Wolkenkratzer? Il dibattito sull'edificio alto a Berlino nel Novecento

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Politecnico di Milano Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni Tesi di Laurea in Progettazione dell’architettura Anno: 2017/2018 Sessione di Laurea: Febbraio 2018

Wolkenkratzer ? Il dibattito sull’edificio alto a Berlino nel Novecento.

Relatore: Matteo Moscatelli Studentessa: Alessandra Claudia Ferrari Matricola: 833408


In copertina: L. MIES VAN DER ROHE, Friedrichstrasse Building, Berlino, progetto del 1922.


Wolkenkratzer? Il a

dibattito Berlino

sull’edificio alto nel Novecento.



Abstract

Grattacieli? La domanda riguardo la tipologia edilizia dell’edificio alto è posta al centro dell’elaborato che mira a spiegare come questo viene concepito, e successivamente, come viene applicato in Europa, e più nello specifico in Germania, nel corso del Novecento. Nella città di Berlino c’è un dibattito acceso che riguarda l’edificio alto, soprattutto per i progetti che andranno ad interfacciarsi con il centro della città come Postdamer Platz e Alexander Platz. Per capire meglio le ragioni dei diversi punti di vista che derivano da questa discussione, si descrivono i passaggi salienti nel corso del Novecento che danno una svolta alla tipologia edilizia in Germania: Mies Van Der Rohe, Gropius e la sua partecipazione al Concorso del Chicago Tribune, l’esperienza dell’edificio IBA di Peter Eisenman e infine i concorsi per le nuove aree che derivano dalla caduta del muro di Berlino sono solo alcuni esempi di questo intenso secolo. Ma nei giorni nostri quali sono i motivi e le esperienze progettuali che riguardano l’edificazione in verticale? Inevitabile è confrontarsi con altre realtà tedesche in pieno sviluppo come per esempio Amburgo con il Masterplan di HafenCity e Francoforte.

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Abstract

Skyscrapers? The question about how the skyscarper building typology is understood and applied in Europe and in particular in Germany during the Twentieth Century, is at the centre of the thesis. In Berlin there is a harsh debate about tall buildingsand expecially about the project that will take place at the centre of the city more specifically in Potsdamer Platz and Alexanderplatz. To better understand the reason behind the different points of view that emerged from this debate, it’s necessary to describe the main events that started a change of the building typology in Germany in the Twentieth Century: Mies Van Der Rohe. Walter Gropius and his attendance to the Chicago Tribune Contest, Peter Eisenmam’s IBA building and finally the contests derived from the formation of the new development areas after the fall of the Berlin wall are just examples of the architectonic milestones happened in this intense century. What are the reasons behind the design and construction of tall buildings nowadays? It’s inevitable to make a comparison with other german development realities such as Hamburg’s HafenCity Masterplan and Frankfurt.

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Indice

Introduzione

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Dibattito

sull’edificio

alto

a

Berlino

- Definizione del tema generale - Berlino dibattito sull’edificio alto

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Evoluzione dell’edificio alto a Berlino - Anni 20/30: le Avanguardie - Architetti europei in America - Anni 50/60: la ricostruzione urbana - Anni 70/80/90: “Kritische Rekonstruktion”

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Edifici alti in Germania nei giorni nostri: confronto con altre città - Amburgo - Francoforte sul Meno

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Introduzione Con l’avvento di tecnologie differenti l’uomo tende a non fermarsi agli ordini classici e al linguaggio fino a quel momento utilizzato, ma prova a crearne di nuovi. È un processo non immediato, tanto da creare una commistione di diversi stili ed edifici che già erano presenti. La nuova tipologia edilizia è l’edificio alto, caratterizzato da un’altezza costruttiva fuori dalla norma, è sempre stato idealizzato come simbolo del progresso e dell’innovazione, dando così luogo ad una dualità collettiva: positiva, come sviluppo costruttivo e tecnologico illimitato, negativa, come segno tangibile della speculazione del potere economico. Dall’altra parte dell’oceano, l’incremento degli affari ha portato alla nascita dell’edificio alto: una novità inserita per la prima volta a Chicago dopo il Great Fire, incendio che bruciò la città per tre giorni nel 1871. Tutto questo è stato possibile grazie all’utilizzo di materiali diversi, non impiegati prima di quel tempo per la costruzione degli edifici come l’acciaio e l’uso più frequente degli ascensori. In America quindi ci fu un incremento incondizionato dell’edificio alto, tanto da non porsi il problema di come andava ad inserirsi nella città, ormai dominata da una congestione di artifici, senza neanche fare un piano urbano. In Europa invece, questa congestione è stata limitata e i suoi edifici diventano modello da cui prendere spunto per provare a dare un linguaggio ai grattacieli. Infatti si tende a decorare l’edificio alto, prendendo suggerimento dagli edifici europei di tutte le epoche storiche, con motivi stilistici diversi tra di loro. Tutto ciò viene fatto per nascondere l’aspetto inconsueto dell’edificio alto, svilendolo, tentando di avvicinarsi allo stile classicheggiante di tempi diversi appartenenti all’altra parte del mondo. La nuova tipologia edilizia era quindi caratterizzata da sovrapposizioni, proprie stratigrafie che avevano peculiarità diverse, diventando così un agglomerato senza un elemento distintivo suo e ciò serviva per creare la forma dell’edificio. E Aldo Rossi nel 1966 scrive: ”Se camminate di domenica mattina scendendo lungo Wall Street questo contesto urbano dell’America diventa ossessivo, come percorrere una prospettiva del Serlio o attraversare il disegno di qualche teorico del Rinascimento. Apporti, citazioni, quasi intersezioni delle esperienze europee, hanno creato una ‘città analoga’ di imprevisto significato, come imprevisto è il significato degli ‘stili’ e degli ‘ordini’ classici nella loro diversa e alterata applicazione”1. Solo successivamente iniziò ad avere un carattere tutto suo, proponendo edifici con materiali nuovi e tecnologicamente all’avanguardia. In Europa l’edificio alto si inserisce tardivamente e una delle prime città a proporre questa nuova tipologia edilizia è Berlino: una città in fermento e in continua variazione con una vocazione cosmopolita. È la capitale su cui si vedono i segni provocati dalla guerra e ciò quindi ha portato ad un utilizzo di nuovi linguaggi e quindi alla trasformazione della città.

1 A. ROSSI, L’architettura della città, CLUP, Milano 1987, pp.276-278. p.11


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_Dibattito sull’edificio alto a Berlino

Oltre al continente americano anche in Europa si inizia a pensare di inserire la nuova tipologia edilizia all’inizio del Novecento. I primi progetti si intravidero con l’avvento delle avanguardie, che rappresentavano lo spirito di innovazione e di cambiamento all’interno della società. Nel Manifesto dell’Architettura futurista Umberto Boccioni ci esplica come ci sia un nuovo centro urbano: “noi viviamo in una spirale di forze architettoniche. Fino a ieri la costruzione volgeva in senso panoramico successivo, a una casa succedeva una casa, a una via un’altra via. Oggi cominciamo ad avere intorno a noi un ambiente architettonico che si sviluppa in tutti i sensi: dai luminosi sotterranei dei grandi magazzini ai diversi piani di tunnel delle ferrovie metropolitane alla salita gigantesca dei gratta nuvole americane”2. Anche i maestri del Moderno hanno tutti individuato nel grattacielo l’elemento architettonico che meglio di ogni altro poteva esprimere il cambiamento della città. La torre in acciaio di Mies van der Rohe, le scomposizioni di volumi di Gropius per il progetto Chicago Tribune, i gruppi futuristi di Chiattone e Sant’Elia (fig 01.01) , le Croci razionali di Le Corbusier e la colonna di Loos, confermano come intorno al grattacielo ci sia la vera visione della città moderna. Kahn come anche gli Archigram hanno evidenziato come la composizione strutturale del grattacielo potesse andare oltre ad una configurazione orizzontale o verticale per assumere delle variazioni grandiose, fino a stabilire come la progettazione di un edificio alto potesse combaciare con la costruzione della città. Tutto ciò possiamo vederlo in alcuni progetti mai realizzati dagli Archigram come “The Walking City” (fig 01.03) o “Plug-in-City” che fungono da musa ispiratrice a molti progetti di architetti moderni come Le Corbusier con la sua architettura che vedeva i suoi edifici come macchine. “Nella città storiche della vecchia Europa le vie dell’estetizzazione dell’ambiente urbano possono diversificarsi da realtà di più recente urbanizzazione come quelle del Nord America e dell’Estremo Oriente. In queste ultime la ricerca artisticomonumentale si verticalizza, dando luogo alla tipologia edilizia e architettonica del grattacielo, testimonianza enfatizzata della modernità, connubio, a volte felice, di ricerca formale e di tecnologia, simbolo di potenza e di storia che rinnova l’ambizione che nelle città dell’Italia medievale spingeva le grandi famiglie a costruire torri sempre più alte per affermare il prestigio del proprio casato”3. A differenza delle città Americane e Asiatiche, che vedono ormai ben salda la formazione di centri caratterizzati da torri che evidenziano la potenza e la vitalità economica, nelle città europee, al contrario, le quali hanno dei centri molto consolidati, guardano il grattacielo in modo conflittuale, essendo un antipolo urbano dotato di una genetica lateralità che coincide nei casi migliori con la formazione di nuovi centri direzionali in cui si cerca di concentrare i vari ambiti appartenenti al terziario. 2 U. BOCCIONI, Architettura futurista, Manifesto (1914), in E. CRISPOLTI, Attraverso l’architettura fururista, Galleria Fonte d’Abisso, Modena 1984, p. 93. 3 E. SGROI, La città nel XX secolo: il successo infelice, in Eredità del Novecento, Enciclopedia Italiana Treccani 2001, pp. 1050-1068.

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In Europa però i vincoli urbani impediscono la costruzione del grattacielo. L’applicazione di queste leggi ha fatto sì che non avvenisse il fenomeno del congestionamento come in America, ma allo stesso tempo ha fatto di Berlino una città piatta. Infatti le sue linee sono principalmente orizzontali ed esse dovrebbero essere interrotte in qualche modo da linee verticali compatte per rendere un gioco di alti e bassi che solo con l’utilizzo dell’edificio alto ciò può accadere. Il grattacielo europeo ha una funzione urbanistica, completamente diverso da quello americano, che è stato sviluppato in linee parallele senza tener conto dell’aspetto di illuminazione interno ed eliminando tutti i buoni prerogativi che può avere questa tipologia di edificio. L’edificio alto in America nasce come costruzione serrata, che non ha una sua fisionomia individuale. Per essere tale dovrebbe essere inserito senza essere travolto da altri suoi simili vicini, ma deve essere isolato, dominando così piazze e strade, tanto da diventare lui il generatore dell’ordine all’interno della città. Queste peculiarità possono essere messe a frutto dal grattacielo europeo: esso infatti deve essere inserito in un luogo strategico per la città. Ove possa essere da riferimento per la città, per le strade, diventare una meta da raggiungere. Ciò fa sì che non diventi un monumento, come avviene per il Reichshaus di Otto Kohtz per Piazza della Repubblica a Berlino. Nei vari progetti possiamo vedere come ci siano delle caratteristiche che lo accomunano: i volumi sono sempre più compatti, con cortili angusti, completamente chiusi. Per avere maggiore forza alla frastagliata forma della città si tende ad inserire gli edifici alti nella vallata, così da uniformare la sua altezza con le torri della città. Mies fu uno dei primi a conferire all’edificio alto un carattere tutto suo: rinuncia alle forme tradizionali, crea un edificio in vetro, per produrre vari giochi di luce e progetta una pianta interna per inserire più luce possibile al suo interno. Il rapporto tra città ed Edificio si può riscontrare nello scritto del 1925 di Le Corbusier “Urbanisme”, che cerca di elencare i vantaggi dell’alta densità, per esplicare come sia fondamentale ridurre le distanze, migliorare l’efficienza strutturale, concentrare i vari edifici, rafforzare il commercio, favorire lo scambio culturale e sociale e rendere la città il luogo di scambio: “ aumentare gli spazi aperti e diminuire le distanze da percorrere” serviva che “il centro della città fosse costruito in verticale”4. Una delle prime città europee che si pone l’obiettivo di inserire questa nuova tipologia nel suo territorio urbano è Berlino, la città che aveva un crescente bisogno di locali da destinare ad uffici e voleva una maggiore concentrazione urbana al suo interno: l’edificio alto poteva essere una soluzione perfetta. Berlino infatti vorrebbe essere una delle metropoli europee e per molti politici e architetti uno dei modi per diventarlo è proprio inserendo la nuova tipologia edilizia che è simbolo di potenza e prestigio economico. 4 LE CORBUSIER, Maniera di pensare l’urbanitica, Laterza 1963, Roma 1997, pp. 78-79.

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Fig. 01.01 A. SANT’ELIA, Città nuova, 1914

Fig. 01.02 LE CORBUSIER, Plan Voisin, Parigi (1925)

Fig. 01.03 ARCHIGRAM, A Walking city, 1964.

Fig. 01.04 BBPR, Tore Velasca 1955-1957.

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In Germania la volontà di costruire il nuovo c’è sempre stata, anche se molti dei progetti non sono mai stati realizzati. I primi progetti del ‘900, a causa della prima guerra mondiale tra il 1914-18 e degli anni di crisi successivi dal ’33 in poi, hanno disilluso la speranza di innovazione all’interno della città di Berlino. Successivamente alla disfatta della seconda guerra mondiale il carattere metropolitano della città venne a mancare e con esso anche la volontà di inserire gli edifici alti. In quegli anni gli unici edifici che spiccavano all’interno della città erano l’albergo di Alexanderplatz che supera i 100 metri di altezza e la torre della televisione costruita nel 1969 con i suoi 365 metri di altezza che ancora oggi è uno dei simboli di Berlino. Dopo esser stata riunita la città (fig 01.05), si voleva ritornare all’idea iniziale di essere una metropoli: l’economia capitalistica, gli architetti, i politici e i grandi imprenditori forzano quest’idea. Inizialmente non si costruiscono edifici molto alti e si tende ad inserirli nei punti cardini della città, creando così un monumento di cui la città non potrà farne a meno. Gli imprenditori cercano e costruiscono i propri edifici nella parte più centrale della città come Potsdamer Platz, la Friedrichstrasse e Alexanderplatz. Si impone che nelle vie centrali, come Friedrichstrasse non si può superare l’altezza degli edifici ottocenteschi, al contrario nelle piazze si tende ad avere altezze diverse. Il primo esperimento nella città di lasciare un segno della potenza sotto forma di edifici alti inizia subito dopo la caduta del muro. Uno dei primi progetti si colloca nel 1991 con il concorso per la Potsdamer e la Leipziger Platz che però fu subito stroncato poiché la giuria preferì una soluzione più conservativa, volendo mantenere l’orizzontalità della città. Successivamente però si riuscì ad avere un accordo tra l’imprenditoria e il senato con i progetti per la Friedrichstrasse nel 1992 e per Alexanderplatz (fig 01.07) nel 1993. La Postdamer Platz (fig 01.06) si trova in un’area di Berlino Ovest vicino al confine, a suo tempo accanto al Muro, tra Berlino Est e Berlino Ovest. A Berlino Est non si trova una potenziale protesta per le problematiche della città e del controllo riguardanti le valutazioni dei progetti di imprenditori e di Architetti. La progettazione di tredici edifici alti di quasi 140 metri di altezza nella piazza di Alexanderplatz, come annunciato nel progetto vincitore di Hans Kollhoff, non potrebbe mai essere posta all’interno della città di Berlino Ovest. A Ovest infatti ci sono molti progetti bloccati da anni come quello di Richard Rogers e di Josef P. Kleiheus dall’opinione pubblica, è però completamente diverso nella parte est e in particolare ad Alexander platz, poiché l’alleanza tra amministrazione pubblica e il privato è troppo forte. L’architetto Kollhoff aveva già idee analoghe a quelle di Berlino in occasione della mostra Berlin Morgen pianificata dal “Frankfurter Allgemeine Zeitung” e dal “Deutsche Architekturmuseum”(DAM) di Franconforte nell’anno 1990. L’intenzione, in quella occasione, era quella di proporre due blocchi di edifici alti sia a Postdamer Platz sia ad Alexanderplatz. Così facendo aveva aperto il varco all’imprenditoria che fino a quel momento non aveva preso il sopravvento. L’attenzione riguardante l’opinione pubblica sulle più accese discussioni sul traffico, le varie funzioni e le problematiche sociali nel progetto di Postdamer Platz nel caso di Alexanderplatz non erano state prese in considerazione. Per quanto riguarda la parte intorno al progetto era rimasta nel dubbio a causa delle conseguenze sociali e degli effetti della concentrazione degli edifici alti nel territorio urbano, anche se erano stati fatti in Europa vari studi. p.15


Fig. 01.05 Centro della cittĂ divisa dal Muro.

Fig. 01.06 Torri di Potsdamer Platz

Fig. 01.07 Alexanderplatz

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Bruno Flierl nell’articolo “Grattacieli?” nella rivista Lotus afferma: ”Come è possibile comprendere la storia rimuovendola, invece di tentare di dominarla? I tedeschi dovrebbero sapere a cosa conducono simili operazioni. Di fronte a certe questioni, parlare di architettura dei singoli edifici, è quasi ozioso. A Berlino Est, dopo l’esperienza del socialismo reale della Rdt, sono ben pochi coloro che credono che grazie al capitalismo reale della Rft l’architettura possa creare ciò che la società non riesce a fare. Si tratta dell’identità tedesca per un futuro comune, in una Germania unita e in un’Europa unita. Più di quanto possano fornire i grattacieli importanti, fortezze e monumenti del potere dell’economia di mercato e della felicità che questa promette.”5 Un altro architetto che manifesta la propria idea sui nuovi progetti di Berlino è Rem Koolhaas. Dopo la vincita della pianificazione di Postdamer e Leipziger Platz degli architetti Hilmer e Sattler, che suscitarono profonda delusione e molte polemiche delle compagnie finanziarie, si fece una controproposta di progetto per opera di Richard Rogers. Rem Koolhaas dopo questi avvenimenti esprime tre diversi motivi di preoccupazione per la città di Berlino: - La capacità della giuria di valutare: i dibattiti della giuria sono diventati una vera e propria commedia poiché era comandata dal Senato. - Berlino è troppo legata alla tradizione: infatti i progetti considerati innovativi erano stati messi da parte in favore di progetti meno coraggiosi. Esempi di questi progetti sono quello di Daniel Libeskind che vuole reinserire in modo nuovo l’idea di centro. Un altro è quello di Alsop & Lyall che progetta nuove idee e tipologie. Al contrario la giuria era ancora legata alla classicità morfologica ottocentesca, diventando così un certo senso un blocco per l’innovazione della città poiché non c’è un rapporto tra funzione e architettura. - La città, diventata capitale, non può sprecare le varie occasioni che si vanno ad affermare.

5 B. FLIERL, Grattacieli?, “Lotus International”, n.80, 1994.

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Fig. 02.01 Le città di Colln e di Berlin divise dalla Sprea.

Fig. 02.02 JOHANN GREGOR MENHARD, prima mappa di Berlino, 1652.

Fig. 02.03 DAVID FRIEDRICH SOTZMANN, mappa di Berlino, 1789.

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_L’evoluzione dell’edificio alto a Berlino Berlino è una città che nasce dalla fusione di due centri: Colln e Berlin, intorno al 1230 durante una fase di cristianizzazione della regione tra l’Elba e l’Oder (fig 02.01). La principale funzione di questa unione era garantire un attraversamento facilitato e uno snodo commerciale in questa regione, grazie ai ponti costruiti sulla Sprea. L’unione definitiva viene sancita nel 1307 con la costruzione delle mura di cinta, che comprendevano entrambi i centri di antica formazione. Questa città si presentava con una struttura fisica caratterizzata soprattutto da edifici pubblici; i tre punti chiave erano definiti da tre chiese molto importanti: la Petrikirche a Colln e la Nicolaikirche e la Marienkirche a Berlin alle quali erano allegati i rispettivi conventi. Questo assetto cambia radicalmente nel secolo successivo quando Federico VI di Hohenzollern viene nominato principe elettore e alla sua morte, il figlio, pose la prima pietra del castello rendendo Berlino “città di residenza”. Questo castello sarebbe sorto nella parte Settentrionale dell’isola della Sprea, che fino a quel momento era ancora inedificata. Nel tempo questo complesso edilizio divenne il cardine della città con il quale ogni programma urbanistico si sarebbe dovuto misurare. Le prime conseguenze dell’edificazione emersero nel 1652 grazie alla mappa di Johann Gregor Menhard (fig 02.02). La cinta muraria rimase pressappoco quella di duecento anni prima, poiché la popolazione venne decimata dalle epidemie e dalla guerra dei Trent’anni e il manufatto di gran lunga più rilevante è il complesso del castello, il quale rimase sempre un punto fisso della composizione urbanistica. Sotto l’aspetto urbanistico si avranno grandi cambiamenti nel corso del 1600, più precisamente durante il regno di Federico Guglielmo. Un insieme di cause, tra le quali un momento florido per l’economia della città che portò ad una crescita demografica e ad un aumento del fenomeno dell’immigrazione promosse numerose opere. In quel periodo vennero prese anche misure che contribuirono ad orientare la forma urbana verso est, questo processo raggiunse il suo culmine quando Federico III, incoronato re di Prussia, entrò nella città da est seguendo una direttrice urbana (che successivamente divenne una vera e propria via triumphalis) per raggiungere il castello. L’esplosione vera e propria della città avviene nel corso del 1700 a causa del regnante Federico Guglielmo il quale chiamò a Berlino nuove generazioni di architetti che realizzarono numerosi edifici pubblici inserendosi all’interno di programmi urbanistici. La Porta di Brandeburgo è uno degli edifici monumentali che significavano la manifestazione del classicismo in Germania (fig 02.03). Un secondo periodo molto fiorente nella storia della Germania pre-novecentesca fu la fine del 1800 periodo di una grande unità Nazionale per la fondazione del secondo Reich nel 1871. p.19


Fig. 02.04 02.05 02.06 Crescita edilizia di Berlino: 1895 - 1908 - 1925.

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Questa svolta politica ebbe notevoli ripercussioni anche sull’economia del paese e soprattutto della capitale. In questo clima florido si potenziarono i mezzi pubblici, si predispose un piano per la realizzazione di una rete fognaria radiale così da non disperdere più i liquami nella Sprea e iniziare un risanamento dell’igiene della città, la manutenzione stradale, l’illuminazione pubblica e ovviamente la costruzione di numerosi nuovi edifici.

02.01_Anni Venti e Trenta le Avanguardie A cavallo del XX secolo la conurbazione berlinese raggiunse una grande estensione, la percentuale insediativa aumentava nelle zone esterne, e diminuiva in quelle centrali, a causa di un decentramento delle attività commerciali e produttive. La città in questo clima di sviluppo e innovazione industriale aveva bisogno di un piano regolatore. Nel 1905 l’associazione degli architetti berlinesi istituì un comitato per la Grande Berlino chiamato “Ausschuss für Gross-Berlin”, il quale due anni dopo bandì un concorso per la riorganizzazione complessiva della struttura insediativa concentrandosi soprattutto sull’aspetto viabilistico e dei trasporti. I quattro vincitori di questo concorso basavano i loro progetti su due punti forti: la previsione di una forte crescita demografica di Berlino e la revisione dell’intero sistema ferroviario. Un altro passo importante per l’organizzazione della città (fig 02.04-05-06) rispetto alla crescita demografica sono delle norme attuative per le condizioni abitative, questo impulso è partito tra la fine del XIX secolo e la Prima Guerra Mondiale per iniziativa di privati e società edilizie cooperative. Questi tentativi erano proiettati ad una riduzione delle dimensioni dell’isolato e a lasciare al suo interno lo spazio libero, l’alto prezzo dei terreni era determinante. Nel 1918 la Germania era una nazione sconfitta con una tensione politica e sociale molto elevata che veniva riversata soprattutto sulla capitale, fulcro attivo dell’intero paese: tentativi di colpi di stato e l’apertura verso una nuova tipologia politica stavano sconvolgendo gli equilibri di un paese caposaldo per l’intero continente. In questa situazione, gravata ulteriormente dagli ingenti danni di guerra che la Germania doveva pagare alle nazioni vincitrici, non c’era la possibilità di costruire e anche i concorsi banditi per attuare dei piani urbanistici non andavano a buon fine a causa di mancanza di fondi. Gli artisti e gli architetti puntavano quindi ad una serie di progetti che rimanevano solo sulla carta spingendosi a volte al limite dell’utopia. Analizzando questi elaborati si denota un vero e proprio mix tra una tensione espressiva dettata dall’impossibilità d’esprimersi e una realtà sociale densa di problematiche irrisolte. Sotto questo aspetto i progetti, non nascono con la necessità di incanalare e risolvere i problemi che si hanno in architettura ma vengono progettati con un atteggiamento sperimentale e con la consapevolezza che sarebbero rimasti tutti su carta. Una tipologia che in America veniva già utilizzata ma in Europa era ancora in fase empirica e gestita in termini ideologici era quella del grattacielo. Rimanendo utopia divenne il simbolo stesso delle grandi potenzialità espressive, un’occasione per usare moderne tecniche costruttive non una tipologia utile per la città stessa o i cittadini.

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Fig 02.07 Diminuzione della percentuale della popolazione di Berlino dal 1885 al 1930. Fig. 02.08 Rete stradale della city agli inizi del 1900.

Fig. 02.09 02.10 L. MIES VAN DER ROHE, Friedrichstrasse Building, Berlino, progetto del 1921.

Fig. 02.11 02.12 L. MIES VAN DER ROHE, Friedrichstrasse Building, Berlino, progetto del 1922.

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I progettisti attivi nella Berlino di quegli anni tendevano ad avere riferimenti espressionisti da Walter Gropius a Bruno Taut passando da Frank Lloyd Wright e Erich Mendelshon ma il progetto simbolo di questo periodo va sicuramente attribuito a Mies van der Rohe con la proposta di un grattacielo in vetro in Freidrichstrasse. In questi anni Mies pone le basi per quelle che saranno le sue opere successive, sperimentando, elaborando e progettando i capisaldi della sua filosofia: l’ordine, la tecnica industriale, la ricerca di valori spirituali e la riduzione a forme semplici. La vera innovazione, oltre alla tipologia in sé, è la tecnica costruttiva che l’architetto progetta per la prima volta per questo edificio: il “Curtain Wall” una nuova tecnologia che gestisce in modo differente la facciata. Mies van der Rohe partecipa al concorso per il grattacielo nella Friedrichstrasse nel 1921 con un primo edificio (fig 02.09-10). Leggendo questo progetto in termini razionalisti può essere interpretato come un tentativo di spogliare un edificio alto a telaio fino alla sua struttura essenziale, avvolta in un secondo momento dal “Curtain-Wall” con una concezione minimalista. “Ho scoperto, lavorando con dei modelli in vetro, che la cosa importante è il giuoco dei riflessi e non l’effetto di luci e ombre come per le costruzioni comuni”6 , così Mies definisce il suo intervento sulla pelle della torre. Limitarsi a questo si perde metà della magia che esprime questo progetto: c’è da considerare anche la forma tagliente e la silhouette che crea un gioco di superfici trasparenti e riflettenti come definisce nella citazione lo stesso Mies. Con questa nuova tipologia di pelle, Mies Van Der Rohe, “sviluppa nuove forme direttamente dalla vera natura dei nuovi problemi”6, infatti, l’uso del vetro impone nuove tecniche e nuovi modi di concepire la facciata ed è ideabile grazie all’utilizzo dei nuovi materiali per l’edilizia: l’acciaio. Nel 1922 sviluppa uno schema successivo per la pianta con un sistema radiale di forme curve che partono da un nucleo distributivo centrale (fig 02.11-12). Mies spiega in questo modo le ragioni della scelta: “Al primo colpo d’occhio il perimetro curvo della pianta sembra arbitrario. Ma queste curve furono determinate da tre fattori: sufficiente illuminazione all’interno; la percezione della massa dell’edificio dalla strada; e infine il gioco di riflessi”7. Molti scritti sono stati elaborati per spiegare le innovazioni e le scelte del progettista in quegli anni ma le più eloquenti sono sicuramente le parole dette dallo stesso Mies e raccolte nel 2010 da Vittorio Pizzigoni: “Il nuovo principio costruttivo di tali edifici emerge chiaramente se si impiega il vetro nelle pareti esterne, che non sono più portanti. L’impiego del vetro conduce necessariamente su nuove strade. Nel mio progetto per il grattacielo presso la Friedrichbahnhof a Berlino, per cui c’era a disposizione un sito triangolare, mi sembrò che la soluzione giusta fosse costituita da una forma prismatica che si conformasse a quella triangolare del sito, e diedi una leggera angolazione alle singole superfici frontali in modo da scongiurare il pericolo d un effetto spento, che spesso si verifica nelle realizzazioni in cui il vetro occupa grandi superfici.”8

6 L. MIES VAN DER ROHE, Hochhaus project for bahnhof Friedrichstrasse in Berlin, “Edilizia Moderna”, 1963, p. 28. 7 P. JOHNSON, “Mies van der Rohe-Two glass skyscraper in 1922”, “Frühlicht”, New York, 1947, p. 182. 8 V. PIZZIGONI (a cura di), Ludwig Mies van der Rohe Gli scritti e le parole, Einaudi, Torino 2010.

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Fig. 02.13 W. GROPIUS, Versioni per il quartiere sperimentale Berlino Spandau Haselhorst, 1929-1930.

Fig. 02.14 02.15 02.16 W. GROPIUS, Assonometria, alzato e pianta del progetto per casa d’abitazione alta con struttura in acciaio, 1929

Fig. 02.17 02.18 W. GROPIUS, Blocchi residenziali nella Siedlung Siemensstadt, 1929-1930.

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Un settore che negli anni postumi alla guerra ebbe una crescita fu quello dell’edilizia residenziale, dopo che nel 1923 l’inflazione raggiunse il suo culmine ci fu una riforma fiscale la quale introdusse una tassa sui fitti per finanziare la costruzione di nuovi alloggi creando dei quartieri residenziali, “Siedlung”, con alla base il nuovo regolamento edilizio approvato nel 1925 Quest’ultimo prevedeva la divisione del territorio in zone in cui gli edifici potevano raggiungere altezze massime di cinque-sei piani nel centro e altezze decrescenti verso l’esterno, nuovi requisiti igienici per le abitazioni e definì la fine della caserma d’affitto berlinese e infine la costruzione di blocchi articolati intorno ad una corte oppure un’edilizia aperta. Un architetto che si concentra sulla sperimentazione progettuale dei Siedlung è Walter Gropius. Nel settembre del 1928 viene indetto un concorso nazionale per “progetti di massima, atti a fornire soluzioni economiche per la lottizzazione e la costruzione di un quartiere a Berlino Spandau Haselhorst”. Secondo l’ideatore del concorso Berlino doveva svilupparsi secondo grandi Siedlungen a causa dei finanziamenti che lo stato avrebbe dato per quel tipo di costruzioni. Gropius vince il primo premio di questo concorso insieme all’ingegnere Stefan Fischer che prestò grande attenzione ai calcoli relativi alle quattro diverse soluzioni presentate per differenziarne i diversi punti di vista economici, i calcoli per una buona condizione di isolamento e di areazione. La versione A prevede un Siedlung di case alte dai due ai cinque piani, la variante B file strette e uniformi di abitazioni di due piani, la C case a logge di cinque piani a blocchi paralleli abbinati due a due tramite un vano scala con annesso ascensore e infine la variante D case alte a logge di dodici piani (fig 02.13). La giuria escluse le ultime due versioni, anche se venivano studiate dai progettisti come le due migliori a causa dei calcoli di Fischer, considerando più consone le prime due versioni. Il progettista contesta fermamente la decisione dei giudici all’interno di un articolo poiché la scelta della casa bassa in rapporto a quella alta non favorisce uno sfruttamento consono del terreno poiché consente un uso del verde molto più ampio con numerosi vantaggi economici. Sebbene la giuria del concorso respinse il progetto della casa alta di Gropius, egli fece eseguire al suo studio un progetto particolareggiato per una casa alta dieci piani con struttura in acciaio corredandolo con diversi preventivi contando in un modo o nell’altro di realizzarlo comunque. Questo progetto che occupò circa due anni di lavorazione dal 1929 al 1930 rimase su carta ma permise a Gropius di acquisire la consapevolezza che l’ipotesi di sviluppare la costruzione di case alte fosse sempre più legata ad una nuova concezione socio-abitativa.

Nell’aprile del 1929 pubblica un articolo sulla rivista “Das Neue Berlin” sulle costruzioni basse, medie e alte in cui sollecita una modifica delle norme nazionali che impongono il limite al numero di piani per gli edifici residenziali. Per Walter Gropius, infatti, la problematica non stava nel numero di piani per edificio ma nella densità abitativa dell’edificio stesso. Attraverso schizzi e diagrammi cerca quindi di dimostrare questa teoria: la tipologia della casa d’abitazione alta permette di aumentare l’estensione delle aree verdi, di ottenere maggiori condizioni d’isolamento e l’aumento dei piani porta una miglioria delle condizioni economiche e igieniche (fig 02.14-15-16). p.25


Questa visione dell’abitare era stata studiata nei dettagli durante il concorso vinto dallo stesso Gropius e Fischer centralizzando e rendendo comuni i servizi annessi alle abitazioni; si prevede quindi questa concezione attrezzando piccole abitazioni con servizi comuni quali cucine e lavanderie e per compensare ulteriormente le abitazioni di piccole dimensioni si prevede anche l’aggiunta di piscine, palestre e locali da ballo. Queste ipotesi arricchiscono una configurazione tipologica della casa alta, dotata di servizi comuni per ciascun blocco di sessanta famiglie. L’occasione per l’applicazione di queste teorie avviene quando la città di Berlino stanzia 1.5 milioni di marchi per realizzare un “programma edilizio addizionale” a seguito di un calo della produzione edilizia verificatosi dopo dei tagli ai finanziamenti. Il bando di concorso richiede in modo generico di sistemare “il maggior numero possibile di letti in una superficie abitabile minima, mediante piante-tipo, possibilmente razionalizzate, senza convenire alle norme igieniche, sociali o etiche”. Compito dell’architetto sarà quindi studiare nuove tipologie per uno spazio minimo. Per la realizzazione dei blocchi residenziali vengono chiamate varie personalità del tempo tra le quali Walter Gropius, al quale vengono assegnati due blocchi nei quali egli sistema degli appartamenti da 69 mq (tre camere e mezzo) e 55 mq (due camere e mezzo). Questi locali all’interno degli appartamenti vengono ben distribuiti a seconda dell’orientamento solare: soggiorno e pranzo a ovest e le camere da letto ad est. Alle stanze si accede da un vestibolo centrale. L’architetto riserva anche molta cura nei riguardi dei prospetti: sono severi ma ben proporzionati ravvivati dalla presenza di balconi, scale e logge vetrate (fig 02.17-18).

02.02_Architetti Europei in America: confronto e critica In questi anni l’Europa stava vivendo un periodo di tensioni sociali e politiche, al contrario in America la situazione lontano dai campi di battaglia era florida e ricca di spunti creativi. Gli anni immediatamente successivi alla Prima Guerra Mondiale sono importanti sotto l’aspetto della storia dell’architettura grazie ad un concorso indetto da un giornale americano, il Chicago Tribune, che permise per la prima volta la partecipazione anche ai progettisti del vecchio continente. Grazie a questa vicenda storica si crea il primo ponte tra la scuola americana e quella europea conseguendo i presupposti per scoprire ciò che accadeva dall’altra parte dell’oceano. È molto difficile, e metodologicamente scorretto, precisare i limiti delle vicende storiche entro rigidi confini, per questo motivo non si conosce alla perfezione la data del bando di concorso ma si può individuare il 1922 come anno conclusivo. Il Chicago Tribune era un giornale di notevole rilevanza per la città, era un’azienda leader con una tiratura giornaliera di 4 milioni di copie e tredicimila dipendenti. Nelle immagini 02.19 e 02.20 due fotografie storiche della redazione del Chicago Tribune. Questa grande crescita rese la sede del quotidiano ormai inadeguata anche per una congestione del traffico, quindi urge una nuova sistemazione più consona. Il direttore dell’epoca, Robert Mc Cormick, individua verso la fine degli anni dieci del 1900 un’area lungo la North Michigan Avenue, al tempo una strada secondaria con grandi potenzialità di sviluppo, che acquistò nel 1919 con l’intenzione di costruirci la nuova sede.

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Fig. 02.19 02.20 Immagini tratte dall’archivio storico online del Chicago Tribune.

Il bando punta molto l’attenzione sull’estetica dell’edificio, sulla sua capacità attrattiva e invita espressamente gli architetti a non produrre elaborati tecnici. Il bando arriva anche in Europa e da questo si legge: “Il Chicago Tribune è stato fondato il 10 giugno 1847. E per celebrare il suo settantacinquesimo anniversario, il giornale progetta la costruzione di un nuovo edificio che dovrà essere un monumento di maestosa bellezza, un’opera capace di ispirare i giornali dell’intero universo, e che sarà una sede degna del più grande giornale del mondo. Per realizzare un progetto il più possibile perfetto, il Chicago Tribune, offre 100.000 dollari in premio agli architetti. Il concorso è libero e internazionale. Ogni concorrente è invitato a fornire disegni che mostrino gli alzati ovest e sud e una prospettiva da sud-est, senza piani dettagliati di particolari.” Vengono dunque privilegiati gli aspetti visivi, formali e celebrativi scindendo completamente la parte tecnica e tecnologica; viene richiesto un involucro capace di evocare, attraverso citazione, la sacralità di queste nuove società industriali. Non vengono dati prescrizioni per la costruzione: l’altezza può variare da un minimo di 175 a un massimo di 400 piedi in un’area di 100x135 piedi (fig 02.21).

Il concorso viene bandito il 10 giugno 1922 e da tempo cinque mesi per la presentazione dei progetti, a questa data viene associato un mese nel quale la giuria già decreta i dodici progetti migliori ai quali si aggiunge postumo quello di Eliel Saarinen. Il verdetto finale arriverà il 3 dicembre dello stesso anno. Il progetto vincitore è di una collaborazione tra architetti americani: John Mead Howells e Raymond Mathewson Hood (fig 02.22 a 02.26) i quali realizzano un edificio con una citazione letterale al linguaggio gotico prendendo come riferimento la cattedrale di Rouen e trasportando il linguaggio sulla sommità del grattacielo. Al secondo posto viene classificato il progetto di Eliel Saarinen che aveva impressionato la giuria tanto da farlo entrare in gara in un secondo momento. Il progetto di Saarinen rispecchia tutte le richieste dettate dal concorso ed è quello che riscuote maggior successo tra i critici ma la giuria, anche se il concorso era dichiarato internazionale, p.27


Fig. 02.21 Area di intervento per il concorso del Chicago Tribune.

Fig. 02.22 02.23 02.24 J. M. HOWELLS e R. M. HOOD, Chicago Tribune Building in costruzione, 1924. Fig. 02.25 02.26 J. M. HOWELLS e R. M. HOOD, Chicago Tribune Building oggi.

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preferirono privilegiare architetti americani. Il concorso fu preso in considerazione da molti europei come un trampolino di lancio per essere conosciuti anche nel nuovo continente; furono molti gli architetti tedeschi partecipanti e ognuno di loro a modo proprio interpretò la commessa portando lo stile architettonico tedesco oltreoceano e stimolando delle problematiche nuove e differenti da quelle trattate fino a quel momento. I progettisti cercano, infatti, di dare una risposta alla tipologia edilizia dell’edificio alto per uffici piuttosto che concentrarsi sull’edificio all’interno di una situazione urbana. L’unico problema che venne riscontrato è la mancata calibrazione della scala dell’edificio, infatti, gli architetti progettarono il grattacielo sullo stampo di città tedesche e questa dissonanza con le città europee fu un punto a loro svantaggio. I progettisti intrapresero due strade differenti: quella che coinvolgeva le avanguardie come i progetti di Gropius, Meyer, Max Taut e Ludwig Hilberseimer e dall’altro lato progetti moderatamente espressionisti, ma più radicali come quelli di Thilo Schroeder, Walter Fisher, Gerhard Schroeder e Bruno Taut. Questo secondo gruppo è quello che meno riesce a calarsi nella realtà perché rimane legato ad una ricerca sul tema della città tedesca, con una tendenza ad esaltare la tipologia con termini architettonici tardoromantici. Il progetto di Bruno Taut per esempio è caratterizzato da uno slancio piramidale e nervature cementizie che convergono al vertice deformando il coronamento dell’edificio in un’unica linea immaginaria. Viene ripresa l’immagine della fabbrica delle grandi cattedrali, il grattacielo come la cattedrale del lavoro, un luogo dove si concentrano i nuovi valori della società in piena evoluzione: una mediazione tra la spinta in avanti delle città e il voler rimanere ancorati al patrimonio del passato. Un forte esempio di questo concetto sono i progetti di Ludwig Hilberseimer e Bruno Taut che perdono grande forza se valutati nel panorama internazionaleamericano ma acquisiscono interesse se riferiti ad un ambito provinciale. La soluzione di Hilberseimer (fig 02.29) appare più reazionaria e poco credibile soprattutto nella parte del coronamento quando le nervature si sdoppiano in una gabbia puramente decorativa, il progetto di Taut (fig 02.27), invece, stravolge le proporzioni e le nervature acquistano un valore tecnologico anche se risultano deformate. Queste due versioni insieme a quella di Gropius-Meyer offrono soluzioni più attuali sebbene molto lontane dalla realtà americana. La proposta di Gropius e Meyer (fig 02.28) risulta più aderente allo spirito della Scuola di Chicago di quanto non lo sia la torre vincitrice del concorso. Adotta la finestra di Chicago, simbolo della Chicago post Great Fire e invenzione della scuola stessa, che consisteva in un pannello di vetro fisso al centro e due strette finestre di ventilazione ai lati. Viene realizzata un’orditura di linee verticali che si intrecciano con le cesure orizzontali agganciando i volumi allo spazio. L’edificio rimane un esempio di come l’architettura del tempo si confronti con l’ideologia del nascente sistema capitalistico, quindi anche se non fu costruito rimane sempre una proposta di estremo interesse.

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Fig. 02.27 02.28 02.29 02.30 Da sinistra i progetti di: B. TAUT, GROPIUS-MEYER, HILBERSEIMER e M. TAUT.

Un altro esempio è l’edificio di Max Taut (fig 02.30) il quale lavora sulla nuda volumetria programmando una scarnificazione in cui i singoli elementi servono ad annunciare in modo più intenso la dissimmetria dei volumi; è un grattacielo influenzato palesemente dal costruttivismo di El Lissitskij e Van Doesburg. infatti se Gropius utilizza un sistema di infrastrutture arbitrarie, Taut, invece, gestisce i moduli di volume con elementi architettonici più misurati. Le diverse posizioni dei tedeschi sono quindi lo specchio di un preciso momento storico che vede il paese oscillare tra modernità, ricerche d’avanguardia e bagaglio tradizionale. C’è aria di un grande fermento culturale, ma ancora non ben uniforme infatti le proposte tedesche per il concorso del Chicago Tribune sono una ricerca embrionale di temi che troveranno il loro naturale sviluppo negli anni a venire.

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02.03_Anni Cinquanta e Sessanta: ricostruzione urbana e prefabbricazione Gli anni quaranta sono sanciti da una guerra che mette in ginocchio l’intero Mondo, e l’Europa ne esce come un cumulo di macerie. Berlino, per la seconda volta ne esce sconfitta, e la capitale si ritrova nel 1945 nel possesso di tre super potenze: America, Inghilterra e Francia. Queste per evitare una ricaduta nei totalitarismi prendono la città e la dividono in quattro macro-settori con un unico organo di governo, il Kommandantur, gestito dalle forze d’occupazione. La città di Berlino era in una situazione disastrosa: un cumulo di macerie dettate dai bombardamenti e dalle esplosioni controllate dai nazisti per non consegnare ai nemici la città, un terzo delle abitazioni non esisteva più, la metà dei ponti erano stati fatti crollare per rompere i collegamenti, non c’erano trasporti, la luce, il gas, la posta e il telefono erano scollegati e la percentuale di abitanti era dimezzata 2.800.000 anime finita la guerra in confronto alle 4.300.000 censite prima del conflitto. Questa era una realtà che accomunava molte città e capitali Europee ma Berlino sotto un dominio straniero accusò in modo marcato il colpo. Quale strategia adottarono per far fronte a questa situazione? Come primo step sgomberarono strade e isolati dalle macerie grazie all’aiuto della manodopera femminile e successivamente iniziarono le opere per la riparazione edilizia. Già nel 1945 erano stati predisposti piani per la ricostruzione da gruppi di architetti già pronti verso questa direzione. Dovettero confrontarsi con un’area centrale fortemente danneggiata: questa zona era distinta in specifiche partizioni le quali subirono differenti danni: le industrie erano collocate lungo la Sprea e il Landwherkanal, a nord e sud erano distribuiti i distretti residenziali, nella city si concentrarono le attività direzionali e commerciali e i principali fulcri dell’amministrazione pubblica, infine, le attività culturali erano collocate in una zona specifica verso ovest, denominata “l’Isola dei Musei”. Nel 1948 c’è una grande svolta negativa per l’assetto della capitale tedesca: i sovietici escono dal comando interalleato e vennero create due zone con moneta diversa gestite da due correnti di pensiero differenti, è il principio della creazione del muro, che nel 1949 con l’inizio della guerra fredda fu ufficializzato definitivamente. Vennero fondati quindi due governi: la Repubblica democratica Tedesca, filosovietica prende luogo nella Berlino Est e la Repubblica federale di Germania, filoamericana si stabilisce nella Berlino Ovest. Al di là delle vicende politiche che investono l’Europa c’è un grandissimo bisogno di ricostruire per togliere dalla strada le migliaia di sfollati: bisogna capire quindi dove andare ad intervenire, togliere le macerie e stabilire un piano urbanistico per una città della metà del 1900 ma prima di tutto bisogna procedere velocemente. Un punto cardine per la ripartenza fu Checkpoint Charlie: punto strategico che venne utilizzato come posto di blocco tra la zona di pertinenza sovietica e quella americana durante gli anni del Muro di Berlino e come unico punto di attraversamento da una zona all’altra (fig 02.31). Questo isolato era situato all’incrocio tra Friedrichstrasse, area in cui Mies van der Rohe aveva progettato la sua torre in vetro, e Zimmerstrasse che durante la guerra fu completamente raso al suolo. Peter Eisenman affronta questa progettazione non solo con la necessità di soddisfare la pressante richiesta di abitazioni a Berlino ma lo usa anche come p.31


commemorazione per gli eventi che si sono svolti attorno all’area. Analizzando la particolare situazione della città Eisenman afferma che Berlino:” attesta non la continuità, ma la fine della stori dell’illuminismo. È un oggetto unico, il luogo di un vuoto storico. Il Muro che lo circonda e la attraversa ne fa quasi una città museo. È un organismo tagliato fuori da una parte di sé stesso; cioè essenzialmente un frammento: un pezzo pietrificato di una vecchia casa e un pezzo vivente di qualsiasi cosa d’altro. E dunque introduce la memoria, e all’oblio. Nello stesso atto cosciente di dimenticare, non si può ricordare.”10 L’architetto prevede un edificio alto predisposto per ospitare una serie di appartamenti per fasce a basso reddito e cerca di soddisfare, con la sua proposta, esigenze economiche e funzionali ma dando, anche, una risposta unica a due problemi generali dell’architettura: il problema del contesto e il problema del simbolismo. Eisenman non si limita a riempire il lotto angolare ma vuole rapportarsi come un riuso di un contesto urbano: per far questo decide di non schierarsi con l’idea dell’architettura moderna, cioè comprendendo e migliorando i centri storici, e nemmeno con la corrente post-moderninsta che considera i luoghi e gli edifici come uno scheletro al quale vengono adattate funzioni. Con il suo approccio decide di metterlo a nudo: chiudendo l’angolo con la costruzione ma allo stesso tempo crea un edificio aperto. In questo modo tenta di far ricordare tramite un’architettura una vicenda contraddittoria: la costruzione di un Muro che divide la città e la distruzione durante la Seconda Guerra Mondiale. Il secondo problema che affronta è la questione del simbolismo legato al luogo e questo lo si denota sia nel tracciato delle piante che nell’alzato: l’edificio diventa una struttura sollevata per staccarsi dal terreno archeologico e le piante e i prospetti sono forme pure che richiamano il passato, riprendono il presente e citano il futuro, inoltre riflettendosi vicendevolmente creano uno spazio di memoria attraverso la sovrapposizione e l’annullamento. Dal 1950 in avanti, l’edificio alto in Europa viene concepito come un monumento isolato nella città, diventa un episodio irripetibile fine a sé stesso: si evolve come un’opera scultorea all’interno del tessuto urbano. La stessa forma dell’edificio alto si fa complessa per essere singolare. “Ma l’idea di costruire un edificio altissimo cosa vuol dire? Mi sono venute in mente le torri, ma le torri avevano uno scopo militare che oggi non possono più avere. Mi è venuta in mente la Torre di Babele, a cui non penso mai, che forse è un simbolo di rivolta e di prometeismo, ma dalla tua costruzione è passato molto tempo, e a quel tempo gli uomini sentivano l’incombere di Dio sopra le loro teste e potevano anche ribellarsi, ma oggi.”11 Le torri in questi anni si evolvono e prendono piede nelle città, si crea anche un mondo parallelo di strumenti che supportano la costruzione e la velocità di essa: gli ascensori diventano automatizzati, togliendo lavoro a coloro che li gestiva, i cantieri cercano di essere più efficienti facendo maggiore uso della prefabbricazione, producendo in serie nelle fabbriche i pezzi essenziali per la costruzione in cantiere dovranno esser solo saldati o assemblati.

10 P. EISENMAN, Vivenda Sociales, “El Croquis”, n. 41, 1989, p. 24. 11 E. FILIPPINI, Un articolo non scritto, “Edilizia Moderna”, 1963, p. 82.

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Fig. 02.31 P. EISENMAN, Checkpoint Charlie, 1985-1986.

Con questi nuovi accorgimenti e con le tecnologie che vanno a perfezionarsi la scala grande degli edifici diventa sempre più importante tanto che porta a definirli dei super-contenitori. Fino al secolo scorso, tutti i temi edilizi avevano una caratteristica tipologica che li distingueva dagli altri, la monumentalità li rendeva assimilabili all’edificio alto: quindi attività terziarie e residenziali non sono distinguibili sono solo parte di un’entità edificio. Nella progettazione, quindi, diventa importante la differenziazione delle funzioni a seconda dei piani così da poter gestire sia attività commerciali, aziendali o uffici in modo differente dagli appartamenti residenziali. Un altro progetto degno di menzione figlio di una grande collaborazione tra architetti europei è il quartiere denominato Hansaviertel; Hansa (-viertel, quartiere in italiano) è il nome che viene dato a questo quartiere in omaggio ad Amburgo e al legame stretto che le città avevano in passato tramite la lega Anseatica che garantiva nel medioevo il monopolio dei commerci su gran parte dell’Europa Settentrionale e soprattutto nel Mar Baltico. Questo quartiere fu realizzato agli inizi del Novecento da un’impresa edile di Amburgo e all’epoca veniva considerato come uno delle zone più eleganti della capitale tedesca. Per la storia di Hansaviertel la Seconda Guerra Mondiale gioca un ruolo fondamentale, infatti il quartiere scompare sotto un cumulo di macerie a causa, probabilmente, della sua vicinanza con il fiume Sprea. Successivamente alla divisione della città le due zone di influenza avvertivano la competizione e si sentivano in dovere di primeggiare sull’altra; la Berlino Est sovietica aveva messo in cantiere la realizzazione del Stalinallee con i suoi blocchi abitativi e per non esser da meno la Berlino filoamericana decise di mettere il gioco l’area dell’Hansaviertel chiamando numerosi architetti e maestri affermati del settore del calibro di Alvar Alto, Walter Gropius, Pierre Vago e Oscar Niemeyer, per ricostruirlo e riprogettare il quartiere orfano come futuro modello di città, come quartiere-vetrina della Berlino Ovest moderna.

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Edificio di H. SCHWIPPERT Edificio di R. LOPEZ e E. BEAUDOUIN Edificio di J. H. VAN DEN BROEK e J. B. BAKEMA

Fig. 02.32 02.33 Viste d’insieme del quartiere Hansaviertel.

Fig. 02.34 02.35 02.36 Da sinistra: Torre di H. SCHWIPPERT, la torre di LOPEZ e E. BEAUDOUIN e la torre di J. H. VAN DEN BROEK e J. B. BAKEMA

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In quegli anni Berlino era una città in profonda mutazione economica e politica, situazione che portò alla luce cambiamenti radicali per riportare la città ai fasti di un tempo. Si aprirono varie discussioni riguardanti cosa fosse meglio progettare per stare al passo con i tempi e la tipologia nuova dell’edificio alto americano divenne un’opzione rilevante nelle scelte architettoniche (fig 02.32-33). Agli inizi del 1950 venne bandito un concorso l’“Interbau 57 – Internationale Bauaustellung”, che richiedeva un quartiere di blocchi popolari che rispecchiassero la tipologia dell’edificio altro e che fossero inseriti in un contesto di verde urbano ricco di servizi per la comunità: quali scuole, biblioteche, campi sportivi e la metropolitana. I progettisti che aderirono a pieno a questa richiesta furono: Hans Schwippert, Johannes Hendrick van den Broek insieme a Jacob Berend Bakema e Raymond Lopez con Eugene Beaudouin. Questi riuscirono a fondere l’edificio alto con un ulteriore sistema innovativo: la prefabbricazione che garantiva l’abbattimento dei costi e una grande riduzione delle opere in cantiere e di conseguenza la diminuzione dei tempi di lavoro. Nel 1954, la supervisione dell’iniziativa fu affidata a Otto Bartning, egli assegna a 53 architetti di 14 paesi differenti il compito di costruire un edificio ciascuno. Sicuramente la torre più interessante è quella progettata da Johannes Hendrick van den Broek insieme a Jacob Berend Bakema (fig 02.36) che si distanzia notevolmente per qualità dalle altre costruzioni a sviluppo verticale disseminate lungo la medesima strada. È alta 24 m e contiene 72 appartamenti. La ricchezza compositiva dello spazio interno si traduce in una immagine complessiva di forti chiaroscuri del volume geometrico. Anche l’impiego dei pannelli di rivestimento delle facciate, prefabbricati in cemento, è estremamente rigoroso e si avvale di un eccellente dimensionamento. Le altre due torri presentano soluzioni meno unitarie, ma comunque degne di attenzione e sicuramente rappresentative di alcune tendenze dell’architettura di quel periodo. Il blocco di Hans Schwippert (fig 02.34) è composto da 16 piani per un totale di 61 appartamenti (di cui 28 in duplex) e 8 studi. È realizzato in cemento armato a vista con cassoni dell’altezza di un piano. La costruzione di Raymond Lopez con Eugene Beaudouin (fig 02.35), infine, è di 15 piani ognuno dei quali ospita 6 appartamenti per un totale di 90 alloggi. I progettisti rispettano la pianta quadrata, disegnata in base ad un modulo sul quale vengono posizionati i pannelli metallici di tamponamento coibentati e gli infissi standardizzati. Questo quartiere non fu apprezzato da tutti anche se di manifattura internazionale: la rivista Casabella per esempio nel giugno 1964 scriveva:” L’Hansaviertel è lo squallido cimitero dei migliori nomi dell’architettura moderna, ignari dei drammi e delle occasioni che una metropoli moderna può offrire oggi all’espressione architettonica”12.

12 U. CONRADS e K.J. THIELE, Architettura e urbanistica a Berlino Ovest, “Casabella”, n.288, 1964 p. 23.

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02.04_Anni Settanta, Ottanta e Novanta: la “Kritishe Rekonstruktion” Gli anni Settanta e Ottanta sono caratterizzati da una città spaccata tra due fuochi a causa della costruzione dell’ “Antifaschistischer Schutzwall” cioè il Muro di Berlino. Questa linea di confine venne edificata con alle spalle un vero e proprio progetto a stampo militare: era composto da due murature in cemento armato parallele divise da una zona d’aria larga una decina di metri (definita striscia della morte) in cui pattugliava la polizia di frontiera e vi passavano gli automezzi militarie. Nel 1971 venne siglato un accordo tra le quattro potenze che assicurava un transito più facilitato tra le due zone così da togliere la caratteristica di frontiera alla città di Berlino. In questi anni i progetti della Berlino Americana avevano una grossa difficoltà di approvazione a causa delle contestazioni degli abitanti; l’attenzione viene spostata sulle condizioni di vita e di lavoro e si richiedeva una risposta differente per fronteggiare il problema dalla Repubblica Federale. Inoltre le politiche abitative subiscono una forte crisi tanto che nel 1979 venne creata una società con il compito di dare vita ad un’esposizione internazionale d’architettura, l’“Internationale Bauausstellung Berlin” (IBA) che avrebbe dovuto svolgere un compito di collaborazione con la grande tradizione delle mostre berlinesi. L’IBA ebbe un ruolo cardine a causa della cooperazione con l’amministrazione pubblica per stimolare la cultura e le tradizioni tedesche ponendo le fondamenta per una “Kritishe Rekonstruktion” cioè una definitiva ricostruzione della città risollevandola dai dolori della guerra. Le tematiche affrontate erano le più varie e anche di una notevole attualità per l’epoca, oltre che alla ricostruzione del centro e del rapporto con il luogo promuovevano la ricerca tipologica, il risparmio energetico, problematiche della partecipazione e dell’integrazione sociale e inoltre anche tematiche ambientali. Questo sforzo progettuale e per la riconfigurazione della città continua per tutto l’arco degli anni Ottanta. Anche nella Berlino est l’assoluta priorità era la ricostruzione del centro città con particolare attenzione alle zone di interesse storico a causa del bisogno di storia insito nella popolazione nella necessità di riappropriarsi delle città del passato. Nel 1989 la caduta del muro di Berlino, e l’attraversamento della Porta di Brandeburgo, sancisce la fine della divisione politica e fisica della città, durata ventotto anni. L’unificazione tedesca porta immediatamente una serie di interrogativi che riguardano il nuovo ruolo della città sul quadro nazionale e internazionale. Berlino nel secondo dopoguerra subiva una posizione marginale sotto tanti aspetti e questo evento storico poteva essere la scintilla che poteva far scattare la rinascita. L’incertezza riguardo il futuro di questa città viene messa in secondo piano grazie alla decisione di farne di nuovo la capitale della Germania, trasferendoci i principali organi dell’amministrazione statale. Quattro divennero le grosse problematiche da affrontare una volta abbattuto il muro: l’assetto urbanistico, il recupero edilizio di settori urbani, le misure relative alla viabilità e ai trasporti e la ridefinizione del centro. Sotto il punto di vista urbanistico il problema principale era la coesistenza di due settori basati su obiettivi e previsioni molte volte contrastanti e questo richiese la creazione di un organo in grado di inquadrare la nuova situazione territoriale.

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È stata quindi avviata la progettazione di una cartografia su base omogenea così che già nel 1990 fu stilato un primo piano unitario contenente alcune delle grandi tematiche per la riorganizzazione della forma della città e delle connessioni tra Berlino e le altre città tedesche. La seconda esigenza, infatti, emerse proprio da questo piano: la riorganizzazione dei grandi vuoti lasciati dalla demolizione del muro, quindi come recuperare i settori urbani che presentavano già molte forme di degrado. Infine eliminando le due zone di influenza si sentì l’esigenza di una ridefinizione del centro della città: erano presenti due centri, che appartenevano ai due settori, che facevano fatica a comunicare tra loro, si configurò quindi un terzo polo di ordine superiore, o “supercentro”, posto al centro degli altri due. Un ruolo molto importante per la definizione di molte aree centrali fu svolta da numerosi concorsi di architettura di stampo nazionale, concorsi ad inviti e concorsi d’idee: i due più importanti furono il bando per la riorganizzazione di Alexanderplaz e Potsdamer Plaz, due piazze ridotte a macerie durante la guerra e drammaticamente segnate dall’erezione del muro. Emergono dallo sfondo diverse immagini della città; la Berlino che offe l’opportunità agli architetti di riflettere sulle tematiche attuali come la periferia, la strada, il contesto e il centro; accanto a questa viene comparata la Berlino degli anni Trenta colpita dalla guerra e non ancora segnata dalla divisione; come un layer si sovrappongono i tagli, le cesure e i vuoti di una città segnata da un confine interno ad essa, da una spartizione che porta più differenze che somiglianze; la città laboratorio degli anni Venti con i grattacieli di Mies van der Rohe e le sperimentazioni di Gropius. Quindi i progetti che derivano dai bandi di concorso possono essere interpretati come un repertorio d’idee sulle città possibili.

Concorso per Potsdamer Platz Il nome Postdamer Platz identifica oggi una vasta area di Berlino, estesa tra la Philarmonie e il vecchio confine del muro. Era un punto nevralgico della Berlino Novecentesca e un nodo di traffico ma al termine della guerra e alla successiva definizione del confine si presenta come un vuoto disseminato da alcuni resti (fig 02.37). Con la caduta del muro e con la riunificazione della città, la piazza, torna ad essere un punto nevralgico, carico di significati simbolici e di memorie ma soprattutto di importanza strategica per il “disegno” della nuova città. Già nel concorso “Berlin Morgen” nel 1991 si erano avanzate proposte in merito alla riqualifica di Potsdamer platz da parte di Coop Himmemblau, Aldo Rossi e Hans Kollhoff; quest’ultimo aveva prefigurato due diversi centri per il tessuto berlinese Potsdamer e Alexanderplatz in cui concentrare il futuro sviluppo terziario e da alta densità di edifici a torre. Nel successivo concorso, ufficiale, per tutta l’area di Potsdamer Platz l’ipotesi di edifici alti compare in diversi progetti ma viene scartata a causa del materplan vincitore del bando per opera di Heinz Hilmer e Christoph Sattler. Questa scelta sembra chiudere il dibattito sulla definizione delle nuove aree centrali di Berlino; in realtà con il successivo concorso per Alexandre Platz si edificherà in altezza arricchendo il progetto di significati simbolici e politici. Questa decisione è un chiaro delineare le differenti facce della città: a ovest con Potsdamer Platz un’edificazione contenuta in altezza, “tradizionale”, che tenta di riproporre l’isolato storico di Berlino, invece a Est, nell’Alexanderplatz un’edificazione in altezza, con la creazione della “nuova” immagine della città. p.37


Fig. 02.37 Potsdamer Platz dopo i bombardamenti del 1945.

Fig. 02.38 H. JAHN, Sony Centre, Potsdamer Platz.

Fig. 02.39 H. KOLLHOFF, Kollhoff Tower, Potsdamer Platz.

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Il progetto di Hilmer e Sattler non riesce, però, a dare una soluzione convincente al problema della creazione di un tessuto urbano: più che una riflessione su una nuova parte di città si tratta di un travestimento basato su un’astratta idea di isolato. Questa proposta pone le basi per i concorsi successivi che porteranno alla realizzazione delle tre torri che affacciano su Potsdamer Platz: il Sony Center di Helmut Jahn, la Delbrück Haus di Hans Kollhoff e la Torre Debis di Renzo Piano. Il Sony Center non è solo un edificio ma una parte di Berlino progettata da Jahn come un complesso di edifici (fig 02.38). Concettualmente può essere descritto come una parte di città reale all’esterno e come una città virtuale per l’interno. Questa transizione è accentuata maggiormente dalla presenza di passaggi e gate per accedervi. L’elemento cardine è senz’altro la torre in vetro integrata perfettamente con il resto del complesso che dista solo pochi passi. La facciata si presenta con un design trasparente realizzato grazie a sofisticati riflessi e rifrazioni di luce. Si può dire che una caratteristica principale di questo progetto è l’uso della luce: sia per quanto riguarda la facciata vetrata sia per il massiccio uso del lighting design all’interno dello spazio chiuso. Per l’illuminazione del tetto, concepito come una membrana di vetro grazie alla collaborazione con lo studio Arup e fulcro del progetto, venne chiamato l’artista parigino Yann Kersalè. La sua idea fu quella di sottolineare la spettacolare struttura del tetto tramite un tessuto traslucido che rifletteva la luce del giorno e la luce della luna in modo straordinario. La membrana vitrea funge da superficie di protezione per la luce che cambia. Hans Kollhoff progetta per Potsdamer Platz due edifici alti: la principale è la Kollhoff-Tower posta al centro della piazza tra le torri di Piano e Jahn, la secondaria è la Delbrück Haus posta lateralmente. La collocazione centrale della Kollhoff Tower procura all’edificio un carattere molto importante perché domina la piazza stessa: l’ingresso è realizzato grazie ad un imponente colonnato che rende accessibile la hall centrale dalla stessa Potsdamer Platz (fig 02.39). La destinazione d’uso è principalmente per uffici con l’eccezione per i piani più bassi adibiti a negozi al dettaglio e per gli ultimi due piani, ai quali dal 2000 è possibile accedervi come punto panoramico sulla piazza. La caratteristica principale dell’edificio è la facciata, realizzata in elementi prefabbricati in clinker con una corona rastremata gradualmente verso l’alto realizzata con elementi di terracotta in color oro. La Delbrück Haus, invece, è una torre polifunzionale destinata ad uffici, residenziale e commerciale (fig 02.40). La geometria della pianta si sviluppa in sovrapposizione della sagoma del blocco e dal tracciato dell’area di progetto. La torre si eleva slanciata per un totale di venticinque piani suddivisi in otto piani di basamento e diciassette del corpo. Al piano terreno, con affaccio su Potsdamer Platz, sono presenti i negozi, caffè e ristoranti mentre il lato nord/sud ha l’affaccio per accedere al garage sotterraneo. La suddivisione delle funzioni viene gestita in altezza: negli otto piani di basamento fino ad arrivare al quindicesimo sono previsti uffici mentre i restanti sono adibiti ad appartamenti. La facciata è completamente ricoperta di granito bianco e le finestre vengono differenziate: sul basamento i serramenti sono dotati di pannelli di copertura in acciaio inossidabile mentre ai piani superiori la finestra è doppia con parasole centrale. L’ultima torre è quella progettata da Renzo Piano e destinata agli uffici della Debis Daimler-Chrysler (fig 02.41). La costruzione occupa la parte meridionale del nuovo quartiere e ne definisce un limite insieme al fabbricato di Arata Isozaki. p.39


Fig. 02.40 H. KOLLHOFF, Delbrück Haus, Potsdamer Platz.

Fig. 02.41 R. PIANO, Debis Daimler-Chrysler., Potsdamer Platz.

Fig. 02.42 Alexandreplatz visione d’insieme.

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La diversa altimetria della torre si inscrive nel disegno unitario delle superfici e dei volumi che occupano la zona. In direzione della piazza l’edificio presenta uno spigolo acuto che sovrasta il portico dell’ingresso. Man mano che ci si allontana da essa i fronti si elevano per concludersi in uno slancio finale verso la città. Il sistema costruttivo ai scompone di pezzi elementari, in parte trafilati e in parte stampati, per definire il nuovo ordine compositivo. Il rivestimento è in listelli di laterizio, materiale che permette l’attenuazione dell’irraggiamento solare. Entrati all’interno dell’edificio si è colpiti dalla trasparenza e dalla luminosità grazie anche alla luce zenitale che viene permessa grazie l’uso del vetro come materiale predominante.

Concorso per Alexanderplatz Alexanderplatz è una piazza che rappresenta sia un crocevia di due arterie stradali molto importanti sia un centro famoso per la vita notturna e diurna berlinese. La piazza durante il novecento fungeva già come cardine dell’assetto cittadino e per questo motivo fu rasa al suolo, insieme a gran parte degli isolati che la accerchiavano, durante la seconda guerra mondiale dai bombardamenti degli alleati. Nell’immediato dopoguerra, con la creazione del Muro e la spartizione della città, la piazza venne inserita nell’area socialista, al contrario di Potsdamer platz che era collocata nella Berlino Ovest. Negli anni Sessanta la piazza fu ricostruita dalla gestione della Berlino Est per renderla vetrina e centro simbolico e reale e, naturalmente, per far concorrenza alle ricostruzioni che avvenivano dall’altra parte del muro. Questa ricostruzione aveva come principale scopo quello di non rendere il visitatore indifferente: la torre della televisione dava un grande slancio in verticale e il dimensionamento spropositato della piazza doveva creare un senso di straniamento. Successivamente alla caduta del Muro e alla problematica dei vuoti all’interno della città si ripensò a come poter gestire questo luogo all’interno del centro berlinese: si bandì, per questo motivo, un concorso per la commercializzazione di Alexandreplatz, facendo sì che il cuore della Berlino socialista diventasse la nuova downtown berlinese. Tantissimi architetti aderirono a questo concorso proponendo soluzioni diverse e tutte ugualmente interessanti. Il più estremo e rivoluzionario sicuramente è quello di Daniel Libeskind (fig 02.43), il quale gestisce il suo progetto con una serie di edifici eccezionali che rompono allineamenti e i traguardi visivi delle volumetrie architettoniche circostanti, creando in questo modo una monumentalità drammatica. Lo spazio della piazza è quindi decostruito rispetto alla città circostante, assunta come identità inalienabile. I frammenti di Libeskind propongono un’architettura della memoria, concetto che il progetto vincitore di Hans Kollhoff non inserisce tendendo alla cancellazione dell’identità precedente. Il progetto di Hans Kollhoff (fig 02.44), propone un’urbanizzazione di blocchi compatti i quali caratterizzano lo spazio di proporzioni europee con in lontananza una concentrazione di torri caratterizzate dal modello degli edifici gemelli di Peter Behrens che riprendono la gestione “americana” dello spazio. Questa tipologia di progetto, a differenza di quello di Libeskind propone un principio insediativo su una regola tipologica e non sulla decostruzione della città esistente.

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Fig. 02.43 D. LIBESKIND, progetto per Alexanderplatz.

Fig. 02.44 H. KOLLHOFF, progetto per Alexanderplatz.

Fig. 02.45 Prospettiva di Alexanderplatz

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Un altro progetto che merita d’esser citato è quello di Christoph Ingenhoven, il quale propone una terza soluzione cercando di ricostruire tutto il tessuto urbano circostante. La piazza in questo caso risulta essere disegnata dalla penetrazione degli assi stradali rievocando la forma irrisolta che negli anni Trenta molti maestri avevano cercato di studiare: uno tra i tanti è Mies Van Der Rohe con i grattacieli per la Friedrichstrasse.

L’opera di Peter Eisenman All’interno di questo turbinio progettuale di vere e proprie porzioni di città si inseriscono nella topografia berlinese anche progetti di edifici singoli che vanno ad innestarsi all’interno di un contesto in completa rinascita. Peter Eisenman progetta una torre residenziale situata all’incrocio tra due delle più importanti e storicamente ricche passeggiate di Berlino, l’Unter den Linden e la Friedrichstrasse. Questo luogo era stato precedentemente occupato da Max Reinhardt, produttore teatrale di primo piano in Germania nei primi decenni del ventesimo secolo e per questo motivo la torre venne chiamata Max Reinhardt Haus in suo onore. Inoltre in questa zona anche Mies van der Rohe aveva collocato idealmente il suo grattacielo in vetro dalle forme razionaliste (fig 02.46). L’edificio di Eisenman si presenta come un arco contorto su sé stesso una forma prismatica che è un mondo a sé ma riflette anche il carattere costantemente mutevole e multiforme della città. Nel design di Eisenman, l’edificio a trentacinque piani si piega verticalmente sul suo nucleo per creare una struttura che separa, si trasforma e si ricongiunge orizzontalmente al livello del tetto. La forma è stata generata da tre operazioni eseguite con un nastro di Möbius, una forma geometrica tridimensionale con una singola superficie continua. Nella prima operazione, i piani sono stati generati dalla triangolazione delle superfici, che hanno permesso lo sviluppo di un ordine di superficie per rivestimenti esterni e una struttura a snodo per il supporto verticale e laterale. La seconda operazione invertì il nastro, triangolava nuovamente le superfici e imprime le linee di queste superfici nella forma iniziale. Il terzo passo ha piegato grandi spazi pubblici tra la griglia e le lastre di pavimento di una struttura già piegata.

L’opera di Oswald Mathias Ungers L’area urbana che si estende intorno alla Kemperplatz e che è conosciuta con il nome pretenzioso di Kulturforum, ossia forum della cultura, offre oggi un’immagine frammentaria e casuale malgrado gli importanti lavori eseguiti nel secondo dopoguerra. Non si può infatti parlare di complesso razionale e significativo. Il quartiere è situato vicino a Potsdamer Platz nel distretto del Tiergarten ed è costituito da un agglomerato di edifici molto attigui tra loto. Il caos architettonico e urbanistico può essere affrontato solo tramite la semplicità delle forme. Oswald Mathias Ungers cerca di dare un ordine grazie alle sue idee di progetto semplificando lo spazio cittadino evitando di collegare le forme architettoniche circostanti. Accanto a molti edifici già esistenti e a quelli progettati o in corso di costruzione è parso opportuno inserire una torre panoramica (fig 02.47) perché senza di essa il complesso risultava mancante di qualcosa. Per questo motivo Ungers inserisce questo edificio alto anche come stratagemma per apprezzare maggiormente il disegno complessivo dell’area. p.43


Fig. 02.46 P. EISENMAN, Max Reinhardt Haus, 1992.

Fig. 02.47 O. M. UNGERS, Kulturforum tower, 1983.

Fig. 02.48 J. HEYDUCK, Kreuzberg tower, 1988.

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La torre viene percepita come un vero e proprio campanile: un landmark che possa attrarre le persone anche da lontano. Simbolicamente si può pensare che grazie alla visuale da questa torre si può scavalcare l’ostruzione del Muro che sorgeva a poca distanza dall’area di progetto. L’idea di Ungers era molto completa: oltre ad edifici e alla torre aveva previsto anche l’inserimento di un parco e una strada che fungesse da asse viario principale.

L’opera di John Heyduck John Hejduck fu un architetto del Novecento e fu uno dei cinque componenti dei “New York Five” insieme a Meier, Eisenman, Graves e Gwathmey. Heyduck era un grande progettista e nella sua carriera idea tantissime opere differenti ma poche di queste riesce a realizzarle. Una di queste è situata a Berlino in Charlottenstrasse intorno alla fine degli anni Ottanta e si tratta di un complesso di edifici residenziali, molto particolare e strutturato in modo articolato. Questo era composto da due blocchi residenziali da 5 piani l’uno e una torre di 14 piani circondata da un giardino. La Kreuzberg tower (fig 02.48), collocata centralmente rispetto ai due corpi bassi, contiene sette appartamenti di tipo duplex con un doppio balcone per appartamento. L’abitazione era concepita con un salotto centrale polifunzionale, adibito al relax e come spazio lavoro, attorno a questo spazio vi sono distribuiti la cucina e il bagno. La distribuzione verticale a forma circolare, invece, era posiziona rivolta verso a nord. Gli appartamenti dei due corpi laterali variavano con un minimo di 2 locali ad un massimo di quattro con lo spazio standard del bagno e della cucina. Ognuno di questi aveva una loggia o un giardino d’inverno e invece negli alloggi all’ultimo piano era presente un atrio all’aperto. Le facciate erano caratterizzate da un colore neutro e da forme geometriche dettate da delle estrusioni dei balconi e delle logge. Queste componenti garantiscono un gioco di ombre molto caratteristico per l’edificio stesso. Nell’aprile 2010 i nuovi proprietari di questo edificio attirarono l’attenzione di architetti e committenze a causa della loro volontà di modificare la facciata durante interventi di restauro complessivi. La facciata della Kreuzberg tower è stata restaurata senza apportare modifiche ma al contrario vollero porre l’attenzione sull’edificio di valore storico per la Berlino Postbellica. Oggi la Kreuzberg Tower è protetta dal governo con una clausola che indica l’intervento di storici e di architetti incaricati per prendere in considerazione un’eventuale modifica. Questa clausola viene applicata a tutti gli edifici dell’IBA.

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_Edifici alti in Germania nei giorni nostri: confronto con altre città

Con l’avvento del nuovo secolo le nuove edificazioni nella capitale tedesca rallentano. Principalmente questo momento di stasi è causato da ragioni economiche che investono Berlino dovute al grande esborso per le massicce riqualificazioni urbane e per una ragione sociale principale: i simboli della nuova Berlino sono conclusi e l’attenzione migra verso intervento in scala minore. Il focus della scena architettonica si sposta verso altre città tedesche con più risorse e di conseguenza in pieno rinnovamento urbano: Amburgo e Francoforte.

Amburgo Amburgo deve la sua nascita a quattro fattori: l’Elba, il Mare del Nord, l’Alster e l’insieme di altri affluenti, è una città che si è sviluppata grazie alla presenza dell’acqua anche se ad oggi non è più così evidente come nelle città di Amsterdam o Venezia. Nel corso degli anni, infatti, sono riusciti a sfruttare l’elemento naturale creando un insieme di elementi topografici che concorrono a dare una forma unica e piena di variabili. Nell’ottica di una grande rigenerazione urbana e di una crescita a livello internazionale, Amburgo, nei primi anni del 2000 pone le basi per un progetto che diventerà un’eccellenza urbana unica nel suo genere: HafenCity. Si tratta di un vero e proprio slittamento del centro della città verso la periferia, riqualificando in toto l’area portuale (fig 03.01), simbolo della grande potenza mercantile e commerciale, e creando un nuovo fulcro urbano polifunzionale. Le linee direttrici del piano si fondano su un concetto di flessibilità, suscettibile di essere affinato in corso di pianificazione ulteriore e si concentrano sui seguenti aspetti: - la mixitè insediativa, atta a rivalutare l’ambiente urbano circostante - la preservazione dei caratteri tipologici delle strutture portuali e del loro rapporto con l’acqua - la qualità degli spazi pubblici affacciati sull’acqua - l’accessibilità pubblica ai differenti ambiti residenziali e terziari - la permeabilità e la continuità tra il centro storico, i nuovi interventi e i quartieri adiacenti I più grandi architetti del nuovo secolo partecipano a questa vetrina internazionale e molti sono i progetti che metteranno le radici in quest’area di 1.570.000 mq (fig 03.02). Il carattere residenziale è molto forte e rimanendo nel tema dell’edificio alto abitativo sono molti gli esempi presenti all’interno di questo super quartiere. p.46


Fig. 03.01 HafenCity: immagine storica.

La Cinnamon Tower di Bolles-Wilson (fig 03.03) è una torre residenziale isolata che funge quasi da campanile per la zona, questa sua caratteristica porta con sé l’idea della forma, slanciata e rastremata verso l’alto, carattere distintivo al quale i progettisti sono rimasti fedeli in tutto l’arco degli 8 anni di progettazione. La funzione principale non è sempre stata quella abitativa ma inizialmente la destinazione d’uso era proiettata verso il commerciale, solo nel corso del tempo sono state inserite le abitazioni. Gli appartamenti sono gestiti a duplex: originariamente erano previsti sette appartamenti ciascuno su due piani (con terrazzo panoramico sul piano superiore) ma un’idea precisa di mercato immobiliare ha generato un cambio di rotta, fu così che vennero progettati appartamenti ad un piano nella parte inferiore e un appartamento triplex al livello superiore. In totale quindi vengono realizzati dieci appartamenti, quattro di 130 mq e cinque di 185 mq e uno di 300 mq per un totale lordo di 4.300 mq distribuiti su una pianta di 13x16 m. Il livello zero invece è occupato dalla parte commerciale e da un ristorante che si affacciano direttamente sulla piazza antistante. La facciata è caratterizzata da finestre a tutta altezza per garantire una piena visuale su HafenCity, il gioiello della città, ed è rivestita da lastre in alluminio anodizzato in diverse gradazioni di rosso scuro. Alla luce del sole questi pannelli assumono sfumature colorate e nei giorni nuvolosi assumono tonalità più scure. Questa colorazione che cambia incide molto sulla nuova figura dello skyline di Amburgo. Un’altra opera molto importante per i progettisti Bolles+Wilson per la città di Amburgo è la Falkenried Tower (fig 03.04) una torre ad uso residenziale e uffici nel quartiere di Falkenreid a nord della città che fino al 1999 ospitava stabilimenti di produzione e officine. L’area di intervento di 50.000 mq viene gestita per un primo momento dagli architetti come una tabula rasa degli elementi esistenti, successivamente optarono per riutilizzare le strutture degli enormi capannoni per conferire uno stile industriale tipico della zona dell’intervento. Sul lato nord è posta la zona edilizia abitativa bassa: case a schiera che venivano richieste da una grande fetta di mercato immobiliare per i nuovi nuclei famigliari. sull’Elba accanto alla nuova sede dell’Unilever progettata dallo stesso studio Behnish Architekten.

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Fig. 03.02 HafenCity: masterplan di progetto.

Fig. 03.03 BOLLES+WILSON, Cinnamon Tower, 2016.

Fig. 03.04 BOLLES+WILSON, Falkenried Tower, 2004.

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Al centro dell’area è posto o “stabilimento-loft” e una serie di assi pedonali che dividono l’isolato creando i presupposti per un tranquillo quartiere residenziale periferico. A sud le dimensioni cambiano radicalmente e Bolles+Wilson raggiungono la densità limite fissata dalla municipalità di Amburgo: 70.000 mq. Qui la strategia organizzativa punta sulla sequenzialità di spazi pubblici, residenze e uffici dai quali svetta il perno dell’intero progetto: la torre. La Falkenreid Tower è il riassunto di tutto ciò che si trova nel quartiere: la planimetria standard prevede tre appartamenti di 95, 100 e 105 mq per piano, ma sono possibili anche variazioni di 70mq e 140 mq. Le mura di sostegno ortogonali dividono il piano trapezoidale in quarti e consentono il sostegno dalla parte superiore a sbalzi. La facciata nord verso la piazza è in vetro, quella sud, invece, è realizzata in mattoni larghi e unificati che riprendono il materiale tipico della Germania industriale. Gli slittamenti e le variazioni nei dimensionamenti delle finestre creano un dinamismo all’interno dei volumi complessivi degli edifici e gli elementi a sbalzo a partire dal decimo piano compongono lo sviluppo verticale della torre. Ritornando ad HafenCity altri tre progetti di torri residenziali meritano di esser presi in esame: la Marco Polo Tower di Behnish Architekten, la Oval Am Kaiserkai di Ingenhoven e l’International Coffee Plaza di Richard Meier & Partners. La Marco Polo Tower (fig 03.05) domina HafenCity essendo posizionata direttamente Raggiunge 55 metri di altezza ed questa torre è il punto d’arrivo di un percorso che dal centro della città di Amburgo conduce verso nuovi centri d’interesse. La torre si erge per diciassette piani, ciascuno ruotato di pochi gradi rispetto all’asse centrale, aprendo in questo modo tutti i 58 appartamenti verso spettacolari panorami sul porto della città e creando una silhouette plastica molto particolare. La metratura degli appartamenti varia tra i 60 e i 340 mq e la flessibilità del progetto garantisce la possibilità di collegare gli appartamenti contigui per crearne più grandi. Gli elementi di carico strutturale, infatti, sono ridotti al minimo per consentire ai residenti di personalizzare il più possibile i vani destinati a camera, cucina, sala da pranzo, bagno e relax. Varcando ogni appartamento ci si trova di fronte ad un soggiorno a pianta libera che, tramite pannelli in vetro, si affaccia sul mondo esterno e sul panorama urbano di Amburgo. La Marco Polo Tower coniuga l’abitazione con un rapporto pluridisciplinare all’edilizia ecologica: le terrazze aggettanti proteggono le porzioni sottostanti dall’irraggiamento solare diretto rinunciando in questo modo l’istallazione di ulteriori schermature. La Oval Am Kaiserkai Tower di Ingenhoven Architects (fig 03.06) sorge sulla riva settentrionale del Kaiserkai, dove sorge anche l’Elbphilharmonie di Herzog e De Meuron. Ha una posizione isolata ma allo stesso tempo con i suoi undici piani offre una spettacolare vista sul centro città, sul porto e sulla Speicherstadt cioè sulla “città dei magazzini” il vecchio porto di Amburgo caratterizzato con edifici in muratura che si affacciano sui canali. La forma ovale della costruzione è stata messa a punto studiando appositamente le condizioni del vento che caratterizzano il sito e la conformazione ad onda dei balconi è stata ottimizzata in base all’incidenza dei raggi solari e degli affacci. Ogni piano può ospitare fino a tre appartamenti con dimensioni che variano da 60 a 125 mq e la possibilità di metterli in comunicazione grazie alla flessibilità progettuale con cui è stato progettato.

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Fig. 03.05 BEHNISH ARCHITEKTEN, Marco Polo Tower, 2009-2010.

Fig. 03.06 INGENHOVEN ARCHITECTS, Oval Am Kaiserkai Tower, 2008.

Fig. 03.07 R. MEIER, International coffee plaza tower, 2009.

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L’international Coffee Plaza (fig 03.07) è un headquarter situato su un podio all’interno del grosso complesso di HafenCity, e deve il suo nome al grande commercio internazionale del caffè nel porto di Amburgo. Richard Meier si trova a dover progettare un complesso di edifici destinati ad uffici e dentro il quale progetta la torre con una superficie lorda di 165.764 mq divisi su 12 piani di cui 3 sono sotterranei, destinata a sale conferenze e uffici con una vista direttamente sul porto di Amburgo. Il progetto per l’edificio è stato fortemente influenzato dall’intenzione di correlare la strategia dell’azienda, ai massimi livelli della sostenibilità della coltivazione del caffè, e un ambiente di lavoro produttivo e piacevole. La configurazione e il design dell’edificio hanno lo scopo di massimizzare la luce del giorno e creare un ambiente di lavoro aperto e piacevole con viste sul quartiere e sulla città di Amburgo. La torre di forma ovale sfida le convenzioni tipiche delle torri. La configurazione ovale è un nuovo approccio a una piastra da pavimento minima con l’accento sulla riduzione al minimo della circolazione e sul miglioramento delle connessioni visive e fisiche tra gli impiegati. Le nuove possibilità di questa forma consentono anche di massimizzare la luce naturale interna e la ventilazione all’interno del centro degli spazi degli uffici, migliorando la trasparenza e mettendo in risalto le vedute della città storica. Nuovi sistemi meccanici, un sistema di oscuramento computerizzato controllato dal sole e le facciate sono state attentamente progettate per ridurre al minimo il consumo di energia e allo stesso tempo fornire un ambiente di lavoro con ventilazione naturale e luce naturale. Le alette di vetro verticali sono state utilizzate sulle altitudini sud e ovest che ruotano con il sole fornendo ombra e guadagno di calore minimo. Oltre all’innovativo sistema di illuminazione, le lastre in cemento attivo vengono utilizzate per raffreddare gli spazi degli uffici durante la notte e l’edificio e la sua facciata sono conformi al rigido EnEV 2004 (requisiti di risparmio energetico).

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Fig. 03.08 H. KOLLHOFF, Mainplaza tower, 2000.

Fig. 03.09 O. M. UNGERS Gleisdreieck tower, 1983-1984.

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Francoforte sul Meno L’edificio alto a Francoforte è un elemento più sporadico e utilizzato maggiormente per uffici. Nell’ultimo secolo è difficile trovare un progetto unitario così importante come può essere l’HafenCity di Amburgo però due torri che meritano una menzione sono sicuramente quella di Hans Kollhoff l’Apartment tower e il Grattacielo sul Gleisdreieck di Oswald Mathias Ungers. La torre di Kollhoff (fig 03.08) ha una pianta geometricamente ottagonale che permette una vasta gamma di differenti tipologie di appartamenti, il cui impianto centrifugo fa diretto riferimento alla struttura compositiva della città. L’edificio ha 24 piani e raggiunge un’altezza di 90 metri divisi in tre parti: un basamento di cinque piani, un fusto il cui dispiegamento si sviluppa giocando sulla geometria dell’ottagono e un coronamento. L’unica parte che cambia la forma ottagonale è il vano scala nel quale viene introdotto un “grado di spostamento” al fine di cambiare orientamento al corpo in maniera quasi impercettibile. Gli ambienti al piano terra, grazie ad ampi rivestimenti in vetro delle facciate, si aprono verso lo spazio pubblico, le aperture dei piani inferiori e le porzioni tra le finestre assicurano la presenza degli spazi individuali e privati. La facciata è in clinker, lavorata come filigrana salendo progressivamente verso l’alto, sostiene la verticalità dell’edificio attraverso lesene e pilastri. Gli elementi costruttivi quali pilastri, parapetti, lesene di copertura, rivestimenti e travi sono visibili sulla pelle esterna dando rilievo alla facciata, che grazie ad un gioco di luci ed ombre articola e sorregge la massa dell’edificio. L’edificio di Ungers (fig 03.09) sorge nel quartiere fieristico di Francoforte. La caratteristica principale di questo quartiere è la divisione di esso da due linee ferroviarie che generano un “quartiere fieristico ovest” e un “quartiere fieristico est”. Queste due linee intersecano l’edificio in posizione sopraelevata generando uno spazio triangolare aperto tra due binari. Il Gleisdreieck, ovvero il triangolo sui binari, è situato dal punto di vista spaziale nel baricentro dell’area fieristica e per questo motivo si presentava la necessità di accentuare questa sua caratteristica erigendo una costruzione ricca di significati, anche simbolici, e definibile chiaramente dal punto di vista tematico. La costruzione di un edificio alto quindi sembrava la risposta più idonea all’esigenza non solo per la visibilità ma anche per generare un punto di flessione dei due assi di percorrenza. La progettazione dell’edificio a triangolo si articola in due sezioni: una costruzione di basamento e un’altra a più piani sviluppatesi dal basamento stesso. La prima occupa l’intera parte compresa tra le due linee ferroviarie facendo si che si potessero inserire quelle funzioni attigue ad un asse viario: strutture per l’acquisto, approvvigionamento, la stampa, i servizi sociali e gli uffici. Al di sopra della piastra sorge un vero e proprio edificio alto di 24 piani per un totale di 30 piani e 130 metri d’altezza. La parte alta della torre dal punto di vista tipologico è composta di due corpi inseriti uno dentro l’altro: l’interno in vetro e l’esterno in pietra. I due corpi visti insieme sembrano una grande porta o una finestra sovradimensionata. Il carattere della porta non sta soltanto a dimostrare verso l’esterno il significato della fiera come luogo di commerci internazionali bensì anche a fornire un collegamento ottico-visuale tra i due settori separati del polo fieristico. La torre ospita soprattutto uffici e nella parte in vetro si trovano soprattutto sale riunioni. p.53



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Ringraziamenti

Desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato e supportato durante il percorso per la stesura della mia tesi di laurea. Ognuno, a proprio modo, ha saputo orientarmi verso le scelte più giuste: grazie di cuore. Primo tra tutti, il Professor Matteo Moscatelli, che ho avuto la fortuna di conoscere nella mia precedente esperienza di studi.Grazie a Lei ho imparato qualcosa che nessun manuale sarebbe stato in grado di insegnarmi: la passione per la materia. La ringrazio perchè anche a distanza di anni, ha accettato questa sfida rendendosi disponibile con il suo aiuto e i suoi consigli: senza di Lei questo lavoro non avrebbe preso forma. Ai miei genitori, Carla e Patrizio, grazie per qualsiasi tipo di instancabile sostegno che giornalmente mi date, morale, fisico e materiale, senza di voi niente di tutto questo sarebbe possibile. Siete una fonte d’ispirazione per me. Vi voglio bene. Ai miei nonni presenti nelle mie giornate anche se non fisicamente. Un grande pensiero va a voi. A Martina, il “martello pneumatico” che tutti vorrebbero come compagna di una doppia tesi, grazie per il continuo appoggio, anche se le nostre strade si sono (momentaneamente) dovute dividere. Un grazie speciale a Chiara e Giulia, le “3mende”, che hanno contribuito a rischiarare i giorni più complicati della vita di una studentessa di architettura. Alle mie amiche di “sempve” Angelica, Camilla, Dalila e Deborah le quali fin dal liceo sanno come farmi ridere, farmi piangere e ascoltarmi senza che glielo abbia mai chiesto. Stiamo crescendo insieme ed è una cosa meravigliosa. Dovrei ringraziare ognuna di voi per un motivo particolare e unico. Grazie Amiche Mie. ...and last but not least a Stef, il mio “amico”, come dice papà, il mio partner in crime. Sei la spalla su cui so di poter piangere e la persona con cui so di poter ridere, come solo noi sappiamo fare. Grazie per appoggiarmi in ogni mia decisione e grazie per esser stato il punto saldo delle mie giornate anche nel periodo londinese delle nostre vite. ...to the moon and back. ...a tutti coloro che sono fonte d’ispirazione costante.

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Alessandra Claudia Ferrari 12 febbraio 2018


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