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“LA MANCANZA DI PRUDENZA GENERA RISPARMIO”

Una contraddizione solo apparente. Zamagni (Università di Bologna): “Prudente non è il timoroso, o chi esita, ma chi guarda avanti. E per tornare a investire sul futuro bisogna ritrovare la fiducia nello Stato”

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Gabriele Petrucciani

I

> Stefano Zamagni

Università di Bologna n un’Italia che si prepara a un’operazione di rilancio senza precedenti, c’è un dato che colpisce particolarmente e su cui Stefano Zamagni, economista e professore ordinario di Economia Politica all’Università di Bologna, invita a fare una riflessione: i 1.775 miliardi di euro detenuti dagli italiani sui conti correnti (dati Abi aggiornati al 31 maggio 2021). Un ammontare che negli ultimi due anni è cresciuto di oltre 200 miliardi, una cifra pari a quanto stanziato complessivamente con il Pnrr (il Piano nazionale di ripresa e resilienza). “È pur vero che gli italiani hanno sempre coltivato la cultura del risparmio, ma la vera ragione che si nasconde dietro questo accumulo smisurato di denaro è la mancanza di prudenza. Che all’apparenza può sembrare una contraddizione, ma non è così. In Italia il concetto di prudenza è sempre stato interpretato nel senso sbagliato”.

Può spiegarsi meglio?

La prudenza è una virtù cardinale che Tommaso d’Aquino definì la guida di tutte le altre virtù. Gli italiani identificano il prudente con il timoroso, con chi esita. Invece, è vero il contrario. Il termine prudenza deriva dal latino “providentia”, che vuol dire guardare in avanti. Chi lo fa riesce a interpretare i segni dei tempi. Il prudente è chi si mette in gioco e investe sul futuro. Da circa 30 anni, ormai, in Italia c’è un calo della prudenza intesa nel senso proprio del “prudent man” di Adam Smith. Ma nel dopoguerra, quando ci fu il miracolo economico, non era così. L’imprenditore prudente è colui che investe perché sa che opera in un contesto in cui si può fidare delle istituzioni. Ma se viene meno la fiducia allora non si va avanti, non c’è più il senso dello Stato e allora subentra la mancanza di prudenza. Così si risparmia.

La paura del domani generata dalla crisi, però, non può essere ignorata.

È chiaro che anche la paura ha giocato un ruolo chiave. In un contesto di crisi si risparmia perché il futuro incerto induce le persone ad applicare una stretta sui consumi. Una scelta che potrebbe non essere la più saggia, come denunciò il grande Keynes con il paradosso della parsimonia: è proprio quando ci sono le crisi che bisogna consumare di più, perché se si risparmia allora l’uscita dalla crisi viene ritardata. Una teoria che ha fatto riflettere migliaia di economisti e che va interpretata considerando il contesto che Keynes aveva di fronte, ovvero una crisi da domanda effettiva, con le persone che non comprando più beni e servizi avevano “inceppato” la macchina produttiva. E se le persone non spendono, allora è lo Stato a dover intervenire a sostegno della domanda effettiva.

Come si potrebbero impiegare tutti questi risparmi?

A sostegno dell’economia reale, è evidente. Se insieme al Pnrr utilizzassimo anche soltanto i 200 miliardi di ricchezza accumulati negli ultimi due anni arriveremmo a una potenza di fuoco superiore a 400 miliardi. Sarebbe un “colpo” fortissimo per il sistema Italia.

Il solo intervento dello Stato, invece, potrebbe bastare?

Diciamo che è sufficiente. Tutti sono pronti a scommettere che questo governo saprà spendere bene i 221 miliardi del Pnrr e questo potrebbe bastare a innescare il meccanismo inverso, ovvero far tornare la fiducia nelle istituzioni. Quando questo avverrà, allora anche gli italiani metteranno a disposizione i loro risparmi nei vari progetti di investimento.

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