può convenire puntellare la trave-soletta in modo da generare appoggi intermedi. Supponendo la sezione trasversale della fig.6 ed in essa la trave AA’ ad esempio, si dovrà predisporre armatura per resistere alle spinte diretta da sinistra a destra. 2. Periodo definitivo Dimensioneremo la struttura per tutti gli sforzi derivanti dalle ipotesi di carico che faremo, in modo da provare che in tutto il processo non ci sono incoerenze. Consideriamo la sezione trasversale della fig.6: ci sono generatrici estreme come la A e la F che possiamo considerare fisse per l’intersezione del guscio e le travi-solette estreme; e generatrici intermedie (B,C,D,E) fisse per l’intersezione di due volte. Tutte queste generatrici rappresentano per la struttura globale articolazioni esterne. Si può ammettere che ogni nodo gira, mantenendo la sua continuità, attorno a questa articolazione. Nella realtà nelle valli intermedie vi è un pezzo orizzontale di molto piccola larghezza, ma la cui rigidezza può considerarsi infinita rispetto a quella della lamina e ogni coppia di archi che arrivano ad una valle intermedia possono supporsi continui in essa. Al togliere dei sostegni delle travi-solette di estremità lasciando solo il sostegno della componente verticale degli appoggi, appaiono momenti che si propagano in tutta la struttura, per il cui calcolo abbiamo sviluppato procedimenti analoghi a quelli usati nel calcolo elementare di strutture. Come risultato di questo calcolo appaiono reazioni nella articolazioni, che sono quelle che devono essere assorbite dalla volta come insieme. Le reazioni hanno componenti verticali ed orizzontali , con le prime molto piccole, salvo com’è ovvio nella volte estreme. Il calcolo delle sezioni intermedie come travi è elementare. In quanto alla mezza volta finale con la sua solettasi può considerare come parte di una trave con una sezione diversa da quella delle volte intermedie. (è incerta la larghezza della soletta che si può considerare collaborante nella flessione della trave. Il problema ha un interesse più accademico che pratico: considerando varie larghezze, il valore della precompressione necessaria è lo stesso; deve considerarsi la sua influenza per lo studio del taglio). Con la precompressione (che consideriamo indispensabile nelle strutture importanti) saranno praticamente uguali le tensioni di compressione nella prima generatrice di chiave, supponendola parte della trave esterna o parte della prima trave intermedia. Abbiamo parlato dei momenti degli assi momento secondo le generatrici, che si hanno supponendo fisse le articolazioni A,B,C,T, momenti che realmente si produrranno nella struttura se eliminiamo il puntellamento delle travi-soletta e manteniamo quelle delle generatrici A,B,C,T. Supponiamo ora che eliminiamo anche il sostegno delle volte A,B,C,T si producono altri momenti, che chiameremo M1 che si sovrappongono a quelli già calcolati, che sono in generale molto più importanti e che devono essere attentamente valutati per evitare la deformazione della sezione trasversale. Per vederlo immaginiamo una striscia di volta di lunghezza unitaria (fig. 8b) è intuitivo e si può dimostrare, che si commette un errore piccolo (valutato in ogni striscia) se la si suppone sostenuta solo dalle componenti dei tagli tangenti alla direttrice (che si possono calcolare con un ragionamento analogo a quello che porta alla formula di Jurawski), applicato alle due facce della striscia, che, sommate daranno sforzi secondo la tangente che risulteranno definiti da detta formula, nella quale dovremo sostituire il taglio con la differenza delle componenti tangenziali dei tagli applicati alla due facce della striscia. Rimanendo coerenti con l’approssimazione di supporre che tutto il taglio è tangente alla direttrice, la differenza della somma dei tagli applicati alle sue facce, sarà il peso della striscia di volta di lunghezza unitaria, che è il carico della trave per unità di lunghezza (fig.8b). Queste forze, differenza dei tagli applicati alle facce della striscia di lunghezza unitaria, danno una distribuzione di momenti, lungo la direttrice, che abbiamo calcolato, per varie rapporti freccia/corda (della direttrice). A causa di questi carichi e dei suoi conseguenti momenti flettenti, ogni striscia di volta avrà una linea elastica che sarà la stessa per tutte le strisce di lunghezza unitaria, giacché tutte saranno sottoposte alle medesime forze. La striscia sopra l’appoggio dovrà sopportare sforzi di uguale andamento di quelli della striscia generica ma di senso contrario e, supponendo una volta semplicemente appoggiata di luce L, L/2 volte maggiore. La linea elastica dell’asse del tratto (e, se le ipotesi di partenza sono rigorosamente valide, quella di tutte le strisce tra i pilastri) e dell’appoggio saranno, simili nell’appoggio e uguali nell’asse del tratto, come si vede nella fig. 8 a). Però
non è fisicamente possibile che tutte le strisce di volta, meno quella dell’appoggio, abbiano la medesima linea elastica. L’impossibile discontinuità che si ottiene supponendo solo taglio tangente, mostra che sopra la striscia di volta agiscono anche dei tagli secondo la tangente, altri molto piccoli, secondo la normale (fig.8c) che trasformano la elastica del tratto in quella dell’appoggio. (fig. 8 a). Per quantificare quanto sopra e poter definire i momenti finali supponiamo la volta divisa, coerentemente con quanto prima, in una serie di strisce tra gli appoggi, di lunghezza unitaria, separate, e che ogni striscia è soggetta ai carichi secondo la tangente (differenza tra i tagli) a cui ci si riferiva prima, con cui tutte le sue linee elastiche saranno uguali. Possiamo immaginare che la continuità necessaria per arrivare alla linea elastica della striscia d’appoggio si ristabilisca mediante bande parallele alle generatrici che avranno inerzia praticamente uguale a quella della striscia se le prendiamo di lunghezza unitaria. Queste bande applicano alle strisce sforzi nei suoi assi secondo la normale e la direttrice, variabili lungo le generatrici, a cui supponiamo una linea di carico, secondo la direttrice proporzionale e di senso contrario alla ordinata della sua linea elastica in ogni punto (che si ha quando non agiscono le bande). La linea di carico degli sforzi che applicano le bande alle strisce (con più precisione il suo andamento) si vede in fig. 8c. gli sforzi applicati dalle bande alle strisce nel suo asse, sono in realtà la differenza delle componenti normali dei tagli applicati nelle facce verticali di dette strisce.
Con queste linee di carichi si producono nella striscia un diagramma di momenti e una linea elastica 2 somigliante a quelle che si producono a seguito dell’azione dei tagli tangenti. Non conosciamo il valore degli 2
Somigliante: con questa parola desideriamo dire che molto approssimativamente, nel medesimo punto della direttrice sono uguali a zero i momenti nei due casi e anche approssimativamente coincidono i punti di ordinata nulla, essendo in ambo i casi proporzionali, con approssimazione sufficiente, i valori dei momenti e ordinate. ED
sforzi che le bande trasmettono alle strisce, però basta porre valore 1 al corrispondente alla chiave per che, a meno di un fattore sconosciuto, possiamo calcolare i momenti e le ordinate della linea elastica. Inoltre risulta nei fatti nulla la somma delle componenti verticali di questi sforzi, per cui l’introdurli non cambia la sollecitazione sopra la “trave”, che altrimenti avremmo dovuto considerare. D’accordo con tutto quello che precede, è ovvio che tutte le strisce, sottomesse all’azione dei tagli e delle forze applicate per le bande, avranno una linea elastica somigliante, modificandosi gradualmente all’asse del tratto, che conosciamo, fino ad arrivare alla striscia d’appoggio, avendo nella metà della volta della fig. 8 a una direttrice MCQ per la quale tutte le deformazioni e momenti sono nulli, due generatrici (GG’ e la simmetrica rispetto al piano verticale che contiene la generatrice di chiave), in cui sono nulle le deformazione, e quattro in cui sono nulli i momenti come risulta dalla deformata che si vede nella fig. 8c, che solo può prodursi a partire da un diagramma di momenti che si annulla in quattro punti, i due che risultano, ovviamente, della deformata li disegnata, ed i loro simmetrici rispetto alla verticale di C. I momenti M1 nell’asse del tratto sono conosciuti al potersi ammettere che, sopra questa striscia, agiscono solo le componenti tangenziali dei tagli. Se consideriamo l’insieme delle bande appoggiantesi sulle strisce, ognuna di queste bande può supporsi come una trave sopra fondazione elastica giacché, per ipotesi, il carico che la banda applica alla striscia, e conseguentemente questo che quella applica a quella, è proporzionale alla deformazione con costante elastica che è la stessa nella lunghezza di ogni banda ( e anche per tutte le bande) . Questa è l’ipotesi di base di una delle più fertili teorie (semplice come tutte le fertili) della Resistenza dei Materiali, quella della “trave sopra fondazione elastica”, di tanto tempo fa come idea, ma notevolmente codificata da Hetenyi. Non è possibile in un lavoro come il presente dettagliare di più il metodo di calcolo, però credo che le idee di base su cui si fonda risultano chiare a partire da quanto detto sopra. I metodi moderni di calcolo, usando computer ed elementi finiti, danno risultati coincidenti con quelli della teoria approssimata. Questi metodi moderni sono stati applicati a strutture pensate, risolte e costruite in base a metodi approssimati. Diciamo che nel periodo transitorio le travi- soletta stanno sottoposte a sforzi da dentro verso il fuori. Nel definitivo è intuitivo e lo mostra il calcolo che, per fissare la generatrice esterna nello spazio, la trave- soletta sarà sottoposta a sforzo di senso contrario. In un bordo come AA’ della fig.6 e nel tratto tra pilastri, la precompressione dovrà calcolarsi sovrapponendo quella necessaria per la mezza volte estrema e la necessaria per la trave- soletta. I metodi correnti di precompressione non si adattano a queste strutture; le dimensioni dei pezzi di ancoraggio non possono essere contenute negli spessori disponibili a causa dell’estrema sottigliezza del guscio. È stato quindi necessario pensare per essi a nuovi metodi di precompressione, che spieghiamo sommariamente di seguito. Per precomprimere le valli, invece di ancorare a un estremo e tirare dall’altro, come si fa in tutti i sistemi conosciuti, noi ancoriamo agli estremi e tiriamo in mezzo. Ogni tirante è composto da un numero pari di tondini e ogni tondino viene ancorato a un’estremità, va fino al centro, contorna un pezzo appropriato e torna ad ancorarsi alla stessa estremità. Lo stesso numero di tondini viene ancorato all’altra estremità contornando un altro pezzo analogo a quello di prima. Questi pezzi vengono separati da un martinetto idraulico della quantità necessaria affinché il cavo porti lo sforzo indicato dal calcolo, e la tensione viene mantenuta mediante un cuneo interposto tra i pezzi. Per precomprimere gli sbalzi si ancorano nel massetto dei cavi inizialmente paralleli che vengono messi in tensione per pinzatura. Per pinzatura si precomprime anche la zona di massimo taglio. Questo tipo di copertura è molto flessibile come elemento di composizione architettonica. Si può per esempio coprire con gusci la maggior parte dell’area, adoperando solai piani (che possono essere molto grandi e scaricare sulla falda della volta senza bisogno di altri elementi resistenti che la stessa volta) per quelle parti della pianta che non si adattino al parallelismo che impone la successione di volte. Non è indispensabile che la linea d’appoggio A, B, C, ... sia parallela alla A’, B’, C’, ... e neanche che le spinte si elidano in corrispondenza dei pilastri (attraverso le solette estreme essi possono essere eliminati da un'altra parte). Non si può fare qualsiasi cosa ma si dispone di molta flessibilità. Il calcolo FEM è una meravigliosa ferramenta che suppone un prodigio scientifico e tecnico molto maggiore della modestissima materia a cui in questo caso si applica. Pur essendo una meraviglia non serve però per progettare, serve per calcolare molto meglio quanto progettato. È più giusto dire che non serve anche per progettare , in questo campo, nel modo come lo si è visto usare non solo tra di noi, dove siamo agli inizi. Parlando con persone che realmente ne sanno di calcolo, mi hanno mostrato tecniche che saranno di grande ausilio per il progetto di strutture; anche in questa tappa principale del progetto preliminare. ED
Vediamo in fig. 9 uno dei sistemi di puntellamento che abbiamo usato; è un esempio interessante della fertilità pratica dei grandi principi. La V che mostra la figura è formata da tubi correnti di costruzione che si fanno lavora ad una tensione dell’ordine di quella ammissibile. La stabilità al carico di punta la si consegue con le armature di precompressione 1-1’, 2-2’,T, poste in tensione, agganciate ai tubi mediante fermacavi e anche a punti rigidi, che sono in genere i pilastri di cemento armato della stessa struttura.. calcolando la stabilità dell’equilibrio con l’equazione dell’energia, deve contarsi come energia di deformazione anche quella conseguente alla variazione di tensione delle armature. Con la sezione di un cavo di precompressione corrente (5 mm) e quella dei tubi che si usano per i ponteggi metallici, il carico critico di punta è il corrispondente alla lunghezza del tubo tra i fermacavi, supposto articolato in corrispondenza di essi. Siccome questa distanza può variarsi a volontà senza grandi costi, il carico portante per tubo può arrivare ad essere la sua sezione per la tensione ammissibile del materiale usato. Si ottiene così una struttura di puntellamento molto leggera ed economica.
Fig.9 – a: tubi d’acciaio Øest. 42 mm – b: pezzi prefabbricati in cui si inseriscono i tubi (a) – c: pezzo d’appoggio base – d: base ------ diagonali in ferro ad L.
5. Chiesa di Atlantida I pavimenti, le pareti ed il tetto della chiesa sono di mattoni. Tutti questo mattone, lasciato “a vista”, è resistente o è incorporato in maniera essenziale alla costruzione (Fig.10). Le tecniche impiegate sono una generalizzazione di quanto da noi già eseguito in altri tipi di edifici: fabbriche, palestre, etc. L’inserimento di armatura ed uno uso conveniente della malta rendono strutturalmente attivo il materiale ceramico e rendono possibile ed a basso costo, cose che sarebbero impossibili economicamente con il calcestruzzo armato; ad esempio le pareti ondulate di questa chiesa. L’insieme di pareti e tetto, che misura in pianta 16 m x 30 m, si concepì come un grande guscio a doppia curvatura che appoggia sul terreno mediante pali “ in situ” (Figg.11 e 12). Ogni parete di 7 m di altezza è formata da una successione di conoidi di direttrice retta a livello del suolo e ondulata ( con una parabola e due mezze parabole raccordate per onda) nella sua parte superiore (fig.13). Per costruirla si fecero dei modini con fili che individuavano la superficie rigata. Fatto questo i muratori non dovevano far altro che seguire i fili che definivano la superficie, per la posa dei mattoni. Il suo spessore è di 30 cm; la armatura di acciaio di 3 mm disposta nei corsi, è di solo mezzo chilo per metro quadrato, sufficiente per la resistenza parziale della parete e per darle unità strutturale.
Fig.10 Vista dal presbiterio. Il paramento del fondo è stato realizzato con mattoni di punta, che illuminati dal basso, sfumano la chiusura interna della chiesa. Foto Paolo Gasparini
La parete si ancora al sottofondo di malta di rena e portland ed è terminata da un cordolo orizzontale che fa da gronda e assorbe l’appoggio della volta. Questa gronda è mista tra mattoni e calcestruzzo. Il tetto è una volta gaussiana di laterizio armato con una cappa finale di mattonelle porose molto isolanti e leggere. La luce media della volta è di 16 m, la massima 18,80 m e la freccia varia da 7 cm a 147 cm, con cui la valle dell’onda è quasi orizzontale. In queste valli sono posizionati i tiranti che sopportano la spinta delle volte,
ancorate al cordolo di coronamento dei muri. L’armatura della volta è di 2 kg/mq alloggiate nei giunti tra i laterizi. Tutte le sezioni trasversali del tetto sono catenarie di freccia variabile entro i limiti citati. Durante la costruzione il tetto lavora come volta gaussiana, dopo come guscio autoportante. Quest’opera è un buon esempio di come si può arrivare a dimensionare una struttura sicura ed economica con metodi non rigorosamente matematici. Il suo calcolo non è affrontabile analiticamente; già l’espressione matematica della superficie è complessissima. È senza dubbio intuitivamente evidente che, durante la costruzione, si hanno nella volta due zone, una che lavora come volta gaussiana, appoggiata sul cordolo di coronamento e l’altra, quella di curvatura minore, che praticamente è appesa all’altra. La parte che lavora come volta a doppia curvatura possiede una rigidezza enorme; le tensioni non arrivano in media a 15 kg/cmq e la sua sicurezza all’instabilità è dell’ordine di 40; non è pertanto necessario un dominio pieno del regime tensionale per essere sicuri della sua stabilità. Ma il problema è analizzare come si trasmetteranno i suoi sforzi sul cordolo di bordo. Il primo pertanto è stabilire quale parte lavora come volta. Quello che facemmo fu determinare per quale sezione trasversale è rimasto maggiore lo sviluppo della volta che della sua corda, tenendo naturalmente conto della riduzione da compressione di questo sviluppo, l’allargamento della corda per stiramento dei tiranti e la flessione del cordolo di coronamento. Questo definiva una sezione critica posta al lato delle curvature maggiori; a piccola distanza dalla sezione critica già eravamo sicure di essere nella zona che lavora come volta. La distanza da cresta a cresta nell’ondulazione è di 6 m e 4 m e lavorano come con un ampio margine di sicurezza. La valle è tra queste due zone di volta. Rimane il dubbio se il carico della parte appesa si ripartisce in tutta la zona della volta o si concentra sui bordi. Siccome l’armatura si dispone come una rete continua, nei giunti del materiale ceramico, era presumibile, dato anche l’estrema rigidezza dell’insieme, che questo carico si ripartisca uniformemente in tutta la zona “della volta”; questo era anche il
più sfavorevole dal punto di vista delle azioni sopra il cordolo di bordo, giacché concentrava gli sforzi nella zona centrale tra gli appoggi; fu pertanto questa l’ipotesi fatta. Il calcolo del cordolo-gronda di bordo, sottoposto alla componente orizzontale dei carichi che trasmette la la copertura è interessante, ma non si discosta essenzialmente dai metodi classici. Si presentano alcuni dubbi: ad esempio è evidente intuitivamente e lo conferma l’analisi, che il tratto di cordolo tra i tiranti tende a chiudersi e si può dubitare che questo possa causare fessure nella volta. L’analisi mostra che questa deformazione è modestissima e in pratica non porta nessun inconveniente in questo senso. L’insieme delle pareti e volte è di grande rigidezza trasversale giacché formano una sorta di portico superficiale di due articolazioni la cui soglia, per spostarsi lateralmente, tende a spostare la struttura intera, la quale, naturalmente, è stata dimensionata per resistere agli sforzi corrispondenti. Il coro è un mezzanino tutto di laterizio la cui sezione trasversale si vede in fig. 12. L’intradosso è di laterizio in piano e l’estradosso di laterizio di gres che compie una doppia funzione, di pavimento e struttura. All’intradosso è stato fatto una cassaforma e posato laterizio comune. Il pavimento si prefabbricò in travetti dello spessore delle marmette di gres e si portarono in sito le travi miste di laterizio e calcestruzzo. Ognuna di queste travi è una sorta di doppio T. Il muro che chiude il coro è tutto di mattoni “in piano” armati con barre di acciaio. Tutte le canalizzazioni furono già previste all’elevarsi delle pareti. Il campanile è una torre totalmente di laterizio armato. Gli scalini della scala a spirale si prefabbricarono; lavorano come mensole incastrati nella parete esterna. Il consumo di ferro in tutta la torre non arriva a 200kg. Non necessitarono ponteggi perché la piattaforma di lavoro si appoggiava sulla torre stessa, via via che cresceva. (Fig.16). La chiesta costò nell’ordine di trenta dollari del 1959, per metro quadrato.
Fig.13 Le pareti della chiesa in costruzione
6. Chiesa di San Pedro Nell’anno 1967 si incendiò la copertura della navata centrale di questa chiesa, costruita nel secolo passato e ristrutturata nella decade del 40. Ci fu richiesto di rifare la copertura con una volta di laterizio. Per ragioni in primo luogo economiche, consigliammo di demolire le navate laterali e costruire di nuovo tutto il corpo della chiesa, utilizzando le fondazioni delle pareti laterali e lasciando la facciata e l’atrio così come stavano. Diceva il parroco, e mi pareva ragionevole, che non gli pareva giusto, rifarli quando erano ancora vivi molti di quelli che lo avevano costruito trent’anni prima. Il risultato è l’opera che presentiamo. La forma del terreno e le parti che si mantennero dell’opera precedente, imposero le grandi linee della pianta; la preesistenza di ambienti consigliarono di conservare l’impianto basilicale primitivo, i cui inconvenienti lavorammo ad eliminare. (Fig.22) Con la soluzione strutturale adottata non sono necessarie colonne, il che ha fatto si che lo spazio delle navate laterali si incorporasse pienamente nello spazio totale della chiesa. La sezione trasversale e prospettiva schematica mostrano la soluzione strutturale (figg. 23 e 24). Le navate laterali sono coperte con solette di laterizio che hanno travi di calcestruzzo armato all’estradosso, che appoggiano nelle pareti antiche foderate con un muro di laterizio di 12 cm di spessore, leggermente inclinato, e nei muri laterali della navata principale pure inclinati. La copertura della navata centrale è una lamina piegata e precompressa di laterizio di 8 cm di spessore e 30 m di luce. I muri laterali della navata centrale sono stati considerati come grandi travi precompresse, di 32 m di luce, appoggiate in pilastri di rinforzo nella parete che dall’atrio, e nel portale disposto attorno la bocca del presbiterio. Le solette del tetto delle navate laterali, che appoggiano sopra questa parete, ne stabilizzano lateralmente il suo bordo inferiore. La prima soletta della copertura piegata centrale appoggia nel primo bordo di questa e, mediante corti pilastrini metallici, nella parete laterale della nave centrale. Questo piegato fissa a sua volta orizzontalmente, il bordo superiore delle grandi pareti laterali. Come si vede si tratta di due piegati, a sua volta indipendenti (giacché i due appoggiano nella parete rinforzata che da all’atrio e nel portale che circonda la bocca del presbiterio, entrambi con 32 m di luce) e vincolati. Tra le pareti della navata centrale e la sua copertura una vetrata continua enfatizza questa indipendenza. La facciata interna della chiesa, che da su di un vecchio coro sopra l’atrio, molte bene illuminato, è stata perforata con il grande rosone che mostrano le foto (figg. 28e29). È formato da una serie di diaframmi di laterizio armato di 5 cm di spessore, disposti formando esagoni irregolari. Il più piccolo di questi esagoni ha, incluso nella massa della muratura, una struttura di ferro in cui si vanno a saldare una serie di “raggi” di ferro che vanno al bordo della copertura piegata e si ancorano alla muratura della parete di fondo della navata. Saldati a questi ferri ed in corrispondenza con i bordi, ci sono piccoli pezzi di angolare sopra cui appoggiano i piegati che formano il rosone. Per dare un riferimento relativamente certo, la chiesa costò qualcosa meno di quattro dollari al metro cubo coperto e trenta dollari del 1969 al metro quadro di pianta.
Fig. 28 Vista del rosone che da sull’atrio, dall’interno della chiesa. Foto Paolo Gasparini
Fig. 29 Vista del rosone dall’atrio
Fig. 30 Vista dal basso della cupola con il lucernario. Foto Alberto Marcovecchio
7. Silos orizzontali Al fine di immagazzinare materiale in polvere, o grano, che deve rimanere per un breve periodo nel silos, ci venne richiesto di costruire grandi spazi coperti. (fig.31 e 32). Le immagini si riferiscono a un silos per riso costruito a Vergara, nella provincia di Treinta y Tres. Il riso viene immagazzinato in una grande tramoggia triangolare sotto il livello del terreno e nello spazio creato dal guscio a doppia curvatura; questo si incastra a livello del suolo (su pali di ancoraggio se il terreno è argilloso e su ancoraggi metallici se la fondazione è di roccia) e viene dimensionato per resistere alla spinta del riso sulle pareti. Questo riso viene scaricato nel silos attraverso la passerella superiore e viene prelevato dal condotto inferiore. Qui non c’è problema di svergolamento, né di flessione dovuta al vento; la sollecitazione preponderante è quella della spinta del riso. Noi ne abbiamo fatto una stima (ci sarebbe ancora molto lavoro di sperimentazione da fare) e abbiamo progettato la struttura di conseguenza, ma siamo convinti che il nostro calcolo sia sfavorevole. Il comportamento del guscio è molto buono e il prezzo dell’opera civile, per tonnellata immagazzinata, è inferiore a quello dei silos correnti. Il vantaggio economico globale aumenta a causa del minor costo per tonnellata dell’attrezzatura meccanica necessaria in questo caso, a fronte dei silos verticali correnti. Conviene sottolineare che questo tipo di silos non si presta al frazionamento, poiché le pareti divisorie interne sono care. Come nel caso delle torri a superficie rigata di cui parliamo nel seguito, ci troviamo davanti a una forma che chiede un uso architettonico che sappia trarre partito dalla sua forza espressiva.
Fig. 31 silo per riso. Vergara. Dep. Treinta y Tres
8.Serbatoi 8.Serbatoi d’acqua Un altro esempio delle possibilità del mattone sono i serbatoi, che risultano più economici di quelli comuni di cemento armato per volumi tra 50 e 300 metri cubi. In quello che mostriamo (fig.33), la torre è una lamina discontinua in mattoni di 12 cm di spessore. I suoi elementi verticali sono legati da pezzi di laterizio, composti da due mattoni di coltello che portano due ferri nel giunto. Nei buchi della torre viene disposto il legname della piattaforma di lavoro, che può venire spostata man mano che si costruisce la torre, per cui non c’è bisogno di alcuna impalcatura. La cupola conica del fondo del serbatoio è di laterizio non armato, con una cappa di sabbia e cemento, armata con rete elettrosaldata. La si costruisce senza impalcatura, per anelli successivi che si fanno a sbalzo di mezzo mattone rispetto a quello inferiore (fig.33b dettaglio A) La spinta viene contrastata da cerchiature di acciaio saldate all’imposta della cupola. Le pareti del serbatoio vengono fatte in mattoni
messi di coltello sui quali si applica un intonaco con l’armatura necessaria per resistere alla spinta dell’acqua. Anche qui si possono eliminare le impalcature lasciando, quando si tira su la parete di mattone di coltello del serbatoio, dei ferri a cui appenderla; successivamente essi vengono eliminati quando si intonaca la parete, cosa che viene fatta a partire dall’alto. Per ragioni statiche (ridurre il taglio che viene trasmesso dalle legature orizzontali) e per eliminare le sgradevoli deformazioni prospettiche delle forme cilindriche, questi serbatoi vengono fatti leggermente tronco-conici. Per realizzare questa conicità viene riportata la superficie, a livello del suolo e a 4 o 5 m di altezza, con fili che guidano la costruzione della lamina. Quando si arriva ai 4 o 5 m si continua il riporto, adoperando come riferimento la parete già realizzata, prolungando le sue guide con metodi molto semplici, che consistono nella creazione di sostegni appoggiati sul costruito, dove possano essere fissati i fili-guida.
9. Pareti di superficie superficie rigata Con il medesimo metodo con cui si consegue la conicità dei serbatoi, può costruirsi qualunque tipo di parete la cui superficie sia rigata. Il procedimento è sempre lo stesso: rappresentarla a livello del suolo e ad una altezza ragionevole, e prolungare le generatrici come indicato prima. Se la pareti si fa con due muri di mezzo mattone o uno di coltello, sufficientemente separati, non è necessario impalcatura e si può quindi costruire pareti molto alte a costi molto bassi. In questo modo è stata fatta la torre del presbiterio della chiesa di Durazno e parte di quella di Malvìn. (fig. 36 e 37) in cui si è fatto grande uso di questa forma di costruzione. Non posso non richiamare l’attenzione sopra questa tecnica semplice, di basso costo, e le cui possibilità architettoniche sono appena sbozzate nelle opere citate. Sarebbe possibile realizzare con loro opere di forte espressività, ad esempio spazi con torri di grande altezza. La superficie rigata permette una ampia pianta a livello del suolo, che può concludersi in alto, o con una cupola semisferica o conica, o con un grande lucernario che sia l’unica fonte di luce naturale.
10. Mercado de Maceió - Brasile Come in altri mercati brasiliani, in questo, il grande spazio dell’edificio principale del mercato si prolunga in ampie gronde laterali, sotto cui passa tutto il traffico laterale, attraccano i camions, etc. (fig. 38 a e b). Queste tettoie laterali (fig.40) sono state risolte con una soletta di laterizio armato con tre appoggi, che sono: a) le mensole, trasversali all’edificio, che partono dai pilastri e plinti su pali, disposti pure trasversalmente all’edificio. Ogni mensola, pilastro e plinto, forma coma una grande doppia squadra, di cui non si vede il plinto che sta sotto terra. b) La generatrice retta, entro volta e gronda, che si è risolto come un portale multiplo, formato dai pilastri e come architrave; c) La trave longitudinale che ha una zona d’altezza variabile, quella della cartella, e una d’altezza costante formata da due travi a doppio T d’acciaio, affogate nel calcestruzzo, essendo l’insieme del portale misto di acciaio e calcestruzzo.
La soletta orizzontale che copre la gronda si usò come trave che, nel suo piano, assorbe a flessione la componente orizzontale dell’azione della volta, trasmettendo la sua risultante a tiranti di acciaio in corrispondenza dei pilastri. La componente verticale è sostenuta dal portale longitudinale, misto di acciaiocalcestruzzo, che è anche uno dei tre appoggi della gronda. Il nostro contratto non prevedeva l’esecuzione delle mensole, dovendo noi fornire gli sforzi all’estremo del pilastro. Sono stati commessi errori nella parte che non era sotto il nostro controllo, che obbligarono a modificare lo schema della struttura da come l’abbiamo descritta, anche se non l’aspetto che mostra la fotografia (fig. 40).
Fig. 39 operaio brasiliano impegnato nella stuccatura dei giunti delle volte autoportanti
Fig.40 Mercato di Maceiò, Brasile, sbalzi laterali
11. Deposito Julio Herrera y Obes nel porto di Montevideo L’opera venne realizzata a seguito dell’aggiudicazione di una gara d'appalto in cui si prevedeva o preferiva demolire un vecchio deposito e costruirne uno nuovo. Demolire quello vecchio non era né razionale né economico. Noi abbiamo vinto la gara d’appalto utilizzando la vecchia muratura di mattoni, convenientemente rinforzata per resistere al vento, e appoggiando sulle pareti un guscio gaussiano di 50 m di luce. Poiché il prezzo risultò molto basso, convinsi le autorità del porto a lasciarci rivestire le vecchie pareti, come ampliamento del contratto, con una muratura che proteggesse quella antica. Rispettai, enfatizzandola, tutta la forma dell’antico deposito, qualcosa di tanto bello quanto le migliori cose di mattoni di Roma (andiamo a Roma per ammirarle, eppure le abbiamo qui e non le vediamo). Area coperta: 4200 mq , luce libera: 50 metri; spessore totale del guscio: 12 cm, di cui 10 sono di mattoni forati. Il prezzo del contratto finito, con nuovo pavimento, serramenti, rivestimento interno con intonaco rustico dipinto a calce, con la muratura di protezione e con una rispettabile quantità di lavoro personale, è stato di centoventimila dollari americani.
Fig. 41 Vista del muro perimetrale dell’antico deposito del porto di Montevideo, prima di procedere al suo rinforzo. (In primo piano la centina metallica per la costruzione delle nuove volte in “ceramica armata”.
Fig.42 Vista interna del deposito. Si percepisce che c’è una unione completa tra la muratura centenaria delle pareti e la moderna copertura di 50 m di luce. Tra la volta e la parete di fondo è stata lasciata una stretta finestra che marca la indipendenza tra i due. Fig.43 vista della facciata e dell’interno.
Fig.44 facciata ovest. La muratura antica in cui è stata posata l’armatura per resistere al vento, è stata rivestita di mattoni a vista, mantenendo le deliziose proporzioni esistenti. I pilastri addossati erano indispensabili per resistere al vento sopra la parete. Anche qui si armonizzano bene le murature nuove e le antiche.
Fig.46 centina movibile per la costruzione delle volte a doppia curvatura (vedi in fig.41)
Fig. 45 Dettaglio di una finestra. Gli sguanci che la circondano, sono stati fatti con muratura di mattoni scalettati, sopra e sotto e con rivestimento di laterizia a vista, normale, ai due lati.
12. Agroindustria Agroindustria Massaro, a Juanico, Dep. Canalones Questo è un caso tipico nel nostro lavoro: si partì con un progetto insufficiente, quasi le sole piante, opera di altri professionisti che delegarono a noi tutta la parte “ingegneristica”, e la cui unica preoccupazione era l’economia. Siccome il progetto non era nostro e fummo chiamati come “galponeros 3 de lujo” , ci impegnammo per poter compiere onestamente il nostro modesto e limitato incarico; ma questo proposito dovette essere portato all’estremo e con la complessità che imponeva questa struttura, che ci ha portato alla soluzione che mostrano le foto. (fig. 47,48 e 49). La struttura è formata da una serie di volte autoportanti di direttrice catenaria precompresse (fig.49). non ci sono travi, ne timpani; si tratta di una lamina nello spazio con una leggerezza prossima a quella delle strutture metalliche. Tutto ha dovuto essere ricreato, dalla tecnica di costruzione generale, fino al sistema e macchinari di precompressione, molto semplici, molto sottosviluppati, ma che funzionano. Corda della direttrice:12,70m, freccia: 4,23 m, luce tra i pilastri: 35 m; aggetto della volta principale: 16,40 m. La serie di volte al fondo (fig. 48) sono appoggiate in una sola fila di pilastri intermedi, con doppio sbalzo di 15 metri. Fondazioni con pali in un pessimo terreno, con macchinari progettati e costruiti da noi. Spessore della volta 10 cm, di cui 7,3 sono di laterizio forato. Per farsi un’idea dell’economia dell’opera ricordo che il Banco República (che stima per difetto) tassò la struttura del doppio (1.957) di quello che realmente costò al proprietario. Fig. 45,46,47 Vista generale e parziali che mostrano la leggerezza di quest’opera.
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Galponeros de lujo: costruttori di capannoni di lusso.
13. Obra Refresco del Norte Quest'opera, costruita nella città di Salto, è una fabbrica di bibite che ha interesse a presentarsi ai suoi clienti, soprattutto ai bambini, affinché apprezzino la cura e l'igiene con cui si fa la fabbricazione. Conseguentemente con questo, e a parte di concordarsi con le esigenze funzionali della fabbrica e dei suoi uffici, si concepì la parte visitabile dell'opera, che é quella, che corrisponde alle prime due volte a destra (fig.51), come un ricorso che enfatizza il carattere quasi magico che possiede il processo industriale moderno a cui solo la fatica dell'assuefazione rimuove la sua aria di meraviglia. I visitatori entrano nella fabbrica per la scala a spirale che mostra la fig.53, e accedono al locale che appare nella fig.54. Il pavimento di questo locale é a due livelli. Il superiore ha vuoti rettangolari che hanno un bordo di protezione e chiuse da "bolle" di acrilico colorate. Al di sotto di questo locale si fanno le bibite, e vederle fare, attraverso questo buchi colorati, rinnova lo stupore e enfatizza l'ingegno messo nel farle. Un elemento molto importante nella qualità spaziale di questo locale, è il grande lucernario che mostra la citata fig.54. Per la porta del fondo se arriva ad una galleria, da cui si vede, in basso, la macchina imbottigliatrice. Credo che il ricercato effetto di enfatizzare quello che serve sia stato ottenuto.
Fig.51 vista generale
Fig. 52 Vista del fronte
Fig. 53 scala per l’accesso dei visitatori. Fig. 54 locale per i visitatori, da cui si vede, attraverso lucernari a bolla di acrilico colorato, la sottostante lavorazione Fig. 55 vista generale della stazione benzina di Salto
14. Copertura per una stazione di servizio di Benzina Questa copertura possiede una struttura dal funzionamento elementare.(Fig.56) Trasversalmente è una doppia mensola i cui momenti si contrastano e la cui reazione verticale è sostenuta per tutta la sezione trasversale lavorando come una grande trave. Le trazioni che si generano nella parte superiore, sono eliminate con cavi di precompressione affogati nella soletta, applicando la stessa tecnica che usiamo nelle volte autoportanti.
Fig. 56 Pianta della copertura Fig.57 Disegno
15 Parador Ayuí Questa struttura è un modesto esempio di un’idea fertile: la copertura di grandi superfici circolari con una successione di coni. La sezione si vede nel disegno (fig.57a). Il cono, la cui base può essere di grandi dimensioni, poggia su colonne molto snelle (fig. 58) esse sono di lamiera piegata di 40 mm per 40 mm e continua in una veletta a sbalzo dalla superficie del cono. La separazione tra le colonne non deve essere grande affinché non si creino flessioni sconvenienti sul bordo del cono. È interessante notare che il momento flettente dello sbalzo crea una spinta verso l’interno, applicato al bordo del cono, che può rendere superflua la cerchiatura, altrimenti indispensabile per resistere alle spinte.
Fig.58 Foto
La struttura globale risulta così autoprecompressa. Più del vantaggio economico, è importante qui il fatto che, non essendovi altre trazioni se non quelle dovute ai momenti flettenti della soletta a sbalzo della veletta, la struttura globale è di grande sicurezza. A causa della snellezza delle colonne di appoggio, la rigidità trasversale deve essere fornita all’edificio,sia controventando qualcuno degli spazi tra le colonne o, come nel caso riportato, unendo la copertura a un’altra parte più rigida dell’opera, per esempio al blocco dei servizi.
16 Cupole danneggiate danneggiate della TEM Nel deposito di questa fabbrica, in una zona dove c’era materiale plastico molto infiammabile e varie bombole di gpl, si è verificato un terribile incendio. Le bombole di gpl sono esplose come vere e proprie bombe. La temperatura nella zona dell’incendio arrivò a circa 1.000 °C e nel resto del locale a temperature molto alte, che si sono protratte varie ore anche dopo domato l’incendio. Due delle volte che stavano sopra il deposito sono crollate, in parte per l’esplosione ed in parte per il calore che ha distrutto la struttura resistente, tiranti, travi, pilastri. Nella foto (fig.59) si vede la terza volta, che era unita per armatura e malta alla seconda che è crollata, e che nel cadere si è portata dietro un pezzo di 3 m per 17 m della terza, sottoponendola inoltre ad uno sforzo impulsivo di varie decine di tonnellate. Non è facile comprendere come abbia potuto resistere questa terza volta al tremendo impulso e alla altissima temperatura che hanno portato a gravi dilatazioni dei tiranti.
Figg.59 e 60
Fummo chiamati e acconsentimmo a riparare la volta, cosa che facemmo con grande facilità. La volta sinistrata si comportava, rispetto alla percorrenza e deformazione a cui dovette essere sottomessa durante la riparazione, come se fosse d’acciaio, non di muratura.
17 Conclusioni Queste tecniche sono state sviluppate in un paese economicamente sottosviluppato e dipendente quale l’Uruguay e non hanno niente a che fare con le tendenze dell’industria delle costruzioni nei paesi sviluppati; l’orientamento differisce essenzialmente, non per il materiale adoperato, ma piuttosto per la concezione globale del processo costruttivo; tuttavia i numeri mi hanno convinto che essi possono essere validi anche nel mondo sviluppato, poiché non si basano sull’uso moralmente iniquo di mano d’opera incompetente e mal retribuita, ma, al contrario, su un impiego razionale dello sforzo umano e sul principio di evitare lo spreco di materiale, dietro a cui, in definitiva, vi è anche sforzo umano; è giustamente nei vasti programmi della multitudinaria società del futuro, quando l’umanità uscirà effettivamente dalla specie d'infanzia in cui ancora si dibatte, dove queste tecniche mostreranno i loro vantaggi economici. Se si calcola il loro prezzo in un paese con un elevato costo della mano d’opera, come gli Stati Uniti, si giunge a costi a metro quadrato competitivi con quelli di soluzioni di qualità equivalente. Questo che dico non è un’affermazione gratuita; si basa su calcoli fatti nell’autunno del ’73. Credo, questo sì, che non sia facile che in un paese industrializzato si percepiscano i vantaggi di queste tecniche. Nulla impedisce che esse vengano applicate se non certe predisposizioni e abitudini difficili da cambiare. Nel nordovest del Brasile, invece, quattro operai uruguayani costruirono, con manodopera locale, il mercato di Maceió, con una struttura molto complessa, realizzando in loco persino i casseri per le volte a doppia curvatura. Queste soluzioni “sottosviluppate”, cioè, sono molto adatte ai paesi poveri ma possono anche essere valide nel mondo dello sviluppo, senza che questo significhi che quel mondo dello sviluppo sia per me, come lo vedo, un ideale da imitare. Voglio semplicemente evidenziare che non si tratta di soluzioni solamente compatibili con gli stadi primari dell’evoluzione umana. Non cado nemmeno nell’errore contrario di supporre di aver trovato qualche specie di panacea costruttiva; non vi sono panacee (sarebbe da pazzi pretendere di costruire in laterizio armato una diga o un grande ponte). Credo tuttavia che siano soluzioni interessanti per determinati programmi e voglio rispondere a obiezioni non formulate ma che ho sentito piuttosto come un vago sconcerto. L’impiego del laterizio e la semplicità dell’attrezzatura necessaria possono ridurre la deviazione che genera povertà, senza negare che vi siano molte strade per uscire dal sottosviluppo (per me è sottosviluppo tutto ciò che inibisca la pienezza dell’uomo e vi sono pertanto molti sottosviluppi “sviluppati”) e che le più efficaci sono quelle radicate nella nostra realtà tecnica ed economica.