"All'ultimo tumulto": Antonia Pozzi, un confronto con Vittorio Sereni

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA CORSO DI LAUREA IN LETTERE CURRICULUM LINGUISTICO-LETTERARIO MODERNO E CONTEMPORANEO

«ALL’ULTIMO TUMULTO» Antonia Pozzi: un confronto con Vittorio Sereni

Relatore Prof. GIUSEPPE SANDRINI Correlatore Prof. MASSIMO NATALE

Tesi di Laurea di FEDERICA ROSA

Anno Accademico 2009 / 2010


A tutte le poetesse escluse dalle antologie.

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«Non smetta di immaginare. Non è matta. Mai più creda a chi le dice questa cosa ingiusta e malvagia. Scriva». Milena Agus, Mal di pietre Milena Agus, Mal di pietre

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Indice

Introduzione

p. 6

1. VITA DI ANTONIA POZZI

p.

16 1. 1 «Mia infanzia perduta»: fanciullezza (1912-1925)

p. 16

1. 2 «È terribile essere una donna, ed avere diciassette anni»: adolescenza (1925-1930)

p. 19

1. 3 «Forse la vita è davvero / quale la scopri nei giorni giovani»: giovinezza (1930-1938)

p. 24

1. 4 «La mia carne disseccata, morta»: morte (2-3 dicembre 1938)

p. 28

2. ANTONIA POZZI E VITTORIO SERENI 2. 1 L’ambiente culturale del “gruppo Banfi” 4

p. 31 p. 31


2. 2 Cronologia di un’amicizia

p. 38

2. 3 Documenti di un’amicizia

p. 44

2. 4 Testi critici sulla relazione Pozzi – Sereni e sul confronto Parole – Frontiera

p. 53

3. LETTURA COMPARATA DI PAROLE E FRONTIERA

p.

67 3. 1 Parole e Frontiera a confronto

p. 67

3. 2 Una domenica in periferia

p. 75

3. 3 Una morte che non dà quiete

p. 82

Conclusioni

p. 90

Bibliografia

p. 93

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Introduzione

Antonia Pozzi è una poetessa milanese nata nel 1912 e morta per propria mano nel 1938. La sua vicenda poetica è singolare perché, in vita, non ha pubblicato nessuna poesia, né sembra sia stata riconosciuta come poetessa dai pochi intimi a cui ha mostrato i propri versi.1 La vicenda editoriale delle liriche della Pozzi è articolata e complessa. Solo negli ultimi anni vi è stata un’ampia riscoperta da parte di critica e pubblico, riscoperta che ha portato a numerose pubblicazioni di opere della e sulla poetessa di Parole, la quale viene oggi studiata anche come fotografa.2 Questo stimolante fermento invita ad approfondire quegli aspetti ancora poco chiari della poesia e della figura di Antonia Pozzi, ad esempio le influenze esercitate sulla sua scrittura dalla formazione letteraria e dall’ambiente culturale da lei frequentato. Da qui l’intento di approfondire i 1

Unica pubblicazione in vita di Antonia è il saggio su Huxley Eyeless in Gaza, uscito in «Vita giovanile», anno I, n. 9, 31 maggio 1938. Oggi lo possiamo leggere, insieme all’altra conversazione su Huxley tenuta presso la cattedra di Estetica della Regia Università di Milano nell’aprile 1938, in Antonia Pozzi, Diari e altri scritti, a cura di Onorina Dino, Milano, Viennepierre, 2008, pp. 65-73; in Antonia Pozzi, Tutte le opere, a cura di Alessandra Cenni, Milano, Garzanti, 2009, pp. 639-647; e in Antonia Pozzi, Poesia che mi guardi. La più ampia raccolta di poesie finora pubblicata e altri scritti, a cura di Graziella Bernabò e Onorina Dino, Bologna, Luca Sossella editore, 2010, pp. 513-521. 2 Di questa riscoperta si parlerà ampiamente più avanti. Per quanto riguarda la fotografia della poetessa si veda Antonia Pozzi, Antonia Pozzi. Nelle immagini l’anima: antologia fotografica, a cura di Ludovica Pellegatta e Onorina Dino, Milano, Àncora, 2007. 6


rapporti che Antonia Pozzi intratteneva con il gruppo Banfi nella Regia Università di Milano e con il poeta Vittorio Sereni in particolare, per poter individuare i punti di contatto tra le poetiche di questi due giovani scrittori e poter quindi comprendere più a fondo i versi di Parole. Prima di entrare nel merito della trattazione ritengo necessario ripercorrere la vicenda editoriale delle poesie di Antonia Pozzi che, come dicevo, non è stata semplice né, mi sento di dire, fortunata. I componimenti da lei redatti nei pochi anni di vita vengono parzialmente pubblicati per la prima volta nel 1939, in edizione privata, con il titolo Parole. Liriche. L’iniziativa per questa pubblicazione viene presa dal padre, l’avvocato Roberto Pozzi.3 Per la prima edizione vera e propria si deve attendere il 1943, quando esce per Mondadori Parole. Diario di poesia 1930-1938, contenente 157 poesie (quasi il doppio delle 91 contenute nell’edizione privata).4 La seconda edizione esce cinque anni dopo con lo stesso titolo,5 arricchita dalla prefazione di Eugenio Montale, ripubblicazione di un articolo intitolato Parole di poeti uscito su «Il Mondo» il 1° dicembre 1945 e comparso poi, con modifiche, e con il titolo Poesia di Antonia Pozzi, in «La Fiera Letteraria» il 21 novembre 1948. 6 Le parole di Eugenio Montale sono la consacrazione che avrebbe dovuto dare inizio a studi approfonditi sulla figura e sull’opera della giovane poetessa. Questo invece non accade, o almeno non nella misura in cui ci si aspetterebbe dopo le parole di 3

Antonia Pozzi, Parole. Liriche, avv. Roberto Pozzi, Milano, Mondadori, 1939, 1ª edizione privata, 91 poesie. 4 Antonia Pozzi, Parole. Diario di poesia 1930-1938, Milano, Mondadori, 1943, 157 poesie e 4 lettere a Tullio Gadenz. 5 Antonia Pozzi, Parole. Diario di poesia 1930-1938, Milano, Mondadori, 1948, 159 poesie, con prefazione di Eugenio Montale. 6 Ora in Eugenio Montale, Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, a cura di Giorgio Zampa, Milano, Mondadori, 1996, pp. 634-639. 7


Montale: «il suo libro si legge con un’agevolezza che non è di tanti altri», «[la sua] voce [è] leggera, pochissimo bisognosa di appoggi», «la purezza del suono e la nettezza dell’immagine [sono] il suo dono nativo». Infatti i diari della Pozzi saranno dati alle stampe per la prima volta solo nel 1988 7 e le lettere nel 1989.8 Prima di allora vengono pubblicate le poesie, come dicevamo, ma sempre in raccolte incomplete, in versioni spesso non fedeli agli originali, e questo è uno dei motivi per cui mi sento di dire che la vicenda editoriale delle poesie della Pozzi è stata sfortunata. 9 Viene pubblicata la tesi di laurea, come già si progettava quando Antonia Pozzi era ancora in vita.10 E vi è poi un fiorire di articoli su varie riviste letterarie. Nel 1964 esce la terza edizione di Parole, l’ultima per Mondadori, con ristampa della prefazione di Montale.11 Questa edizione è seguita da 7

Antonia Pozzi, Diari, a cura di Alessandra Cenni e Onorina Dino, Milano, Scheiwiller, 1988, 2ª ed. 1989. La nuova edizione, arricchita, è Antonia Pozzi, Diari e altri scritti, cit. Oggi i diari si possono leggere anche in Antonia Pozzi, Tutte le opere, cit., e Antonia Pozzi, Poesie che mi guardi, cit. 8 Antonia Pozzi, L'età delle parole è finita: lettere 1927-1938, a cura di Alessandra Cenni e Onorina Dino, Milano, Archinto, 1989. La nuova edizione, riveduta ed ampliata dalle medesime curatrici, esce nel 2002: L'età delle parole è finita: lettere 1923-1938, Milano, Archinto, 2002. Le lettere sono state pubblicate anche in Antonia Pozzi, Tutte le opere, cit., e, una selezione, in Antonia Pozzi, Poesia che mi guardi, cit. Esistono inoltre delle raccolte che riuniscono le lettere a determinati destinatari, come Antonia Pozzi – Vittorio Sereni, La giovinezza che non trova scampo. Poesie e lettere degli anni Trenta, a cura di Alessandra Cenni, Milano, Scheiwiller, 1995, 2ª ed. 2007, oppure Antonia Pozzi – Tullio Gadenz, Epistolario (1933-1938), a cura di Onorina Dino, Milano, Viennepierre, 2008. 9 Roberto Pozzi ha operato una vera e propria distruzione degli scritti della figlia secondo quanto scrive Graziella Bernabò nella premessa a Poesia che mi guardi. Su questo fatto è concorde anche Alessandra Cenni, che ne parla nella Notizia sulle fonti e ringraziamenti in In riva alla vita. Storia di Antonia Pozzi poetessa, Milano, Rizzoli, 2002. In realtà sembra che le sottrazioni delle carte della Pozzi non siano da ascrivere solamente al padre. Ma su questo regna ancora oggi il mistero. 10 Antonia Pozzi, Flaubert. La formazione letteraria (1830-1856), con una premessa di Antonio Banfi, Milano, Garzanti, 1940. Ripubblicata nel 2008 per la collana Filosofia dell’editore Ananke. 11 Antonia Pozzi, Parole. Diario di poesia 1930-1938, Milano, Mondadori, 1964, 176 poesie, con medesima prefazione di Eugenio Montale. 8


Vittorio Sereni, dal 1958 direttore editoriale della Mondadori, sezione libri.12 Solo nel 1989, esaurite tutte le edizioni precedenti, viene pubblicata la prima edizione critica di Parole (finalmente senza il sottotitolo Diario di poesia, mai indicato da Antonia Pozzi in nessuno dei suoi Quaderni), curata da Alessandra Cenni e Onorina Dino per Garzanti, con ben 248 poesie ripristinate nella loro lezione originale.13 Questo è stato possibile perché suor Onorina Dino custodisce l’Archivio con le carte e i cimeli di Antonia Pozzi nella casa di Pasturo per volere di Lina Cavagna Sangiuliani, la madre di Antonia, che negli ultimi anni di vita venne curata dalle suore della Congregazione del Preziosissimo Sangue di Monza. Onorina Dino si è laureata in Lettere presso la libera Università Maria Assunta di Roma nel 1974 con una tesi sulla poesia di Antonia Pozzi14 e ha curato, da allora, molte pubblicazioni delle opere della poetessa. Alessandra Cenni è attualmente insegnante di lettere alle scuole superiori e svolge attività di ricerca universitaria. Per anni ha curato insieme a Onorina Dino tutti gli scritti di Antonia Pozzi. Con queste prime pubblicazioni (poesie, diari e lettere) le due studiose legano indissolubilmente il loro nome a quello di Antonia, al quale restano fedeli tutt’oggi, anche se lungo percorsi separati. Questa loro separazione professionale nella cura degli scritti della poetessa di Parole è un altro motivo per cui credo che le vicende editoriali dei suoi componimenti non siano state particolarmente felici. Vedremo infatti che nel giro di pochi anni Alessandra Cenni pubblicherà una biografia della 12

Per un approfondimento dell’opera di Vittorio Sereni come curatore di Parole si veda il paragrafo 2. 4 del capitolo 2. 13 Antonia Pozzi, Parole, a cura di Alessandra Cenni e Onorina Dino, Milano, Garzanti, 1989, 248 poesie. 14 Onorina Dino, Antonia Pozzi. Un’anima e una poesia, tesi di laurea, Istituto Universitario Parificato di Magistero Maria SS. Assunta, Roma, 1974. 9


Pozzi15 e Graziella Bernabò (oggi collaboratrice a fianco della Dino) un’altra,16 che spesso smentisce quanto affermato dalla prima. Alessandra Cenni pubblicherà una cosiddetta opera omnia della Pozzi17 e Onorina Dino e Graziella Bernabò un’altra, con il sottotitolo, chiaramente polemico rispetto a Tutte le opere Garzanti, La più ampia raccolta di poesie finora pubblicata e altri scritti.18 Tornando alle edizioni di Parole, questo libro di poesie viene poi pubblicato nel 1998,19 edizione ristampata nel 2001.20 A questo punto, prima di citare le ultime due pubblicazioni di Parole, è necessario ricordare la grande riscoperta di critica e pubblico nei confronti dell’opera e della figura di Antonia Pozzi che, iniziata alla fine degli anni Ottanta, con le prime edizioni critiche di Parole, delle lettere e dei diari, ha avuto il suo exploit nel 2008 (e negli anni a seguire), quando

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Alessandra Cenni, In riva alla vita, cit. Graziella Bernabò, Per troppa vita che ho nel sangue. Antonia Pozzi e la sua poesia, Milano, Viennepierre, 2004. 17 Antonia Pozzi, Tutte le opere, cit. Scrivo “cosiddetta” perché in realtà mancante di molti scritti: tutte le poesie pubblicate in Antonia Pozzi, Poesia mi confesso con te: ultime poesie inedite (1929-1933), a cura di Onorina Dino, Milano, Viennepierre, 2004; la tesi di laurea su Flaubert; alcune lettere a Sereni e a Dino Formaggio pubblicate altrove e le traduzioni di Manfred Hausmann, Il vagabondo Lampioon, bacia ragazze e giovani betulle (composta nel corso di una convalescenza nell’estate 1938) e di parte (il manoscritto risulta essere interrotto) del capitolo IX di Aldous Huxley, Contrappunto. Quest’ultima è stata pubblicata in Antonia Pozzi, Diari e altri scritti, cit., pp. 73-75. Della traduzione di Hausmann mi risulta sia stato pubblicato solo un brano da Alessandra Cenni in In riva alla vita, p. 238. 18 Antonia Pozzi, Poesia che mi guardi, cit. Sulla separazione professionale delle studiose e sulle sue cause si vedano gli articoli di Isabella Bossi Fedrigotti , Amore e versi, Antonia fa scandalo, uscito sul «Corriere della Sera» l’11 ottobre 2002 a p. 35, e di Onorina Dino, «Il volto nuovo» ovvero il tradimento di Antonia Pozzi, «Otto/Novecento», Milano, 27, n.3, settembre-dicembre 2002, pp.71-108. 19 Antonia Pozzi, Parole, a cura di Alessandra Cenni e Onorina Dino, Milano, Garzanti, 1998, 291 poesie. 20 Antonia Pozzi, Parole, a cura di Alessandra Cenni e Onorina Dino, Garzanti, 2001. 10 16


si è costituito un gruppo di lavoro tra studiosi dell’autrice interni ed esterni all’Università degli Studi di Milano. Da questa collaborazione è scaturito un progetto di "anno pozziano", che prevede per il 2008 una serie di manifestazioni ed eventi che si svolgeranno a Milano e in altre località della Regione Lombardia. Nello stesso contesto è stato creato un sito internet dedicato in modo permanente ad Antonia Pozzi [www.antoniapozzi.it] […] Obiettivo fondamentale del progetto è la valorizzazione e la diffusione sul piano nazionale e internazionale della conoscenza di Antonia Pozzi e della sua produzione poetica e fotografica.21

Gli eventi di maggiore rilievo di questi anni sono, a mio parere, il Convegno sulla poetessa tenutosi presso l’Università degli Studi di Milano nei giorni 24-26 novembre 2008;22 l’uscita nelle sale di un filmdocumentario dedicato ad Antonia Pozzi23 e la pubblicazione di Tutte le opere, a cura di Alessandra Cenni nel 2009; la pubblicazione di Poesia che mi guardi a cura di Graziella Bernabò e Onorina Dino nel 2010 (e in queste raccolte vi sono le ultime due pubblicazioni di Parole, rispettivamente con 288 liriche, di cui 28 allora inedite, e 295, di cui nessun inedito). Tra le edizioni di Parole va infine menzionata la tesi di laurea in Lettere di Elena Borsa, Parole di Antonia Pozzi. Edizione critica e note lessicologiche, ad oggi inedita,24 la cui pubblicazione è auspicata da molti studiosi della poetessa, al cui coro mi unisco senza indugio. Se tale pubblicazione avvenisse, questa accurata edizione critica sarebbe l’unica a

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http://www.antoniapozzi.it/progetto-antonia-pozzi-2008.php I cui Atti sono stati pubblicati nel 2010: Graziella Bernabò, Onorina Dino, Silvia Morgana, Gabriele Scaramuzza (a cura di), ...e di cantare non può più finire... Antonia Pozzi (1912-1938), Atti del Convegno, Milano 24-26 novembre 2008, Università degli Studi di Milano, Milano, Viennepierre, 2010. 23 Marina Spada, Poesia che mi guardi, Italia, 2009. 24 Elena Borsa, Parole di Antonia Pozzi. Edizione critica e note lessicologiche, Tesi di laurea in Lettere, Relatore Prof. Angelo Stella, Università degli Studi di Pavia, 1992/1993. 11 22


raccogliere davvero tutti i componimenti dei Quaderni (303) e in essa si troverebbero anche 2 testi finora inediti: Gelosie e Lettera. Vi sono state anche altre pubblicazioni interessanti e una lunga serie di incontri (che continuano tutt’ora, mentre scrivo) con gli autori / curatori dei libri sulla / della Pozzi, di letture pubbliche delle sue poesie, di dibattiti sulla sua figura con la regista Marina Spada e molto altro ancora.25 Per concludere non va dimenticato che altre parziali antologie dei componimenti della Pozzi sono state diffuse nel corso degli anni. Ricordiamo ad esempio La vita sognata e altre poesie inedite, a cura di Alessandra Cenni e Onorina Dino, uscita per Scheiwiller nel 1986, oppure Mentre tu dormi le stagioni passano..., a cura delle stesse, Milano, Viennepierre, 1998 (raccolta di poesie dedicate alla montagna) o Poesia, mi confesso con te: ultime poesie inedite (1929-1933), a cura di Onorina Dino, Viennepierre, 2004 (in questa raccolta troviamo 32 poesie inedite, di cui 6 poi pubblicate in Antonia Pozzi, Poesia che mi guardi). Queste selezioni risultano però troppo spesso dei tentativi poco riusciti di divulgare la poesia della Pozzi poiché raccolgono liriche scelte arbitrariamente sotto titoli che l’autrice non ha mai indicato come tali (fatta eccezione per La vita sognata, che, come risulta dal manoscritto dei Quaderni, è il titolo dato 25

Ho avuto l’occasione di partecipare ad alcuni di questi incontri documentandomi sul sito www.antoniapozzi.it: la presentazione del libro di Marco Della Torre, Antonia Pozzi e la montagna, Milano, Àncora, 2009, tenutasi a Riva del Garda il 19 marzo 2010, seguita da un’emozionante lettura di poesie con accompagnamento musicale; la proiezione di Poesia che mi guardi a Reggio Emilia, con dibattito con la regista Marina Spada a seguire; l’incontro con Marco Della Torre e Alessandra Cenni in occasione del Festivaletteratura di Mantova l’11 settembre 2010; lo spettacolo teatrale Il cielo in me di Chiara Bazzoli, ispirato alle poesie di Antonia Pozzi, a Villanuova sul Clisi (BS). Purtroppo non ho ancora avuto l’occasione di assistere ad un incontro tenuto da Graziella Bernabò, della quale ho molto apprezzato la biografia Per troppa vita che ho nel sangue. Sono convinta che questa pratica di incontrarsi e parlare degli scrittori e soprattutto di leggerne ad alta voce le “parole” sia un’ottima consuetudine da accostare alla lettura privata. 12


dalla Pozzi a dieci poesie che parlano dell’amore per Antonio Maria Cervi, suo professore di latino e greco al liceo). Ad ogni modo, di Antonia Pozzi, morta a soli ventisei anni, autrice di un solo libro di poesie mai pubblicato in vita (il quale raggiunge oggi la nona riedizione con l’edizione per i tipi di Luca Sossella), oggi esistono due biografie, un film, due opera omnia e molto altro ancora. Nonostante ciò sono ancora numerosi i lati oscuri di questa scrittrice e fotografa e uno di questi è, come si diceva, la formazione letteraria, l’influenza che gli autori che lesse o con i quali ebbe rapporti di amicizia hanno avuto sulla sua scrittura. Per questo motivo con la presente trattazione ho scelto di far luce sul legame che ha unito Antonia Pozzi e Vittorio Sereni, sotto consiglio del professor Giuseppe Sandrini. Si è scelto di intitolare la tesi «All’ultimo tumulto» per citare un verso comune ad Antonia Pozzi e Vittorio Sereni: si tratta del secondo verso della poesia Fine di una domenica della Pozzi, che torna in apertura di 3 dicembre di Sereni. Un approfondimento su questo riecheggiamento è presente nei paragrafi 2. 3 e 3. 1, rispettivamente nei capitoli 2 e 3. La tesi è suddivisa in tre capitoli. Nel primo ci si propone di rivisitare le vicende della vita di Antonia Pozzi, soffermandosi in modo particolare sui temi che, dalla vita, confluiscono nella composizione poetica. Si è ritenuto importante riportare già in questo primo capitolo alcuni versi di Parole, per introdurre le linee della poetica pozziana. Un altro metodo che si è cercato di seguire è stato quello di ripercorrere la biografia della scrittrice in parte attraverso quanto lei stessa ha scritto, nei vari periodi della sua esistenza, della propria vita. Le relazioni con gli altri, con i compagni universitari, le amiche, gli amori sono elementi fondamentali nella vita della Pozzi. Si è dunque tentato, pur nella sintesi richiesta in tale sede, di non tralasciare di 13


descrivere chi fossero le persone che con lei hanno condiviso un rapporto d’elezione. Uno di questi è appunto Vittorio Sereni, intimo amico di Antonia. Nel secondo capitolo la trattazione affronta l’ambiente culturale in cui i due giovani hanno trascorso gli anni universitari, che è quello della cosiddetta “scuola di Milano”, formato da Antonio Banfi e dalla cerchia di studenti che ne seguivano le lezioni e furono profondamente influenzati dalla sua personalità. Dal generale si passa poi al particolare, restringendo il campo dell’indagine alla relazione amichevole che legò i poeti Pozzi e Sereni, attraverso l’analisi cronologica dei rapporti tra loro intercorsi, l’analisi dei documenti a nostra disposizione su di essi e infine dei testi critici che hanno affrontato questa relazione. È evidente che in questo studio gli aspetti che si cercano di evidenziare non sono solamente il rapporto umano esistente tra i due ma soprattutto i legami, gli echi, le influenze riscontrabili nelle reciproche poetiche. Nel terzo ed ultimo capitolo si affronta il cuore della ricerca: in seguito ad una lettura comparata delle due opere prime dei poeti (Parole, che per Pozzi è anche l’unica, e Frontiera), in cui se ne segnalano le affinità o discontinuità tematiche, stilistiche e strutturali, si propongono, affiancate, liriche dell’uno e dell’altra per un’analisi condotta direttamente sui testi che possa evidenziare importanti punti di continuità. A tale fine si è scelto di concentrare l’attenzione sul tema della periferia, caro alla “linea lombarda” di cui scrive Luciano Anceschi nel 1952,26 e sul tema della morte, entrambi chiaramente rintracciabili nei testi di Pozzi e Sereni, con tutte le diverse sfumature che non mancheremo di notificare. 26

Luciano Anceschi, Linea lombarda: sei poeti, Varese, Magenta, 1952. 14


Il testo a cui faccio riferimento per le notizie relative alla vita di Antonia Pozzi è la già citata biografia di Graziella Bernabò, Per troppa vita che ho nel sangue. In riva alla vita di Alessandra Cenni è un ritratto della Pozzi in cui l’autrice troppo spesso si discosta dai fatti comprovati e narra le vicende seguendo la propria immaginazione. Per tale motivo si preferisce non utilizzare questo testo come fonte primaria. Per quanto riguarda le poesie ed il diario farò riferimento a Poesia che mi guardi, a cura di Onorina Dino e Graziella Bernabò. Anche se sarebbe stato preferibile far riferimento all’edizione critica di Parole redatta da Elena Borsa, unica raccolta che riporta tutte le poesie di Antonia con ferrea correttezza filologica, si è scelto di far riferimento a Poesia che mi guardi perché la tesi di Elena Borsa non è mai stata pubblicata. Leggo le lettere in Tutte le opere, a cura di Alessandra Cenni, edizione oggi più completa al riguardo. Le informazioni sulla vita di Sereni e le sue poesie sono tratte da Vittorio Sereni, Poesie, a cura di Dante Isella, Milano, Mondadori, 2005 (la Cronologia è curata da Giosue Bonfanti). Tutto questo è valido salvo diversa segnalazione all’interno del testo. In queste poche pagine si cercherà di andare oltre i dissidi che oggi attraversano la critica dell’opera della nostra poetessa, che fu così incompresa in vita come troppo spesso riletta dalla critica attraverso lenti deformanti dopo la morte, troppo spesso oggetto di interpretazioni non corredate da fonti che le giustificassero. Ma forse anche in questo sta la grandezza di quest’artista: saper muovere nel lettore sentimenti così forti da portarlo a censurarne parte della sua prorompente scrittura (è il caso del padre) e saper far correre troppo in là la fantasia dei critici, portandoli ad interpretazioni distanti tra loro. 15


1. VITA DI ANTONIA POZZI

Come accennato nell’introduzione, Antonia Pozzi muore giovanissima, a soli ventisei anni, eppure esistono ben due biografie a lei dedicate, le già citate In riva alla vita di Alessandra Cenni e Per troppa vita che ho nel sangue di Graziella Bernabò, oltre alle notizie biografiche che completano molte pubblicazioni di scritti della Pozzi, a cura di Onorina Dino o di altri studiosi, e molti altri scritti (e non solo) che raccontano le vicende dell’esistenza della poetessa. È certo che conoscere approfonditamente la vita di un artista permette di capire la sua opera in modo più completo. Inoltre, nel caso della Pozzi, vita e creazione artistica sono inscindibilmente intrecciate e compenetrate. Di qui la scelta di ripercorrere, in apertura di questa trattazione, le strade del breve cammino della poetessa.

1. 1 «Mia infanzia perduta»: fanciullezza (1912-1925) Nella poesia Odor di verde Antonia Pozzi parla della sua infanzia in questi termini: Odor di verde – mia infanzia perduta – quando m’inorgoglivo dei miei ginocchi segnati – strappavo inutilmente i fiori, l’erba in riva ai sentieri, poi li buttavo – 16


m’ingombravan le mani –27

Ci parla dunque di una bambina vivace, che non ha paura di sporcarsi o di farsi male nel gioco e che anzi come un “maschiaccio” corre, si sbuccia le ginocchia e ha fretta di giocare, è curiosa e libera. Ci si immaginerebbe tutt’altra infanzia per l’unica figlia di una famiglia aristocratica come quella dei Pozzi, molto più composta. Antonia nasce infatti da Carolina Cavagna Sangiuliani di Gualdana, figlia del conte Antonio e di Maria Gramignola, nipote di Tommaso Grossi e seconda moglie del conte (figura femminile di riferimento per Antonia che la chiama “Nena”), e da Roberto Pozzi, avvocato di famiglia non particolarmente ricca ma acculturata, formata dal padre Angelo Pozzi, la madre Rosa Pastori, entrambi insegnanti, e dagli altri figli Ida ed Emma. Può essere di qualche interesse segnalare che sia Angelo che Emma Pozzi muoiono suicidi verosimilmente per problemi di depressione. La famiglia di Antonia ha dunque origini nobiliari per parte materna, fatto che le conferisce grande prestigio. Il padre Roberto Pozzi, nonostante le modeste origini, diventa presto un avvocato di fama e uomo in vista del fascismo. Antonia nasce a Milano il 13 febbraio 1912. Abita per tutta la vita in via Mascheroni 23, in un palazzo liberty. Riceve un’educazione completa: studia più d’una lingua straniera (inglese, tedesco, francese), viaggia molto, studia pianoforte, disegno, scultura e pratica diversi sport: tennis, equitazione, nuoto, alpinismo, sci. Il rapporto con la montagna è particolarmente presente nelle sue poesie: Ribellione di massi – Antonia Pozzi, Odor di verde, in Parole, in Poesia che mi guardi, cit., p. 281, vv. 1-8. Poesia datata Pasturo, agosto 1934. 17 27


Cervino – volontà dilaniata. Tu stai di contro alla notte come un asceta assorto in preghiera. […] Cervino – estasi dura – vittoria oltre l’informe strazio – eroe sacro.28

Antonia Pozzi frequenta la prima elementare prima ancora di compiere sei anni presso le suore Marcelline di piazzale Tommaseo. L’anno successivo comincia a frequentare la scuola statale.29 A partire dal 1918 comincia a recarsi regolarmente a Pasturo, paese della Valsassina ai piedi della Grigna, dove i genitori possiedono una villa del Settecento. In questo paesino Antonia si recherà regolarmente per tutta la vita e sarà per lei luogo di rifugio, di riflessione e di contatto con la natura e la gente del posto, contadini dalla vita molto più semplice di quella dei milanesi da lei frequentati nella città, verso la cui umile vita lei prova quasi una lieve gelosia: Ed ecco, vorrei essere come loro, piccina, povera, oscura, più vicina alla loro piccolezza, e non avere da dire la pargoletta benevola che suona male30 28

Antonia Pozzi, Cervino, Ibidem, p. 195, vv. 1-5; 16-20. Poesia datata (Breil) Pasturo, 20 agosto 1933. Sul tema Cfr. l’antologia Antonia Pozzi, Mentre tu dormi le stagioni passano..., cit., e l’opera di Marco Della Torre, Antonia Pozzi e la montagna, cit. 29 Cfr. Onorina Dino, Notizia biografica, in Antonia Pozzi, Poesia che mi guardi, cit., p. 15. 30 Antonia Pozzi, Rossori, in Parole, in Poesia che mi guardi, cit., p. 118, vv. 48-53. Poesia datata Pasturo, 6 aprile 1931. Antonia Pozzi sta parlando di alcuni bambini che 18


Sia nella poesia che nelle fotografie Pasturo e la sua gente sono soggetti ricorrenti. Degli anni precedenti ginnasio e liceo sono state pubblicate solo tre lettere, datate 3 giugno 1923, 4 ottobre 1924 e agosto 1925, indirizzate tutte e tre ai genitori, in cui leggiamo che Antonia già si distingue tra i compagni di classe nei componimenti scolastici e in cui ci viene confermata l’immagine di sé bambina che la Pozzi dà nella poesia Odor di verde: turbolenta e con le gambe piene di ferite dovute ai giochi all’aria aperta.

1. 2 «È terribile essere una donna, ed avere diciassette anni»: 31 adolescenza (1925-1930) L’adolescenza di Antonia Pozzi è un periodo in cui accadono eventi decisivi per la sua vita: conosce il professor Antonio Maria Cervi, con cui avrà una infelice storia d’amore; incontra Lucia Bozzi ed Elvira Gandini, sue grandi amiche; comincia a scrivere versi e a scattare fotografie. Nel 1925 Antonia Pozzi si iscrive al ginnasio presso il liceo Manzoni di Milano. Di questi anni non rimangono pagine di diario, sono stati pubblicati solo pochi componimenti scolastici (datati 1925-26), sufficienti però a darci un’idea di come fosse o si percepisse Antonia Pozzi all’epoca:

ha incontrato per le strade di Pasturo. 31 Antonia Pozzi, Lettere 1923-1938, in Tutte le opere, p. 437. Lettera indirizzata ad Antonio Maria Cervi, datata Pasturo, 13 luglio 1929. 19


un’anima palpitante, ridente, nostalgica, appassionata; […] piena di sentimenti, per cui in una giornata soffro e godo ciò che apparentemente si può soffrire e godere in tutta un’esistenza […] sono contenta di essere io, con i miei difetti e con le mie poche virtù.32

Queste poche pagine descrivono una ragazza sensibile, profonda nelle sue riflessioni, felice, curiosa e anche ironica. Uno degli scritti più emozionanti è forse quello del 7 febbraio 1926, quando Antonia Pozzi parla delle ore trascorse con gli amici a discutere dei grandi misteri dello spazio e della vita dopo la morte, e riporta le sue riflessioni sul tempo, sulle parole “sempre” e “mai”, sulla grandezza della terra, così difficile da immaginare per la mente umana. Un’altra bella pagina in cui Antonia riflette sul tempo è quella della notte di San Silvestro 1926. Qui la quattordicenne Antonia riflette sull’importanza che gli uomini danno alla notte di capodanno, riconoscendo in questo loro fermento nient’altro che una convenzione, un rituale vuoto di senso poiché il tempo dell’anno nuovo scorre uguale a quello dell’anno appena trascorso. Queste righe ricordano un po’ il Leopardi del Dialogo d’un venditore di almanacchi e di un passeggere e dello Zibaldone.33 Del resto Leopardi è un poeta le cui risonanze si percepiscono con chiarezza nell’opera della Pozzi, nel tema dell’infinito, ad esempio.34 Nel 1927 Pozzi frequenta la prima liceo classico presso il Manzoni e il suo professore di latino e greco è Antonio Maria Cervi che, nato a Sassari nel 1894, si era trasferito a Milano per insegnare al Manzoni nel 1924.

Antonia Pozzi, Diari, in Poesia che mi guardi, cit., p. 412. Componimento scolastico datato Natale 1926. 33 Penso alle righe sugli anniversari, Zibaldone 60. 34 Cfr. Giuseppe Sandrini, «E di cantare non può più finire». L’idillio negato di Antonia Pozzi, «Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti», t. CLIV, 1995-1996, classe di scienze morali, lettere e arti, pp. 899-903. 20 32


L’anno scolastico 1927-28 è l’ultimo in cui Cervi ricopre questa cattedra, chiede infatti il trasferimento e lo ottiene nel ’28 a Roma. Cervi è colto e molto amato dai suoi studenti, conquistati dalla sua immensa cultura. È un uomo austero, molto cattolico, e un insegnante severo. Ha perso il fratello Annunzio in guerra e porta questo lutto con sobria compostezza. Antonia si innamora del suo professore, dal quale è ricambiata. Dopo il trasferimento di lui, che getta Antonia nello sconforto, i due continuano a scriversi e si rivedono nell’aprile 1929, durante un viaggio nell’Italia meridionale della Pozzi accompagnata dalla zia Ida. Nel 1930 cominciano a darsi del tu nelle lettere. Elvira Gandini, grande amica di Antonia, ricorda che forse in quello stesso anno o in quello successivo Cervi si presenta a casa Pozzi per chiedere in sposa la ragazza. Ma i genitori di lei non accettano in alcun modo questo amore, per l’età del professore (diciotto anni in più della fanciulla), per la diversa estrazione sociale e per altri motivi che restano nascosti nelle pagine del passato. È un colpo molto duro per Cervi, un’umiliazione. Antonia e Antonio Maria continuano a tenersi in contatto per un certo periodo, lei non è intenzionata a dimenticare questo primo grande amore, quest’uomo scuro e solo a cui lei avrebbe voluto donare un figlio come risarcimento per la morte del fratello Annunzio. Il tema del bambino non nato, di questo amore infelice è uno dei temi principali della prima fase della scrittura di Antonia, fino al 1933 (si vedano ad esempio le poesie de La vita sognata): Da quando io dissi – Il bimbo avrà il nome del tuo fratello morto – – era una sera d’ottobre, buia, 21


sotto grandi alberi, senza vederci in viso – egli fu vivo. […]35

Non abbiamo le lettere di Cervi all’amata, forse andate distrutte, ma ne restano molte di Antonia, datate tra il 1929 e il 1934. In una lettera del 13 luglio 1929 Pozzi scrive a Cervi: «È terribile essere una donna e avere diciassette anni. Dentro non si ha che un pazzo desiderio di donarsi». 36 La vita della poetessa comincia a non essere più l’idillio che era stata durante l’infanzia. È in un certo senso grazie a Cervi se Antonia Pozzi incontra le ragazze che saranno sue grandi amiche per tutta la vita: Lucia Bozzi ed Elvira Gandini. Le conosce infatti presso la Biblioteca di Brera mentre è alla ricerca di un testo suggeritole dal professore. Diverse sono le poesie che Antonia dedica loro: Sorelle, se a voi non dispiace – io seguirò ogni sera la vostra via pensando ad un cielo notturno per cui due bianche stelle conducano una stellina cieca verso il grembo del mare.37

Nel 1929 Antonia comincia a scrivere versi. La prima poesia a noi nota è datata 1° aprile 1929. Nello stesso anno inizia a scattare fotografie.

Antonia Pozzi, Il bimbo nel viale, in Parole, in Poesia che mi guardi, cit., p. 268, vv. 1-6. Ottava poesia della sezione La vita sognata, datata 25 ottobre 1933. 36 Antonia Pozzi, Lettere 1923-1938, in Tutte le opere, cit., p. 438. 37 Antonia Pozzi, Sorelle, a voi non dispiace..., in Parole, in Poesia che mi guardi, cit., p. 96, vv. 18-24. Poesia datata Milano, 6 dicembre 1930. 22 35


I primi componimenti sono caratterizzati dall’impiego di una metrica tradizionale: vi si possono incontrare versi canonici, come endecasillabi e settenari, e rime regolari. Le poesie di Parole vanno via via spogliandosi di questa veste che a tratti le rende simili a filastrocche (penso ad esempio a Cadenza esasperata), ma fin dalle prime prove Pozzi dimostra un’acuta capacità di osservare il mondo che la circonda e di trasformarlo in poesia. I soggetti prediletti sono la natura, il sole, il cielo, i cimiteri, sensazioni momentanee vissute con particolare trasporto, la solitudine. Le prime poesie spesso sono dedicate ad Antonio Maria Cervi o a Lucia Bozzi. Antonia si racconta in questi versi e vi trasferisce tutta la sua complessa emozionalità, giungendo fin da queste prime prove ad esiti di grande intensità. Per quanto riguarda la fotografia esiste un filone di studi che si è concentrato su questo aspetto della creazione artistica della Pozzi, in particolare il già citato Nelle immagini l’anima di Ludovica Pellegatta. Questi scatti in bianco e nero raffigurano ambienti naturali, montagne, laghetti, alberi, ma anche bambini, donne chine a lavare i panni nei fossi, zingari, contadini, pescatori. Persone come quelle che si incontravano a Pasturo. Non ci sono foto di salotti milanesi, della città e dei suoi sfarzi. Antonia ama quel mondo umile che le è tanto lontano, ne è affascinata come la affascinano la natura e gli animali. Dino Formaggio le disse un giorno che in quelle fotografie si poteva scorgere la sua anima.38 Antonia Pozzi consegue la maturità nel 1930 e, lo stesso anno, si iscrive a Lettere e Filosofia presso la Regia Università di Milano. «Caro Dino, l’altro giorno hai detto che nelle fotografie si vede la mia anima: e allora eccotele», biglietto di Antonia Pozzi che accompagna la donazione di un plico di fotografie a Dino Formaggio, datato 5 maggio 1938, pubblicato in Dino Formaggio, Una vita più che vita in Antonia Pozzi, in Gabriele Scaramuzza, La vita irrimediabile. Un itinerario tra esteticità, vita e arte, Firenze, Alinea, 1997, pp. 141-158. (La citazione è tratta da p. 147). 23 38


1. 3 «Forse la vita è davvero / quale la scopri nei giorni giovani»: 39 giovinezza (1930-1938) Antonia Pozzi si iscrive al corso di Filologia moderna e frequenta l’università dal 1930 al 1935, anno in cui si laurea con Antonio Banfi con una tesi su Flaubert. Degli anni 1934-1935 e dell’ambiente culturale del “gruppo Banfi” parlo più ampiamente al capitolo 2, nel paragrafo 2. 1. Come si evincerà nel capitolo seguente, in quegli anni l’università è soggetta alle vessazioni del fascismo e i docenti che rifiutano di giurare fedeltà al regime sono da essa allontanati, ricordiamo ad esempio Piero Martinetti e Giuseppe Antonio Borgese. In questi primi anni di università Antonia è molto vicina a Lucia Bozzi ed Elvira Gandini, con cui frequenta alcune lezioni (le due amiche hanno quattro anni in più di lei, stanno per concludere gli studi) e ne discute. In questi stessi anni la storia d’amore con Cervi continua e naufraga di fronte all’opposizione della famiglia Pozzi. Sono momenti molto difficili e Antonia scrive molto, specie nel 1933, anno in assoluto più prolifico per lei, e soffre profondamente. Nell’estate 1931 viene mandata in Inghilterra dalla famiglia, certo anche per distrarla dalla passione per il professore. Ma proprio qui lui la va a trovare, a Londra, come testimonia la lettera della Pozzi a lui indirizzata il 1° marzo 1932. È uno degli ultimi momenti felici che i due trascorrono insieme. Nel 1933 Antonia conosce Tullio Gadenz, giovane poeta con il quale inizia un carteggio per noi molto interessante perché rivelatore della poetica pozziana, di quanto la scrittrice pensasse della poesia: Antonia Pozzi, Prati, in Parole, in Poesia che mi guardi, cit., p. 133, vv. 14-15. Poesia datata Milano, 31 dicembre 1931. 24 39


la poesia […] ha questo compito sublime: di prendere tutto il dolore che ci spumeggia e ci romba nell’anima e di placarlo, di trasfigurarlo nella suprema calma dell’arte, così come sfociano i fiumi nella vastità celeste del mare. La poesia è una catarsi del dolore, come la morte è una catarsi della vita.40 non per astratto ragionamento, ma per un’esperienza che brucia attraverso tutta la mia vita, per una adesione innata, irrevocabile, del più profondo essere, io credo, Tullio, alla poesia. E vivo della poesia come le vene vivono del sangue. Io so che cosa vuol dire raccogliere negli occhi tutta l’anima e bere con quelli l’anima delle cose e le povere cose, torturate nel loro gigantesco silenzio, sentire mute sorelle nel nostro dolore.41

In Tullio Gadenz, come in Vittorio Sereni, Pozzi riconosce un poeta come lei, una sensibilità acuta simile alla sua, un’anima fraterna a cui poter schiudere senza riserbo il proprio cuore. Nascono così alcune confidenze che ci permettono di avvicinarci alla concezione più vera che lei ha della scrittura, di dio, e di altri temi sui quali la ragazza andava interrogandosi con originalità e raffinatezza di pensiero. Del 1934 sono l’ultima lettera a Cervi e la prima a Remo Cantoni, compagno di corso e secondo amore di Antonia, stavolta non ricambiato. Per Antonia si tratta di una nuova delusione. Pensa a lui mentre scrive la poesia riportata da Eugenio Montale nel suo breve saggio su Parole, Confidare: Ho tanta fede in te. Mi sembra che saprei aspettare la tua voce in silenzio, per secoli di oscurità. Antonia Pozzi, Lettere 1923-1938, in Tutte le opere, cit., p. 480. Lettera datata Milano, 11 gennaio 1933. 41 Ibidem, p. 483. Lettera datata Milano, 29 gennaio 1933. 25 40


Tu sai tutti i segreti, come il sole: potresti far fiorire i gerani e la zagara selvaggia sul fondo delle cave di pietra, delle prigioni leggendarie. Ho tanta fede in te. Son quieta come l’arabo avvolto nel barracano bianco, che ascolta Dio maturargli l’orzo intorno alla casa.42

In questa poesia si percepisce quella vena visionaria che caratterizza alcuni componimenti degli ultimi anni. L’amore che prova la poetessa è descritto come un sentimento maturo e totalizzante. Antonia Pozzi è una donna che ha sempre vissuto in pienezza le proprie emozioni, per questo è stata definita “assoluta”.43 Cantoni è un ragazzo dall’aspetto piacevole, intelligente e sensuale. Scrive racconti che fa leggere all’amica la quale si lascia travolgere da una passione nei suoi confronti che non trova però una risposta altrettanto intensa. Ma Antonia sembra accettare questa situazione con una certa pacatezza, come dimostra la lettera a Sereni del 16 agosto 1935. Negli stessi anni ha conosciuto Vittorio Sereni, noto tra i compagni di università come poeta, con il quale instaura un rapporto di profonda e sincera amicizia. Di questo si parla diffusamente nel capitolo 2. Il terzo amore di Antonia è Dino Formaggio, altro compagno di studi. Sappiamo che i due sono grandi amici almeno dal 1937. Dino Formaggio è un ragazzo che viene da famiglia povera, lavora per potersi pagare gli studi, Antonia Pozzi, Confidare, in Parole, in Poesia che mi guardi, cit., p. 296. Poesia datata 8 dicembre 1934. 43 In questi termini ne parla Graziella Bernabò nella sua biografia. 26 42


appartiene ad una classe sociale inferiore a quella dei Pozzi e della maggior parte degli studenti universitari del tempo. Di carattere allegro ed entusiasta, si distingue per il suo impegno sociale nelle periferie di Milano. Coinvolge anche Antonia nelle sue visite ai poveri dei sobborghi fuori porta e nuove ambientazioni si fanno largo tra i versi della poetessa: e la fame non appagata, gli urli dei bambini non placati, il petto delle mamme tisiche e l’odore – odor di cenci, d’escrementi, di morti – serpeggiante per tetri corridoi44

Negli ultimi anni la poesia della Pozzi si popola di personaggi nuovi come operai che escono in schiera dalla fabbrica, famiglie disastrate come quelle dei versi appena riportati, ragazzetti in bicicletta, bambini aggrappati a carri o che giocano al pallone, zingari, anziani dai lunghi mantelli... In Italia c’è il fascismo, sono state emanate le leggi razziali che hanno imposto l’allontanamento anche di cari amici della Pozzi come Paolo Treves, in Europa sta per scoppiare la seconda guerra mondiale. E Antonia Pozzi conosce, guidata dall’amico Dino Formaggio, la miseria della periferia e la fa sua, la canta nei suoi versi, la fotografa e ne scrive nel diario. Una grande compassione traspare in tutto questo. Ma anche Dino Formaggio non sa offrire ad Antonia quell’amore del quale lei ha così disperato bisogno: «Quanto bene vorrei volere e non c’è nessuno»45 scrive sul suo diario. Antonia Pozzi, Via dei Cinquecento, in Parole, in Poesia che mi guardi, cit., p. 39, vv. 3-8. Poesia datata 27 febbraio 1938. 45 Antonia Pozzi, Diari, in Poesia che mi guardi, cit., p. 422. Pagina datata S. Silvestro 1936 – 1° gennaio 1937. 27 44


Degli ultimi anni di Antonia Pozzi ricordiamo i viaggi in Austria e a Berlino (1936-37); l’operazione all’appendicite che la costringe alla convalescenza (estate 1938); l’insegnamento presso l’Istituto Schiaparelli di Milano (1937-38), ma soprattutto l’ambizioso progetto di scrivere un romanzo (prosa dunque) d’ambientazione lombarda nel quale vengano narrate tre generazioni di donne. L’esistenza di questo progetto, più di ogni alta cosa, lascia immaginare una giovane donna decisa a continuare a vivere, a pensare al futuro, a fare progetti, a scrivere. Ma le cose andranno diversamente.46

1. 4 «La mia carne disseccata, morta»: morte (2-3 dicembre 1938) il sole s’attardava. Avrei voluto scattare, in uno slancio, a quella luce; e sdraiarmi nel sole, e denudarmi, perché il morente dio s’abbeverasse del mio sangue. Poi restare, a notte, stesa nel prato, con le vene vuote: le stelle – a lapidare imbestialite la mia carne disseccata, morta.47

Antonia Pozzi scrive queste parole a diciassette anni e sembrano la descrizione della sua morte. Il 2 dicembre 1938 si reca regolarmente a 46

È possibile leggere un abbozzo di questo romanzo in Antonia Pozzi, Tutte le opere, cit., pp. 619-625. Si vedano, a tale proposito, anche la lettera a Dino Formaggio del 28 agosto 1937: «racconterò la storia della mia nonna, che è un po’ la storia di tutta la nostra Lombardia dal ’60 in poi e ci sarebbe da scrivere un libro magnifico» (Antonia Pozzi, Due lettere, in Gabriele Scaramuzza, La vita irrimediabile, Un itinerario tra esteticità, vita e arte, Firenze, Alinea, 1997, pp. 168); la lettera del 7 luglio 1938 ad Alba Binda in cui lo schema del romanzo è definito con maggiore precisione e le lettere alla nonna Nena dello stesso mese (cfr. Antonia Pozzi, Tutte le opere, cit., pp. 556-564). 47 Antonia Pozzi, Canto selvaggio, in Parole, in Poesia che mi guardi, cit., p. 65, v. 1825. Poesia datata Pasturo, 17 luglio 1929. 28


scuola, all’Istituto Schiaparelli, ma presto se ne allontana, non si sente bene. Si dirige a Chiaravalle, presso l’abbazia, assume dei barbiturici e si sdraia sul prato. Qui la trova un contadino. Viene portata all’ospedale ma ormai non c’è più nulla che si possa fare: muore la sera del giorno successivo, a casa. Con lei aveva tre messaggi: un addio a Vittorio Sereni, 48 uno a Dino Formaggio49 e un testamento che, andato distrutto, è stato riscritto a memoria dal padre.50 Il tema della morte è un tema ricorrente nella poesia della Pozzi ed essa è spesso rappresentata come uno scivolare dolce, come un ritorno «al paese, alla culla»,51 come parte della vita attesa con calma, come nella poesia Sogno sul colle, o cercata con coraggio, come nella poesia sopra citata. Soprattutto la storia del fratello morto in guerra di Antonio Maria Cervi deve aver avuto una forte eco nell’immaginario della scrittrice, il cui occhio più volte si attarda a scrutare i cimiteri di paese (penso a poesie come Offerta a una tomba, In un cimitero di guerra, Cimitero di paese). Su quali potessero essere le motivazioni che la spinsero a compiere un gesto tanto definitivo è stato scritto e detto molto. Oggi c’è chi pensa che soffrisse di disturbi psichici, che fosse bipolare, ovvero attraversasse periodi di grande euforia seguiti da fasi di depressione acuta. Ovviamente, ammesso che così fosse, all’epoca non c’erano le conoscenze e di conseguenza i mezzi per curare tale disturbo. Forse la presenza, in famiglia, di altre Cfr. capitolo 2, paragrafo 2. 2 e nota 77. Inedito. Dino Formaggio ha accennato al contenuto di questo biglietto ma non ha mai consentito la sua pubblicazione integrale. Cfr. Graziella Bernabò, Per troppa vita che ho nel sangue, cit., p. 294. 50 Antonia Pozzi, Lettere 1923-1938, in Tutte le opere, cit., pp. 572-573. 51 Antonia Pozzi, Funerale senza tristezza, in Parole, in Poesia che mi guardi, cit., p. 287, v. 3. Poesia datata 3 dicembre 1934. 48 49

29


persone che hanno sofferto di depressione (Angelo ed Emma Pozzi) può essere un indizio favorevole a questo tipo di ipotesi. D’altro canto il vissuto dell’autrice di Parole come abbiamo visto non è stato risparmiato da delusioni e infelicità, sia sul piano degli amori sia per quanto riguarda il riconoscimento della vocazione poetica. Ad ogni modo è difficile capire fino in fondo un gesto così forte e forse non è nemmeno necessario. Credo che questo epilogo tragico sia spesso un elemento di curiosità che attira l’attenzione di molte persone, ma mi auguro che le parole di Antonia più che i pettegolezzi sulla sua morte o sui suoi amori possano essere fulcro d’interesse verso questa grande poetessa.

2. ANTONIA POZZI E VITTORIO SERENI 30


2. 1 L’ambiente culturale del “gruppo Banfi”52 Antonia Pozzi e Vittorio Sereni si incontrano presso la Regia Università di Milano. Sono iscritti entrambi all’indirizzo di Filologia moderna della facoltà di Lettere e Filosofia. Il docente che più di ogni altro è maestro e guida dei giovani studenti di quella generazione è il filosofo Antonio Banfi. Tra il 1931 e il 1932 Banfi tiene la cattedra di Estetica come supplente di Giuseppe Antonio Borgese, il quale, divenuto sgradito al regime fascista, si trasferisce negli Stati Uniti. Antonia Pozzi segue le lezioni di Borgese nell’anno accademico 1930-1931 e inizia così ad appassionarsi all’estetica, disciplina alla quale Borgese ha un approccio neo-romantico. Nel 1934 Borgese rassegna le dimissioni e Banfi ottiene il regolare incarico di insegnamento di Estetica. È proprio nel 1934 che Pozzi comincia a frequentare le sue lezioni, un corso su Nietzsche, e nello stesso anno chiede a Banfi di seguirla nel lavoro alla tesi di laurea. Il professor Banfi riesce non solo ad appassionare i propri studenti alla disciplina insegnata ma riesce anche a coinvolgerli, a stimolarli intellettualmente a tal punto che in seguito si è parlato, riferendosi all’ambiente culturale venutosi a creare intorno a lui, di “scuola di Milano” 52

Le informazioni presenti in questo paragrafo sono tratte perlopiù dal testo di Fulvio Papi, Vita e filosofia. La scuola di Milano. Banfi, Cantoni, Paci, Preti, Milano, Guerini e Associati, 1990. Lo leggo parzialmente in Antonia Pozzi, Poesia che mi guardi, cit., pp. 525-536; dal saggio di Gabriele Scaramuzza, Antonia Pozzi tra gli allievi di Banfi, in Graziella Bernabò, Onorina Dino, Silvia Morgana, Gabriele Scaramuzza (a cura di), ...e di cantare non può più finire... Antonia Pozzi (1912-1938), cit., pp. 29-50; oltre che da Graziella Bernabò, Per troppa vita che ho nel sangue, cit. 31


e di “gruppo Banfi”. Molti suoi allievi ne hanno scritto negli anni a venire, ad esempio Fulvio Papi in Vita e filosofia. La scuola di Milano. Banfi, Cantoni, Paci, Preti, oppure Luciano Anceschi, che ne parla con commozione nella Prefazione a Linea lombarda. Sei poeti,53 o ancora Gabriele Scaramuzza nel saggio Antonia Pozzi tra gli allievi di Banfi. E poi Maria Corti, nel suo Dialogo in pubblico, e Dino Formaggio, ne Una vita più che vita in Antonia Pozzi, solo per citare i testi che hanno una certa attinenza con il nostro discorso.54 Ma chi erano dunque gli allievi di Banfi degli anni Trenta? Ricordiamo Gianluigi Manzi, che chiede a Banfi una tesi su Thomas Mann e muore suicida nel 1935; futuri grandi intellettuali come Remo Cantoni, Enzo Paci, Giulio Preti, Giovanni Maria Bertin, Dino Formaggio, Luciano Anceschi, Miro Martini, Luigi Rognoni; scrittori come Vittorio Sereni, Guido Morselli, Daria Menicanti; il critico letterario Giosue Bonfanti; gli storici della letteratura Maria Corti e Vittorio Strada; e poi Ernesto Treccani e Raffaele De Grada; gli editori Alberto Mondadori, Livio Garzanti, Maria Adalgisa Denti. Questi ragazzi e con loro molti altri ancora affollavano le lezioni di Banfi, molto seguite, commentate e discusse. Antonia Pozzi ha un legame di profonda amicizia soprattutto con Remo Cantoni, Dino Formaggio e Vittorio Sereni ma frequenta anche le sorelle Abate, Manzi, Paci, Mondadori... Alcuni di questi giovani avrebbero dato una propria interpretazione dell’estetica di Banfi nella rivista «Corrente»,55 che si occupava di arte senza concepirla in astratto, 53

Cfr. Luciano Anceschi, Linea lombarda: sei poeti, cit., pp. 5-26. Cfr. Maria Corti, Dialogo in pubblico. Intervista di Cristina Nesi, Milano, Rizzoli, 1995, pp. 19-35 e il saggio di Dino Formaggio, Una vita più che vita in Antonia Pozzi, cit. 55 Nel 1938 Ernesto Treccani fonda «Vita giovanile» e il primo numero esce il 1° gennaio 1938. Il 15 ottobre 1938 il foglio cambia il proprio nome in «Corrente di vita giovanile» e il 28 febbraio 1939 in «Corrente». La rivista viene chiusa il 31 maggio 1940 perché allontanatasi dalla linea del regime. Del comitato redazionale fa parte 32 54


come fa Croce, come “arte pura”, ma parlandone attraverso le idee e le opere dei suoi stessi autori. Tornando ad Antonio Banfi, ricordiamo che, a differenza di Borgese e del suo maestro Piero Martinetti, non ha problemi con il regime perché non si rifiuta di giurarvi fedeltà, pur non essendo propriamente allineato con il fascismo. Negli anni della guerra parteciperà alla Resistenza e militerà, poi, nel PCI, maturando convinzioni politiche diametralmente opposte a quelle fasciste. Il suo maestro è stato Piero Martinetti, docente ordinario di Filosofia teoretica, una delle figure più prestigiose dell’università di Milano degli anni Venti da cui era però stato allontanato nel 1931 per essersi rifiutato di giurare fedeltà al regime. Il pensiero di Martinetti aveva influenzato già Giuseppe Antonio Borgese, nelle cui lezioni era possibile percepirne l’eco. Un concetto fondamentale per entrambi i filosofi era l’intimo legame esistente tra estetica e morale. Il pensiero filosofico di Banfi, prima della sua adesione al marxismo, contempla come obiettivo fondamentale la conoscenza e la comprensione dei fenomeni filosofici e culturali, non tanto il raggiungimento di un giudizio su di essi e neppure di una verità nuova. La conoscenza della realtà passa, secondo lui, attraverso la morale e l’arte, intesa, quest’ultima, come luogo d’incontro di tutti gli aspetti della vita. Banfi è un profondo conoscitore della cultura contemporanea e nelle sue lezioni dà ampio spazio a Nietzsche, Kierkegaard, Husserl, Simmel, agli esistenzialisti e ai grandi autori di Otto e Novecento: Dostoevskij, Proust, Mann. Altri elementi centrali del pensiero banfiano sono il razionalismo e anche Vittorio Sereni ed è probabile che Antonia Pozzi lo leggesse regolarmente. Vi collabora con un articolo su Aldous Huxely, Eyeless in Gaza, per il quale si veda la nota 1 nell’introduzione. 33


l’antidogmatismo, l’apertura verso ogni cultura. Banfi, raffinato e sottile pensatore, non è sempre compreso completamente dai suoi studenti. Leggiamo un brano tratto dal diario della Pozzi: [Enzo] Paci. Dostojevschiano anche lui. E anche lui sente, acutamente, che una visione filosofica come quella di Banfi applicata alla vita di un giovane porta a spaventose conseguenze pratiche. Comprendere tutto, giustificare tutto. L’assassino, l’idiota, il santo. Ma allora anche noi possiamo farci assassini, pur di non rifiutare nessuna esperienza?56

Fulvio Papi, parlando di queste stesse righe scritte dalla Pozzi, afferma che questo […] non è che un fraintendimento del pensiero di Banfi perché mette[…] in relazione il vuoto di fondamento teoretico della morale con l’arbitrarietà della scelta, l’indifferenza del senso e l’incertezza della vita. Questa percezione però, pur essendo sbagliata, non è banale57

Papi sottolinea lo scarto che Pozzi compie tra il campo della riflessione e quello dell’azione, scarto non presente nel pensiero di Banfi, e considera questa percezione del pensiero del filosofo «non banale» perché è rappresentativa del modo in cui molti, tra cui lo stesso Paci, lo hanno interpretato. Sempre a proposito di questo brano di diario, Gabriele Scaramuzza osserva come il pensiero banfiano lasci la poetessa orfana di una guida nelle scelte che la vita pone continuamente, non offrendo strumenti per uscire dalla crisi in cui lo stesso pensiero di Banfi gettava i

56

Antonia Pozzi, Diari, in Poesia che mi guardi, cit., pp. 418-419 (pagina di diario del 6 febbraio 1935). 57 Fulvio Papi, Vita e filosofia. La scuola di Milano. Banfi, Cantoni, Paci, Preti, cit., p. 531. 34


suoi giovani studenti: crisi delle loro convinzioni, religiose o filosofiche che fossero.58 Gli episodi salienti del rapporto di Antonia Pozzi con Banfi sono la richiesta della tesi su Flaubert e il lavoro alla medesima, la presentazione delle proprie poesie, accolte con una certa freddezza, per la verità, 59 e la premessa che il professore scrive per la pubblicazione postuma della tesi.60 Disponiamo di una sola lettera della Pozzi a Banfi, datata 25 settembre 1935, da cui emerge il buon rapporto di lavoro che legava il professore alla discepola e la grande stima e gratitudine di Antonia nei suoi confronti. Nei diari troviamo dei riferimenti alle lezioni del professore: «Perché l’altro giorno ho pianto quando Banfi ha parlato dell’Angelico?»; 61 dei consigli di Banfi alla laureanda Antonia: «“Utile è già il fare in sé, significativo è il lavoro”»,62 la descrizione dello studio del professore con gli «orribili fiori di celluloide rosa»,63 «orribili» come i propri versi di cui Antonia ha parlato al professore e che poi gli farà leggere.

58

Cfr. Maria Corti, Dialogo in pubblico, cit., p. 31. Lo testimonia Fulvio Papi in Una tesi di laurea su Flaubert, in La memoria ostinata, Viennepierre, Milano, 2005, in cui parla di «misconoscimento poetico di Antonia da parte del maestro» e del fatto che lei «in quell’atteso giudizio vedeva, oltre una questione di estetica, anche una questione di vita». Lo leggo in Gabriele Scaramuzza, Antonia Pozzi tra gli allievi di Banfi, cit., p. 39. In generale, sembra che Banfi preferisse la prosa alla poesia, e anche di questo Scaramuzza ci dà la sua testimonianza, ed è poi possibile immaginare che la sua risposta alle poesie della Pozzi fosse dovuta anche al carattere fortemente soggettivo di queste ultime (è stato ipotizzato che i componimenti presentati dalla Pozzi a Banfi fossero quelli de La vita sognata, unica raccolta compiuta), fatto che deve aver fatto pensare a Banfi ad un eccesso di ripiegamento su di sé dell’allieva, sui propri disagi psicologici, mentre lui forse avrebbe voluto spingerla a lavorare ad una prosa che le facesse guardare fuori di sé. 60 Antonia Pozzi, Flaubert. La formazione letteraria (1830-1856), cit. 61 Antonia Pozzi, Diari, in Poesia che mi guardi, cit., p. 414 (pagina di diario del 4 febbraio 1935). 62 Ibidem, p. 415. 63 Ibidem, p. 416. 35 59


Nell’ambiente banfiano Antonia Pozzi non trova quelle conferme delle quali ha così profondo bisogno: Paci le consiglia di scrivere «il meno possibile»;64 Cantoni la considera disordinata, la esorta ad allenare la volontà; Banfi probabilmente le consiglia di dedicarsi piuttosto alla prosa che alla poesia. Tutti questi elementi dipingono un quadro in cui Antonia è sempre più incompresa. Le persone di cui lei ha più stima la spingono ad essere qualcosa che lei non è. In realtà abbiamo davvero pochi elementi per poter dire fino a che punto sia forte questo “rifiuto”. Ma nelle poche pagine di diario della Pozzi che ci è dato leggere si percepisce chiaramente un senso di malinconia e di sfiducia verso di sé, un desiderio di ricostruirsi, di cambiare e di migliorare che forse sono dovuti, almeno in parte, proprio a questi messaggi che le giungono dall’ambiente nel quale è inserita. Bernabò crede che questo atteggiamento dei banfiani verso Antonia fosse il loro modo di proteggerla e amarla, senza però riuscire a comprendere e ad accettare la sua vocazione letteraria.65 Sicuramente uno spunto di riflessione che le viene da questo ambiente riguarda il rapporto tra arte e vita, e quindi tra la sua arte, la sua forma di creazione, che è la poesia, e la vita, che è poi l’opposizione tra Geist e Leben (ovvero tra spirito / mente e vita), centrale nella riflessione dei giovani che gravitavano attorno a Banfi e sulla quale Manzi chiese la tesi. L’opposizione tra vita e “più-che-vita”, cioè creazione. Antonia scrive più volte in lettere o nel diario di sentirsi “Tonia Kröger”, di vivere per creare (si veda a tal proposito il paragrafo 2. 3, in particolare le lettere a Sereni). Ma la sua poesia non riceve consensi nell’ambiente universitario, 64

Ivi. Cfr. Graziella Bernabò, Antonia Pozzi: le ragioni di una riscoperta, in Graziella Bernabò, Onorina Dino, Silvia Morgana, Gabriele Scaramuzza (a cura di), … e di cantare non può più finire... Antonia Pozzi (1912-1938), cit., p. 88. 36 65


«[q]ualcosa di intimamente suo, e di strettamente intrinseco alla poesia, era dunque destinato a non trovare rispondenza nella sensibilità banfiana di quegli anni: quel suo stare ad ascoltarsi». 66 Per lei la vita non può non essere fatta anche di emozioni, di relazione con gli altri, di sensazioni che nell’intimo di se stessa sentiva scaturire e di cui non poteva fare altro che parlare, anzi scrivere. E il suo essere donna sicuramente significa qualcosa in questa sua “diversità” e profondissima sensibilità. Il suo essere donna circondata quasi esclusivamente da uomini sicuri di sé (o, come nel caso di Sereni, timido e impacciato quanto lei, riconosciuti dagli altri), e di questo Antonia era consapevole: Da che ho conosciuto Remo [Cantoni] e gli altri, ho ricominciato a vivere spiritualmente. Gli schemi della mia personalità si sono rotti a contatto con le loro personalità forti. Mi hanno fatto molto bene perché non hanno avuto nessuna pietà.67

In definitiva possiamo dire che l’ambiente universitario influenza profondamente il pensiero di Antonia Pozzi, e in certe lettere e pagine di diario dell’epoca è possibile percepire il lessico tipico del linguaggio banfiano. Antonia cerca di inserirsi in questo ambiente intellettuale, di essere come gli altri vorrebbero che fosse. Ma non è facile disattendere “un destino”,68 perché lei sa bene che

66

Gabriele Scaramuzza, Antonia Pozzi tra gli allievi di Banfi, cit., p. 43. Antonia Pozzi, Diari, in Poesia che mi guardi, cit., p. 417 (pagina di diario datata 4 febbraio 1935). 68 Titolo di una poesia di Antonia Pozzi del 13 febbraio 1935, i cui ultimi due versi recitano: «ora accetti / d’esser poeta». È interessante notare come nello stesso periodo Pozzi cerchi di adeguarsi all’ambiente culturale circostante, come testimoniano lettere e diari dello stesso anno, e capisca con lucidità quale sia la sua vocazione. 37 67


[l]a letteratura non è una professione o una vocazione, ma una maledizione […] E quando comincia a farsi sentire, questa maledizione? Presto, terribilmente presto. In un tempo in cui si avrebbe tutto il diritto di vivere ancora in pace e armonia con Dio e con gli uomini. Si incomincia a sentirsi segnati, ad avvertire un incomprensibile contrasto con gli altri, i comuni e gli ordinari, e l’abisso di […] incredulità, opposizione, di conoscenza e sentimento che separa dagli altri diventa sempre più profondo, si è soli, e da questo momento non è più possibile alcuna intesa.69

2. 2 Cronologia di un’amicizia Prima di addentrarci nella trattazione sulla relazione amichevole che legò Antonia Pozzi e Vittorio Sereni e concernente la loro poesia è necessario provare a dare una collocazione cronologica sia all’amicizia che alla loro opera di composizione poetica. Antonia Pozzi si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia presso la Regia Università di Milano nell’anno accademico 1930 / 1931, precisamente al corso di Filologia Moderna. Vittorio Sereni si trasferisce a Milano da Brescia nel 1932 e ad ottobre si iscrive a Giurisprudenza. Nel marzo 1933 chiede di passare a Lettere e Filosofia. Ricordiamo che Vittorio Sereni nasce nel luglio del 1913 e ha dunque un anno in meno di Antonia Pozzi, nata nel febbraio 1912. I due giovani poeti avrebbero potuto conoscersi già nel 1933 e così è secondo Alessandra Cenni, la quale sostiene che la loro amicizia durò dal 1933 al 1938.70 Ma in Per troppa vita che ho nel sangue di Graziella 69

Tonio Kröger alla pittrice Lisaweta Iwanowna in Thomas Mann, Tonio Kröger, Milano, edizioni Corriere della Sera, 2002, p. 78-79. 70 «Dal 1933 al ‘38 – gli anni della loro amicizia – Antonia Pozzi e Vittorio Sereni camminano per le stesse strade, si pongono in ascolto delle stesse voci», Alessandra Cenni, Le ragioni della memoria, in Antonia Pozzi e Vittorio Sereni, La giovinezza che 38


Bernabò leggiamo che è «a partire dal 1934 [che] Antonia Pozzi si accostò all’insegnamento filosofico di Antonio Banfi, frequentandone le lezioni, e cominciò a stabilire rapporti intellettuali con i giovani studiosi che si raccoglievano intorno a lui».71 Anche la Cronologia della vita di Vittorio Sereni curata da Giosue Bonfanti in Vittorio Sereni, Poesie, propende per il 1934, infatti è parlando di questo anno che nomina per la prima volta «i compagni di università che si riuniscono intorno ad Antonio Banfi […]. Sono, questi, Antonia Pozzi,» etc.72 Sembra quindi che i due poeti abbiano cominciato a frequentarsi nel 1934, anno in cui Antonio Banfi inizia ad insegnare Estetica non più come supplente di Giuseppe Antonio Borghese ma come docente ordinario. Ad ogni modo restano dei dubbi sull’anno esatto della nascita dell’amicizia tra la Pozzi e Sereni ed è probabile che questa ricostruzione non riesca ad essere esaustiva perché non tutti i documenti ad essa relativi sono disponibili alla consultazione degli studiosi, come le lettere di Sereni all’amica, e forse anche altri scritti di lei. Della loro corrispondenza rimangono pochissime lettere della Pozzi, sei per la precisione, datate 20 giugno 1935, 26 luglio 1935, 13 agosto 1935, 16 agosto 1935 e due del 20 settembre 1936.73 La poetessa parla poi di Vittorio Sereni in una pagina di diario del 12 marzo 1935.74 Non vi sono molti documenti in cui Vittorio Sereni racconta dell’amica: restano le lettere scritte al padre di lei, l’avvocato Roberto Pozzi, relative non trova scampo, cit., p. 10. 71 Graziella Bernabò, Per troppa vita che ho nel sangue, cit., p. 179. 72 Giosue Bonfanti, Cronologia, in Vittorio Sereni, Poesie, cit., p. CIII. 73 Cfr. Antonia Pozzi e Vittorio Sereni, La giovinezza che non trova scampo, cit., pp. 5369. 74 Cfr. Antonia Pozzi, Poesia che mi guardi, cit., pp. 419-420. 39


alle pubblicazioni delle poesie di Antonia,75 la poesia 3 dicembre, a lei dedicata,76 e poco altro. Ulteriori documenti importanti per la definizione dell’epoca in cui i due si frequentarono sono le poesie di Sereni ritrovate tra gli appunti universitari della Pozzi: Giorno natale, autografo oggi conservato presso l’Archivio Antonia Pozzi a Pasturo e datato in calce «27.7.‘36»; Diana, copia manoscritta per mano di Antonia Pozzi anch’essa conservata oggi nell’archivio di Pasturo con la data in calce «1° Luglio 38» e con l’aggiunta «Addio Vittorio, caro – mio caro fratello. Ti ricorderai di me insieme con Maria»;77 Temporale, autografo precedente al maggio 1935 conservato nell’Archivio Antonia Pozzi. Alessandra Cenni annovera inoltre tra queste poesie Ritorno della pioggia e Il faro,78 ma il ricco apparato critico di Vittorio Sereni, Poesie, curato da Dante Isella, da cui ho tratto le informazioni riportate sopra,79 indica solamente che queste due poesie autografe sono oggi conservate presso l’Archivio privato della famiglia 75

Cfr. Antonia Pozzi e Vittorio Sereni, La giovinezza che non trova scampo, cit., pp. 73107. 76 Inserita in Frontiera senza l’esplicita dedica, che troviamo invece in Vittorio Sereni, Una polvere d’anni di Milano – Tre disegni di A. Rossi, Linea Grafica, Milano MCMLIV, p. 9, e della quale il poeta parla anche in una lettera a Giancarlo Vigorelli del 5 dicembre 1940. La poesia è stata composta in questo stesso anno. 77 Questa poesia con l’ultimo addio all’amico è stata ritrovata nelle tasche di Antonia Pozzi quando si è suicidata. Il foglio manoscritto è riprodotto in La giovinezza che non trova scampo. Riguardo al messaggio di Antonia a Sereni Onorina Dino e Graziella Bernabò leggono “Manzi” anziché “Maria”, come invece legge Alessandra Cenni. Ma è probabile che la lettura corretta sia “Maria”, ovvero Maria Luisa Bonfanti, all’epoca compagna di Sereni e in seguito sua sposa, perché in una lettera di Vittorio Sereni alla stessa del 16 novembre 1939 (che io leggo in Vittorio Sereni, Poesie, cit., p. 330) si legge, probabilmente con riferimento a questo messaggio medesimo: «Povera Antonia. C’è la sua benedizione su noi due». 78 Cfr. Antonia Pozzi e Vittorio Sereni, La giovinezza che non trova scampo, cit., pp. 15, 42. 79 Cfr. Vittorio Sereni, Poesie, cit., pp. 308-311 per Giorno natale, pp. 323-327 per Diana, p. 398 per Temporale. 40


Sereni a Milano.80 Non è chiara la fonte dell’informazione che ci fornisce la Cenni: è forse frutto di ricerche da lei stessa effettuate nell’Archivio Pozzi? Detto questo, ricordiamo che Antonia Pozzi si laurea con Antonio Banfi nel 1935 con una tesi sulla formazione letteraria di Flaubert e Vittorio Sereni l’anno successivo, sempre con Banfi, con una tesi sulla poetica di Gozzano. Negli anni seguenti, fino al 1938, Sereni vive sempre a Milano, con un periodo di villeggiatura a Luino (luglio-ottobre 1937) e a Fano per un corso universitario (luglio-ottobre 1938), al ritorno del quale va a vivere in via Scarlatti e non più in via Pagano, vicina a casa Pozzi in via Mascheroni. Antonia è in Austria e a Berlino tra il 1936 e il 1937. Per il resto trascorre le giornate tra Milano, Pasturo e le sue montagne. Come dimostrano i contenuti dei pochi documenti che abbiamo, è plausibile che i rapporti tra i due siano stati più intensi negli anni tra il 1934 e il 1936, soprattutto perché, finita l’università, Vittorio Sereni è occupato da vari impegni e lavori per cui la frequentazione con l’amica si fa sempre più sporadica. Ricordiamo inoltre che è probabilmente per iniziativa di Vittorio Sereni, divenuto assistente volontario di Antonio Banfi nel 1937, che Antonia Pozzi tiene due lezioni su Huxley nell’aprile 1938 presso la cattedra di Estetica della Regia Università di Milano. E il testo di una di queste due lezioni è l’unica pubblicazione in vita di Antonia, uscito il mese successivo su «Vita giovanile».81 L’aspetto per noi maggiormente interessante è l’attività poetica dei due giovani intellettuali.

80 81

Cfr. Ibidem, pp. 872 per Ritorno della pioggia e pp. 399-400 per Il faro. Vedi introduzione, nota 1. 41


Antonia Pozzi comincia a scrivere versi all’età di diciassette anni: la prima poesia a noi nota è datata 1° aprile 1929, si intitola Spazzolate di vento ed è composta a Sorrento. Continuerà a scrivere fino al 1938, anno della sua morte. L’ultima poesia datata che conosciamo è Per Emilio Comici, scritta a Misurina il 7 agosto 1938. Come abbiamo detto, Pozzi non pubblica nessuna poesia in vita. Se non consideriamo l’edizione privata di Parole del ’39, la prima delle sue poesie ad essere resa nota è Venezia, pubblicata postuma su «Corrente». 82 La sua unica opera poetica è Parole, una raccolta di poesie scritte in ordine cronologico in vari Quaderni, eccezion fatta per le dieci poesie che compongono il ciclo La vita sognata, disposte in un ordine diverso da quello cronologico. Non sono poesie rivedute dall’autrice in vista di una pubblicazione. Solo pochi intimi amici di lei, oltre al professor Antonio Banfi, lessero alcuni di questi versi. E Antonia Pozzi non fu mai riconosciuta come poetessa durante la sua breve vita. Del tutto diversa è la vicenda poetica di Vittorio Sereni, il quale comincia a scrivere poesie durante il liceo. A diciotto anni: «trascrivevo le mie cose in un quaderno verde e clandestino, riservato a pochissimi». 83 Nel 1934 si classifica secondo nei “Littoriali della Cultura”, sezione milanese del concorso di poesia, e comincia ad essere noto tra i compagni di università come autore di versi. La sua prima lirica ad essere pubblicata è Terre rosse, uscita il 13 dicembre 1936 sul «Meridiano di Roma». Nel 1937 pubblica su il «Frontespizio» e ancora su il «Meridiano di Roma». Nel marzo 1938 diventa redattore letterario di «Vita Giovanile» (e lo 82

«Corrente», anno III, n. 7, 15 aprile 1940, p. 4. Dichiarazione rilasciata da Vittorio Sereni in un’intervista compresa in Rapsodia breve, Introduzione di Lento Goffi, Il Farfengo, Brescia, 1979, pp. 29-30 che io leggo nella Cronologia a cura di Giosue Bonfanti in Vittorio Sereni, Poesie, cit., p. CII. 42 83


resterà fino al luglio 1939) sul quale pubblica varie liriche. Nel 1941 esce il suo primo libro di poesia, Frontiera,84 che contiene 26 poesie composte tra il 1935 e il 1941. Nelle appendici di Vittorio Sereni, Poesie, possiamo leggere altre poesie composte parallelamente alla scrittura di Parole della Pozzi: 5 annoverate tra i Versi a Proserpina, sezione di Frontiera; 33 poesie giovanili composte tra il febbraio 1934 e il marzo 1936 e infine 11 nella sezione Poesie e versi dispersi, scritte tra l’aprile 1933 e l’ottobre 1938 (considerando solo quelle esplicitamente datate. Ve ne sono poi altre che si possono far risalire a quegli anni perché riecheggiano versi pubblicati in Frontiera e molte non datate). Anche questi componimenti sono interessanti per la nostra ricerca, è sufficiente infatti ricordare alcuni titoli per notare come le tematiche siano spesso le stesse affrontate dalla Pozzi in quegli anni: Periferia, Periferia d’inverno, Locomotive a sbuffi sordi... L’opera poetica di Sereni proseguirà con la pubblicazione di Diario d’Algeria nel 1947, Gli strumenti umani nel 1965, Stella variabile nel 1979, per citare solamente le raccolte più importanti. C’è chi ha colto delle affinità anche tra poesie pubblicate in queste raccolte e poesie della Pozzi. Ma noi ci concentreremo principalmente sui testi che i poeti andavano componendo contemporaneamente, in quell’epoca in cui la loro frequentazione era assidua e forse anche lo scambio delle loro poesie ancora calde su foglietti sparsi.

84

Edizioni «Corrente», esce il 20 febbraio 1941 in 300 copie numerate. La seconda edizione esce per Vallecchi, Firenze, 1942 con il titolo Poesie, 32 poesie. La terza esce di nuovo con il titolo originale per Scheiwiller, All’Insegna del Pesce d’Oro, Milano, 1966, 37 poesie. La quarta edizione esce in Vittorio Sereni, Tutte le poesie, a cura di Maria Teresa Sereni, Mondadori, Milano, 1986, 37 poesie. Noi la leggiamo oggi in Vittorio Sereni, Poesie, a cura di Dante Isella, cit. 43


2. 3 Documenti di un’amicizia I documenti di cui oggi disponiamo sul rapporto che legò i due poeti sono esigui, come si evince dalla loro elencazione sopra riportata. Ma dimentichiamone il valore quantitativo e analizziamone il contenuto. La pagina di diario datata 12 marzo ’35 è il primo scritto della Pozzi di cui disponiamo in cui è nominato l’amico poeta: Mercoledì notte – a casa di Alberto [Mondadori] – c’erano due T[onio] K[röger]: Vittorio [Sereni] ed io. Lui a guardare la meravigliosa e pura bellezza di M.T. spiegazzata, gualcita da tante mani di miopi Hansen. Io a sentirmi nascere e crollarmi dentro mondi di sensazioni: lì, muta, come se avessi ai miei piedi il mio corpo lacerato e potessi guardarlo.85

Antonia identifica lei stessa e l’amico come i due “diversi” del gruppo, in questo caso della compagnia di amici riuniti presso Alberto Mondadori. Loro due sono poeti, sono i Tonio Kröger che non riescono a vivere con la spensieratezza degli altri e che restano a guardare la felicità altrui, dei «miopi Hansen», non sapendo prenderne parte. Hans Hansen è uno dei personaggi principali del Tonio Kröger di Thomas Mann, testo capitale tra le letture dei giovani seguaci di Banfi perché affronta l’opposizione Geist – Leben (Antonia ne possedeva una copia in lingua originale). 86 Hansen è l’amico prediletto da Tonio Kröger: è il primo della classe, bello, sportivo, amato da tutti i compagni di scuola. È l’esatto opposto di tutto ciò che invece è Kröger, timido, impacciato, per nulla amante degli sport e dedito invece allo studio del violino e alla scrittura di poesie, uno scolaro distratto 85 86

Antonia Pozzi, Diari, in Poesia che mi guardi, cit., p. 420. Thomas Mann, Tonio Kröger, Fischer-Verlag, Berlin, 1935. 44


e solitario. I successi di Hansen, la sua capacità di stare in società perfettamente a suo agio e di essere amato da tutti, rappresentano, nel brano in questione, il modo in cui molti amici di Antonia Pozzi e Sereni si approcciano alla vita: un’attitudine che permette di essere felici e gioiosi, ma che rende anche incapaci di consapevolezza, di assaporare le sfumature dei sentimenti. Questo è proprio dei soli artisti, secondo quanto scrive Thomas Mann e quanto crede la stessa Antonia. Da queste poche righe ricaviamo dunque informazioni importanti: dal punto di vista della poetessa, lei e Sereni erano accomunati da qualcosa che li distingueva da tutti gli altri: erano due creatori (dalla stessa pagina di diario: «T.K. non viveva, ma per creare» ).87 Nella prima lettera di Antonia Pozzi all’amico di cui disponiamo, datata 20 giugno 1935 e scritta a Pasturo,88 la mittente è in preda ad un forte sconforto e ne parla all’amico con parole sincere, chiedendo aiuto ad un’anima che sa fraterna. Leggendola, scopriamo che Vittorio Sereni era solito fare visita quotidianamente all’amica: «vorrei scriverti un po’ a lungo, supplire in qualche modo alla cara abitudine della tua visitina quotidiana».89 Abbiamo poi la possibilità di capire cosa pensassero i due l’uno dell’altra: «tu un giorno mi hai detto […] che io sono molto nobile, che non so che cosa sia la volgarità»; 90 «tu sei stato così per me: quell’essere di sesso diverso, così vicino che pare abbia nelle vene lo stesso tuo sangue, che puoi guardare negli occhi senza turbamento, che non ti è né

87

Antonia Pozzi, Diari, in Poesia che mi guardi, cit., p. 419. Leggo le lettere di Antonia all’amico in Antonia Pozzi e Vittorio Sereni, La giovinezza che non trova scampo, cit., perché è l’unico testo che le riporta tutte. Anche nelle edizioni recentemente pubblicate ne mancano alcune. 89 Ibidem, p. 55. 90 Ibidem, p. 56. 45 88


di sopra né di fronte, ma a lato, e cammina con te per la stessa pianura»; 91 «ho tanto bisogno della tua amicizia». 92 Ma soprattutto appare chiaro che Sereni era a conoscenza del fatto che l’amica componesse poesie e che cosa lei pensasse dei versi di lui: «mandami quello che hai fatto, anche se non finito. Io non ho scritto più niente»; 93 «le tue poesie mi hanno fatto piangere, non forse per quello che dicevano, ma per il mondo di battiti che mi facevano nascere dentro e quella certezza, che solo la tua poesia sapeva crearmi quel mondo e solo quel mondo era la mia vera e più pura vita».94 La seconda lettera è scritta sempre a Pasturo ed è datata 26 luglio 1935. È una breve lettera di auguri per il compleanno dell’amico e di rimprovero perché lui non le scrive da lungo tempo. Anche qui emerge l’affetto fraterno che Pozzi prova per Sereni.95 Poco più lunga la lettera del 13 agosto 1935: contiene la solita richiesta di una risposta che non arriva, racconti di come trascorrono le giornate ma soprattutto Antonia ribadisce di non aver più scritto poesie, di sentirsi «Tonio Kröger nella tempesta» 96 e crede addirittura che «[f]orse – chissà – l’età delle parole è finita per sempre».97 Scopriamo che Sereni le ha scritto una sola lettera. Pasturo, 16 agosto 1935. Quarta lettera di Antonia Pozzi a Vittorio Sereni. Leggiamo che, nel frattempo, Sereni ha risposto all’amica e lei ne è 91

Ibidem, p. 57. Ibidem, p. 58. 93 Ivi. Antonia, in data 20 giugno 1935, confessa all’amico di «non [aver] scritto più niente». Queste parole risultano però strane se consideriamo che il 1935 è per la poetessa uno degli anni più prolifici (scrive ben 49 poesie. Scrive di più solo nel 1929, 74 poesie, e nel 1933, 89 componimenti). Tra l’altro nel mese di maggio ne scrive 16, circa una ogni due giorni. Sente forse la pressione di un giudizio che sa non coincidere con quanto lei vorrebbe sentirsi dire? È solo un’ipotesi, ma può avere un certo fondamento. 94 Ibidem, p. 57. 95 Cfr. Ibidem, p. 60. 96 Ibidem, p. 61. 97 Ivi. 46 92


davvero felice. Il cuore della lettera è occupato dal racconto di come la scrittrice ha capito che il suo amore per Remo Cantoni non è ricambiato. Ciò che può interessarci maggiormente in questa sede sono le frasi seguenti: «io piangevo per le tue poesie – meglio: per quel che mi facevano sentire le tue poesie in confronto all’irrimediabile esteriorità di tutti gli altri miei rapporti»;98 «la mia amicizia per te è la più vasta […] di quante abbia mai provato»;99 «a te mi accorgo di poter dire tutto, come a un me stesso migliore e più chiaro»;100 «[g]razie tante […] anche della poesia, che mi piace molto e di cui voglio riparlare».101 Infine veniamo a conoscenza della consuetudine dei due di percorrere insieme la strada dall’università a casa, camminata lungo la quale Antonia “infliggeva” all’amico chiacchierate interminabili, secondo quanto lei stessa scrive. Il 20 settembre 1936 Pozzi scrive due lettere a Sereni: la prima, breve, in cui cerca di consolarlo. Evidentemente lui le aveva scritto di essere, in quel periodo, infelice. In questa lettera che è poco più che un biglietto Antonia ripete ancora una volta quanto grande sia per lei il valore della loro amicizia: «una delle poche cose buone e pulite della mia vita».102 Nella seconda lettera vi è una singolare confessione: Antonia Pozzi racconta di provare un particolare trasporto per Isa Buzzone, sua compagna di liceo che aveva incontrato quel giorno e con cui aveva avuto modo di confrontarsi su questo reciproco e speciale affetto. Nulla di particolarmente interessante per noi, ma grazie a questa confessione capiamo davvero quale fosse il grado di intimità e fiducia esistente tra i due corrispondenti. 98

Ibidem, p. 63. Ibidem, p. 66. 100 Ivi. 101 Ivi. Non sappiamo di quale poesia Antonia stia parlando, forse Temporale, autografo precedente al maggio 1935, nominato nel paragrafo precedente? 102 Ibidem, p. 67. 47 99


Sulle lettere possiamo concludere dicendo che non emerge molto sugli scambi di poesie, che pure vi furono tra i due, e sui commenti dell’uno sulle poesie dell’altra e viceversa. È evidente la grande stima che Antonia Pozzi nutre nei confronti dell’amico come scrittore, oltre che come persona. Ma l’impossibilità di leggere anche quanto lui le scriveva è molto limitante, come lo è l’assenza di altre pagine di diario su questa amicizia. Dalle lettere di Vittorio Sereni al padre di Antonia , Roberto Pozzi,103 emerge che Sereni è contento dei successi delle poesie dell’amica presso il pubblico. Scopriamo che l’avvocato Pozzi, riordinando le carte della figlia, restituisce a Sereni «i fogli che di tanto in tanto passav[a] all’Antonia». 104 Secondo Alessandra Cenni questa restituzione, come molte altre, è solo parziale, il resto viene distrutto. Ad oggi, non vi è traccia dei fogli di cui si parla in questa lettera. Sempre in questi scritti, abbiamo la conferma del fatto che, per un certo periodo della loro vita, i due giovani si vedevano e parlavano quasi ogni giorno («[r]icordo il periodo febbrile da cui è uscito [il Flaubert, la tesi di laurea della poetessa] e l’ansia con cui Antonia me ne parlava quasi quotidianamente»).105 Solo in un punto Sereni accenna alla poetica dell’amica ormai morta, parlando del proprio libro Frontiera e criticando l’articolo su Parole scritto da Raffaele Calzini,106 il quale accosta Francesco Pastonchi a Ungaretti parlando della formazione letteraria della Pozzi: E se la nostra Antonia ci fosse, sono sicuro che proprio in lei avrei la più fervida alleata nel presente dibattito. Perché Antonia aveva perfettamente capito – e lo dimostra tutta l’ultima parte 103

Cfr. Ibidem, pp. 73-107. Le lettere a Roberto Pozzi sono scritte tra il 1939 e il 1956. Ibidem, p. 84. 105 Ibidem, p. 86. 106 Raffaele Calzini, Una giovane poetessa, «La Stampa», Torino, 14 dicembre 1940. 48 104


del mio libro – l’abuso che è stato fatto di quell’ormai logora parola del “cuore”, sapeva benissimo anche lei che il “cuore” bisognava buttarlo tutto quanto.107

In una lettera ad Alba Binda Carbone del 12 maggio 1964, Sereni scrive ancora della critica che si è occupata di Parole: ritengo molto più positiva quella che tu consideri la cautela di Montale che non l’immagine del tutto agiografica e acritica di Vincenzo Errante. La seconda non ha avuto alcun pratico effetto sul contributo critico all’opera di Antonia, la prima le ha invece assicurato l’apporto dell’attenzione più seria.108

In questa lettera come in quella scritta a Lina Cavagni Sangiuliani, madre di Antonia, in data 13 luglio 1964, emerge l’attenzione dedicata da Sereni all’edizione mondadoriana di Parole del 1964, di cui si occupò personalmente in quanto direttore editoriale di questa casa editrice. In quest’ultima sua leggiamo anche che, a suo parere, «prerogativa di Parole» è «l’unità di stile e di tono»109 e che Donna Lina gli aveva inviato «poesie ancora sconosciute (ma non a [lui])»,110 e abbiamo dunque la conferma che Sereni fu uno dei pochi eletti a cui Pozzi volle mostrare i propri componimenti. Per concludere, riportiamo il testo di 3 dicembre, unica poesia scritta da Vittorio Sereni pensando esplicitamente ad Antonia Pozzi, compresa in Frontiera. 107

Antonia Pozzi e Vittorio Sereni, La giovinezza che non trova scampo, cit., p. 88-89. Ibidem, p. 104. Sereni si riferisce allo scritto di Montale sulla Pozzi già citato nell’introduzione e a Vincenzo Errante, Presentazione di Antonia, «Lecco», rivista di cultura e turismo (numero monografico dedicato ad Antonia Pozzi), n. 5-6, settembredicembre 1941, pp. 8-9. 109 Ibidem, p. 106. 110 Ivi. 49 108


All’ultimo tumulto dei binari hai la tua pace, dove la città in un volo di ponti e di viali si getta alla campagna e chi passa non sa di te come tu non sai degli echi delle cacce che ti sfiorano. Pace è forse davvero la tua e gli occhi che noi richiudemmo per sempre ora riaperti stupiscono che ancora per noi tu muoia un poco ogni anno in questo giorno. 111

Questo componimento è datato 1940 nell’indice della prima edizione di Frontiera ed è corredato dalla dedica in corsivo «a Antonia Pozzi» in Vittorio Sereni, Una polvere d’anni di Milano – Tre disegni di A[ttilio] Rossi, Milano, Linea Grafica, 1954, p. 9. Nelle versioni definitive di Frontiera è collocata nella sezione Concerto in giardino. Una parte del primo verso cita il secondo della poesia della Pozzi Fine di una domenica: «Rotta da un fischio / all’ultimo tumulto / s’è scomposta la mischia […]».112 È probabile che Sereni scelga consapevolmente di aprire la lirica richiamando la scrittura dell’amica, dimostrando così di conoscerne l’opera, di apprezzarla, e lasciando al lettore un piccolo indizio sull’argomento trattato in questi versi. Inoltre, riecheggiando quanto di più caro Pozzi lasciava di sé (la sua poesia), Sereni richiama nel testo tutta l’essenza di questa giovane donna la cui vocazione era proprio quella poetica, rivolgendole un riconoscimento postumo. Il filologo Giorgio 111

Vittorio Sereni, 3 dicembre, in Frontiera, in Poesie, cit., p. 25. Antonia Pozzi, Fine di una domenica, in Parole, in Poesia che mi guardi, cit., p. 380, vv.1-3. Poesia datata Torino, 2 maggio 1937. 50 112


Pasquali parlerebbe in questo caso di “allusione”, cioè di citazione consapevole di un autore, procedimento colto che non produce l’effetto voluto se non in un lettore che colga il riferimento al modello. È meno probabile, ma potrebbe trattarsi anche di “reminescenza”, ovvero, sempre secondo il concetto di “arte allusiva” proposto da Pasquali, una citazione inconsapevole, dovuta alla profonda conoscenza ed interiorizzazione che l’autore che cita si è formato nei confronti dell’autore citato. 113 Questo secondo caso dimostrerebbe la grande stima reciprocata che sarebbe potuta esistere tra i due poeti. 3 dicembre è composta di due strofe entrambe formate da sette versi. Metricamente è possibile riconoscere endecasillabi (anche tronchi e sdruccioli), settenari, un trisillabo sdrucciolo (v. 11), oltre ad altri versi, tutti disposti in ordine non prestabilito. Non vi sono rime regolari, ma alcune assonanze: ad esempio tra i versi 1-3 e i versi tronchi 2-5. Vi sono presenti iterazioni («non sa»-«non sai» dei vv. 5-6, in posizione notevole a fine verso), numerosi enjambement (vv. 5-6; vv. 6-7), e la metafora della città che «si getta» verso la campagna «in un volo» fatto di strade e ponti. Sereni apre il suo componimento dipingendo il luogo della morte di Antonia Pozzi, che ha scelto di togliersi la vita presso la certosa di Chiaravalle, fuori dal centro della città. Accenna all’isolamento della poetessa nel momento del suicidio, quando lei è sola, ignara di tutto ciò che le accade intorno, e vive il proprio dramma a sua volta ignorata dal mondo che la circonda. Dopo questo breve riferimento ambientale, Sereni scrive i versi di commiato con i quali dice le emozioni che lo legano a questo triste ricordo. Non sono emozioni negative, anzi il poeta crede che in quella periferia Antonia abbia trovato la pace e si stupisce nel riprovare i 113

Cfr. Giorgio Pasquali, Pagine stravaganti 2, Firenze, Sansoni, 1968, pp. 275-282. 51


sentimenti vissuti all’epoca del decesso di lei, ogni anno un poco più consapevoli dell’accaduto, più pacati. Il tema centrale di questa poesia è, più della morte, sentita come portatrice di quiete, il ricordo. La memoria è una linea che attraversa l’intero primo libro di Sereni, e, sull’argomento, Stefano Raimondi ha scritto pagine

illuminanti.114

Altro

tema

ad

emergere

è

quello

dell’opposizione tra città e campagna, in cui la prima è luogo di «tumulto», mentre la seconda è l’ambiente naturale, più vero, in cui si può raggiungere, forse, la «pace».

2. 4 Testi critici sulla relazione Pozzi – Sereni e sul confronto Parole – Frontiera L’unico libro mai pubblicato relativo all’amicizia tra Antonia Pozzi e Vittorio Sereni è il più volte citato La giovinezza che non trova scampo, curato da Alessandra Cenni, la cui uscita fu preceduta dal pezzo Antonia Pozzi e Vittorio Sereni, in un tempo vero di immagini, scritto dalla stessa e uscito su «La Rassegna della Letteratura Italiana» nel 1995.115 L’agile volumetto edito da Scheiwiller raccoglie poesie di Pozzi e Sereni, le lettere della Pozzi a Sereni, le lettere di Sereni a Roberto Pozzi, una sua lettera ad Alba Binda e una a Donna Lina Pozzi, materiale del quale abbiamo parlato poc’anzi. L’introduzione è costituita da un breve

114

Cfr. Stefano Raimondi, Il meridiano poetico della memoria, in La “Frontiera” di Vittorio Sereni. Una vicenda poetica (1935-41), Milano, Unicopoli, 2000, pp. 102-110. 115 Alessandra Cenni, Antonia Pozzi e Vittorio Sereni in un tempo vero di immagini, «La Rassegna della Letteratura Italiana», s. VIII, n.3, settembre-dicembre 1995, pp.163-170. 52


saggio della Cenni dal titolo Le ragioni della memoria.116 In questo scritto, nell’articolo apparso su «La Rassegna della Letteratura Italiana» e nella sua biografia dedicata ad Antonia Pozzi, Alessandra Cenni espone gli elementi di continuità a suo parere rintracciabili nell’opera dei due poeti, oltre che nelle loro persone. Ricorda la comune formazione sui testi di Pascoli, Ungaretti, Montale, dei crepuscolari e di Eliot, Saba, Musil, Mann... e nell’ambiente culturale del gruppo Banfi. Parla del loro rapporto nei termini di “affinità elettiva” e, come già emerso da quanto Antonia Pozzi scrive nel suo diario, spiega come Essi […] si sentono diversi da quegli “occhiazzurri” che vivono liberi dalla “maledizione della conoscenza”, ma finiscono per farsi travolgere dalle correnti di un qualunque destino. È qui che, per Pozzi come per Sereni, il rigore etico s’innesta nell’urgenza dell’espressione lirica sulla ricognizione disincantata del reale.117

E aggiunge: il segreto che li unisce e li distacca dagli altri come una nuvola omerica è la poesia. Entrambi condividono una visione della realtà nuda e incantata [sic?], priva di compiacimenti estetizzanti o ridondanze retoriche, ammirati dell’intensità scavata e lineare di Ungaretti o di Montale, più che delle ricercatezze formaliste della Ronda.118 anch’egli [Sereni], al pari dell’amica, ancora sofferente della rinuncia all’amore con il professor Cervi, ha l’impressione d’inseguire fantasmi più che persone reali e alimentare passioni costruite con l’immaginazione e che non colmano mai la vita […] Entrambi avrebbero dovuto gettarsi nella vita, ma la mediazione intellettuale e il neoplatonismo letterario 116

Antonia Pozzi e Vittorio Sereni, La giovinezza che non trova scampo, cit., pp. 9-28. Ibidem, p. 13. 118 Ibidem, p. 14. 53 117


impedivano di accettare il magma non decantato della realtà, confusa, volgare.119

Ma non dimentica le profonde differenze del percorso seguito dall’uno e dall’altra: ricorda come Sereni cominciasse ad inserirsi attivamente nell’ambiente intellettuale, entrando nella redazione di «Vita Giovanile» nel 1938 (anche se Cenni parla erroneamente del 1937 e di «Corrente di vita giovanile») e di come la sua poesia fosse letta e apprezzata dai compagni di università, a differenza di quanto accadeva a Pozzi, che «si veniva a trovare» in «una sorta di lento ma inesorabile isolamento». 120 Sottolinea poi come questa differenza si sia rispecchiata anche nella critica, dal momento in cui «[g]li ottimi critici dell’opera di Sereni non sono stati mai lettori altrettanto attenti di Antonia Pozzi».121 I testi dei due poeti che Alessandra Cenni accosta sono La porta che si chiude della Pozzi e 3 dicembre di Sereni, per il tema della pace; Periferia122 della Pozzi e Periferia 1940 e Temporale di Sereni, oltre ad altri suoi testi inseriti in Gli strumenti umani e Stella variabile, per il comune «stupore […] di fronte alle emergenze storiche»123 e per la medesima toponomastica: fabbriche, treni, agglomerati industriali... Il Sereni di Frontiera cerca la poesia nei paesaggi scarni della pianura, la Pozzi degli ultimi anni, grazie anche all’amicizia con Dino Formaggio, racconta una periferia urbana spoglia e descrive la storia delle semplici cose che la abitano. Temi, questi, caratteristici della “linea lombarda”. In questo senso Cenni parla per entrambi di “nuovo realismo poetico”, di un 119

Alessandra Cenni, In riva alla vita, cit., p. 133. Antonia Pozzi e Vittorio Sereni, La giovinezza che non trova scampo, cit., p. 13. 121 Ibidem, p. 21. 122 Con questo titolo esistono due poesie della Pozzi, una del 19 gennaio 1936 e questa, del 21 gennaio 1938. 123 Antonia Pozzi e Vittorio Sereni, La giovinezza che non trova scampo, cit., p. 23. 54 120


tentativo di «far entrare la vita nel romanzo e oltrepassare così il binomio romantico “io e mondo”»,124 e inserisce anche la poesia della Pozzi nella linea lombarda di Luciano Anceschi, il quale vi aveva incluso Sereni ma non l’autrice di Parole. Altri temi comuni sono la morte, una morte che è per entrambi «un mistero limbale quasi dolce», 125 o il tema del silenzio, sempre secondo Alessandra Cenni. Per concludere, ricordiamo che, sempre secondo la biografia di Antonia delineata dalla Cenni, la poetessa mostrò i suoi scritti al professor Antonio Banfi sotto suggerimento di Sereni (ma di questo fatto non esiste in realtà nessuna testimonianza)126 e che Sereni «nell’intera sua produzione poetica evocherà il senso di questa loro [di Vittorio e Antonia] comune ricerca [poetica]».127 Come abbiamo accennato nell’introduzione, esistono attualmente due scuole di studi critici su Antonia Pozzi: una le cui redini sono tenute da Alessandra Cenni e l’altra capeggiata da suor Onorina Dino e Graziella Bernabò. A questo punto analizziamo quanto in questo secondo filone viene scritto sul rapporto Pozzi-Sereni attraverso le opere Per troppa vita che ho nel sangue, biografia della nostra poetessa scritta dalla Bernabò e pubblicata nel 2002, e nel saggio della stessa Antonia Pozzi: le ragioni di una riscoperta, inserito negli Atti del convegno su Antonia Pozzi tenutosi a Milano nel 2008.128

124

Ibidem, pp.161. Alessandra Cenni, Antonia Pozzi e Vittorio Sereni in un tempo vero di immagini, cit., p. 170. 126 Cfr. Alessandra Cenni, In riva alla vita, p. 144. 127 Ibidem, p. 252. 128 Graziella Bernabò, Antonia Pozzi: le ragioni di una riscoperta, cit., pp. 81-104. 55 125


Anche in Bernabò troviamo l’idea che solo da Sereni la scrittrice potesse sentirsi pienamente compresa, in quanto poeta come lei. L’autrice indica che questa convinzione le è stata confermata dalla moglie di Sereni, Maria Luisa Bonfanti, durante un colloquio telefonico. Anche qui, i due sono descritti come diversi dagli altri, incapaci di vivere in modo comune, frivolo e alla ricerca di un riscatto dall’angoscia nella creazione poetica, come Tonio Kröger. E come la Cenni che crede Sereni fiducioso nella poesia dell’amica tanto da consigliarle di mostrarla al professor Banfi, anche Bernabò crede che alla negazione del gruppo culturale in cui Antonia Pozzi era inserita facesse eccezione solo Sereni, oltre a Dino Formaggio. 129 Graziella Bernabò sostiene però che anche Sereni, inizialmente, avesse sottovalutato l’opera dell’amica, fatto di cui si duole lui stesso in una lettera ad Alessandro Parronchi, in cui scrive: Nell’ultimo numero del «Mondo» mi ha lasciato una certa perplessità, per vari motivi, l’articolo di Montale. Prima di tutto, il suo giudizio sull’Antonia (che tu sai, forse, quanto mi fosse amica) ma ha fatto rimordere il cuore al pensiero di averla considerata più sotto l’aspetto della storia d’anima. E poi e poi... ma forse ne riparleremo.130

Bernabò sottolinea anche che non esistono prove del fatto che Sereni avesse contribuito alla diffusione delle poesie della Pozzi quando lei era 129

Cfr. Graziella Bernabò, Per troppa vita che ho nel sangue, cit., p. 307. Vittorio Sereni – Alessandro Parronchi, Un tacito mistero. Il carteggio Vittorio Sereni – Alessandro Parronchi (1941-1982), a cura di Barbara Colli e Giovanni Raboni, Milano, Feltrinelli, 2004, p. 58, lettera 23 di Sereni a Parronchi, datata Milano 8 dicembre [1945]. In questo stesso testo, a p. 51, nota 4, leggiamo anche quanto Montale scrive a Sereni sul suo stesso articolo, in una cartolina postale del 13 dicembre 1945: «Caro Sereni, sapevo che il mio piccolo ricordo di Antonia Pozzi ti avrebbe fatto piacere e anche in ciò ho trovato una spinta – per la grande stima che ho di te e della tua poesia (una delle pochissime d’oggi che mi riesca comprensibile e umana)». 56 130


ancora in vita.131 Quest’analisi può essere corretta, ma non lo è nel momento in cui viene portata come prova della stessa il sottotitolo delle prime edizioni mondadoriane di Parole, Diario di poesia, che, secondo Bernabò, è stato scelto proprio da Sereni: le edizioni della Mondadori furono seguite da Sereni con particolare amore, come è attestato dalle sue lettere ai genitori di Antonia e dalla loro costante gratitudine nei suoi confronti. Tuttavia lo stesso Sereni inizialmente non aveva compreso appieno la portata della poesia pozziana, tanto che la prima edizione pubblicata di Parole dalla Mondadori (1943) presentava il sottotitolo riduttivo Diario di poesia. Ma Sereni, che, oltre a essere stato un grande poeta e un amico vero di Antonia, aveva anche una profonda onestà intellettuale, ebbe poi a pentirsene, quando si accorse che la poesia della Pozzi era stata scoperta da Montale, come si vede in una sua lettera dell'8 dicembre 1945 a Parronchi [Bernabò parla della lettera da noi parzialmente riportata poco sopra]. Perciò egli fece progressivamente sparire quel sottotitolo dalle successive edizioni di Parole, togliendolo almeno dalla copertina in quella del 1948 ed eliminandolo completamente in quella del 1964 [questa informazione non risulta essere corretta: il sottotitolo è definitivamente eliminato nell’edizione Garzanti, 1989]132

L’idea che Vittorio Sereni abbia curato anche le edizioni di Parole del 1943 e del 1948 è infondata. All’epoca l’autore di Frontiera non era ancora direttore editoriale della Mondadori, e lo diventerà solo nel 1958. Quindi Bernabò non è precisa quando scrive: «Sereni le diede almeno un riconoscimento postumo quando, divenuto direttore editoriale della Mondadori, curò alcune edizioni di Parole, sia pure su sollecitazione di Roberto Pozzi, come risulta da una sua lettera ad Alessandro Parronchi del 2 gennaio 1949».133 Il passo di questa lettera a Parronchi riportato dalla 131

Cfr. Graziella Bernabò, Antonia Pozzi: le ragioni di una riscoperta, cit., p. 88. Ibidem, pp. 86-87. 133 Graziella Bernabò, Per troppa vita che ho nel sangue, cit., p. 215. 57 132


Bernabò recita: «Sono stato bensì interpellato per la Pozzi e ho dato parere favorevole»,134 ma leggiamo un passo più ampio di questa lettera: Da Mondadori mi arrivano anche, ogni tanto, fascicoletti di versi da giudicare (per lo più di ignoti). Il che ha fatto dire in giro che io faccio il bello e il brutto nella collezione dello “Specchio”. Non è vero nel modo più assoluto, ci vuol altro; anche se ogni tanto ho arrischiato consigli e giudizi che finora non risultano seguiti. Sono stato bensì interpellato per la Pozzi e ho dato parere favorevole; ma era una cosa già decisa, in seguito al molto traffico del padre della mia povera amica, il quale sta amministrando la memoria della figlia in un modo che preferisco non commentare. Del resto lo sapevo fin dal principio: su questo libro si sta speculando da parte di amici postumi e si sta formando quell’equivoco che il tuo bell’articolo135 e la prefazione di Montale non possono diradare.

Sereni è saltuariamente interpellato dalla Mondadori per dare pareri su raccolte poetiche che giungono presso questa casa editrice e il poeta si limita a giudicarle, non a curarne le edizioni. Lo stesso sembra aver fatto con Parole. Ho riportato anche alcune righe che non concernono strettamente il nostro discorso perché indiziarie del pensiero di Sereni sul modo di gestire la memoria di Antonia di suo padre Roberto Pozzi, che credo possano essere interessanti. Ad ogni modo, ciò che è certo è che Sereni cura l’edizione del 1964. Infatti, il 13 luglio 1964, dalla Arnoldo Mondadori Editore direzione letteraria, scrive a Donna Lina, madre di Antonia: «mi sto occupando personalmente della nuova edizione delle poesie di Antonia».136 Ricordiamo inoltre che dall’ottobre 1941 Sereni è 134

Vittorio Sereni – Alessandro Parronchi, Un tacito mistero. Il carteggio Vittorio Sereni – Alessandro Parronchi (1941-1982), cit., p. 226, lettera 76 di Sereni a Parronchi, datata Milano, 2 gennaio 1949. 135 Alessandro Parronchi, Parole che restano, «Il Perseo», a. II, n. 29, 15 gennaio 1948, p. 2. 136 Antonia Pozzi e Vittorio Sereni, La giovinezza che non trova scampo, cit., p. 106. 58


richiamato sotto le armi, dopo aver fatto parte del 77° Rgt. Fanteria dal luglio 1939 al marzo 1940 e dopo essere stato richiamato dal giugno al settembre 1940. Il 24 luglio ’43 è fatto prigioniero con il suo reparto dagli Alleati e solo il 28 luglio ’45 è imbarcato per il rientro in Italia. E’ dunque davvero improbabile che avesse avuto il tempo e la possibilità di seguire l’edizione di Parole del 1943 e Bonfanti non dà alcuna informazione nemmeno su una potenziale collaborazione per l’edizione del ’48. Detto questo, nella biografia del 2004 anche Graziella Bernabò, come già Alessandra Cenni, indica nella poesia Periferia (21 gennaio 1938) di Antonia Pozzi un testo vicino al Sereni di Frontiera: Entrambi proiettavano su tali luoghi di confine, quasi ponti tra mondi diversi, il senso di precarietà della loro generazione inquieta di giovani intellettuali in crisi, il rifiuto di una realtà sentita come inautentica e, per contrapposizione, il desiderio di aderire con maggiore schiettezza alla vita e alle cose semplici, colte nella loro verità.137

Secondo Bernabò, non solo nella poesia di Antonia Pozzi si può riscontrare qualcosa di quella che Anceschi ha definito “linea lombarda” ma addirittura essa è, in modo personalissimo, anticipazione della “poetica degli oggetti” e, a prova di ciò, riporta un passo della lettera della Pozzi a Tullio Gadenz del 29 gennaio 1933: «Io so che cosa vuol dire raccogliere negli occhi tutta l’anima delle cose e le povere cose, torturate nel loro gigantesco silenzio, sentire mute sorelle al nostro dolore». 138 Secondo Bernabò la poetessa aderisce in senso emozionale alla fisicità dei luoghi e delle cose. Di linea lombarda parla anche commentando le poesie A Emilio Comici, Periferia (del 19 gennaio 1936), Periferia in aprile, Treni, Fine di 137 138

Graziella Bernabò, Per troppa vita che ho nel sangue, cit., p. 27. Ibidem, p. 126. 59


una domenica, Nebbia, Luci Libere, Via dei Cinquecento. Indica in Viaggio al Nord una poesia vicina a Inverno a Luino di Sereni (poesia inserita da Luciano Anceschi nella sua antologia). E cita La sosta, Il treno del silenzio, Lontananze, Un anno, Oltre la soglia, Autunno alle soglie della città come poesie di Sereni accostabili tematicamente ai componimenti sopra elencati della Pozzi.139 Le differenze riscontrabili tra la poetica di Antonia Pozzi rispetto a quella del primo Sereni sono la tenerezza con cui la Pozzi, secondo Bernabò, descrive i luoghi di periferia, questo mondo fatto di fabbriche, poveri sobborghi malinconici e grigi, e le immagini espressionistiche, fortemente fisiche, che talvolta lei sceglie di usare per descriverli, oltre alla denuncia sociale sottesa in testi come Via dei Cinquecento.140 Prima di approfondire il concetto di linea lombarda attraverso le pagine dello stesso Luciano Anceschi, possiamo dire che i concetti fondamentali del rapporto Pozzi –Sereni che emergono dagli scritti dei due filoni critici dell’opera di Antonia Pozzi sono i medesimi: una relazione esclusiva, contrassegnata da reciproca fiducia nell’opera di scrittura; una diversità rispetto al resto dei compagni di studi dovuta alla profonda sensibilità che li caratterizzava e alla vocazione alla poesia; la diversità dei percorsi di vita e il diverso successo letterario, precoce per Sereni, postumo per Pozzi; elementi di continuità nella loro poetica, specialmente relativamente ai temi della linea lombarda ma non solo. Approfondiamo ora il concetto di linea lombarda, emerso con insistenza nelle analisi appena compiute. 139

Cfr. Ibidem, pp. 256 e seg. e Graziella Bernabò, Antonia Pozzi: le ragioni di una riscoperta, cit., pp. 93-95. 140 Cfr. Graziella Bernabò, Antonia Pozzi: le ragioni di una riscoperta, cit., pp.95-98. 60


Linea lombarda. Sei poeti è un’antologia curata da Luciano Anceschi e pubblicata, per la casa editrice Magenta di Varese, nel 1952. In quest’opera Anceschi introduce quella che lui definisce una poesia in re e raccoglie liriche che si possono raggruppare sotto questa definizione, liriche di Vittorio Sereni, Roberto Rebora, Giorgio Orelli, Nelo Risi, Renzo Modesti e Luciano Erba. Nella prefazione 141 Luciano Anceschi parla di ognuno di questi poeti ma accenna anche ad Antonia Pozzi, parlandone in questi termini: l’inquieta e gentile Antonia («in solitude of fire she sits alone»)142 [che] era un alveare di direzioni poetiche, non aveva ancora deciso di sé, come poeta […] ho il sospetto che togliere dal contesto qualche breve lirica sia un poco come togliere un filo a un tessuto esilissimo, di difficile lavorazione. È un dispetto! E tutto l’ordine è rotto. Antonia […] non compa[re], per tanto, in questa raccolta. Ma anche se il destino poetico che [le] toccò […] in sorte fu disforme da quello che qui si propone, anche se (per quel che ci consta) […] sfior[ò] solo per un lato la verità, tuttavia avvert[ì] oscuramente il sentimento di certe ricerche, e, a [suo] modo, ne testimonia[…]. 143 141

Luciano Anceschi, Linea lombarda: sei poeti, cit., pp. 5-26. Anceschi cita l’ultimo verso (v. 16) della poesia «Standing afar off for the fear of her torment» di Christina Rossetti, poetessa inglese nata nel 1830 a Londra e morta nel 1894, sorella di Dante Gabriel e William Michael Rossetti, che fondarono il movimento Preraffaellita nel 1848. Il titolo della poesia (in italiano, letteralmente, «Essi se ne stanno lontani per timore del suo tormento») riprende l’inizio del versetto 10 del capitolo 18 dell’Apocalisse, capitolo che parla della caduta di Babilonia, e dove «essi» sta ad indicare i re della terra e «suo» sta per della città di Babilonia. Il testo è inserito nella sezione The World. Self-destruction, di cui fanno parte componimenti aggiunti a Poems (1888, 1890), che leggo in Christina Rossetti, The Complete Poems, Penguin classics, 2001, p. 471. Questa lirica parla della caduta della città di Babilonia, come indicato dal titolo, che «siede sola nella solitudine del fuoco», dove il fuoco indica gli incedi che l’hanno distrutta. La poesia può però anche essere letta come descrizione della morte di una donna, dal momento in cui il riferimento a Babilonia non è esplicito ma può essere intuito solo da un lettore colto. Nella sua interezza dà straordinariamente l’impressione di essere stata scritta proprio pensando alla fine della Pozzi (eccezion fatta per i vv. 3-4, in cui si parla di orgoglio, malvagità e ubriachezza). In realtà la morte e il suo vagheggiamento sono temi tipici della scrittura di Christina Rossetti. 143 Luciano Anceschi, Linea lombarda: sei poeti, cit., pp. 16-17. 61 142


E cita di seguito pochi versi tratti da Inverno lungo, Fine di una domenica e da Sera a settembre. Versi che, a mio modo di vedere, così isolati risultano essere poco rappresentativi della poetica della Pozzi. Ma è curioso come scelga di citare proprio quel verso, «all’ultimo tumulto», che è ripreso da Sereni in 3 dicembre. Che Anceschi ne fosse consapevole? Insomma, Antonia Pozzi è liquidata in poche righe, senza nemmeno citarne il cognome. Secondo Anceschi non aveva raggiunto uno stile maturo, una consapevolezza completa della propria voce poetica, ma vagava perduta verso troppe «direzioni» senza saper scegliere quale seguire. Oggi la critica ha tratto perlopiù conclusioni diverse da questa sulla poesia pozziana. Lo stesso Montale, come già ricordato, nel ’45 scriveva che la poesia della Pozzi è «pochissimo bisognosa d’appoggi». 144 Ma torniamo alla poesia della linea lombarda. Luciano Anceschi, prima di avanzare una definizione di questa poesia, ricorda con commozione l’ambiente da cui essa ebbe origine: l’Università di Milano e soprattutto la «scuola di Antonio Banfi», guida di quei giovani inquieti. Sono molto evocative e cariche d’emozione le righe che Anceschi scrive ricordando quell’epoca. Indica poi in Ungaretti e in Montale gli autori che, per quei giovani intellettuali, furono rivelatori di cosa fosse «la vera poesia della vita»:145 «una fulminea […] potenza della parola» 146 in cui certi oggetti sono illuminati da una luce rivelatrice, in cui è un’immagine a dettare la musica, un’immagine che si fa simbolo. Parla di una poesia in re, che non vuole rinunciare agli oggetti perché in essi e nella loro narrazione nell’opera è 144

Eugenio Montale, Parole di poeti, in Prose 1920-1979, cit., p. 637. Luciano Anceschi, Linea lombarda: sei poeti, cit., p. 16. 146 Ibidem, p. 14 62 145


possibile trovare un riscatto da un mondo «devastato» e «disilluso», perché l’oggetto «sta e resiste».147 Di questa poesia indica come caposcuola Vittorio Sereni, i cui testi erano letti e commentati con interesse già tra i compagni di università. La poesia di Sereni è poesia che nasce proprio dagli oggetti, da immagini di luoghi geograficamente riconoscibili che sono gli ambienti della Lombardia, le sue campagne nebbiose, le sue strade, i crocicchi, le città, Milano con i suoi bar, il traffico e i semafori, le fabbriche rumorose della periferia, i treni... proprio queste sono le ambientazioni care alla linea lombarda: luoghi che esprimono un senso di confine, immagini-simbolo della fine di qualcosa (un sogno, un amore). È una poesia che scaturisce dal ricordo di questi luoghi e quindi anche la memoria è in essa elemento fondante. Nei versi di Sereni, sempre secondo Anceschi, le immagini si fanno simboli, come in Montale, ed è per questo che una sola lettura non è sufficiente a coglierne tutti i risvolti ma è necessario tornare sul testo più e più volte per scoprirne la profondità e l’insita verità. Le poesie di Sereni antologizzate da Anceschi sono: Canzone lombarda; Nebbia; Diana; Inverno a Luino; Zenna (in Frontiera con il titolo Strada di Zenna); Un’altra estate; Paese; Strada di Creva (tutte in Frontiera); Non sa più nulla, è alto sulle ali; Non sanno d’essere morti; Nel bicchiere di frodo; Via Scarlatti (da Diario d’Algeria, anche se Via Scarlatti è poi confluita ne Gli strumenti umani); Istruzione e allarme e L’equivoco (inedite, la seconda è confluita ne Gli strumenti umani). Notiamo che tra queste poesie ve ne sono diverse che Bernabò e Cenni hanno avvicinato a componimenti della Pozzi. Per quanto oggi la definizione di poesie in re sia messa in discussione, stando alle parole di Anceschi non vediamo come mai i versi della Pozzi 147

Ibidem, p. 9. 63


dovessero essere esclusi da un’analisi approfondita sotto questa lente di lettura, considerandoli immaturi e inconsapevoli. Certo, è necessario ricordare che all’epoca della pubblicazione dell’opera di Anceschi le poesie della Pozzi che l’autore poteva visionare erano circa la metà di quelle oggi a nostra disposizione (l’edizione del 1948 ne conta 159, oggi ne conosciamo 323), ma è innegabile che spesso Antonia Pozzi narra, nei suoi versi, di paesaggi concreti e lombardi: le montagne soprattutto, ma anche le periferie di Milano degli ultimi testi, e poi i laghi, le nebbie, i freddi inverni di questa regione del nord Italia. Pozzi trae spunto continuamente da un ambiente, da un’immagine che le si è fissata nella mente con particolare intensità per dare origine ad una riflessione poetica sulla propria anima, sulle emozioni più profonde che vi dimorano. Un buon esempio di ciò è proprio Fine di una domenica, di cui Anceschi riporta solo i primi due versi e parte del terzo senza commentarli in alcun modo. Nelle prime tre strofe di questa poesia Antonia Pozzi descrive una folla che si allontana dallo stadio, la partenza di treni verso la pianura e un fiume al limitare di un bosco. Nella quarta ed ultima strofa conclude accennando ad uno stato di solitudine, di vuoto senza amore che forse, a volte, si percepisce e a cui in qualche modo si arriva senza consapevolezza, senza accorgersi di ciò che via via si perde lungo la strada della propria vita, ai bivi. Dunque la poesia si apre con la descrizione per brevi pennellate di ambienti tipici della linea lombarda e si chiude con questo cauto accenno ad un’emozione triste e cupa scaturita dalla visione (o dal ricordo) di questi stessi luoghi. Al di là del fatto che Parole fosse o meno un’opera da prendere in considerazione nella definizione della linea lombarda, ciò che a noi sembra di poter dire con una certa sicurezza è che, oggi, appare innegabile la 64


comunanza di temi tra la poesia della Pozzi e quella di alcuni poeti a lei contemporanei e in particolar modo dell’amico Vittorio Sereni.

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3. LETTURA COMPARATA DI PAROLE E FRONTIERA

3. 1 Parole e Frontiera a confronto Una delle prime differenze che si colgono leggendo parallelamente Parole di Antonia Pozzi e Frontiera di Vittorio Sereni riguarda la struttura delle due opere. Se Parole è una raccolta in ordine cronologico di tutti i componimenti scritti dalla Pozzi nei suoi Quaderni e in tutto l’arco della sua vita (fa eccezione il canzoniere La vita sognata, più volte citato), e si parla di 323 poesie, Frontiera è un libro di poesia sul quale l’autore ha avuto modo di riflettere prima della pubblicazione, selezionando i testi da inserirvi e quelli da escludere e dividendo l’opera in sezioni: tre nella prima edizione (senza titolo, semplicemente contrassegnate da un numero romano), quattro nella seconda e nella terza, anche se con organizzazione diversa (nella seconda edizione permangono le tre sezioni della prima, contrassegnate con numeri romani, e ne viene aggiunta una quarta: Ultime poesie; nella terza edizione prendono i titoli di Concerto in giardino, Frontiera, Versi a Proserpina ed Ecco le voci cadono e così rimangono nelle edizioni successive). La prima edizione di Frontiera contiene 26 poesie, la versione definitiva ne conta 37.148 Del lavoro di revisione e selezione che Sereni mette in atto sui testi in vista della pubblicazione rimangono delle testimonianze soprattutto nel carteggio con Luciano Anceschi, Giancarlo Vigorelli e Alessandro Parronchi (amici e compagni di università di Sereni i primi, e Anceschi anche curatore, all’epoca, della collana di poesia delle edizioni di 148

Per le edizioni di Frontiera si veda la nota 84 nel capitolo 2. 66


«Corrente» per cui esce Frontiera, amico e poeta fiorentino il terzo). 149 In generale Sereni ci lascia una notevole mole di documenti riguardanti la sua scrittura. Niente di tutto ciò è presente invece nei testi della Pozzi a nostra disposizione, se non consideriamo le riflessioni sulla poesia che espone in special modo nelle lettere a Gadenz, ma si tratta di riflessioni generiche: non vi sono passi in cui la poetessa commenta direttamente una propria lirica. Tornando alle due opere in discussione, anche gli anni di composizione non sono esattamente gli stessi: in Parole vi sono testi che vanno dal 1929 al 1938, in Frontiera le poesie sono datate dal 1935 al 1944 (ovviamente le poesie successive al 1941 sono state aggiunte nelle edizioni successive alla prima), ma è interessante notare che gli anni in comune (1935-1938) sono all’incirca gli stessi anni in cui, come si è visto nel paragrafo 2. 2, i rapporti tra Pozzi e Sereni sono più intensi (1934-1936). Abbiamo indicato molti tratti comuni a queste due raccolte poetiche nel paragrafo precedente, attraverso le osservazioni di Alessandra Cenni, Graziella Bernabò e Luciano Anceschi. Se pure torneremo sui temi della linea lombarda e della periferia nel paragrafo 3. 2, proveremo qui a lasciare da parte gli argomenti già trattati in quella sede e a segnalare tratti di continuità o di difformità non ancora emersi. Come spesso accade nella poesia di ogni tempo e luogo, la natura e i cicli stagionali sono, sia in Pozzi che in Sereni, un’importante fonte 149

Diverse lettere a e da Anceschi e Vigorelli sono conservate nell’Archivio privato della famiglia Sereni a Milano. Parte dello scambio epistolare con Vigorelli è riportato in Giornale di «Frontiera» di Dante Isella, pubblicato nel 1991 insieme all’edizione facsimile della prima di Frontiera, uscita per i tipi di Archinto. Sul rapporto epistolare con Parronchi è stato pubblicato per Feltrinelli nel 2004 il già citato Un tacito mistero. Le lettere concernenti il lavoro di revisione si possono leggere nell’Apparato critico di Vittorio Sereni, Tutte le poesie, cit. 67


d’ispirazione. Antonia Pozzi «guardava e scriveva poesie, guardava e scattava foto».150 I suoi testi (e i suoi scatti fotografici) raccontano di un contatto privilegiato con la natura, con la quale Pozzi sembra quasi instaurare un rapporto panico, di immersione ed immedesimazione, e in questo senso emerge, talvolta anche in modo prorompente, l’elemento della corporeità, in special modo nei primi anni di scrittura. Spesso la poetessa osserva il mondo che la circonda e vi trasfonde le proprie emozioni, in un processo simile al “correlativo oggettivo” montaliano o eliotiano: trae spunto da un’occasione reale per riflettere su di sé e quindi “creare”.151 Claudio Milanini, nel suo saggio Tempo e spazio nella poesia di Antonia Pozzi,152 scrive che nelle poesie composte tra il 1929 e il 1935 Pozzi tende ad antropomorfizzare la natura, mentre a partire dal 1935 la natura comincia ad essere raffigurata anche come ostile ed emerge un “male di vivere” che colpisce indistintamente uomini, animali e piante. Ma verso la fine dei suoi anni Pozzi tornerà a scrivere di una natura autentica e positiva, che contrasta con l’ambiente cittadino, oppure cercherà di sublimare nella visionarietà il male che osserva intorno a sé. Il mondo naturale della Pozzi è fatto di fiori, vento, nuvole, stelle, alberi, nebbie, laghi, sabbia, pietre... Ma in modo particolare spicca il paesaggio della montagna, ambiente molto caro alla giovane appassionata di sport montani. La natura di Sereni è quella del paesaggio lombardo: giardini, laghi, monti, nebbie... che spesso si caricano di valore simbolico, e anche 150

qui,

secondo

Raimondi,

subiscono

un

processo

di

Così dice di lei la protagonista del film di Marina Spada, Poesia che mi guardi. Sul “correlativo oggettivo” in Antonia Pozzi cfr. Graziella Bernabò, Per troppa vita che ho nel sangue, cit., p. 157. 152 Claudio Milanini, Tempo e spazio nella poesia di Antonia Pozzi, in Graziella Bernabò, Onorina Dino, Silvia Morgana, Gabriele Scaramuzza (a cura di), ...e di cantare non può più finire... Antonia Pozzi (1912-1938), cit., pp. 115-131. 68 151


antropomorfizzazione. I cicli stagionali scandiscono le liriche di Frontiera ma soprattutto l’inverno sembra essere il tempo della poesia di Sereni, e forse non casualmente il titolo della raccolta chiude una poesia intitolata Inverno a Luino: Di notte il paese è frugato dai fari, lo borda un’insonnia di fuochi vaganti nella campagna, un fioco tumulto di lontane locomotive verso la frontiera.153

È interessante notare come anche negli ultimi due versi citati sia presente il termine «tumulto», che abbiamo già incontrato nella poesia di Sereni 3 dicembre, in cui il primo verso («All’ultimo tumulto dei binari») riecheggia il secondo di Fine di una domenica della Pozzi («Rotta da un fischio / all’ultimo tumulto / s’è scomposta la mischia [...]»). 154 In Inverno a Luino il vocabolo fa riferimento al rumore di treni lontani, come anche in 3 dicembre, mentre nel testo della Pozzi il «tumulto» è provocato da una folla di persone. Inverno a Luino è stata scritta nell’aprile 1937, Fine di una domenica il 2 maggio 1937 e 3 dicembre nel 1940, in memoria di Antonia dopo la morte di lei. Queste osservazioni ci permettono di sottolineare la evidente comunanza ai due poeti di un certo lessico, forse anche al di là di una diretta influenza reciproca: sembra poco probabile che Pozzi potesse aver avuto modo di leggere Inverno a Luino (e intendiamo naturalmente mediante uno scambio di scritti privato tra i due, perché la poesia sarà pubblicata per la prima volta solo nel dicembre 1937 su «Il Frontespizio») prima di dare alla luce Fine di una domenica, avendo scritto quest’ultima 153

Vittorio Sereni, Inverno a Luino, in Frontiera, in Poesie, cit., p. 31, vv. 22-26, poesia datata 1937. 154 Cfr. cap. 2, paragrafo 2. 3. 69


appena un mese (o forse pochi giorni) dopo la composizione di Sereni di Inverno a Luino. Certo non possiamo affermare nulla con sicurezza assoluta, ma questi richiami, questi echi provocano domande che, per quanto destinate a restare senza risposta, sono di centrale interesse per la nostra ricerca: la paternità di questi termini che tornano in varie poesie dei due autori è da imputare ad uno di loro in particolare o sono frutto di un comune sentire, di un lessico appartenente ad entrambe le esperienze poetiche? E poi ancora, come già dicevamo nel capitolo 2, in 3 dicembre Sereni vuole citare consapevolmente la Pozzi o si tratta di una reminescenza? Se la riproposizione del verso fosse voluta, certo l’intento del poeta non sarebbe solamente quello di citare poche parole dell’amica, quanto probabilmente quello di riecheggiare un intero sfondo comune, tutto un mondo di reciprocità: uno stesso ambiente geografico e culturale, una medesima epoca storica, e la stessa passione per le parole, la poesia. Si tratta di un’ipotesi più che plausibile. Assodata l’esistenza di un linguaggio comune, passiamo invece ad un elemento di discontinuità. Entrambi i poeti posano il loro sguardo sul mondo e lo restituiscono intriso di emozione nella loro scrittura. Ma i due non attuano questo procedimento con medesima disposizione d’animo: leggendo la Pozzi spesso percepiamo un impeto di veemenza, di passione non rintracciabili nel tono pacato di Sereni, che sa intridere le sue pagine di sentimenti intensi ma sempre con una delicatezza che sembra quasi voler allontanare il poeta dalle sue parole. Pozzi invece si lascia coinvolgere completamente e scrive versi come questi: […] Avrei voluto scattare, in uno slancio, a quella luce; 70


e sdraiarmi nel sole, e denudarmi, perché il morente dio s’abbeverasse del mio sangue. Poi restare, a notte, stesa nel prato, con le vene vuote: le stelle – a lapidare imbestialite la mia carne disseccata, morta.155 Io credo questo: che saprei squarciarmi con le mie mani il grembo prima di dar vita ad un figlio non tuo.156

La poesia di Sereni non è mai così lapidaria e feroce, mai in essa troveremo delle immagini così fortemente espressionistiche. Sereni dà al lettore un’impressione d’insieme di malinconia trasmessa sempre con una certa pacatezza che è quasi perplessità di fronte al mondo. Il testo che esprime al meglio questa attitudine è probabilmente Strada di Zenna. Pier Vincenzo Mengaldo osserva che nel Sereni di Frontiera la fedeltà ai luoghi è fedeltà ai morti e un esempio di questo lo abbiamo visto nella poesia 3 dicembre dedicata all’amica che si è lasciata morire su un prato di periferia. Se la morte è un tema caro ad Antonia Pozzi, i morti lo sono a Vittorio Sereni (e non solo in Frontiera). Il trapasso può essere sentito come qualcosa di naturale, parte del ciclo della vita, come avviene, con un certo stupore del poeta, in 3 dicembre di Sereni o nelle poesie della Pozzi quali Sogno sul colle, in cui l’autrice immagina di essere un frate e descrive le attività di una ordinaria giornata da monaco, al termine della quale un po’ di tempo è riservato anche alla preparazione della fossa in cui, una volta 155

Antonia Pozzi, Canto selvaggio, in Parole, in Poesia che mi guardi, cit., p. 65, vv. 18-25, poesia datata Pasturo, 17 luglio 1929. 156 Antonia Pozzi, Unicità, Ibidem, p. 159, vv. 19-24, poesia datata 2 febbraio 1933. 71


morto, sarà sepolto, o Funerale senza tristezza, dove morire è «[…] tornare / al paese, alla culla».157 All’epoca si cominciava poi a percepire un certo senso di precarietà dell’esistenza legato all’incombere della seconda guerra mondiale e dei funesti eventi che avrebbero travagliato l’Italia e l’Europa di lì a poco. Ma forse la consapevolezza di quanto stava per accadere non era poi così diffusa e solo alcuni riuscivano già in quegli anni a vedere in modo disincantato e a comprendere quanto stava avvenendo. Infine il ricordo, la memoria di un tempo altro rispetto a quello in cui si sta scrivendo è motivo ricorrente in entrambe le raccolte poetiche: la ricerca del tempo mitico e perduto della giovinezza per Sereni, del tempo in cui l’amore per Cervi sembrava ancora realizzabile, perduto per sempre, per Antonia. A questo proposito ricordiamo i seguenti versi di Nevai di Antonia Pozzi: e cantavo fra me di una remota estate, che coi suoi amari rododendri m’avvampava nel sangue158

È possibile notare un’affinità tra i versi appena citati e i versi 9-13 di Compleanno di Sereni: e del pallido verde mi rinnovi il tempo, d’una donna agli sguardi serena mi ritorni memoria,

157

Antonia Pozzi, Funerale senza tristezza, Ibidem, p. 287, vv. 2-3, poesia datata 3 dicembre 1934. 158 Antonia Pozzi, Nevai, Ibidem, p. 273, vv. 19-22, poesia datata 1° febbraio 1934. Pozzi fa riferimento appunto ad un’epoca in cui l’amore con Cervi era vivo e pieno di speranze. 72


amara estate159

In entrambe le poesie viene descritto un paesaggio che provoca negli scrittori il ricordo di una persona cara (Pozzi parla in realtà di una stagione, ma è chiaro che quella estate è importante per lei perché la trascorse con una persona amata). Pozzi, in una delle sue poesie più visionarie, con anafora del pronome «io» seguito da verbi diversi («fui», «sognai»...) in posizione notevole ad inizio di verso, racconta di essere stata in luoghi dall’aspetto leggendario («campi e monti / di luce», «un’immensa / città di fiori»...) e chiude il componimento con i versi citati, con un’immagine che racconta un’emozione legata ad un ricordo. Nella poesia di Sereni, scritta due anni dopo nel giorno del compleanno del poeta, e quindi il 27 luglio 1936, l’«amara estate» è la stagione che gli riporta alla memoria la giovinezza (credo sia questo che simboleggi il «pallido verde») e una figura femminile. I versi citati sono preceduti e seguiti dalla descrizione della «città grave» (Milano) in cui «la giovinezza [...] non trova scampo». Tra i due passi riportati è possibile notare la coincidenza dell’aggettivo “amaro”, usato da Pozzi per connotare l’odore dei rododendri e da Sereni l’estate, e della stagione estiva stessa, «remota» quella di Antonia, «amara», appunto, quella di Sereni. Compleanno è tra le poesie di Sereni ritrovate tra le carte della Pozzi e questa copia autografa è oggi conservata nell’Archivio Antonia Pozzi della Congregazione del Purissimo Sangue di Monza a Pasturo. Chissà se a sua volta Pozzi ha mai fatto leggere all’amico la sua Nevai, scritta due anni prima rispetto a Compleanno... 3. 2 Una domenica in periferia 159

Vittorio Sereni, Compleanno, in Frontiera, in Poesie, cit., p. 17, vv. 9-13, poesia datata 1936. 73


Abbiamo avuto modo, nel paragrafo 2. 4 del capitolo 2, di evidenziare la comune tematica, per Pozzi e Sereni, della periferia: nell’opera di entrambi è possibile leggere di ambientazioni ai margini della città, popolate da operai e povera gente, da fabbriche e treni. In Sereni spesso questi luoghi di trapasso, e la frontiera 160 stessa, titolo del suo primo libro, assumono il valore simbolico di una condizione precaria dell’esistenza. Il poeta percepisce l’incombere di un evento funesto, sente che la propria giovinezza non troverà scampo e che un’intera epoca sta volgendo al termine. Scrive allora di un paesaggio naturale e positivo che va incrinandosi e resta come perplesso di fronte ad un mondo che però non attacca mai con diretta critica sociale: tra i suoi versi serpeggia una consapevolezza, un’aspirazione etica all’equilibrio sociale, ma non c’è denuncia, né attivismo in essi. Sereni mantiene un’attitudine al riserbo che è quasi ritrosia. Le sue parole, ancorché amare, sono composte e mai urlate: siluri bianchi e rossi battono gli asfalti dell’Avus, filano treni a sud-est tra campi di rose.161 Ma dove t’apri e tra l’erba orme di carri e piazze e strade in polvere spaési senso d’acque mi spiri e di ridenti vetri una calma. Il titolo indica anche la frontiera fisica tra l’Italia fascista e l’Europa democratica vicina a Luino, paese natale del poeta. 161 Vittorio Sereni, Concerto in giardino, in Frontiera, in Poesie, cit., p. 8, vv. 12-15. Poesia datata 1935. “AVUS” è un acronimo tedesco che in italiano significa “strada per il traffico e per le prove delle automobili”, è la prima autostrada progettata (1909) e la prima aperta al traffico (1921), con la doppia finalità di autostrada e di percorso di test per l'industria. Oggi parte dell'autostrada tedesca A 115. 74 160


Maturità di foglie, arco di lago altro evo mi spieghi lucente, in una strada senza vento inoltri la giovinezza che non trova scampo.162 Qui il traffico oscilla sospeso alla luce dei semafori quieti. Io vengo in parte ove s’infolta la città e un fiato d’alti forni la trafuga. Chiedo al cuore una voce, mi sovrasta un assiduo rumore di fabbriche fonde, di magli.163

Una città attraversata da automobili in corsa o sospese nel traffico, in cui il rumore delle fabbriche zittisce ogni pensiero, tra le cui piazze e strade la giovinezza sembra tramontare irrimediabilmente. Questa è la città cantata da Sereni, che vaga con lo sguardo su di essa e attende «sospes[o] / che un tacito evento»164 accada. Pozzi si accosta a queste tematiche negli ultimi anni, quando si avvicina a Sereni e a Dino Formaggio. Possiamo collocare questa apertura al mondo della città intorno al 1936 (di quest’anno è la prima poesia intitolata Periferia, del ’37 Periferia in aprile, Treni, Fine di una domenica, Nebbia; del ’38 la seconda Periferia e Via dei Cinquecento, tutti testi che trattano questa tematica). Antonia scopre un universo parallelo a quello della Milano da lei conosciuta e frequentata, si reca in bicicletta con Formaggio nelle periferie e ne rimane fortemente colpita. Una delle poesie più famose in questo senso è Via dei Cinquecento, già ricordata nel capitolo 1: Vittorio Sereni, Compleanno, Ibidem, p. 17, vv. 14-22. Poesia datata 1936. Sereni sta parlando della «città grave» (Milano) che nomina al v. 5. 163 Vittorio Sereni, Nebbie, Ibidem, p. 18, vv. 1-9. Poesia datata 1937. I magli sono dispositivi meccanici per lavorazioni di fucinatura o stampaggio. 164 Vittorio Sereni, Terrazza, Ibidem, p. 32, vv. 6-7. Poesia datata 1938. 75 162


e la fame non appagata, gli urli dei bimbi non placati, il petto delle mamme tisiche e l’odore – odor di cenci, d’escrementi, di morti – serpeggiante per tetri corridoi165

In parole come queste si scorge un’eco di denuncia assente in quelle di Sereni. Pozzi si rivolge ad un interlocutore (forse a Formaggio) e scrive che sono cose come queste a dividerla da lui, e che solo la natura della campagna e le sue semplici chiesette li riavvicinano, sono per loro veicolo di comunicazione. La periferia raccontata nei versi della Pozzi si carica di tonalità più intense, scure e fosche: A notte un lento giro d’ombre rosse alle pareti avviava i treni: tonfi cupi d’agganci al sonno si frangevano. […] quel tuonare assurdo e per le mute vie serali, ai lenti legni dei carri e dentro il sangue chiama lunghi fragori – e quell’antico ardente spavento e sogno di convogli.166 Nel tramonto le fabbriche incendiate ululano per il cupo avvio dei treni...167 Antonia Pozzi, Via dei Cinquecento, in Parole, in Poesia che mi guardi, cit., p. 398, vv. 3-8, datata 27 febbraio 1938. 166 Antonia Pozzi, Treni, Ibidem, p.378, vv. 1-5; 12-19. Poesia datata Torino, 1° maggio 1937. 167 Antonia Pozzi, Periferia, Ibidem, p. 395, vv. 17-18. Poesia datata 21 gennaio 1938. 76 165


Le immagini che Antonia descrive nelle sue poesie sono decisamente più espressionistiche ma i protagonisti sono sempre treni in movimento, grigi sobborghi e rumori che sovrastano l’ascoltatore. Per comprendere a fondo queste ambientazioni dobbiamo provare ad immaginare le città italiane del nord così come si presentavano negli anni ’30: sicuramente avvolte dalle nebbie e dai fumi delle fabbriche in inverno, attraversate da rare automobili, con quartieri poveri e disastrati appena fuori dal centro, abitati da emigrati e dagli operai che in schiera entravano e uscivano dai luoghi di lavoro. Ma certo vi erano anche aree di vera e propria campagna, villaggi nella città, con prati e laghetti, come era Chiaravalle, dove Antonia si recava con Formaggio e dove ha scelto di morire. Le fotografie della poetessa ci aiutano ad immaginare questo mondo così lontano dal nostro, in cui le donne lavavano i panni al fosso e in cui la periferia di Milano sembra uno qualsiasi dei paesi della bassa lombarda, con alberi, fossi, campi e qualche camino di fabbriche visibile in lontananza (penso alle foto del Naviglio, di Porto di Mare e degli alberi in periferia del ’38). I componimenti dei due poeti che mi propongo di confrontare su questo tema sono Domenica sportiva di Sereni, del giugno 1935,168 e Fine di una domenica della Pozzi, datata Torino, 2 maggio 1937.169 Domenica sportiva Il verde è sommerso in neroazzurri. Ma le zebre venute di Piemonte sormontano riscosse un hallalì squillato dietro barriere di folla. Ne fanno un reame bianconero. 168 169

La passione fiorisce fazzoletti Di colore sui petti delle donne. Giro di meriggio canoro, ti spezza un trillo estremo. A porte chiuse sei silenzio d’echi Nella pioggia che tutto cancella.

Vittorio Sereni, Domenica sportiva, in Frontiera, in Poesie, cit., p. 9. Antonia Pozzi, Fine di una domenica, in Parole, in Poesia che mi guardi, cit., p. 380. 77


il cielo dello stadio bianco, quasi soffice lana. Calmi greggi dormono a fronte d'alte case, in rozze strade dilaganti per l'erba: e non ha un [senso quest'avviarsi di treni verso incerte pianure... Ormai il fiume è un lago fermo tra muraglie, in [fondo ad un bosco serale: lenti viali in cerchio ci trascinano – ove [imbarca coppie d'amanti la corrente... E a noi forse sovviene di un istante, quando qualchecosa si perse ad un crocicchio: che non sappiamo. Sì che vuote ora – e disgiunte senza amore ci pendono le mani.

Fine di una domenica Rotta da un fischio all'ultimo tumulto s'è scomposta la mischia: sulle lacere maglie e sui volti in furia – vedo

La poesia di Sereni è aggiunta nella terza edizione di Frontiera (1966) e racconta di una partita di calcio (Inter-Juventus, infatti esce per la prima volta col titolo Inter-Juve in Elogio olimpico, Antologia di poesie sportive da Omero a oggi, a cura di Gian Piero Bona, Milano, Scheiwiller, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1960, p. 126). Si tratta di una descrizione in cui larga importanza è data all’effetto visivo delle squadre nello stadio: la bicromia delle magliette spicca sullo sfondo verde del prato e sui fazzoletti sui petti delle donne. All’aspetto visivo si unisce quello uditivo con l’“hallalì” che giunge dagli spalti (è un 78


antico grido usato soprattutto nella caccia, con il quale si indicava che la preda era ormai senza scampo o già stata uccisa, e qui ben si accorda con la descrizione dei giocatori juventini come zebre) e il suono di un trillo che lo spezza, probabilmente il fischio dell’arbitro che decreta la fine della partita. Un’immagine malinconica chiude la seconda strofa: pioggia e silenzio cancellano la gioia della partita che anima i primi versi. Bernabò annovera anche le partite di calcio nei temi che caratterizzano la “linea lombarda” ma questa poesia non è tra quelle antologizzate da Anceschi. Pozzi scrive Fine di una domenica due anni dopo la composizione di Sereni di Domenica sportiva e potrebbe dunque aver avuto modo di leggere questi versi (s’intende tramite uno scambio privato, perché Domenica sportiva è pubblicata per la prima volta solo nel 1960, come poco sopra ricordato). Siamo di fronte a due poesie che presentano tratti tipici della scrittura dei loro rispettivi autori: quella di Sereni è breve, formata da due sole strofe con 7 e 4 versi. Racconta una visione in poche pennellate: una partita di calcio e poi un giorno di pioggia in cui sopravvive di essa solo il ricordo. Fine di una domenica, anche se formata da frasi brevi e spezzate da numerosi enjambement, è più articolata e lunga, formata da 4 strofe e da 25 versi. Si apre con l’immagine della folla che si allontana dallo stadio «rotta da un fischio», forse lo stesso fischio di fine partita di cui scrive Sereni, e quindi subito emerge una linea di continuità data dall’ambientazione dello stadio, con i suoi suoni e i suoi frequentatori. In Fine di una domenica seguono scene che sembrano ambientate in altri luoghi: in strade che si allungano nei prati, presso un fiume e poi 79


un bosco, da cui dipartono treni o barche che trasportano innamorati. Dopo queste rappresentazioni, come accade spesso nella poesia pozziana, l’ultima strofa vede la comparsa di un “noi”, di due figure, tra cui l’io della poetessa, che, ad un certo punto della loro vita, di cui la strada e il crocicchio sono metafora, hanno perduto qualcosa, forse l’innocenza o la fiducia, ma nessuna spia è posta nel testo per permetterci di capire di cosa si tratti. Il lettore sa solo che dopo questa perdita i due non riescono più a provare amore e lasciano che le loro mani penzolino lungo il corpo senza più incontrarsi. Gli esiti di entrambi i testi sono venati di tristezza, raccontano della perdita di una felicità, legata in un caso alla festa del gioco del calcio, nell’altro al sentimento più nobile, l’amore. Entrambi parlano di una partita che finisce, di qualcosa che è stato e non è più, del quale resta solo un sentore vago. Il lessico di Antonia non è mai scevro di espressioni pregnanti: le vesti della gente della folla sono «lacere», i volti «in furia», le strade sono «rozze», e poi parole come «tumulto», «mischia», l’incipit con il verso che sembra cadere nel mezzo di un’azione e che letteralmente “rompe” il silenzio... sono come squarci di colore che incupiscono il tono della poesia e stridono con le immagini del «cielo […] bianco, / quasi soffice lana», con l’immagine dei «calmi greggi [che] dormono» che apre la seconda strofa, dei «lenti viali» della terza e con la mestizia degli ultimi versi, che sembrerebbero quasi da leggersi con un tono di voce più basso e raccolto. Non dimentichiamo di notare che questa poesia della Pozzi è la stessa da cui Sereni riprende il verso «all’ultimo tumulto» in 3 80


dicembre, verso che abbiamo scelto di porre come titolo della ricerca per indicare un punto di contatto evidente tra le opere dei due autori. Forse sono altre le poesie dei nostri scrittori che potrebbero a pieno titolo rappresentare esempi di testi sulla periferia, ma queste ci sembrano le più ricche di contatti, echi e risonanze, non solo tematici ma anche tonali. E davvero potrebbe sembrare di leggere Sereni quando si incontrano versi quali «e non ha un senso / quest’avviarsi di treni verso incerte / pianure...».

3. 3 Una morte che non dà quiete Un tema caro sia a Pozzi che a Sereni è senza dubbio quello della morte. Nel primo paragrafo di questo capitolo introduco l’argomento brevemente e osservo come si possa parlare per Sereni di fedeltà ai morti, figure che aleggiano già nei primi versi del poeta di Luino e che torneranno ancora nelle raccolte successive, e per Pozzi di una sorta di cupio dissolvi, di una morte sempre pensata e vissuta nella finzione poetica e quasi desiderata. Se anche in Pozzi troviamo pensieri rivolti ai morti, ad esempio in poesie ambientate presso cimiteri di paese, il tema che più acutamente emerge dai versi di Parole è quello della propria morte, più volte immaginata. I testi attraversati da questo motivo sono diversi: […] E un giorno nuda, sola, stesa supina sotto troppa terra,

81


starò, quando la morte avrà chiamato.170 Ma fronti lisce di fanciulle a me rimproverano gli anni: un albero solo ho compagno nella tenebra piovosa e lumi lenti di carri mi fanno temere, temere e chiamare la morte.171

Questi sono solo due esempi tra molti altri che si potrebbero proporre, ma li scelgo perché tratti da periodi molto distanti tra loro: Canto della mia nudità è composta nel luglio 1929, e ricordiamo che il primo testo di Pozzi risale all’aprile di quello stesso anno, mentre Nebbia è una delle ultime poesie dei Quaderni, in cui è da notare che Antonia si sente vecchia, e ha solo 25 anni. Leggendo versi come questi tornano alla mente le parole scritte da Dino Formaggio sulla sua amica (e su Cesare Pavese): «Due morti nate dentro e più volte avvicinate lungo tutta una vita, forse nate insieme a loro come la loro poesia».172 Nella scrittura pozziana la morte si tinge a volte di toni lievi e soffusi, altre volte quasi macabri e violenti. Si ha l’impressione che la ragazza conviva con questo fatale presentimento anche con una certa naturalezza, e lo rielabori cercando di gettarlo fuori di sé, nella

Antonia Pozzi, Canto della mia nudità, in Parole, in Poesia che mi guardi, cit., p. 69, vv. 17-19. Poesia datata Palermo, 20 luglio 1929. Questi versi chiudono un componimento in cui la poetessa descrive il proprio corpo in modo positivo e seguono immediatamente versi in cui si parla di un’unione carnale, e per questo hanno l’effetto di stupire fortemente il lettore. Da un lato la morte sembra semplicemente collocata al proprio posto: alla fine, come destino ultimo del proprio corpo; dall’altro questo pensiero stride in modo evidente con la descrizione delle proprie membra di una ragazza diciassettenne. 171 Antonia Pozzi, Nebbia, Ibidem, p. 392, vv. 7-11. Poesia datata 27 novembre 1937. 172 Dino Formaggio, Una vita più che vita in Antonia Pozzi, in Gabriele Scaramazza, La vita irrimediabile, cit., p.141. 82 170


scrittura. Ma l’incanto freudiano della sublimazione riesce solo per alcuni anni. Sereni convive invece con i morti e il loro ricordo. Sembra quasi cercare un dialogo con essi, un punto di contatto. Abbiamo parlato di 3 dicembre, dedicata al ricordo di Antonia Pozzi. Leggiamo altri versi: Era questo l’augurio: camminare, o frusciante di passi nella sera, nell’oscura tua folla che trascorre all’ombra fedele dei morti.173 e il canto che avevi, amica, sulla sera torna a dolere qui dentro, alita sulla memoria a rimproverarti la morte.174

Di questa seconda poesia Sereni scrive a Giancarlo Vigorelli parole che mi sembrano più eloquenti di qualunque commento: «quella morte può essere morale e fisica, distanza e oblìo, a piacere. Col senso, da parte mia, di qualcosa che irrimediabilmente è perduto, accresciuto da questo prossimo materiale partire e dalla nostalgia di quello che non è stato vissuto».175 Il tema dei morti diventerà centrale nella fase poetica successiva, in poesie de Gli strumenti umani come La spiaggia o Sopra un’immagine sepolcrale, di Stella variabile come Paura Seconda, dove i morti sono simbolo del reale significato dell’esistenza e della caducità della stessa. Leggiamo due poesie su questo tema: Vittorio Sereni, Paese, in Frontiera, in Poesie, cit., p. 37, vv. 1-4. Poesia datata 193840. 174 Vittorio Sereni, Diana, Ibidem, p. 23, vv. 23-26. Poesia datata 1938. 175 Lettera a Giancarlo Vigorelli dell’8 luglio 1938, oggi in Dante Isella, Giornale di «Frontiera», cit. La leggo in Vittorio Sereni, Poesie, cit., p. 327. 83 173


Strada di Zenna

Funerale senza tristezza

Ci desteremo sul lago a un’infinita navigazione. Ma ora nell’estate impaziente s’allontana la morte. E pure con labile passo c’incamminiamo su cinerei prati per strade che rasentano l’Eliso.

Questo non è esser morti, questo è tornare al paese, alla culla: chiaro è il giorno come il sorriso di una madre che aspettava. Campi brinati, alberi d’argento, [crisantemi biondi: le bimbe vestite di bianco, col velo color della brina, la voce colore dell’acqua ancora viva fra terrose prode. Le fiammelle dei ceri, naufragate nello splendore del mattino, dicono quel che sia questo vanire delle terrene cose -dolce-, questo tornare degli umani, per aerei ponti di cielo, per candide creste di monti sognati, all’altra riva, ai prati del sole.

Si muta l’innumerevole riso; è un broncio teso tra l’acqua e le rive nel lagno del vento tra le stuoie tintinnanti. Questa misura ha il silenzio stupito a una nube di fumo rimasta di qua dall’impeto che poco fa spezzava la frontiera. Vedi sulla spiaggia abbandonata turbinare la rena, ci travolge la cenere dei giorni. E attorno è l’esteso strazio delle sirene salutanti nei porti per chi resta nei sogni di pallidi volti feroci, nel rombo dell’acquazzone che flagella le case. Ma torneremo taciti a ogni approdo. Non saremo che un suono di volubili ore noi due o forse brevi tonfi di remi di malinconiche barche. Voi morti non ci date mai quiete e forse è vostro il gemito che va tra le foglie nell’ora che s’annuvola il Signore.

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Le poesie sono Strada di Zenna di Vittorio Sereni, datata 1938,176 e Funerale senza tristezza di Antonia Pozzi, datata 3 dicembre 1934.177 Dante Isella ci informa, negli apparati critici di Vittorio Sereni, Poesie, che una prima stesura di Strada di Zenna è presente in una lettera a Giancarlo Vigorelli datata 10 aprile 1938. Non sappiamo se Pozzi abbia letto questa poesia. L’aprile 1938 è il mese in cui tiene le due conversazioni su Aldous Huxley presso la cattedra di Estetica della Regia Università di Milano, probabilmente volute dallo stesso Sereni, quindi i contatti tra i due, anche se probabilmente la frequentazione non è più così assidua, non cessano del tutto. Forse Sereni può invece aver avuto modo di leggere Funerale senza tristezza, composta sul finire dell’anno in cui i due con tutta probabilità si conoscono. Ma anche di questo, non rimane nessuna testimonianza. Questi due testi non mostrano segni di contatto o riecheggiamenti, sono anzi molto diversi l’uno dall’altro, ma ci permettono di approfondire alcune linee delle due poetiche messe a confronto. La frazione di Zenna appartiene al comune di Pino sulla Sponda del Lago Maggiore, in provincia di Varese, circa 15 chilometri a nord di Luino. La poesia è scritta pensando a Bianca B., una ragazza di 15 anni che Sereni conosce nel 1937 mentre si trova in vacanza a Luino. Secondo Giosue Bonfanti, che cura la cronologia in Vittorio Sereni, Poesie, lei è la destinataria delle liriche della terza sezione di Frontiera, omonima. Sereni se ne innamora, è attratto «dalla sua bellezza e dall’intangibile suggestione

Vittorio Sereni, Strada di Zenna, in Frontiera, in Poesie, cit., pp. 33-34. Antonia Pozzi, Funerale senza tristezza, in Parole, in Poesia che mi guardi, cit., p. 287. 85 176 177


della morte»178 e scrive «indirettamente di lei e per lei (perfino Zenna) […] [nel] tentativo di piegare quella morte alla vita».179 La poesia si apre con l’indicazione di ciò che accadrà in futuro: un risveglio sul lago durante un viaggio perenne. Il lago è solitamente in Sereni simbolo di un paesaggio idilliaco, qui forse è simbolo di un mondo incantato dopo la morte. Nel secondo verso un’avversativa respinge però questo pensiero di eternità e allontana l’idea della morte perché il sopraggiungere dell’estate fa venir voglia di vita e allegria. Ma questo pensiero ritorna e chiude la prima strofa: l’Eliso sarà la meta finale del viaggio dell’esistenza, ovvero il giardino di delizie della mitologia greca e romana dove dimorano dopo la morte gli uomini che sono stati pari agli dei. È con questa consapevolezza che dalla gioia si passa alla tristezza e anche il suono del vento sembra ormai un lamento. Torna a questo punto l’immagine della frontiera, rotta da un impeto che di sé lascia solo una nuvola di fumo. Il poeta descrive la sabbia che si muove alzata dal vento sulla spiaggia ed è come un travolgente vortice di polvere dei giorni passati. Nell’immediato circondario si odono sirene di navi in partenza e il rumore delle piogge estive che battono furiose sulle case. E poi il finale: ogni porto sarà raggiunto in silenzio, ogni meta, fuor di metafora, o forse accompagnata dal solo suono dei remi affondati nelle acque del lago. Il pensiero dei morti chiude la poesia con l’ultima strofa, ed è un pensiero sempre presente, che sembra concretizzarsi nell’ululato del vento tra i rami degli alberi, nella sera. L’ambientazione che Sereni descrive è quella di un lago, della sua spiaggia, delle case intorno ad esso, delle barche che lo percorrono. Un Giosue Bonfanti, Cronologia, in Vittorio Sereni, Poesie, cit., p. CV. Lettera di Vittorio Sereni a Giancarlo Vigorelli del 7 novembre 1940, oggi in Dante Isella, Giornale di «Frontiera», cit. La leggo in Vittorio Sereni, Poesie, cit., p. 346. 86 178 179


lago vicino alla frontiera, e se questo lago è il Lago Maggiore la frontiera è quella poco distante con la Svizzera. Il presagio di morte che apre il componimento diventa vita sempre accompagnata dal pensiero dei morti nel finale, e le immagini che Sereni sceglie per raffigurare queste presenze sono delicate ed eloquenti: il vento che sembra lamentarsi, la spiaggia desolata su cui turbina la sabbia, le sirene delle navi in partenza, un temporale... Il poeta proietta sull’ambiente la propria meditazione sul fine vita, e sembra vedervi segni della presenza dei morti. L’aggettivazione è qui fondamentale per connotare gli oggetti descritti nel senso voluto dal poeta: la navigazione è «infinita», il passo «labile», il silenzio «stupito», la spiaggia «abbandonata», i volti «pallidi» e «feroci». E anche l’uso dell’avversativa mi sembra fondamentale per definire il punto verso cui lo scrittore vuole far convergere la riflessione: «Ma ora» (v. 2), «Ma torneremo» (v. 26). La morte è lì, aspetta al termine del cammino, e chi l’ha già incontrata resta in qualche modo nel mondo a far da monito per i vivi. La poesia di Pozzi racconta di una morte serena: la lirica si apre con la descrizione di un funerale in cui le immagini predominanti sono dolci e candide come bambine vestite di bianco, crisantemi, prati di brina, mattinate splendide, e continua con l’immagine delle fiamme dei ceri della cerimonia che sembrano dire che il tempo che scorre, la caducità delle cose terrene e la morte degli uomini non sono che l’esito naturale della vita, e il decesso è immaginato come un ritorno (due volte è impiegato in questo senso il verbo «tornare», al v. 2 e al v. 20) al proprio paese d’origine, all’origine stessa dell’esistenza (la culla), che è simboleggiata da un prato illuminato dal sole, al di là di una riva che si trova oltre i cieli e i monti. 87


Questa poesia della Pozzi raggiunge esiti molto alti, ed è pervasa da un’atmosfera di candore e di purezza: tutto è in piena luce, la morte non è più connessa al colore nero ma è bianca e «senza tristezza». Qui forse Pozzi perviene davvero alla sublimazione di quel pensiero angosciante che la accompagna sempre, sembra una accettazione consapevole e priva di timore. Ma Antonia ha 22 anni, e molte volte ancora tornerà su questo leitmotiv della sua poesia, rielaborandolo ulteriormente e non riuscendo mai a liberarsene del tutto. Funerale senza tristezza è riportata interamente sia in In riva alla vita di Alessandra Cenni sia in Per troppa vita che ho nel sangue di Graziella Bernabò, le due biografie di Antonia Pozzi.180 Entrambe le autrici la pongono accanto alla descrizione del funerale reale della Pozzi, avvenuto a Pasturo, scrivendo che lei l’aveva in questa poesia anticipato e prefigurato, senza compiacimenti morbosi ma con numerosi simboli positivi tra quelli a lei più cari: cielo, sole, bianco e purezza, acqua sorgiva, monti... Secondo Bernabò qui emerge la più autentica religiosità pozziana: un’adesione panica al mondo e alla vita, anche nel momento più difficile che è quello della sua fine.

Conclusione

Cfr. Alessandra Cenni, In riva alla vita, cit., pp. 31-32, e Graziella Bernabò, Per troppa vita che ho nel sangue, cit., pp. 296-297. 88 180


Questa trattazione non ha la pretesa di presentarsi come uno studio assolutamente esauriente sui rapporti e le reciproche influenze dei poeti Antonia Pozzi e Vittorio Sereni. Credo possa considerarsi un buon inizio. Soprattutto l’ultimo capitolo meriterebbe di essere ampliato e approfondito, oltre che affiancato da altri studi sugli influssi rintracciabili nella scrittura della Pozzi. Sarebbe interessante realizzare su Antonia uno studio simile a quello da lei compiuto su Flaubert: una ricerca sulla formazione letteraria, a partire dai testi conservati nella sua biblioteca privata nella residenza di Pasturo. Sarebbe di grande importanza che venissero ritrovate le lettere di Sereni all’amica, nella speranza che non siano andate irrimediabilmente perdute. E chissà, magari anche altri componimenti che i due si scambiavano negli anni in cui la loro frequentazione era assidua, addirittura quotidiana. Quanto emerge da questa tesi è che esistono senza dubbio linee di continuità tra le opere dei due, in modo particolare in merito ai temi della periferia, con i suoi treni e le sue nebbie rotte da fanali in corsa, simboli di precarietà dell’esistenza, di un mondo per certi aspetti più autentico, ma disperante nella sua povertà e miseria. Lo stupore dei due scrittori di fronte a queste realtà si esprime in modi differenti, come abbiamo visto: non si presenta mai come rabbia, ma come malinconica perplessità in Sereni, come compartecipazione anche feroce in Pozzi, con un’adesione sincera alla realtà anche più umile. La lettura di Parole e quella di Frontiera, compiute più e più volte per carpirne l’anima più vera, sono esperienze fortemente diverse. Parole cambia tono e aspetto nel corso delle pagine, man mano che gli anni delle date delle poesie aumentano, e in certi punti colpisce il lettore con 89


immagini vivide e indimenticabili. Anche la lettura a fini di studio di queste poesie è di primo acchito appassionante e travolgente. Allontanarsi dal coinvolgimento emotivo da esse provocato per poterle osservare ed analizzare con ragionata “freddezza” critica è però un’occasione unica per poterne capire a fondo le trame, le origini, la vita che in esse trapassa direttamente dalle giornate della loro autrice. Alla fine (che poi non è mai veramente tale) di questo tipo di lavoro l’apprezzamento per questi versi non può che uscirne amplificato. Credo che la passione per gli oggetti dei propri studi sia un ottimo stimolo per compiere questi ultimi al meglio delle proprie capacità. Per quanto riguarda la lettura di Frontiera mi trovo d’accordo con Luciano Anceschi che ha scritto che un solo incontro con queste poesie non è sufficiente per comprenderne pienamente le numerose sfumature: inizialmente questi versi sembrano difficili, impenetrabili. Ma più tardi, con il tempo, è possibile percepirne i significati profondi, inscindibilmente legati ad una precisa epoca storica e a luoghi ben determinati: gli anni ’30 e la Lombardia, con la sua Milano ma anche i suoi laghi, monti, nebbie e confini con l’Europa civile, in contrasto con il regime fascista italiano. Il tocco di Sereni sulla pagina è lieve, mai urlato come accade invece a Pozzi in certi testi, i toni dell’inverno, stagione molto presente nelle poesie, sembrano allargarsi ed abbracciare tutto il libro, malinconici. La voce del poeta è qui certo più coerente, dall’inizio alla fine del libro, che appare come un organismo consapevolmente strutturato e concepito. Non è stato compito facile selezionare i testi per il confronto nell’ultimo capitolo. Si è scelto di privilegiare le risonanze più evidenti nel paragrafo 3. 2, con le poesie Domenica sportiva e Fine di una domenica, mentre l’intento del paragrafo 3. 3 è stato quello di esaltare le differenze, intorno 90


ad una tematica comune, delle poetiche di Pozzi e Sereni, dove si capisce la tendenza

dell’autrice

di

Funerale

senza

tristezza

a

“buttarsi”

completamente e in prima persona nei temi trattati nella scrittura, mentre viene confermata la capacità di Sereni di raccontarsi con certo cauto distacco. Mi domando se il loro essere donna e uomo possa significare qualcosa in questa differenza, o se essa sia data semplicemente da un diverso modo, individuale, di concepire la poesia. Vorrei chiudere con delle parole di Antonia Pozzi che in questi giorni, mentre scrivo, mi tornano in mente di continuo, e che mi sembrano una sorta di dichiarazione del modo in cui in lei nasceva l’ispirazione. Si tratta di un pensiero scritto da Antonia Pozzi a Dino Formaggio, sul retro di una delle fotografie da lei scattate e donate all’amico: E a chi tocchi di camminare a lungo da solo per una strada così bella, capita magari di trovarsi ad un tratto disteso per terra tutto in un pianto, perché ci sono soavità così perfette che fanno orribilmente soffrire e gridare il nome di tutte le cose e le persone perdute...181

Bibliografia

Lo leggo in Dino Formaggio, Una vita più che vita in Antonia Pozzi, in Gabriele Scaramazza, La vita irrimediabile, cit., p. 146. 91 181


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Desidero ringraziare Giacomo, Giulia e Anna che mi hanno accompagnata nei miei pellegrinaggi da un incontro su Antonia Pozzi all’altro. Mio papà e Clara (che mi ha anche aiutata a reperire libri irreperibili) per avermi indicato alcuni di questi incontri. Mia mamma e Laura, in ogni caso. Flavio per gli articoli e la fiducia. 97


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