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il progresso Concessionari verso il default, il Covid-19 mette a rischio 3 punti di pil

CONCESSIONARI VERSO IL DEFAULT, IL COVID-19 METTE A RISCHIO 3 PUNTI DI PIL E 200MILA POSTI

L’emergenza sanitaria colpisce duramente lo strategico settore dell’automotive.

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Tutto lo stivale è un cahiers de doléances, ma il settore delle concessionarie auto stavolta rischia brutto. Un rapporto dell’agenzia di rating Crif, sull’impatto finanziario dell’emergenza coronavirus sulle PMI italiane, che Il Sole24 Ore ha potuto visionare, lo annovera tra quelli che già “partono da una situazione più critica sotto il profilo della liquidità”, indicando come “più di un’impresa su due parte già da una situazione di limitata flessibilità finanziaria”. Secondo tale rapporto il comparto, “tra i più vulnerabili nell’attuale contesto economico”, esprime un “fabbisogno finanziario intorno ai 2 miliardi di euro”. Quello che serve è stato indicato da Federauto, l’associazione dei concessionari. Che le agevolazioni sul versamento dei contributi, previste per le imprese fino a 2 milioni di fatturato, siano estese anche alle concessionarie. Che il tetto di 700mila euro/anno per la compensazione dei crediti IVA diventi mensile. Che le concessionarie siano ricomprese nelle imprese che possono beneficiare del supporto alla liquidità, nella forma della garanzia offerta dallo Stato, ex art. 57 del DL Cura Italia. Sono misure urgenti. “Serve un intervento di pronto soccorso per le concessionarie auto, altrimenti molte falliranno”. Così Gianluca Italia, ex numero uno di FCA nel mercato italiano e oggi titolare di Overdrive, una grande concessionaria milanese, uno dei primi gruppi del Paese.

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Però, in una crisi tanto grave quanto dalle prospettive ignote, viene spontaneo domandarsi se sia davvero il caso di dare priorità alla distribuzione di auto. Dopotutto, parliamo di macchine, un prodotto di cui gli italiani sono già sufficientemente forniti e un bene durevole il cui acquisto, seppure rimandato di qualche mese, prima o poi arriverà. Innanzitutto, non è questione di dare priorità ma di non dimenticarsene. C’è una bella differenza. In concreto, i provvedimenti governativi rischiano di essere inefficaci verso queste imprese, per una loro particolarità: con un giro d’affari medio sui 30 milioni, non rientrano nel tetto previsto dal decreto di 2 milioni. Dovrebbero invece esservi comprese, perché quel fatturato è gonfiato dal valore delle auto, al netto del quale sono semplici aziende di distribuzione, ognuna in media con qualche punto vendita e un’officina di riparazione. Le auto valgono tanto ma il valore aggiunto per chi le vende è basso. Tant’è vero che il loro utile prima delle imposte viaggia, negli anni buoni, appena sopra l’1%, come riporta l’Osservatorio Bilanci di Dekra. Inoltre, c’è il loro peso sociale. Con circa 50 miliardi di giro d’affari, pari a quasi 3 punti di PIL, i concessionari impiegano oltre 120mila addetti, che arrivano a 200mila con le tante piccole e piccolissime aziende che forniscono loro alcuni servizi reali, dalla logistica al marketing, dal software ai media. Infine, c’è un’ulteriore considerazione. Può anche darsi che l’acquisto dell’auto per il cliente finale non sia né urgente né prioritario, sebbene rappresenti una decisione di spesa molto importante. Anzi, in periodi di crisi, proprio per questo. Però, all’opposto, il mercato dell’auto nel suo complesso è altamente prioritario e la sua ripresa ha il carattere dell’urgenza. Infatti, proprio per il suo valore e per l’indotto che trascina con sé, è un formidabile acceleratore degli scambi e della fiducia, essenziale per tutti gli altri

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consumi. Per tacere del gettito fiscale che porta dentro di sé. Proprio per tutto quanto sopra, sarà necessario agevolare la ripresa del settore anche attraverso un sostegno ai consumi, ma questa sarà la terapia di reparto, dopo il pronto soccorso. Ci sarà tempo per occuparsene, se l’intervento d’urgenza sarà stato efficace.

Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 23 marzo 2020

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