Valerio Monti
LA STRAGE IMPUNITA TORINO 1864
La strage impunita. Torino 1864 Prima edizione Savej: ottobre 2014 Stampa: L’Artistica Savigliano, 2014 Š 2014 Savej - Fondazione Culturale Piemontese Corso Einaudi, 30 10129 - Torino www.savej.it info@savej.it Per ulteriori approfondimenti si rinvia al sito www.torino1864.it, curato da Savej - Fondazione Culturale Piemontese ISBN: 978-88-99048-00-6 Tutti i diritti riservati.
Indice
Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . pag. VII Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . »
XI
CAPITOLO I
La Francia di Napoleone III all’epoca della Convenzione di Settembre . » 1 La politica estera di Napoleone III . . . . . . . . . . . » 1 La situazione politica della Francia bonapartista nel 1862-64 . . . . » 5 CAPITOLO II
I negoziati e la Convenzione tra Napoleone III e il Governo Minghetti . La sordina alla questione romana . . . . . . . . . . . Il papa in pericolo di vita: progetti del Governo italiano su Roma . . . Il papa è fuori pericolo. Si approda alla Convenzione . . . . . . Osservazioni e considerazioni sulla Convenzione . . . . . . . I documenti ufficiali: la Convenzione, il Protocollo, la Dichiarazione . . Relazione del Governo Minghetti al re Vittorio Emanuele II sulla Convenzione di Settembre . . . . . . . . . . . . . . . .
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La Convenzione di Settembre nei giornali dell’epoca . . . . . » Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . » L’Italia e i problemi di politica interna . . . . . . . . . » Le relazioni europee e le missioni italiane presso Napoleone III . . . . » Le trattative della Convenzione di Settembre alla stretta finale . . . . » I giornali torinesi descrivono i luttuosi fatti di piazza del 20-22 settembre . » I giornali giudicano la Convenzione e gli eventi torinesi . . . . . »
27 27 28 32 35 53 64
CAPITOLO III
CAPITOLO IV
La strage di Torino: fatti e retroscena . . . . . . . . . . » Le inchieste municipale e parlamentare . . . . . . . . . » La segretezza dei negoziati e la divulgazione della notizia . . . . »
77 77 77
La notizia della Convenzione ed il Sindaco di Torino . . . . . pag. 79 Le dimostrazioni popolari e la repressione, 20-23 settembre . . . » 81 L’impiego parziale e tardivo della Guardia Nazionale . . . . » 96 Il Questore ed il ruolo degli agenti di pubblica sicurezza distaccati da Milano, Firenze, Napoli, Palermo . . . . . . . . . » 101 Il ruolo del generale Della Rocca e dell’esercito . . . . . . » 104 Il ruolo dell’agenzia di stampa “Stefani” e della “Gazzetta Ufficiale” nella diffusione delle notizie sui fatti di sangue . . . . . . . . » 107 Le conclusioni dell’inchiesta municipale . . . . . . . . » 108 Le conclusioni dell’inchiesta parlamentare . . . . . . . » 110 Le altre inchieste . . . . . . . . . . . . . . » 113 Municipio, società civile a Torino e il trasferimento della capitale . . . » 114 L’azione della Municipalità di Torino . . . . . . . . . » 114 Le adunanze straordinarie della Giunta e del Consiglio comunale . . » 115 I proclami alla cittadinanza e la “rappresentanza” al Governo . . » 124 La società civile torinese e il trasferimento della capitale . . . . » 127 Camera dei deputati: discussione e voto sull’inchiesta parlamentare . . . » 130 La mozione Ricasoli e le accuse di Mordini . . . . . . . » 130 Le questioni procedurali . . . . . . . . . . . . » 133 Gli interventi a favore della mozione Ricasoli . . . . . . » 134 Gli interventi favorevoli alla discussione sul merito dell’inchiesta . » 135 Gli interventi dei rappresentanti del Comune di Torino membri del Parlamento . . . . . . . . . . . . . . . » 138 Il comportamento di Minghetti e Peruzzi . . . . . . . » 141 Verso il voto finale . . . . . . . . . . . . . » 142 L’approvazione della mozione Ricasoli . . . . . . . . » 144 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . » 147
Prefazione
Il trasferimento della capitale italiana a Firenze fu tutt’altro che un fatto meramente amministrativo e logistico. Si trattò, non solo per Torino, ma anche per l’Italia, di un evento di enorme portata politica e storica, capace di influenzare e sconvolgere un futuro che era stato non solo immaginato ma anche concretamente pianificato. Agli osservatori più lungimiranti l’imminente trasferimento della capitale del Regno d’Italia da Torino ad un’altra sede, qualunque essa fosse, apparve ineluttabile nel momento stesso in cui fu combinato il passaggio di Nizza e Savoia alla Francia. Vittorio Emanuele II, subita a malincuore la cessione delle due regioni, imposta quale prezzo dell’appoggio e del sangue francesi nelle campagne risorgimentali, non poté sottrarsi al ricatto di Napoleone III e delle forze internazionali che ne sostenevano la politica. I Torinesi erano pronti ad accettare Roma: non una destinazione intermedia che, al momento dei fatti, non era neppure possibile considerare con certezza come provvisoria. Ma il Re dovette acconsentire comunque, prima alla cessione e poi al trasferimento della capitale (messo in condizione, come sostengono alcuni storici, di non potersene esimere dall’azione surrettizia di alcuni ministri e funzionari) anche all’insegna del semplice realismo. Il nascente Regno d’Italia doveva già affrontare troppe sfide per potersi permettere di aprirne una nuova alle frontiere francesi. La Francia, Regno o Repubblica che fosse, considerava da secoli, tra le sue mire di espansione, il possesso della Savoia e di Nizza come il traguardo più ambito. Aveva dimostrato quanto ci tenesse, con cicliche aggressioni ed invasioni. Affrontare nuove incursioni e tensioni, non solo sarebbe stato problematico per l’Italia, ma sarebbe, alla fine, costato caro in primo luogo alle popolazioni savoiarde e nizzarde. A congiurare contro Torino capitale, una volta perfezionata la cessione, concorrevano molti singoli fattori e il complessivo contesto geopolitico. Se dal punto di vista italiano l’avere per capitale una città prossima alla frontiera era pericoloso in caso di guerra, da quello francese l’Italia con la capitale a Torino e tutte le prospettive che ne discendevano in termini politici, militari, diplomatici era ancora più preoccupante: un’autentica spina nel fianco. La Francia non era certo in quegli anni all’apice della propria potenza e stabilità. Era, anzi, ancora debole per i guasti rivoluzionari e napoleonici che ne avevano, dopo trionfi che furono solo fuochi di paglia, compromessa l’enorme pregressa potenza e, letteralmente, dissanguata la popolazione. Essa, nel giro di poco più di mezzo secolo si era trovata ad altalenare tra rivoluzione, Prima Repubblica, Primo Impero, nuovo Regno di Francia e Seconda Repubblica culminata nel Secondo Impero napoleonico. VII
la strage impunita. torino 1864
Un’Italia, guidata ancora da Torino con continuità d’intenti, fermezza e con la già sperimentata efficacia politico-diplomatica subalpina, non poteva non suscitare nel vacillante regime oltralpino preoccupazioni. A Parigi si paventavano non improbabili future rivendicazioni di Nizza e Savoia (la cui restituzione veniva già reclamata a gran voce da più parti) e persino, in occasione di non improbabili future crisi, ulteriori rivendicazioni territoriali. Napoleone III, col trasferimento della capitale a Firenze, non solo scongiurava questi rischi, tacitando gli allarmismi francesi, ma conseguiva altri due obiettivi considerevoli: da un lato manteneva viva negli Italiani e nei Torinesi la speranza di poter un giorno ottenere Roma, dall’altro rassicurava i clericali d’Italia, Francia e di Savoia (paese coralmente sensibile agli interessi della Chiesa), illudendoli circa il proprio ruolo di protettore del Papa. Secondo alcuni osservatori, inoltre, col trasferimento della capitale a Firenze e non a Roma, si perseguiva l’intendimento, sottotraccia ma concreto, di allentare, per quanto possibile, il rapporto tra Casa Savoia e i popoli che, con una tenacia e fedeltà incondizionata di cui la storia d’Europa offre ben pochi altri esempi, avevano per secoli dato alla dinastia la forza per resistere a nemici strapotenti e per conservare, unico esempio in Italia, la piena autonomia dei loro Stati. Scalfito il granitico sostegno subalpino e savoiardo i Savoia non potevano che indebolirsi, divenendo più facilmente ostaggio delle forze politiche. Il trasferimento della capitale fu deciso in forza di un protocollo segreto incluso nella Convenzione stipulata tra Italia e Francia il 15 settembre 18641, come bene si illustra nelle pagine che seguono. Nonostante la segretezza, la notizia trapelò e dilagò in un attimo in tutta Torino e la sua diffusione generò tensioni. Quanti da breve tempo si erano trasferiti da centri minori o dalle campagne in città, col miraggio delle opportunità derivanti dal nuovo ruolo di capitale d’Italia, erano particolarmente allarmati: avevano lasciato i luoghi d’origine, venduto i loro beni e ora si chiedevano quale destino li attendesse. Si formarono alcuni assembramenti, nulla che assomigliasse, neppure lontanamente, a una manifestazione di protesta organizzata né, tanto meno, a un tentativo di sommossa popolare. Nulla che potesse o volesse creare seri problemi di ordine pubblico. Bastarono lievi turbolenze, perlopiù a margine di legittime proteste contro un provocatorio articolo pubblicato sulla “Gazzetta di Torino”, e qualcuno dei rappresentanti delle forze dell’ordine della nuova Italia fece improvvisamente fuoco sulla folla, innescando una reazione a catena. Si contarono morti e feriti. Secondo qualcuno tra le forze di polizia, già provenienti da varie regioni d’Italia, si annidavano provocatori che avrebbero agito per rendere più celere e ineluttabile il trasferimento, di fronte a presunte sommosse popolari. Non fu mai possibile provarlo. In queste pagine Valerio Monti tenta di fare il punto sull’enorme dibattito che si scatenò attorno ai fatti di settembre, guardando in particolare ad alcune delle in1 Clemente Solaro della Margarita definì la Convenzione «crudele impolitica, rivoluzionaria» e ritenne che il cedere «alla prepotenza della Francia» accettando il trasferimento della capitale a Firenze equivalesse a far morire il Piemonte o, quanto meno il “vecchio” Piemonte tale quale lo conoscevano i Piemontesi di allora.
VIII
prefazione
numerevoli voci giornalistiche e bibliografiche e ponendo a confronto le inchieste ufficiali, quella municipale e quella parlamentare. In seno a queste ultime – che sono già state oggetto, in passato, di innumerevoli analisi, approfondimenti, discussioni in Italia e all’estero, con esiti in parte difformi – Monti ha tratto passi salienti, istituendo tra loro un diretto confronto di evidente interesse. L’effetto del trasferimento della capitale e gli eventi luttuosi che l’accompagnarono lasciarono un’impronta a Torino anche sotto il profilo politico, generando, tra l’altro, inconsuete alleanze e convergenze trasversali tra forze a priori inconciliabili. Se la «burrasca che parve dovesse dividere il re Galantuomo dalla sua città, s’acquetò» presto, come scrive con l’usuale lucidità ed autorevolezza Romolo Quazza, «i rancori contro la politica e gli uomini che avevan privato “la regal Torino” dell’onore d’esser capitale d’Italia, durarono più lungamente»2, forse, si può aggiungere, non cessarono mai del tutto, anche se rapidamente Torino si lasciò alle spalle le recriminazioni, per rimboccarsi, piuttosto, le maniche3. Già al tempo dei fatti vi fu chi rilevò che l’oblio rischiava di essere inaccettabilmente veloce. Creso Appiani, autore di uno degli innumerevoli pamphlet dedicati agli avvenimenti, lamentò che poco si era fatto per ricordare le vittime i cui nomi avrebbero meritato «d’esser tramandati ai più tardi nepoti» e di divenire «culto cittadino»4. Nonostante Appiani e tanti altri al suo fianco ripetessero che i «lutti di Torino […] e la cagione dei medesimi non saranno trasandati dalla storia», la memoria delle vittime è stata in parte sacrificata e in parte tradita (ad esempio quando si è preteso che esse partecipassero a vere e proprie «manifestazioni di protesta»). Un approccio pragmatico servì a voltare pagina ma non certo a rendere permanente il debito tributo di memoria ai caduti. Anche per questo il Centro Studi Piemontesi, già promotore di diversi studi e indagini sui fatti del settembre 1864, saluta con piacere questo nuovo volume ad essi dedicato e le altre iniziative di editoria elettronica promosse dalla Fondazione Culturale Savej per rinnovare il ricordo dei lutti che si accompagnarono al trasferimento della capitale e per commemorare le vittime incolpevoli. Gustavo Mola di Nomaglio Albina Malerba Centro Studi Piemontesi Ca dë Studi Piemontèis
2 R. Quazza, La capitale da Torino a Firenze (municipalismo e unificazione nei giudizi di Nicola Nisco), estratto dalla Miscellanea per le nozze di Angelita Petit-Bon e Paolo Negri, Novara, Stabilimento Tipografico Cattaneo, 1919, p. 20. 3 Non diversamente, si potrebbe dire, da quanto accade anche oggi, di fronte a nuovi trasferimenti e nuovi abbandoni, questa volta dell’azienda simbolo di Torino, nonostante sia davvero difficile credere che i nuovi assetti della Fiat promettano futuro benessere per la città e per il paese. 4 C. Appiani, Le stragi del settembre 1864, Torino, Biagio Moretti, 1864, pp. 44-45.
IX
Introduzione
Chiunque compia un’analisi circostanziata della Convenzione del 15 settembre 1864 tra la Francia e l’Italia e della tragica repressione consumata dal Governo Minghetti nei confronti delle dimostrazioni di piazza di Torino contro il trattato, non può non avvertire un senso di vertigine. Questo sentimento si accresce se si pone mano anche solo a una piccola parte degli innumerevoli commenti comparsi a quell’epoca su giornali, libelli, documenti. Come è stato rilevato in un saggio ricco di spunti pubblicato qualche tempo fa, “troppi elementi contrastanti costituiscono il puzzle dei fermenti risorgimentali a Torino per giungere agevolmente a un’univoca o, per così dire, finale interpretazione” delle vicende in parola5. Nell’impostare la presente introduzione, abbiamo deciso di provare a svincolarci dai meri dati storiografici e di tentare, invece, di riflettere su quegli eventi tenendo conto, per quanto possibile, dei centocinquant’anni che sono trascorsi da allora. In altri termini, riteniamo che le nostre opinioni sull’argomento, che proponiamo all’attenzione del lettore, non possano prescindere da un’analisi comparativa fra la storia di Torino e quella d’Italia. Se è vero che in tal modo molti aspetti del dibattito (ne vedremo alcuni esempi fra poco) rischiano di essere ridimensionati, allo stesso tempo, altri ne emergono di maggiore interesse per le finalità che ci siamo proposti. Nel considerare un lasso di tempo così lungo, ci siamo trovati a stabilire una scala di priorità fra le molteplici sfaccettature dell’intricata vicenda. Orbene, siamo dell’avviso che i temi del “piemontesismo” e dell’“antipiemontesismo” non solo costituiscano la causa più rilevante all’origine della Convenzione – dal punto di vista italiano e, forse, anche francese – ma, altresì, il nocciolo della questione che ha travagliato e ancora travaglia la storia nazionale post-unitaria, quella che riguarda lo State and Nation building, la costruzione dello Stato e i valori condivisi dalla comunità dallo stesso governata. Incominciamo con l’individuare alcuni punti fermi sugli aspetti contingenti relativi alla Convenzione. G. Mola di Nomaglio, Torino tra sviluppo e crisi: Emanuele Luserna di Rorà e la Convenzione del 15 settembre 1864 in A. Malerba - G. Mola di Nomaglio - R. Sandri-Giachino (a cura di), Prove di Risorgimento su uno scenario europeo. Emanuele Luserna di Rorà, la famiglia e il suo tempo da Bene Vagienna a Torino all’Italia, Atti del Convegno di Studi, Torino-Bene Vagienna, 4-5 maggio 2007, Torino, Centro Studi Piemontesi-Ca dë Studi Piemontèis, 2008, p. 132. 5
XI
la strage impunita. torino 1864
Agli inizi del Novecento, gli storici Rossi e Gabotto, se escludono che, “allo stato attuale dei documenti”, il Ministro degli Interni Peruzzi e il suo Segretario generale Spaventa “volessero” provocare i fatti del 21 e 22 settembre, al contempo ritengono che “un sospetto sull’animus di qualche membro del Gabinetto Minghetti-Peruzzi non può essere respinto”6. Un secolo dopo, Umberto Levra ritiene che “non esistono a tutt’oggi prove definitive per poter parlare, in sede storiografica, di un piano preordinato per sollecitare i torinesi a tumultuare e procedere a una repressione esemplare”7. Lo storico sottolinea, tuttavia, come sia “acquisito storicamente”: 1. che “molti politici tosco-emiliani, lombardi e meridionali” intendessero “eliminare la netta preponderanza” nella pubblica amministrazione del personale piemontese e trasferire la capitale; 2. che Peruzzi e Spaventa hanno tenuto comportamenti tendenti a provocare e ad esasperare la cittadinanza torinese al fine di poterla tacciare “di municipalismo antinazionale e rendere irrevocabile il trasferimento”; 3. che sul resto d’Italia la presentazione deformata di Torino come città “antiunitaria e municipalista” ha avuto ripercussioni “immediate sul piano ideologico e politico”8. Date tali premesse, il fatto che non siano state ravvisate responsabilità fra i vertici governativi, né dall’inchiesta parlamentare né dalla magistratura, assume la rilevanza di un corollario. Naturalmente ciò non significa porre in secondo piano le vittime di Torino, al contrario. La tesi sulle presunte incapacità e imprevidenza avanzata a spiegazione o scusante dell’operato del Governo Minghetti appare inconsistente. Mola di Nomaglio cita uno scritto di Silvio Spaventa che, il 20 dicembre 1864, a proposito dell’inchiesta parlamentare in corso, si augura che alla Commissione “noi le dovremo infinite grazie, se, per salvarci il capo, ci tratterà da coglioni”9. Si aggiunga che nulla vieta di pensare che imprevidenza e noncuranza possano costituire gli elementi per una strategia di governo. Se soltanto lo avesse voluto, non sarebbe, probabilmente, mancata al ministero Minghetti la possibilità di ricorrere a metodi civili per comunicare ai Torinesi il trasferimento della capitale. Molte tragedie si sarebbero forse evitate se il Governo, di concerto con la Municipalità di Torino e magari con il supporto del re, ne avesse spiegate le ragioni in modo trasparente e articolato. 6 T. Rossi - F. Gabotto, Le giornate di Settembre, a Torino nel 1864, secondo vecchi e nuovi documenti, in “Il Risorgimento Italiano”, nuova serie pubblicata dalla Società Storica Subalpina, Anno VIII, Roma-Torino-Milano, Fratelli Bocca editori, 1915, pp. 7-8. [Biblioteca civica di Torino]. 7 U. Levra, Dalla città “decapitalizzata” alla città del Novecento, introduzione in U. Levra (a cura di), Da capitale politica a capitale industriale (1864-1915), Storia di Torino, vol. VII, Torino, Einaudi, 2001, p. XXIV. 8 Ivi, pp. XXII-XXIV. 9 G. Mola di Nomaglio, op. cit., nota 111, p. 191.
XII
introduzione
La “Gazzetta di Torino” del 7 ottobre 1864 offre un punto di riflessione quando riporta un articolo della “Gazzetta di Genova” intitolato “I vantaggi della capitale”. Se prescindiamo dalla captatio benevolentiae nei confronti di una martoriata città e da alcune critiche che le vengono, comunque, reiterate dai due quotidiani (favorevoli al decaduto Governo Minghetti), l’articolo sostiene che Torino, persa la capitale, è destinata nel tempo a diventare “per l’Italia ciò che Lione è per la Francia”. Infatti, grazie alla “stupenda” rete ferroviaria che la collega con il resto della Penisola e una volta terminato il traforo del Frejus, l’ex capitale potrà riconvertirsi in un importante centro manifatturiero e in un rilevante snodo del commercio internazionale. L’emergere di una cospicua classe operaia, inoltre, provocherà una migliore distribuzione del reddito. “Perdendo il governo conserverà i monumenti e rifarà le tradizioni: guadagnerà nel cambio non subito, ma molto”10. Questo genere di argomentazioni, a nostro avviso, se espresse tempestivamente e, come s’è detto, nei modi opportuni, sarebbero probabilmente risultate interessanti agli occhi della cittadinanza. Aggiungiamo, per la cronaca, che considerazioni simili si riscontrano nella relazione che alcuni mesi più tardi, il 23 maggio 1865, il Sindaco Emanuele Luserna di Rorà presenterà al Consiglio comunale di Torino11. Coloro che si sono occupati delle manifestazioni di dissenso di Torino del settembre 1864 ne hanno individuate le ragioni più diverse, tutte avvalorate da una certa fondatezza. Limitandoci a tempi recentissimi, da fonte universitaria è stata ribadita la tesi secondo cui le proteste sarebbero espressione degli interessi economici minacciati dal trasferimento della capitale12, mentre in una ricerca di matrice non accademica, si sottolinea il ruolo precipuo svolto dalla repressione nella gestione governativa dei dissensi sociali in un Paese di così recente costituzione13. Tali spiegazioni non ci convincono appieno. Altrettanto sussidiarie ci appaiono le motivazioni personali che starebbero alla base delle decisioni – spostamento della capitale incluso – degli esponenti governativi della consorteria antipiemontese. 10
1-2.
I vantaggi della capitale, in “Gazzetta di Genova”, citato in “Gazzetta di Torino”, 7 ottobre 1864, n. 276, pp.
11 E. Luserna di Rorà, Relazione al Consiglio Comunale di Torino, sessione ordinaria di primavera, seduta del 23 maggio 1865, in Atti municipali di Torino, annata 1865, Torino, Tipografia eredi Botta, Archivio Storico Città di Torino, pp. 238-242. 12 “In particolar modo erano preoccupati gli imprenditori, i borghesi che stavano finanziando vaste opere di speculazione edilizia, i nobili che temevano la perdita di tutti i privilegi, i ministeriali che dovevano trasferirsi e in generale tutta la popolazione restia ad accettare il fatto compiuto di un provvedimento che privava la propria città del titolo di capitale d’Italia” in A. Battaglia, La capitale contesa. Firenze, Roma e la Convenzione di Settembre (1864), Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2013, pp. 120-121. 13 “La carneficina avvenuta a Torino si inseriva, dunque, in un insieme di avvenimenti nei quali lo Stato italiano, da poco sorto e da poco unificato, in più di una occasione si trovò a sparare sui suoi stessi cittadini o patrioti. Tutti elementi che testimoniavano come il percorso non fosse lineare e come i governi non sapessero in che modo reagire dinnanzi al dissenso”, in F. Ambrosini, Giornate di sangue a Torino. Settembre 1864: la città non è più capitale, Torino, Editrice Il Punto-Piemonte in Bancarella, 2014, p. 217.
XIII
la strage impunita. torino 1864
La spiegazione più autentica, a nostro parere, risiede altrove. Nel fare il punto sulle condizioni dell’Italia a ridosso della Convenzione di Settembre, il quotidiano della democrazia italiana, “Il Diritto”, riscontra i profondi ritardi nella diffusione dei principi e delle istituzioni liberali, nonché la carenza di uomini e di idee (nella Destra moderata come nello stesso campo democratico) atti a guidare l’Italia sulla via del progresso civile, economico e sociale. Il rinvigorirsi della reazione e del “paolottismo” nella Penisola e nella stessa Firenze e la presenza di una Sinistra parlamentare assorbita nella retorica del recente, valoroso passato, fanno scrivere al giornale che la rivoluzione italiana si sta configurando come un’increspatura nel mare magnum della tradizione e del conservatorismo, mentre la classe politica, nel suo insieme, sta assumendo i connotati di una vera e propria casta. A nostro avviso, nel tentare di individuare nel profondo il significato delle stragi di Torino, si deve partire proprio da questa arretratezza valoriale, dal provincialismo culturale presente, se non preponderante, in tutti i gangli della nazione, dalle resistenze dei loro esponenti, dall’emergere di un numero probabilmente non piccolo di politici opportunisti e ambiziosi, dall’affermarsi del “politichese” in un periodo post-unitario in cui – è stato detto con efficacia – la prosa segue alla poesia del Risorgimento. Oltre agli articoli della stampa antigovernativa, autori coevi come La Varenne, Appiani, Veneziano descrivono un percorso politico di Minghetti, Peruzzi, Spaventa, Menabrea e quant’altri non scevro da contraddizioni e vischiosità14. Noi stessi, nel presente volume, ci soffermiamo sull’operato di Minghetti, Peruzzi e dello stesso Ricasoli negli eventi più controversi della guerra al brigantaggio. Il pensiero di Levra ci soccorre quando vi leggiamo che a differenza del “geniale realismo politico, mutevole, ma con padronanza delle forze in gioco” di Cavour, il Governo Minghetti e i suoi esponenti a vario titolo “dimostravano di privilegiare piuttosto l’improvvisazione non freddamente calcolata secondo il variare degli eventi”15. Il prefetto di Brescia Zini, che ha avuto modo di conoscere da vicino sia Peruzzi sia Spaventa, afferma che i due si sono attivati per “compromettere il prestigio e la fama di Torino e del Piemonte, rinfocolare le passioni municipali, aizzare le une contro le altre” e, al contempo, inventare la “grande ciurmeria” (la Convenzione) allo scopo di far credere che la politica italiana riprendeva il cammino unitario16. Quanto a La Varenne, commenta: Torino, la più generosa, la più meritevole delle città italiane, Torino, rovinata e decapitata a iosa, si è vista brutalmente insanguinata. E ciò che è peggio, è stata calunniata in modo 14 Ch. De la Varenne, La vérité sur les événements de Turin en septembre 1864, avec le rapport officiel de la Commission d’enquête parlementaire, Paris, E. Dentu Editeur, 1865, pp. 5-22, passim; C. Appiani, Le stragi del settembre 1864 in Torino, Torino, Editore Biagio Moretti, 1864, Collezione Simeom, cod. 4631, Archivio Storico Città di Torino, p. 7; M. Veneziano, Il ministero dell’assassinio. Le notti di Torino del 21 e 22 settembre 1864, Lugano, 1864, Collezione Simeom, cod. 4625, Archivio Storico Città di Torino, p. 1. 15 U. Levra, op. cit., p. XXI. 16 L. Zini, Lettera [inedita] a Luigi Cora, Brescia il 28 7mbre 64, in T. Rossi - F. Gabotto, Le giornate di Settembre, a Torino nel 1864, secondo vecchi e nuovi documenti, cit., p. 93.
XIV
introduzione
indegno, non solo nelle altre grandi città italiane, allo scopo di eccitare contro la sua popolazione ogni sorta di odio e tutte le vecchie gelosie municipali, ma altresì davanti all’Europa intera17.
La chiave di lettura delle stragi di Settembre è questa anche perché ai nostri occhi appare rivestire maggiore portata storica. A convincerci è proprio il fatto che il ministero Minghetti non si è limitato a colpire Torino materialmente, togliendole la capitale, ma ha voluto degradarla sotto il profilo ideologico. Il semplice trasferimento della capitale non bastava, occorreva fare in modo che la città di Cavour apparisse municipalista e faziosa, violenta ed egoista, tanto più censurabile in ragione del suo ruolo risorgimentale. Al riguardo, la presa di posizione a favore di Torino adottata dalla Sinistra storica, non può essere ridotta soltanto a tatticismo politico. Essa, infatti, si concentra sulle ragioni ideali: non è un caso che Mazzini stesso scenda nell’agone a difesa della città su questo terreno18. Malgrado la sordina che si è azionata, le manifestazioni di protesta di Torino sembrano rivelare la presenza significativa anche di matrici politiche, che vanno dalla destra moderata antigovernativa alla sinistra “garibaldina”. Ne è un esempio la manifestazione davanti alla sede della “Gazzetta di Torino” del 20 settembre. Se le cronache sottolineano che si è trattato di pochi dimostranti e di molti curiosi, Rossi e Gabotto fanno osservare che tale gruppo si sarebbe staccato da una manifestazione principale, composta da migliaia di persone, che ha percorso le principali vie della città, promossa “dagli elementi democratici più avanzati, operai inneggianti a Garibaldi”. Oggetto della protesta era la rinuncia a Roma capitale, piuttosto che il trasferimento a Firenze in sé. A conferma, i due storici segnalano come Pepoli, in una lettera al principe Napoleone, parli di una dimostrazione di “1000 persone”19. Oltre a ciò va messo nel conto il ruolo primario – e politico – svolto dal Sindaco e dalla Municipalità torinese. La protesta politica, al di là delle tendenze, si è incentrata su una questione di principio: da Torino si va a Roma e solo a Roma. Come riferiamo nel volume, la Destra liberale subalpina così come il Partito d’Azione si appellano al voto del Parlamento che, nel marzo 1861, su proposta del conte di Cavour, proclamava Roma capitale. I moderati torinesi, frenati da prudenza e sentimento istituzionale, si limitano a chiedere il rispetto di quel voto; la Sinistra democratica, attraverso le sue varie articolazioni, parla di tradimento dei plebisciti, di incostituzionalità della Convenzione, di tentativo di colpo di Stato in chiave autoritaria. Ch. De La Varenne, op. cit., p. 3. Italia, “Il Diritto”, Lunedì 10 ottobre 1864, p. 2. 19 T. Rossi - F. Gabotto, Le giornate di Settembre, a Torino nel 1864, secondo vecchi e nuovi documenti, cit., pp. 25-26. 17 18
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