Dispersione Imballaggi

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SPECIALE 30 ANNI/SOSTENIBILITÀ

DISPERSIONE IMBALLAGGI

(QUASI) ZERO: L’OBIETTIVO

È CONDIVISO, IL METODO NO

TROVARE IL MODO DI RIDURRE I RIFIUTI DA IMBALLO CHE VANNO

DISSEMINATI NELL’AMBIENTE E NON VENGONO RICICLATI

È UN TRAGUARDO AL QUALE LAVORARE IN SINERGIA, MA COME?

LA BOZZA DI REGOLAMENTO UE HA APERTO UN DIBATTITO

SULL’OPPORTUNITÀ DI APPLICARE LO STESSO SISTEMA

IN CONTESTI GEOGRAFICI ED ECONOMICI DIVERSI.

CON ENORME AGGRAVIO DEI COSTI PER ALCUNE FILIERE

DEL BEVERAGE, ANCHE IN ITALIA

DI MADDALENA MARCONI

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Tra i problemi ecologici oggi al centro del dibattito internazionale, quello dei rifiuti e in particolare delle plastiche disperse nell’ambiente è uno dei più evidenti. Le immagini della gigantesca isola di plastica che si è formata nell’Oceano Pacifico o quelle degli animali acquatici soffocati hanno fatto il giro del mondo e non è più possibile voltarsi dall’altra parte. Un’emergenza che coinvolge tutti: istituzioni, industria, distribuzione e consumatori. E che riguarda anche il canale del fuori casa. In occasione di questo secondo numero speciale di GBI, dedicato ai 30 anni di vita della rivista, è giusto guardare al futuro e interrogarsi sulle sfide che attendono il settore, tra cui c’è sicuramente quella della sostenibilità ambientale, premessa indispensabile per una crescita duratura anche sotto il profilo economico.

Spesso abbiamo esperienza diretta degli ambienti invasi dai rifiuti e sappiamo che la plastica è entrata nella catena alimentare ed è stata trovata in micro-frammenti anche all’interno del corpo umano, dal sangue al latte materno. È ora più che mai necessario fare qualcosa a tutti i livelli. Le aziende giocano un ruolo centrale: la sostenibilità è destinata a diventare un corollario indispensabile del fare impresa, ma non sempre è chiaro che cosa sia più utile fare.

UN FENOMENO DIFFICILE DA QUANTIFICARE

Innanzi tutto, bisogna conoscere il fenomeno. Anche se è impossibile dire con precisione quanta spazzatura

si disperda nell’ambiente ogni anno, si calcola che a livello globale finiscano in mare circa 8 milioni di tonnellate solo per quanto riguarda la plastica, un materiale in cima alla lista nera dei rifiuti inquinanti per la sua ubiquità e per la resistenza alla degradazione. Anche se i rifiuti da imballaggio costituiscono solo una piccola quota del totale dei rifiuti prodotti in Italia (circa l’8%), nel vasto insieme degli imballi abbandonati nell’ambiente, spiccano i contenitori per bevande e non è un problema che riguarda solamente le aree del mondo in cui non esiste un sistema di raccolta.

Secondo le stime dell’Associazione Comuni Virtuosi, basate sui dati della

piattaforma Reloop, i contenitori per le bevande che nel nostro Paese sono sfuggiti al recupero fino al 2019, supererebbero i 7 miliardi l’anno, corrispondenti a circa 119 a testa: 98 bottiglie di PET, 12 di vetro e nove lattine. Nel 2020 la pandemia ha ridotto temporaneamente la mobilità delle persone ed è diminuita di conseguenza anche la quantità di contenitori dispersi, mentre è aumentata la raccolta differenziata, che vede oggi l’Italia ai vertici delle classifiche europee. In base ai dati più recenti (2021), la quota dei rifiuti da imballaggio che in Italia non viene recuperata e finisce in discarica, nell’inceneritore o dispersa nell’ambiente resta comunque ancora superiore al 17%.

CAMPIONI DEL RICICLO

Ciononostante, su 14,3 milioni di tonnellate di imballaggi immessi al consumo nel 2021, più di 10 milioni e mezzo sono state raccolte e avviate al riciclo. L’Italia ha così raggiunto il 73,3% di imballi riciclati, superando di oltre 8 punti percentuali l’obiettivo fissato dall’Europa per il 2025 e di 3,3 punti il target per il 2030. Il Conai,

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consorzio senza fini di lucro attraverso il quale sono impegnate le imprese produttrici e utilizzatrici, con l’obiettivo principale del riciclo, tramite la gestione dei Consorzi di Filiera, è direttamente responsabile del ritiro e della valorizzazione di circa metà degli imballi recuperati. In base ai dati 2021 che emergono dal suo ultimo rapporto, il materiale con i tassi di riciclo più alti è la carta, con ben l’85,1%, segue il vetro, con il 76,6%. Anche con la plastica, nonostante le difficoltà tecniche, superiamo l’obiettivo europeo fissato per il 2030, con un riciclo che ha raggiunto il 55,6%.

Nonostante si tratti di risultati molto significativi, si può e si deve fare ancora di più. Definire i sistemi migliori per ridurre i rifiuti dispersi e il loro impatto sull’ambiente non è semplice e spesso le soluzioni che si adattano a un contesto sociale, ambientale ed economico non sono adeguate a un altro.

LE INIZIATIVE PRESE DALL’UNIONE EUROPEA

L’Europa si sta impegnando con crescente vigore per identificare soluzioni comuni. Nel 2019, con l’obiettivo principale di eliminare progressivamente l’impiego della plastica monouso, l’Ue ha varato la cosiddetta direttiva Sup (Single use plastic). Questa è stata recepita in Italia, con alcune deroghe, nel novembre del 2021, ma limitatamente a piatti e

bicchieri, tazze, cannucce e altri prodotti simili. La sua applicazione non è invece stata ancora definita per i contenitori dei liquidi in PET, per i quali la direttiva europea fissa target precisi sia riguardo alla raccolta (77% entro il 2025 e 90% entro il 2029), sia riguardo al contenuto di materiale riciclato (almeno il 30% al 2030).

LA NUOVA PROPOSTA DI REGOLAMENTO

Lo scorso novembre la Commissione europea ha dato un ulteriore giro di vite per promuovere in maniera armonizzata la riduzione, il riutilizzo e il riciclo degli imballaggi e ha presentato una proposta di regolamento che rivede la disciplina in vigore. In questo caso, però, diversamente da quanto accade con la Sup, non si tratta di una direttiva, recepita dagli Stati membri con modalità e tempistiche diverse, ma di un regolamento, cioè di un testo che, una volta approvato, prevede un’applicazione senza deroghe. Il Packaging and Packaging Waste Regulation (PPWR), questo il nome del regolamento (si veda a pag. 22 per una sintesi dei contenuti), ha già subito alcune revisioni rispetto alla bozza iniziale e potrebbe essere ancora modificato da ulteriori passaggi legislativi, ma obiettivi e metodi indicati per raggiungerli sembrano destinati a restare invariati.

Mentre però gli obiettivi sono certamente condivisi, l’applicazione nel nostro Paese di alcuni dei metodi proposti per raggiungerli ha sollevato fin da subito numerose critiche.

Queste riguardano principalmente due questioni, entrambe collegate

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all’impiego del deposito cauzionale (in inglese Drs, Deposit return system). Tale sistema prevede che, all’acquisto, il consumatore paghi un sovrapprezzo che

del Centro studi Conai per l’economia circolare –, il suo limite principale è quello di imporre e tutti i membri l’adozione dello stesso sistema per raggiungere l’obiettivo, condiviso, di aumentare i tassi di intercettazione, in particolare per quanto riguarda le bottiglie di plastica. Il Drs finalizzato al riciclo non si è sempre dimostrato efficace. Ha ottenuto ottimi risultati nei paesi del Nord Europa, dove è adottato da tempo e le caratteristiche del territorio e la distribuzione della popolazione sono diverse dalle nostre, ma anche lì non sempre ha prodotto

gli verrà restituito quando renderà il vuoto ed è suggerito come soluzione più idonea per il riutilizzo e il riuso, ma è anche “imposto” dal nuovo regolamento come strumento principale per il riciclo di bottiglie in PET e lattine monouso.

LA QUESTIONE DEL DEPOSITO CAUZIONALE

Per intercettare e avviare al riciclo i contenitori dei liquidi alimentari con una capienza inferiore ai tre litri, in plastica e in metallo, il PPWR richiede infatti l’introduzione del deposito cauzionale entro il 2029 in tutti i Paesi che non lo hanno ancora istituito (si veda a pag. 22 e 26). L’obbligo – che esclude i contenitori per latte e derivati, vino e alcolici – prevede inoltre un’esenzione per i Paesi che, entro il 2027, dimostrino di poter conseguire il 90% di raccolta per gli stessi contenitori.

“Anche se la bozza di regolamento europeo lavora correttamente, partendo dal tema della prevenzione – sottolinea Simona Fontana, Responsabile

tassi di intercettazione al 90%, come in Svezia e Islanda, dove i sistemi Drs per il riciclo esistono dal 1984 e 1989 e, ciononostante, sono fermi a un tasso di restituzione dell’85%”.

Pur senza avvalersi del deposito cauzionale per il riciclo, in Italia il Conai, grazie alla collaborazione con l’Anci (Associazione nazionale comuni

italiani), ha sviluppato in oltre 25 anni di attività un sistema di raccolta differenziata capillare ed efficace, che si teme possa essere depotenziato dall’attivazione di un circuito alternativo. Tra le principali problematiche emerse, spicca la restituzione del deposito. In pratica, infatti, una persona che acquista una bevanda in un bar e paga la relativa cauzione, dovrebbe poter riconsegnare il contenitore vuoto in qualsiasi altro locale della Penisola, ricevendone in cambio la somma versata. “Questo comporterebbe la necessità di creare un’infrastruttura informatica che colleghi tutti i punti vendita dell’Horeca – spiega Fontana –. Inoltre, i locali dovrebbero essere in grado di ricevere, raccogliere e poi conferire gli imballi vuoti ricevuti. Non è stato definito chi raccoglierebbe questi vuoti, fermo restando che non potrebbe essere il distributore che consegna la merce, perché si tratterebbe in questo caso di rifiuti”. I modelli messi in pratica dai diversi Paesi che hanno già attuato un Drs per il riciclo sono però differenziati e non è detto che debbano essere tutti gli esercenti a dover raccogliere i vuoti. In molti contesti sono poi state installate macchine per il conferimento

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SIMONA FONTANA, RESPONSABILE DEL CENTRO STUDI CONAI PER L’ECONOMIA CIRCOLARE

degli imballi vuoti che funzionano in maniera analoga a quelle attualmente presenti in alcuni punti vendita della Gdo per la raccolta selettiva delle bottiglie di plastica, con la differenza che occorrerebbe una presenza più capillare e si dovrebbe prevedere la funzione di restituzione della cauzione e non il buono sconto o altri meccanismi premianti, che solitamente si abbinano a una raccolta selettiva.

VERSO L’ELIMINAZIONE DEL MONOUSO

Diversa è la questione del deposito cauzionale impiegato per attivare circuiti di riutilizzo e riuso, raccomandati dal regolamento con target di quote percentuali differenziate e progressive (per i contenitori di acqua e bevande sono del 10% entro il gennaio 2030 e del 25% entro il 2040). In questo caso i distributori Horeca che hanno consegnato ai rivenditori i contenitori pieni potrebbero essere coinvolti anche nella loro restituzione, per conferirli a chi dovrebbe effettuare l’igienizzazione e il successivo riempimento. Anche su tale aspetto, però,

non mancano le criticità. “L’impatto sulle aziende sarebbe significativo –sostiene Fontana –. Cambierebbero le logiche di approvvigionamento dei clienti, passando da imballaggi che oggi sono destinati al riciclo a contenitori che devono garantire più utilizzi, con la necessità di prevedere processi di bonifica e ricondizionamento”. Una problematica evidenziata anche da Ettore Fortuna, Vicepresidente di Mineracqua: “La necessità di raggiungere gli obiettivi fissati dal regolamento – chiarisce Fortuna – comporterebbe massicci investimenti da parte delle aziende. Sarebbe infatti necessario rivedere gli impianti di imbottigliamento e le bottiglie stesse, con ricadute per tutta la filiera e anche per i distributori, che dovrebbero, tra le altre cose, farsi carico del trasporto dei vuoti”. Vincolare una quota di vuoti al riutilizzo viene insomma vissuto dal sistema industriale italiano come una misura punitiva, sempre in virtù della nostra leadership in Europa nel modello del riciclo. “Grazie al lavoro fatto negli ultimi 15 anni per ridurre il peso medio delle bottiglie e ai continui investimenti in eco-progettazione – aggiunge Fortuna –, abbiamo le bottiglie in plastica per acqua minerale più leggere d’Europa. Il riutilizzo vanificherebbe questi sforzi, perché una bottiglia in plastica destinata a più rotazioni dovrà essere più pesante e resistente”. Il Vicepresidente di Mineracqua esprime poi

dubbi anche sulla disponibilità delle risorse necessarie per questa trasformazione, soprattutto da parte delle piccole e medie imprese: “Non va dimenticato che, con l’introduzione dei nuovi obblighi in materia di riutilizzo, le Pmi subirebbero una forte penalizzazione, perché non sarebbero in grado di sostenere gli investimenti necessari per attuare i cambiamenti prescritti”.

IL VUOTO A RENDERE NEL VETRO, UNA SOLUZIONE COLLAUDATA

Infine, la proposta di regolamento Ue sembra trascurare modelli già esistenti a livello nazionale, che funzionano e producono risultati. Per quanto riguarda l’acqua in bottiglie di vetro, che rappresenta il 15% del mercato dell’acqua minerale, esistono dei sistemi “chiusi” di riutilizzo, come il vuoto a rendere impiegato nel canale Horeca. “Queste soluzioni collaudate – suggerisce Fortuna – potrebbero essere sviluppate ulteriormente anche attraverso meccanismi pubblici

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ETTORE FORTUNA, VICEPRESIDENTE DI MINERACQUA

di incentivazione, sia per sopperire alla mancanza di vetro vergine, sia per suoi i costi, che nell’ultimo anno sono lievitati. È invece molto diverso ipotizzare un meccanismo di riutilizzo trasversale a tutti i materiali e i settori”.

Anche Giangiacomo Pierini, Presidente di Assobibe, esprime preoccupazione per quello che definisce “il rischio di un ambientalismo ideologico che non guarda alla corretta gestione di un rifiuto o alle specificità dei diversi operatori della filiera, ma si limita a fotografare solo la bottiglia abbandonata da qualche incivile. Tutti gli sforzi per rendere riciclabili e riciclati i contenitori post consumo – dice Pierini – rischiano di esser vanificati,

I TEMPI DI APPROVAZIONE DELLE NUOVE NORME

Resta comunque da capire quando le nuove norme europee potrebbero entrare in vigore. “Per arrivare alla fine dell’iter – precisa Fortuna – si dovrà seguire la procedura legislativa ordinaria, che prevede ancora l’approvazione da parte del Parlamento e del Consiglio Ue. L’attuale legislatura europea terminerà però nei primi mesi del 2024 e c’è quindi meno di un anno per completare il percorso”.

Questi tempi stretti preoccupano anche Simona Fontana del Conai: “L’attuale Parlamento europeo, connotato per la forte attenzione a iniziative di carattere ambientale, è in fase di scadenza del mandato e non sappiamo se riuscirà ad arrivare a un’approvazione del regolamento prima della sua fine. L’augurio di molti è però che la volontà di chiudere questo percorso non venga anteposta ai tempi tecnici necessari per un confronto con tutte le parti interessate. Speriamo insomma che la fretta non finisca per sacrificare una discussione allargata”.

LE POSSIBILI ALTERNATIVE AL SISTEMA DRS

così come molti altri accorgimenti adottati finora ai diversi livelli”.

Pierini sottolinea poi i costi per gli adeguamenti che la filiera dovrà gestire: “PwC ha stimato che, solo per rendere riutilizzabili le bottiglie in plastica, l’impatto sull’industria europea delle bevande analcoliche sarebbe di 18,7 miliardi di euro”.

Nella valutazione della questione e dei cambiamenti che potrebbe produrre, la Commissione europea evidenzia anche alcuni aspetti positivi “collaterali” del deposito cauzionale, come la creazione di posti di lavoro nel settore del riutilizzo, valutata in circa 600 mila unità entro il 2030 e risparmi complessivi intorno ai 47,2 miliardi di euro.

Si tratta comunque di calcoli generali, che non considerano le specificità di

ogni Paese. Grazie alle quote di riciclo già raggiunte, l’Italia potrebbe infatti essere tra i candidati a evitare l’obbligo di introduzione obbligatoria del sistema di deposito cauzionale finalizzato al riciclo. Non si può insomma escludere la possibilità di arrivare all’obiettivo del 90% di raccolta dei contenitori per bevande entro il 2029. “Siamo a quello che potrebbe essere considerato ‘l’ultimo miglio’ di un percorso complesso – conclude Fontana – e sarebbe un peccato dover cambiare strada proprio ora. Per quanto riguarda poi gli ambiti nei quali c’è ancora dispersione di imballaggi, sarebbe nel nostro caso più coerente ragionare su modelli di raccolta integrativa, magari incentivata con un meccanismo di premialità, come accade già oggi con le ‘macchinette mangia plastica’ disponibili in punti strategici come i supermercati. Questo genere di soluzioni, infatti, consentirebbero comunque di massimizzare le intercettazioni di materiali e di migliorarne la qualità, senza dover ricorrere alle complicazioni ulteriori che si creerebbero per l’attivazione di un sistema di deposito cauzionale sostitutivo del modello attuale”. Che si attui un piano oppure l’altro, occorre prendere coscienza della necessità di impegnarsi per trovare la soluzione più efficace e rapida, che riduca al massimo la dispersione degli imballaggi nell’ambiente. Bisogna saper avere una visione di lungo periodo, anche andando oltre gli interessi di categoria, perché tutelare l’ambiente significa tutelare al contempo noi stessi, la nostra salute e anche la nostra attività.

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GIANGIACOMO PIERINI, PRESIDENTE DI ASSOBIBE

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