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La mini ripresa estiva cancellata dal ritorno impetuoso del virus
LA MINI RIPRESA ESTIVA CANCELLATA DAL RITORNO IMPETUOSO DEL VIRUS
Lo scenario. Mentre i clienti si rialzavano, una mano forte li ha rimessi a sedere.
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C’è nervosismo nell’industria automobilistica e sarebbe facile addebitarlo alla pandemia. La domanda è stata letteralmente azzerata per quasi tre mesi, tanto da chiudere il semestre a meno 35/50%, a seconda dei Paesi. Sì, perché il problema non può essere compreso restando nei confini nazionali, visto che ormai nessuna casa auto pensa e agisce in termini di Stati ma di regione europea. Con l’estate era arrivata una ripresa, agevolata dagli incentivi ma non da questi determinata. Parlando a settembre con gli esponenti delle case e con importanti concessionari, ti rappresentavano un entusiasmo nei clienti che veniva da dentro, non dalla mente ma dal cuore. Non è retorica, nei cuori non c’era l’auto, bensì un senso viscerale di aver superato una minaccia epocale, che nessuno aveva messo in conto. Che proprio per questo aveva costretto tutti a farseli, due conti, non sui soldi ma sui fatti della vita. Erano questi i pensieri che poi spingevano alcuni a celebrare la nuova alba con una bella macchina. È stato allora che la dimensione emotiva dell’automobile è riemersa, uscita da quella soffitta in cui la mente l’aveva relegata. Nonostante un decennio di calcoli e convenienze sulle emissioni, sulla CO2, sull’autonomia, sulle diavolerie degli informatici e sulle rate di un noleggio che, con la formula “non ci pensi più”, faceva di tutto per tagliare quel cordone ombelicale con l’auto. Tutto questo aveva sopito ma non cancellato quel piacere genuino che può dare “la macchina nuova”. Non è soddisfazione, è felicità. L’hanno capito tutti e molti l’hanno pure ammesso: la macchina nuova dà gioia. Anche chi acquista quella meno bella e meno cool è felice e la famiglia con lui.
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Purtroppo, dopo l’estate è tornato il virus. Mentre i clienti si stavano rialzando, una mano forte li ha rimessi a sedere, li ha scoraggiati. Non c’era più nulla da celebrare. Anzi, c’era da interrogarsi sui tempi e quindi sulla capacità di resistere. Il fiato per un primo lockdown l’avevamo avuto, ma la seconda apnea poteva essere fatale. Meglio accantonare il discorso auto. Ora c’è mestizia nei dialoghi tra addetti ai lavori. Per evitarla si fa finta di niente, ci si tuffa nei programmi dei prodotti: un lancio qua, un face-lifting là, poi un’offerta che scimmiotta un incentivo. Ce ne sarebbe in abbondanza, per essere nervosi. Eppure, la tensione che circola sembra più profonda, non di quelle “adda passà ‘a nuttata”. Non è la resistenza a preoccupare, ché l’industria avrebbe la tenacia e la forza. Le antenne di chi sta da trenta o quarant’anni nel settore percepiscono dei piccoli segnali, magari impercettibili ai più o anche liquidabili con una motivazione di superficie, accettabile. Quello che dà da pensare è proprio il cliente. Si avverte un suo disallineamento con la narrazione costruita per questi anni a venire. Adesso la coltre del Covid tende a coprire, ma i bravi ricordano ciò che avevano sentito già prima. I campanelli avevano suonato. Paradossalmente, proprio la ripresa estiva, per quanto effimera, ha dato quel segnale descritto sopra, che se fosse diffuso sarebbe un problema. Se il cliente associa alla macchina sentimenti di gioia, di pancia, di vita piacevole, vuol dire che tanti bei discorsi di testa hanno meno corso legale di quanto si era immaginato. Tuttavia, si tratta di pensieri e come tali possono essere scacciati facilmente. I dati oggettivi stanno lì apposta. Le immatricolazioni di vetture ibride ed elettriche sono raddoppiate, in un anno in cui quelle con il solo motore termico sono a -38%. Le vendite di auto elettriche sono due volte e mezzo quelle dell’anno precedente, nonostante la pandemia. Le ibride plug-in sono 4,5 volte quelle di un anno fa. Ecco, proprio loro sono uno di quei segnali. Stanno incontrando troppo favore. Qualcosa vorrà dire. Alcuni importanti esponenti dell’industria hanno dichiarato a La Capitale Automobile che per i clienti acquistare un’auto
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ibrida plug-in può rappresentare il loro contributo alla sostenibilità, senza rinunciare alla comodità del motore termico. Alcuni think-tank di parte hanno già cominciato a strillare, nelle sedi istituzionali, che non va bene, che così il motore termico, quello che gli europei sanno costruire così bene e i cinesi no, buttato fuori dalla porta starebbe rientrando dalla finestra. La posta in gioco è la sopravvivenza dell’industria con oltre 3 milioni di addetti.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore, il 15 dicembre 2020
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