LECH RACZAK Teatro 1964-2006 INDICE
Premessa.................................................p.3
Breve profilo biografico.................................p.5
Gli anni del Teatr Ósmego Dnia -
Gli esordi............................................p.7
-
La contestazione e il problema della “verità”........p.20
-
Lo stato di guerra: teatro clandestino...............p.26
-
Il periodo dell’esilio...............................p.31
-
L’abbandono..........................................p.37
Appendice (I): Cronologia dell’attività di Lech Raczak dal 1964 al 1993 (Teatr Ósmego Dnia)........................p.41
Il “problema Grotowski” e altri nodi da sciogliere -
Para-ra-ra,
presenze
assenti
e
il
Grotowski
dei
polacchi.............................................p.47 -
Teatr
107:
esempio
di
un
manifesto
del
Teatro
di
Gruppo...............................................p.83 -
Fare teatro oggi: il Teatro senza il Gruppo e il problema della contestazione..................................p.90
Appendice
(II):
Tre
articoli
di
Lech
Raczak
in
prima
traduzione italiana -
Para-ra-ra...........................................p.95
-
La presenza non presente............................p.111
-
Teatr 107...........................................p.117
1
Teatro 1993-2006 -
Brat...........................................p.131
-
Post-Ósmego Dnia: Orbis Tertius................p.137
-
Le regie italiane..............................p.139
-
Il Malta Festiwal..............................p.151
-
Il lavoro con gli Stabili......................p.156
Appendice (III): Cronologia dell’attività di Lech Raczak dal 1993 al 2006...........................................p.173
Appendice (IV): Tavole di alcuni dei progetti scenografici per gli spettacoli di Lech Raczak......................p.175
Bibliografia...........................................p.185
Ringraziamenti.........................................p.189
2
PREMESSA Questo
lavoro
pubblicazione Janusz
di
tesi
del
libro
e
Grzegorz
Degler
intende Essere
porsi
un
sulla
uomo
Ziołkowski
scia
totale,
(ed.
a
della
cura
Titivillus,
di
Pisa,
2005), che ha aperto uno spiraglio sulla ricezione polacca dell’eredità
grotowskiana
ma
anche,
più
in
generale,
sul
teatro polacco di ricerca del secondo Novecento.
Per farlo, si è scelto tuttavia un punto di partenza e di osservazione particolare, ossia l’indagine del lavoro di un artista
–
Lech
dall’esperienza
Maria di
Raczak
–
Grotowski,
formatosi
che
ha
a
partire
successivamente
sviluppato un metodo personale di lavoro basato sul teatro di gruppo, sia nel corso della propria trentennale esperienza di fondatore e regista di un noto teatro alternativo polacco (il Teatr
Ósmego
Dnia),
sia,
negli
ultimi
anni,
come
artista
autonomo.
La tesi quindi prenderà le mosse dai primi anni di formazione di Lech Raczak, con l’esperienza dei teatri studenteschi, per toccare capitoli
l’importante centrali
trentennio
verrano
del
presi
in
Teatr
Ósmego
esame
tre
Dnia.
Nei
importanti
articoli scritti da Lech Raczak su Grotowski (presenti qui in prima
traduzione
italiana),
per
cercare
di
inoltrarsi
nel
problema della ricezione del “fenomeno Grotowski” in ambiente polacco e della sua differenza rispetto alla ricezione estera, a
partire
dalla
prospettiva
“controcorrente”
di
Raczak,
giungendo poi ad analizzare nel dettaglio la personale visione artistica di quest’ultimo. Infine, si tenterà una provvisoria – per forza di cose – rassegna degli spettacoli di Lech Raczak degli ultimi dodici – tredici anni, vale a dire del periodo “fuori dal gruppo”, cercando di ritrovarvi un filo conduttore.
3
Il tentativo, in sostanza, è quello di offrire un ritratto di uno dei più noti (in Italia, purtroppo, non molto) registi polacchi di teatro di ricerca della generazione immediatamente successiva
a
potenzialmente
Grotowski, una
serie
nella di
speranza
lavori
di
sulla
avviare ricerca
almeno teatrale
polacca, un campo di grande interesse ma sfortunatamente poco affrontato fino ad ora.
La
scarsità
di
bibliografia
sull’argomento
è
stata
parzialmente rimediata con l’aiuto di pubblicazioni in lingua polacca1, ma soprattutto con interviste svolte dalla scrivente nel
corso
dell’anno
2006
a
Lech
Raczak
stesso,
nonché
con
materiali di archivio sugli spettacoli del Teatr Ósmego Dnia e sugli altri spettacoli di Lech Raczak, cortesemente messi a disposizione dal regista.
1 Tradotte con il preziosissimo aiuto di Daria Anfelli, che con Lech Raczak ha lavorato diversi anni, già autrice, tra l’altro, di una tesi di laurea in Drammaturgia sul Teatr Ósmego Dnia presso il Dams di questo stesso Ateneo (datata a.a. 1991-1992).
4
BREVE PROFILO BIOGRAFICO
LECH MARIA RACZAK nasce a Krzyzanowo (Polonia) il 27 gennaio del 1946. Studente alla facoltà di Polonistica (l’analogo delle nostre Lettere) di Poznań, si laurea nel 1967 in Teatrologia con una tesi
sui
primi
anni
di
attività
del
Teatr
Laboratorium
di
Grotowski. Pochi anni dopo, nel 1964, fonda il gruppo Teatr Ósmego Dnia con altri studenti della facoltà di Lettere, gruppo del quale diventa regista nel 1967 – con lo spettacolo Danza della morte e della fortuna – e nel quale resterà fino all’anno 1993. Con l’Ósmego Dnia è protagonista di un’intensa stagione teatrale, soprattutto tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni
Ottanta,
socialista, guerra
da
quando
in
culminante parte
Polonia
con
del
la
l’inasprimento
dichiarazione
generale
Jaruzelski
del
dello nel
regime
stato
1984,
di
porta
all’emergere di un movimento di riforma sociale, politica e culturale che si coagula sotto il nome di Solidarność. Con il suo gruppo, Raczak comincia a rappresentare i propri spettacoli
nei
circuiti
clandestini
indipendenti
e
poi,
nel
1986, raggiunge parte del gruppo all’estero, prendendo parte a una lunga tournée-esilio che si concluderà nel 1990 con il rientro ufficiale in Polonia dopo la caduta del regime. Fra il 1992 e il 1993 Raczak, a seguito di conflitti personali e artistici con i compagni di lavoro, matura la decisione di abbandonare il Teatr Ósmego Dnia; cosa che fa, seguito da una parte degli attori, nel 1993. Subito dopo fonda con gli stessi attori il gruppo teatrale internazionale
Sekta
(1993-1996)
con
il
quale
produce
lo
spettacolo Orbis Tertius (1994). Per motivi economici il gruppo è però costretto a interrompere la sua attività. Per tre anni (1995-1998) Raczak è direttore del Teatr Polski (Teatro Stabile) di Poznań e mentre poco prima aveva dato vita 5
insieme ad altri al Festival Internazionale di Teatro Malta di Poznań,
uno
dell’Europa
dei
più
importanti
centro-orientale,
festival
del
di
quale
artistico – carica che ricopre tutt’oggi -
teatro
diventa
open-air direttore
nel 1993.
Nel 1997 si trasferisce in Italia, a Verona, e comincia una serie di collaborazioni con vari gruppi della penisola: nel 1998
a
Catania,
spettacolo lavora
con
per
le
Cagliostro il
Orestiadi
con
Teatro
il
di
Teatro
Aenigma
di
Gibellina, Arca;
Urbino,
dirige
lo
successivamente dirigendo
alcuni
spettacoli ma soprattutto laboratori per attori e registi. Nel
frattempo
indipendente
in
riprende
la
Polonia,
con
sua
attività
diversi
gruppi
come e
regista
compagnie
di
Stabili, avviando una collaborazione particolarmente fruttuosa con il Teatr Helena Modrzejewska di Legnica. Dopo alcune esperienze in Italia con il gruppo Uqbarteatro di Verona, oggi Lech Raczak lavora soprattutto in Polonia. Fra le sue
ultime
produzioni
sono
Trans-Atlantic
con
il
Teatr
Aleksander Fredry di Gniezno (2004) e Plac Wolności 2 con il Teatro Stabile di Legnica. (2005); di recente debutto la sua ultima
produzione
Wyprawa
(Spedizione),
uno
spettacolo
di
strada. Raczak
svolge
pubblicando
inoltre
articoli
attività
sulle
di
maggiori
scrittura riviste
di
e
critica
teatro
in
Polonia e all’estero, e da qualche anno è professore ospite presso l’Accademia delle Belle Arti di Poznań.
6
GLI ANNI DEL TEATR ÓSMEGO DNIA Probabilmente il periodo più importante – e più famoso – del lavoro di Lech Raczak è il trentennio 1964-1993. In questo lasso di tempo, infatti, Raczak prende parte alla formazione, allo sviluppo e alla stabilizzazione di uno dei più importanti gruppi di teatro di contestazione in Europa – il Teatr Ósmego Dnia.
GLI ESORDI Il Teatr Ósmego Dnia (Teatro dell’ottavo giorno2) viene fondato nel 1964 all’Università Adam Mickiewitz di Poznań da un gruppo di
studenti
della
facoltà
professionalizzazione
del
di
gruppo
Filologia.
avvenga
molto
Benchè
la
tardi,
nel
1979, come realtà teatrale esso emerge ben prima. La dicitura iniziale del 1964 identifica il Teatr Ósmego Dnia come come “teatro studentesco di poesia” e infatti nei primi anni il gruppo
è
fortemente
legato
all’esperienza
di
quella
nuova
corrente letteraria polacca denominata Nowa Fala (lett. “Nuova Ondata”); il direttore letterario del gruppo, fino al 1967, sarà Stanislaw Baranczak3, uno degli esponenti di punta del movimento. Sempre seguendo questa linea, le prime esperienze del
gruppo,
della
messa
fino in
a
circa
scena
il
1966-67,
ispirata
alla
sono
poesia;
nella in
direzione
particolare
vengono messi a punto montaggi di versi poetici, accanto alla rivisitazione di alcuni testi teatrali sia classici che non. L’anno 1966 rappresenta l’inizio di una svolta fondamentale nella vita e nell’identità del gruppo. Fino a questo momento, 2
Secondo la leggenda, l’ottavo giorno Dio creò il teatro. Nato a Poznań nel 1946, esordisce nel 1968 con la raccolta Koretka twarzy (“Ritocchi facciali”), pubblicando poi Jednym tchem (“In un soffio”, tra l’altro titolo di uno spettacolo del T.Ó.D.); ottiene numerosi riconoscimenti e nel 1971 pubblica l’importante saggio Nieufni i zadufani (“Diffidenti e fiduciosi”), ponendo il principio della “diffidenza, criticità e demistificazione” nella letteratura. Nel 1976 gli viene impedito di pubblicare ufficialmente in Polonia, e allora comincia un’intensa collaborazione con la rivista clandestina ZAPIS e con la casa editrice indipendente NOW, come scrittore, articolista e traduttore.
3
7
Lech Raczak, che ha preso parte alla fondazione del gruppo, partecipa in veste di attore.
Nel 1966 il Teatr Ósmego Dnia incomincia una collaborazione con Zbigniew Osinski4, che introduce i membri del gruppo al lavoro
di
proprio
Jerzy in
Grotowski
quegli
internazionale
con
e
anni la
del
Teatr
Laboratorium,
raggiungeva
la
tournée-rivelazione
che
consacrazione
de
Il
principe
costante. Al momento, nel ’66, la frequentazione con il metodo di
Grotowski
si
limita
alla
conoscenza
teorica
di
alcuni
elementi di tecnica e alla visione di qualche spettacolo; la cosa
basta
stile
però
degli
per
introdurre
spettacoli;
modifiche
nel
1967,
sostanziali
con
lo
nello
spettacolo
Warszawianka diretto da Osinski stesso, il Teatr Ósmego Dnia è il primo teatro studentesco polacco a rinunciare alla scena teatrale tradizionale. Il biennio 1966-67 è fondamentale anche perché in esso avviene il debutto alla regia di Lech Raczak, che resterà poi regista principale
fino
al
suo
abbandono
del
gruppo
nel
1993,
dirigendo la maggior parte degli spettacoli prodotti dal Teatr Ósmego Dnia. Il debutto avviene il 2 giugno del 1967 a Poznań, con lo spettacolo Danza della morte e della fortuna (tratto dai versi di W. Chlebnikow), che si guadagna il primo premio al festival dei teatri amatoriali di Poznań.
Il 1968 è un anno fondamentale per molti versi. Per prima cosa, il Teatr Ósmego Dnia ha la possibilità di conoscere in modo
approfondito
intenso membro
e del
il
metodo
sistematico Teatr
di
Grotowski,
allenamento
Laboratorium
Z.
cominciando
attoriale, Spychalski.
condotto Lech
un dal
Raczak
diventa il direttore artistico del teatro in ottobre, firmando un
mese
dopo
il
fondamentale
spettacolo
Pensieri
sul
condottiero (da S. Zeromski). Lo stile del gruppo si è formato 4
Ancora oggi uno dei maggiori studiosi dell’attività di Jerzy Grotowski, ed in particolare del primo periodo del Teatr Laboratorium (il “teatro degli spettacoli”).
8
secondo
i
principi
composizione
dell’allenamento
degli
spettacoli
dell’attore
introdotti
da
e
della
Grotowski,
avviando nel contempo un lavoro di ricerca, personale e di gruppo, di nuovi mezzi espressivi e compositivi.
Ma il 1968, in Polonia come nel resto dell’Europa, è anche l’anno in cui esplodono le proteste studentesche. In Polonia esse assumono una veste particolare, attingendo a fonti di ispirazione
spesso
provenienti
dall’arte.
Le
istanze
di
liberazione dall’oppressione a livello sociale e politico si uniscono indissolubilmente, per il Teatr Ósmego Dnia come per una
miriade
nuovi
di
altri
linguaggi
gruppi
creativi,
studenteschi, sotto
l’egida
alla
ricerca
di
un
di
solo,
fondamentale concetto: quello della verità. Che poi era la stessa meta che si proponevano sia Nowa Fala sia, soprattutto, Grotowski.
L’influenza, a livello di contenuto, del messaggio del maestro di Opole e Wrocław è basilare nella definizione dell’identità artistica dei membri del gruppo. Come sarà meglio spiegato nel capitolo
dedicato
al
“problema
Grotowski”,
l’elemento
della
ricerca della verità, intesa come spontaneità, autenticità e sincerità, risulta centrale specialmente perché ci si trova in un
contesto
socio-politico
caratterizzato
dalla
pressoché
totale mancanza di affidabilità del comportamento pubblico, in particolare
di
dall’allora
diffusissimo
principio
della
dell’artista
e
quello
delle
istituzioni,
slogan
“La
demistificazione
stampa
della
dell’intellettuale
ben
era
testimoniato
mente”.
realtà
come
comunque
Questo dovere
uno
dei
principi di base del gruppo già dalla sua fondazione: possiamo ipotizzare che anche a seguito dell’esperienza con il Teatr Ósmego Dnia Stanisław Baranczak sia giunto alle considerazioni in materia di poesia contemporanea di cui scrive nel 1970:
9
Dunque
dovrebbe
essere
diffidenza.
Senso
critico.
Demistificazione. Dovrebbe essere tutto ciò fino a quando da questa terra sparirà l’ultima menzogna, l’ultima demagogia e l’ultimo poesia
atto
di
possa
violenza.
portare
a
Personalmente
tanto
(…)
non
Però
credo
credo
che
che
la
possa
contribuirvi, insegnando all’uomo a pensare al mondo secondo categorie di diffidenza razionale nei confronti di tutto ciò che lo minaccia sotto forma di menzogna, demagogia e violenza. Ciò avverrà quando la poesia alla quale io penso diventerà pienamente
e
coerentemente
diffidente,
quando
strapperà
la
maschera delle apparenze non solo al mondo esterno ma anche a se stessa. Quando al tempo stesso in ciò che la circonda e in ciò che affonda radici nel suo profondo mostrerà i conflitti, le
contraddizioni
e
la
pluralità
di
significati
che
si
nascondono sotto l’armonia, l’accordo e l’evidenza apparenti. Lì deve cominciare. Dalla diffidenza, che prepara la strada a ciò di cui tutti abbiamo necessità. Penso – non è originale, lo
so,
ma
ci
siamo
già
dimenticati
cosa
dovrebbe
essere
importante per noi – penso, naturalmente, alla verità.5
Dal punto di vista tecnico l’influenza di Grotowski, almeno nel primo periodo, risulta minore, o meglio, più superficiale: considerato che l’accesso agli spettacoli e all’attività di Grotowski era abbastanza limitato anche in Polonia, a causa del fatto che Grotowski era osteggiato dalle istituzioni e che comunque i suoi spettacoli accoglievano già allora un numero molto limitato di spettatori (per precisa scelta del regista), il Teatr Ósmego Dnia attinse a quelle indicazioni teoriche che poteva facilmente reperire grazie ai critici e agli studiosi del
Teatr
spettacolo
Laboratorium, e
ad
alcune
ossia
ai
nozioni
metodi
compositivi
riguardanti
la
dello
tecnica
dell’attore. Con ciò si spiega in parte il fatto che Raczak non si dichiari un “grotowskiano" pur ammettendo come basilare 5
S. Baranczak, Alcune ipotesi in materia di poesia contemporanea, in Nowa Fala. Nuovi poeti polacchi, a c. di G. Origlia, ed. Guanda, Milano 1981, p. 78.
10
l’influenza di Grotowski nel suo lavoro. L’idea della ricerca della verità, più che il discorso tecnico, aveva colpito nel segno. Alcuni principi teorici di Grotowski cominciarono però ad essere messi in atto sistematicamente: in particolare la regola
del
“contrappunto”,
contrastanti
fra
loro
ossia
per
il
ritmo,
montaggio
di
direzione,
elementi
intensità
e
carattere; poi la ricerca di nuove configurazioni dello spazio teatrale, seguendo quel principio per il quale ogni spettacolo richiede
un
suo
spazio,
spesso
diverso
dalla
scena
tradizionale e che frequentemente prevede un rapporto con il pubblico
di
spettacoli
forte
grotowskiani).
polifunzionali infine,
vicinanza
per
richiama
la
la
(non
diversamente
L’affidamento
realizzazione
nozione
di
a
mezzi
della
“teatro
dai
primi
semplici
messa
in
povero”.
A
e
scena, livello
contenutistico, inoltre, anche gli spettacoli del Teatr Ósmego Dnia
si
basano
come
quelli
di
Grotowski
sulla
ricerca
di
archetipi “buoni per pensare” l’attualità.
Pensieri
sul
condottiero,
realizzato
in
due
versioni
(la
seconda debutta nel maggio del 1969, e alla regia, a fianco di Raczak,
appare
anche
Spychalski)
è
dunque
uno
dei
primi
spettacoli firmati da Raczak. Il tema di questo spettacolo era quello del patriottismo guerriero, reinterpretato attraverso la messa in scena di una serie di sequenze impostate sul tema dell’assurdità della guerra, creando un effetto grottesco per il confronto stridente che veniva ad instaurarsi fra il tema del mito storico nazionale e quello dell’immaturità infantile elevata a valore. L’utilizzo del confronto-contrasto che crea il
grottesco
si
rivela
quindi
caratteristiche
dell’impostazione
infatti
ritroverà
lo
si
una
delle
registica
costantemente
nel
di suo
principali Raczak, modo
e di
lavorare. Un contrappunto, questo, che si distingue da quello di
altri
artisti
implicazioni,
per
che
lo così
utilizzano dire,
a
causa
delle
contenutistiche:
sue la
giustapposizione costante di elementi contrastanti all’interno 11
dello
spettacolo
(tematiche,
comportamenti
degli
attori,
personaggi, elementi tecnici) non serve solo alla creazione di un ritmo “extraquotidiano” che tenga desta l’attenzione dello spettatore (per dirla come l’Antropologia teatrale), ma anche a smascherare il comportamento quotidiano, le credenze e le mitologie
correnti,
secondo
quel
processo
di
“profanazione”
teorizzato e praticato da Grotowski stesso. Pertanto la scena di Pensieri sul condottiero collocava il mito
nazionalistico
della
guerra
patriottica
nella
cornice
assurda di un bagno scolastico, e la mitologia veniva resa ancor
più
deformante
grottesca della
poiché
voce
di
un
passava
attraverso
bidello
che
tiene
il
filtro
lezioni
di
patriottismo agli studenti. La ricerca del contrasto portato al massimo limite portava anche ad una ben definita scelta di campo
per
quanto
riguarda
lo
stile
“estetico”
del
modus
operandi del gruppo: infatti lo spettacolo si caratterizzava per il suo antiestetismo, per il fatto di non portare in scena solo i corpi armonici ed allenati degli attori ma anche la deformazione
consapevole
degli
stessi6,
senza
paura
di
scioccare il pubblico. La messa in scena del brutto provoca spesso risentimento perché viene a inquinare quel rapporto di idilliaca identificazione che lo spettatore compiaciuto attua nei
confronti
degli
attori.
Mostrandosi
come
esseri
umani
“difettosi” gli attori colpiscono in qualche modo l’ego dello spettatore
e,
data
la
portata
“universalistica”
del
tema
scelto per lo spettacolo, introducono una critica feroce della società in cui lo spettatore stesso è immerso. Lo si potrebbe definire una sorta di brechtismo sui generis.
Il problema dell’inestetismo non era solo, come vedremo fra breve,
un
problema
di
scelta
di
contenuti
motivato
da
una
precisa scelta comunicativa nei confronti del pubblico. Era 6 Cito da un’intervista degli anni ’80: “Gli attori cercano le cose giuste (…) un attore non deve solo cercare quello che ha in sé di buono, ma deve anche essere capace di dipingere se stesso come un mostro, in una cattiva posizione” (materiali d’archivio del T.Ó.D.).
12
anche,
ovviamente,
un
problema
tecnico
da
risolvere.
Chiaramente gli attori, come persone, si trovavano di fronte alla
difficoltà
di
rappresentare
se
stessi
in
maniera
sgradevole, di evidenziare o inventarsi i propri difetti, a volte di creare un “se stesso” mostruoso. La vicinanza fra attore
e
personaggio,
distintiva
del
modo
di
lavorare
del
gruppo, non faceva che rendere le cose ancor più difficili. Raczak
stesso
lo
riconobbe,
in
un’intervista
all’European
Association of Students Theatre, raccontando di come
Si mostra non solo quello che ci piace di noi, ma anche ciò che non accettiamo, la parte più oscura di noi, come vorremmo essere a livello ideale e come ne siamo lontani, quanto di animalesco
portiamo
sentimentali, questo
può
o
dentro
come
bloccare
di
siamo
noi,
crudeli
l’attore
perché
quanto verso
siamo
gli
parlare
banali,
altri. di
se
Tutto
stessi,
lavorare su situazioni personali che non ci piacciono e poi mostrarle
agli
altri,
crea
barriere
molto
complicate
e
richiede molto lavoro con il gruppo. (…) Ma le barriere sono anche importanti perché individuano un limite. Il lavoro di ricerca del
dell’attore
proprio
consiste
limite
e
poi
proprio superarlo
nel (…)
prendere Inoltre
coscienza i
limiti
dipendono anche dalla cultura alla quale si appartiene.7
Perciò la messa in scena del proprio limite era anche un modo “tecnico” per prenderne consapevolezza. E per essere coscienti del
fatto
persistono
che,
in
sempre
ogni e
caso,
oltre
un
anche
nell’attore,
certo
livello
è
i
limiti
impossibile
superarli.
Naturalmente tutto ciò ha molto a che fare con l’influenza, ancora una volta, di Grotowski e, di conseguenza, anche di Artaud. 7
Intervista con Lech Raczak all’European Association of Studente Theatre, da materiali privati del regista.
13
La differenza rispetto a questi ultimi è però ben definita dalla scelta dei temi: anche se talvolta essi sono estratti dalla grande mitologia (soprattutto polacca), l’elemento della ricerca del “sacro” è distante dal lavoro di Raczak (e del Teatr
Dnia8).
Ósmego
Il
problema
è
a
monte:
come
infatti
afferma Raczak stesso in un’intervista su The Drama Review del 1986
Per Grotowski principalmente, ma anche in certa misura per Artaud,
il
ricerca
problema
della
principale
sacralità.
Di
dell’arte
consisteva
conseguenza,
essi
in si
una sono
concentrati sulle caratteristiche rituali dell’azione umana. Noi, nel nostro lavoro, abbiamo polemizzato molto presto con tutto
ciò.
Siamo
più
interessati
alle
cose
banali
e
quotidiane. Abbiamo deciso che quello a cui dovremmo guardare per trovare ispirazione è il mondano. Se una delle funzioni essenziali associata
del
teatro
alle
cose
è
creare
volgari
la
della
catarsi, vita
allora
attuale
che
è
più
non
a
quelle collocate in una sacra e distante marginalità. Non si raggiunge
la
catarsi
violando
i
tabù
della
religione
ma
rompendo quelli della vita comune: ad esempio, utilizzando un linguaggio diverso da quello ufficiale.9
In
realtà
il
problema
discende
da
una
più
globale
considerazione filosofica dell’essere umano, che si distanzia enormemente intervista
da
quella
Raczak
offre
di una
Grotowski. lucida
e
Sempre
nella
stringata
stessa
analisi
di
questa differenza10:
8 E’ opportuno ricordare che in questo periodo sarebbe meglio parlare di una ricerca comune, perché anche se Raczak è il regista del gruppo, in realtà le scelte di stile, tecnica e contenuti provengono, come spesso accade, da una ricerca comune. In tal modo risulta difficile distinguere, almeno per il trentennio 1964-1993, il Teatro Ósmego Dnia da Lech Raczak come singolo artista. 9 An interview with Director Lech Raczak, K. Cioffi e A. Ceynowa, in The Drama Review, 30/3, 1986, p. 83 (traduzione mia). 10 Per una più approfondita analisi del problema, si rimanda al capitolo Il problema Grotowski e altri nodi da sciogliere.
14
Grotowski
si
concentra
sul
raggiungimento
di
una
sorta
di
unità totale dell’essere umano, o di indivisibilità. Noi siamo giunti alla conclusione che questo genere di obiettivo non esiste. In realtà, è esattamente il contrario: le persone sono una
tale
collezione
di
contraddizioni
che
l’essenza
umana
consiste nella creazione di diverse maschere. E proprio la maschera, l’abilità di recitare, di simulare, di mentire sono ciò che è essenzialmente umano.11
Questo conduceva, in effetti, alla revisione del concetto di “atto
totale”
come
obiettivo
unico
della
ricerca.
La
convinzione che la proprietà distintiva dell’uomo rispetto a tutti gli altri esseri fosse in effetti la menzogna in qualche modo poteva, se non contraddire, almeno mettere in discussione il concetto di “nuda verità” dell’atto totale. Ma in realtà questo problema non era così fondamentale per il Teatr Ósmego Dnia
perché
l’obiettivo
che
si
poneva
non
era
tanto
una
catarsi dell’individuo-attore quanto una catarsi del pubblico, per raggiungere la quale l’atto totale così come lo concepiva Grotowski era soltanto una delle vie. Lo shock del pubblico poteva essere raggiunto anche attraverso il riconoscimento da parte degli attori del proprio limite, la messa in mostra, addirittura, temi
di
questo;
particolarmente
o
anche
scottanti;
attraverso nel
caso
l’evocazione
del
Teatr
di
Ósmego
Dnia, anche con la rottura delle regole del regime attraverso la messa in scena di temi ed eventi formalmente vietati dalla censura.
Pensieri
sul
condottiero
perciò
voleva
essere
una
grande
provocazione, sia per i contenuti che per il modo di metterli in
scena.
E
come
tale
venne
recepita,
creando
un
notevole
scandalo che tuttavia non impedì al gruppo, l’anno successivo, di mettere a punto un altro spettacolo dello stesso genere, forse ancora più “pericoloso”. Si tratta di Introduzione a…, 11
An interview with Director Lech Raczak, cit., p. 83 (traduzione mia).
15
uno spettacolo nato su “commissione obbligata” da parte delle autorità (che imposero ai teatri studenteschi di produrre uno spettacolo materiali indenni
celebrativo scelti
per
attraverso
per lo
la
l’anniversario
spettacolo
censura
di
passarono
Lenin).
perché
I
praticamente
consistevano
in
una
semplice collezione di testi stereotipici sulle manifestazioni celebrative
di
quel
genere;
ma
lo
spettacolo,
contro
ogni
aspettativa dei censori, funzionava invece come un meccanismo per
svelare
questa
banalizzazione
e
stereotipizzazione
menzognera della realtà, cosa che, come non ci stancheremo di ripetere,
costituiva
una
delle
principali
caratteristiche
della vita dei polacchi all’epoca. I testi celebrativi non venivano,
nei
smascheramento mezzi
fatti, delle
puramente
toccati: menzogne
teatrali.
si da
trattava essi
Gli
di
un
sorrette
attori
abile
attraverso
riuscivano
a
demistificare quei testi senza criticarli apertamente, ossia non
a
parole,
ma
attraverso
gli
espedienti
ben
noti
del
grottesco e della contraddizione, che riuscivano a produrre un effetto
smascherante
sul
tutto.
Un
effetto
che
poteva
funzionare solo sulla scena, ossia sull’azione viva – ma anche effimera – degli attori. Ciò rese particolarmente inviso alla censura il gruppo, che da allora in avanti dovette sopportare una serie di proibizioni ad andare in scena proprio perché, fino a spettacolo compiuto, la censura non poteva dedurre dai materiali quel che sarebbe poi stato l’effetto finale dello spettacolo.
Il lavoro su Introduzione a… aveva inoltre portato il gruppo a ulteriori conclusioni circa la natura della propria ricerca, che
si
distanziava
sempre
più
consapevolmente
da
quella
dell’ispiratore Grotowski per il fatto di essere rivolta più che verso l’interno dell’uomo (e Grotowski in tal modo sarebbe approdato
all’Arte
nell’indagine,
come
attraverso
il
veicolo) teatro,
verso
dell’essere
l’esterno, umano
come
“sistema di contatti”. Gli spettacoli funzionavano allora solo 16
se
diretti
a
un
pubblico,
che
costituiva
l’interlocutore
dialettico del sistema di contatti dell’attore. Inoltre, il problema del “contatto” si univa a quello – grotowskiano – della
“ricerca
della
verità”
per
problematizzarlo
criticamente, inserendolo nel contesto socio-politico di una vita pubblica completamente controllata e falsata dal regime. Il punto era quindi: in che modo potersi dire la verità in un sistema
di
comunicazione
completamente
pilotato?
Il
Teatr
Ósmego Dnia scelse la via del teatro, tornando all’antico e sempre
attuale
tema
della
“finzione
che
smaschera”:
quell’ambivalenza affascinante per la quale l’unico territorio nel
quale
possiamo
finalmente
ritrovare
la
verità
su
noi
stessi e sul mondo è il dominio della finzione.
Gli
spettacoli
assumono
quindi
volutamente
la
funzione
di
“confessione pubblica”; ma hanno ben poco del “dono totale di sé”
grotowskiano,
almeno
nell’accezione
“santa”
spesso
attribuita a questo concetto. La confessione del gruppo più che un dono diveniva una rivelazione crudele, perché aderente alla
crudele
realtà.
Ma
in
che
modo
diventava
possibile
superare i confini della convenzione teatrale per irrompere nel
campo
della
realtà,
se
la
critica
a
quest’ultima
era
praticamente impossibile a causa della censura? E’
noto
che
sviluppano
le
persone
moltissimo
metaforicamente,
si
private
gli può
altri dire
del
senso
quattro. lo
della
Per
stesso:
i
vista
polacchi,
privati
della
possibilità di dire pubblicamente la verità, di mostrare la realtà quale essa era veramente, hanno sviluppato la capacità di farlo – e di recepirlo – in modi alternativi. Il cardinale polacco
S.
Wyszynski
disse
in
proposito,
riferendosi
alla
situazione in atto verso la fine degli anni ’70:
La propaganda menzognera che nasconde la realtà e la maschera dimostra ristrettezza di vedute nella gestione dei mezzi di comunicazione sociale. Occorre tener sempre presente l’innata 17
intelligenza della nostra Nazione, che quando non può leggere la verità nero su bianco, la legge tra le righe12.
E’
esattamente
“mostrare
fra
questo le
agire
righe”
“fra
degli
le
righe”,
attori
e
di
l’abilità
“vedere
fra
di le
righe” degli spettatori che ha consentito che nascessero gli spettacoli del Teatr Ósmego Dnia; e ciò spiega, anche, come l’impatto di questi spettacoli fosse enormemente diverso in Polonia e altrove. Questo richiedeva agli attori, è evidente, la massima padronanza possibile del linguaggio teatrale, dal momento
che
ciò
che
non
si
poteva
dire
con
le
parole
o
mostrare con i fatti dichiarati (praticamente, tutto) doveva essere
fatto
intuire
attraverso
il
proprio
comportamento
scenico. E qui è importante la lezione di Grotowski, perché solo eliminando il superfluo, curando il dettaglio e “pulendo” le azioni, si poteva raggiungere la precisione necessaria a far
vivere
questa
intuizione
“fra
le
righe”.
Le
azioni
dovevano essere limpide perché la comunicazione avvenisse.
Questa ricerca della verità, d’altro canto, era ridimensionata dalla già analizzata convinzione filosofica di Raczak e del gruppo secondo cui non esiste una verità assoluta. La verità umana,
secondo
questa
visione,
diventa
un
compromesso
provvisorio fra le molte verità possibili; ecco che, in questo modo,
diventa
definizione discussione,
fondamentale
di
questa
il
verità.
rielaborazione
di
processo La
delle
prolungata
gruppo
delle
prove
per
la
condivisione,
verità
distinte
degli attori, del regista, dei musicisti, di tutti gli altri partecipanti sfaccettati interno
il
alle come
prove
permettevano
poliedri,
massimo
della
che
di
potessero
chiarezza
creare
spettacoli
contenere
insieme
al
al
loro
massimo
dell’ambiguità.
12
Citato in V. Bova, Solidarność. Origini, sviluppo e istituzionalizzazione di un movimento sociale, ed. Rubbettino, Catanzaro 2003, p. 126.
18
Le prove del Teatr Ósmego Dnia prendevano il via dal vuoto. Nel
vero
senso
della
parola:
non
si
partiva
scegliendo
un
testo, un materiale concreto; al massimo, si prendeva in esame un’intuizione, un problema particolarmente sentito dal gruppo (i cui membri, non dimentichiamolo, non erano legati tanto da vincoli professionali quanto dalla quotidiana frequentazione e dalla vita in comune). L’improvvisazione, generata da un tema di partenza, era il passo seguente, e quello fondamentale: attraverso
il
processo
definendo
con
sempre
maggior
attori
e
frattempo,
gli
portavano
altri
improvvisativo
il
materiali
si
venivano
precisione regista
che
le
via
scene;
componevano
sentivano
via
vicini
nel
testi
al
o
lavoro,
componendo una sorta di dossier che, insieme alle sequenze che uscivano dalle improvvisazioni, sarebbe servito poi a creare lo spettacolo. Il ruolo del regista appare fondamentale: è lui che osserva, interpreta
e
seleziona
le
improvvisazioni,
anche
arbitrariamente, dal momento che, come dice Raczak
Io
sono
là
Partecipo
per
a
tutto
tutte
il
le
tempo,
dall’inizio
discussioni,
osservo
alla
fine.
tutte
le
improvvisazioni, e le interpreto per gli attori. Attraverso me gli
attori
capiscono
in
che
misura
escono
dalle
loro
intenzioni. Io dico loro cosa considerare utile e meritevole di ulteriore esplorazione e cosa dimenticare. Hanno bisogno che io tenga in mano uno specchio, che io sia critico, che sia qualcuno che suggerisce le cose o che li aiuta a pensare i problemi in profondità. Possono non essere d’accordo con me – succede spesso – possono anche rifiutare la mia opinione, ma devono
provare
a
fare
le
cose
di
nuovo
quando
io
glielo
chiedo. Per essere franchi, non hanno scelta: devono credere in me. In questo senso io sono indispensabile. Un altro dei miei compiti è quello di dare una struttura allo spettacolo.
Le
improvvisazioni
sono
caotiche;
hanno
bisogno
che qualcuno le strutturi, imponga loro un ordine, suggerisca 19
vie per trasformare i frammenti di materiale utilizzabile in qualcosa di completo. Io controllo i ritmi, lo spazio, e tutto avviene nello spazio.13
Dopo
Introduzione
polacca
aumentò,
a…
l’importanza
anche
dal
del
punto
di
gruppo
vista
sulla
della
scena
pedagogia
teatrale: la Lega degli Studenti Polacchi assunse Raczak come direttore
artistico
del
un’Accademia
per
la
studenteschi;
il
Teatr
gruppo
e
poco
formazione Ósmego
di
Dnia
dopo
venne
creata
attori
dei
teatri
nuovi
membri,
acquisì
alcuni dei quali sarebbero restati a lungo nel gruppo.
LA CONTESTAZIONE E IL PROBLEMA DELLA “VERITA’”
Negli
anni
successivi
spettacoli:
Staffetta
itinerante
realizzato
vennero (una in
prodotti sorta
alcuni
ancora
di
significativi
work
villaggi
di
in
progress
provincia
nel
1971); il fondamentale In un soffio (1971), risultato di un ulteriore
approfondimento
dei
metodi
e
delle
tematiche
affrontate con Introduzione a…, che venne recepito come un vero e proprio manifesto del ’68 polacco, in quanto poneva in primo piano, con ancora maggiore urgenza, il problema della verità, proprio mentre a Danzica venivano represse nel sangue le
rivolte
operaie;
fino
ad
approdare,
dopo
altri
due
spettacoli, ad una sorta di summa provvisoria del lavoro che il
gruppo
Dobbiamo
aveva
condotto
accontentarci
di
fino quello
ad che
allora:
lo
chiamano
spettacolo paradiso
in
terra? del 1975, anno del decimo anniversario dalla nascita ufficiale del Teatr Ósmego Dnia.
Lo spettacolo, che prendeva come situazione di base quella di un
complotto
terroristico,
si
poneva
come
imperativo
principale quello di rompere completamente la cornice della 13
An interview with Director Lech Raczak, cit., p.89 (traduzione mia).
20
convenzione
teatrale
per
divenire
un
fatto
di
vera
vita
vissuta. La situazione polacca, dominata in quel periodo da un controllo sempre più pesante della censura e dalla progressiva riduzione
delle
libertà
individuali,
soprattutto
di
espressione, vedeva contemporaneamente sorgere le prime prove di quel movimento di riforma sociale che pochi anni dopo si sarebbe
condensato
spettacolo
è
in
anche
Solidarność.
l’anno
che
L’anno
fa
da
di
debutto
spartiacque
dello
fra
una
situazione di ribellione frammentaria e disomogenea e una di rivolta
generalizzata
sentimento
e
organizzata
cospiratorio,
su
larga
l’idea
di
scala.
Il
partecipare
all’organizzazione di un complotto contro le istituzioni, per molti
polacchi
costituiva
e
per
i
semplicemente
membri un
del
pretesto
gruppo
in
primis
convenzionale
per
non uno
spettacolo ma soprattutto una sensazione generalizzata al di fuori del contesto teatrale. Lo spettacolo si
poneva quindi
come una sorta di prova generale, come la rappresentazione performativa di eventi, speranze e volontà ben distanti dal mondo
della
finzione,
anzi
perfettamente
corrispondenti
a
quelli che permeavano la vita sociale e politica “parallela al regime” della popolazione. La conclusione dello spettacolo era negativa:
le
speranze
di
complotto
si
inquinavano
e
naufragavano, fino a corrompere definitivamente i legami fra i cospiratori; il messaggio dello spettacolo diveniva quindi una lampante profezia, una sorta di ammonimento, non poi tanto dissimulato,
a
stare
in
guardia
dal
rimandare
oltre
la
ribellione, dal lasciarsi corrompere con la dilagante falsità della
vita
di
regime,
che
a
lungo
andare
avrebbe
potuto
produrre cambiamenti catastrofici non solo a livello politico ma
anche
al
livello
delle
relazioni
umane
minime
fra
le
persone. Lech Raczak definì lo spettacolo come “una sorta di profezia che per fortuna non si era realizzata”. L’istanza filosofica della ricerca della verità in un mondo costituito dal continuo compromesso fra le contraddizioni delle persone veniva portata al massimo grado, e contemporaneamente veniva 21
depurata
da
ogni
astrazione
calandosi
in
una
dolorosa
e
attualissima realtà quotidiana.
L’idea della realtà come compromesso fra verità parziali e, conseguentemente,
del
teatro
come
di
un
gioco
serio
di
rappresentazione di queste verità contraddittorie, unita alla necessità di attingere dai fatti della vita autentica, portava ipso
facto
alla
concezione
della
funzione
del
teatro
come
potente dispositivo di trasformazione dell’uomo. Questa idea venne
ulteriormente
approfondita
con
lo
spettacolo
Svendita
per tutti, del 1977. L’idea di fondo dello spettacolo, che fa procedere ancora di un passo il discorso filosofico del Teatr Ósmego
Dnia
impossibilità come
già
sull’uomo, di
raggiungere
detto,
grotowskiana
era
il
della
una
gruppo
verità
quella
della
verità
si
sostanziale
assoluta.
distanziava
assoluta
e
Con
ciò,
dall’istanza
spontanea
del
“dono
totale di sé” dell’attore, per approdare all’idea di un attore come essere umano fondamentalmente contraddittorio, e quindi insincero,
che
tuttavia
nel
teatro,
immettendo
la
propria
parzialità nel gioco dialettico dello spettacolo insieme agli altri
attori
necessità
di
e
agli
una
spettatori,
forte
comunica
aspirazione
al
nel
contempo
raggiungimento
la
della
verità; un’aspirazione che rimane naturalmente un’utopia, ma che solo in quanto tale può fornire lo stimolo ad una ricerca instancabile. In tal modo, la concezione dell’uomo e quindi dell’attore tensione propria
si
colloca,
idealistica utopia,
in
e un
per il
il
Teatr
Ósmego
riconoscimento
equilibrio
che,
Dnia,
fra
pessimistico
senza
la
la
della
pretesa
di
offrire verità pronte e quindi facili al pubblico, preferiva porre
degli
interrogativi,
alleggerendoli
con
la
costante,
piacevole consapevolezza di partecipare, in fondo, a un gioco: quello del teatro e delle sue infinite maschere.
Naturalmente il concentrarsi della riflessione del gruppo su problematiche, per così dire, filosofico-conoscitive, non fece 22
dimenticare l’istanza più “politica”, legata alla presenza del gruppo
sulla
scena
della
contestazione
sociale
polacca.
Raczak, bisogna dirlo, ha sempre rifiutato di definire il suo un teatro politico (piuttosto collocandolo a metà strada fra le
esperienze
puramente
agit-prop
e
quelle
più
concentrate
sull’aspetto “trascendentale” del teatro14), sostenendo che
Le
persone
spesso
vengono
a
vedere
il
Teatr
Ósmego
Dnia
conoscendo le nostre idee “politiche” o “di contestazione”. Siccome sanno già contro cosa ci poniamo vedono nel nostro lavoro delle singole risposte definite a domande alle quali, in realtà, noi pensiamo non sia possibile rispondere. Nelle nostre produzioni cerchiamo di porre delle domande, non di dar loro una risposta. (…) A volte penso che sarebbe bello fare teatro fuori dal mondo. Ma la pressione della realtà è così forte – ogni volta che mettiamo piede nel mondo ci siamo dentro e lo combattiamo. Nelle
nostre
performance
noi
cerchiamo
di
ricordare
alle
persone che nel mondo di tutti i giorni, o nascosti da qualche parte dietro la sua bruttura, ci sono certi valori alti. La missione e il destino di ogni persona è di trascendere la vita quotidiana. Questa è la ragione per cui continuiamo a lottare contro ciò che ci circonda. Lottiamo e speriamo mentre capiamo inesorabilmente
che
un
teatro
di
dieci
persone
non
può
raggiungere nulla di socialmente significativo. Gli spettacoli possono essere importanti per alcuni individui, ma non possono innescare o fomentare il cambiamento sociale. Ciò nonostante, abbiamo il dovere di fare teatro.15
E’ abbastanza chiaro, a questo punto, che non si tratta di teatro politico: si tratta anzi di un teatro che vorrebbe non essere politico, ma è costretto a farlo perché si pone come 14
Cfr. la differenza fra “grotowskiani” e “livingiani” nel capitolo Il problema Grotowski e altri nodi da sciogliere. 15 An Interview with Director Lech Raczak, cit., p.90 (traduzione mia).
23
imperativo quello di calarsi nella realtà di tutti i giorni, per condividere lo stesso destino degli spettatori e rendere sempre
più
sbiadito
il
confine
che
separa
lo
spettacolo
dall’evento-fatto reale.
Perciò
era
inevitabile
che,
in
una
situazione
come
quella
polacca, caratterizzata come tutte le situazioni di estrema conflittualità Teatr
Ósmego
politico
da Dnia
quanto
istituzioni
una
politicizzazione
diventasse
può
perché
in
qualche
modo
un
teatro
che
esserlo tende
endemica,
a
realizzare
anche
il
politico:
ma
va
contro
valori
non
le solo
politici, ma soprattutto culturali e artistici (distanziandosi perciò da tutti quei teatri che si collocavano sulla scia del Living Theatre, per il quale l’azione politica veniva prima, forse,
dell’istanza
artistica
–
e
infatti
il
gruppo
abbandonerà il teatro per scendere nella strada, cosa che il Teatr Ósmego Dnia non farà mai).
E’ anche vero, però, che più di altri questo gruppo ebbe una collaborazione politica:
intensa
fra
i
quali
con il
gli
organismi
Comitato
di
della
Difesa
rivolta
degli
Operai
(KOR), senza dimenticare che un circolo di Solidarność stessa nacque proprio nelle sale del Teatr Ósmego Dnia. Naturalmente questo genere di collaborazioni non fece che rendere ancor più inviso alle autorità il gruppo, già pesantemente colpito da proibizioni cercarono
e
censure
ripetutamente
ostacolare
l’attività
di e
del
vario
in
modi
gruppo,
genere. sempre non
Le più
istituzioni pressanti
risparmiando
di
arresti,
detenzioni, montatura di falsi processi contro alcuni attori, che
impedivano
loro
di
partecipare
alle
prove
e
alle
rappresentazioni constringendoli a presenziare in tribunale, perquisizioni nelle
case
e
requisizioni
private
dei
di
membri
materiale del
degli
gruppo,
spettacoli divieto
di
recensione positiva degli spettacoli sulla stampa, nonché la proibizione, attraverso il rifiuto a rilasciare il passaporto, 24
di presentare i propri spettacoli all’estero. Il fatto che il Teatr
Ósmego
Dnia
decidesse
poi
di
ignorare,
per
quanto
possibile, quelle proibizioni, aumentava la sensazione degli astanti agli spettacoli di partecipare ad una manifestazione rivoluzionaria. C’è
da
dire
che
gli
spettacoli
del
Teatr
Ósmego
Dnia
non
caddero nella tentazione di affrontare tematiche strettamente politiche
ma
continuarono
ad
occuparsi
di
problemi
anche
“metafisici”, anche se ovviamente essi venivano recepiti da un pubblico ormai fortemente politicizzato. Spettacoli come Oh, come abbiamo vissuto dignitosamente!, Più che solo una vita, la
performance
Poesia
nella
strada
non
affrontavano
temi
politici ma, per l’imperativo della verità che sempre veniva loro
sotteso,
assumevano
un
carattere
rivoluzionario.
Per
comprendere questo fenomeno di politicizzazione “forzata” del gruppo bisogna considerare la particolarità della situazione polacca. Stefan Wilkanowicz ne offre in proposito un lucido ritratto:
In Occidente, si recepiscono i problemi polacchi soprattutto in categorie economiche e politiche. Tuttavia le questioni più importanti sono le trasformazioni culturali, morali, perfino ideologiche. La situazione economica è catastrofica, la vita di tutti i giorni spossante, ma la speranza che la sfera della verità,
della
grandemente
è
libertà
e
essenziale
della perché
giustizia il
si
benessere
allargherà verrà
non
rinunciando a questa sfera culturale, ma simultaneamente, al seguito dei cambiamenti etici e morali.16
E’
probabile
quindi
che
l’aggettivo
“politico”
possa
venir
applicato praticamente a tutte le manifestazioni culturali che proclamavano
istanze
libertarie,
se
guardate
con
occhio
superficialmente “occidentale”. 16
S. Wilkanowicz, Polska wciąz nieznana (La Polonia sempre sconosciuta), in Tygodnik Solidarność nr. 7, maggio 1981 (traduzione di V.Bova).
25
LO STATO DI GUERRA: TEATRO CLANDESTINO
In ogni caso, le autorità politiche erano ben decise a fermare l’oltraggiosa attività del gruppo. Nell’ultima scena di Più che
solo
una
vita
un
operaio
andava
allo
sciopero;
il
12
dicembre 1981 in Polonia veniva dichiarato lo stato di guerra, a seguito del colpo di stato del generale Jaruzelski, e le repliche
dello
spettacolo
venivano
bruscamente
interrotte,
insieme alle speranze di rinnovamento che Solidarność aveva condotto a maturità nel quinquennio precedente. Dal 1981 in poi, fino alla fine dei regimi sovietici con la caduta del Muro di Berlino, la vita sociale polacca appariva, dall’esterno, congelata: il peso della censura raggiunse il massimo
grado;
molti
intellettuali
vennero
arrestati,
altri
espatriarono chiedendo asilo politico (fra questi Grotowski). Gli attori e i professionisti dello spettacolo inaugurarono subito
dopo
il
colpo
di
stato
un
boikot
(boicottaggio),
rifiutandosi di apparire sulle scene ufficiali per oltre due anni. Rapidamente, nonostante le difficoltà, nacquero miriadi di circuiti intellettuali, artistici e politici clandestini. La vita sociale “congelata”, in realtà, stava ribollendo nei sotterranei.
Il Teatr Ósmego Dnia continuò faticosamente il proprio lavoro fino al 1984, producendo gli spettacoli L’ascesa, sulla figura del poeta russo Osip Mandel’stam - tema tragicamente attuale poiché il poeta era stato, a causa di pochi versi detti a un ristretto
gruppo
di
amici
(e
trascritti
di
nascosto
da
un
delatore fra loro), incriminato dal Regime Sovietico e mandato a
morire
in
gulag
-
Una
favola
da
W.
Faulkner
e
gli
spettacolo open-air Rapporto da una città assediata (e basti il titolo per capire di che si trattasse, e quale significato poteva assumere nelle drammatiche circostanze correnti) e I miracoli
e
la
carne.
Durante 26
le
prove
del
successivo
spettacolo,
L’assenzio,
dichiarato
fuori
il
legge,
Teatr
cosa
Ósmego
che
non
Dnia solo
venne
però
prevedeva
il
licenziamento degli attori e la requisizione della sala, ma anche
il
divieto
totale
di
produrre
gruppo
aveva
e
rappresentare
spettacoli.
Pochissimi
mesi
dopo,
il
cominciato
a
fare
spettacoli entro il circuito clandestino costituitosi in spazi quali le cantine, gli appartamenti privati e, soprattutto, le chiese. I parroci di queste ultime, infatti, avvalendosi del privilegio che dichiarava il territorio della chiesa al di fuori
della
giurisdizione
statale,
avevano
fin
da
subito
ospitato diversi gruppi clandestini. La partecipazione della popolazione agli spettacoli e ad altri eventi culturali di questo tipo era impressionante: le chiese risultavano gremite di pubblico di ogni età ed estrazione, dal momento che erano alcuni
fra
i
sempre
più
rari
luoghi
in
cui
si
poteva
sperimentare una cultura non intaccata dalle deformazioni del regime. Gli spettacoli fungevano da specchio della realtà: non solo erano luoghi “mentali” in cui si poteva riflettere su quanto stava accadendo in Polonia, ma funzionavano veramente anche come meccanismi di catarsi collettiva, raccogliendo il bisogno
comune
di
attori
e
spettatori
di
respirare
“aria
pulita”, di liberarsi per qualche ora dall’oppressione della vita
quotidiana,
seppur
al
prezzo
di
notevoli
pericoli
(soprattutto per gli attori).
Negli
anni
del
teatro
clandestino
il
Teatr
Ósmego
Dnia
produsse alcune delle sue migliori performances. L’assenzio (1984), le cui prove erano cominciate prima del periodo dell’illegalità, era una performance che si svolgeva in
una
costante
e
opprimente
atmosfera
notturna,
metafora
lampante degli anni bui che la Polonia stava attraversando; come una sorta di fotografia dolorosa della situazione dello stato
di
guerra
e
della
mancanza 27
di
speranza
che
lo
contraddistingueva,
accoglieva
testi
di
frammentari,
comunicare
tra
al
personaggi
loro,
come
proprio che
in
non
attesa
interno
azioni
riuscivano di
più
qualcosa
e a di
sconosciuto, ma anche senza più speranze di uscire dall’incubo in cui erano stati gettati. Il titolo dello spettacolo veniva da un brano dell’Apocalisse, riportato sul programma di sala, in cui si legge:
Poi sonò il terzo angelo, e cadde dal cielo una grande stella, ardente come una torcia; e cadde sulla terza parte dei fiumi e sulle acque. Il nome della stella è Assenzio; e la terza parte delle
acque
divenne
assenzio;
e
molti
uomini
morirono
a
cagione di quelle acque, perché eran divenute amare”.
La
metafora
della
stella
Assenzio
si
adattava
bene
alla
situazione polacca attuale: con queste parole gli attori e il regista,
in
un
programma
generale
presentato
durante
una
tournée italiana, descrivevano il filo con cui avevano legato la realtà allo spettacolo:
Negli ultimi anni in Polonia abbiamo notato lo sforzo di molta gente a vincere l’attuale amarezza. Facendo code di ore per comprarsi della carne, e cercando miracolose apparizioni di santi,
strillando
dopo
l’ubriacatura
il
proprio
rancore
e
prendendo parte alla cospirazione, rischiando anni di carcere o perfino la vita o anche sognando – talvolta ad occhi aperti – di mari, oceani, impossibili viaggi… sempre ammassati in treni luridi, ogni volta più lenti, ogni volta più funebri. Lo spettacolo
opera
attraverso
citazioni
della
realtà
solo
leggermente trasformata, ma gli episodi reali si dispongono come nel corso di un incubo, perché così irreale è l’atmosfera del paese che sta sprofondando nel buio. Questo spettacolo è
28
come una lettera aperta ad un altro mondo (…) perché la stella Assenzio può cadere ovunque sui piedi di ognuno.17
In
Polonia,
la
pressoché
attori
e
spettatori
realtà
quotidiana
attraverso scarse
e
comunanza
dalla
la
cui
che
lo
pensiero
metaforiche,
della
della
spettacolo
simbologia
onnipresente
di
condivisione
potentemente
parole,
circostante
data
permetteva
azioni
di
totale
si
chiesa,
stessa
snodasse
spesso
dialogava
fra
con
assai
senza
quella
tuttavia
venirne sopraffatta. Di
certo
questa
circuitazione
del
teatro
negli
spazi
religiosi, che costituisce un fenomeno forse senza precedenti nella storia del teatro contemporaneo europeo, non fu cosa facile.
Le
chiese,
a
differenza
delle
sale
teatrali
e
più
degli spazi alternativi delle fabbriche e delle piazze, non sono
luoghi
neutri:
sono
costantemente
permeate
di
una
simbologia estremamente potente, che oltretutto possiede una sorta di “diritto di precedenza” nella percezione del pubblico perché
è
comunemente
condivisa
e
nota.
Il
rischio,
per
il
teatro, era di farsi fagocitare dallo spazio “mentale” della chiesa, un luogo che in Polonia ancor oggi viene vissuto come santo (un po’ diversamente che in Italia, ad esempio, dove le chiese sono soprattutto opere d’arte), arrendendosi all’ordine della
religione
determinati Raczak,
era
e
aspetti. quasi
pertanto Il
che,
dovendo per
un
autocensurarsi
gruppo
un’autocontraddizione.
come
Allora
quello
non
in di
restava
che ingaggiare una sorta di lotta simbolica con l’atmosfera della chiesa per tentare di mantenere integro lo status del teatro: una lotta ad alto rischio perché la simbologia dello spettacolo era facilmente contaminabile da quella religiosa, a maggior ragione perché la partecipazione del pubblico non era per nulla fredda e distaccata ma estremamente coinvolta, data la situazione, e perciò propensa ad una sorta di misticismo. 17
Dalla brochure di presentazione del Teatr Ósmego Dnia, durante il soggiorno a Ferrara presso il Teatro Nucleo, 1986-1987 (materiali d’archivio del T.Ó.D.)
29
La
catarsi
teatrale
non
doveva
trasformarsi
in
catarsi
religiosa: per Raczak e il suo gruppo il rito e il teatro si dovevano mantenere ben distanti, al più come due generi di rito diversi e poco compatibili, perché il teatro non aveva alcuna intenzione di assumersi valenze religiose. Si
trattava
dunque
rappresentazione, restituire
allo
di
di
cercare,
sopraffare
spettacolo
la
per
il
breve
spazio
momentaneamente sua
autonomia
la
di
della
chiesa
e
linguaggio.
Questo accadeva, nonostante si creassero spesso situazioni di confusione:
i parroci invitavano il pubblico seduto ad un
momento di preghiera prima dell’inizio dello spettacolo; alla fine dello spettacolo venivano raccolte delle offerte per gli attori;
alle
pregare
e
teatrale, momento
volte,
si
fedeli
trovavano
oppure prima
si
di
ignari
nel
bel
mezzo
raccoglievano sedersi,
entravano
in
di
in
chiesa
uno
preghiera
inginocchiandosi
per
spettacolo per
qualche
davanti
alla
scenografia… Ma quando lo spettacolo cominciava, era possibile, a volte, invadere lo spazio e il tempo del sacrum per introdurvi il gioco del teatro:
Accadeva che la folla raccolta in chiesa si trasfigurasse in pubblico, risata
succedeva
che
collettiva,
cui
vecchi
muri
parevano
fossero
scossi
accompagnarsi
i
dalla corpi
espressivamente ritorti delle figure barocche, oppure che i muri di cemento delle nuove chiese – brutte come i tempi nei quali erano sorte – iniziassero a riflettere lo spavento della vita
quotidiana
qualcuno,
di
uscendo
inarrestabile
di
cui
il
di
chiesa,
una
teatro
canzone
o
raccontava.
Capitava
canticchiasse che
un
altro,
la
che
melodia
accendendosi
faticosamente una sigaretta nel vento, cominciasse una lunga conversazione
sull’arte…
Ma
nessuno
sapeva
che
smontando
i
riflettori e i teli che nascondevano l’altare e piegando i praticabili,
gli
attori
cominciavano
30
di
nuovo
a
parlare
sottovoce e di nuovo si sentivano intrusi in quel luogo che di fatto non era il loro posto.18
Perciò
la
difficile
vita e
del
una
consapevolezza
teatro
sfida
che
nella
per
solo
i
chiesa
gruppi,
nelle
chiese,
era
resa per
un
compromesso
necessaria il
dalla
momento,
era
possibile fare cultura indipendente.
IL PERIODO DELL’ESILIO
Lo spettacolo Piccola Apocalisse (1985), ispirato all’omonimo lavoro di T. Konwicki, venne realizzato in due versioni; poco dopo,
infatti,
parte
del
gruppo
(coloro
che
fortunosamente
erano riusciti ad ottenere il passaporto, insieme agli attori di altre nazionalità che si erano uniti al gruppo dopo un laboratorio dell’anno precedente) comincia una lunga tournée all’estero con la versione dello spettacolo intitolata Autoda-fé
(1985),
frattempo,
presentata
gli
rappresentare
attori
Piccola
in
molti
rimasti Apocalisse
in
paesi Polonia
nel
europei. continuano
circuito
Nel a
clandestino
delle chiese. Nel 1986 anche Lech Raczak riesce ad espatriare e raggiunge la parte “estera” del gruppo a Pontedera presso il Centro Ricerche, dove viene realizzato lo spettacolo di strada Se un giorno, in una città felice…. Comincia il periodo dell’esilio: il Teatr Ósmego Dnia, ospite di diverse realtà teatrali europee, resterà all’estero fino al 1990, quando, dopo la fine del regime, il Primo Ministro e il Ministro della cultura e dell’arte inviteranno ufficialmente il gruppo a rimpatriare.
Auto-da-fè
è
uno
spettacolo
particolarmente
importante
e
sofferto, non solo per essersi guadagnato molti riconoscimenti in
tutta
Europa,
ma
anche
perché
18
segna
l’inizio
di
una
L. Raczak, Gli spazi pericolosi del teatro polacco, in Hystrio, anno V, nr. 4, 1982 (traduzione di D. Anfelli).
31
separazione
forzata
del
gruppo,
che
rimane
con
molte
difficoltà unito “spiritualmente”, continuando a rappresentare gli stessi spettacoli in “doppia versione”. La separazione, data la situazione e dato il fatto che ormai il gruppo si avviava a compiere i vent’anni di vita, non fu naturalmente facile, soprattutto per gli attori (e – fino al 1986 – il regista) rimasti in Polonia. Auto-da-fè era la storia di un gesto estremo in una situazione estrema:
in
una
volutamente
imprecisata
data
della
contemporaneità polacca – forse è l’anno 1994 o forse il 1984 o il 1999. Nessuno può dirlo con esattezza, nessuno misura più il
tempo
nel
paese
dell’assurdo
che
si
è
autodeterminato
socialista, nel paese del marasma controllato dalla polizia, della
miseria
che
è
la
grazia
elargita
dallo
stato
totalitario, si legge nel programma di sala – il protagonista riceve la proposta di darsi fuoco nella pubblica piazza, e con questo “auto-da-fè” dare un segno di protesta per smuovere le coscienze,
dato
che
ormai
è
l’unico
modo
per
creare
nella
gente una possibilità di salvezza da una realtà della quale sono succubi senza speranza. Contrariamente basati appunto
su sul
ad
alcuna testo
altri
lavori
fonte Mała
del
Teatr
letteraria, Apokalipsa
Ósmego
Auto-da-fé
di
Kownicki.
Dnia, si Ciò
non
basava era
in
parte dovuto all’urgenza di produrre uno spettacolo in poco tempo (normalmente, i lavori senza testo venivano prodotti in circa due anni) a causa dell’impellente necessità di “dire qualcosa” sulla situazione delle legge marziale. Lo stesso era infatti
avvenuto
rispondere
al
per
gli
tentativo
di
spettacoli fermare
L’ascesa
l’attività
(nato del
per
gruppo
richiamando alle armi uno di membri, Marcin Kesycki, prima congedato per motivi di salute) e Una favola, nel quale il gruppo aveva scelto di lavorare su un testo di Faulkner perché
Non potevamo trovare un linguaggio che fosse nostro in una situazione così terribile. Non avevamo abbastanza coraggio di 32
usare il nostro linguaggio. Non eravamo sicuri, a quel tempo, che ci fosse ancora una giustificazione per l’esistenza del teatro (…) sentivamo che avremmo avuto bisogno di molto tempo per
strutturare
il
nostro
atteggiamento
verso
ciò
che
ci
circondava, ed è per questo che abbiamo usato il lavoro di altri19.
Lo
spettacolo,
strutturato
in
sei
quadri
molto
scarni
dal
punto di vista testuale (nella versione “estera”, per ragioni linguistiche, ancor più che in quella polacca), si apriva con l’annuncio della fine del mondo pronunciata da un attore: Ecco arriva
la
fine
del
mondo.
Ecco
si
avvicina
a
voi.
O
vi
striscia addosso, la vostra fine del mondo. La fine del vostro mondo
personale.
Ma
prima
il
vostro
universo
si
rompe
in
pezzi, si disperde in atomi, esplode nel vuoto, l’ultimo giro di
questa
maratona
vi
aspetta,
l’ultimo
chilometro
del
Golgota.
Cominciava
quindi
la
storia
del
protagonista,
lentamente
convinto dagli eventi al gesto estremo del rogo di se stesso, suggeritogli alla
vita
da
un
amico:
desolante
costellazione
di
di
morti
una ogni
e
morte
gloriosa,
giorno,
stragi
di
contrapposta
descritta innocenti,
come
una
senza
più
l’orientamento dei valori condivisi (e l’anno, che anno è? Nessuno lo sa), della religione o della speranza di qualcosa di elevato (ho paura di credere in un mondo senza dio, senza un senso più alto. Un mondo di nonsense (…) adesso preparate gruppi
di
corpi
senza
mente
per
la
missione
dei
nuovi
crociati. Non ci sarà diluvio, non ci sarà. E non ci sarà nuova alleanza). La morte gloriosa che sola può riscattare dalla routine quotidiana, ma che ha bisogno di un martire: Quella di cui abbiamo bisogno è una sublime, sacra morte. Una tale morte tu puoi offrire. E se non lo farai, vivrai come hai 19
Intervista del 2/10/1985 ad alcuni attori del T.Ó.D. in occasione di una tournée in Gran Bretagna (materiali d’archivio del T.Ó.D.; traduzione mia).
33
sempre fatto (…) La storia vista da qui è odiosa e stupida, ma quando
la
si
guarda
da
lontano
diventa
tragica,
bella
e
maestosa. Che cosa devo fare? Ti devi bruciare!.
Non è un caso che l’ultimo spettacolo fatto in Polonia, con il suo
“doppio”
che
comincia
il
periodo
dell’esilio,
sia
incentrato sulla storia di un “suicida del fuoco”. In qualche modo, si potrebbe leggere come una dichiarazione di sconforto del gruppo. Come a dire che, dove l’auto-annientamento era l’unica cosa che restava da fare, causa l’inasprirsi della situazione,
e
il
rischio
di
rimanere
fermi
nella
propria
caparbia opposizione dopo aver tentato il tutto e per tutto, allora
per
il
regista
ed
il
gruppo
l’unica
via
per
salvaguardare la propria onestà intellettuale era quella di prendere l’esilio. Gli spettacoli, in Polonia, rischiavano di allinearsi alla polarizzazione fra “buoni” e “cattivi” che si era
costituita
scontati,
a
lungo
oppure
andare;
di
rischiavano
venire
recepiti
di
risultare
come
semplici
manifestazioni di una parte politica. Il suicidio, dunque? – sembravano domandare gli attori con quello spettacolo. Allora forse, davvero, non rimaneva che l’esilio, il farsi in qualche modo oltre che fuggiaschi anche profeti di qualcosa, di ciò che
era
avvenuto
in
Polonia,
e
di
ciò
che
sarebbe
potuto
accadere altrove. Il
dovere
dell’artista
diventa
qui
anche
quello
di
testimoniare, di raccontare la verità, attraverso il suo mezzo (in questo caso, lo spettacolo) anche al mondo “al di qua” del Muro. Cambiava tutto, in un certo senso: cambiava il rapporto comunicativo, perché il pubblico era culturalmente diverso e proveniva
da
problematiche differente, pubblico “addetto
–
situazioni forse;
più come
ai
socialmente
anche
omogenea spesso
lavori”).
diverse,
l’estrazione in
qualche
accade
per
Cambiavano
sociale
caso
il
assai
(spesso
teatro
anche
era
i
di
meno molto
era
ricerca
modi
un –
della
comunicazione: non bisogna dimenticare che l’Ósmego Dnia è un 34
teatro polacco, anche se alcuni degli attori erano di altre nazionalità. I testi, in qualche caso, si facevano più rari; venivano tradotti, perdendo per forza di cose qualcosa della forza originale; in più, essendo a volte testi provenienti dalla grande letteratura polacca,
non erano conosciuti in
precedenza dal pubblico e non portavano su di sé la carica di “patrimonio culturale”. Ciò
non
“veniva
toglie da
che,
lontano”
sviluppato
un
soprattutto anche
proprio
in
per
senso
discorso
essere
un
temporale,
autonomo
gruppo e
che
di
che
aveva
ricerca
e
metodologia, il Teatr Ósmego Dnia mantenesse caratteristiche distintive e immutate nel proprio “stile”. L’abilità era anche quella
di
non
snaturare
se
stessi
di
fronte
alla
nuova
situazione.
Toni simili a quelli di L’assenzio poteva avere, forse, lo spettacolo prodotto
di
strada
nella
partecipazione prendeva
Se
un
giorno,
primavera
del
alcune
attrici
di
idealmente
in
1986
una
a
città
Pontedera
occidentali.
ispirazione,
infatti,
da
Lo La
felice…, con
la
spettacolo peste
di
A.Camus, ma la metafora dell’epidemia di peste, come si poteva dedurre dal programma di sala, si applicava facilmente ad una attualissima situazione di regime; per gli attori, nei fatti praticamente compagni,
esiliati
era
un
dalla
altro
Polonia
modo,
come
e
separati in
dai
L’assenzio,
loro per
testimoniare e mettere in guardia l’”altro” mondo dai pericoli della sopraffazione:
Ci sono paesi dove la forza ha serrato le porte delle case e delle prigioni. Succede anche che da qualche parte isoli e allontani
gli
uomini
come
stelle
e
che
subdolamente
non
smascheri la sua presenza nell’aria. In molti l’assenza e il dolore smuovevano emozioni, nostalgie e brame dimenticate. Che
35
cosa
potevamo
mai
alla
fine
salvare
dal
tempo
della
peste
oltre ad un sapere amaro?.20
In questo modo il teatro, anche fuori dalla Polonia e seppure in piccola parte, varcava la soglia dell’intrattenimento per divenire un fenomeno sociale e storico, il tentativo di un piccolo gruppo di attori di restituire artisticamente la loro esperienza
e
di
abbattere
la
cortina
di
ignoranza
che
il
regime stava tentando di erigere contro le sue malefatte. Era anche un modo per scuotere quel pubblico che fino ad allora non si era preoccupato della minaccia di una dittatura. Un modo, insomma, per responsabilizzare i pubblici: e torna in mente, allora, il brechtismo già citato. Tutto questo però non avveniva a scapito della qualità artigianale degli spettacoli: pur nell’urgenza del momento, nella necessità di comunicare i contenuti,
se
vogliamo
più
“politici”,
che
stavano
loro
a
cuore, i membri del Teatr Ósmego Dnia si rendevano conto del fatto
che
stavano
concorrendo pubblico,
alla
e
“sociale”
pur
sempre
creazione
forse
solo
degli
di
questo
partecipando un
piacere
piacere,
spettacoli,
ad
un
gioco,
condiviso
unito
con
alla
poteva
il
valenza
rispondere
all’interrogativo sul senso e sull’utilità di fare teatro in quel momento.
Sempre in Italia, a Ferrara, il Teatr Ósmego Dnia produsse anche lo spettacolo Passeggiata a mezz’aria (1987), realizzato con la collaborazione di nuovi membri, mentre, fra il 1987 e il
1988,
anche
gli
attori
che
erano
rimasti
in
Polonia
riuscirono ad ottenere il passaporto e a riunirsi al gruppo, che durante la tournèe europea del 1988 è finalmente di nuovo al
completo.
L’anno
1989
segnò,
con
la
caduta
dei
regimi
comunisti, anche la possibilità per il gruppo di rientrare a fare
spettacoli
in
Polonia,
prima
partecipando
al
festival
itinerante internazionale Mir Caravane, realizzato con molti 20
Dal programma di sala.
36
altri gruppi di ricerca
europei, che nell’estate del 1989
visitò molte città dell’Europa centrale ed orientale, quasi a simbolo della ritrovata libertà di espressione (anche altri gruppi del festival provenivano e erano fuggiti da paesi del blocco comunista; Mir in russo significa “pace”).
L’ABBANDONO
Il
primo
spettacolo
realizzato
in
Polonia
dopo
il
ritorno
ufficiale del Teatr Ósmego Dnia, Terra di nessuno (che debutta all’inizio del 1991), è però anche l’ultimo spettacolo diretto da Lech Raczak con il Teatr Ósmego Dnia. Fra il 1992 e il 1993 infatti Raczak matura la decisione di abbandonare il gruppo con il quale aveva condiviso trent’anni di teatro (e di vita), seguito da una parte degli attori, a causa di alcune profonde divergenze
non
solo
personali
ma
anche
concernenti
la
direzione che il gruppo avrebbe dovuto prendere. La situazione era molto cambiata: la caduta del Muro aveva dato
una
svolta
epocale
alla
storia
mondiale
e
neppure
il
Teatr Ósmego Dnia, del resto così sensibile agli accadimenti della
Storia
quasi
per
costituzione,
poteva
restare
indifferente. Il cambiamento sociale ma anche di mentalità che il
1989
aveva
scissione
inaugurato
nel
sostanziali
gruppo.
nel
modo
di
ebbe
l’effetto
Probabilmente concepire
la
di
produrre
alcune propria
una
differenze presenza
nel
teatro, che nell’urgenza del momento storico degli anni ’80 polacchi erano passate in secondo piano, erano già presenti prima di quel momento epocale. Se così non fosse risulterebbe difficile spiegare la scissione di un gruppo che era riuscito a rimanere “spiritualmente” unito anche se i membri vivevano al
di
qua
e
al
di
là
del
muro
–
ma
forse
anche
questa
situazione aveva maturato diversi atteggiamenti nelle due metà del gruppo, e può essere inclusa, col senno di poi, nelle ragioni
della
scissione.
La
ragione
principale,
con
ogni
probabilità e al di là dei conflitti personali, che qui non 37
possiamo né vogliamo indagare, stava proprio in quel desiderio di “fare teatro fuori dal mondo”, che la storia con la sua “pressione” aveva fino ad allora impedito. Raczak, dopo la caduta nel muro, avvertiva l’esigenza di un cambiamento
di
contenuti.
L’epoca
della
contestazione
stava
terminando, e si poteva dedicarsi ad altri problemi, indagare altre tematiche, cercare di affrancarsi dall’obbligo di fare teatro per contestare la situazione politica e sociale, che per giunta, dopo la svolta del 1989, offriva altre possibilità e
altre
speranze,
unite
ovviamente
a
una
libertà
di
espressione decisamente maggiore (per forza di cose). Forse
le
parole
pronunciate
da
Raczak
nell’intervista
americana sopra citata non erano del tutto condivise da alcuni membri
del
gruppo,
se,
riflettendoci
sopra,
il
regista
commenta oggi:
(intervista) Dopo la caduta del muro di Berlino e la fine del regime, è cambiato qualcosa nel modo di lavorare del gruppo? O per via dei vostri principi artistici che erano ormai ben stabiliti, si andava comunque su un binario definito, senza cambiare?
Partendo
dalla
mia
esperienza
polacca,
è
cambiato
tanto,
almeno all’inizio. Nel senso che io non sentivo più il bisogno di
lavorare
in
questo
campo
sociale
e
politico,
volevo
cambiare un po’ lo spazio del lavoro… contrariamente ai miei colleghi, che anche oggi fanno spettacoli che si rivolgono sempre a temi sociali e politici21. E questo è un punto. Ma qui il discorso, come dire, diventa troppo personale, nel senso che ho la sensazione che i miei problemi che riguardano i temi del lavoro sono oggi forse troppo privati, troppo individuali.
21
Il Teatr Ósmego Dnia è oggi un affermato teatro della città di Poznań, e continua la sua attività sotto la direzione artistica di Ewa Wojciak, membro del gruppo dai primi anni.
38
Insomma, la direzione del regista era cambiata, non collimava più con quella del gruppo. E’ qui che comincia l’attività di Raczak come regista indipendente, non più legato ad un singolo gruppo ma collaboratore più o meno stabile di diverse realtà teatrali,
ufficiali
e
non.
Cambiano
per
forza
i
temi
del
lavoro, ma anche, ovviamente, il modo di lavorare22.
22
Per il problema del “teatro di gruppo senza gruppo” e del teatro di contestazione oggi, si veda il capitolo Il problema Grotowski e altri nodi da sciogliere; l’attività di Raczak dal 1993 ad oggi è invece esaminata nel capitolo Teatro 1993-2006.
39
40
APPENDICE (I)
Cronologia dell’attività di Lech Raczak dal 1964 al 1993 (Teatr Ósmego Dnia)
1964:
Lech
Raczak
fonda
il
Teatro
Studentesco
di
Poesia
“Ósmego Dnia” a Poznań insieme a Tomasz Szymanski, Stanislaw Baranczak, Marek Kirschke e Walademar Leiser.
1964-1966: partecipa come attore agli spettacoli Trama ardente (1964, regia di T. Szymanski), La terra è rotonda (1965, regia di T. Szymanski), Onde di esperienze (1965, regia T. Szymanski e sceneggiatura di S. Baranczak), Il grande testamento (1965, regia di T. Szymanski), Lalek (1965, regia di T. Szymanski), Martirio e morte di Jean Paul Marat presentati da un gruppo di attori dell’ospizio di Charenton sotto la direzione del sig. De Sade (1966, regia di T. Szymanski), Warszawianka (1967, regia di Z. Osinski).
1967: debutta come regista con lo spettacolo Danza della morte e della fortuna, tratto dai versi di W. Chlebnikov; partecipa come attore allo spettacolo La terra desolata, sempre per la regia di Szymanski.
1968:
partecipa
come
attore
agli
spettacoli
Edward
II
di
Marlowe (regia di T. Szymanski) e Un attimo senza nome (regia di R. Kacperski); diventa direttore artistico del gruppo e in novembre firma la regia di Pensieri sul condottiero, tratto da S. Zeromski, che dà vita a un vivace dibattito della critica, soprattutto a causa dei metodi espressivi e compositivi messi in atto nello spettacolo, elaborati nel laboratorio precedente allo spettacolo (diretto dall’attore del Teatr Laboratorium Z. Spychalski), ispirati ai principi di Grotowski.
41
1969: seconda versione di Pensieri sul condottiero; regia a 4 mani con M. Kirschke di Escurial da M. De Ghelderode.
1970: regia di Introduzione a… (regia e sceneggiatura); è il primo spettacolo che si pone apertamente contro il regime in Polonia,
essendo
una
sorta
di
parodia
grottesca
della
commemorazione della nascita di Lenin; in settembre la ZSP, lega degli studenti polacchi, assume ufficialmente Raczak come direttore artistico del Teatr Ósmego Dnia.
1971: regia di Staffetta, spettacolo itinerante nei villaggi intorno a Poznań (con il gruppo ATS); in ottobre prima di In un soffio, dai versi di Baranczak; è il primo spettacolo a commentare “per via teatrale” la via sociale contemporanea, basandosi sulla sovrapposizione del testo di Baranczak al tema delle rivolte operaie ai cantieri navali di Danzica, represse nel sangue, dell’anno precedente.
1972: regia di Integrazione, realizzato in collaborazione con il
Gruppo
Plastico
Od
Nowa
e
il
gruppo
musicale
Jazz
Laboratorium.
1973: regia di Il sopralluogo.
1975: regia di Dobbiamo accontentarci di quello che si chiama paradiso in terra?, sorta di summa del lavoro del gruppo che festeggia in quest’anno dieci anni di attività.
1976-1977: dopo una serie di censure, perquisizioni, arresti, proibizioni
di
vario
genere,
presentazione
di
Svendita
per
tutti (giugno ’77).
1978: altre persecuzioni delle autorità ai danni del gruppo, fra
cui
la
montatura
di
un
processo
42
che
durerà
5
anni,
presentazione della performance Poesia nella strada entro la manifestazione Libertè d’expression a Poznań.
1979:
regia
di
Oh,
come
abbiamo
Professionalizzazione
del
Teatr
l’assunzione
dei
membri
da
vissuto
dignitosamente!.
Ósmego
Dnia
parte
della
vita
inaugura
attraverso
società
Estrada
Poznanska.
1981:
Più
che
solo teatro
una
internazionale
di
Aktor.
manifestazione
commemorativa
in
Inoltre occasione
il
Raczak
simposio dirige
la
dell’inaugurazione
del monumento delle vittime del 1956 a Poznań. Tournée all’estero; in dicembre, dichiarazione dello stato di guerra in Polonia e sospensione per sei mesi dell’attività del Teatr Ósmego Dnia.
1982: regia di Una favola da W. Faulkner; nuove repressioni, licenziamento
provvisorio
del
gruppo
da
Estrada
Poznanska,
impossibilità a rappresentare gli spettacoli per la chiamata alle armi di un membro del gruppo. Prima del nuovo spettacolo L’ascesa sulla storia del poeta russo Osip Mandel’stam, in dicembre.
1983: laboratorio per studenti a Poznań, con la produzione dello spettacolo di strada Rapporto da una città assediata, che narra gli ultimi momenti dell’assedio e la conquista di una città da parte dei cavalieri dell’Apocalisse.
1984:
Licenziamento
dei
membri
del
Teatr
Ósmego
Dnia
e
dichiarazione di illegalità del gruppo da parte delle autorità del regime. Prima dello spettacolo di strada I miracoli e la carne.
Inizio
dell’attività
nel
chiese.
43
circuito
clandestino
delle
1985: L’assenzio viene rappresentato in prima ufficiale nella chiesa
di
Mistrzejowice
davanti
a
un
pubblico
di
1500
spettatori. Realizzazione di due spettacoli tratti da Piccola Apocalisse di T. Kownicki (Mała Apokalypsa e Auto-da-fé); partono
per
l’estero quattro attori con Auto-da-fè, mentre Raczak e il resto del gruppo rimangono in Polonia rappresentando Piccola Apocalisse nel circuito clandestino.
1986: Raczak lascia la Polonia raggiungendo il gruppo “estero” in Italia. Realizza nella sala del Piccolo Teatro di Pontedera lo spettacolo di strada Se un giorno, in una città felice… e al Festival di Palmi, con la partecipazione di attori ospiti, dirige l’azione di strada Leggende. Il gruppo di stabilisce a Ferrara, ospite del Teatro Nucleo, dove elabora una seconda versione di Se un giorno, in una città felice….
1987: con la partecipazione di nuovi collaboratori, regia di Passeggiata a mezz’aria e rielaborazione di Auto-da-fé.
1988: regia delle versioni italiana e tedesca di L’ascesa; anche gli ultimi membri del gruppo lasciano la Polonia e si riuniscono agli altri all’estero. Regia dello spettacolo Brat con il Teatr Bashō, in Italia.
1989: L’assenzio a Poznań nella chiesa dei Gesuiti è l’ultimo spettacolo illegale del gruppo in Polonia. Il Teatr Ósmego Dnia partecipa al festival itinerante Mir Caravane e Raczak dirige gli spettacoli La carne e, in collaborazione con gli altri
gruppi,
Pastorałka,
Odissea
89.
spettacolo
di
In
dicembre
strada
firma
basato
la
sulle
regia
tradizioni
popolari del Natale.
1990: ritorno in Polonia su invito ufficiale delle autorità.
44
di
1991: Terra di nessuno, ultimo spettacolo di Raczak con il Teatr Ă“smego Dnia.
1993: Raczak abbandona definitivamente il Teatr Ă“smego Dnia, insieme a parte degli attori.
45
46
IL “PROBLEMA GROTOWSKI” E ALTRI NODI DA SCIOGLIERE PARA-RA-RA, PRESENZE ASSENTI E IL GROTOWSKI DEI POLACCHI
Il
senso
di
una
digressione
su
Grotowski
in
questa
sede
discende dal fatto che Lech Raczak ha rappresentato e tuttora rappresenta una posizione assai particolare nei confronti del maestro di Opole. Raczak infatti, pur non essendo stato un allievo di Grotowski nel senso tradizionale del termine, ne riconosce
l’influenza
determinante
sul
proprio
lavoro,
definendola una fonte primaria e forse l’unica dal punto di vista delle fonti di ispirazione strettamente “teatrale”. E’ bene sottolineare che l’influenza che può aver avuto Grotowski su un artista polacco è molto differente rispetto ad altre: si tratta di un’influenza fatta di incontri diretti, di amicizia personale
e
professionale,
nonché
della
condivisione
dello
stesso momento storico, politico e artistico (e quest’ultimo elemento, nel caso della Polonia, non è affatto secondario). Tuttavia
Raczak
si
distingue
contemporaneamente
anche
per
essere stato in un certo senso un oppositore di Grotowski. Ed è
su
questa
caratteristica
che
vogliamo
riflettere
per
un
momento. Il libro Essere un uomo totale23, raccolta di testi di autori polacchi su Grotowski, di recentissima pubblicazione, pone al mondo degli studi teatrologici italiani – tra i molti altri – anche il problema delle differenti ricezioni di Grotowski da parte
dei
pubblici
di
diverse
nazioni.
In
particolare,
mi
sembra importante soffermarsi a considerare la differenza di percezione del maestro polacco che sussiste fra l’Italia e la Polonia. In
particolare
nel
saggio
di
Leszek
Kolankiewitz,
uno
dei
maggiori esperti del periodo parateatrale e del Teatro delle
23
Ed. Titivillus, Pisa 2005.
47
Fonti
di
Grotowski,
Grotowski
alla
ricerca
dell’essenza,
emerge tutta la differenza di cui sopra. Una differenza che probabilmente ha a che fare con il diverso tipo di attività con la quale Grotowski ha “fatto sensazione” in Polonia e in Italia. Per quale motivo, infatti, in Polonia si sono sollevate voci illustri
di
stesso,
per
allievi
–
reali
criticare
e
ora
vocazionali
questo
ora
-
di
quel
Grotowski periodo
o
quell’attività del maestro, in modo per nulla superficiale, anzi il più delle volte di grande impatto sia sul pubblico accademico che su Grotowski stesso, mentre in Italia questo non è avvenuto in modo così significativo? Kolankiewitz stesso riporta un aneddoto che fa molto pensare:
Raccontando di quando si trovò in Sicilia a ritirare un premio letterario, Grotowski sembrava
e sul
si
vide
suo
interrogato
conterraneo
parlassero
di
un
da
con
santo,
un
dei
giovani
tale
fan
trasporto
Herling-Grudziński24
di che
aveva
concluso che in Italia Grotowski era una “figura di culto”25.
E ancora:
Quel che mi disturba del lavoro di Grotowski in questo campo (nel
Parateatro)
è
che
è
diventato
in
misura
esagerata
un
oggetto di culto. La verità è che in quel contesto le persone non affinano questa o quella tecnica; a dire il vero, esse vengono
assorbite
in
una
sorta
di
culto
dell’individuo
(o
degli individui, perché alcuni dei più antichi collaboratori di Grotowski condividono il suo carisma o ne hanno sviluppato uno proprio).26
E, si noti, queste ultime parole sono dette da uno studioso che partecipò intensamente ed appassionatamente all’attività 24 25 26
Scrittore polacco, naturalizzato italiano. In Essere un uomo totale, op.cit., p.268. Ibidem, p.199.
48
menzionata e quindi, si presuppone, ne condivise almeno in parte i contenuti.
La
storia,
spesso,
cancella
le
sfumature
e
assolutizza
i
personaggi, nel bene e nel male. La figura di Grotowski non è stata
immune
da
questo
processo.
Già
quando
era
in
vita,
appariva e – forse – voleva apparire in modo particolare; quel che si dice, “un personaggio”. Non pochi ricordano Grotowski come un guru, quasi un santone; Taviani lo riconosce, quando scrive
I suoi modi di vivere, d’abitare, d’abbigliarsi e di nutrirsi, regolati da visioni personalissime; la sua etichetta a metà fra l’hippy e l’episcopale; una povertà assoluta che riusciva a costare molto denaro; le condizioni ferree che poneva per la logistica e tempi del lavoro (…) persino i radicali mutamenti delle sue fattezze fisiche in diversi momenti della sua vita, facevano di lui quel che si dice “un personaggio”27.
Quel
suo
vivere
in
involontariamente, affascinante.
modo
forse
Nulla
di
ascetico no,
strano,
lo
circondava,
di
un’aura
del
resto:
forse
misteriosa tutti
i
e
grandi
personaggi della storia, ed in particolare direi della storia del teatro, possiedono un’aura carismatica. Ma nel caso di Grotowski,
ed
in
particolare
dopo
la
sua
morte,
questa
ha
assunto, almeno in Italia, proporzioni mitologiche. E’ raro che qualcuno critichi Grotowski o il suo operato, specialmente in certi ambienti. Se al momento dell’esplosione delle sue scoperte non sono mancate chiacchiere e critiche soprattutto superficiali, ora la tendenza, per lo meno per la generazione cui appartiene la scrivente, si è invertita: Grotowski non ha zone d’ombra. Ma Grotowski, come tutti – come tutti i grandi personaggi – ha delle zone d’ombra; molto di quello che ha 27
F. Taviani, Grotowski posdomani. Ventuno riflessioni visuale, in Teatro e storia, nr.20-21, anno XIII, 1998-1999.
49
sulla
doppia
fatto è per la verità poco chiaro, né Grotowski ha mai fatto molto
per
portarlo
alla
luce.
Le
voci
alzatesi
a
muovere
qualche seria critica sono poco conosciute e raramente citate, quantomeno politici
in di
Italia.
Quanto
Grotowski,
ambito
studentesco,
Renata
Molinari
e
poi
esso
spesso Marina
al
sembra
ignorato.
Fabbri,
le
problema
degli
rimanere
insoluto;
E’ due
errori
significativo studiose
in che
italiane
autrici della nota editoriale a Essere un uomo totale, pur ribadendo
l’importanza
per
il
lettore
italiano
della
“prospettiva
polacca” a Grotowski, qui testimoniata: Grotowski e il suo lavoro vengono sottratti a un generico universalismo teatrale per entrare nel terreno vivo della storia, e – nella storia – di una appartenenza28
liquidino Grotowski,
poi
piuttosto
sostenendo,
a
male
gli
proposito
oppositori delle
critici
critiche
mosse
di a
Grotowski (fra le quali rientra, ipoteticamente, anche quella di Raczak) durante il periodo dell’attività parateatrale29, che trattasi della
tipica commedia che circonda chi è troppo grande per essere contenuto
nelle
formule
della
storia,
ma
è
fondamentale
conoscerla propria per conoscere meglio la sua grandezza30
ricadendo in parte, ancora una volta, nell’errore italiano del “culto a Grotowski”, di cui sopra.
28
R. Montanari e M. Fabbri, Nota Editoriale per accompagnare la lettura, in Essere un uomo totale, op.cit., p. 37. 29 “(…) Nella Polonia di Solidarność Grotowski veniva da molti accusato (più o meno velatamente) di essere stato per opportunismo connivente con il regime comunista, e di sottrarsi “da sinistra” alla rivoluzione in atto” (ibidem, p.41). 30 Ibidem, p.41.
50
In Polonia le cose sono andate assai diversamente. Grzegorz Ziołkowski,
autore
dell’introduzione
al
libro
sopra
citato,
riconosce che
La
morte
di
Grotowski,
il
14
gennaio
1999,
ha
dato
necessariamente inizio in Polonia a un dibattito pubblico sul tema della sua eredità (…) Da quel momento però in Polonia continua
incessante
la
discussione
sul
significato
e
sui
difetti delle sue realizzazioni, tanto che ultimamente sembra aumentare il ritmo31.
Non
solo
non
sono
mancate
le
critiche
di
intellettuali
dichiaratamente schierati dalla parte di Grotowski (tanto per citarne
uno,
Kostanty
Puzyna),
ma
nemmeno
i
suoi
allievi
diretti si sono risparmiati. Wlodimierz Staniewski, fondatore e
tuttora
direttore
del
gruppo
Gardzienice32,
fu
un
collaboratore molto stretto di Grotowski, ma dopo essersene distaccato ne criticò aspramente il metodo (come riportato nel saggio di Kolankiewitz33). Insomma i polacchi sembrano molto meno restii a sollevarsi contro
quello
che
pure
riconoscono
come
uno
dei
loro
più
illustri compatrioti.
Quella di Lech Raczak è appunto una di queste voci. Ci si riferisce
qui
alla
sua
analisi
di
un
solo
periodo
dell’attività di Grotowski, quello del Parateatro, che Raczak ha
svolto
in
un
articolo
–
per
la
verità,
un
pamphlet
–
apparso sul numero di luglio 1980 del noto periodico polacco 31
In Essere un uomo totale, op.cit., p.25. Gruppo di ricerca nato negli anni Settanta e tuttora attivo, che ha appunto sede nella località di Gardzienice vicino Wrocław. 33 L’attività di Gardzienice era (ed è tuttora) basata su escursioni di ricerca effettuate in punti remoti e socialmente “disastrati” della Polonia, alle quali seguono spettacoli-dimostrazioni di sapore, all’epoca, parateatrale; Staniewski accusò Grotowski sostanzialmente di estraniarsi, con il suo genere di parateatro “non sociologico”, dalla realtà a tratti drammatica in atto in Polonia, sostenendo che un’attività simile non avrebbe potuto funzionare al di fuori delle condizioni, ideali ma fittizie, del “laboratorio”. 32
51
di teatro Dialog. Una critica che però, per la sua portata, si estende a tutto il periodo del “teatro senza spettacolo” di Grotowski, e fornisce uno scorcio inedito, tutto “polacco”, sulla
considerazione
grande,
e
non
dell’eredità
sempre
contraddittorietà.
Essa
grotowskiana
riconosciuta,
inolre
offre
un
e
della
sua
problematicità fertile
e
spunto
per
un’indagine approfondita della personale visione del proprio lavoro
e
del
teatro
in
genere
di
Lech
Raczak
stesso
–
l’oggetto di questo lavoro di tesi, del resto.
L’articolo, polemico già dal titolo (Para-ra-ra – deformazione parodistica prende
in
del
termine
esame
per
Parateatr
l’appunto
introdotto
il
da
Parateatro,
Grotowski), ma
in
una
accezione più vasta che non in riferimento alla sola attività grotowskiana. Ma la storia di questo articolo comprende anche alcuni nodi problematici
particolarmente
curiosi.
In
primo
luogo
è
significativo il fatto che, fino ad oggi, esso non sia stato tradotto. solo
Ovviamente
agli
lingua.
studiosi
Eppure,
l’originale, –
assai
dato
il
suo
in
pochi
polacco, –
che
orientamento
è
accessibile
conoscono “contro
questa
corrente”
(rispetto al consueto atteggiamento del mondo accademico verso Grotowski), avrebbe dovuto suscitare una certa attenzione. La mancata traduzione è significativa tanto più perché al momento della
sua
pubblicazione
esso
ha
suscitato
un’ondata
di
critiche, per ragioni linguistiche in gran parte del mondo polacco,
ma
non
solo.
Lech
Raczak
stesso
racconta
di
come
Eugenio Barba gli abbia scritto una lettera accusandolo di essere
un
Parateatro
traditore…
Qualche
(1969-1976)
e
anno
Teatro
fa,
delle
durante fonti
al
convegno
(1976-1982)
a
34
Brzezinka , è saltato fuori ancora una volta questo articolo, ed
ancora
una
volta
quella
di
Raczak
si
è
dimostrata
una
posizione poco condivisa. 34
Località nella foresta nei pressi di Oleśnica, dove Grotowski ha condotto molte delle ricerche dal momento dell’abbandono del “teatro degli spettacoli” fino alla sua partenza definitiva dalla Polonia.
52
Non si sta certo sostenendo qui che Grotowski abbia sempre ottenuto il favore della critica. Sappiamo bene che non è così –
questa
è
riprendere
la
il
sorte
titolo
dei
di
un
grandi
riformatori
dossier
di
Teatro
– e
ma, storia
per di
qualche tempo fa a lui dedicato, il Grotowski del “Posdomani” gode invece, quasi sempre, del favore degli studiosi. Un altro punto significativo, come sopra ricordato, è che la voce
“contro”
“dall’altra
di
parte
Raczak della
non
appartiene
barricata”;
ossia
ad
un
esponente
non
proviene
dal
così detto “teatro tradizionale”. Raczak, pur non definendosi un “grotowskiano”, esce direttamente dall’esperienza del Teatr Laboratorium, e l’influenza di Grotowski è alla base di tutta la sua esperienza teatrale. La domanda che qui si pone, a questo punto, e che sarà meglio chiarita dall’analisi di Para-ra-ra, è: si tratta della voce di
un
“allievo
tradito”?
E
traditore”,
quanti
altri
o
di
quella
“allievi
di
un
“allievo
traditori/traditi”
ha
lasciato Grotowski dietro di sé in Polonia?
E’ una domanda che sorge in particolare considerando il casus belli che motiva la scrittura di questo libello. Quello che, sostiene
il
Parateatro
(e
suo a
autore,
lo
scriverne
ha
in
indotto
siffatto
a
scrivere
modo),
non
del è
il
Parateatro in sé. Benchè, come ragionevolmente ammette, Raczak abbia sempre nutrito forti dubbi su questa attività (se ne vedrà fra poco il motivo), l’ironia tagliente e non di rado “crudele” del suo pamphlet è dettata, in verità, dalla rabbia del momento. Raczak scrive infatti Para-ra-ra a seguito e a causa dell’apparizione di Grotowski nel corso di una ben nota trasmissione
televisiva
di
regime,
Una
serata
con
il
giornalista. Dalle parole di Raczak stesso
In
realtà
attività
se
ricordo
parateatrale
bene
ho
avuto
del
Teatr
tanti
dubbi
Laboratorium
ma,
su
questa
come
ho
scritto alla fine dell’articolo, mi ha toccato in modo molto 53
negativo l’apparizione di Grotowski al telegiornale. In quegli anni
il
telegiornale
principale
era
una
cosa
veramente
di
regime e la gente, come dire, con un po’ di orgoglio non ci andava. Era uno di quei posti dove non ci si può mostrare. E’ apparso Grotowski durante il telegiornale per parlare – non so, non mezzo minuto, ma cinque minuti sul Parateatro! – e io allora mi sono in un certo senso commosso, mi sono arrabbiato perché
aveva
passato
“opposizione”,
ma
il
confine
dignità…
e
per
fra
regime
questo,
e,
così,
neanche
mosso
dai
nervi, ho scritto questo articolo, ma cercando anche, come dire, di esprimere tutti i miei dubbi. Solo che ho scelto questa forma particolare, non un articolo dove si scrivono solo le ragioni oggettive, ma dove si usa anche una certa ironia… un pamphlet.35
Ma cosa significa in quegli anni? E perché la gente, con un po’ di orgoglio, non ci andava? Qual è il motivo di tanta rabbia?
Per
comprenderlo
dobbiamo
fare
un
passo
indietro,
indagare la realtà politica e sociale polacca di quegli anni (che, si vedrà, andava a braccetto con la realtà artistica), la posizione di Raczak stesso (già emersa dal capitolo sul Teatr Ósmego Dnia), della controcultura, di Grotowski. Cercare di
comprendere
che
tirare
in
ballo
non
solo
le
ragioni
oggettive, in quegli anni, era inevitabile.
L’articolo è datato 1980. Siamo in Polonia, e il 1980 non è un anno come tutti gli altri. Da
molti
anni
ormai,
più
o
meno
dalle
rivolte
operaie,
represse nel sangue, a Poznań nel 1956, è in atto una lenta ma inarrestabile mobilitazione sociale. Fino al 1975 si trattava di
una
collezione
dall’altro;
ma
dopo
di
eventi
questa
data
35
episodici,
slegati
le
componenti
diverse
l’uno del
Frammento di un’intervista a Lech Raczak da me svolta il 25 settembre 2006. Tutti gli estratti “dal vivo” di Raczak qui riportati, salvo diversa indicazione, provengono da interviste che ho svolto nel corso del 2006, per la gentile disponibilità del regista stesso.
54
movimento,
alla
avvicinandosi
cui
e
mobilitazione
testa
collaborando che
si
pongono
sempre
assume
gli
più.
Si
operai, tratta
caratteristiche
vanno di
una
particolari:
diversamente che altrove, si trovano coinvolti nella protesta fianco a fianco non solo gli “operai” nel senso stretto, ma anche gli agricoltori, gli studenti e gli intellettuali in genere, insomma una larghissima fetta di popolazione. Questo perché
la
protesta
non
si
svolge
solo
sul
piano
delle
rivendicazioni sindacali.
Nello spazio di cinque anni, i temi legati all’affermazione dell’identità nazionale, di dignitose condizioni di vita e di uno sviluppo coerente alle condizioni del paese saranno il campo di battaglia di un serrato confronto, che assumerà toni più o meno aspri, tra le autorità pubbliche e tutta una serie di
organismi
rappresentativi
che
operai,
contadini,
intellettuali e studenti sapranno darsi36.
Nel
giugno
del
1976
hanno
luogo
una
serie
di
scioperi
e
rivolte a seguito di una improvvisa decisione del governo di aumentare
i
prezzi
di
alcuni
generi
di
prima
necessità.
L’ondata di proteste che si solleva in tutto il paese è in verità spontanea, eterogenea e non coordinata da principio, quantomeno da un punto di vista nazionale; ma si rende chiaro che la nascita del movimento è ormai imminente, e che essa è inoltre divenuta una necessità, soprattutto a seguito delle violente
repressioni
che
alle
proteste
rispondono
puntualmente.
I fatti del 1976 rimarcano, in sostanza, la necessità di un movimento perché
capace
in
di
Polonia
affrontare
in
storicamente
36
maniera
globale,
inscindibili,
proprio
questioni
V. Bova, Solidarność. Origini, sviluppo ed istituzionalizzazione di un movimento sociale, ed. Rubbettino, Catanzaro 2003, p.73.
55
relative ai bisogni essenziali, allo sviluppo dell’economia e ad una gestione democratica del potere. Per
altri
rivolta,
versi
la
repressione,
dall’altro
se
da
inconsapevolmente
un
lato
avviò
un
stroncò
la
processo
di
coagulazione fra operai, studenti ed inteligencja che, da quel momento, avrebbe assunto un ruolo fondamentale nella nascita del nuovo sindacato libero37.
Le
sommosse
continuano
per
tutto
il
periodo
fino
al
1980,
quando raggiunge la maturità istituzionale il primo sindacato libero
della
Polonia,
con
il
nome
di
Solidarność,
“La
solidarietà”. All’impegno operaio ben presto si aggiunge anche quello
degli
intellettuali,
in
particolare
universitari,
i
quali mettono in risalto nelle loro rivendicazioni
Soprattutto posto
di
ciò
lavoro,
significato polacca
che e
è
particolarmente nello
determinante
come
l’abolizione
per
stesso il
delle
importante
tempo
ciò
risanamento restrizioni
nel
che
della
ha
loro un
cultura
introdotte
per
manipolare le scienze sociali o la possibilità di esercitare un’attività conoscitiva e artistica non vincolata dal potere38.
E’ facile intuire, a questo punto, il ruolo determinante dei circoli studenteschi in questa direzione, ed in particolare dei gruppi di teatro alternativo, fra i quali il Teatr Ósmego Dnia, nato come teatro studentesco ormai quindici anni prima e divenuto una delle realtà di punta del teatro di contestazione di quegli anni, insieme a gruppi come Kalambur di Varsavia, Teatr STU di Cracovia e Teatr 77 di Łodz. Ma non si tratta di casi isolati: sono attivi altrove, in direzioni diverse ma sempre comprese nella questione della contestazione giovanile, gruppi
come
Akademia
Ruchu
o
l’allora
giovanissimo
Gardzienice. Molti di questi gruppi si richiamano direttamente 37 38
Ibidem, p.78. Ibidem, p.136.
56
all’esperienza Ziołkowski,
grotowskiana,
che
fino
a
ed
quel
è
vero,
momento
come
Grotowski,
ricorda
volente
o
nolente, aveva ricoperto fra i molti ruoli anche quello di leader dei teatri studenteschi alternativi. Tuttavia è anche vero che il suo “abbandono del teatro”, avvenuto ormai quasi un decennio prima, dopo Apocalypsis cum figuris, gli aveva certamente attirato se non delle antipatie da parte dei suoi stessi allievi, quantomeno dei seri dubbi, specialmente per la natura
di
questo
rifiuto-ritiro
abbandono,
dalle
che
scene
aveva
della
tutta
Storia
l’aria
stessa,
di di
un un
eremitaggio a tratti profetico, ma il cui senso sfuggiva a coloro che si trovavano per mezzo del teatro impegnati in una lotta sociale e politica che appariva inevitabile. Per quanto Grotowski non avesse mai chiamato su di sé questa leadership, ciò era avvenuto; e probabilmente il suo maggior errore
politico
fu
quello
di
non
rendersi
conto
delle
conseguenze che le sue scelte potevano avere sul pubblico – e non solo su quello “addetto ai lavori”.
Si trattava infatti di un pubblico particolare. Come rileva Vincenzo Bova, la caratteristica principale dei polacchi in quegli
anni,
da
questo
punto
di
vista,
era
quella
di
non
fidarsi dell’informazione pubblica:
La non credibilità della vita pubblica appare infatti come una delle principali fonti di frustrazione sociale. Un sondaggio effettuato nel 1973, sui giovani di età compresa fra i 16 e i 20 anni, rileva la mancanza di credibilità che la parola, e quindi le persone, assumono nella maggior parte dei momenti pubblici. (…)
Si è precedentemente visto come la mancanza di verità nella vita
pubblica
sia
sempre
stata
57
percepita
dalla
popolazione
come
una
ragione
in
più
per
diffidare
degli
organi
d’informazione ufficiali o dell’istruzione pubblica.
Dallo scritto di Bova si evince anche che quello alla verità era uno dei principali diritti rivendicati dal movimento, e che questa necessità aveva portato la popolazione a ritrovare in altri ambiti di genere privato, come le comunità religiose, la famiglia, gli amici e, non ultimi, i gruppi culturali, quel genere di autenticità di cui avevano bisogno. Un senso della verità che armonizza, forse non per coincidenza, molto bene con concetti propugnati dal Parateatro, che della ricerca di una comunicazione interumana autentica aveva fatto una delle sue mete. E che in genere si accorda bene all’esigenza della verità, dell’atto
totale,
dall’inizio
della
aveva
sincerità
profetizzato
e
che
Grotowski
cercato
di
fin
raggiungere
(riuscendoci, molto probabilmente, con quell’incarnazione dei suoi
principi
Cieślak);
che
un
è
genere
stato di
il
Principe
profezia
e
di
Costante esempio
di
al
Riszard
quale
si
richiamavano, in modi diversi fra loro, praticamente tutti i giovani e meno giovani artisti che a Grotowski si rifacevano.
E’
in
questo
contesto,
che
non
possiamo
definire
nello
specifico politico, sociale o artistico, perché ricopre tutti e tre gli ambiti, che Grotowski fa la sua apparizione alla televisione di stato. E concede interviste a Trybuna Ludu, un giornale
controllato
inserendolo
nella
dal
regime
categoria
degli
(come
ricorda
errori
ancora,
politici
di
Grotowski, Leszek Kolankiewitz). Tutto questo – possiamo adesso avere un’idea migliore di cosa significasse – motiva la scrittura appassionata ma lucida di Para-ra-ra.
Ma quali sono, nello specifico, le critiche mosse dall’autore del testo al fenomeno parateatrale? E’ importante rifletterci 58
proprio perché l’articolo non fu immune da conseguenze sullo stesso Grotowski:
Penso
che
un
significato
cruciale
ebbe
per
Grotowski
la
pubblicazione, sul numero di luglio del 1980 di Dialog, del pamphlet
di
Lech
Raczak
“Para-ra-ra”.
Non
era
l’ennesimo
attacco di ambienti fino allora ostili al Teatro Laboratorio, ma la voce sobria, personale, appassionata, e inoltre piena di riflessioni profonde di un altro artista, di un collega più giovane che esordiva in un lavoro artistico che si era nutrito del metodo del maestro di Wrocław (…) Questa
pubblicazione
spiacevole,
sia
risultò
perché
il
per
suo
Grotowski
autore
era
il
doppiamente leader
di
un
affermato teatro alternativo, protagonista della contestazione politica
e
represso
dal
potere,
sia
perché
l’editore
era
Kostanty Puzyna, sostenitore di Grotowski (…) Penso
che
entrambi
i
testi,
quello
di
Raczak
e
quello
di
Puzyna, si siano uniti per Grotowski in uno solo e in qualche modo
gli
abbiano
permesso
di
chiarirsi
il
suo
nuovo
39
atteggiamento .
La critica più pesante e, forse, quella con più conseguenze sul piano della considerazione del fenomeno parateatrale, è quella che definisce il Parateatro come un’attività meramente fisico-emotiva che tralascia una parte importante dell’essere umano – la facoltà di pensiero:
la
“cultura
attiva”,
“poesia
del
corpo”,
è
–
come
dice
l’autore di questi termini – “azione, reazione, spontaneità, impulso,
canzone,
ritmo,
improvvisazione,
suono,
movimento,
verità e dignità del corpo”. La piena sensazione di umanità si raggiunge primitivo,
39
quindi
attraverso
biologico
e
l’esposizione
istintivo,
che
è
a allo
quello
che
stesso
L. Kolankiewitz, in J. Degler e G. Ziołkowski, op.cit., p. 213-214.
59
è
tempo
riduzione, se non addirittura rifiuto, di almeno due attributi dell’umanità: il pensiero e la cultura. (…) Nel Parateatro la bocca serve a sussurrare e sorridere, le mani
a
sfiorare,
il
corpo
a
sentirsi
(soddisfatti)
e
il
cervello – oh, i cervelli non sono affatto necessari.
L’accusa più forte di quanto sembri. In realtà si sostiene qui che Grotowski e i seguaci del Parateatro stiano invitando la gente
ad
una
volontaria
rinuncia
al
pensiero
riflessivo.
Quanto di più grave, specialmente se si tratta di Grotowski, specialmente se ciò accade in Polonia, in una situazione in cui il rifiuto al pensiero poteva pericolosamente avvicinarsi ad un cieco allineamento al regime. E più avanti abbiamo un esempio
concreto
di
questo
problema,
quando
Raczak,
non
direttamente riferendosi a Grotowski, ma ad una non meglio definita
attività
“tentativo poteva
di
parateatrale
di
parateatralizzazione”
volgere
al
conflitto,
regime40, di
una
concludendo
descrive
quel
discussione
amaramente
con
che la
domanda: quali sono le funzioni sociali di questi stereotipi della cultura in una vita sociale pilotata?
Non
è
che
intendesse,
in
realtà,
accusare
Grotowski
di
collaborazionismo. Cito da un’intervista:
Però mi sembra che il problema principale di Grotowski e dei suoi collaboratori, nel Parateatro, fosse che loro erano fuori dal mondo… ma negli anni ottanta, in Polonia… cioè era questa la
cosa
grave,
il
fatto
che
si
fossero
isolati
da
una
situazione che non era delle più felici?
Sì, direi di sì. In questo periodo, quando ho scritto questo articolo, in Polonia era cominciato un movimento di resistenza 40
Proposta in occasione di un meeting di teatro studentesco a Toruń nel novembre del 1979.
60
verso il regime, a livello sociale e culturale41. Si poteva dire: bene, questa esperienza parateatrale, questo isolamento, questo “lavoro spirituale”, come lo chiamo nonostante tutto, di
Grotowski,
collettiva,
può
ok,
avere
senso
questo
va
come
bene.
una
Ma
specie
nel
di
momento
terapia in
cui
Grotowski ha fatto questa apparizione in televisione e, di conseguenza,
questo
è
diventato
un
movimento
di
terapia
sociale ufficiale e di regime, è tutto cambiato… capisci? E per
questo
ho
scritto
questo
articolo,
per
questo
mi
sono
arrabbiato. Perché funzionava con le istituzioni, era entrato nelle istituzioni… era diventato una cosa istituzionale, anche se Grotowski non voleva e non ha fatto in modo che diventasse un’istituzione l’immagine
controllata
del
dallo
Parateatro,
stato,
l’immagine
era
e
così già
via…
ma
controllata
dallo stato. Quindi era lo stesso, o peggio ancora.
Ma in realtà nel Teatr laboratorium erano sempre un po’ così – ora non so se ricordo bene – si erano iscritti al partito comunista per poter fare gli spettacoli…
Sì ma questo era un doppio gioco… Grotowski l’ha detto una volta… perché sempre, fin dall’inizio, le autorità volevano finirla
con
questo
teatro
ideologicamente
sospetto…
o
addirittura, con questi misticismi… come dire, i misticismi, quando il regime dice di essere marxisti, sono sempre una cosa nemica, quindi volevano annientarlo, insomma. E Grotowski ha inventato una cosa… perché era vero che si poteva facilmente chiudere un’istituzione culturale, ma loro stessi, il regime, non avevano armi per liquidare, sciogliere un’associazione di base
del
partito…
quindi
se
in
teatro
funzionava
bene
con
tutti i rituali del caso una piccola organizzazione di base del partito, non c’era la possibilità di dire no. Per questo era
una
specie
di
comunista-marxista, 41
autodifesa… ma
questa
Vedi sopra.
61
perciò era
nessuno
di
loro
un’organizzazione
era che
serviva a dare uno scudo al lavoro… ed era il concetto di Grotowski. Poi ovviamente come tutte le istituzioni lui doveva coesistere anche con la censura, il controllo della polizia, e alla fine anche qui Grotowski ha sempre fatto un passo in avanti…
per
evitare
commercialista
una
i
dei
servizi servizi
segreti segreti,
ha
assunto
quindi
era
come tutto
chiaro da subito… lei in realtà non è mai andata a vedere le prove, ma da quel momento i servizi segreti erano sicuri che fosse tutto sotto controllo – e invece no…
Il
problema
è
un
altro.
Grotowski
aveva,
con
la
sua
apparizione al telegiornale, fatto esplodere i dubbi che già Raczak nutriva in merito alla sua attività, e che fino ad allora aveva messo a tacere giustificando il Parateatro come una “terapia sociale collettiva”. L’allinearsi, anche solo a livello di immagine, del Parateatro al regime aveva messo sul piatto una questione ben più grave: qual era la visione che sottostava
a
questa
pratica?
Qual
era
la
concezione
dell’essere umano che la sorreggeva? E questa concezione in che modo veniva a patti con la realtà in corso, una realtà caratterizzata dall’urgenza e dall’emergenza, nella quale gli intellettuali erano chiamati a schierarsi in prima persona? Le
conclusioni
di
Para-ra-ra,
lucidamente,
espongono
il
problema.
La più importante di tutte queste (conclusioni) è certamente che il parateatro non sempre si rende conto del senso sociale delle sue scelte e della funzione che esso ricopre nei tempi, visto che non è possibile considerare poco importante questa questione. A maggior ragione visto che il fenomeno si realizza soprattutto in un dominio non strettamente artistico. (…) Temo che i teorici del parateatro non abbiano risolto questo problema, o che lo abbiano aggirato troppo grossolanamente, decidendosi al rifiuto del teatro. 62
Niente di strano, del resto. Questa scelta è una decisione che riguarda scelta
prima del
di
tutto
la
parateatro
propria
fonda
visione
una
del
concezione
mondo.
La
statica
e
naturalistica dell’essere umano, una concezione per la quale esso
dovrebbe
unica
ritornare
alla
Ma
“naturali”
natura.
fossero
se
determinati
i dal
propria
passato
primordiale,
bisogni
oscura
della
biologico,
e
gente
invece
e
non
dalla
speranza del futuro? O ancora, diversamente – se la maschera, il gioco, la finzione fossero la verità dell’umanità?
La conclusione è lapidaria. Il parateatro in sostanza funziona come
l’oppio
dei
popoli
di
Marx,
ed
ha
in
più,
come
aggravante, una concezione che va a braccetto con quella dei regimi:
conservatorismo,
isolamento
dal
resto
della
Storia…
una concezione antropologicamente falsata dell’uomo, oltre che un volontario astenersi dal giudizio sul momento Storico – dal momento che la Storia non ha importanza – rendendo vuota di senso, in qualche modo, una qualsiasi azione di rivolta contro la
Storia
domanda
stessa
posta,
nel
infine,
suo
dispiegarsi
sembra
concreto.
toccare
molto
L’ultima
da
vicino
Grotowski, perché riecheggiano in essa quelle parole che il maestro aveva inserito in quel “nuovo testamento del teatro” che
è
Per
un
teatro
povero,
e
che
riassumono
forse
la
fondamentale rivoluzione filosofica introdotta dai riformatori del teatro del Novecento:
Lottiamo quindi per scoprire, per sperimentare la verità su noi stessi; per strappar via le maschere dietro le quali ci nascondiamo soprattutto luogo
di
ogni nel
giorno.
suo
aspetto
provocazione,
una
Noi
concepiamo
carnale sfida
che
e
il
teatro
palpabile l’attore
–
come
lancia
a
– un se
stesso e anche, indirettamente, agli altri. Il teatro ha un significato
solo
se
ci
permette
di
trascendere
la
nostra
visione stereotipata, i nostri livelli di giudizio – non tanto per fare qualcosa fine a se stessa ma per verificare la realtà 63
e, avendo rinunciato già a tutte le finzioni di ogni giorno, in uno stato totalmente inerme, svelare, donare, scoprire noi stessi42.
Questo genere di messaggio, da Grotowski portato probabilmente ai termini estremi, non poteva che toccare profondamente le corde di un popolo, quello polacco, che come abbiamo visto sperimentava falsità,
quotidianamente
diffidenza
e
non
una
situazione
credibilità
pubblica
epidemica,
e
il
di cui
bisogno di autenticità su tutti i fronti era particolarmente sviluppato.
Ma
le
critiche
non
si
fermano
qui:
anche
ammettendo
che
Grotowski abbia voluto sconfessare in modo così palese le sue stesse
innovazioni
estremamente l’ipotesi
e
rivelazioni
incoerente),
che
in
si
realtà
(e
già
ventila
nemmeno
il
questo
sembrerebbe
nell’articolo suo
“nuovo”
anche
obiettivo
primario, ossia il raggiungimento di una comunicazione sincera tra
i
partecipanti
alle
attività
parateatrali,
venga
rispettato, dal momento che la comunicazione appartiene (anche e
soprattutto)
alla
sfera
del
pensiero
analitico
e
della
cultura.
Considerato che il parateatro si esprime più facilmente in piccoli gruppi isolati (in sale chiuse o località deserte); che
richiede
un’attività
nello
spazio
fisica
di
tutti
i
partecipanti dell’evento, quando invece non richiede a nessuno alcuna attività di pensiero; che tende al comune sentire e non alla
comunicazione,
vale
a
dire
che
provoca
un
gruppo
di
sintomi evidenti ma non mira a trasformarli in un concreto sistema questa rivolta
di
significati
prospettiva e
di
–
(quella
disaccordo
considerato del con
parateatro) la
42
tutto
realtà
è
ciò, la
allora
da
necessità
di
assolutamente
e
J. Grotowski, Per un teatro povero, Ed. Bulzoni, Città di Castello (Pg) 1993, p. 297.
64
totalmente
ingiustificata,
vegetativa
o
giornaliera
è
alla
il
sottomissione
incomprensibile,
l’individualità
e
rifiuto
e
alla la
l’espressione
alla
pura
mera
ripetizione
necessità
pubblica
vita
di
definire
delle
proprie
opinioni è indegna, narcisista e dannosa.
Ci si potrebbe domandare, a questo punto, se questa accusa non si
estenda
anche
al
“post-parateatro”…
in
particolare
all’attività di Grotowski degli ultimi anni. E se, dilagando a macchia d’olio, non si applichi anche a tutto o a parte del lavoro di altri gruppi di matrice grotowskiana (come del resto si
legge
tra
le
righe
dell’articolo,
quando
vengono
fatte
allusioni ad Akademia Ruchu – dichiarate, e a Gardzienice – meno, che svolgevano una sorta di parateatro “sociologico” non estraneo a polemiche con lo stesso Grotowski). E la domanda, a questo punto, sorge spontanea: il teatro degli spettacoli di Grotowski
in
che
modo
si
distanzia
da
questa
visione?
Grotowski non ha mai fatto del teatro politico. E’ stato, in gioventù, un attivista politico. Ma si è anche iscritto al partito comunista – è vero, per stratagemma, ma diversamente da
molti
continuato
attori
che,
a
teatro
fare
rifiutando
di
iscriversi,
clandestinamente,
non
hanno
ultimi
gli
attori del Teatr Ósmego Dnia, Lech Raczak stesso in primis… perché allora prendersela così tanto?
Probabilmente
si
tratta
di
un
problema
di
percezione.
La
percezione di Grotowski in Italia, e all’estero in genere, lo abbiamo detto, è completamente diversa da quella polacca. La percezione di Grotowski di chi ne ha visto i primi passi, di chi ha visto per prima cosa i suoi spettacoli e poi le sue ricerche – la percezione della generazione teatrale polacca degli anni ’60-’70, la generazione di Lech Raczak – è assai distante da quella degli artisti e degli studiosi del resto d’Europa. soprattutto
Artisti
e
attraverso
studiosi i
racconti, 65
che per
l’hanno forza
conosciuto
parziali,
per
forza filtrati, di altri artisti, di altri studiosi. Per la generazione a cui appartiene la scrivente, addirittura, non si tratta più nemmeno di teatro “vivo”: nessuno di noi ha fatto in tempo a vedere Il principe costante. Conosciamo Grotowski dai
libri
(pochi),
dalle
lezioni
(molte),
conosciamo
il
Grotowski di Barba, di Richards, di Schechner. Ma il Grotowski dei polacchi? Il libro Essere un uomo totale ci ha offerto un esempio della percezione
“da
lontano”
che
i
polacchi
hanno
avuto
di
Grotowski, nel momento in cui si è allontanato – per sempre, ad eccezione di alcune sporadiche visite – dalla Polonia. Ma che dire della percezione “da vicino”? Che dire del Grotowski degli anni ’60, di prima di Pontedera, di Action, dell’ “Art as a vehicle” e del “grotowskismo all’italiana”?
(intervista) Ma adesso, a posteriori, se tu devi giudicare quello che è successo dopo, al Workcenter, con Thomas Richards, eccetera…
Ah sì, beh, questa esperienza non la conosco molto bene. Se devo essere sincero fino alla fine ho visto questa – non mi ricordo ora come si chiama –
questa prima azione43 che hanno
fatto vedere ad un pubblico a numero chiuso, mentre Grotowski era ancora in vita. Mi è piaciuta, tanto, ma non capivo bene questa voglia di distinguere fra spettacolo e non spettacolo. Per me, nel momento in cui entra il pubblico, fa lo stesso, è uno spettacolo… tutto il resto mi pareva un discorso un po’ esagerato. Questa è la prima cosa. Ma come spettacolo mi è piaciuto, devo dire, anche se non tutto, mi sono piaciuti i due
attori
principali,
quelli
che
ci
sono
sempre,
Mario
Biagini e Thomas Richards, ma sugli altri avevo anche tanti dubbi.
Quattro
anni
di
lavoro
per
arrivare
solo
a
questo
livello… mi pareva un’esagerazione… tempo perso, una cosa da
43
Si riferisce ad Action.
66
Yeshiva, scuola ebraica o scuola araba, dove si ripetono senza fine sempre le stesse cose e niente di più… Poi
ho
visto
questo
spettacolo
fatto
dopo
la
morte
di
Grotowski con dei coreani44, e anche questa mi piaceva per l’espressione, il ritmo… come teatro insomma, solo che non ho capito nulla di cosa si trattava, anche se era in inglese non sono stato in grado di seguirlo. Ma era una forte espressione di qualcosa a me sconosciuto… ma insomma come teatro, come una cosa
che
impressiona
il
pubblico,
si
sentiva
che
questo
funzionava, ma solo al livello estetico-emotivo, per me non al livello razionale. Forse ero mal preparato per questo, ma è così. Ma questo, del nuovo teatro, è ovvio, ora è difficile dirlo… Oggi non può avere un effetto o un’influenza simile a quella che aveva il teatro di Grotowski trenta o quarant’anni fa, è un’altra cosa, il mondo è cambiato, le relazioni fra la gente, la cultura, le cose che possono esistere come teatro… è tutto cambiato, rinnovato. Ai tempi di Grotowski c’era un modello di teatro dominante, e piccole cosine di sperimentazione intorno, che in realtà non entravano mai in contatto con il pubblico. Grotowski è stato il primo che ha rotto tutto questo… che era in grado di opporsi da solo, di resistere con piena forza contro
tutta
la
struttura
dominante,
quindi
questo
faceva
effetto. Oggi non c’è una struttura dominante in questo senso, ci sono decine se non centinaia di tipi di esperienza teatrale nello stesso momento… il teatro non è più questo “edificio”, tutto è cambiato. Per questo Grotowski aveva ragione quando diceva
che
forse
non
voleva
fare
spettacoli,
voleva
solo
portare un’esperienza di lavoro come base per diversi tipi di teatro, di lavoro teatrale e così via. Solo
che
dopo,
come
succedeva
prima,
anche
ai
tempi
di
Wrocław, fine degli anni ‘60-inizio degli anni ‘70, dove si facevano tanti laboratori anche teatrali, nel periodo prima del Parateatro, c’era gente che faceva quell’esperienza e poi 44
Probabilmente The twin.
67
usciva e si perdeva… si perdeva, dopo nessuno, o quasi nessuno è apparso come artista indipendente, forse solo Staniewski45, ma lui era un attore, non un partecipante ai laboratori… e probabilmente la cosa è simile anche adesso, con queste decine di persone che hanno lavorato a Pontedera, forse solo uno in Polonia funziona, e forse qualcun altro da qualche parte del mondo, ma non si sente mai nulla di questa gente in giro. Quindi probabilmente per loro rimane un’importante esperienza personale ma non si diffonde.
Ma per questo tu non pensi che il tuo lavoro dipenda, o sia stato influenzato inizialmente da Grotowski?
No, certo, il mio lavoro è stato influenzato da quello di Grotowski, dagli spettacoli di Grotowski, ma da quelli degli anni Sessanta-Settanta, fino ad Apocalypsis cum figuris, poi questo periodo parateatrale non mi interessava più e come sai avevo
molti
dubbi…
e
dopo
questo
lavoro
di
Pontedera
si
svolgeva ai margini, chiuso, solo con la possibilità di dare un’occhiata, e così, da quell’occhiata non mi risultava una cosa veramente innovativa. Avevo, come tanti polacchi, questo svantaggio di conoscere prima il teatro, e a me pareva che il punto di riferimento per quel nuovo lavoro di Grotowski era quello che lui non voleva, quello vecchio; per quelli che non hanno
visto
gli
spettacoli
di
Grotowski
fatti
a
Opole
e
Wrocław, è completamente un’altra cosa, ma per quelli come me che
li
hanno
visti,
non
funzionava
così
bene
come
probabilmente voleva Grotowski.
A detta di Lech Raczak, quella che per la maggior parte di noi è considerata una delle più grande fortune di tutti i tempi – aver visto gli spettacoli di Grotowski46 – per i polacchi è uno “svantaggio”… E’ questo stesso svantaggio che colloca Raczak 45
Per qualche tempo attore di Grotowski, poi Gardzienice. 46 Lo stesso Ziołkowski lo definisce un privilegio.
68
fondatore
del
gruppo
in
una
posizione
particolare
nel
considerare
l’eredità
grotowskiana. Lech
Raczak
non
è
infatti
un
ricettore
neutrale
degli
spettacoli di Grotowski. Negli anni sessanta ha diciotto o vent’anni; fonda uno dei più longevi e importanti teatri di controcultura polacchi ed europei, il Teatr Ósmego Dnia: è, in poche parole,
un giovane artista ed intellettuale in uno dei
più pesanti regimi europei del secondo Novecento. La ricezione del
“fenomeno
Grotowski”
da
parte
di
questo
genere
di
intellettuali non si lega solamente alla figura del più grande riformatore di teatro della seconda metà del Novecento – quel che
Grotowski,
luogo,
un
opporsi
in
effetti,
riformatore
da
solo,
di
è
stato.
tout-court. resistere
Grotowski
Uno
con
che
piena
era
è,
in
in
grado
di
contro
la
forza
primo
struttura dominante. Era uno che faceva del “misticismo” nel bel
mezzo
sovversivo
del –
realismo
anche
se
socialista.
sui
generis.
Era, Un
in
pratica,
intellettuale
un
della
controcultura – anche se in un modo del tutto personale. Si trova d’accordo Ziołkowski:
In
fin
dei
conti
era
un’attività
rivoluzionaria,
dissacratoria, che colpiva gli stereotipi culturali, nazionali e religiosi.
Ed è questo Grotowski – non il Grotowski-guru di Pontedera, non il Grotowski dei rituali nel bosco di Brzezinka, e nemmeno il Grotowski dell’Antropologia Teatrale47 – quello che appare ad
Una
serata
con
il
giornalista.
Possiamo
immaginarci
lo
shock?
Il fatto è che per tutta questa generazione il passo era breve dalla
riforma
teatrale
a
quella
sociale.
L’esempio
di
Grotowski, del suo teatro “libero” che riusciva a sopravvivere nonostante il regime, che riusciva a produrre spettacoli come 47
Anche se tutti questi Grotowski sono effettivamente esistiti…
69
Il principe costante o Akropolis, era innanzitutto un esempio di libertà.
Il
suo
ritirarsi
probabilmente trasmissione
un di
dalle
scene,
errore regime
di –
unito
calcolo aveva
–
a
quello
che
fu
in
una
l’apparire
comunque
suscitato
molte
perplessità nel mondo teatrale. Perplessità che non potevano essere scavalcate così facilmente da una generazione che dal suo
esempio
l’avrebbero
aveva portata
tratto –
nel
scelte caso
del
di
vita
Teatr
radicali,
Ósmego
che
Dnia
–
a
scegliere il teatro come un modo per dare voce ad un’intera popolazione oppressa, accettando il rischio, a causa di quello stesso teatro, di essere dichiarati fuorilegge. Grotowski non assunse
mai
questo
genere
di
rischio,
né
doveva
del
resto
farlo, ma certo è che non si rese conto dell’impatto delle sue azioni su quel tipo di pubblico. Teatro e politica diventavano in qualche modo inscindibili; o, per meglio dire, un certo tipo di teatro, quel teatro di gruppo che aveva nel Teatr Laboratorium il suo capostipite per eccellenza. Che non poteva facilmente scavalcare il rapporto scomodo e insofferente che Grotowski intratteneva con la politica e con la storia, un ambito da quale non esitò ben presto – ma era probabilmente nella sua natura – a sottrarsi, anche riconoscendo i propri errori, se è vero quel che dice Kolankiewitz:
Dopo la pubblicazione nel luglio del 1980 del pamphlet Parara-ra – “Il tempo si fa beffe dei profeti”, scrisse Raczak – l’egregor di Grotowski non avrebbe più preso, neanche un po’, toni messianici.
A cui vogliamo aggiungere anche la dichiarazione di Raczak:
Una
volta
(…)
sono
passato
per
Pontedera.
Sono
andato
al
Centro per salutare Bacci e la Pollastrelli e lei mi dice: senti, io vado da Grotowski, vi organizzo un incontro, aspetta 70
qui un attimo. Aspettando, siccome lei aveva lì qualche numero di Dialog, ho preso quel numero dove c’era l’articolo, l’ho letto, e subito ho telefonato a Carla per dirle: no, no, non facciamo questo incontro… Ma qualche mese dopo Grotowski mi ha telefonato e mi ha invitato a Pontedera, così abbiamo “fatto la pace”… e tutto è finito bene! Alla fine lui mi ha anche detto – con una certa difficoltà – che “sotto alcuni aspetti avevo forse ragione”, una cosa di questo tipo. Non che abbia detto chiaramente che avevo ragione, ma mi ha detto anche che era
molto
toccato,
in
senso
negativo,
dal
tono
che
avevo
scrivendo
della
usato.
Non
è
davvero
differenza
un
fra
sottolinei
caso
teatro
come
se di
la
Lech
Raczak,
gruppo
e
teatro
caratteristica
più
tradizionale, importante
di
quest’ultimo sia la contestazione, a volte solo artistica, a volte
anche
politica,
in
contrasto
con
l’identità
conservatrice e istituzionale del teatro “tradizionale”. Questo aspetto della contestazione, lo riconosce anche Raczak, era probabilmente particolarmente presente qualche tempo fa; oggi le cose sono molto cambiate, “teatro di gruppo” spesso non
significa
affatto
“teatro
di
contestazione”,
se
non
a
livello estremamente superficiale. Occorre mettere ancora in risalto
l’aspetto
contestazione,
“nazionale”
ossia
riconoscere
di
questo
che
si
teatro
tratta
di
di
una
caratteristica che il teatro di gruppo ha assunto (e assume ancor oggi) particolarmente in determinati contesti storicopolitici, caratterizzati assai spesso da situazioni di grave conflitto sociale, di oppressione o di instabilità politica in genere,
nei
ufficialmente
quali o
frequentemente
meno
–
di
alcuni
la
gente
diritti
viene
privata
fondamentali,
– in
primis quello di espressione. Questa tesi è confermata appunto dalla presenza massiccia di espressioni teatrali simili fra loro dalla
per
questo
posizione
aspetto geografica
“contestatorio” in 71
presenza
indipendentemente delle
sopra
dette
condizioni
storico-sociali:
basti
pensare
solamente
a
tutti
quei gruppi di teatro sudamericani, che molto hanno in comune, se non per tipo di ricerca almeno per intenti sociali, con la generazione europeo.
di
E
teatranti
non
richiamino
è
un
spesso
e
attivi
caso
che
volentieri
sotto molti
i
di
alla
regimi questi
dell’est
ricerca
gruppi
si
grotowskiana.
Tuttavia dobbiamo anche riconoscere che un determinato filone degli allievi, per esperienza empirica o solo per vocazione, di
Grotowski,
differente almeno
di
ha un
preso
singolarmente
relativo
all’apparenza
–
isolamento
dalla
la
via
culturale
storia
intesa
del e
come
tutto
fisico
–
svolgersi
attuale degli eventi. Mi riferisco in particolare al filone che si ispira al più noto tra gli allievi di Grotowski – Eugenio Barba – che moltissima fortuna ha avuto, tra l’altro, in Italia.
(intervista) Riguardo sempre al rapporto fra teatro, storia e realtà. Mi sembrava
curioso
dall’esperienza anche
che
di
molti
dei
teatri
più
Grotowski
(per
esempio
l’Odin
Gardzienice)
qualche
volta,
nel
sono senso
però
anche
che
a
“usciti
volte
c’è
noti
dalla un
usciti
Teatret
o
realtà”,
atteggiamento
quasi di isolamento, e non solo fisico, ma anche culturale, la creazione di un’élite, e via dicendo…
Io
ho
sempre
“barbiani”
avuto
fossero
la un
sensazione po’
che
fuori
i
“grotowskiani”
dalle
o
problematiche
quotidiane… che là ci fosse questo forte dirigersi verso il mitico, l’antropologico, e nel caso di Grotowski – ma solo di Grotowski, credo – verso il mistico. Invece c’era un’altra corrente, che a volte dal punto di vista del primo gruppo era molto sospetta e contraria, che era quella dei “Livingiani” e di altri gruppi sociali del genere. Entrambi questi tipi di esperienza teatrale si rivolgevano verso il nuovo, verso la ricerca, i nuovi mezzi di comunicazione, e in questo senso 72
erano dall’altra parte: il teatro di prosa da un lato, tutto questo dall’altro. Ma lì c’erano anche delle forti divisioni: non
è
un
avessero
caso, mai
credo,
voglia
di
che
né
il
Living
incontrarsi;
lo
né
Grotowski
stesso
Barba
e
non il
Living… credo che gli scopi fossero troppo diversi. Quando Barba andava in America del Sud… e quando il Living andava in America del Sud! Sai, questi nelle favelas e quelli a cercare le tribù primitive… tutte e due emarginate, ma sai che abisso fra le due!
E in questa polarità, dove collochi il Teatr Ósmego Dnia (di quando tu eri nel Teatr Ósmego Dnia)?
Credo sia più vicino al polo del Living, con questo vantaggio: che
avendo
un
po’
di
esperienza
grotowskiana,
provando
all’inizio tecniche e temi grotowskiani, sapevamo un po’ di più di quello che c’era dall’altra parte… abbiamo provato a unire questi due tipi di discorso, e inoltre per noi forse la ricerca di mezzi artistici era un po’ più importante della ricerca
di
temi
sociali.
Qui
è
la
differenza.
Ma
io,
se
vogliamo dividere così come ho diviso, mi sentivo sempre più vicino al Living che a Barba… anche se, sai, siamo in buoni contatti con Barba… invece non con il Living, perché il Living a volte io l’ho visto troppo piatto, troppo agit-prop, così…
Nella visione personale di Lech Raczak, addirittura, sembra che la contrapposizione sia fra grotowskiani e livingiani, e non interna a quelli che chiamerei gli “eredi” di Grotowski. Ma è appunto in Polonia che in realtà si contrappongono due tipi di erede grotowskiano: se vogliamo trovare due gruppi emblematici, il Teatr Ósmego Dnia e Gardzienice (per citare due gruppi a loro volta particolarmente ricchi di “eredi”, almeno vocazionali).
73
E così si pone il problema, finora mi sembra poco affrontato, dell’eredità “da contestatore” di Grotowski; poco affrontato soprattutto
perché
trascorrere
dei
Grotowski
suoi
anni
stesso e
dei
ha
offerto
suoi
teatri,
di
sé,
col
soprattutto
l’immagine di un asceta del teatro, rivolto al mito più che alla
storia,
alle
radici
arcaiche
più
che
alle
speranze
future… ma, ripetiamolo ancora una volta, non è l’unico volto di Grotowski. Dimentichiamo troppo spesso che Grotowski era prima di tutto un polacco e che la “bomba” della sua riforma teatrale era scoppiata molto prima in Polonia che nel resto del mondo, al quale Grotowski rimase praticamente sconosciuto, per
ragioni
rivelatrice
politiche48,
soprattutto de
Il
principe
costante.
fino E
alla
della
tournée
sua
eredità
polacca si è parlato, finora, troppo poco.
Lech Raczak rappresenta appunto uno di questi eredi polacchi. E’
stato
ed
è,
è
vero,
un
erede
sui
generis,
molto
più
“living-iano” del normale, molto più problematico. E’ stato senza dubbio, almeno in parte, un allievo traditore perché tradito da Grotowski, per le ragioni finora elencate. Il
problema
è
probabilmente,
che
maestro
viaggiavano
e
allievo,
su
due
sin
dall’inizio
binari
vicini
ma
completamente diversi. Grotowski lavorava sul mito; per quel che
riguarda
i
suoi
spettacoli,
mitologici
del
moderno,
Akropolis);
poi,
a
dell’Arte
come
almeno
partire
veicolo,
dal
sempre
certo, in
parte
Parateatro più
sugli
archetipi
(pensiamo
fino
rivolto
ad
all’estremo alle
radici
arcaiche dell’uomo, per forza di cose distanti dalla realtà corrente.
Come
Grotowski
si
colloca
dentro
e
fuori
della
Storia del Teatro, così, lo ricorda anche Taviani, ha sempre tentato
di
comportamenti
collocarsi, quantomeno
riuscendoci sospetti,
solo
fuori
a
della
patto
di
Storia
in
generale. 48
la censura e l’estrema difficoltà a diffondere alcunchè fuori dalla Polonia.
74
Il fatto che egli non abbia mai pubblicato pensando al futuro (…) ci dice quanto tra i suoi miti personali non ci fosse quello della Storia. (…) …se è vero che la trascendenza in senso verticale era la sola verso la quale Grotowski si sentisse veramente responsabile, nei cui confronti cercasse di adempiere ai doveri del proprio stato, derivandone l’obbligo a fare i conti con le contingenze (…)
restandogli
estranea
quella
versione
orizzontale
della
49
trascendenza che viene detta “senso della Storia” .
Anche Raczak, in un certo senso, è un cercatore di archetipi; ma tutto immerso nella storia che si svolge oggi, sotto i nostri occhi; molto più rivolto al futuro che al passato e, soprattutto – è fondamentale capirlo – molto più rivolto al teatro. Sembrerà forse un’eresia sostenerlo – ma a tutt’oggi bisogna ammettere che la scelta di Grotowski del teatro senza spettacolo
rimane
uno
“scandalo”.
Benchè
egli
abbia
sempre
sostenuto di fare teatro, in realtà questa sua convinzione o ci obbliga ad espandere indefinitamente i confini del termine “teatro”,
o
ad
ammettere
che
solo
Grotowski
poteva
ancora
definire tale la sua attività. Ma del resto questo problema rimane vero per la maggior parte dei teatri non occidentali, ai quali è sconosciuta la distinzione tra religione e teatro. E forse il problema di Grotowski è proprio quello di essere stato uno yogin del teatro ma, inesorabilmente e nonostante tutto, occidentale. Polacco. Europeo. Quindi non immune dalla distinzione
fra
rito
e
teatro,
per
ragioni
di
cultura
incorporata, per così dire; da quella distinzione contro cui lottano e hanno lottato i grandi riformatori, rendendo del loro
teatro
una
sorta
di
area
“espansa”
entro
la
quale
collocare esperienze che non sono specificamente teatrali né rituali, ma forse un po’ di entrambe. 49
F. Taviani, op.cit., in Teatro e storia, 20-21, p.394-395.
75
L’unico
che
però
allontanarsi
dal
abbia
avuto
palcoscenico
la
una
coerenza
volta
per
estrema
tutte
è
di
stato
Grotowski.
Raczak invece non si distanzia mai dalla prova del pubblico “spettacolare” in senso stretto. Non rifiuta il teatro come religione mancata, perché il problema della religione non si pone affatto. Quel che fa è teatro – nel bene e nel male. Non cerca l’ascesi ma il teatro, quello degli spettacoli, quello effimero, quello in balia del pubblico. Grotowski, forse, ha bucato i confini del teatro perché non riusciva ad accettare che il teatro fosse quello… quello che lui non voleva che fosse? Raczak
ha
espanso
ed
espande
i
confini
del
teatro,
ma
in
quanto teatro, rimanendo dentro il recinto dello spettacolo. Si
tratta
di
due
vie
distinte,
l’una
che
scende
dal
palcoscenico per andare verso l’alto – la trasformazione di energia del Performer – l’altra che scende dal palcoscenico per andare verso il basso – la scambio comunicativo fra attore e spettatore.
Per questo, forse, un tradimento reciproco era inevitabile. E in proposito è necessario citare un altro articolo di Raczak, anch’esso
prima
d’oggi
privo
di
traduzione,
che
porta
il
titolo affatto ambiguo di Obecność Nieobecna (“La presenza non presente” differenza
o
“La
fra
le
presenza due
assente”
traduzioni
– è
sottolineando maggiore
di
che
la
quanto
si
pensi…). Si
tratta
di
una
appassionata
quanto
–
a
tratti
–
amara
riflessione sulle parole pronunciate da Grotowski nel corso di due convegni a lui dedicati a Santarcangelo e a Modena fra il 1988 e il 1989. Il casus belli, qui, è probabilmente la frase, pronunciata da Grotowski in entrambe le occasioni – “il teatro può anche morire”. Una colpo, ma pieno di rispetto, al cuore dei creatori di spettacolo 76
Si tratta però di un articolo molto diverso da quello, scritto dieci
anni
prima,
contro
il
Parateatro.
Intanto
il
tono
è
molto più mite – sono cambiate le condizioni – e anche molto più, in un certo senso “dolente”. Si tratta di una apologia del teatro degli spettacoli, che ricorda anche con nostalgia gli spettacoli “per eccellenza” di Grotowski; forse di una sorta di amaro commento alla constatazione di essere stati traditi, ancora una volta, dal Maestro.
In
quell’occasione,
utilizzato
una
il
delle
convegno sue
di
Modena,
preferite
Grotowski
immagini,
quella
aveva della
scala.
“Ricordate il sogno di Giacobbe? Ascoltate ancora una volta… L’arte è come la scala di Giacobbe, sui cui gradini possono scendere gli angeli. Bisogna però che i gradini della scala siano
fatti
bene,
siano
fatti
della
più
alta
qualità
artigianale. L’artigianato è quello che può essere salvato; il teatro può anche morire”. (…) “Il teatro può morire… la libertà non si cerca nel teatro né nel mondo oltre il teatro. E’ da costruire e da conquistare da se stessi. Questo è il problema della scala di Giacobbe e della qualità dei suoi gradini” – ripete Grotowski.
E’ il 1989, e Grotowski ha già da qualche tempo avviato le sue ricerche a Pontedera. Da sette anni è assente dalla Polonia – i sette anni della dittatura del generale Jaruzelski, durante i
quali,
ricordiamolo
ancora,
Lech
Raczak
e
il
suo
Teatr
Ósmego Dnia si erano esposti in tutto e per tutto, facendo teatro
clandestino
nelle
cantine,
nelle
chiese
e
negli
appartamenti, sopportando arresti e censure, fino all’estremo di essere messi fuorilegge.
77
Ancora una volta Grotowski parla del teatro, ed ancora una volta il solito “svantaggio di essere polacchi”, cioè quello di aver conosciuto innanzitutto gli spettacoli di Grotowski, induce Raczak ad amare constatazioni. Ascoltando le parole di Grotowski, di Georges Banu, di Peter Brook sull’Arte come veicolo, un elogium all’artigianato che caratterizza il lavoro a Pontedera, Raczak riflette
E a me sono frusciate nella testa parole di vent’anni prima: atto
totale,
azione
umana,
atto
integrale,
attraversamento
dell’impossibile, scoperta del mistero, processo interiore e non
mestiere
del
maestro
d’arte,
attore
nudo,
spontaneità,
ascesi, catarsi… Sì, la disciplina e di più: il rigore, e ancora la disciplina, ma principale e primitivo è quell’atto spontaneo… Dio, che rivoluzione era stata, che coraggio, dire seriamente dell’attore che è un bestemmiatore, un santo, un profanatore.
Probabilmente l’amarezza deriva dal fatto che allora quelle parole venivano riferite al teatro, quello degli spettacoli, quello che adesso “può anche morire”. L’amarezza
nell’apprendere
questo
cambiamento
di
Grotowski,
nel capire che il “tradimento” del teatro era già presente al principio, non è solo polacca, anche se è vero che per gli artisti polacchi accettare questo abbandono è stato molto più difficile. Non solo perché si è trattato di un abbandono anche fisico – Grotowski ha lasciato la Polonia con lo stato di rifugiato Italia,
politico, anche
soprattutto
stabilendosi
quando
perché
poteva è
poi
tornare
stato
definitivamente tranquillamente
l’abbandono
di
un
–
in ma
grande
ispiratore, che con il suo esempio aveva dato il via a una serie di esperienze prima impensabili. Esperienze nelle quali il teatro non era più qualcosa di effimero, di spettacolare, un
“entertainment”
nel
senso
schechneriano.
Era
un
luogo
fisico e mentale di creazione di una cultura; nel caso della 78
Polonia, di una cultura parallela caratterizzata, a differenza di quella dominante, da un alto grado di verità e di libertà. Già ai tempi del Parateatro accettare questo atteggiamento di Grotowski, quello che Taviani descrive come una “intransigenza incurante
delle
opinioni,
dei
principi
e
dei
contegni
correnti”50, era stato difficile per i polacchi; quella stessa intransigenza avrebbe portato Grotowski più di una volta a ricominciare “morti”
e
“ricerca
tutto non
da
pochi
dell’essenza”
capo,
lasciandosi
“traditi”51, che,
sulla
nel
dietro
non
strada
di
periodo
pochi quella
conclusivo
di
Pontedera, aveva assunto la sua forma finale. Probabilmente le sue affermazioni circa l’ascetismo che deve caratterizzare il Performer,
come
dovutamente
osserva
Małgorzata
Dziewulska,
erano anche motivate dal pensiero pessimistico che la studiosa ritrova costantemente in Grotowski52. Resta il fatto che, come rileva la Dziewulska (vedi nota), questo atteggiamento mal si accordava al comune sentimento di una larga parte degli artisti alternativi polacchi (fra cui Raczak), e anche del pubblico, come già emerso dall’analisi dell’articolo Para-ra-ra. Il ricordo del quale è ancora ben presente nella mente di Raczak, quando scrive:
Poi è avvenuta l’ “uscita oltre il teatro”, nella “santità”, nella “pulsazione”, nel “dire comune”, nell’ “evento”, nell’ “azione
comune”,nella
“reazione”,
nella
“canzone”,
nella
musicalità”, nel “ritmo”, nel “suono”, nel “movimento. Ricordo come non sopportavo questo insieme di parole, ricordo come provavo
fastidio
leggendo
le
50
descrizioni
e
come
sentivo
F. Taviani, op.cit., p.391. Lo stesso Cieślak, lo ricorda Kolankiewitz, fu uno di questi. 52 (Grotowski) vuole fare un colpo di stato solamente nell’esperienza singola (…) non c’è possibilità di migliorare la società; l’uomo, in quanto essere sociale, non può essere modificabile; la prospettiva sociale non lo interessa e va esclusa, dunque, dal ragionamento. Questo legame tra un atteggiamento estremamente ribelle e il conformismo del comportamento nella realtà pubblica è molto raro in Polonia e credo che più volte abbia deciso della diffidenza nei confronti di Grotowski. (M. Dziewulska, Il ladro di fuoco, in Essere un uomo totale, op.cit., p.152-153. 51
79
rifiuto nell’ascoltare le testimonianze delle esperienze negli “stages”.
Ma qui, nel 1989, il fastidio è anche di altro genere: non solo e non tanto a causa dell’ambiguità politica di Grotowski, ma soprattutto per il suo atteggiamento che relega il teatro a qualcosa
che
è
destinato
a
morire
non
per
il
suo
essere
costituzionalmente effimero, ma perché non fondamentale come l’
“artigianato”.
Ed
è
ancora
una
volta
con
amarezza
che
Raczak commenta tutto ciò, facendosi inconsciamente portavoce, probabilmente, di molti, perché bisogna qui ripetere che la scelta di Grotowski per il “rifiuto dello spettacolo”, per quanto abbia poi portato a risultati di altissima qualità, è sempre stata guardata con problematicità, specialmente perché Grotowski ha continuato a sostenere che quel che stava facendo era pur sempre teatro53. Una problematicità che ha riempito di perplessità e, non esitiamo a dirlo, anche di un certo grado di
delusione
chi
il
teatro
degli
spettacoli
continuava
a
farlo, come ammise lo stesso Grotowski a Modena, “lottando per la sopravvivenza stessa del teatro”: ossia la gente di teatro, i registi, gli attori, i creatori di spettacoli:
Perché credevo nel teatro e nell’attore. E conosco gli attori ai quali credo. E ho visto gli angeli che scendevano sulla scena.
E
adesso
solo
l’artigianato,
solo
l’artigianato
ha
diritto a sopravvivere?
La conclusione dell’articolo cerca, in qualche modo, di dare un
giudizio
sulle
parole
di
Grotowski
–
manco
a
dirlo,
ambiguamente. Per un verso si riconosce il valore di questo artigianato,
per
l’altro
si
rivendica
53
l’importanza
degli
Perfino Eugenio Barba, ne La canoa di carta, si interroga sul senso di Action. In realtà il problema è sempre quello che è stato anche chiamato “lo scandalo del teatro senza spettacolo”; qualcosa che, ci azzarderemo a dire, cozza contro alcune delle nostre fondamentali categorie culturali, o almeno lo ha fatto al momento della sua creazione e per molto tempo in seguito.
80
spettacoli
–
anche
e
soprattutto
degli
spettacoli
di
Grotowski, quelli che come ha detto Raczak “lui non voleva”. Spettacoli che, è vero, hanno dato il via a una frenetica produzione,
dice
Raczak,
di
teorie
spesso
per
nulla
innovative, e di spettacoli “in gran parte grafomani, rumorosi e caotici”. Ma spettacoli che hanno avuto anche il merito di funzionare come un meccanismo per risvegliare la sensibilità degli spettatori, proprio di quegli spettatori – ironia della sorte
–
di
cui
Grotowski
meno,
ammettendone
avrebbe
assai
pochi
forse già
fatto
nei
volentieri
suoi
a
spettacoli,
eliminandoli dal Parateatro in avanti, o accogliendoli solo sotto il nome di “Testimoni” nell’epoca di Action. Per Raczak gli spettatori sono fondamentali – e qui sta la differenza fra le due “discese dal palco” di cui ho parlato prima – in quanto sono il termine ultimo della comunicazione dell’attore e il polo
dialettico
con
cui
egli
interagisce.
E’
questo
che
intende quando afferma che “così rinasce la sensibilità degli spettatori, anonima”,
di
questa
rivoltando
importantissima a
suo
uso
la
gente frase
del
teatro
emblematica
– di
Grotowski che aveva posto all’incipit dell’articolo, “Quello che nella cultura è più importante è anonimo – come i templi e le canzoni”. E vorrei ancora sottolineare quanto con questa affermazione Raczak crei de facto una valida alternativa e una risposta
dialettica
sottoposto
a
a
quel
marziale
concetto,
giudizio)
introdotto
(ma
dall’Antropologia
anche
Teatrale,
che va sotto il nome di “etnocentrismo dello spettatore”. Quel che Raczak sembra dirci è questo: è vero, lo spettatore non è l’unico metro di giudizio del teatro. Al centro sta l’attore, il
“bestemmiatore,
santo
e
profanatore”
di
Grotowski.
Ma
stiamo attenti, anche lo spettatore deve restare in gioco. Il teatro
“funziona
sensibilità, interlocutori, visione
del
come
quella
una
dei
egualmente teatro,
come
crisalide”
teatranti
e
importanti. quella
81
di
per quella
mutare
due
dei
loro
Specialmente Lech
in
Raczak,
una così
profondamente radicata nella contingenza della storia e delle sue urgenze.
La fine dell’articolo è un elogio, infine, dell’assenza: ma di chi? Il dubbio rimane. Di Grotowski dal teatro?
L’assenza può essere una testimonianza di rifiuto, disprezzo, disinteresse, disaccordo; ma può essere anche un gioco contro il
tempo,
riempita
un’apertura di
nuovo,
sul
con
vuoto
che
un’energia
richiederà potente
e
di
essere
condensata,
diretta precisamente.
In questo modo l’assenza di Grotowski dal teatro finisce in effetti per creare un vuoto fertile, che gli artisti dello spettacolo possono riempire con le proprie energie; il merito di
Grotowski
è
anche
quello
di
aver
creato
un’apertura
se
tratta
di
possibilità. Ma
ci
si
potrebbe
anche
chiedere
si
invece
dell’assenza del teatro stesso, che muore nel momento in cui nasce.
E’
questa
assenza,
questa
essenza
effimera
e
inafferrabile, ad essere la più grande debolezza ma anche la potenza più straordinaria del teatro?
Ripetiamo alla fine una favola che tutti conoscono: cos’è il teatro se non una presenza di ieri, un fatto di un’ora fa, un’inesistenza. Che accadrà di nuovo.
82
TEATR 107 ESEMPIO DI UN MANIFESTO DEL TEATRO DI CONTESTAZIONE
Il terzo articolo di Lech Raczak che compare in questo lavoro di
tesi
in
prima
traduzione,
insieme
a
Para-ra-ra
e
La
presenza non presente (cfr. l’Appendice II) si intitola Teatr 107. A dire la verità, però, non si tratta di un articolo, bensì della trascrizione a posteriori di una relazione tenuta da
Lech
Raczak
presso
l’Accademia
d’Arte
Drammatica
di
Varsavia nel giugno del 2004. Il tono e la forma pertanto sono in
qualche
misura
diversi
dai
due
articoli
precedentemente
analizzati, anche se in qualche punto fa capolino la tipica “vena sarcastica” di Raczak… Si tratta sostanzialmente di un confronto
fra
due
tipi
di
teatro,
che
nel
testo
vengono
chiamati “Teatro Drammatico” e “Teatro Alternativo”, ma che potremmo (come scrive Raczak stesso) chiamare anche con nomi differenti (“Teatro di Tradizione” e “Teatro di ricerca”, per esempio, anche
per
adattarli
schematico
dal
al
panorama
punto
di
italiano).
vista
Accurato,
dell’analisi
ma
storico-
stilistica dei due generi teatrali, il testo elenca, punto per punto, le differenze fra i due tipi teatrali, soffermandosi sulle problematiche più salienti: l’uso dello spazio, il tipo di organizzazione e composizione interna delle compagnie, il tipo di pubblico cui si rivolgono, i punti di partenza e gli scopi
artistici
e
sociali,
le
forme
e
le
tecniche
di
espressione, il rapporto con la musica e con la scenografia e infine, last but not least, il rapporto con i movimenti di contestazione molto
sociale.
importante
carattere,
secondo
poiché
Quest’ultimo grazie
Raczak,
a
elemento questa
“rivoluzionario”
è
certamente
precisazione e
sul
contestatorio
del teatro alternativo, il testo assume uno spessore teorico molto più innovativo.
83
Come vedremo, infatti, nel corso della relazione Raczak non dice
nulla
di
nuovo54:
sostanzialmente
se
non
fosse
per
quest’ultimo punto, e per il carattere in qualche misura di “rivendicazione
dei
diritti
del
teatro
alternativo”
che
il
testo assume (soprattutto nella parte finale), esso sarebbe poco più che una, pur precisa e lucida, sintesi delle indagini teoriche e storiografiche sul Teatro del Novecento55. Per non fargli
torto,
sottolineamo
anche
come
Raczak
non
nasconda
nemmeno per un momento né la sua provenienza “di parte”, a scanso di errate pretese di una sua oggettività analitica, né, conseguentemente, una certa ostilità nel confronti del teatro drammatico. Il testo è indubbiamente sbilanciato, sia per la quantità che per la qualità delle parole spese, a favore del teatro “alternativo”: e come potrebbe non essere, quando è pronunciato da un regista che già dopo poche righe ci dice
Dunque,
ho
studentesco teatro
cominciato con
a
partecipare
l’intenzione
drammatico,
al
movimento
di
oppormi
e
dominante.
ufficiale
alla (…)
teatrale
pratica il
del
teatro
drammatico, con la sua forza, autorità, serietà ed alterigia si adattava perfettamente a questo ruolo (…)56
Perciò l’originalità del testo proviene dal fatto che, se esso viene letto in questa chiave “partigiana”, in esso emerge il filo di un discorso che, culminante nella parte finale, fa di
54
Si tenga sempre presente che il testo nasce da una lezione, perciò il carattere didattico e forse un po’ “ripetitivo” che lo contraddistingue è giustificato da questa sua natura. 55 Nel caso preciso, in Polonia, ma il discorso di Raczak si potrebbe facilmente generalizzare a tutto il Teatro europeo, soprattutto se si considera l’importanza delle scoperte dei teatranti polacchi (Grotowski è il più famoso, ma non l’unico degli esempi) sulla scena mondiale. 56 Da Teatr 107. A proposito della “partigianeria” che, si sarà ormai notato, contraddistingue gli scritti di Raczak, ritengo che forse sia proprio questo carattere “di parte” che fa pronunciare e scrivere al regista le sue parole migliori, appassionate ma anche sorprendentemente lucide e incisive, in materia di teatro; e che, pertanto, non vada inteso come un difetto ma come un pregio (anche letterario): un pregio che, a mio parere, è condiviso da molti dei registi-teorici del Teatro del Novecento (per citarne uno dei più celebri, Eugenio Barba).
84
questa relazione una sorta di manifesto “a posteriori” del teatro di contestazione.
Dopo una breve introduzione di carattere personale (Raczak si sofferma a ricordare velocemente le sue prime esperienze e ispirazioni nel campo teatrale) e la dovuta precisazione che i due tipi di teatro che analizzerà saranno ridotti, per ovvie ragioni, a modelli ideali e “puri” di fenomeni che in realtà sfuggono
almeno
in
parte
ad
una
pedante
classificazione
analitica, Raczak passa in rassegna le differenze principali fra i due generi di teatro, a partire dal diverso rapporto che ciascuno intrattiene con lo spazio. A
un’accurata
analisi
del
testo,
che
tenga
conto
anche
dell’ambiente di provenienza e delle esperienze del suo autore (di cui un primo assaggio si è avuto nel capitolo dedicato agli anni del Teatr Ósmego Dnia), non può sfuggire quanto sia particolare
che
proprio
l’uso
dello
spazio
sia
l’elemento
primario da cui parte la differenziazione fra i due generi teatrali.
Comunemente,
infatti,
quando
pensiamo
al
teatro
drammatico e a quello alternativo, la prima differenza che ci viene in mente (ma forse questo avviene perché siamo italiani) è che il primo – per dirla in parole molto povere –
usa la
parola, mentre il secondo il corpo. Qualsivoglia teatro ci venga in mente, ipso facto pensiamo ad un palcoscenico, anche se è il teatro alternativo. Lech Raczak, invece, pensa proprio alla differenza fra i due spazi. Che ciò accada perché si tratta di una mente più “allenata” alla regia, che è anche la scienza teatrale dello spazio, o perché si tratta della mente dell’ex
regista
del
Teatr
Ósmego
Dnia,
non
è
di
grande
importanza. Ma si ricordi che, come già sottolineato, il Teatr Ósmego
Dnia
fu
il
primo
teatro
studentesco
che
in
Polonia
rinunciò alla scena tradizionale, cosa affatto rivoluzionaria negli anni sessanta. E che quasi nessuno degli spettacoli di Raczak
utilizza
un
palcoscenico
tradizionalmente
“all’italiana”, ma che, come si vedrà nel prossimo capitolo in 85
particolare, il pensiero di questo regista è eminentemente, anche se non solo, spaziale. La ricerca di uno spazio altro rispetto a quello del teatro drammatico
è
dunque,
per
Raczak,
una
delle
caratteristiche
principali del teatro alternativo. Essa è motivata da ragioni varie
e
assai
differenti
tra
loro:
questione
di
“necessità”,
perché
nascendo
da
un
del
rifiuto
in
primo
il
luogo,
teatro
teatro
è
una
alternativo,
tradizionale,
si
caratterizza di conseguenza anche per una fuoriuscita dagli spazi
istituzionali
di
quest’ultimo.
La
fuoriuscita
e
il
rifiuto pongono però immediatamente il problema di trovare uno spazio in cui poter presentare i propri spettacoli. Ecco che il
teatro
alternativo
diviene,
come
lo
descrive
l’immagine
molto incisiva di Raczak, un “intruso”:
Alla
nozione
di
“teatro
alternativo”
molto
spesso
non
si
associa alcun luogo concreto. Dal momento che gli spettacoli di
teatro
nuovi
alternativo
spazi
per
il
si
associano
teatro,
esso
spesso
si
alla
ricerca
impadronisce
di
di
spazi
altrui. Il teatro alternativo è una sorta di intruso, esso si intrufola ed entra laddove non è atteso.
Questo
elemento
dell’
“intrusione”
non
sembra
essere,
per
l’autore, solo un fare, come si dice, “di necessità virtù”. Esso
è
anche
sufficiente)
di
una
specie
esistenza
di del
condizione teatro
necessaria
alternativo
(non
medesimo,
perché qualora essa venga abbandonata, ossia quando un gruppo di teatro alternativo – cosa più unica che rara, specialmente in Polonia – ottiene la gestione di una sala propria, questi va immediatamente incontro a un rischio di auto-snaturamento. Lo spazio, tanto desiderato dai gruppi, diviene – potremmo del resto negarlo? – più che una sala per la produzione e la messa in scena di spettacoli, un luogo di incontri e di varie forme di contatto sociale.
86
Ma il rapporto con lo spazio non è solo questione di ricerca e di intrusione. Una volta trovato, o fortunosamente ottenuto, uno spazio qualsiasi per il proprio spettacolo – quasi mai una vera e propria sala dotata di palcoscenico, stando all’elenco di Raczak
(…)
nella
sala
del
club,
del
garage,
del
capannone,
della
cantina; nel cortile, nella chiesa, nella strada (…)
sorge
il
trovato,
problema
di
come
caratteristica
rapportarsi
che
molti
ad
esso.
hanno
Lo
spazio
sottolineato
a
proposito del teatro alternativo, non è mai uno spazio neutro. Anche se spesso gli artisti del teatro di ricerca sognano come condizione
ideale
del
proprio
lavoro
posti
come
la
“Sala
Bianca” o quella “Nera” dell’Odin Teatret a Holstebro, il più delle
volte
sono
costretti
a
lavorare
in
luoghi
già
caratterizzati da una propria funzione, e spesso permeati da una propria, ingombrante simbologia (può essere il caso delle chiese, già dibattuto in questa sede nel capitolo secondo, ma anche quello dei capannoni delle fabbriche abbandonate, etc…). Lo spazio, con le sua bellezze e le sue bruttezze, diventa un contenitore non passivo dello spettacolo. Gli elementi che lo caratterizzano, anche se di solito
(…)
vorremmo
che
qualunque
scenografia
fosse
un
elemento
sconosciuto e artistico
costringono gli attori e il regista a ridisegnare le proprie azioni
ogni
l’atmosfera
volta
sulla
circostante.
base
di
un
diverso
Costringono
spesso
rapporto a
un
con
dialogo
faticoso, in cui il teatro deve alla fine risultare vincitore, se vuole che, come dice Raczak, per il tempo dello spettacolo lo spazio “si riempia di un’aria nuova”. E, manco a dirlo, la responsabilità di questa fatica tocca agli
attori.
Sembrerebbe
dunque 87
che
per
Raczak,
almeno
in
parte, la tecnica dell’attore del teatro di ricerca sia ancora una
volta
una
questione
del
“fare
di
necessità
virtù”.
O
meglio: l’impressione che ne traiamo, è che non sia alla fine possibile
separare
una
tecnica
ed
suo
il
caratteristica impiego
dall’altra,
siano
e
che
complementari
la e
interdipendenti. Cosa che accade di frequente nell’analisi di fenomeni viventi come quelli performativi… che sia il solito problema dell’uovo e della gallina?
Una delle principali differenze fra i due generi che Raczak sottolinea è, ovviamente, quella tra le tecniche attoriali. E’ qui che forse emerge maggiormente la sua “parzialità”, nel senso che la descrizione è più che mai sbilanciata a favore del
teatro
teorici,
alternativo.
la
Come
fanno
contrapposizione
fra
e
hanno
teatro
fatto
altri
drammatico
e
alternatività si basa anche per Raczak sulla dicotomia parolaazione e, nello specifico, sui diversi punti di partenza che i due tipi di teatro assumono nel processo creativo. Nel caso del teatro drammatico il punto di partenza è, com’è ovvio, l’opera
letteraria.
Meno
ovvio
che
nel
caso
del
teatro
alternativo Raczak scelga come fonte di ispirazione “la realtà dei fatti”. Non tutti i teorici della ricerca novecentesca additano
infatti
gli
compreso
Grotowski,
eventi che
del
invece,
reale per
e
dell’attuale
dirla
(ivi
brevemente,
si
basava sulla ricerca degli “archetipi” della modernità). Ma questo punto di vista chiaramente si lega all’esperienza del regista
nel
campo,
ancora
una
volta,
del
teatro
di
contestazione.
Un’altra differenza di rilievo che si lega alla problematica della
contestazione,
è
rappresentata
dalla
composizione
del
pubblico. Sentiamo cosa ci dice Raczak in proposito:
Nel caso del teatro drammatico il pubblico, come sappiamo, proviene da ambienti, classi sociali e generazioni differenti. 88
(…)
Diversamente,
la
condizione
di
esistenza
del
teatro
alternativo è che esista un pubblico di coetanei. Le compagnie dei
teatri
alternativi
sono
generalmente
costituite
da
giovani, che attraverso il teatro provano a descrivere il loro mondo e a trasformarlo, confrontandosi con un pubblico di loro coetanei,
che
si
possiede
simili
appassiona
per
esperienze
simili
sociali
e
problematiche,
che
culturali,
una
e
sensibilità affine.
Naturalmente, come spesso precisa, l’autore sta parlando qui di un modello ideale; e, forse, di quel modello realizzatosi nel corso degli anni ’70, durante i quali, per una speciale concomitanza
di
eventi,
la
rivolta
artistica
andava
a
braccetto con quella generazionale; il teatro di contestazione era
pertanto
sinonimo
di
teatro
giovanile,
o
meglio
studentesco, nel senso che la generazione di coloro che allora frequentavano
gli
ultimi
anni
delle
scuole
secondarie
e
l’università aveva riunito sotto un unico nome aspirazioni di ribellione su fronti che oggi sono a volte assai distanziati tra loro. Infatti la particolarità “generazionale” del teatro alternativo, altrove teatro
(e
a
tutt’oggi,
forse
l’Italia
alternativo,
di
è
molto
sfumata.
è
l’esempio
contestazione,
In
Polonia
principe) di
l’idea
ricerca,
si
e di
lega
soprattutto a gruppi i cui membri hanno superato da un bel pezzo l’età “universitaria”. Raczak non manca di notare questo fenomeno,
chiamando
“classici”
del
in
teatro
causa
quelli
alternativo:
che
lo
egli
stesso
denomina Teatr
i
Ósmego
Dnia, ma anche i notissimi – almeno in Polonia – Akademia Ruchu e Biuro Podróży. Posto che la tesi di partenza di Raczak è che la caratteristica fondamentale del teatro alternativo è quella di essere un fenomeno di natura generazionale e, più precisamente,
giovanile,
poiché
si
lega
ai
desideri
di
rinnovamento, creatività, ribellione in qualche modo tipici di questa
età,
allora
se
ne
dovrebbe
dedurre
che
i
“vecchi”
gruppi della contestazione in effetti non sono affatto tali. 89
Il ragionamento di Raczak è, per così dire, estremo, perché in qualche modo afferma che qualora un gruppo alternativo tenti di rendersi indipendente dalla generazione entro la quale è nato, perda in qualche modo parte della sua essenza. E Raczak non risparmia le critiche su questo punto, affermando che
Essi sfruttano la loro fama di contestatori o di avanguardisti e
le
necessità
spirituali
dei
giovani
in
cerca
di
un’arte
adatta alle loro idee, alla ribellione, all’inquietudine, alla fame di novità, per indirizzare gli spettacoli ad un pubblico di età “universitaria”.
Ma il problema è certamente più ampio, e riguarda in qualche modo la considerazione globale del fenomeno del “teatro di contestazione” nel contesto del mondo teatrale contemporaneo. Un problema assai delicato per Raczak stesso, da momento che comporta anche un giudizio sul proprio lavoro degli ultimi anni.
Ma
non
solo:
induce
anche
a
riflessioni
circa
la
possibilità effettiva, per i teatranti d’oggi, di fare del “teatro di contestazione” nel senso proprio; da che dovremmo chiamare esponenti
in
causa
della
non
ricerca
solo
Raczak,
teatrale
ma
anche
contemporanea,
molti o,
degli per
lo
meno, gli eredi della corrente del Living Theatre.
FARE TEATRO OGGI: Il TEATRO SENZA IL GRUPPO E IL PROBLEMA DELLA CONTESTAZIONE
La breve analisi di Teatr 107 avrà fatto come minimo intuire che le considerazioni di Raczak sulla natura del teatro di alternativo lo portano facilmente ad un impasse. Ossia viene da
chiedersi:
come
può
un
regista
90
che
si
autodefinisce
un
esponente
del
definizione
“teatro
tale
movimento?
da
Raczak,
di
gruppo”57
escludere lo
se
darne,
in
stesso
ribadiamo,
è
a
un
sostanza,
priori
regista
da
di
una quel
teatro
alternativo: lo è stato ma lo è ancora, e per averne conferma basterebbe vedere anche uno solo dei suoi spettacoli. Ma non è (più)
il
regista
possiamo
di
escluderlo
un
gruppo.
Ed
ha
sessant’anni,
tranquillamente
dal
quindi
novero
delle
generazioni “universitarie”. Non è quindi una contraddizione in
termini?
Interrogato
su
questo
punto,
Raczak
non
nega
affatto il problema; solo, non sembra considerarlo così grave. Se non vuole giungere ad affermare che la contestazione non esiste più, la
sostiene però che essa è cambiata: non esiste più
controcultura
nel
senso
che
aveva
negli
anni
sessanta,
settanta, e, per la Polonia almeno, ottanta.
(…) credo che i tempi siano cambiati, e anche le aspettative del
potenziale
pubblico…
credo
che
a
volte
oggi
non
serva
l’espressione della propria posizione politica, ma serva più il lavoro, non lo so, più concreto, ad esempio lavorare con gli emarginati… e qui si sparisce subito. Il costo è quello che molto spesso si esce dall’artistico, che questo “sociale” diventa
decisivo,
si
sovrappone
sull’artistico.
Mentre
nel
caso del teatro politico di allora a volte poteva essere il contrario d’accordo difficile.
(…)quella con
la
Anche
ribellione
di
tipo
sociale
ribellione
artistica.
Oggi
perché
mezzi
comunicazione
i
di
questo
andava è
più sono
cresciuti enormemente, anche solo quelli elettronici che prima non c’erano o non funzionavano così fortemente.
Il problema del fare teatro senza un gruppo, inoltre, è per Raczak più un fatto da accettare che una reale scelta:
57
Chiamiamolo come ci pare, di gruppo, di contestazione, di ricerca, eccetera, si tratta sempre dello stesso fenomeno, anche se è vero che in Polonia la componente “rivoluzionaria” ha avuto maggior importanza.
91
Dovrei dire in modo più crudele: mi piacerebbe lavorare con il teatro di gruppo ma probabilmente non lo farò mai più. Così è la realtà… quindi non mi resta che cercare, lavorando con i gruppi
esistenti…
sfruttare
alcuni
mezzi,
possibilità,
tensioni, bisogni spirituali della gente per cercare vicino a quella forma di teatro di gruppo. A volte si riesce a fare lavorando così, con i gruppi di gente giovane, più giovane di me, e a volte riesco a fare cose simili lavorando con la compagnia di un teatro stabile in Polonia, quello di Legnica… ma è l’unico caso (…)
La constatazione è amara; si vorrebbe ancora fare del teatro di gruppo, ma si ammette che non è più possibile. Diventano allora più corpose le critiche a quei gruppi di cui sopra, ivi compreso (e, forse, soprattutto?) il Teatr Ósmego Dnia58, che si autodefinisce ancora un teatro della controcultura quando in realtà non lo è più: perché non può esserlo. Questo è vero non
solo
nel
caso
polacco:
per
quanto
il
fenomeno
della
contestazione giovanile abbia avuto una vita assai più lunga che altrove (continuava negli anni ottanta, quando in Italia erano già finiti e il sessantotto e le contestazioni degli anni settanta, e si era in pieno periodo del “benessere”) al giorno è più difficile operare distinzioni su base geografica. Viene
più
naturale
Occidente. permette
La più,
contestazione
e
società per di
corretto
parlare
occidentale
sua
trenta
natura, o
del
di
nuovo
fenomeni
quarant’anni
Europa,
millennio
unitari
fa.
o
Questo
come
di non la
avviene
perché i vari ambiti del sociale, del politico e del culturale si sono enormemente complicati e hanno subito, per di più, un processo
di
astrazione
che
impedisce
58
a
chi
lo
desideri
di
Cfr. l’intervista di Krzysztof Mroziewicz a Lech Raczak, dal titolo Co zostało z kontrkultury? (Cos’è rimasto della controcultura?), apparsa sul giornale polacco Polityka di qualche tempo fa. In essa Raczak sosteneva, a proposito del Teatr Ósmego Dnia, che esso “prosegue il suo percorso continuando quelle esperienze. Ma non è già più controcultura”.
92
sferrare un attacco unitario contro di loro. Lo stesso Raczak lo riconosce quando afferma:
oggi possiamo pensare la realtà anche in un altro modo: la realtà
può
realtà
essere
politica,
spirituale,
sociale,
artistica,
ma
può
culturale
essere
anche
in
senso
antropologico… credo che oggi la gente abbia più la sensazione di vivere contemporaneamente nelle diverse realtà. Prima si sentiva
oppressa
o
guidata
soprattutto
su
un
livello,
ora
credo che sia un pochino diverso, che si sa che se uno dice in modo rivoluzionario “Siamo oppressi dalla politica”, deve dire subito anche “da tipi di informazione” – che possono essere anche indipendenti dalla politica, in sé – “da comportamenti di massa” – spontanei, non politici, e cose di questo genere.
E
in
effetti,
alla
riconoscendo
la
contestazione
teatrale,
personale,
fine,
privata,
fine, o
il
almeno
rimane che
problema
la
lo via
non
si
risolve:
snaturamento, di
attraverso
una varie
della
testimonianza forme
di
collaborazione, e la faticosa ricerca di situazioni che lo permettano, riesca ad avvicinarsi il più possibile a quell’ “alternatività” che però, nell’opinione di questo regista (ma ci sentiamo d’accordo con lui), è entrata in crisi già da qualche tempo. Si tratta di una ricerca personale che è sia una denuncia verso l’infelice situazione del teatro negli ultimi tempi, sia un tentativo di trovare una nuova via per dare una forma alla propria inquietudine attraverso il teatro.
93
94
APPENDICE (II)
Tre articoli di Lech Raczak in prima traduzione italiana
PARA-RA-RA Testo apparso su Dialog, 1980/7 traduzione italiana di Ilaria Rigoli e Daria Anfelli (2006)
1. Non
so
che
cosa
sia
il
“Parateatro”,
né
quali
siano
le
irripetibili e particolari caratteristiche di questo fenomeno, cosa lo distingua dal teatro e cosa lo differenzii dalle altre opere d’arte. Ma, del resto, si tratta davvero un fenomeno artistico? Si può e si deve pensare e parlare del “Parateatro” servendosi
delle
caratteristiche
che
di
solito
utilizziamo
nell’analisi delle opere d’arte? Non saprei. Se tuttavia ho deciso di scrivere su questo argomento, l’ho fatto perché il termine “Parateatro” negli ultimi tempi comincia ad apparire in
modo
ricerca
fastidiosamente
frequente
teatrale
Rozmowy
(cfr.
nelle
sul
pubblicazioni
numero
di
sulla
novembre
di
Dialog del 1979); e, per di più, le descrizioni degli “eventi parateatrali” di cui ho letto o sentito parlare mi hanno fatto sorgere il dubbio di non aver io stesso, talvolta, fatto del “parateatro”, e di continuare a farlo ancora oggi. “Para-rara”
–
canticchio
allegramente
–
sono
ancora
sulla
cresta
dell’onda. E guarda un po’ – anch’io so parlare in prosa!
2. Nella come
definizione il
lavoro
utilitaristiche
“attività di
e
parateatrali”
laboratorio
di
tipo
che
scolastico
rientrano
azioni
nasce
dalle
necessità
del
gruppo
teatrale,
un’attività spesso aperta a persone esterne, che non conduce direttamente
alla
produzione 95
di
un’opera.
Rientrano
le
presentazioni vario
(spettacoli,
tipo)
che
azioni
superano
le
spettacolari,
richieste
azioni
tradizionali
di
dello
spettacolo o non le rispettano; si intendono quindi eventi che avvengono
senza
la
scelta
di
un
luogo
predisposto
(quello
preparato della sala oppure quello scelto soltanto a seconda della proprietà puramente estetica dello spazio aperto), senza una selezione del pubblico (attraverso inviti, distribuzione di
biglietti
presenza
di
o
scelta
delle
un’esposizione
modalità
dominante
informative)
di
mezzi
non
e
in
teatrali
(plastici, musicali). Rientrano infine improvvisazioni o altro genere
di
strutture
spettacolari
aperte
alla
possibilità
dell’intervento del caso, ad esempio attraverso l’introduzione nell’azione del pubblico. Il
Teatr
Ósmego
Dnia
ha
fatto
esperienza
in
tutti
questi
ambiti di cui ho parlato. Dal 1970 abbiamo condotto cicli di attività
cui
abbiamo
laboratorio”;
a
comprendenti
da
dato
il
questi 15
a
nome
lavori
30
generico
di
prendevano
giovani,
che
“lavoro
parte
dichiaravano
di
gruppi la
loro
volontà di collaborazione stabile col nostro teatro. Inoltre nell’inverno
del
1976
abbiamo
organizzato
un
laboratorio
(della durata di 7 giorni) per quelli che dopo aver visto lo spettacolo volevano prolungare e arricchire il contatto col Teatro. Lo scopo di questi “laboratori” era in primo luogo stimolare
i
loro
partecipanti
all’attività
fisica
(al
movimento), all’azione spontanea, e più avanti alla creazione della possibilità di superare le barriere dei comportamenti convenzionali del
corpo,
e
alla
della
liberazione
pienezza
dell’espressione
della
voce,
istintiva
dell’apertura
di
sé
verso gli altri. Questo programma iniziale si è dimostrato per parte
dei
partecipanti
della
libertà
e
soddisfatto
le
questo
era
non
della loro
del
tutto
comunità
esigenze
bastato
e
sufficiente:
nel
lavoro
spirituali;
per
i
quali
l’esperienza
aveva
i la
del
tutto
ai
quali
pochi
creazione,
la
conoscenza e l’attività creativa sono un processo continuo, una necessità mai soddisfatta, sono restati al teatro. 96
Più volte abbiamo condotto simili “laboratori”, con i membri di diversi gruppi creativi studenteschi (a Konin nel 1975, a Bocheniec nel 1975 a Iława nel 1979 e altri). Abbiamo però messo un particolare accento sulle forme di collaborazione che permettevano ai partecipanti del “laboratorio”, in breve tempo e in modo attivo e personale, di conoscere il metodo da noi usato e di attivare il processo creativo, attraverso il metodo dell’improvvisazione istintiva oppure regolata dalla scelta di un comune problema intellettuale.
L’improvvisazione – alla quale si richiamano oggi molti di coloro che praticano il “parateatro” – è da più di dieci anni uno stabile e anzi quotidiano fondamento del nostro lavoro. Crea materiali che, consegnati poi ad una lunga elaborazione (per
esempio
l’eliminazione
di
situazioni
non
necessarie,
l’elaborazione nello spazio e la scrittura di testi e altre cose
del
genere),
formano
sequenze
ed
episodi
dello
spettacolo. Perciò, quando nelle situazioni internazionali di “laboratorio” era nata la necessità di mostrare il [nostro] metodo di lavoro, la “necessità di dimostrazione del processo creativo”,
per
due
volte
ci
siamo
decisi
a
mostrare
pubblicamente le improvvisazioni: nel 1978 nel Laboratorio del Giovane
Teatro
Speranza
a
nella
Lublino mancanza
(Nadzieja di
w
beznadziejnosci,
speranza)
e
nel
it.
1979
nel
Laboratorio Teatrale a Iława (Caprichios, it. Capriccio). Bisogna
necessariamente
l’improvvisazione
teatrale
segnalare non
ha
niente
che in
comunque
comune
con
lo
scherzo cabaret (la maggior parte delle volte avviene senza testi
parlati),
istintive,
né
si
spontanee,
limita
alla
e
emozioni
di
liberazione e
di
azioni
reazioni
non
controllate. Gli attori del Teatr Ósmego Dnia mirano a mettere insieme e sono capaci di unire anche apparenti contraddizioni: l’espressione organica e libera del corpo con la necessità di una precisione del segno; uniscono la ricerca individuale e senza
barriere
della
propria
verità 97
con
la
tensione
alla
formazione di un ritmo di gruppo e alla struttura dell’azione. L’improvvisazione conoscenza
e
infatti
non
serve
può
alla
quindi
comprensione
fermarsi
al
e
alla
livello
di
un’attività di movimento incontrollata o di un comune sentire –
dovrebbe
anche
essere
un
modo
per
sollevare
e
scambiare
questioni, visioni, idee.
Il gruppo del Teatr Ósmego Dnia ha anche realizzato altri tipi di
improvvisazioni
spettacolo
pubbliche
Sztafeta
nel
(“Staffetta”)
1970, in
presentando
sei
villaggi
lo
della
Polonia. Giorno per giorno – senza tempo per le prove e senza praticamente il tempo per mettersi d’accordo a parole e per modificare lo spettacolo – abbiamo fatto spettacolo in sale, sulle scalinate dei palazzi, in un campo e vicino al lago, nei parchi gioco, nel campo da calcio. Ma era sempre lo stesso teatro… allora di “parateatro” non si parlava.
Un’esperienza per certi versi simile è stata Integracja, una performance che il Teatr Ósmego Dnia ha realizzato insieme al gruppo Jazz Laboratorium e al gruppo plastico Od Nowa per il finale del quinto festival della cultura studentesca a Wrocław (nell’ottobre artisti
del
plastici
1972).
Forse
corealizzatori
–
dal
punto
dell’evento
di
vista
artistico
degli o
per
gli spettatori arresi ad una lettura stereotipata formatasi sul
terreno
delle
un’esperienza spettacolo,
la
arti
plastiche
“parateatrale”. dominanza
di
Per mezzi
–
me
Integracja invece,
plastici
è
stata
regista
dello
e
musicali,
ma
anche dell’azione teatrale e della parola (versi di giovani poeti)
e
perfino
azioni
plastiche,
l’apertura,
soprattutto
all’improvvisazione,
sul
compreso
piano il
delle
rischio
(purtroppo, realizzato) di situazioni che interferissero con il corso dello spettacolo – rimane immutata la sensazione che Integracja
fosse
un
evento
spettacolo.
98
comunemente
teatrale.
Uno
Esperienze che vorrei non chiudere nella parola “teatro” o “presentazione dell’azione
teatrale”,
Poezja
na
invece,
ulice
sono
(“Poesia
state
nella
quelle
strada”),
che
abbiamo realizzato con i partecipanti al primo incontro di teatro
e
arti
manifestazione
aperte
a
teatrale
Oleśnica
(nel
“Libertad
1978),
oppure
d’expression”
alla
la
quale
abbiamo preso parte a fianco di Triple Action Theatre, Gruppo Internazionale di Teatro e altri, nel giorno di apertura a Wrocław di parte di quegli incontri.
3. L’azione Poesia nella strada è stata realizzata in 4 fasi. Nella prima fase i suoi creatori – il gruppo del Teatr Ósmego Dnia
e
i
partecipanti
al
festival
di
Oleśnica
interessati
all’idea – con la consapevolezza che le modalità e la forma di partecipazione
sono
interpretazione
allo
della
stesso
poesia,
tempo
hanno
anche
scritto
un
modo
versi
di
poetici
propri ma importanti per sé e scelti per l’occasione. Sono stati
creati
versi,
in
pupazzi
questo scritti
modo con
striscioni la
e
poesia,
stendardi
manifesti,
con
i
poster,
lavagne e tavole; sono stati scritti dei versi poetici anche su alcune decine di involucri di carta usati per le merci nei negozi.
Nel
giorno
antecedente
all’azione
poetica
prevista,
“Poesia
nella strada” si è svolta in uno degli spazi del festival dedicati alla mostra dei versi e durante questa presentazione altri
partecipanti
all’incontro
hanno
aggiunto
ulteriori
testi.
Il giorno dopo, direttamente dopo lo spettacolo “Svendita per tutti” gli spettatori e gli attori, al suono della musica di scena, sono usciti nelle strade della città portando in corteo versi
scritti
in
vari
modi.
In
seguito
sono
stati
appesi
stendardi e striscioni sui muri delle case, sono stati affissi 99
manifesti sulle vetrine, sui pali e sui muri, sono stati posti dei
pupazzi
e
delle
tavole
nei
piazzali
pubblici,
è
stata
consegnata ai passanti della frutta in borse sulle quali erano scritti i testi delle poesie…
L’ultima fase dell’azione è durata ancora qualche giorno: i passanti, gli abitanti di Oleśnica, leggevano i versi appesi nella città, discutevano di questi, litigavano sulle poesie, le portavano a casa o le distruggevano; la poesia ha vissuto nella
strada
a
fianco
dell’informazione
comune,
della
pubblicità e degli slogan.
4. La
domanda
posta
accompagna
all’inizio
–
quanto
io
tutto
che
cos’è
scrivo
il
“parateatro”
qui
al
–
riguardo
dell’attività non propriamente spettacolare del Teatr Ósmego Dnia. Non esageriamo comunque se accettiamo che i fatti sopra descritti
si
possano
considerare
come
elementi
del
“parateatro”. La mancanza di precisione terminologica, di una prova di definizione, costringono dunque a prendere per buona l’espressione “parateatro” per eventi molto diversi: attività sociali che si manifestano in vari campi, che si differenziano per
i
fini,
osservatore
i
mezzi
esterno,
e
i
terreni
spesso
di
soltanto
realizzazione.
Un
ascoltatore,
un
un
fruitore di descrizioni non sempre credibili, mai obiettive, è condannato
a
fidarsi.
Deve
accettare
che
l’informatore
che
descrive il fatto usa la parola “parateatro” consapevolmente avendo
verso
questo
termine
se
non
un’intenzione
teorica
almeno una convinzione univoca o una decisa intenzione.
Bisogna sottomettersi a questo. Prendiamo per buona per le prossime riflessioni la seguente tesi: il parateatro è quello che
chiama
se
stesso
parateatro,
o
che
viene
chiamato
parateatro. Considerando singole manifestazioni del parateatro possiamo
pensare
non
solo 100
alla
correttezza
e
alla
giustificazione
del
termine
ma
anche
al
senso
sociale
e
artistico di certi eventi legati a questo concetto.
5. “Il periodo di attività parateatrale del Teatr Laboratorium di Grotowski” - così suona la frase più spesso usata e contenente il termine che ci interessa. Prendiamo questo significato (pur sapendo che la frase riportata compare anche in altro modo con la
definizione
di
“periodo
post-teatrale
del
teatro
di
Grotowski”) per estrarre – usando le definizioni esistenti – le
più
importanti
caratteristiche
di
questo
genere
di
la
partecipazione
ad
attività. Grotowski
“ha
offerto
alla
gente
esperienze la cui sostanza è un processo vivo” – ha scritto uno studioso votato alla causa – “per prima cosa la crescita della calma e della fiducia, poi la crescita della sensazione di sicurezza e di gioia (…) tutto l’essere umano diventa ritmo (…) semplicemente si è”. Accade nell’isolamento dal resto del mondo (in una sala chiusa o in foreste deserte), fra persone scelte e selezionate (“devono essere persone con bisogni e sensibilità
simili”),
condotte
attraverso
un’idea
e
una
pratica di “cultura attiva”, meglio se prima tenuta segreta.
Rischiamo questa stessa definizione in un altro linguaggio: l’attività
parateatrale,
la
cultura
attiva
necessita
di
separatezza, di una temporaneo rifiuto del proprio ambiente; è una forma di breve fuga dalla realtà sociale, verso la quale è impotente, che non vuole e non è capace di trasformare in modo tale che le necessità di libertà e espressione dell’essere umano siano soddisfatte nella sua vita quotidiana e non solo in situazioni “sante”.
Inoltre, possiamo ritenere che l’attività spaziale fisica ed emozionale dei partecipanti alle azioni parateatrali sia nel corso della sua durata – e molto tempo dopo – inversamente 101
proporzionale all’attività di pensiero (questa considerazione è richiesta
dalla poetica del pamphlet, e questo sguardo ci è
permesso dalle letture di base). La “cultura attiva”, “poesia del
corpo”,
è
–
come
dice
l’autore
di
questi
termini
–
“azione, reazione, spontaneità, impulso, canzone, musicaliità, ritmo, improvvisazione, suono, movimento, verità e dignità del corpo”. La piena sensazione di umanità si raggiunge quindi attraverso l’esposizione di quello che è primitivo, biologico e
istintivo,
che
è
allo
stesso
tempo
riduzione,
se
non
addirittura rifiuto, di almeno due attributi dell’umanità: il pensiero e la cultura. Questo
stato
di
cose
sembra
richiedere
–
come
qualcosa
di
ovvio e “naturale” – una primitiva divisione fra il branco e la guida, fra gli sciamani e la tribù. Non sostengo che nel caso delle attività condotte presso il gruppo di Wrocław sia così
essenziale
–
mi
manca
la
prova
empirica
per
questa
ipotesi, dal momento che non ho mai partecipato alle attività qui
discusse.
Tuttavia
conosco
altre
pratiche
parateatrali,
che si richiamano al Teatro Laboratorio, che presentano la struttura
rituale
e
gerarchica
di
un
gruppo
che
pratica
“esperienze interpersonali”. Forse è un riflesso del fatto che nella psiche di molti partecipanti a questi eventi, iniziati da
Grotowski
sensazione quella
e
dai
della
che
suoi
collaboratori,
gerarchia,
esiste
negli
l’uguaglianza
nel
fondamentale
vocazione
cioè
una
del
mantiene
divisione
spettacoli
processo
si
teatrali
creativo
parateatro,
analoga
classici.
fosse più
la
una
volte
a Se
così
dichiarata
come principale causa del distacco dall’attività teatrale vera e
propria,
bisognerebbe
che
fosse
effettivamente
tirata
in
ballo.
6. Certamente,
cari
lettori,
non
accetterete
con
grande
entusiasmo tutte le tesi riguardanti le attività para o post teatrali del Teatro Laboratorio qui esposte. Ma anche se le 102
rifiutate (senza nemmeno pensarci) come qualcosa che umilia i vostri sentimenti e le vostre esperienze di vita nelle foreste della Bassa Slesia, estranee all’Istituto di Wrocław, proviamo a cercarne conferma in altri generi di parateatro.
Conoscete
sicuramente
incontrato Fuoco59,
molti
Voi
i
così
di
Voi,
Vi
gettate
che
detti
“laboratori”.
conquistatori con
della
entusiasmo
Là
Montagna
in
ogni
ho del
nuova
esperienza para-artistica. Ho imparato a riconoscerVi grazie agli stereotipi che da qualche anno Vi portate dietro, come il Vostro più grande tesoro. Vi riconosco al primo sguardo, sia quando
eseguite
riflettere
appassionatamente
neppure
per
un
gli
momento
esercizi
su
quello
dati, a
cui
senza devono
servire, sia quando ordinate ad altri una ginnastica senza senso (che chiamate attività corporea), con una conseguenza e certezza degna degli allenatori dei quadri nazionali.
A
Voi
è
particolarmente
teatrali”
vicina
caratterizzata
disinteressamento. 60
“laboratori”
da
Quando,
quell’idea un
dei
particolare
contrariamente
al
“laboratori tipo
nome,
di
questi
di regola non servono alla produzione di opere
artistiche. Il parateatro, o meglio una delle sue principali correnti, è accompagnato piuttosto dalla paura del confronto con la realtà, esterna ed estranea; una paura giustificata e fatta
propria
potenzialità
dalla e
fede
che
possibilità
quello di
che
mostra
esistenza
(ad
la
propria
esempio
il
processo creativo), questo si realizza, è, già per il solo fatto spesso
di il
mostrare
questa
parateatro
è
potenzialità. un
teatro
Per
non
questo
inoltre
realizzato,
uno
spettacolo incompiuto e incompleto.
59
La Gora Płomiena, appunto “Montagna del fuoco” in polacco, è un monte nel sud della Polonia dove si svolgevano attività parateatrali. 60 In polacco “warsztat”, qui tradotto come “laboratorio”, significa anche officina, laboratorio artigiano, comunque luogo di produzione di un’opera tecnica o artistica.
103
7. Considerato che il parateatro si esprime più facilmente in piccoli gruppi isolati (in sale chiuse o località deserte); che
richiede
un’attività
nello
spazio
e
fisica
di
tutti
i
partecipanti all’evento, quando invece non chiede a nessuno alcuna attività di pensiero; che tende al comune sentire e non alla
comunicazione,
vale
a
dire
che
provoca
un
gruppo
di
sintomi evidenti ma non mira a trasformarli in un concreto sistema questa
di
significati
prospettiva
rivolta
e
di
–
considerato
(quella
disaccordo
del con
totalmente
ingiustificata,
vegetativa
o
giornaliera
è
alla
parateatro) la
il
e
realtà rifiuto
sottomissione
incomprensibile,
l’individualità
tutto
e
l’espressione
alla la
ciò, la
è
allora
da
necessità
di
assolutamente
e
alla
pura
mera
ripetizione
necessità
pubblica
vita
di
definire
delle
proprie
opinioni è indegna, narcisista e dannosa. Nel parateatro la bocca serve a sussurrare e sorridere, le mani a sfiorare, il corpo
per
sentirsi
(soddisfatti)
e
il
cervello
–
oh,
i
cervelli non sono affatto necessari.
All’uomo del nostro tempo è necessario quell’ambiente naturale a cui è più fortemente legato. E naturalmente è la campagna, quella dove non sono arrivati i concimi chimici, oppure una lontana macchia isolata della foresta,
nel fitto di un bosco.
Là infatti ognuno di noi è se stesso, perché realizza le sue preferite, seppur comuni, occupazioni. Accende il fuoco e le torce
(avute
sul
conto
dell’Associazione
Scout),
suona
il
flauto (made in DDR) o il tamburo (direttamente dal negozio “Orient”),
corre
(per
sua
propria
scelta61),
saltellando
allegramente e spaventando la selvaggina o qualche tipo di amante della natura dell’anteguerra62. E se ancora grazie alla 61
“na własna odpowiedzialność”, letteralmente “per propria responsabilità”, ossia, tenendo conto del tono ironico e soprattutto della situazione politica della Polonia di quegli anni (un socialismo reale prossimo al colpo di stato militare), “senza scappare da nessuno”… 62 anche qui, l’autore si riferisce (nel consueto tono ironico da pamphlet) a quel genere di persona “normale” che sceglie di vivere nella campagna o
104
collaborazione ottenere
dell’Organizzazione
dall’esercito
dei
Giovanile
fumogeni
si
colorati
riescono
e
a
a
stendere
qualche chilometro di cavi elettrici per puntare i riflettori, l’attività
parateatrale
dimensione
artistica.
esiste
Tizio
allora
nella
spontaneamente
si
sua
piena
drappeggia
di
tessuto nero, Caia si barda di tela bianca (precedentemente lavata nel ruscello con l’aiuto di un mestolo) e il solo fatto di incontrarsi all’ora stabilita sul sentiero nel bosco ispira i co-partecipanti entusiasti e anche, in processione e guidati da
un
canto,
i
critici
teatrali,
all’eterna
coesistenza
e
compresenza di valori opposti. Nel Cosmo.
Naturalmente la descrizione qui sopra è una pura insinuazione, la
cui
somiglianza
con
la
realtà
è
del
tutto
casuale
e
apparente. Ma, che dire, parliamo in prosa, dunque da qui in avanti saremo costretti a strappare dalla poesia i mondi del parateatro.
8. Il
termine
“ambiente”
è,
come
pare,
uno
dei
principali
concetti del parateatro. In ogni modo è una comoda base per introdurre
le
necessarie
divisioni
e
differenziazioni
di
genere nel dominio del parateatrale. Ossia, le attività che conducono
verso
all’attività
l’”ambiente
para-artistica
naturale”
si
nell’”ambiente”
contrappongono inteso
come
“sociologico”, come un condominio, un cortile, un bar, una piazza, una strada o un quartiere della città. È sintomatico in proposito che per le più significative manifestazioni di questo
genere
di
parateatro
gli
scopi
dell’attività
siano
diversi e formulati su una diversa base. Così per esempio si parla
qui
non
di
“comune
sentire”,
ma
di
“investigazione
63
sociologica ”, e inoltre non ci si astiene né dalla funzione nel folto del bosco non per impulso del parateatro ma per il semplice fatto ci esserci nato. 63 “zwiadzie” significa letteralmente “inchiesta o indagine condotta in modo discreto, non ufficialmente, con circospezione”.
105
di persuasione né dal formulare i risultati dell’incontro, né dalla produzione di un comunicato finale. Detto in modo semplificato e abbreviato il corso di un usuale evento parateatrale può avvenire in questo modo: il gruppo iniziatico sceglie un ambiente sconosciuto (o poco conosciuto – per esempio un bar di quarta categoria) e ci va, nascondendo lo scopo della propria presenza (si beve wodka). Si allacciano i
primi
contatti:
informazioni
su
i
di
frequentatori
sé
(estraggono
del
dai
bar
forniscono
portafogli
le
carte
d’identità, i libretti dell’esercito, mostrano le foto della moglie
e
dei
figli,
provano
a
parlare),
mentre
il
gruppo
iniziatico in cambio legge poesie (una analoga informazione su di
sé);
nasce
concludere
una
sul
discussione
piano
di
una
che
per
fortuna
consumazione
si
riesce
solidale.
Nella
seconda fase – per esempio il giorno dopo – il gruppo prepara e
dimostra
immediate
con
semplici
vicinanze
mezzi
del
teatrali
suddetto
o
plastici,
bar,
un
nelle
evento
che
restituisce i frammenti delle biografie o dei legami familiari della gente conosciuta il giorno prima, conservando in questo la
lealtà
verso
i
partner
e
cercando
di
non
far
arrivare
spettatori estranei, anzi chiudendo il cerchio dei fruitori agli eroi della propria produzione. L’azione trova invece una più
larga
ricezione
presentazione
di
nella
una
sua
ultima
documentazione,
fase, di
nel
un
film
momento o
di
di una
pubblicazione scritta. Quel che scrivo di seguito – contrariamente al tono da libello del
capitolo
precedente
–
considera
una
importante
parte
dell’attività di Akademia Ruchu64 come fondamentale dal punto di
vista
sociale
e
molto
significativa
come
esperienza
artistica, in particolare fatti come Lekcje, Europa, Happy day o
La
gente
avvenimento
di
marmo.
simile
per
Una molti
definizione versi
64
a
parodistica
quelli
che
di
un
organizza
Importante gruppo di ricerca di Varsavia, fra l’altro legato da vincoli professionali e di amicizia al Teatr Ósmego Dnia, che aveva svolto fra le sue attività, oltre agli spettacoli, anche questo genere di “parateatro sociologico”.
106
Akademia
Ruchu
vuole
qui
porre
l’attenzione
su
ancora
una
particolarità fondamentale del parateatro: sul fatto che esso esiste
nella
consapevolezza
dei
fruitori
stabili
e
professionali di arte in una forma quale viene suggerita nella seguente descrizione. Un fenomeno che nasce in un contatto spontaneo
e
intimo,
in
una
frequentazione
diretta
e
interpersonale, esiste nella nostra consapevolezza grazie alle “descrizioni” letteratura
e
alle
“relazioni”,
(confessionale)
e
grazie
della
ai
critica
media
della
(ossequiosa
–
visto che di solito la funzione di critica la assolve l’autore stesso). Quindi
alle
tesi
formulate
precedentemente
ne
aggiungiamo
ancora una: grazie alla critica e all’attività letteraria il parateatro funziona in un ambito molto più vasto di quello che verrebbe definito dalle sue scelte dichiarate.
9. Devo
lealmente
ammettere
che
i
fenomeni
scelti
con
tendenziosità e descritti qui in modo partigiano non trovano il
favore
della
mia
simpatia.
Tanto
se
penso
alla
loro
funzione sociale quanto se rifletto sul loro valore artistico. Ma
un
puro
orrore
mi
ha
preso
solo
una
volta
durante
la
frequentazione di eventi parateatrali. È successo quando ho letto
una
proposta,
indirizzata
ai
teatri
studenteschi,
di
partecipazione a un’azione parateatrale che – in onore a fatti che questo non richiedono – doveva portare fuori dal folto del bosco verso il monumento65, perché questo genere di parateatro lo abbiamo già visto qualche altra volta.
Ricordo
questa
l’effimero
e
per
fortuna
spontaneo
non
realizzata
parateatro,
in
idea
servizio
poiché a
una
Organizzazione stabile, è diventato allora un fatto avvenuto, 65
Si riferisce ad eventi, subito di seguito descritti, che vennero organizzati con la collaborazione di istituzioni pubbliche – teniamo sempre presente la situazione politica e l’aura di propaganda di regime che fatti del genere avrebbero assunto.
107
e
questa
trappola
è
stata
realizzata
nonostante
il
parere
contrario e contro la volontà di quelli che erano qui oggetti di
un
esperimento
parateatrale,
“materiale
umano”
di
un
esperimento artistico in nome della burocrazia. E’ successo quando i partecipanti al Forum del Giovane Teatro (a Torun, nel
novembre
1979)
furono
mandati
nella
sala
gotica
del
comune, che a quel tempo era stata aggiunta in funzione di museo,
dove
–
per
evitare
un
dibattito
contrario
alla
necessità di simpatia e comunanza che il parateatro considera il fondamento dell’umanità – venne servito del pane azzimo sull’accompagnamento Bechstein.
di
Nonostante
musiche
le
di
proteste
Chopin
suonate
presentate
contro
su
un
questa
prova di “parateatralizzazione” della discussione, il giorno dopo
in
quella
stessa
sala
si
è
preparata
una
successiva
trappola, sotto forma di composizioni di frutta su fieno e recitazione
di
lirica
mescolata
a
quintetti
per
archi.
Appunto: bocconi di pane, formaggio, pancetta e Chopin, mele su mucchi di fieno – quali sono le funzioni sociali di questi stereotipi della cultura in una vita sociale pilotata?
Sempre più timori che la strada porti dritta dal fondo del bosco allo schermo, ad Una serata con il giornalista66. Il tempo si fa beffe si profeti: la loro scelta si è dimostrata superficiale, la fuga dalla civiltà finisce nel vicolo cieco di
un
quartiere
industriale.
Adesso
sì
che
compaiono
le
tentazioni!
10. L’analisi condotta qui – sottolineamolo: non obbiettiva, ma a questa posizione autorizza il carattere anti-intellettuale ed emozionale
della
descrizione
degli
eventi
–
che,
riconosciamolo, sono scelti in modo tendenzioso – conduce a 66
Nota trasmissione di regime di quegli anni, durante la quale Grotowski era apparso in quel periodo per parlare del parateatro; il che non fu, come si capisce, particolarmente gradito agli intellettuali della controcultura e al mondo artistico in genere.
108
conclusioni poco felici. La più importante di tutte queste è certamente che il parateatro non si rende sempre conto del senso sociale delle sue scelte e della funzione che in effetti ricopre nei tempi, visto che non è possibile considerare poco importante questo problema. A maggior ragione visto che il fenomeno
si
realizza
soprattutto
in
un
dominio
non
strettamente artistico. Appunto. Contrariamente a ciò che si suppone
delle
artistica
avanguardie,
parateatrale
più
nei
risultati
spesso
accade
della
che
una
ricerca seria
e
critica analisi dei fenomeni parateatrali, condotta su criteri elaborati sul piano dell’arte, si riveli per la maggior parte dei casi un’operazione mortale.
Dove,
perciò,
possiamo
cercare
le
possibilità
del
futuro,
iniziato negli anni ‘60, della rivoluzione teatrale? Ma di certo nello stesso teatro, nella sua naturale una
bella
e
“parateatrale”
parola
–
(ecco appunto
naturale)
capacità
di
trasformazione, di gioco, di creazione collettiva. E nelle sue (del
teatro)
possibilità
di
comunicazione,
molto
lontane
ancora dall’essere esaurite, e per nulla studiate. Sì, sì, nelle
possibilità
sottolineo
di
ancora
scambio una
di
informazione
volta,
e
non
–
scambio,
presentazione
unidirezionale. Temo che i teorici del parateatro non abbiano risolto
questo
problema,
o
che
lo
abbiano
aggirato
troppo
grossolanamente, decidendosi al rifiuto del teatro.
Niente di strano, del resto. Questa scelta è una decisione che riguarda scelta
prima del
di
tutto
parateatro
la
propria
fonda
una
visione
del
concezione
mondo.
La
statica
e
naturalistica dell’essere umano, una concezione per la quale esso dovrebbe ritornare alla sua primordiale, oscura e unica natura. Ma se i “naturali” bisogni della gente non fossero determinati dal passato biologico, e invece dalla speranza del futuro? O ancora,
diversamente – se la maschera, il gioco, la
finzione fossero la verità dell’umanità? 109
Ma
questi
sono
completamente
altri
problemi,
complicati, specialmente quando si scrive in prosa.
110
troppo
LA PRESENZA NON PRESENTE67 Testo apparso su Dialog, 1990/3 traduzione italiana di Ilaria Rigoli e Daria Anfelli (2006)
“Quello che nella cultura è più importante è anonimo. Come i templi e le canzoni”.
Grotowski è seduto dietro ad un tavolo, sopra un basso podio davanti alla scena nella sala piena di pubblico del Teatro Storchi di Modena. È il 7 ottobre dell’89, l’ultima sera di una sessione di tre giorni dedicata proprio a lui. Fra le centinaia di persone presenti nella sala ci sono uomini di teatro, e fra loro ad esempio Peter Brook ed Eugenio Barba; critici teatrali, e fra l’altro critici di grandi testate che sono
in
grado
di
influenzare
i
gusti
e
gli
interessi
di
centinaia di migliaia di persone in molti paesi; professori di teatrologia di molte università e diversi autori di libri su Grotowski.
“Ricordate il sogno di Giacobbe? Ascoltate ancora una volta… L’arte è come la scala di Giacobbe, sui cui gradini possono scendere gli angeli. Bisogna però che i gradini della scala siano
fatti
bene,
siano
fatti
della
più
alta
qualità
artigianale… Il teatro non è una cosa santa, ma santo è il lavoro.
L’artigianato
è
quello
che
può
essere
salvato;
il
teatro può anche morire”.
La stessa barba chiara e rada, gli occhiali un po’ abbassati, così che la montatura nasconda metà degli occhi, il poncho gettato sulla giacca, benché in sala sia caldo, e le scarpe 67
“Obecność nieobecna” viene comunemente tradotto come “la presenza assente”, ma ho preferito mantenere la negazione contenuta nel termine “nieobecna”, per sottolineare l’elemento del tempo (presente o non presente, passato) – elemento sottolineato alla fine dell’articolo.
111
sfilate. E’ lo stesso dell’estate scorsa durante la conferenza a
Santarcangelo;
sembra
più
giovane,
sento
precisamente
un’energia che emana nella sala – non basta per tutti, è vero – dopo un’ora dice con un sorriso che quelli che sono stanchi possono uscire senza farsi problemi e dopo alcune altre decine di minuti – ormai sarà già mezzanotte – il pubblico delle ultime
file
comincia
lentamente
e
silenziosamente
ad
andarsene. Non ci sarà però stanchezza riflessa nella fronte coperta di sudore freddo, non ci sarà nemmeno quella tempesta di applausi che risuona come un addio.
Allora,
a
gettato
sulla
dell’ormai
Santarcangelo, giacca
malato
ha
ha
parlato.
Nello
raccontato
delle
Stanislavskij,
delle
stesso
poncho
ultime
scoperte
che
prove allora
Stanislavskij aveva realizzato. Ed era come un appassionato racconto del proprio lavoro, e il paradosso per il quale nella nostra
realtà
di
oggi,
completamente
commercializzata,
Stanislavskij appaia come un attuale teorico dell’avanguardia, suonava come un fare memoria di se stesso. Così almeno ho avvertito,
sedendo
fra
molte
centinaia
di
giovani
con
lo
sguardo fisso su appunti presi con ardore, che ascoltavano la voce da lontano, dal basso di un’enorme sala che si alzava ad anfiteatro, bruciante del calore di luglio.
“Il teatro può morire… la libertà non si cera nel teatro né nel mondo oltre il teatro. E’ da costruire e da conquistare da se stessi. Questo è il problema della scala di Giacobbe e della qualità dei suoi gradini” – ripete Grotowski.
Qualche ora prima, nella stessa sala, c’era stato un altro incontro pochi
dal
che
collaborano
titolo
ha da
“Testimonianza”.
potuto alcuni
osservare mesi
ai
Georges
il
lavoro
cicli
che
Banu,
dei
uno
dei
giovani
che
Grotowski
tiene
a
Pontedera, ha sottolineato la precisione tecnica e artigianale delle
loro
azioni.
Poi,
Peter 112
Brook
ha
fatto
della
parola
“qualità”, spesso accompagnata dalla parola “artigianato”, il leitmotiv del proprio intervento dedicato a Grotowski. E a me sono
frusciate
totale,
in
azione
testa
parole
umana,
atto
di
vent’anni
integrale,
prima:
atto
attraversamento
dell’impossibile, scoperta del mistero, processo interiore e non
mestiere
del
maestro
d’arte,
attore
nudo,
spontaneità,
ascesi, catarsi… Sì: la disciplina e di più: il rigore, e ancora la disciplina, ma principale e primitivo è quell’atto spontaneo… Dio, che rivoluzione era stata, che coraggio, dire seriamente dell’attore che è un bestemmiatore, un santo, un profanatore. E quanti scherzi e quante risate su questo. E quanta ripugnanza, quanta avversione per quelle risate e per quel teatro, il loro teatro-bordello, bardato di stoffe rosse e imbellettato di guance rosate, che sbraita rabbiosamente: nessun misticismo, nessun eccesso – artigianato!
E
questo
è
quello
stesso
Grotowski;
nel
Teatro
Storchi,
addobbato di velluti rossi, ci rendiamo conto che cadono ora i vent’anni stata
dalla
l’”uscita
Prima
di
oltre
Apocalypsis
il
teatro”,
cum
figuris…
nella
Poi
“santità”,
c’è
nella
“pulsazione”, nel “dire comune”, nell’”evento”, nell’”azione comune”,
nella
“musicalità”,
nel
“reazione”,
nella
“ritmo”,
“suono”,
nel
“canzone”, nel
nella
“movimento”.
Ricordo come non sopportavo questo insieme di parole, ricordo come provavo fastidio leggendo le descrizioni e come sentivo rifiuto nell’ascoltare le testimonianze delle esperienze negli “stages”. Perché credevo nel teatro e nell’attore. E conosco gli
attori
scendevano
ai sulla
quali
credo.
scena.
E
E
adesso
ho
visto
solo
gli
angeli
che
l’artigianato,
solo
abbandonandomi
alla
l’artigianato ha diritto a sopravvivere?
Scrivo
caoticamente
pressione
delle
e
disordinatamente,
associazioni
e
delle
riflessioni.
Invece
Grotowski parla – come sempre – con precisione, scegliendo le
113
parole
francesi
accuratamente
e
senza
esitazioni.
Provo
a
mettere in ordine gli appunti. Tema: l’arte come veicolo.
“Attraverso il Centro di Ricerca di Pontedera sono passati quasi trecento giovani attori di alcune decine di paesi, che hanno
lavorato
conducono
in
anche
cicli
brevi
della
stages
durata
per
di
alcuni
registi,
mesi.
giovani
Si
registi
legati fortemente ai loro gruppi, che cercano i propri mezzi espressivi. Il lavoro a Pontedera si basa su forme simili a quelle che venivano
utilizzate
nel
Teatr
Laboratorium:
lavoro
con
il
corpo e con la voce, canto, ritmo; anche su motivi narrativi, ma
il
tutto
si
condensa
in
una
forma
chiusa
come
la
performance. La differenza fondamentale fra quello che si fa oggi e lo spettacolo definisce il luogo del montaggio. Nel caso
dello
spettacolo
il
montaggio
avviene
dentro
lo
spettatore; quello che lo spettatore capisce e il sapere degli attori sono cose completamente diverse. Nell’arte come veicolo il luogo del montaggio è la persona che conduce l’azione. Lo spettacolo è come un ascensore e gli attori come meccanici che lo mettono in movimento; il passeggero dell’ascensore è il pubblico. L’arte come veicolo è come un montacarichi manuale, con l’aiuto del quale da soli ci spostiamo a diversi piani.
Il
nostro
tempo
spettacolare.
La
è
malato
realtà
di
elefantiasi
costringe
il
di
teatro
a
ciò
che
lavorare
è in
fretta, lo costringe a parti prematuri, come aborti – morti. Bisogna
quindi
mostrare
un
altro
tipo
di
possibilità
–
un
montacarichi manuale.
Lo spettacolo è l’ultimo anello di una lunga catena. Oggi si presta sempre meno attenzione alla qualità degli altri anelli che
determinano
la
sua
forma.
Perciò
è
indispensabile
che
qualcuno concentri tutta l’attenzione sugli altri anelli, e si preoccupi di preparare i semi. Lontano dal pubblico, senza 114
applausi e commenti; quello che nella cultura è più importante è anonimo – come i templi e le canzoni. Ed è rituale: si serve di strumenti precisi per ottenere effetti precisi. L’uomo
è
pieno
di
energie
di
diverso
tipo:
energie
distruttive, che sono anche molto organiche, ed energie molto delicate, che vanno verso l’alto, molto in alto, come la scala di Giacobbe. Non si può rigettare nessuno di questi elementi; il principio è quindi la vita – dentro e intorno. Il Bios richiede comunque rigore e precisione.
Per qualcuno che lavora nel teatro, creando spettacoli – cosa che
nel
mondo
di
oggi
significa
spesso:
lottando
per
la
salvezza della stessa esistenza del mondo del teatro – può essere una consapevolezza importante che esista qualcun altro che si occupa dell’”arte come veicolo”. Questo permette quindi di vedere il teatro come processo, come vita dal seme…”
Finisco di scorrere gli appunti di quella sera, un mese più tardi.
Non
so
molto
dell’”arte
come
veicolo”.
Nulla
è
mai
stato molto chiaro del lavoro di Grotowski; i suoi spettacoli per trenta persone erano presentati molto di rado, e spesso non con il pubblico al completo. E si è sempre parlato molto di questo teatro; si sono dette spesso delle stupidaggini su Grotowski, si sono ripetuti i pettegolezzi e le leggende, ma allo stesso tempo si è parlato della sua esistenza nel teatro. E
del
fatto
che
dall’ascolto
o
dalla
lettura
di
alcuni
articoli, da una sera ad uno spettacolo che ha funzionato come una tromba d’aria, e ha assordato e tolto il respiro, senza dare
nessuna
informazione
sul
“come
si
fa”,
nessuna
indicazione metodologica, sono nate nuove teorie – non importa se innovative o meno, per la maggior parte banali o stupide; e nuovi spettacoli – anch’essi in gran parte grafomani, rumorosi
115
e caotici. Ma così il teatro si trasforma come una crisalide68, un frammento, un margine del teatro – la sua vita interiore. Dall’artigianato all’eccesso. rinasce
la
E
che
cade
oggi,
forse,
in
sensibilità
una
produzione
dall’atto degli
seriale
all’artigianato.
spettatori,
di
–
Così
questa
importantissima gente del teatro – anonima.
Del
resto
(proprio
è
sempre
allora)
stato
Grotowski
così.
Alla
riscoprì
di
fine nuovo
degli
anni
’50
Stanislavskij,
non negli spettacoli e non solo nei tomi dei suoi libri, ma soprattutto nelle testimonianze delle ultime prove. Artaud, i cui spettacoli in realtà non sono mai esistiti, era tornato improvvisamente al teatro quando tutti erano convinti da anni che la peste, almeno in Occidente, fosse scomparsa per sempre.
L’assenza può essere una testimonianza di rifiuto, disprezzo, disinteresse, disaccordo; ma può essere anche un gioco contro il
tempo,
un’apertura
sul
vuoto
che
richiederà
di
essere
riempita di nuovo con un’energia potente e condensata, diretta precisamente.
Ripetiamo alla fine una favola che tutti conoscono: che cos’é il teatro se non una presenza di ieri, un fatto di un’ora fa, un’inesistenza. Che accadrà di nuovo.
68
Il termine przedpoczwarzić non ha una facile traduzione in italiano; sta comunque a significare il processo di trasformazione della crisalide in farfalla, o qualcosa del genere.
116
TEATR 107 Testo scritto nel novembre 2005, dalla trascrizione di una relazione durante una sessione di 50 lezioni sul movimento teatrale studentesco all’Accademia d’Arte Drammatica di Varsavia, 16 giugno 2004. Traduzione di Ilaria Rigoli (2006)
Comincerò da una digressione. Faccio parte del settore del quale parleremo in questa sessione da quarant’anni; sono stato perciò
attivo
fenomeno
per
come un
co-creatore
periodo
di
e
come
testimone
quarantacinque
anni
di
questo
della
sua
storia. Ricordo che quando ho cominciato la mia avventura nel teatro studentesco i miei compagni, più vecchi di me di un paio
d’anni
appena,
per
Negli
anni
sessanta
ho
me
appartenevano
cercato
di
già
sapere
alla
qualcosa
storia. di
più
preciso sulle realizzazioni dei miei “antenati” – ancor oggi ricordo
come
nella
sala
di
lettura
della
Biblioteca
Universitaria di Poznań sfogliavo i giornali per ricostruire da solo la già allora leggendaria messa in scena di Ubu Re del gruppo
Stodoła.
appartenere
Cominciai
ad
un’altra
quindi
con
generazione
la
sensazione
rispetto
ai
di
“padri
fondatori” di STS, Stodoła, Bim-Bom, Teatr 38 o Kalambur69. Oggi, dopo cinquant’anni, il teatro studentesco appare come un fenomeno unitario e omogeneo. Ma in realtà non è così. C’è poi un altro problema, un filo che già sta affiorando qui
nella
riflessione dedicherò
mia
relazione,
prima questa
che
forse
dell’argomento relazione.
merita
un
fondamentale
Dunque,
ho
attimo al
di
quale
cominciato
a
partecipare al movimento teatrale studentesco con l’intenzione di oppormi alla pratica del teatro drammatico, ufficiale e dominante.
Per
i
giovani
gruppi
creativi
è
indispensabile
avere un oppositore, un avversario, un oggetto contro il quale 69
Questi sono alcuni dei più famosi gruppi della “prima generazione” del teatro studentesco di contestazione polacco.
117
possano indirizzare la propria rivolta artistica. E il teatro drammatico, con la sua forza, autorità, serietà e alterigia si adattava perfettamente a questo ruolo. In seguito il raggio del conflitto e della polemica si è dilatato ancora molto. Prima guardavo con ammirazione e gelosia alla coerenza e alla qualità
artistica
del
gruppo
Gong
2
di
Andrzej
Rozhin;
in
seguito cominciai piuttosto a vedere in loro un avversario ideologico, conflitti
poiché della
facevano
realtà
un
teatro
che
sociale,
mentre
io
nascondeva quel
i
conflitto
volevo acuirlo. Dal mio punto di vista – quello dell’autore dei rivoluzionari spettacoli70 Introduzione a…, In un soffio, Svendita
tutti71
per
(meravigliosamente!)
–
quell’ordinato,
estetizzante
teatro
conformista
studentesco
e
degli
anni fra il Sessanta e il Settanta non era un valore con il quale avrei voluto identificarmi completamente. E, in secondo luogo, attraverso quel teatro – quello come Gong 2, Teatr 38 o Kalambur
–
ero
conoscenza
arrivato
del
all’autoconsapevolezza
linguaggio,
del
processo
e
alla
creativo
e
dell’obiettivo di un teatro diverso – sempre ignoto, che si stava appena delineando. Basta così. Non vi parlerò perciò della mia ormai lunga esperienza in questo campo. Passerò già al giorno d’oggi, per dare un breve saggio intorno a quel fenomeno, che in Polonia prese
avvio
dal
movimento
teatrale
studentesco,
che
viene
chiamato teatro alternativo. Mi sento un po’ fuori luogo in questa
sala,
in
contrapposizione chiamiamo
un’Accademia
d’Arte
conflittuale
e
“Teatro
Drammatico”
dei e
Drammatica, valori l’altro,
fra il
perché ciò
la che
“Teatro
Alternativo”, sarà inevitabile nel prossimo svolgersi del mio 70
Il termine polacco przedstawienie viene utilizzato molte volte in questo testo; come spesso accade, in italiano esso non ha una traduzione univoca, potendo significare sia “spettacolo” sia “rappresentazione” sia “presentazione” o “performance”; viene tradotto variamente a seconda del contesto, pur tenendo presente che la traduzione italiana non riesce a rendere del tutto la ricchezza di sfumature che il termine assume in polacco. 71 Alcuni tra i più famosi e importanti spettacoli diretti da Raczak con il Teatr Ósmego Dnia.
118
intervento. Ed ancora un’altra cosa: ovviamente semplificherò, schematizzerò e generalizzerò; ricondurrò a modelli esemplari dei fenomeni che hanno come proprietà inalienabile una certa dose di imponderabilità, di caos e di libertà; ridurrò dei fenomeni
viventi
allo
stato
di
prodotti
da
laboratorio;
infine, fingerò di parlare di cani di razza pur avendo in mente dei bastardini, poiché la pulizia genetica, l’omogeneità e la sterilità stilistica per fortuna non sono indispensabili all’arte. Dietro la parola “teatro” si nascondono molti fra i generi spettacolari
dell’arte:
il
teatro
drammatico,
l’opera,
l’operetta, il vaudeville moderno, detto teatro musicale, il balletto classico e il teatro-danza, la pantomima, il teatro di
burattini
e
l’animazione.
Non
ci
sono
dubbi
che
tutte
queste specie di teatro siano legate fra loro, ma ciascuna è anche un genere particolare di arte. L’attore drammatico, il cantante,
il
danzatore,
il
mimo
–
sono
tutte
professioni
particolari. Ancora cent’anni fa un attore poteva cavarsela cantando
qualcosa
all’opera,
cosa
che
oggi
risulta
impossibile; la tecnica e il mestiere si sono spinti troppo lontano. Solo cinquant’anni fa un danzatore poteva esibirsi alternativamente
nel
balletto
e
nella
pantomima
–
ma
oggi
questo sarebbe tecnicamente ineseguibile, anzi, un ballerino classico
e
obbediscono
un a
danzatore
generi
e
di
tecniche
teatro-danza del
corpo
contemporaneo
tali
che
non
è
neppure possibile trasferire anche una sola scena dal primo al secondo
genere.
Similmente
ciò
accade
per
le
tecniche
d’attore, per i mezzi espressivi nel teatro drammatico e in quello alternativo che al primo si oppone. La mia intenzione sarebbe dunque quella di evidenziare e porre in rilievo queste e tutte le altre differenze fra questi due ultimi tipi di genere spettacolare. Quando diciamo “teatro”, ci viene in mente prima di tutto un edificio; di regola situato nel centro di una grande città, isolato,
contraddistinto
da
un 119
certo
stile
architettonico,
riportato sulle guide turistiche e sulle cartoline postali, importante, illustre e festivo. Quando invece parliamo degli spettacoli di teatro alternativo ci vengono in mente luoghi diversi; le sale dei club, le cantine, qualche locale di un centro culturale in località poco conosciute, una galleria, una piazza, un cortile, una strada. Non compare fra questi né il concetto di “tempio dell’arte”, come talvolta si dice, né l’idea di un edificio atto all’intrattenimento leggero. Alla nozione
di
“teatro
alternativo”
molto
spesso
non
viene
associato alcun luogo concreto. Dal momento che gli spettacoli di
teatro
nuovi
alternativo
spazi
per
il
si
associano
teatro,
esso
si
spesso
alla
ricerca
di
spesso
di
impadronisce
spazi altrui. Il teatro alternativo è una sorta di intruso, esso si intrufola ed entra laddove non è atteso. E questa è una
prima
differenza,
estremamente
importante,
legata
allo
spazio dell’attività. Ovviamente ogni gruppo alternativo sogna di avere una propria sede, dove poter non solo lavorare alla preparazione degli spettacoli e di altre forme di espressione artistica, ma anche dove invitare gli spettatori. Quando però riesce ad ottenere un luogo simile – cosa che in Polonia non capita quasi mai – è facile che lo trasformi non in una sala per gli spettacoli, ma in un luogo per incontri, discussioni, interviste, esposizioni e varie altre – e non necessariamente teatrali – forme di contatto sociale. In un edificio teatrale, di regola, funziona il teatro
-
un’istituzione, finanziata dal pubblico o da un ente pubblico che ha alle proprie dipendenze degli artigiani di professione, il
personale
dell’edificio,
l’amministrazione,
degli
specialisti di marketing e una compagnia di attori (facendo un calcolo sommario, almeno 120 persone). Una compagnia di teatro alternativo è sempre un gruppo di modeste dimensioni, spesso organizzato sulla base di relazioni informali, che a volte agisce come un’associazione culturale o una fondazione e a volte come agente di un centro professionale di promozione culturale.
Privo
di
un
luogo 120
proprio,
riconosce
come
sua
vocazione la ricerca di un contatto con il pubblico in diverse situazioni, così come un diverse città e paesi, durante le tournée. In pratica – riconoscendo la ricerca artistica e la sperimentazione come componente fondamentale del suo programma – il teatro alternativo continua quella pratica della vita della compagnia teatrale, dimenticata, ma antichissima e assai radicata
nella
margine,
che
tradizione,
negli
ultimi
che
è
tempi
il
viaggio
si
vanno
(aggiungo,
a
moltiplicando
i
gruppi di attori drammatici “chiamati ad hoc” viaggianti per il paese; tuttavia essi si propongono scopi non artistici, ma commerciali: il repertorio e il metodo di realizzazione dei loro spettacoli non lasciano dubbi riguardo a cosa si possa intraprendere per scopi di quel tipo). Un’altra
differenza
fra
i
due
tipi
di
teatro
è
indubbiamente rappresentata dal pubblico. Nel caso del teatro drammatico il pubblico, come sappiamo, proviene da ambienti, classi
sociali
spettatori
e
giovani
generazioni –
in
differenti.
Polonia,
Predominano
partecipano
alla
gli vita
culturale soprattutto coloro che non sono ancora riusciti a metter su famiglia. Nella pratica dei teatri di provincia, una considerevole scolastica,
maggioranza
che
viene
è
costituita
portata
a
teatro
dalla senza
popolazione che
si
tenga
conto della sua scelta reale. Non infieriamo oltre su questi casi.
Importantissimo è invece il pubblico multigenerazionale
che viene spontaneamente attirato dalla tradizione (la gente che si ritiene molto acculturata ha bisogno di autocelebrarsi quando
va
dell’autore
a
teatro), della
dall’autorità
piéce,
dalla
del
luogo,
notorietà
di
dal
nome
una
star
televisiva, dalle consacrazioni della critica e da varie forme di pubblicità. Diversamente, la condizione di esistenza del teatro alternativo è che esista un pubblico di coetanei. Le compagnie dei teatri alternativi sono generalmente costituite da giovani, che attraverso il teatro provano a descrivere il loro mondo e a trasformarlo, confrontandosi con un pubblico di loro coetanei, che si appassiona per simili problematiche, che 121
possiede
simili
esperienze
sociali
e
culturali,
e
una
sensibilità affine (Questo problema negli ultimi tempi si è alquanto
complicato,
poiché
esistono
alcuni
gruppi
teatrali
che praticano arti “alternative” da parecchi anni, quindi sono già piuttosto vecchi, ma non possono aspettarsi di avere degli spettatori coetanei cinquantenni. Essi sfruttano la loro fama di contestatori o di avanguardisti e le necessità spirituali dei giovani in cerca di un’arte adatta alle loro idee, alla ribellione,
all’inquietudine,
indirizzare
gli
alla
spettacoli
fame
ad
di
novità,
per
un
pubblico
di
età
nella
sfera
sociale
“universitaria”). Il
sistema
organizzativa,
di
che
opposizione
abbiamo
velocemente
preso
in
esame,
e non
basta certamente a far sì che su di esso si fondi la tesi della totale singolarità di tradizione e sperimentazione del teatro drammatico da una parte e del fenomeno chiamato “teatro alternativo” dall’altra. Eppure parliamo dell’arte, e, fra i comportamenti
artistici,
in
questo
settore
dei
processi
creativi, che danno la priorità ai mezzi d’espressione e ai loro metodi di utilizzazione, abbiamo il dovere di ricercare le forme essenziali di tale singolarità. Nel teatro drammatico, come indica il nome stesso, alla base
del
creazione
processo
creativo,
teatrale,
sta
come
il
punto
dramma,
di
sbocco
l’opera
della
letteraria.
Ovviamente l’adattamento di un romanzo, di un racconto, anche di
un
poema,
preliminare
al
alle
limite, prove,
nel
momento
assume
il
di
ruolo
preparazione
di
letteratura
drammatica. Nel teatro alternativo il punto più preciso di riferimento non è la scrittura letteraria, ma la realtà dei fatti, la sua immediata ricezione, o una documentazione (non necessariamente natura
culturale,
filosofica. attraverso qui
in
Gli
forma
antropologica eventi
un’esperienza
possono
scritta),
venir
–
o
trasformati 122
fatto
(sia
artistica),
visti
mentale
un
con –
i
o
una
propri
vissuti
esso
tesi –
o
emozionalmente
–
immediatamente
occhi
di
in
un’azione
fisica, in una sequenza di immagini, di eventi plastici, o similmente
in
un
tipo
di
musica
o
canzone.
Nel
teatro
drammatico la parola, il dialogo o il monologo, è alla base della comunicazione fra le forme sceniche e fra la scena e la platea. Nel teatro alternativo la base della comunicazione è l’azione,
una
sequenza
di
tensioni
interpersonali
o
una
sequenza di immagini ed eventi. La parola, il testo verbale, qui
può
integrare
o
precisare
il
significato,
può
anche
ovviamente spiegare o modificare quell’azione; di regola ha un significato complementare, non pianificato precedentemente, e non
deve
prevalere
nella
forma
di
un
monologo
o
di
una
conversazione – può manifestarsi tanto in forma scritta quanto come commento sullo sfondo di una serie di eventi, quanto come canto. Questa definizione è naturalmente soltanto una formula a posteriori e stereotipica; in realtà abbiamo raramente a che fare con forme omogenee e pure. Le forme verbali classiche sono
anch’esse
prevale
una
presenti
tendenza
comunicazione
e
al
alla
nel
teatro
rifiuto
alternativo.
delle
sostituzione
forme
di
esse
Tuttavia
letterarie con
mezzi
di non
verbali di espressione. Dalle tesi e dai fatti finora esaminati sul carattere “antiletterario” generazionale, determinata
del della
dalla
teatro
alternativo,
relazione
dialettica
immediata
con
lo
del
suo
con
spazio
carattere
il
(la
pubblico prossimità
degli spettatori, a volte la loro mobilitazione fisica, nel caso degli spettacoli all’aperto), derivano delle conseguenze sull’arte
dell’attore
che
viene
qui
praticata.
Essa
deve
basarsi sull’abilità fisica e del corpo, sulla capacità di improvvisazione (se non nello spettacolo, almeno nel processo delle
prove),
sulla
coordinazione
delle
azioni
nel
gruppo,
sulla creazione comunitaria di ritmi e tensioni collettive. Agli attori di teatro alternativo non sono richieste abilità recitative, la capacità di costruire un ruolo sulla base di un testo,
o
psicologica.
l’interpretazione Non
si
tratta
di
qui 123
di
un
dialogo
chiedersi
in
come
chiave si
possa
“recitare
in
uno
spettacolo”,
ma
come
in
esso
si
possa
“essere”. Per esistere davanti al pubblico prima di tutto come una persona che compie un’azione, e non come una persona che “interpreta un ruolo”. E’ importante questo, che lo spettatore non
identifichi
dramma,
ma
che
l’attore
con
smascheri
un
personaggio
l’inganno
fittizio
attraverso
la
messa
del in
mostra dei confini fra la personalità dell’attore e quella del personaggio teatrale. Perché lo spettacolo deve essere sia una realtà autonoma, sia, anche, una prova di intervento del mondo oltre il teatro. Un intervento fatto a nome proprio, senza arrogarsi verità
il
diritto
all’informazione,
indiscutibili.
l’abilità
di
Mi
costruire
psicologica
della
psicofisicamente
un
ripeto
un
ancora
ruolo,
dramatis contatto
all’enunciazione
di
una
mostrare
personae, tecnico
volta: la
con
di il
di non
realtà mostrare
partner
del
dialogo, l’abilità di pronunciare un testo – così importante nel teatro drammatico; ma le tecniche – fisiche e psicofisiche – di auto-espressione, sono i domini del lavoro dell’attore alternativo. Queste capacità di auto-espressione non sono doni del cielo. Richiedono un lavoro accurato e un training lungo e mantenuto nel tempo sia nei campi dell’agilità corporale e vocale
sia
nei
domini
della
mente
e
dello
spirito.
Ma
l’essenziale in questo dovrebbe essere infine la conquista di una capacità definitiva: la capacità di uscire e liberarsi dalle
proprie
abilità,
il
loro
occultamento
e
superamento.
Davanti allo spettatore bisognerebbe stare faccia a faccia – non nel ruolo di sacerdote o guida del gregge, di artista carismatico, ma come un compagno che domanda, che cerca, che implora… Il problema è molto complesso, perciò lo lascerò stare. Non senza aggiungere, però, che un lavoro di questo genere viene da molto tempo svolto da alcuni gruppi alternativi. E speriamo
bene
che
continuino
a
svolgerlo.
Devo
tuttavia
aggiungere immediatamente che il lavoro d’attore nel teatro alternativo
–
un
comportamento 124
in
un
modello
assolutamente
ideale ed esemplare – non ha come fine ultimo la creazione di uno
spettacolo.
Lo
spettacolo
è
soltanto
(soltanto!)
una
necessaria tappa verso la meta finale, di un progetto anche solo intuito, il cui scopo è quello di dare una forma alla nostra vita. In altre parole: senza la prospettiva sociale, artistica o etica di un’utopia i gruppi teatrali alternativi non potrebbero nascere né agire. Questa è del resto una delle ragioni per cui il gruppo alternativo deve rimanere entro un gruppo
generazionale;
nei
vecchi
gruppi
le
prove
di
ampliamento della composizione generazionale si sono concluse con un insuccesso proprio per motivi – sia detto genericamente – ideologici. L’indirizzarsi
verso
un’utopia
produce
nei
gruppi
di
teatro alternativo la convinzione che il processo di creazione dell’opera, il processo del lavoro, non abbia minor valore di fronte
all’opera
stessa
–
lo
spettacolo.
In
effetti
le
creazioni alternative devono concentrare gli sforzi su come questo processo creativo
- in qualche modo sinteticamente, in
modo concentrato – possa essere trascritto nella struttura di uno
spettacolo.
Raramente
si
riescono
a
realizzare
questi
principi, o piuttosto la necessità, la tentazione verso di essi. Ciononostante, queste intenzioni sono visibili già da molto tempo negli spettacoli alternativi. Aggiungo che esiste un
simile
drammatico,
atteggiamento e
non
è
anche
affatto
una
ai
margini
cosa
nuova.
del Si
teatro
lega
alla
storia degli “studi teatrali”, dei teatri-studio. Appartiene dunque anche alla tradizione (più indisciplinata?) del teatro drammatico. Nella pratica tuttavia un proponimento di questo genere
può
verificarsi
appieno
come
progetto
registico
individuale, dal momento che la programmazione di progetti di ricerca rimane sempre una corrente solo marginale di fronte all’obiettivo
principale
del
centro
di
produzione
–
la
realizzazione di un repertorio. Dal fatto che, lavorando nel teatro alternativo, siamo spessissimo
degli
intrusi,
occupanti 125
di
un
territorio
non
nostro, nasce la relazione con quello che nello spettacolo ci circonda. E così l’architettura, l’atmosfera, la bellezza (di rado) o la bruttezza (molto spesso) dell’ambiente che abbiamo trovato, che ci circonda nella sala del club, del garage, del capannone,
della
cantina,
nel
cortile,
nella
chiesa,
nella
strada, diventano i contesti naturali della rappresentazione. Vorremmo
che
qualunque
scenografia
fosse
un
elemento
sconosciuto e artistico. La modificazione, la trasformazione dell’atmosfera naturale dell’ambiente circostante per il tempo dello spettacolo, che riempie l’ambiente di un’aria nuova, è soprattutto compito degli attori. Non c’è perciò bisogno di interventi estetici accessori, non c’è bisogno di dipingere mobili
stilizzati,
l’illusione
della
di
drappeggiare
profondità.
Se
tendaggi,
vogliamo
dare
di
allo
dare spazio
delle caratteristiche espressive aggiuntive porteremo qualche praticabile della
per
platea;
necessità
variare
se
di
i
l’altezza
realizzatori
fornire
dell’azione dello
o
lo
spettacolo
informazioni
spazio
hanno
aggiuntive
la
dovranno
utilizzare delle proiezioni, che penetrino in tutto lo spazio… Del resto la luce, il gioco di chiaro e scuro, l’uso di luci mobili
e
vive,
drammaturgico
nel
teatro
alternativo
essenziale,
svolgono
limitando
un
ruolo
considerevolmente
l’esigenza di segni plastici e scenografici aggiuntivi. Diversa è anche la funzione della musica nei due tipi di teatro
che
mettiamo
qui
a
confronto.
Nel
caso
del
teatro
drammatico essa ha, nella maggior parte dei casi, un carattere ausiliario-illustrativo, poiché rafforza l’atmosfera (le messe in scena brechtiane sono un’eccezione alla regola generale). Il teatro alternativo non è estraneo a soluzioni di questo tipo, ma nel modello ideale dell’ “alternatività” la presenza della
musica
dipende
dal
contenuto
degli
eventi
scenici,
oppure è direttamente legata alla presenza degli attori. Cioè può
essere
che
cantino
una
canzone,
che
suonino
degli
strumenti musicali, oppure che vi sia un gruppo musicale, o un mixaggio
di
registrazioni
oppure 126
–
ad
esempio
–
che
la
riproduzione
di
drammaturgico.
musica
registrata
Naturalmente
divenga
tutte
queste
un
elemento
forme
possono
comparire anche in singoli spettacoli di teatro drammatico. Per la maggior parte, tuttavia, saranno impieghi più o meno ragionevolmente organico
ad
misurati,
quel
poiché
sistema
di
non
sono
azioni
su
legati
livelli
in
modo
diversi
di
struttura della scena e non nascono organicamente dal processo creativo. Mi soffermerò su quest’ultimo punto. Ad ogni livello della struttura di una rappresentazione drammatica
e
di
un
intervento
alternativo
riconosciamo
differenze sorprendenti. Non è mio compito analizzarle tutte: sono un pragmatico, e mi mancano la competenza e l’esercizio per
servirmi
temo
che
mi
degli
strumenti
accusino
di
del
lavoro
calpestare
analitico.
il
terreno
Inoltre altrui72.
Tuttavia ho la necessità di informarvi di fatti cui spesso la critica
non
presta
attenzione
quando
scrive
di
questi
due
fenomeni. Scrivendo, ad esempio, dell’alternativa teatrale che le azioni sono inconsce o intuite, laddove sono il risultato di
una
pratica
e
di
un
sapere,
oppure,
al
contrario,
annunciando le scoperte della scena drammatica in settori da molto tempo sperimentati e utilizzarti nel teatro alternativo. Il
problema,
d’altronde,
non
è
nuovo.
Già
dall’inizio
degli anni Settanta Krzysztof Walicki si accorse che ciò che stava
avvenendo
nei
circolo
dei
teatri
studenteschi
e
nell’ambito del Festival di Teatro Aperto di Wrocław era la nascita di un nuovo genere teatrale. Di recente ho ritrovato un mio vecchio articolo del 1973, nel quale annunciavo che di lì a poco sarebbe emerso un nuovo settore dell’arte teatrale, per il quale non vi era un nome adeguato (si parlava allora di teatro sperimentale, d’avanguardia, aperto, dell’intelligentia giovanile, di contestazione, di terzo teatro, etc), ma che oggi
chiamo
teatro
alternativo,
72
malgrado
la
sensazione
che
In polacco, lett. “calpestare il giardino degli altri”, ossia non solo invadere campi di competenza di altri (dei teorici in questo caso) ma anche criticare ingiustamente le creazioni di altri.
127
questo termine non renda bene il nocciolo della questione. Quando ho incontrato – forse in Germania – il termine “teatro post-drammatico”, non era comunque meglio, poiché questo pone l’accento in modo troppo inequivocabile su uno solo dei molti elementi intrecciati nel nodo del metodo “alternativo”. Oggi – lo ripeto ancora una volta – fra i molti generi della messa in scena
teatrale,
accanto
drammatico,
al
teatro
pantomima,
esiste
una
chiamare
“teatro
mondiale.
In
Grotowski,
all’opera,
d’animazione, nuova,
esso
Tomaszewski,
alla
analoga
alternativo”.
Polonia
all’operetta,
Questo
ha
una
echi
del
sua
teatro
danza,
forma teatro
al
alla
che
possiamo
un
fenomeno
è
propria
movimento
corrente:
mondiale
di
controcultura, il movimento dei teatri studenteschi. Molti dei fenomeni che là avevo legato all’idea di alternativa teatrale avevano senso e peso ed erano stati messi in atto già nel teatro
studentesco
teatro,
che
facessimo
la
polacco
degli
esisteva
prima
nostra
comparsa
anni
che
io
nel
cinquanta. e
la
mondo
mia
In
questo
generazione
dell’arte.
Ho
la
sensazione che si debba oggi parlare di “continuazione” del teatro studentesco degli anni cinquanta in Polonia. E ancora una cosa: è un problema così evidente che prima non
gli
ho
alternativo
dedicato nasce
sufficiente
spessissimo
attenzione.
dalla
rivolta
Il
teatro
e
dalla
contestazione. Quando viene posto l’accento soprattutto sulla ribellione politica (negli anni ’70 si parlava volentieri di “teatro politico”), oggi siamo inclini a cercare il punto di riferimento
antagonistico
capitalismo,
della
nei
fenomeni
cultura
di
contemporanei
massa,
delle
del
correnti
uniformanti della globalizzazione e della commercializzazione della
comunicazione
di
massa.
E,
naturalmente,
nella
stereotipizzazione della comunicazione artistica. Appunto la rivolta
nell’arte
ricerca,
nella
linguaggio
ha
una
sua
manifestazione
sperimentazione,
artistico,
nella
nel
scoperta
positiva
nella
rinnovamento di
nuove
forme
del di
trasmissione e di contatto. Questa dimensione avanguardistica 128
e
sperimentale
è
nei
metodi
visibilmente
manifesta
fra
le
esigenze che come spettatori assegnamo ai teatri alternativi. Nel
frattempo
settore
oggi,
nel
dell’arte)
teatro
si
alternativo
verificano
(inteso
sia
come
processi
di
sperimentazione e rinnovamento, che confermano lo scontro con il pubblico, sia, d’altra parte, la commercializzazione e la ripetizione
degli
stessi
stereotipi,
la
fossilizzazione
del
fenomeno. Ciò è confermato del resto – paradossalmente – dalla mia tesi sull’esistenza autonoma del teatro alternativo. Se aggiungiamo a questo che quest’arte ha i suoi propri classici (Teatr
Ósmego
Podróży73,
etc)
Dnia,
Akademia
Ruchu,
Gardzienice,
ed
proprio
movimento
amatoriale
un
Biuro che
si
appella ad essi come propri ispiratori, in decine di forme di gruppi effimeri, nelle grandi città come nei piccoli villaggi, l’immagine risulta molto più convincente. Finalmente è venuto il momento do spiegare il titolo del mio intervento – Teatr 107. Nel sottotitolo “rapporto sullo stato
del
teatro
polacco”
ricordavo
–
forse
non
troppo
precisamente – che nel nostro paese sono presenti 106 teatri istituzionali
(comunali,
provinciali
e
statali).
Fra
queste
106 istituzioni la maggioranza sono teatro drammatici, ma vi sono
anche
teatri
musicali
di
tutti
i
tipi,
teatri
di
balletto, e una gran quantità di teatri di burattini. E due teatri
alternativi:
il
Teatr
Ósmego
Dnia
e
Gardzienice;
all’ambito alternativo appartiene in un certo senso anche il Centro qualche Piesń
Grotowski
di
altro
gruppo
Kozła?
KTO74?
Modrzejewska
di
Wrocław
(per
indipendente Forse
Legnica75
il
realizza
73
caso si
negli è
giorni
istituzionalizzato?
Teatro in
ultimi
Comunale
misura
Helena
maggiore
il
Teatri di contestazione polacchi degli anni ’70 (la “seconda generazione”), attivi ancor oggi. 74 Cita nomi di gruppi indipendenti polacchi, molto affermati e di alto livello, ma non godenti di finanziamento pubblico. 75 Si tratta del Teatro Stabile della città di Legnica, vicino Wrocław, per statuto un teatro drammatico, ma contraddistinto negli ultimi anni da una collaborazione stabile con noti registi di teatro di ricerca, ed in particolare con Lech Raczak stesso (con gli spettacoli Zona del 2004 e Plac Wolności 2 del 2005).
129
modello
“alternativo”
piuttosto
che
quello
“drammatico”?).
Esiste qualche decina (forse di più?) di gruppi teatrali, la cui
pratica
corrisponde
in
notevole
misura
al
modello
esemplare dell’ “alternativa teatrale”. Per la maggior parte si
tratta
ventina
ovviamente opera
di
per
gruppi tutto
amatoriali, l’anno,
ma
con
almeno
una
regolarità,
professionalmente, e ad un alto livello artistico (Akademia Ruchu, Biuro Podróży, Strefa Ciszy, Usta Usta, Antrakt, Studio Teatralne
di
Varsavia,
Cinema,
Cogitatur…
ancora).
All’opposto,
Kana,
questo
Komuna
elenco
dalle
prove
Otwock,
potrebbe degli
anni
Teatr
Wiczy,
andare
avanti
settanta
(dei
quali un attimo fa vi ha parlato Aldona Jawlowska) il teatro alternativo oggi non è in grado di intraprendere uno sforzo di auto-organizzazione della totalità del movimento. Così questa corrente
si
individuali, interessi,
frantuma che
si
disputandosi
in
schieramenti
consumano i
nella
rimasugli
dei
contrapposti,
concorrenza
degli
finanziamenti
della
pubblica finanza, sostiene quasi totalmente 106 istituzioni. E così, sembra che, quasi come una torta, enorme, essa sia stata divisa in 106 – del resto ineguali – parti, e che al movimento alternativo non rimanga che qualche briciola caduta per terra. Penso che se a questa torta aggiungessimo soltanto un altro
pezzo,
finanziamento
il dei
centosettesimo, gruppi
non
e
lo
destinassimo
istituzionali
di
al
teatro
alternativo, questo potrebbe verificarsi non come un fenomeno marginale della vita teatrale in Polonia, ma come un forte esempio di concorrenza per il modello di teatro dominante.
130
TEATRO 1993-2005 BRAT
Per analizzare il lavoro di Lech Raczak al di fuori del Teatro Ósmego Dnia, bisogna fare un passo indietro al 1988. Infatti, anche
se
il
1993
può
essere
considerato
un
importante
spartiacque nella storia professionale e personale di questo regista, non è da questo anno che egli comincia a lavorare al di fuori del “suo” gruppo. La permanenza prolungata in Italia alla fine degli anni Ottanta, dovuta alla scelta del gruppo “in
esilio”
grazie
di
forse
professionali della
stabilirvisi anche
che
penisola
altri),
fa
a
di
(Teatro
sì
che
dei
per
rapporti
amicizia, Nucleo,
Lech
periodi
Raczak
con
piuttosto
molto
alcune
Pontedera, cominci
stretti,
realtà Teatro
a
lunghi, sia
teatrali Koreja
produrre
ed
alcuni
piccoli spettacoli sia in forma “mista” (Teatr Ósmego Dnia più altri attori italiani), sia esclusivamente per altri gruppi. Forse
il
più
significativo
(ma
non
l’unico76),è
stato
Brat
(“Fratello”), che Lech Raczak ha diretto appunto nel 1988 per il Teatr Bashō, ossia, in realtà, per i due attori Toni Cots 77 e Atilio Lopez78.
76
Anni prima Raczak aveva curato l’allestimento de Il Processo di Kafka al Teatr Polski (Teatro Stabile) di Poznań. 77 Attore spagnolo, formatosi nell’ambito della danza moderna, con alcune esperienze di teatro sperimentale e un diploma in interpretazione presso la scuola d’Arte Drammatica di Barcellona; molti lo ricorderanno per la sua collaborazione prolungata con l’Odin Teatret e l’ISTA (esperienza che ha svolto negli anni fra il 1976 e il 1984). Nel 1978 ha cominciato un lavoro di ricerca personale sulle tecniche di teatro orientale (giapponese, balinese e indiano). Oltre che come attore, anche come regista e pedagogo, nel 1985 crea il progetto di ricerca Bashō entro il quale allestisce spettacoli in collaborazione con artisti di diversa provenienza artistica e geografica. 78 Attore brasiliano, purtroppo scomparso per malattia poco tempo dopo l’esperienza di Brat, si è formato amatorialmente in Brasile per poi trasferirsi in Europa dopo l’Università. Dopo aver partecipato a numerosi stages, collabora con importanti gruppi di Terzo Teatro europei e, nel 1982, fa ritorno in Brasile avviando diversi progetti teatrali. Poco tempo dopo si riunisce in Europa alla compagnia di Lindsay Kemp (dove aveva già lavorato) e in seguito prosegue la propria ricerca personale in modo individuale, partecipando infine a Brat.
131
Lo
spettacolo
prende
avvio,
come
dice
il
titolo,
dalla
tematica universale del rapporto fraterno, ed in particolare da una rivisitazione molto personale della storia biblica di Caino e Abele. Fin dal principio, infatti, appaiono evidenti i due
ruoli
cattivo
contrapposti
(detto
con
rispettivamente leitmotiv
da
del
fratello
molta Lopez
buono
e
del
semplificazione),
e
da
Cots.
In
fratello
interpretati
realtà
però
il
dello spettacolo è molto più generale: dalle note
di regia apprendiamo che
Due uomini, che non amano il mondo e i tempi in cui hanno consapevolezza di vivere, si incontrano in un certo spazio; per protesta, per rivolta, per necessità, decidono di dover uccidere l’altro come vittima sacrificale.
Perciò la storia di Caino e Abele è forse la più familiare – per
la
mente
occidentale
–
concretizzazione
di
questo
archetipo del sacrificio del fratello – fratello inteso non tanto o non solo come consanguineo quanto come compagno di esperienze.
La contrapposizione fra il buono e il cattivo, il forte e il debole,
da
una
situazione
iniziale
di
chiarezza
viene
volutamente “inquinata” nel susseguirsi delle scene, al punto che
alla
importante
fine da
non che
sbagliato.
La
spettacolo
non
congiunge
molti
è
più
parte
chiaro
sia
il
e,
giusto
problematica
principale
si
in
distanzia
degli
spettacoli
forse, e
nemmeno
da
che
verità
dal
del
Teatr
che
così
parte
lo
attraversa filo
rosso
Ósmego
lo che
Dnia
e
forse, più precisamente, che rappresenta uno dei minimi comuni denominatori
del
lavoro
di
Lech
Raczak
inteso
globalmente.
Essa è costituita, naturalmente, dal problema del rapporto con la Storia.
132
Mi
permetto
somiglianza intervento
di
citare,
a
con
quello
che
di
Eugenio
questo
punto,
seguirà
Barba
durante
per
su
la
Lech
una
notevole
Raczak,
incontro
un
con
gli
studenti del Dams di Bologna, risalente a pochissimi anni fa. L’incontro, in realtà una “conversazione” fra Barba e Peter Stein, verteva sul tema de “Il Teatro e la Storia”. La tesi di fondo che Barba presentò era che la funzione del teatro, nei confronti della Storia “con la esse maiuscola”, è quella di riuscire a introdurre in quest’ultima anche la storia “con la esse
minuscola”,
quella
storia
personale
che
viene
spesso
travolta e dimenticata dallo svolgersi del “grandi eventi”. Il teatro ha la possibilità di fermare il tempo e la visione su frammenti
di
storie,
insignificanti
miti
nell’economia
e
peripezie
della
Storia
apparentemente mondiale,
e
di
inserirle, dando loro una dignità, nella categoria dei “fatti significativi”,
significativi
proprio
perché
individuali
e
minuti, ma anch’essi come tutti costretti a rapportarsi con la Grande
Storia
questo,
circostante.
queste
storie
Non
“con
solo:
la
esse
conseguentemente minuscola”
a
possono
funzionare come prismi entro cui guardare la Storia “con la esse
maiuscola”
ufficiale,
ossia
da da
una una
prospettiva prospettiva
diversa in
qualche
da
quella
modo
meno
scientifica e più “umana”. Mi sembra che una tesi di questo genere, pronunciata, si noti bene, da un regista e teorico le cui ricerche, pur partendo da un punto in comune (Grotowski!) si distanziano enormemente, almeno da certi punti di vista, da quelle di Lech Raczak, si adatti però perfettamente alla considerazione della Storia che emerge nella poetica teatrale di Raczak. Forse maggiormente che non in Barba, nel concreto gli spettacolo di Raczak hanno sempre
un
riferimento
abbastanza
evidente
alla
storia
e,
spesso, alla storia intesa come attualità. Sarà per la scelta di porre al centro della propria ricerca “l’uomo come sistema di
contatti
interpersonali”,
sarà
133
per
la
scelta
–
più
per un teatro di contestazione sociale79, fatto
“politica” –
sta che il problema della storia è per certo in primo piano. Anche laddove, come in Brat, ci si concentra su un archetipo mitologico. Questi nuovi Caino e Abele, infatti, sono uomini del tutto “moderni”: ogni traccia di ritualità arcaica viene volutamente cancellata
dallo
spettacolo
o
vi
compare,
se
mai,
come
un
passato irrimediabilmente perduto. Leggiamo ancora nelle note di regia:
Le azioni non percorrono un rituale, se mai avvengono tra le rovine e le macerie del rituale. La decisione di uccidere è conseguenza
di
una
logica,
il
che
non
significa
che
sia
giusta; tutto quel che i due uomini fanno forse è sbagliato.
Appunto:
macerie
di
rituali,
logica
consequenziale
e
incapacità di stabilire una verità definitiva – quanto di più contemporaneo potremmo immaginare. In
sostanza,
spogliato qualche
del
il
mito
suo
significato
misura
del
archetipico
suo
del
originario
significato
fratricidio –
vale
positivo,
a
viene
dire
perché
in
alla
storia mitologica sottende sempre una ragione necessaria – e trasferito Esso
nella
allora
sfera
assume
una
di
percezione
serie
di
della
contemporaneità.
caratteristiche
piuttosto
negative: privato della sua necessità, diventa ambiguo, non necessario e quindi ipoteticamente sbagliato; diventa un atto costretto dal mondo che i due rifuggono, ma del quale sono creatura. Anche il rapporto che li lega è fatto di sentimenti ambigui e contraddittori, e non possiamo più distinguere chi dei due sia il più forte, chi il più debole.
79
Almeno nella prima parte della sua esperienza, ma non si dimentichi che essa dura trent’anni, e che trent’anni! Certamente non può che aver lasciato un segno duraturo nel modo di lavorare, e trattandosi di teatro, di vedere il mondo, di Raczak.
134
Attraverso
le
interpretazioni,
assai
controverse,
della
leggenda biblica di Caino e Abele80 susseguitesi nella storia della
letteratura,
condensare
nello
il
regista
spazio
e
dello
i
due
attori
spettacolo
cercano
le
di
infinite
sfaccettature di questa mitologia, prendendo però avvio dalla contemporaneità. rivolta,
della
Caino
diventa
violazione
del
perciò
il
“giusto”,
simbolo
inteso
non
della solo
moralmente ma anche come norma o diritto costituito: Caino è quindi il violento, ma anche il ribelle, il rivoluzionario; è anche
colui
che
tramite
la
profanazione
si
avvicina
alla
santità. Abele simbolizza invece la mitezza e la bontà, ma anche la passività,
l’accettazione
del
corso
degli
eventi
senza
ribellione: è passivo, ma asceta, e anch’egli, per altra via, si avvicina alla santità. Il tutto entro la cornice di un mondo ambiguo, nel quale non è possibile stabilire definitivamente cosa è bene e cosa è male, nel quale, come nel mondo dei nostri giorni, la rivolta può assumere il significato di violenza necessaria, e l’obbedienza quello di connivenza; e in definitiva, in mezzo alla “lunga notte” nella quale i due compagni si ritrovano, come su una zattera81, è il mondo circostante che governa in qualche modo le loro azioni, è la struttura della Storia che decide le colpe e i meriti, e allo spettatore, alla fine, resta ancora il dubbio, l’ambiguità iniziale nella scelta su “da che parte
80
Questa storia ha interessato e inquietato molte delle menti più illustri della letteratura europea. Come archetipo, infatti, pone una serie di problematiche religiose e filosofiche, forse maggiori che altrove: anche la necessità del rituale fatica a spiegare la brutalità del gesto fratricida, specie se esso viene inserito, come nella Bibbia, nell’ineluttabilità di un disegno divino. Inoltre la teoria biblica delle “due stirpi”, quella dell’omicida e quella della vittima, nonché la figura del ribelle che sfida Dio (Caino) posso essere collegate a molti grandi miti letterari: Prometeo, Faust, il Lucifero di Milton, e altri. Il tema delle due stirpi viene ripreso anche da Victor Hugo nel suo rapporto con il tema del progresso. 81 La scenografia di Luca Ruzza prevedeva uno spazio centrale in assi di legno, collegato al fondale con una passerella in salita; tutt’intorno, un telo nero, lucido e spesso, coperto da poche dita d’acqua, separava lo spazio centrale dalla zona riservata al pubblico.
135
stare”.
Come
nell’incipit
dello
spettacolo,
dove
una
voce
fuori scena recita il testo di Ted Hughes:
L’uomo morto giace / marciando di qua e di là / nella lotta per la vita / senza muoversi. / Prega di poter fuggire da quello che avverrà / comunque di poter fuggire. / Così giace immobile. Ma accade. / Invisibile come un proiettile / e l’uomo morto sussulta e alza le braccia con un urlo / incomprensibile in ogni lingua. E da quel momento / senza mai fermarsi prova ballare, prova a cantare / e forse balla e canta / perché tu lo hai toccato. Se tu lo manchi, rimane morto / fra i fatti inevitabili.
Sono
alla
fine
i
“fatti
inevitabili”
ad
averla
vinta:
l’inevitabilità originaria del disegno di Dio viene sostituita con
un’inevitabilità
più
“moderna”,
quella
dell’inesorabile
avanzare e travolgere della Storia: -
Tutti moriamo in qualche parte sulla strada, lentamente, minuto dopo minuto
-
Il nostro mondo muore con noi
-
No, a molte generazioni è sembrato che il mondo stesse morendo. Ma erano solo loro a morire.
-
Ma se il mondo non muore, significa che di qualcosa deve vivere. E per questo ha bisogno della morte umana.
-
Non
basta
offrire,
sacrificare
questo,
che
è
tuo
personale, perché tutto ti può essere strappato -
Tutto questo è contro di noi
E ancora:
Il
mondo
ha
bisogno
della
morte
dell’uomo
/
morte
crudele
perché il mondo sia mite / morte ripugnante perché il mondo conservi la propria bellezza. 136
Perché
pensi
che
morirono
i
santi
martiri,
i
milioni
vittime della guerra, delle torture nei tribunali?
di
Questa era
– è una pretesa del cosmo, lo sapevano quelli che strappavano i cuori per offrirli agli dei. Forse a torto ritenevano che senza simili vittime si fermasse il
moto
della
terra
/
ma
per
certo
sapevano
che
è
indispensabile / per definire la vita.
POST – ÓSMEGO DNIA: ORBIS TERTIUS
In
realtà,
però,
il
primo
spettacolo
di
Lech
Raczak
dopo
l’uscita dal Teatr Ósmego Dnia è Orbis Tertius. Lo spettacolo nasceva da un progetto in verità più ampio, il cui scopo era creare un gruppo di teatro alternativo con attori polacchi e di varie nazionalità, parte dei quali avevano fatto parte per qualche tempo del Teatr Ósmego Dnia. Dopo la produzione di Orbis Tertius e la sua circuitazione, però, gli attori e il regista
si
dovettero
arrendere
di
fronte
alle
difficili
condizioni economiche e il gruppo, chiamato Teatr Sekta, venne sciolto. Ambiziosi però erano stati gli obiettivi di questa compagnia nella creazione del suo unico spettacolo. L’idea di fondo che sottostava creare,
a
con
Orbis i
Tertius
mezzi
del
era
infatti
teatro,
una
la
possibilità
sorta
di
di
“mondo
alternativo” nel quale vigesse una logica diversa da quella della
realtà
quotidiana:
quella
del
sogno.
Non
si
voleva,
secondo il regista, proporre un nuovo linguaggio ma una nuova dimensione concorrenza smentisse,
in
generale,
alla
realtà,
attraverso
sistematicamente
la
che e
potesse che
qualche
modo
contemporaneamente
proposta
infrangevano
in
i
di
regole
principi
e
fare
anche leggi
della
la che
comune
percezione. La traccia di partenza era stata fornita da un racconto di Jorge Luis Borges, Tlön, Uqbar, Orbis Tertius, contenuto nella raccolta Finzioni. Il racconto infatti narra 137
del
ritrovamento,
in
un
misterioso
volume
dell’Enciclopedia
Britannica, di dettagliate descrizioni di un mondo risultato però
completamente
estrema
cura
geografi,
immaginario,
dei
dettagli
letterati
e
da
creato
a
tavolino
un’équipe
quant’altri.
di
L’idea
e
con
scienziati,
della
possibile
esistenza immaginaria di un altro mondo, in sospeso fra la finzione
e
la
realtà
fisica,
così
come
la
possibilità
di
esistenza di dimensioni e percezioni parallele, sono però più in generale aspetti abbastanza tipici del pensiero borgesiano, insieme a una più generale propensione alla confusione fra la realtà quotidiana e quella onirica. Erano
i
concetti
borgesiani,
più
che
il
singolo
racconto,
dunque, a fornire la base per questa sorta di genesi teatrale di un mondo “a sè”.
Lo spettacolo, per precisa scelta del regista, non seguiva uno schema lineare, una vicenda dallo svolgimento chiaro: vari e misteriosi eventi si succedevano l’uno all’altro, quasi per caso – proprio come accade nei sogni –
producendo così un
effetto di spaesamento sugli spettatori. Effetto reso ancor più
efficace
lingue
dall’utilizzo
differenti:
all’interno
italiano,
polacco,
dello
spettacolo
francese...
cosa
di
resa
del resto possibile dalla provenienza “internazionale” degli attori. A proposito di tutto ciò, il regista afferma che
la
storia
era
senza
storia...
una
serie
di
eventi...
sembravano logici, non lo erano. Si parlava di strane visioni, sogni
proprio...
e
lo
scopo
era
creare
una
realtà
con
la
logica del sogno, quindi senza la logica conosciuta e ovvia. Ed era un mondo guidato da regole sconosciute, proprio come succede nel sogno. Era così, con questa domanda: che forse le cose non compiute, i sogni, sono più veri, più interessanti, più reali della realtà quotidiana, così banale. Così era il concetto
di
questo
spettacolo.
Perciò
si
parlavano
anche
lingue diverse nello spettacolo, polacco, italiano, inglese... 138
perchè
a
capire,
volte avere
l’importante questa
non
difficoltà
era a
capire
entrare
ma
proprio
non
nel
centro,
nel
punto cruciale della cosa... oppure capire solo una parte, solo
quello
che
succede,
che
vediamo,
e
non
i
commenti
parlati... o il contrario.
Orbis Tertius però non è solo il risultato del tentativo di Raczak
di
l’abbandono
reinventarsi del
Teatr
una
Ósmego
situazione Dnia.
Esso
di
gruppo
inaugura
dopo
anche
un
prolifico filone tematico, nel quale possono essere inseriti molti dei lavori di Raczak dagli anni Novanta fino ad oggi. Come vedremo, infatti, questa idea della possibilità, scoperta o creata artificialmente, di esistenza di un mondo al di là di quello che sperimentiamo empiricamente tutti i giorni, è assai frequente negli spettacoli di questo regista. Ed è un’idea particolarmente
fertile,
anche
perchè
gli
consente
di
affrontare interrogativi e argomenti anche molto diversi tra loro, a partire da angolazioni differenti e che non di rado si smentiscono a vicenda. Ma ci soffermeremo più avanti, dopo aver
esaminato
caratteristica
anche
delle
altri
regie
di
spettacoli,
Raczak
degli
su
questa
ultimi
quindici
anni.
LE REGIE ITALIANE
Nel 1997 Lech Raczak si trasferisce a vivere in Italia. Nella penisola ha già molti vecchi amici e conoscenti, alcuni dei quali lo avevano più volte e a lungo ospitato con il suo exgruppo. Con un teatro in particolare, il Teatro Aenigma di Urbino,
Raczak
particolarmente
sviluppa duraturo
un e
rapporto
fecondo,
di
tant’è
collaborazione vero
che
esso
continua tutt’oggi. In particolare a Urbino Raczak dà il via ad una serie di laboratori di regia e tecniche d’attore, dai quali spesso e volentieri escono veri e propri spettacoli. Nascono così le regie di Rappresentazione della vita di San 139
Giovanni Battista alla maniera di Giovanni Santi (1994), La pietra e il dolore (1996), Beckett, non io? (1999) e Tilt! (2005).
Alcuni
di
questi
spettacoli
nascono
in
verità
“su
commissione”. Per esempio, nel 1994, dal comune di Urbino Vito Minoia, direttore artistico e regista del Teatro Aenigma, era riuscito
ad
ottenere
un
finanziamento
per
produrre
uno
spettacolo in occasione del quinto centenario della morte di Giovanni
Santi
(da
presentare
nel
corso
del
Festival
del
Teatro Rinascimentale di corte di Urbino). Si dava il caso che Giovanni
Santi,
padre
di
Raffaello,
urbinate,
fosse
anche
autore di un breve dramma sacro (di cui lo spettacolo riprese il titolo). Ma quel che poi venne fuori non fu la messa in scena del testo di Giovanni Santi, bensì un vero e proprio spettacolo di ricerca sulla figura di Giovanni Battista. Una figura
simbolicamente
assai
potente
e
in
grado
di
impressionare maggiormente regista e attori82. La traccia di partenza del processo di lavorazione dello spettacolo, molto più che dal testo di Giovanni Santi e dal Laudario Urbinate83, era fornita da testi che a questi si potevano collegare solo indirettamente: le descrizioni dei festeggiamenti delle nozze di
Guidobaldo
da
Montefeltro
con
la
duchessa
Elisabetta
d’Este84 e Salomè, ovverossia tutti gli uomini sono mortali del Polacco Leszek Kolakowski85.
Così,
in
pratica,
lo
spettacolo
è
nato
da
una
sorta
di
stratagemma. E questo è effettivamente confermato dalla viva voce del regista:
82
Lo spettacolo venne realizzato con gli attori del Teatro Aenigma in collaborazione con altri attori europei del progetto E.A.S.T. (European Association of Students Theatre). 83 Queste le fonti “dichiarate”. 84 Da alcune lettere di B. Capilupi alla sorella della sposa. 85 Edito in Italia con il titolo La chiave del cielo.
140
Nel frattempo (abbiamo fatto) due86 laboratori con spettacoli finali ad Urbino, uno sul padre di Raffaello… Veramente non era così, si diceva così… perché qui in Italia è un po’ così, ad Urbino Vito87 mi dice sempre: ci sono un po’ di soldi per uno
spettacolo
celebrazioni,
su
non
questo so…
ad
argomento, esempio
perché
dei
ci
cinquecento
sono
le
anni
di
qualcosa del padre di Raffaello, quindi se facciamo qualcosa in questa direzione… e poi io faccio la “finta”… capisci, si prende qualcosa, qualche idea, forse un pezzo di testo, ma non si fa lo stesso… (…) con quella scusa…
La figura di Giovanni Santi è quindi presa liberamente per costruire
su
di
essa
uno
spettacolo
che
ha
molto
del
contemporaneo. Salta fuori ancora una volta la consuetudine (che ritroveremo assai spesso, se non sempre, in Raczak) di prelevare un episodio, una figura, una serie di eventi della storia passata, anche abbastanza remota, per “riempirlo” di problemi, inquietudini e interrogativi appartenenti alla sfera dell’attuale.
Giovanni
Santi,
anziché
essere
l’autore
del
testo messo in scena da attori e regista, diventa in qualche modo
il
loro
personaggio
alter-ego,
entrando
sempre
scena,
che,
in
nello si
spettacolo
trova
alle
come
prese
con
tutti i problemi pratici, estetici, artistici che i creatori di
spettacoli
individuare
incontrano
due
filoni
nel
loro
tematici
lavoro.
lungo
i
Possiamo quali
perciò
cresce
lo
spettacolo: il tema, attualissimo, del ruolo dei metteur-enscéne durante le epoche di crisi e transizione (aspetti comuni al
Cinquecento
forse
più
contemporaneo
e
all’epoca
presente, di
del
recuperare
contemporanea); tentativo il
senso
da
unito parte
perduto
simboliche di San Giovanni Battista e di Salomè.
86 87
L’altro è La pietra e il dolore. Minoia.
141
al
tema,
dell’uomo
delle
figure
Occorre tuttavia tener presente, per questo come per tutti gli spettacoli che Raczak ha realizzato ad Urbino, che si tratta di lavori nati da progetti di laboratorio. Il regista che si trova a dover lavorare con i partecipanti ad un laboratorio è costretto strumenti
dalle e
partecipanti
le al
circostanze sue
a
modificare
mete.
più
Innanzitutto,
laboratorio
è
per
sua
volte
il
natura
i
suoi
gruppo
dei
disomogeneo:
alcuni possono essere attori di lunga esperienza, altri solo aspiranti tali, etc… Il tempo del laboratorio inoltre è spesso limitato
e,
di
conseguenza,
il
regista
non
ha
modo
di
conoscere a fondo attori che non lavorano con lui da anni e che non si conoscono tra loro. Infine, come in questo caso, ci si
trova
a
volte
in
presenza
di
una
traccia
di
fondo
predeterminata da un committente esterno (anche se persiste, come si è visto, un certo margine di libertà d’azione). Tutti questi problemi hanno sul lavoro delle ripercussioni (benchè non per forza negative). Diverso è il caso di spettacoli (come quelli realizzati da Raczak negli ultimi anni, in Polonia) che si basano su un progetto registico personale, magari elaborato per anni, e che vengono realizzati con la collaborazione di un gruppo di attori che, se non lavorano già da tempo assieme, almeno
hanno
la
possibilità
di
farlo
grazie
alla
maggior
disponibilità di tempo per le prove88.
Le situazioni laboratoriali, quindi, sono il tratto distintivo di
molte
delle
regie
italiane
di
Raczak;
certamente,
lo
ribadiamo, dei lavori ad Urbino. Un
altro
spettacolo
di
Raczak
a
Urbino
è
Beckett,
non
io
(1999). Si tratta di un lavoro ancora una volta uscito da un laboratorio, appunto su Beckett. Da una parte ne risulta una sorta di riflessione di gruppo sulla base di alcuni famosi testi
di
questo
drammaturgo,
dall’altra
un
tentativo
di
adattare al “carattere” del gruppo, da parte del regista, i 88
Senza contare che spesso ci si trova in presenza di una vera e propria équipe di esperti, come nel caso dei Teatri Stabili (cfr. il paragrafo Il lavoro con gli Stabili).
142
personaggi
beckettiani.
Il
punto
di
partenza
è
infatti
la
differenza che separa la situazione tipica dei personaggi di Beckett
e
quella
laboratorio
della
vita
(nell’occasione,
un
reale
dei
gruppo
di
partecipanti giovani
al
attori
o
aspiranti tali). I primi sono personaggi che hanno perso o abbandonato la speranza, che non trovano più il senso di una direzione, di uno scopo nella vita, spesso sopraffatti dal mondo.
I
secondi
sono,
costituzionalmente spesso
sono
entusiasti,
essenzialmente,
persone
che
si
piene
di
affacciano
dei
giovani,
sogni
e
che
progetti,
prepotentemente
sulla
scena del mondo nella speranza di poterlo cambiare. Raczak
conduce
all’incontro
quindi
con
i
i
partecipanti
personaggi
al
beckettiani:
ne
laboratorio risulta
uno
spettacolo-dimostrazione nel quale il protagonista è un gruppo di
giovani
che
progressivamente
scopre,
in
qualche
modo,
“l’altra faccia della medaglia”: lo smarrimento e l’assurdo beckettiano contaminano per lo spazio dello spettacolo le vite di un gruppo di giovani e le modificano.
Ma
quelle
con
il
Teatro
Aenigma
non
sono
le
uniche
regie
italiane di Lech Raczak, che infatti ha curato la regia di altri due spettacoli con gruppi della penisola: con il teatro Arca di Catania Cagliostro (1998) e, di recente, La porta delle locuste con Uqbarteatro di Verona (2004).
Cagliostro è sicuramente il progetto più importante fra questi ultimi due e, forse, fra tutti i lavori di Raczak in Italia. Si
tratta
di
una
produzione
mista
fra
Italia
e
Polonia,
finanziata dalle Orestiadi di Gibellina. Il gruppo di attori che vi prese parte, che prese il nome di Teatro Arca, non era in
realtà
(attori
e
un
gruppo
danzatori)
preesistente. selezionati
Si per
trattava
di
l’occasione,
artisti che
si
costituì poi come gruppo grazie anche alla durevole fortuna di questo spettacolo nel giro dei festival europei. Sicuramente in questo progetto Raczak ripose molte speranze di costituire 143
un nuovo gruppo “suo”, con base italiana, visto che da poco aveva
volontariamente
abbandonato
la
direzione
del
Teatr
Polski di Poznań, ed era rimasto relativamente inattivo sulla scena polacca89, anche a causa dell’abbandono – relativamente brusco e certamente doloroso – del suo gruppo “storico”, il Teatr Ósmego Dnia90. Anche se dopo qualche tempo Raczak si rese conto che l’esperienza siciliana non avrebbe potuto portarlo a nulla di effettivamente stabile (tant’è vero che è da quel momento che riprende a dirigere spettacoli in Polonia, proprio qualche anno dopo la chiusura definitiva dell’esperienza di Catania91),
è
pur
vero
che
il
progetto
Cagliostro
rimane
fondamentale, anche per durata, entro la parabola registica italiana di questo artista.
Chi era Cagliostro? Ciarlatano.
Mago.
Millantatore.
Prestigiatore.
Medico.
Guaritore
Esorcista.
Imbroglione.
Chiaroveggente.
Sacerdote.
Mistico.
Queste
le
parole
di
uno
dei
programmi
di
sala
dello
92
spettacolo . Ad affascinare il regista quindi è prima di tutto questa figura in bilico fra storia e leggenda così come fra scienza,
magia
realmente Cagliostro,
e
esistito: vissuto
ciarlataneria. si
tratta
nell’epoca
89
Cagliostro di
delle
è
Alessandro monarchie
in
verità
conte
di
illuminate.
Se si tralascia però l’importantissima esperienza, iniziata nel 1993 e proseguita tutt’oggi, della direzione del Festival Internazionale di Teatro Malta di Poznań (cfr. paragrafo Il Festival di“ Malta”). 90 Il cui abbandono da parte di Raczak, bisogna sottolineare, non era stato per lui privo di “danni”, sia di natura personale (ovviamente) sia anche, per così dire, organizzativa, visto che al momento dell’abbandono Raczak lasciò al gruppo la sala, i finanziamenti, il nome, etc… e dovette ricominciare in un certo senso “da capo”. 91 E la presa di coscienza di non poter trarre frutti stabili dal lavoro, interessante ma abbastanza superficiale, con i laboratori tenuti a Urbino e altrove. 92 Che è stato presentato in due produzioni successive: la prima è quella siciliana, con il Teatro Arca; la seconda è una ripresa del 2000, leggermente rielaborata sotto il titolo de I veleni di Cagliostro, con gli attori del Teatro Aenigma di Urbino (ad eccezione dell’attore interprete di Cagliostro, Rosario Minardi, presente in entrambe le produzioni).
144
Figura a tutt’oggi ambigua, si sa che per certo ottenne i favori di molti monarchi d’Europa grazie alle sue guarigioni e divinazioni. Nonostante fosse anche un ciarlatano, sembra che Cagliostro avesse effettivamente delle doti fuori dal normale, fra le quali la documentata capacità di indovinare i numeri della
lotteria
persecuzioni,
e
l’immunità
condanne,
glorie
ai e
veleni.
ricadute
Dopo
venne
diverse
condannato
alla pena di morte dalla Santa Inquisizione. La pena capitale venne
però
eccezionalmente
commutata
in
ergastolo,
da
scontarsi nella fortezza di San Leo (nelle Marche), in “una cella di lunghezza tre metri e quaranta centimetri, larghezza tre metri e altezza metri tre, con un’unica finestrella difesa da tre grate dalle quali potrai vedere solo la cattedrale”. Le ragioni di questo insolito verdetto rimangono oscure, ma la leggenda
narra
che
il
papa
volle
concedere
la
grazia
a
Cagliostro perché era stato precedentemente da lui guarito. Per quanto la figura di Cagliostro costituisse indubbiamente un fenomeno degno della più accurata analisi storica, non era però questo l’intento del regista. Cagliostro colpì Raczak e i suoi collaboratori per la sua identità “liminale”, sempre sul confine fra la verità e la finzione: identità teatrale per eccellenza, che si prestava perfettamente sia ad un discorso poetico
nel
teatro
sia
alla
creazione
di
uno
spettacolo
simbolicamente molto potente. Lo
spettacolo
descrizione alcune
non
delle
procedeva
vicende
particolarità,
infatti
storiche.
alcune
nella
Venivano
caratteristiche
pedissequa
invece e
prese
suggestioni
della storia di Cagliostro, per un lavoro, per così dire, che agisse
nella
direzione
della
profondità
più
che
in
quella
della linearità. Ne emerse uno spettacolo fatto di momenti di illuminazione, in cui Cagliostro veniva descritto attraverso “frammenti scenici” di grande impatto, la cui forza derivava
145
forse
anche
dal
fatto
che
lo
spettacolo
giocava
in
più
sull’abile disposizione degli spazi scenici nella piazza93.
La
struttura
prologo,
dello
processo
e
spettacolo
consisteva
verdetto,
intermezzo
di
I,
18
il
momenti:
matrimonio,
intermezzo II, il sogno di Cagliostro, la Russia, la Polonia, il guaritore, il teatro nel teatro, intermezzo III, predizione dell’apocalisse,
purificazione,
tradimento,
perquisizione
e
cattura, la confessione di Serafina, la loggia delle donne, giudizio e verdetto.
Come
forse
si
può
criterio
di
condanna
all’ergastolo
un’ulteriore
ordine
intuire,
non
cronologico: era
suggestione
veniva il
quasi
al
seguito
verdetto
finale
all’inizio,
pubblico:
lo
nemmeno con
fornendo
spettacolo
un la
così
che
si
dipanava da quel momento in poi era non solo in bilico tra verità
e
menzogna,
ma
anche
fra
sogno
e
veglia,
fra
la
rievocazione delle proprie glorie da parte del protagonista ormai prigioniero e l’effettivo svolgersi degli eventi. Anche l’atmosfera dello spettacolo è in qualche modo aliena dalla
fedele
ricostruzione
storica;
infatti,
per
ammissione
stessa del regista, il luogo in cui si svolgono gli eventi doveva ricordare le vie di un quartiere malfamato di Catania, che a Raczak era capitato di visitare molti anni prima. Così egli stesso lo descrive:
I vicoli del quartiere della prostituzione erano illuminati da fuochi e candele; sopra i fuochi si riscaldavano le puttane, le fiammelle delle candele tremolavano in gloria della Madonna e delle Sante Vergini sui loro altarini. Le stradine di quel misterioso mondo fra l’inferno e il paradiso erano piene di uomini
che
trascinavano
con
tracotanza
le
loro
ombre,
tremanti, nella luce delle candele e dei fuochi di desiderio.
93
Cagliostro è uno spettacolo open-air.
146
Ritorna ancora una volta la tipica predisposizione di Raczak a ricondurre
all’attualità
Cagliostro,
come
lo
i
fantasmi
saranno
poi
della
l’Avaro
storia. di
Anche
Moliére,
i
protagonisti di Stalker di Tarkovski, i personaggi di Rashōmon di Kurosawa94 e molte altre figure degli spettacoli di questo regista, è un uomo della modernità, o meglio: è una sorta di specchio per riflettere e deformare le inquietudini, per forza attuali,
del
Cagliostro
regista
è
forse
e,
per
anche
esteso,
qualcosa
del
in
suo
più:
pubblico.
essendo
il
personaggio per eccellenza profeta e mentitore, ed abitando contemporaneamente i mondi della finzione e della verità (e forse
trovando
la
seconda
nella
prima),
è
l’alter
ego
dell’uomo di teatro, e dell’artista per estensione, non a caso quindi
perseguitato
corteggiato
dal
particolarmente
e
imprigionato,
mondo.
evidente
Questo nella
ma
anche
“destino
così
detta
desiderato d’artista”
“ninna
nanna
e è
per
Cagliostro”, in verità un testo scritto da Raczak sulla base di
una
suggestione
del
famoso
dramma
Dziady
(Gli
avi)
del
poeta romantico polacco Adam Mickiewitz. Anche altri frammenti di
Cagliostro
sono
quarant’anni
dopo
particolare
dalla
Improvvisazione.
tratti la
Che
dal
morte parte
rievoca
testo di
di
Mickewitz,
Cagliostro
del anche,
dramma tra
stesso, detta
l’altro,
le
scritto e
in
Grande parole
dello stesso Cagliostro, che riteneva che solo la sua morte avrebbe potuto far luce sulla verità del suo mistero.
Benchè sarai di nuovo tradito Benchè sarai di nuovo rinchiuso in una tomba Ritornerai qui Tu scoprirai che lo spirito santo dimorava Sotto le camicie del popolo di Parigi, sanguinante sotto le barricate della Rivoluzione Tu, mercante senza scrupoli Morirai ancora nella sabbia del Sahara 94
Cfr. l’analisi degli spettacoli successivi.
147
Con una palla in pancia, biascicando una poesia Tu riconoscerai Gesù in un ronzino di carrozza In una piazza di Torino Tu, sfinito di fame e gelo Divorerai pagine Dei versi migliori scritti sulla terra Tu, scosso dagli elettroshock negli ospedali del mondo Ripeterai: sono immortale Perché immortali, benchè umani Sono la follia, la poesia e l’amore.
Ma del resto in questo spettacolo ritornano molti di quelli che, vedremo, sono i topoi artistici di Raczak. A cominciare dal trattamento dei personaggi femminili, che sono anche qui delle donne-maghe, donne-streghe un po’ fanciulle e un po’ prostitute,
figure
spesso
ambigue
e
sempre
fortemente
simboliche, al limite fra gli opposti contraddittori. Anche il trattamento originale dello spazio scenico, il cui progetto porta la firma di uno degli stretti collaboratori di Raczak, Piotr Tetlak (insieme a Ewa Zakrzewska), ha il marchio di
Raczak.
Rifiutando
ancora
una
volta
il
palco
frontale
tradizionale, a cominciare dalla scelta di fare uno spettacolo all’aperto, Raczak predilige uno spazio mobile e pervasivo, che
occupi
tutta
la
piazza
in
diversi
punti
e
che
possa
cambiare di volta in volta la sua fisionomia con improvvisi spostamenti
degli
attori
e
dei
complementi
scenici:
perciò
compaiono scale (altro elemento ricorrente) munite di ruote e pedane
praticabili,
porte
che
si
spostano
con
gli
attori,
costumi dai lunghissimi strascichi. Terzo elemento tipico è la scelta del “teatro nel teatro”: Raczak inserisce in Cagliostro, ex abrupto, una scena dal Don Giovanni di Moliére, integrata con la versione di Mozart-Da Ponte. Questa propensione “metateatrale” degli spettacoli di
148
Raczak non è una novità: altre volte95, e già ai tempi del Teatr
Dnia96,
Ósmego
l’inserimento
di
scene
o
situazioni
teatrali entro la finzione generale dello spettacolo serve al regista
come
un
meccanismo
aggiuntivo
che,
attraverso
una
sorta di “ammissione” della finzione teatrale, riesca a far cadere le maschere e a trasformare gli elementi della finzione in pretesti per riflettere sulla realtà.
L’altro
spettacolo
“italiano”
di
Lech
Raczak
(non
però
97
l’ultimo in ordine di tempo ) si intitola Brama Szaranczy, in italiano
La
porta
delle
locuste.
Nasce
da
un
proposta
di
collaborazione che il gruppo Uqbarteatro di Verona fece al regista polacco fra il 2003 e il 2004. La base dell’azione dello spettacolo era fornita da un testo scritto poco tempo prima da Raczak, appunto La porta delle locuste, che si basava essenzialmente su due fonti: il film Rashōmon
di
Akira
Kurosawa
(1952)
e
l’omonima
raccolta
di
racconti di Rayonsuke Akutagawa, opera alla quale si era a sua volta
ispirato
Kurosawa.
Mentre
dai
racconti
Raczak
aveva
estratto alcuni motivi di fondo e alcuni testi, dal film prese essenzialmente la struttura della vicenda. Rashōmon (che in giapponese significa La porta dei demoni) è la storia di un assassinio e delle indagini che ne conseguono. I
protagonisti
del
film
sono
un
samurai,
la
sua
dama,
un
brigante, un taglialegna e un vagabondo. In una giornata di pioggia il vagabondo e il taglialegna trovano riparo sotto la grande
Porta
vagabondo slitta
dei
la
Demoni.
storia
continuamente
taglialegna
e
i
Così
il
dell’omicidio fra
flashback
la dei
taglialegna e
del
cornice
racconta
processo. del
protagonisti
al
Il
film
racconto
del
del
delitto,
ciascuno dei quali (compreso il morto, attraverso una medium) 95
Negli spettacoli successivi, un esempio può essere fornito dal circo di Plac Wolności 2 o dalla cornice drammaturgica della “festa” nella regia de L’Avaro di Moliére (si veda più avanti, nel paragrafo Il lavoro con gli Stabili). 96 Si veda lo spettacolo Introduzione a… 97 Che invece è Tilt!, al Teatro Aenigma, del 2005.
149
narra la sua propria versione dell’accaduto. Il taglialegna, primo
testimone,
altri
fornisce
personaggi,
due
testimonianze
stranamente,
ammettono
differenti; tutti
di
gli aver
compiuto l’omicidio: mentre il brigante e la dama si autoaccusano, lo spirito del morto ammette di essersi suicidato. Quella che emerge alla fine è in definitiva l’impossibilità di stabilire quale sia veramente il colpevole.
Nel comporre il suo testo, Lech Raczak ha mantenuto fedelmente la
trama
ma
l’ha
riportata
ai
giorni
nostri.
L’atmosfera
antica e “nobile” della vicenda del samurai, della dama e del brigante viene ridotta a una vicenda quasi “metropolitana”, dove
i
protagonisti,
regista
riassume
taglialegna)
e
insieme
le a
due
due
a
un
figure
ispettori
barbone del di
(nel
quale
il
e
del
vagabondo polizia
incaricati
dell’indagine, sono un tossicodipendente (il samurai), la sua ragazza (la dama), uno spacciatore (il brigante) e una medium incaricata di evocare il morto. Molto dello spettacolo si basa sulla testimonianza “agita” dei personaggi, i quali presentano la loro versione della vicenda di volta in volta; così vengono messe in scena, in una sorta di “teatro nel teatro”, le varie testimonianze, tutte molto somiglianti tra loro eppure lievemente differenti. Alla fine, come nel film, tutto rimane in sospeso, ed è al pubblico che viene lasciata la (difficile) responsabilità di immaginare il colpevole. E ancor più: ciascuno dei personaggi presenta un doppio carattere, negativo e positivo, entrambi validi. Ossia, ciascuno
appare
testimonianza,
ma
meschino, anche,
egoista, allo
stesso
feroce tempo,
nella
propria
perfettamente
giustificabile e incolpevole. Il motivo base dello spettacolo è, alla fine, la formulazione di una sorta di contraddizione in termini, il cui messaggio si lega fortemente ai caratteri “ambigui”della contemporaneità: da una parte tutti i personaggi dichiarano la necessità di conoscere
la
verità,
perchè, 150
come
essi
stessi
dicono
“altrimenti
il
mondo
contemporaneamente bugie
e
mezze
diventa
diventa
contribuiscono
verità
intorno
impossibile,
alla
un
a
al
inferno”;
creare
fatto
fine,
un
ma
reticolo
indagato,
enunciare
tale
una
di che
verità
definitiva. In sostanza il tentativo di Raczak appare quello di
una
riformulazione
del
messaggio
di
Kurosawa
e
del
suo
ispiratore ma nei termini attuali di una contemporaneità in cui
le
informazioni
perdono
più
che
mai
il
carattere
dell’assolutezza in balia di un relativismo pressochè totale.
Anche
in
questo
spettacolo
ritornano
i
già
citati
topoi
registici di Raczak: a cominciare dalla stratagemma narrativo del
metateatro,
per
passare
poi
alla
costruzione
dei
personaggi femminili che anche qui – specialmente nella figura della medium – sono personaggi ambigui, sospesi tra realtà e magia. delle
Anche
la
trattazione
somiglianze
utilizzare
il
con
dello
altri
pubblico
su
spazio
scenico
lavori
di
Raczak:
lati
della
scena,
tre
presenta oltre
a
soluzione
prediletta da Raczak, la scenografia98 presenta parti mobili che
permettono
capovolgimenti
della
visione
spaziale
del
pubblico. Senza contare il tema di fondo, ossia la ricerca utopica della verità attraverso la negoziazione delle verità parziali di ciascuno, che ci riporta alla base di molte delle regie di Raczak fin dall’inizio della sua prolifica carriera (cfr. il capitolo Gli anni del Teatr Ósmego Dnia).
IL MALTA FESTIWAL
Nel
1993
Raczak
assume
la
direzione
del
neonato
Festival
Internazionale di Teatro Malta99 di Poznań, che oggi è la più grande
manifestazione
di
Teatro
open
air
d’Europa.
Per
il
Malta Festiwal, con la collaborazione degli attori del Teatr 98 Curata da Bohdan Cieślak e Piotr Tetlak, collaboratori di Raczak in molte altre occasioni. 99 Così chiamato per il fatto che si svolge in gran parte, oltre che in vari luoghi della città di Poznań, negli spazi sulle rive del lago Malta.
151
Polski di Poznań, Raczak ha creato due spettacoli, per molti versi
assai
diversi
tra
simili, loro.
anche
se
apparentemente
Entrambi
si
inseriscono
completamente
infatti
in
quel
filone tematico di cui parlavamo poco sopra. Il primo di questi spettacoli è 2001. Dziecko Gwiadz (2001. Il bambino delle stelle), tratto dal racconto di Clarke 2001. Odissea nello spazio (dal quale è tratto il notissimo film di Kubrick). Per la verità lo spettacolo non è una trasposizione fedele del racconto (come spesso accade nei lavori di Raczak tratti da fonti letterarie), ma da una suggestione contenuta in
un
brano,
nel
quale
si
racconta
di
come
nell’universo
esistano circa 100 miliardi di stelle, tante quante gli uomini mai vissuti sulla Terra, cosicchè esiste una stella per ogni uomo, e dunque “ogni uomo può avere il suo paradiso e il suo inferno”. Perciò, quella che viene narrata non è la storia di un
viaggio
scientifico
ma
il
racconto
di
un
viaggio
alla
ricerca di altri mondi, nella speranza di reincontrare gli uomini delle epoche trascorse. Sulla base di questa idea, Raczak crea una grande performance all’aperto, utilizzando il linguaggio proprio del teatro openair. La monumentale scenografia di 2001. Dziecko Gwiadz (si veda l’Appendice IV) era costituita da una costruzione di tubi Innocenti, lunga circa 30 metri e alta 10, a due piani, alle cui
estremità
erano
collocate
delle
alte
torri
girevoli.
Questa era una sorta di stilizzazione di una nave spaziale, all’interno muovevano
della gli
l’illusione piano,
quale
attori,
(sul anche
dell’assenza
apparivano
strane
di
palcoscenico a
testa
gravità. immagini,
in
In
più
basso)
giù,
alto,
per
sul
rievocazioni
si dare
secondo di
riti
arcaici, spettri, che gli eroi dello spettacolo incontravano nel corso del loro viaggio. Su una serie di schermi venivano proiettati dei film, unico mezzo di comunicazione fra la nave spaziale e la Terra. Lo spettacolo aveva dunque una sorta di anima duplice: da una parte,
era
un
magnificente 152
dispositivo
del
teatro
di
intrattenimento, con tanto di musica dal vivo (Raczak stesso lo definisce “una specie di opera lirica”), fuochi artificiali ed effetti speciali; dall’altra si dedicava a una tematica tutt’altro
che
leggera,
affrontando
il
tema
spinoso
dell’esistenza di mondi oltre il nostro, della vita oltre la morte, sconfinando per forza di cose un po’ nel misticismo e un po’ nella fantascienza. E lo scopo era proprio raggiungere il
difficile
connubio
fra
intrattenimento
e
serietà
nel
teatro: Raczak voleva far sì che anche il teatro di piazza fosse in grado di introdurre questioni intellettuali, di porre interrogativi profondi e forse insolubili... in parole povere, di “parlare di cose serie”. Perciò questo 2001. Dziecko Gwiadz si ricollega anche a un altro spettacolo di Raczak, l’ultimo, cronologicamente
parlando,
di
quelli
esaminati
in
questo
capitolo: Wyprawa (Spedizione), per il quale rimandiamo alla fine
del
capitolo
(cfr.
il
paragrafo
Il
lavoro
con
gli
Stabili).
L’altro spettacolo di Raczak per il Malta Festiwal è Łatwe umieranie (Morire facile), uno spettacolo del 2002 dedicato all’amico
pittore,
scomparso
poco
tempo
prima,
Jerzy
Piotrowicz. Se a prima vista è uno spettacolo completamente diverso
dal
precedente,
non
solo
perchè
l’argomento
è
completamente un altro (parla infatti della vita e della morte di Piotrowicz) ma anche perchè si tratta di uno spettacolo di sala, di dimensioni piuttosto ridotte rispetto a 2001. Dziecko Gwiadz. Per il regista però non è solo uno spettacolo “dedicato a...”. E’
soprattutto
l’occasione
per
parlare,
ancora
una
volta,
della possibilità di un mondo oltre la morte o, forse, contro la morte...
E’ uno spettacolo sulla fine, sulla morte. Là c’è una cosa che forse non è il tema principale dello spettacolo ma forse vale la pena di parlarne. C’è un concetto molto diffuso in Polonia, 153
e
anche
molto
diffuso,
credo,
nel
lavoro
teatrale
e
anche
post-teatrale di Grotowski, quello di Pontedera. C’è l’idea, vecchia e conosciuta, che tutto il teatro è nato in Grecia come una specie di, diciamo fra virgolette, “rituale contro la morte”.
Che
il
teatro
si
fa
per
far
di
nuovi
presenti,
rievocare, dare il corpo dell’attore agli spiriti, ai morti... quegli eroi dei miti greci presentati poi in teatro... e dopo tutto
viene
dal
rito
dionisiaco,
che
è
anche
un
rito
all’origine contro la morte, una cosa del genere. Quindi il teatro
forse
è
nato
come
mezzo
di
combattimento
contro
la
morte, e per questo Łatwe Umieranie, che in italiano sarebbe morire facile, è un tentativo di tenere fra i vivi questo personaggio di Jerzy Piotrowicz, questo mio amico scomparso.
E’ proprio in questo “tentativo di tenere tra i vivi” che va scovata
la
somiglianza
conseguenza,
con
con
molti
il
altri
precedente fra
i
spettacolo
successivi
e,
di
lavori
di
Raczak. Łatwe umieranie si presentava come una rievocazione, scritta
da 100
personali
Raczak
stesso
sulla
base
dei
propri
ricordi
e di alcune interviste rilasciate da Piotrowicz in
vita, della figura non solo di un amico ma anche di una grande personalità artistica, che con Raczak e altri aveva condiviso l’intensa
stagione
della
contestazione
e
della
sovversione
durante gli anni delle leggi marziali. Nello
spettacolo,
come
vicenda
parallela
e
contrappunto,
Raczak inserisce anche un fatto di cronaca, riguardante una leggendaria
“morte
e
risurrezione”
di
un
mafioso
polacco,
avvenuta circa nello stesso periodo della morte del pittore. Così
nello
storia
del
spettacolo mafioso
la si
grottesca mescola
–
alla
e
talvolta cronaca
kitsch di
–
eventi
contemporanei e a memorie personali, e i personaggi favolosi dei
dipinti
di
Piotrowicz
sfilano
sulla
scena
insieme
a
personaggi reali, alcuni dei quali seduti tra il pubblico. 100
Con una singolare auto-rappresentazione del regista stesso, durante una scena in cui l’attore che interpreta Piotrowicz dialoga con... una sigaretta appoggiata su una sedia.
154
Ma parlare di una personalità come quella di Jerzy Piotrowicz, per Raczak, porta quasi naturalmente al tentativo di parlare della
propria
generazione.
La
generazione
di
Raczak
e
di
Piotrowicz, protagonista prima della contestazione studentesca negli anni Settanta e poi della cospirazione contro il regime negli anni Ottanta, nel nuovo millennio “sta cominciando a morire”. Come spesso accade, è questo il momento in cui si tirano le somme, si formulano i pareri. Molti di questi amici
che prima facevano parte di complotti, di cospirazioni antisocialiste durante le leggi marziali, ora hanno fatto i soldi e non sanno cosa fare con questi soldi, la vita non ha senso, forse vale la pena di nuovo di fare una cospirazione, forse la classe
operaia
si
arrabbia
ora
così
dobbiamo
di
nuovo
nasconderci... tutto così. Quindi c’è il mondo intorno che ha perso i valori, il senso, l’autocoscienza, il perchè si va avanti, e questi tutti quanti vivono bene, e c’è quel pittore che crede sempre nel senso di fare arte, quindi ha un motivo per vivere, ma muore. (...) Da una parte c’era questo tentativo, a volte credo riuscito, di far in un certo senso rivivere, vivere di nuovo questo personaggio in realtà morto, e qui per me era molto strano che la gente che aveva visto lo spettacolo e dopo un anno lo rivedeva tornasse dicendo “ma guarda, questo attore assomiglia sempre
di
più
al
personaggio
originale”,
invece
era
il
contrario... per loro il tempo faceva sì che dimenticassero il personaggio originale e gli pareva che l’attore fosse simile. Questo da una parte, e dall’altra era, come dire, una prova di parlare
della
mia
generazione,
che
sta
per
cominciare
a
morire.
Quindi, due sono i filoni tematici dello spettacolo: l’arcaica mitologia del teatro come mezzo per far rivivere i morti, per visitare il loro mondo o far loro rivisitare il nostro, che si 155
lega
alla
tematica,
paralleli”,
da
una
personale,
che
è
già
affrontata
altrove,
parte;
la
formulazione
anche
un’auto-analisi,
di
del
“mondi
un
giudizio
sulla
propria
generazione che sta entrando nella vecchiaia, dall’altra.
IL LAVORO CON GLI STABILI
Negli ultimi anni, ed in particolare a partire dal 2003, il lavoro di Lech Raczak in Polonia si è associato spesso ai nomi di alcuni Teatri Stabili polacchi. Come artista indipendente Raczak infatti ha trovato un ambiente abbastanza accogliente in alcune realtà teatrali non indipendenti, ossia in teatri finanziati da enti pubblici, in possesso di edifici e spazi propri, e di uno staff di attori dipendenti. Quasi sempre, tuttavia, non si è trattato dei Teatri Stabili101 delle grandi città
o
dei
grandi
poli
culturali
(per
esempio
Varsavia,
Cracovia o Wrocław). Per consapevole scelta del regista, i Teatri con i quali ha scelto di lavorare sono teatri cittadini relativamente
piccoli,
situati
in
città
generalmente
considerate “di provincia”, come Legnica o Gniezno. La ragione di questa scelta è presto detta in un’intervista rilasciata da Raczak al riguardo:
Pensando
per
stereotipi
Legnica
o
Gniezno
sono
città
di
provincia. Tuttavia al giorno d’oggi il concetto di “capitale teatrale della regione” non ha più senso. Tutti pensano che le proposte geografici.
innovative L’arte
superino
teatrale,
immediatamente
semplicemente,
non
i
confini
li
conosce.
Dalle mie esperienze risulta che vicino ai così detti centri culturali
esiste
la
possibilità
di
fare
teatro
con
più
concentrazione e maggiore visibilità. E, naturalmente, anche 101
In Polonia il Teatro Stabile viene denominato Teatr Polski (lett. “Teatro Polacco”). Le istituzioni stabili, per la verità, possono essere finanziate sia dallo Stato che dall’amministrazione delle città; noi chiameremo Stabili tutte queste realtà teatrali, pur tenendo presente che Teatr Polski è la denominazione riservata ai soli Teatri finanziati dai fondi statali.
156
che
a
Varsavia
e
a
Cracovia
un
regista
ha
la
scelta
dei
migliori attori. Ma solo in teoria, perché molto spesso hanno molto lavoro. Nelle piccole città c’è tempo per pensare a come sfuggire
dalle
soluzioni
stereotipiche,
a
come
sperimentare
qualcosa. Per questo mi interessa il lavoro in posti “fuori mano”. Non progetto dei lavori di regia in grandi teatri, con attori dai nomi famosi. Preferisco lavorare con gruppi che considerano
egualmente
importanti
l’opera
e
il
processo
creativo, e non in luoghi dove dominano le star, che decidono come strutturare gli spettacoli.102
La scelta della provincia è quindi a favore di realtà che, pur non essendo per natura “gruppi indipendenti” di teatro, sono spesso più libere di molte realtà stabili e quindi presentano una fisionomia più simile al gruppo di teatro alternativo, ossia
la
tipologia
di
compagnia
teatrale
con
la
quale
idealmente Raczak vorrebbe sempre lavorare. In particolare il Teatr Helena Modrzejewska di Legnica103, a detta del regista, rappresenta una specie di realtà privilegiata, perchè, oltre ad essere un teatro di provincia, ha alle sue dipendenze una compagnia di attori piuttosto giovani e quasi coetanei, che fanno sì che essa assomigli molto ad un gruppo indipendente. Inoltre,
bisogna
ricordarlo,
è
un
teatro
fortemente
indirizzato verso la ricerca – nonostante si tratti di una realtà stabile e deva quindi sottostare a determinate “regole di
genere”,
in
particolare
per
quel
che
riguarda
il
mantenimento di un repertorio - e proprio per questa ragione, probabilmente,
ha
instaurato
un
rapporto
di
collaborazione
così fecondo con Raczak.
Nel
2003
Fredry
di
Lech
Raczak
Gniezno,
ha una
firmato, regia
per
il
piuttosto
Teatr
Aleksander
insolita,
almeno
Da Cały Świat jest prowincja (Tutto il mondo è provincia), intervista cura di Arthur Guzicki su Rzezcpospolita, 4 giugno 2003 (traduzione mia). 103 Con il quale Raczak ha realizzato due eccezionali produzioni quali Zona e Plac Wolności 2 (cfr. di seguito). 102
157
rispetto
alla
Moliére.
Accogliendo
collaboratore
sua
di
consuetudine: la
proposta
Raczak
ai
suoi
la
regia
de
di
Tomasz
Szymanski,
esordi,
oggi
L’Avaro
direttore
di già di
questo Teatro Municipale di Gniezno, di dirigere una piéce di Moliére espressamente pensata per un pubblico scolastico104. La sfida
dunque
senza
era
tradire
doppia:
il
dirigere
proprio
credo
L’Avaro105
–
registico
–
naturalmente e
renderlo
comprensibile e godibile per spettatori molto giovani. Dunque la prima operazione che Raczak ritenne opportuno fare era rendere questo testo un po’ più “contemporaneo”... il che, in pratica, significava riscriverlo. Raczak
chiamò
dunque
come
collaboratore
un
suo
vecchio
conoscente, il poeta Maciej Rembarz, laureato in Polonistica106 e con una lunga esperienza di insegnante “di campagna” alle spalle. Con Rembarz procedette alla riscrittura della piéce, tagliando
alcuni
pezzi
che
sarebbero
suonati
completamente
falsi al giorno d’oggi107 e approfondendo alcuni aspetti della piéce proprio in funzione del pubblico. In particolare Raczak concentrò i proprio sforzi sul rendere un po’ più evidente una tematica raramente messa in rilievo nelle messe in scena de L’Avaro, ma già sottolineata da Goethe: quella del parricidio. Secondo
Goethe
ne
L’Avaro
viene
compiuto
un
parricidio
simbolico, perchè la figura del padre, Arpagone, nel corso della
piéce
viene
progressivamente
distrutta
moralmente
dai
vittoriosi valori “giovani” dei figli. Tenendo presente tutto 104
In Polonia è piuttosto diffusa la consuetudine, specialmente fra i teatri delle città di provincia, delle lektury skolne, ossia spettacoli per le scuole (non solo primarie ma anche licei). 105 Inizialmente la scelta di Raczak era caduta sul Don Giovanni, pièce che lo aveva sempre affascinato; poi, per motivi tecnico-organizzativi, si era dovuto ripiegare su L’Avaro. 106 Corrispettivo delle nostre Lettere. 107 In particolare i lunghi dialoghi d’amore, zeppi di metafore e giri di parole, non solo difficilmente traducibili dal francese ma appartenenti ad uno stile estraneo al modo comunicativo della contemporaneità. A proposito Raczak ha detto: I dialoghi d’amore sono molto lunghi e sono scritti unicamente attraverso il procedimento dell’allusione (...)Tutti il divertimento si affida a questo, perché non viene mai detto quello che si pensa. Ma noi viviamo nell’epoca degli SMS e la comunicazione si compie attraverso l’uso di poche parole o gesti. (da Moliér w epoce SMS-ów, it. Moliére nell’epoca degli SMS, intervista con Lech Raczak di Ewa ObrębowskaPiasecka, su Gazeta Wyborcza, Poznań, 29 marzo 2003. Traduzione mia).
158
ciò Raczak rese più accessibile al giovane pubblico un testo altrimenti
ostico,
tematica,
assai
perchè
vicina
incentrò
lo
spettacolo
all’esperienza
dei
sulla
liceali,
del
conflitto generazionale.
Per
il
resto
lo
spettacolo
è
una
trasposizione
in
chiave
contemporanea della vicenda: Arpagone è uno spocchioso uomo d’affari di provincia, proprietario di una fabbrica di nani di gesso; il napoletano Anselmo, il losco personaggio che arriva verso la fine con i soldi, è un mafioso italiano... Altra scelta
del
regista
è
di
capovolgere
il
ruolo
del
costume
storico nella messa in scena: mentre di solito nelle messe in scena
de
L’Avaro
compaiono
costumi
settecenteschi,
nella
versione di Raczak il costume settecentesco è ridotto a una cornice di introduzione (una festa in maschera). Quindi dove di
solito
c’è
costume
contemporaneità;
(la
dove
vicenda
c’è
il
centrale)
qui
contemporaneo
appare
(la
la
cornice
narrativa, il teatro) appare il costume. Anche il finale, contrariamente al lieto fine di Moliére, è modificato:
fedelmente
alla
propria
trasposizione
in
tempi
odierni, qui non è l’etica del padre a vincere (facendo sì che i figli proseguano la sua venerazione ossessiva per il denaro) ma quella delle nuove generazioni, cosicchè Arpagone risulta completamente
sconfitto
senza
possibilità
di
salvezza
nel
finale.
L’altro spettacolo, curiosamente simile a L’Avaro, diretto a Gniezno da Lech Raczak è Trans-Atlantic, basato sull’omonimo libro,
molto
famoso
e
contestato
in
Polonia,
di
Witold
Gombrowicz. L’opera di Gombrowicz è ancor oggi molto dibattuta in Polonia per
il
narrate
suo
carattere
in
prima
fortemente
persona,
dello
critico.
Le
scrittore
vicissitudini, a
Buenos
Aires
forniscono il pretesto per una satira feroce e grottesca del mondo
polacco.
Tutto
il
libro 159
è
una
grande
sfilata
di
stereotipi
nazionali,
che
attraverso
l’esagerazione
vengono
smascherati e messi alla berlina. Per questo è stato e ancor oggi viene recepito come un’opera anti-patriottica, nonostante Gombowicz stesso l’abbia definito “l’opera più patriottica e più coraggiosa che io abbia mai scritto”. Come “aggravante” dell’anti-patriottismo, il libro venne scritto proprio mentre la Polonia veniva invasa e distrutta nel 1939. La trasposizione in teatro da parte di Raczak è abbastanza fedele all’originale, anche se la vicenda viene leggermente variata.
Inoltre
anche
questo
Trans-atlantic
è
trattato
da
Raczak come il “racconto di una fine”, ossia della morte del mondo
polacco
con
tutti
gli
stereotipi
che
lo
contraddistinguono:
da un certo punto di vista si può interpretare tutto questo libro
come
un
racconto
sulla
fine
del
mondo
polacco:
la
Polonia, il mondo polacco sta per finire, è proprio una specie di
giudizio
seria,
ma
universale,
molto
solo
che
caricaturale,
tutto
satirica
questo e
un
è
po’
una
cosa
ridicola.
Quindi si mescola un ridicolo stereotipico polacco, proprio “da scuola”, con un fatto vero e – dal punto di vista polacco – escatologico. Questo era anche il punto principale dello spettacolo:
ho
messo
l’accento
soprattutto
sulla
fine
del
mondo. Al contrario del libro lo spettacolo finiva proprio con una distruzione totale. (...) Questo era il concetto di base e qui si racconta la fine del ridicolo, provinciale, stupido, patetico mondo polacco, dove niente è vero, dove nel momento della sconfitta si parla di vittoria,
dove
tutti
gridano
felici
–
in
spagnolo
–
Viva
Polonia martir, oppure Viva Polonia, amen amen amen, tutto è mescolato, vittoria e disfatta, così.
L’idea della “fine” era suggerita da Raczak con un espediente quasi “burlesco”: sul fondale del palcoscenico, vuoto o con 160
pochi elementi mobili, stava una striscia di tela bianca sulla quale
era
proiettato
per
tutto
il
tempo
dello
spettacolo
l’immagine del cielo azzurro con qualche nuvola. Nel corso dello
spettacolo,
a
volte,
in
momenti
in
cui
la
vicenda
precipitava verso la distruzione, un pezzo di questo fondale si staccava e scivolava. Allora da dietro appariva un tecnico che, ignorando lo svolgersi dello spettacolo, lo aggiustava. Alla fine dello spettacolo, quando tutti quanti muoiono, il fondale con il cielo cadeva completamente:
il finale era così: che il cielo cadeva giù e tutti cadevano per terra con le gambe alzate, rimaneva una specie di cimitero di gambe, nel buio, senza più cielo. Fine del mondo: il mondo artificiale, primitivo, con quel cielo che non funziona molto bene, che a volte cade un po’, ma così, insomma, il mondo... se il cielo cade, è la fine del mondo.
Attraverso la parodia feroce di Gombrowicz, Lech Raczak crea quindi uno spettacolo grottesco il cui messaggio sembra voler rievocare quella “profezia che per fortuna non si è avverata” (come
in
Dobbiamo
accontentarci
di
quello
che
chiamano
paradiso in terra? del Teatr Ósmego Dnia). Ma la critica, o meglio, la spinta alla riflessione che Raczak rivolge alla Polonia
riprendendo
il
controverso
testo
di
Gombrowicz
si
estende anche al più generale filone tematico della “morte” e dei
“mondi
paralleli”,
che,
abbiamo
visto
e
vedremo,
costituisce insieme al problema del rapporto con la Storia e l’attualità, uno dei fili rossi della sua parabola registica negli ultimi anni.
Ma
il
teatro
stabile
che,
come
abbiamo
visto,
Lech
Raczak
descrive come un esempio assolutamente unico nel suo genere è piuttosto il Teatr Helena Modrzejewska di Legnica. Per questo teatro municipale Raczak ha diretto negli ultimissimi anni due importanti messe in scena: nel 2003 Zona, una trasposizione in 161
teatro del film Stalker di Andriej Tarkovski, e nel 2005 Plac Wolności 2, uno spettacolo scritto interamente da Raczak che racconta “100 anni di storia in 100 minuti”.
Zona
si
inserisce
ancora
una
volta
nel
filone
dei
“mondi
paralleli”. La trama del film di Tarkovski si avvicina, in qualche modo, a quella di 2001. Odissea nello spazio: infatti anche
qui
non
viene
narrata
una
missione
scientifica
ma
piuttosto un viaggio alla scoperta di una sconosciuta “zona”, della quale si sa poco o niente. I protagonisti della vicenda sono tre uomini: lo Stalker108, una sorta di addetto incaricato di guidare verso la misteriosa “zona” altri due uomini, lo Scrittore e il Professore. Nel film di Tarkovski come nella trasposizione di Raczak (che mantiene in gran parte i dialoghi originali moderne
del
figure
film)
i
tre
personaggi
allegoriche:
il
sono
Professore
in e
realtà lo
delle
Scrittore,
allegorie dell’Intelletto e della Fantasia, devono nel corso del loro viaggio fare i conti con lo Stalker, rappresentante della Fede, che riunisce in sè ambiguamente le caratteristiche dell’ingenuità e dell’inflessibilità. Il viaggio verso questa misteriosa zona, che peraltro non si sa se faccia parte di un mondo
positivo
o
negativo
(l’unico
commento
che
uno
dei
personaggi ne fa è che “bisogna fare attenzione, perchè non si sa cosa potrebbe accadere”) diventa quindi sia una sorta di viaggio
di
formazione
e
autoconoscenza
dei
tre
personaggi,
ciascuno dei quali scopre di avere dentro di sè sentimenti e pensieri che mai avrebbe sospettato di avere, sia, nella sfera simbolica,
un
confronto
ravvicinato
fra
queste
tre
caratteristiche dell’uomo, spesso in conflitto tra di loro: appunto la Fede, la Fantasia e l’Intelletto.
Due
sono
gli
trasposizione
elementi di
Raczak:
interessanti
e
innanzitutto,
108
Participio presente dell’inglese to soppiatto, avvicinarsi silenziosamente”.
162
stalk,
originali la ossia
della
volontà
di
“strisciare
di
diversificare in un certo senso il ritmo della messa in scena rispetto a quello del film: qui, nel film,
immagini lente, a
volte sfuocate, un sonoro attutito e una generale impressione di staticità; nello spettacolo variazioni improvvise di ritmo, cambi
di
scena
inaspettati
e
repentini,
una
generale
impressione di movimento. Pur mantenendo entrambi i generi la caratteristica di una potente simbologia di fondo.
La movimentazione di spazi e ritmi della messa in scena è attuata
dal
regista
costruzione
soprattutto
dello
un’interessante
e
spazio
attraverso
originale
scenico:
la
cura
esso
disposizione
degli
della
presenta elementi
scenografici, che, nonostante la posizione “tradizionalmente” frontale del pubblico (su gradinate), si distanzia enormemente dall’idea di palcoscenico all’italiana. La scenografia di Zona (curata ancora una volta da Bohdan Cieślak) si sviluppa grosso modo in quattro spazi per l’azione. La maggior parte dello spazio è occupata da una grande struttura a piano inclinato che dal fondo della sala scende verso il basso fino ai piedi della gradinata per il pubblico, rialzata di qualche metro. Questa struttura, interamente praticabile sopra e sotto, ha tutto l’aspetto della facciata di un edificio, con tanto di finestre (che vengono utilizzate dagli attori come entrate e uscite o come aperture per le luci), balconi e cornicioni. All’estremità della struttura, in alto e in fondo alla sala, è un piano sul quale si svolge la prima parte dello spettacolo, mentre
su
un
altro
piano,
all’altezza
della
prima
fila
di
spettatori, raggiungibile dal basso con una scala, si svolge la
parte
finale
del
“viaggio”.
All’estrema
destra
delle
gradinate, infine, in un angolo posto di sbieco, sta il quarto spazio
dell’azione,
nel
quale
si
svolgono
alcune
scene
iniziali e finali e che rappresenta la casa dello Stalker. Il continuo
movimento
dei
tre
attori
principali
attraverso
(e
anche dentro e fuori) la struttura della “facciata”, nonchè la dislocazione di altre azioni in alto e in basso o di fianco, 163
spiazzano
la
percezione
costringendolo,
quanto
tradizionale
meno,
a
dello
cambiare
spettatore
inquadratura...
proprio come succederebbe in un film. In effetti il montaggio di
diverse
sequenze
cambiamenti utilizzati presenta
di dal
nei
diversi
ritmo,
luce
regista
per
d’altra
parte
e
spazi, suono,
sono
movimentare
una
oltre
lo
parte
ai
gli
frequenti espedienti
spettacolo,
“parlata”
che
piuttosto
consistente. L’impressione generale che si trae dall’assistere a Zona, alla fine, non è di vedere degli attori che si muovono nella
scenografia,
ma
piuttosto
di
una
scenografia
che
si
muove intorno e con gli attori. Del resto abbiamo già visto come la scienza dello spazio, del movimento nello spazio e dello spazio sia una delle abilità che deve avere un regista, particolarmente apprezzabile in Lech Raczak.
La seconda singolare caratteristica di questo spettacolo è, come forse era già accaduto in L’Avaro, la sua adattabilità all’ambiente
sociale
circostante.
Non
è
un
caso,
probabilmente, che la regia di Zona sia stata fatta in una città come Legnica. Questa cittadina, infatti, che si trova a circa un’ora da Wrocław, nel centro-sud della Polonia, era stata
prescelta
dall’armata
sovietica
per
costruirvi
giust’appunto una zona riservata ai militari. Una parte di Legnica
per
molto
tempo
risultava
misteriosamente
inaccessibile ai comuni cittadini, tanto che non si sapeva molto
del
suo
aspetto.
Ancor
oggi,
come
ricorda
Raczak,
Legnica non è nota in Polonia per monumenti o eventi storici ma proprio per questa sua particolare conformazione. Perciò a detta
del
regista
la
città
di
presentava
come
un
ambiente
ideale per una messa in scena di questo argomento (anche se nello spettacolo non compaiono riferimenti diretti alla realtà cittadina). Come per L’Avaro, anche qui c’è un’attenzione – pur non predominante – alle caratteristiche, potremmo dire in questo caso geografico-sociali – del luogo dove si lavora come artisti. Il che ci fa intuire ancora una volta che, anche se 164
le problematiche affrontate da Raczak nei suoi spettacoli più recenti non si avvicinano così tanto alla politica in senso stretto, almeno paragonate a quelle del Teatr Ósmego Dnia, comunque
mantengono
circostante,
con
un
la
legame
propria
assai
forte
condizione
con
e
con
la
realtà
quella
del
proprio ambiente, per ribadire ancora una volta che non si può fare un teatro completamente “fuori dal mondo”.
Lo spettacolo che forse, insieme all’ultimo che analizzeremo fra breve, rappresenta una tappa e una summa molto importante del lavoro di Lech Raczak è Plac Wolności 2. Il testo dello spettacolo, scritto del giro di almeno due anni dal regista stesso, dietro la suggestione del libro Piazza d’Italia di Antonio
Tabucchi,
vicende
di
provincia secolo:
una
famiglia
polacca il
racconta
in
un
residente
attraverso
Novecento!
modo
un
Mentre
il
po’
particolare
in
un
paesino
secolo
di
storia.
libro
di
Tabucchi
le
della E
che parla
appunto della storia di una famiglia italiana, lo spettacolo di Raczak si concentra sulla realtà a lui più vicina, e, dal punto
di
vista
storiografico,
molto
ricca
di
eventi
se
pensiamo alla situazione della Polonia nel corso del secolo appena conclusosi. Raczak però non sceglie di raccontare la Grande Storia, selezionando come cornice delle vicende messe in scena una grande città (ad esempio Varsavia). Sceglie un paesino molto piccolo, che non è al centro degli eventi, dove vive la gente comune che recepisce i cambiamenti della storia come li recepiamo più o meno tutti noi: attraverso la leggera modificazione proprio
mondo
o,
talvolta,
quotidiano,
l’improvviso della
sconvolgimento
propria
intimità,
del delle
proprie vicende personali. Ma dentro Plac Wolności non entra solo questo: essendo un tentativo di raccontare la Storia con i
mezzi
del
teatro,
viene
scelta
come
seconda
cornice
narrativa anche un’altra realtà: quella di un circo girovago, che ogni tanto passa attraverso questo (indefinito) paesino, portando
cambiamenti
e
notizie. 165
Come
non
intravedere,
in
questo
circo,
almeno
una
somiglianza
con
le
compagnie
di
attori girovaghe, non ultima quella della quale aveva fatto parte anche il nostro regista? E infatti Plac Wolności vuole raccontare la Storia della Polonia (che a volte diventa anche la Storia dell’Europa) anche attraverso la storia del teatro, come se esso, anche in questo spettacolo, potesse essere un mezzo per “riportare alla vita i morti”, o meglio, il passato recente o remoto. E come se esso fosse uno specchio attraverso il quale poter vedere riflessa e, forse, disvelata, la realtà quotidiana della vita. Lo
spettacolo
lineare,
ma
procede
a
balzi,
selezionando
gli
senza
un
eventi
criterio
in
base
di
tempo
alla
loro
rilevanza – che non sempre, è bene ricordarlo, coincide con quella
consacrata
dalla
storiografia.
Anche
in
questo
spettacolo dunque ritorna il già menzionato (nel caso di Brat) rapporto particolare del Teatro con Storia: in teatro come un tentativo di dare voce alle storie personali, dimenticate o travisate dalla storia ufficiale. Quel che emerge infatti in questa
sorta
di
saga
familiare
è
uno
smascheramento
delle
facili generalizzazioni che la storia, e soprattutto la sua percezione
comune,
attua
sui
comportamenti
individuali.
Per
Raczak lo spettacolo
E’
la
storia
di
un
paesino,
probabilmente
nella
Wielkopolska109, visto in un periodo di 100 anni. E’ anche il racconto delle vicende di una famiglia, nella quale si fondono comportamenti
rivoluzionari
e
conformisti.
Nel
corso
degli
anni si scopre che la fedeltà ai principi conformisti è eroica ma
che
gli
slanci
di
eroismo
riducono
i
personaggi
alla
funzione di guardiani di un carcere. In questo spettacolo il tempo procede a balzi, il pathos si mescola al grottesco, il riso
al
pianto…
E’
una
prova
109
di
descrizione
delle
follie,
Così viene chiamata la metà orientale dell’attuale stato polacco (dove si trova la capitale Varsavia).
166
della
bellezza
e
dei
crimini
del
XX
secolo,
nel
quale
ho
vissuto la maggior parte della mia vita.110
Il tentativo di indagare in profondità i comportamenti dei componenti della famiglia rivela che spesso le azioni degli uomini sono più ambigue di quanto si pensi; che a volte i conformisti sono più eroici dei rivoluzionari, ma che sono anch’essi sopraffatti dalla Storia. Raczak perciò confonde le acque,
smascherando
stereotipi Wolności
sul
attraverso
Novecento
però
è
autobiografico,
e
sulla
anche,
o
il
in
meglio:
teatro Storia
senso
come
molti in
lato,
Łatwe
dei
nostri
generale. uno
Plac
spettacolo
Umieranie
era
un
tentativi di parlare della propria generazione, Plac Wolności è
un
tentativo
di
parlare
del
proprio
secolo
e
delle
sue
contraddizioni, se Raczak afferma ancora
Le
cose
stanno
così:
ho
vissuto
più
della
metà
di
questo
secolo. Le guerre, i totalitarismi, i tentativi di soggiogare l’uomo e i continui conflitti per poter ottenere un minimo di libertà. Questo è stato il secolo in cui hanno cercato di schiacciarci,
di
insegnarci
come
vivere
a
dispetto
di
noi
stessi. Ma comunque siamo sopravvissuti: sia alle guerre, sia alle epidemie di inizio secolo, sia ai tentativi di creare una società uniformante e conformista. E ci siamo creati una nuova chance storica, che oggi di nuovo ci
uccide
e
ci
schiaccia.
Ma
non
è
questa
la
cosa
più
importante in confronto al fatto che ciascuno di noi si sforza di ridurre questo secolo a propria immagine e somiglianza. Può essere
che
questo
sforzo
personale
degli
individui,
per
battersi contro quello che cerca di uniformarci, sia la cosa più importante. (...)
110
Da Poznań-Legnica. Prywatny Plac Wolności Lecha Raczaka, intervista con Lech Raczak di Stefan Drajewski (traduzione mia).
167
Penso che questo XX secolo continui a durare. Ciò significa che i processi cominciati qualche anno o decina di anni fa continuano
ad
essere
vivi
tempo.
in
realtà
saranno
Ma
e
decidono la
il
volto
particolarità
del
nostro
umana
e
le
capacità affettive ad essere decisive nella nostra vita, e non i conflitti armati, le tensioni, i processi politici.111
Ma
non
è,
giudizio
come
si
definitivo.
deduce,
un
tentativo
Se
di
offrire
mai
di
un
formulare
punto
di
un
vista
personale e del tutto relativo sulla questione, e di farlo attraverso i propri mezzi, scelti anche come cornice narrativa dello
spettacolo:
compaiono
anche
quelli infatti
del
teatro.
delle
Nello
spettacolo
auto-citazioni
di
vecchi
spettacoli di Raczak, alcuni del Teatr Ósmego Dnia. La storia del teatro del Novecento per Raczak non può onestamente essere descritta con un atteggiamento oggettivo perchè quella storia per
un
buon
tratto
si
sovrappone
e
si
mescola
alla
sua
biografia. Perciò
ci
sembra
di
poter
dire
che
questo
spettacolo
rappresenta una summa delle problematiche affrontate da Raczak nel corso della sua biografia artistica: il rapporto con la Storia; il problema della morte e dei “mondi paralleli” (nello spettacolo compaiono personaggi che vivono per cent’anni senza cambiare;
oppure
personaggi
morti
ricompaiono
qualche
generazione dopo); il tentativo di ribadire l’importanza delle storie individuali; il problema, sorto già con il Teatr Ósmego Dnia, dell’impossibilità di stabilire una verità assoluta in conflitto il diritto a rivendicare ed enunciare la propria relativa e parziale verità sul mondo.
L’ultimo
spettacolo
che
Raczak
ha
diretto
fino
ad
oggi
(dicembre 2006) è Wyprawa (Spedizione), un altro spettacolo di strada
per
l’edizione
del
2006
111
Da Historia Wolności, intervista Matusewska (traduzione mia).
168
del
con
Malta
Lech
Raczak
Festiwal. di
Lo
Małgorzata
spettacolo ha una duplice origine: da un lato, la volontà del regista di riprendere il tentativo, già affrontato con 2001. Dziecko Gwiadz, di parlare di questioni intellettuali con i mezzi del grande teatro all’aperto. Contemporaneamente esso è ancora una volta un omaggio a due colleghi e amici di Lech Raczak,
scomparsi
da
poco
tempo:
Jerzy
Piotrowicz,
già
“rievocato” in Łatwe Umieranie, e Jarek Maszewski, scenografo, scomparso
da
tre
anni.
Anche
Maszewski
faceva
parte,
come
Raczak e Piotrowicz, della “generazione che sta per cominciare a morire”. Autore per molti anni di una serie di parate di strada proprio per il Festiwal Malta, dal titolo Świeta Miasta (Città
Santa),
artisti
era
plastici
una
dello
delle
più
scenario
carismatiche
culturale
di
figure Poznań.
di Per
Raczak, tra l’altro, aveva creato anche gli spazi scenici di Łatwe Umieranie, un anno prima di morire. Non
a
caso,
perciò,
Wyprawa
è
uno
spettacolo
che,
seppure
creato in poche settimane e presentato ancora come work in progress,
rappresenta
un
punto
di
arrivo
importante
della
storia artistica di Raczak. Il tema di fondo della parata è, manco
a
dirlo,
l’immortalità.
Riprendendo
ancora
una
volta
delle suggestioni borgesiane, l’eroe della vicenda è un uomo che viaggia verso il Gange per poterne bere l’acqua che rende immortali. Ma una volta conquistata la meta ambita, egli si rende
conto
che
in
realtà
l’immortalità
è
una
sorta
di
condanna, e che vivere per l’eternità è una tortura. Il pubblico, che viene condotto lungo il tragitto della parata dagli attori, è in un certo senso anche il co-protagonista dello
spettacolo.
l’invito
di
una
Infatti strana
è
al
pubblico
compagnia,
che
all’inizio
si di
rivolge questo
viaggio, composta da una serie di “esperti di immortalità”:
specialisti commercio
di
in
cosmetica,
organi
–
in
vita tutto
169
a
pagamento,
quello
che
può
clonazione, rendere
la
nostra
esistenza
lunghissima,
piacevolissima,
priva
di
difficoltà, di sofferenze, di fatica…112
Lo spettacolo quindi è una riflessione in termini spettacolari sul grande tema del rapporto fra la vita e la morte. Esso si costituisce
come
una
specie
di
rituale,
anche
qui
come
in
altri spettacoli, per “riportare in vita i morti”, o anche, per
“riportare
rituali,
un
i
vivi
tentativo
alla
morte”:
insomma,
“cosmologico”,
per
come
dare
tutti
ordine
i ai
pensieri, alle speranze e alle paure che circondano questa tematica. E, come tutti i rituali, questa intenzione non si esplica solo a livello di contenuti: investe anche la ritmica delle azioni, per far sì che la riflessione diventi in qualche modo
incorporata.
Ecco
quindi
che
il
corteo
è
dominato,
insieme, dal racconto della vicenda e dallo svolgimento di un preciso ritmo, che intende in qualche modo riprodurre in scala ridotta il “ritmo della vita”: un ritmo fatto di pause, corse, improvvisi
arresti,
ritorni,
smarrimenti.
Nel
senso
propriamente fisico del termine: gli spettatori vengono prima condotti in avanti; poi, improvvisamente, la testa del corteo svanisce
e
l’azione
si
sposta
alla
coda;
poi
di
nuovo
si
ricomincia a correre, ci si arresta, si ritorna indietro. La fine del corteo, costruito espressamente sulla geografia di Poznań, si svolgeva proprio sulle rive del Lago Malta. Come racconta una recensione
Già dal silenzio e dall’oscurità emergono delle barche-Pegaso, le
cui
ali
lampeggiano
di
fuoco.
Si
chiude
la
cerimonia
funebre – un tributo composto per Maszewski, per Piotrowicz, un tributo composto per quel mondo che è già morto davanti ai nostri occhi e che muore ogni giorno con noi. Si è compiuto il rituale che riporta in vita i morti.113 112 Da Wyprawa, czyli sztuki umierania (“Spedizione”, ovvero l’arte di morire), di Ewa Obrębowska-Piasecka, su Gazeta Wyborcza, Poznań, luglio 2006 (traduzione mia). 113 Da Wyprawa, czyli sztuki umierania, cit.
170
Wyprawa è solo l’ultimo dei lavori di Raczak che, come abbiamo visto,
negli
tematiche
ultimi
molto
anni
simili.
sembrano Ewa
tutti
ruotare
intorno
Obrębowska-Piasecka,
che
a ha
recensito molti degli spettacoli di Raczak, ha chiamato questa parabola di Lech Raczak Rozmowa z pana Boga (conversazione con il Sig. Dio). Indubbiamente negli ultimi anni Lech Raczak ha concentrati propri sforzi artistici su tematiche concernenti temi come la morte, la possibilità di un’esistenza oltre la vita, o dell’esistenza di mondi paralleli. Molto spesso i suoi spettacoli hanno cercato di avvicinarsi a quel concetto di teatro come rituale per riportare in vita i morti. Solo che, come al solito, Raczak lo ha fatto in modo, per così dire, socratico: ossia senza la pretesa di enunciare giudizi definitivi
sulla
questione
(e
chi,
del
resto,
potrebbe
arrogarsi un simile diritto). Il suo è un teatro che vuole porre delle domande; ogni spettacolo getta una specie di ponte verso la riflessione su queste tematiche. Questi ponti possono sovrapporsi, incrociarsi o anche contraddirsi a vicenda. Ma la verità, ci dice Raczak, è che
non
è
così
importante
importante
il
problema
questa a
cui
tesi
portano
o
un’altra
tutte
queste
tesi,
è
diverse
tesi. Quindi se parliamo della morte e del possibile passaggio oltre la morte, non sono importanti le diverse soluzioni, ma è importante parlare di questo. Diverse soluzioni servono solo perchè portano a questo problema.
La via che negli ultimi anni sembra indicarci Lech Raczak è una sorta “misticismo con i piedi per terra”. Un atteggiamento che
gli
viene
da
lontano,
da
quando,
a
proposito
della
situazione in Polonia negli anni Ottanta, diceva che “a volte si vorrebbe fare teatro fuori dal mondo, ma la pressione della realtà è troppo forte”. Quindi i suoi spettacoli intrisi di realtà cercano di fare del teatro, forse, un luogo per poter 171
dibattere di argomenti che l’attualità vuole nascondere, o sui quali
tenta
di
dare
risposte
troppo
facili
per
poter
esorcizzare la propria paura dell’incertezza. Allora davvero il teatro diventa per Raczak la rivendicazione di uno spazio di
riflessione,
di
interrogazione
e
di
ricerca,
unite
al
piacere di ridere e piangere che contraddistingue quello che è fondamentalmente
un
gioco
di
maschere.
Allora
diventa
serio una plac wolności... una “piazza della libertà”.
172
sul
APPENDICE (III)
Cronologia dell’attività di Lech Raczak dal 1993 al 2006 1993: Lascia definitivamente il Teatr Ósmego Dnia e fonda, con alcuni
attori
nazionalità,
del
il
vecchio
gruppo
gruppo
e
internazionale
altri
Teatr
di
Sekta.
diverse Diventa
direttore artistico del Mięzynarodowy Festiwal Teatralny Malta (Festival Internazionale di Teatro Malta) di Poznań, carica che ricopre tutt’oggi.
1994:
Regia
dello
spettacolo
Orbis
Tertius,
da
Jorge
Luis
Borges, con il Teatr Sekta. Dopo un’esperienza di laboratorio presso il Teatro Aenigma di Urbino, regia di Rappresentazione della vita di San Giovanni Battista alla maniera di Giovanni Santi.
1995:
Assume
l’incarico
di
direttore
artistico
del
Teatr
Polski (Teatro Stabile) di Poznań e per esso dirige la messa in scena di Edmond, da David Mamet.
1996: Regia di La pietra e il dolore, dal libro di Karel Schulz, per il Teatro Aenigma di Urbino, dopo un’esperienza di laboratorio.
1997: Si trasferisce a vivere in Italia.
1998: Regia e drammaturgia di Cagliostro, per le Orestiadi di Gibellina, con il Teatro Arca di Catania. Lascia la carica di direttore del Teatr Polski di Poznań.
1999: Laboratorio e regia di Beckett, non io?, da testi di Samuel Beckett, per il Teatro Aenigma di Urbino.
173
2000: Per il Teatro Aenigma e il Teatro Oplà di Verona dirige la seconda versione di Cagliostro, con il titolo I veleni di Cagliostro.
2001: Regia di 2001. Dziecko Gwiadz (2001. Il bambino delle stelle), dal racconto 2001. Odissea nello spazio di Arthur Charles Clarke, per il Malta Festiwal.
2002: Regia e drammaturgia di Łatwe Umieranie (Morire facile) per il Malta Festiwal.
2003: Regia di Skąpiec (L’Avaro), da Moliére, per il Teatr Aleksander Fredry di Gniezno. Regia
di
Zona,
da
Andriej
Tarkovski,
per
il
Teatr
Helena
Modrzejewska di Legnica.
2004: Regia e drammaturgia di Brama Szaranczy (La porta delle locuste),
dai
racconti
di
Rayonsuke
Akutagawa
e
dal
film
Rashōmon di Akira Kurosawa, per Uqbarteatro di Verona.
2005: Regia e drammaturgia di Plac Wolności 2 (Piazza della Libertà 2), per il Teatr Helena Modrzejewska di Legnica. Laboratorio e regia di Tilt!, dal libro Ping Pong di Arthur Adamov, per il Teatro Aenigma di Urbino. In
giugno,
riceve
un
premio
alla
carriera
dalla
Città
di
Poznań nell’anniversario dei suoi 40 anni di regia.
2006: Regia e drammaturgia di Wyprawa (Spedizione), per il Malta Festiwal.
174
APPENDICE (IV)
Tavole di alcuni dei progetti scenografici per gli spettacoli di Lech Raczak
175
176
Bozzetto delle scene per Orbis Tertius, 1994 (Bohdan Cieślak)
177
Bozzetto per le scene di 2001.Dziecko Gwiadz, 2001 (Bohdan Cieślak)
178
Prospetto tecnico della scenografia di 2001.Dziecko Gwiadz, 2001 (Bohdan Cieślak)
179
Bozzetto per le scene di Cagliostro, 1998 (Piotr Tetlak e Ewa Zakrzewska)
180
Bozzetto per le scene de L’Avaro, 2003 (Piotr Tetlak)
181
Prospetto della scenografia di La porta delle locuste, 2004 (Bohdan Cieślak)
182
Bozzetti e prospetto tecnico delle macchine di scena di Wyprawa, 2006 (Piotr Tetlak)
183
184
BIBLIOGRAFIA Oltre al materiale materiali privati di conversazioni della utilizzati i seguenti
d’archivio del Teatr Ósmego Dnia, a Lech Raczak e alle registrazioni delle scrivente con il regista, sono stati testi:
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187
188
RINGRAZIAMENTI Per aver reso possibile – in un modo o nell’altro - questo lavoro di tesi desidero ringraziare
Leszek, per la pazienza, la disponibilità, la gentilezza. E’ stato un piacere e un onore e spero che avremo ancora la possibilità di lavorare insieme.
Il prof. Marco De Marinis e il prof. Gerardo Guccini.
I miei genitori, che hanno sempre rispettato e appoggiato le mie scelte.
Daria, per i consigli, i racconti, l’aiuto nelle traduzioni e per
quanto
mi
ha
insegnato
in
questi
anni
di
lavoro
e
amicizia.
I miei amici Letizia, Giacomo, Anna, Alberto, Santo, Anna, Pietro, Tronky e tutto il resto del coro “I Trovatori”; Lalla, Ire,
Vale,
Marta,
Nica,
Alice,
Vali,
Bruno,
Giulia;
Jotti...
i e
miei tutti
compagni quelli
di
che
teatro mi
sono
vergognosamente dimenticata di nominare.
Il mio primo e unico maestro, Giannantonio Mutto.
Leo, per aver valorosamente sopportato le mie crisi isteriche e per tutto il resto, passato, presente e futuro.
189
190