SPECIALE 30 ANNI/PAGAMENTI
IL LOCKDOWN DELLE FATTURE
LA PANDEMIA HA AGGRAVATO UN PROBLEMA
CRONICO DEL SISTEMA ECONOMICO
ITALIANO, HORECA COMPRESO:
LA SCARSA PUNTUALITÀ NEL SALDARE
I DEBITI COMMERCIALI. IL 2022 HA VISTO
UN MIGLIORAMENTO DEGLI INDICI
FINANZIARI DELLE PMI, MA ANCHE UN PEGGIORAMENTO DELL'AFFIDABILITÀ
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CREDITIZIA DI RISTORAZIONE E ALBERGHI
DI DOMENICO APICELLA
Nella lunga storia della distribuzione Horeca, l’emergenza sanitaria causata dal Covid 19 ha rappresentato un momento di forte discontinuità. Il cambiamento delle condizioni del mercato è stato violento e repentino. Abituata da anni a crescere e a rosicchiare quote ai consumi domestici, l’intera filiera del fuori casa ha dovuto improvvisamente fronteggiare un crollo delle vendite, originato dalle misure restrittive adottate dalle autorità nel tentativo di contenere il contagio. Le lunghe chiusure dei pubblici esercizi sono state una scelta dolorosa, ma obbligata per
resistere alle ondate pandemiche che si abbattevano su un sistema sanitario allo stremo.
LA FASE DELL’EMERGENZA
La perdita di fatturato non è stata l’unica conseguenza patita dai distributori Horeca, per effetto di questo imprevedibile mutamento di scenario. Al blocco degli ordini si è accompagnato quello dei pagamenti per la merce già consegnata alla clientela nei 30 o 60 giorni precedenti al 9 marzo 2020, data di inizio del lockdown. Le aziende della distribuzione Horeca hanno contribuito responsabilmente alla sopravvivenza di tanti bar, ristoranti e punti di consumo, impossibilitati a lavorare e dunque a saldare le fatture. Per fortuna, all’indomani della fase più critica, la voglia di normalità e socialità espressa dagli italiani ha consentito la ripartenza del mercato. Sul fronte dei pagamenti, la logica più diffusa tra gli imprenditori dell’ingrosso food & beverage è stata quella di frazionare i crediti pregressi, consentendo quindi alla clientela professionale di rientrare in maniera graduale. Nemmeno questo è stato un percorso facile e indolore, perché non tutte le partite sospese si sono risolte positivamente, come dimostra anche la cautela adottata da molti distributori, che hanno iniziato a preferire pagamenti alla consegna o dilazionamenti più ridotti, per esempio con saldo di quanto dovuto da effettuarsi contestualmente alla
consegna successiva, così da contenere il rischio di insoluti. È chiaro che tutto ciò ha comportato una diminuzione del valore medio degli ordini, scelta fatta comprensibilmente da gestori di bar e ristoranti, e dunque un incremento dei costi logistici per le aziende della distribuzione, a fronte di consegne più numerose e frequenti.
I RITARDI NEL FUORI CASA
L’impasse finanziario causato dalla pandemia in realtà è solo l’ultimo capitolo di una storia lunga e per niente gloriosa. I pagamenti rappresentano da sempre un argomento spinoso per il sistema economico nazionale e la filiera del fuori casa non fa certo eccezione. In base a un’analisi realizzata da Cribis per GBI lo scorso marzo, su 391.000 aziende italiane del settore Horeca, il 24,2% ha mostrato nel primo trimestre del 2022 un’abitudine di pagamento che non brilla per puntualità, con ritardi oltre i 30 giorni. Un altro 56,9% ha contenuto il ritardo nei 30 giorni, mentre solo il 18,9% ha saldato i debiti commerciali alla scadenza. Il fatto che a sforare i 30 giorni di ritardo sia in pratica un quarto delle aziende attive nell’Horeca è oggettivamente preoccupante. A volere cercare il bicchiere mezzo pieno, nel primo trimestre del 2021 la situazione era anche peggiore: la crisi pandemica aveva infatti innalzato la quota dei “ritardatari” al 32,3% rispetto al 21,2% dell’analogo periodo del 2020. L’emergenza sanitaria ha aggravato un problema preesistente che nel nostro Paese assume proporzioni record, come dimostra un confronto fatto da Cribis relativamente all’ultimo trimestre 2021, quando l’Horeca italiano pativa un 26,9% di ritardi oltre i 30 giorni,
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contro il 18,5% della Spagna, il 17,6% della Francia, il 12,2% del Regno Unito e il 3,5% della Germania.
L'ANDAMENTO DELLE PMI
A confermare che la puntualità nei pagamenti è una merce ancora piuttosto rara è il recente Rapporto Cerved sulle Pmi, da cui emerge un quadro interessante sullo stato di salute finanziario di una categoria dimensionale di imprese in cui rientrano in larga parte i distributori Horeca. Cominciamo dicendo che qualche notizia positiva c’è: il rimbalzo di fatturato e valore aggiunto all’indomani della fase più critica, per esempio, con rispettivamente +10,7% e +11% per le Pmi del macrosettore servizi nel 2021, a fronte del -8,4% registrato l’anno prima sia nel fatturato sia nel valore aggiunto. Marcato anche l’incremento del margine operativo lordo, con +20,8% sempre per le piccole e medie imprese del settore servizi. A toccare livelli massimi è stata la capacità di generare cassa: il 7% di cash flow ottenuto dalle piccole aziende rappresenta il record dal 2007, mentre l’utile si è attestato al 4,2%, migliorando di un punto percentuale rispetto al 2020. Relativamente ai pagamenti, il Rapporto Cerved evidenzia un irrigidimento nelle condizioni adottate per effetto dell’elevato livello di incertezza: 56,6 giorni è il tempio medio in cui le Pmi sono tenute a liquidare le fatture. Il dato è relativo allo scorso giugno e soprattutto è calato di quasi un giorno su base annua ed è molto distante dal pre-Covid. Anche i giorni medi di ritardo con cui le Pmi saldano il dovuto sono diminuiti, scendendo a 7,1 giorni in media, contro i 9,4 giorni del pre-Covid e gli 11,7 raggiunti nella fase critica, che rappresentano il valore più alto registrato da metà 2014.
Un indicatore fondamentale è quello dei gravi ritardi, cioè le fatture saldate a distanza di due mesi dai tempi concordati, perché potrebbero sfociare in mancati pagamenti o addirittura in default. Nel corso del 2020 era for-
temente aumentato il numero di Pmi che incappavano in questa situazione, arrivando al 6,3% del totale. A partire dal 2021 è iniziato un trend di forte discesa, proseguito nei primi sei mesi dello scorso anno raggiungendo i minimi della serie storica (3%). E il settore dei servizi si è messo in luce con la riduzione di entità maggiore, che ha fatto da traino al totale delle Pmi: se nel primo semestre 2021 il 5,8% delle imprese dei servizi faceva registrare ritardi superiori ai due mesi, nello stesso periodo del 2022 il numero è sceso al 3,7%.
IL CREDITO COMMERCIALE
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L’effettivo credito commerciale è la somma dei termini concordati con il fornitore e degli eventuali ritardi nei pagamenti. In pratica, è la misura del lasso di tempo medio in cui vengono concretamente saldate le fatture
L’ultimo decennio ha visto una sensibile riduzione di questo indicatore, che nel primo semestre del 2012 si attestava a 75,9 giorni, per effetto di scadenze
più brevi e minori ritardi. La tendenza si era invertita nel 2019 e il lockdown ha contribuito a far tornare indietro le lancette, visto che nel primo semestre del 2020 si è risaliti a 72 giorni. Anche sotto questo profilo il 2021 ha visto un netto miglioramento, proseguito negli scorsi dodici mesi. A giugno 2022, si legge nel Rapporto Cerved, le Pmi hanno pagato mediamente in 63,7 giorni, con un calo di 2,2 giorni rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Come si è già avuto modo di osservare, c’è stato uno spostamento verso pagamenti brevi: nell’ultimo anno è cresciuto il numero di Pmi che saldano le fatture entro un mese (dal 19,6% al 20,6%), mentre si è assottigliata fortemente la quota di quelle che liquidano il dovuto dopo 90 giorni (dal 21,3% del secondo trimestre 2021 al 18,8% dell’analogo periodo del 2022).
L’AFFIDABILITÀ DELLE IMPRESE DELL’HORECA
Un altro degli spunti forniti dal rapporto sul settore Horeca è purtroppo assai poco confortante per i distributori Horeca. Come è noto, attraverso score e rating Cerved fornisce un giudizio sintetico sull’affidabilità creditizia delle aziende. Tra i settori che registrano un aumento del numero di imprese con una valutazione economico finanziaria in area di rischio, spiccano la ristorazione e gli alberghi. Il retaggio dei tanti mesi di scarsa o nulla attività ha evidentemente lasciato delle scorie a livello finanziario. Detto questo, una forma di reazione c’è stata,
come testimonia un altro recente studio, l’Osservatorio della Fondazione Nazionale Commercialisti sui bilanci delle società di capitali (oltre 600.000 quelle prese in esame) Nel 2021 i ricavi sono saliti a doppia cifra (+25,7%) rispetto all’anno precedente e nel caso del settore ristoranti e alberghi l’incremento è a persino superiore (+37,5%). Gli stessi autori dell’Osservatorio rimarcano però che questi numeri vanno letti e interpretati con cautela, considerato il (pessimo) termine di confronto, cioè il 2020. Inoltre, i valori aggregati scontano andamenti anche fortemente asimmetrici tra le singole imprese, perché gli effetti patiti a causa della crisi non sono certo stati uguali per tutti, così come la capacità di reazione delle imprese stesse. In attesa di poter analizzare i bilanci del 2022 – che come correttamente evidenzia l’Osservatorio, probabilmente racconteranno una storia diversa, scritta in buona parte dalla pressione sui prezzi di tutti gli input produttivi (a cominciare dall’energia) e dalla stretta monetaria, con i conseguenti effetti sui costi sostenuti dalle aziende per finanziarsi – consoliamoci evidenziando che la quota di società in utile nel settore ristoranti e alberghi è passata dal 40,8% del 2020 al 63,3% del 2021. Un solo punto in meno rispetto al valore pre-pandemico.
LE DIMENSIONI CONTANO
Quasi due settimane in più: è il tempo di cui dispongono le grandi aziende per saldare le fatture. Il dato emerge dal Rapporto Cerved sulle Pmi e sintetizza perfettamente il diverso potere negoziale. Soltanto una grande impresa su 10 paga entro un mese, contro il 15,9% delle medie e il 24,2% delle piccole. E più di un quarto delle grandi (25,4%) onora i propri impegni oltre tre mesi dopo la consegna, a fronte del 20,8% delle medie e il 18,4% delle piccole.