Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Padova
EXIT TAX ANALISI FISCALE E GIURISPRUDENZIALE Premessa
L’art. 166 c.1 del TUIR sancisce che il trasferimento all’estero della residenza di un soggetto esercente attività di impresa costituisce realizzo, al valore normale, dei componenti dell’azienda o del complesso aziendale. In conseguenza a tale trasferimento , il differenziale positivo (plusvalenza) che scaturisce tra il costo fiscale dei beni costituenti l’azienda ovvero il complesso aziendale e il loro valore normale , sarà tassato in Italia con la ”exit-tax”. Il presupposto impositivo ”exit-tax” viene a mancare qualora a seguito del trasferimento di residenza i beni aziendali confluiscano in una stabile organizzazione che abbia sede nel territorio dello Stato italiano, sempre che successivamente questi beni/complesso aziendale non vengano a loro volta trasferiti. Il trasferimento di sede della società non è disciplinato specificatamente nel nostro codice civile. Il legislatore civilistico se ne occupa solo indirettamente nell’art. 2369 c.5 del codice civile in merito alle delibere assembleari riguardo alla possibilità di recesso del socio nel caso di trasferimento della sede della società all’estero. La legittimità di tale azione la si evince dal fatto che lo stesso Legislatore disciplina le previsioni di comportamento assembleare e del singolo socio al verificarsi di tale evento. Il legislatore fiscale norma ai fini IRES, la nozione di residenza con l’art. 73 c.3 del TUIR, secondo il quale sono considerati residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno nel territorio dello Stato la propria sede legale, ovvero la sede dell’amministrazione, ovvero l’oggetto principale della propria attività. Il riferimento al periodo d’imposta richiama le previsioni enunciate negli articoli 76 ( IRES) e 7 (IRPEF) del TUIR. Per i soggetti IRES si fa riferimento all’esercizio o al periodo di gestione della società, per i soggetti IRPEF si fa riferimento agli anni solari. La “maggior parte del periodo d’imposta” individua un arco temporale che comprende la metà più un giorno del periodo stesso. Occorre, quindi, verificare che il trasferimento della residenza avvenga prima che sia decorsa la maggior parte del periodo di imposta: in tal caso il soggetto trasferito si considera non più residente in Italia sin dall’inizio del periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento, e sarà, quindi, tenuto a dichiarare i redditi prodotti nel territorio dello Stato italiano sulla base delle regole di cui all’art. 23 (“Applicazione dell’imposta ai non residenti”) del TUIR. Va premesso che è possibile parlare di trasferimento di residenza a seguito del trasferimento della sede legale o amministrativa a condizione che detta operazione sia prevista dallo Stato Ue di destinazione, se quest’ultimo Stato non contempla tale operazione, da parte dello Stato italiano non può esserci sospensione della riscossione dell’”exit-tax”.
PRESUPPOSTO SOGGETTIVO E OGGETTIVO Per quanto riguarda il presupposto soggettivo, la norma si applica a tutti i soggetti residenti che esercitano attività d’impresa e che detengono aziende o complessi aziendali, mentre il presupposto oggettivo per la tassazione dei plusvalori latenti è rappresentato dal trasferimento all’estero della residenza correlato alla perdita ai fini fiscali della residenza in Italia del soggetto trasferito1. Pertanto, i contribuenti che intendono trasferirsi in altro Stato UE sono assoggettati ad imposizione qualora non facciano confluire i componenti dell’azienda o del complesso aziendale in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato, ma siano anch’essi trasferiti in altro Stato. Il valore normale dovrà essere determinato ai sensi dell’art. 9, commi 3 e 4 del D.P.R. 917/1986; la differenza tra il valore normale dei beni costituenti l’azienda trasferita e il loro costo fiscalmente riconosciuto concorre alla formazione del reddito di tale soggetto. La norma prevede inoltre che, per gli imprenditori individuali e per le società di persone, tali plusvalenze latenti possano essere assoggettate a tassazione separata, in alternativa al regime ordinario di tassazione, ai sensi dell’art. 17, comma 1 lett. g) e l) del DPR 917/1986 2. Diversamente, per i soci delle società di capitali italiane che trasferiscono la sede all’estero, ai sensi del comma 2-ter del citato articolo, non è previsto l’assoggettamento a tassazione in relazione alle plusvalenze latenti nelle partecipazioni detenute.Il trasferimento della residenza all’estero non sempre comporta l’applicazione di questa disposizione; l’ipotesi di realizzo al valore normale non si applica infatti per i beni confluiti in una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, poiché il presupposto principale perché tale disposizione possa trovare applicazione consiste nell’abbandono definitivo3 della residenza italiana. Tuttavia, qualora successivamente i beni vengano distolti dalla stabile organizzazione, le plusvalenze latenti dovranno essere 1
L’art. 166 non opera laddove il trasferimento della residenza all’estero non sia definitivo e effettivo. In merito all’effettività del trasferimento, in presenza di un espatrio soltanto formale (c.d.
esterovestizione) trova applicazione l’art. 73 commi 5 bis e 5 ter del DPR 917/1986 per il quale, al ricorrere di determinate condizioni, viene riqualificato come soggetto passivo IRES la società apparentemente trasferita oltre confine, con conseguente inapplicabilità dell’ exit tax.
L’opzione per la tassazione separata può essere esercitata a condizione che il trasferimento della residenza fiscale avvenga decorsi almeno 5 anni dall’inizio dell’attività d’impresa. Il cambio di residenza comporta una perdita di gettito per lo Stato di origine in relazione agli utili futuri e ai plusvalori latenti maturati ma non ancora realizzati. La rottura del collegamento con lo Stato di provenienza, infatti, fa venire meno il potere dello Stato di residenza di tassare i redditi dei residenti ovunque prodotti nel mondo, ossia il c.d. worldwide taxation principle. 2 3
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Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Padova assoggettate ad imposizione (ad esempio l’art. 166 non si applica nel caso in cui l’impresa sposti all’estero la propria sede legale, ma mantenga in Italia una S.O. mediante la quale svolge attività, mentre si applica se, successivamente, i componenti confluiti nella S.O. vengono distolti per confluire alla casa madre estera).
DECRETO MINISTERIALE DEL 2 AGOSTO 2013 Il decreto di attuazione provvede a regolare il tax deferral dell’exit tax, eliminando alcuni dei dubbi interpretativi su cui si era dibattuta fino ad allora la dottrina. I principali punti in cui si sviluppa il decreto sono i seguenti: Il trasferimento della residenza non determina l’emersione dei plusvalori relativi ai beni che vengono confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato (cd. Stabile organizzazione italiana residua). Quando i beni della stabile organizzazione fuoriescono dalla stessa, il contribuente può optare per il tax deferral dell’exit tax solo quando il distoglimento venga effettuato verso la casa madre UE o SEE, o verso un’altra organizzazione della stessa casa madre (UE o SEE). Il decreto non interviene in merito al trasferimento di sede all’interno della UE o SEE che avvenga mediante un’operazione straordinaria; questo determina una discriminazione per i contribuenti che scelgono quest’ultima opzione, alla quale non è possibile applicare un differimento sulla tassazione. Ai fini della determinazione della plusvalenza da differire, nel calcolo della stessa si ricomprendono anche il valore dell’avviamento e quello delle funzioni e dei rischi propri dell’impresa (beni immateriali) determinati sulla base dell’ammontare che imprese indipendenti avrebbero riconosciuto per il loro trasferimento (richiamo alla determinazione dei prezzi di trasferimento nell’ambito del transfer pricing). Il decreto equipara, dunque, il momento della perdita della residenza fiscale a quello del realizzo della plusvalenza, con la conseguenza che ogni vicenda successiva al trasferimento non assume alcuna rilevanza, in quanto di competenza dello Stato UE o SEE di destinazione. La sospensione dell’exit tax non riguarda i maggiori e i minori valori dei beni, di cui all'art. 85 del T.U.I.R. (beni merce, compresi i titoli del circolante), i fondi in sospensione di imposta (comma 2 art. 166 del T.U.I.R.), non ricostituiti nel patrimonio contabile della stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato e, gli altri componenti positivi e negativi che concorrono a formare il reddito dell'ultimo periodo d'imposta di residenza in Italia, ivi compresi quelli relativi a esercizi precedenti, e non attinenti ai cespiti trasferiti, la cui deduzione o tassazione sia stata rinviata in conformità alle disposizioni del T.U.I.R. In merito all’utilizzo delle perdite, una volta individuata la base imponibile come somma algebrica delle plusvalenze e delle minusvalenze relative ai beni oggetto di trasferimento, il decreto stabilisce la possibilità di abbattere tale imponibile con eventuali perdite fiscali. E’, infatti, disposto che le perdite fiscali di esercizi precedenti non ancora utilizzate compensino prioritariamente il reddito dell’ultimo periodo d’imposta di residenza in Italia. L’eventuale eccedenza, unitamente alla perdita dell’ultimo periodo, può compensare la plusvalenza che emerge in sede di trasferimento. L’utilizzo delle perdite deve comunque rispettare le previsioni dell’art. 84 del T.U.I.R. La riscossione può avvenire secondo tre diverse modalità alternative: pagamento immediato, sospensione della tassazione fino al realizzo dei beni, rateizzazione in dieci anni. Il legislatore compie una scelta di semplificazione privilegiando la riscossione mediante una rateizzazione in un periodo fisso, piuttosto che dare rilevanza a forme “indirette” di realizzo del bene, come ad esempio l’ammortamento, che sarebbero più difficili da gestire sia per il contribuente che per l’Amministrazione finanziaria. La soluzione adottata consente di avere maggiori certezze circa la tempistica di incasso. Va evidenziato che, il decreto considera realizzo della plusvalenza, in caso di partecipazioni immobilizzate, anche la distribuzione di utili e/o di riserve di riserve di capitale, partendo dal presupposto che si tratta di una forma di realizzo indiretto della partecipazione, in quanto la plusvalenza sospesa è stata determinata anche dall’esistenza di utili già formati (ipotesi frequente nel caso di holding). Nel caso di riscossione rateizzata in dieci anni, il realizzo della plusvalenza si considera immediato, ciò che differisce è solo il pagamento ed è pertanto legittima l’applicazione degli interessi. La richiesta di interessi non è giustificata in caso di esercizio dell’opzione del tax deferral, poiché il realizzo si considera differito. In entrambi i casi occorre prestare garanzie proporzionali all’importo dell’imposta sospesa le cui modalità saranno individuate con un provvedimento del direttore dell’agenzia delle entrate. Il decreto prevede alcune ipotesi di decadenza dalla sospensione con conseguente versamento immediato dell’imposta, che sono finalizzate a limitare il beneficio ai soli casi in cui occorre tutelare la libertà di stabilimento. La sospensione, infatti, viene meno quando il contribuente non stia più esercitando tale libertà, ovvero nelle ipotesi di liquidazione o estinzione del soggetto trasferito, nonché in caso di trasferimento di sede in uno Stato extra UE o SEE, nonché di conferimento, fusione o scissione che comportino il trasferimento dei beni a soggetti fiscalmente residenti in Stati extra UE o non SEE.
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Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Padova EXIT TAX E OPERAZIONI STRAORDINARIE Appare utile precisare che né l’art. 166 TUIR né il D.M. 2 agosto 2013 prevedono il caso in cui i trasferimenti della sede avvengano in uno Stato UE a seguito di operazioni straordinarie quali, ad esempio, fusioni e scissioni. In tema di fusioni e scissioni, l’art. 179 del TUIR, che rimanda all’art. 172, prevede la tassazione dei plusvalori latenti nel caso in cui i beni non confluiscano in una stabile organizzazione italiana. Viceversa, se a seguito dell’operazione la società italiana, ivi rimanga con una stabile organizzazione, non perde la residenza fiscale ed è effettuata in regime di neutralità. Vi è pertanto un diverso trattamento per due operazioni, trasferimento di sede in uno Stato UE e fusione tra società italiana e soggetto residente UE, che portano allo stesso risultato, ovvero la perdita della residenza fiscale italiana. Infatti, in caso di fusione si ha un immediato effetto di realizzo al valore normale dei beni, mentre nel caso di trasferimento di sede, si può optare, ai sensi del DM 2 agosto 2013, per la sospensione della riscossione fino al realizzo dei plusvalori relativi ai beni trasferiti nel Paese di destinazione. In sintesi, a seguito di un’operazione di fusione/scissione transfrontaliera, nel caso in cui i beni non confluiscano in una stabile organizzazione, si possono identificare due ipotesi: 1) Operazione tra soggetti di cui all’art. 73 (Spa, Sapa, Srl, cooperative e mutua assicurazione, enti pubblici e privati che svolgano attività commerciale) e soggetti residenti in altri Stati UE (di cui all’art. 178 TUIR) i beni sono assoggettati a tassazione in base al valore normale, fatta salva, ai sensi dell’art. 179 TUIR, la facoltà di scomputare dall’imposta italiana quella che lo Stato UE avrebbe applicato in caso di realizzo al valore normale; 2) Operazione tra soggetti di cui all’art. 73 (Spa, Sapa, Srl, cooperative e mutua assicurazione, enti pubblici e privati che svolgano attività commerciale) e “altri” soggetti residenti in Stati UE o soggetti Extra UE, in applicazione dell’art. 166 TUIR, i componenti si considerano realizzati al valore normale.
I PROBLEMI DI DOPPIA IMPOSIZIONE Le diverse discipline nazionali di tassazione, a seguito del trasferimento della residenza in uno stato estero, possono creare fenomeni di doppia imposizione. In particolare, tale problematica deriva, non tanto, dall’applicazione di una tassazione all’uscita, ma, più in generale, dalla pretesa impositiva dello Stato di destinazione in assenza di un coordinamento con l’imposizione nello Stato di origine. Il risultato è che l’esercizio parallelo della giurisdizione da parte di questi due Stati può facilmente causare una doppia imposizione che, qualora non venga opportunamente eliminata, si traduce in un maggiore carico fiscale per il soggetto trasferisce la residenza all’estero. Anche nel caso di differimento dell’imposizione dello Stato di origine sui plusvalori generati (cd. tax deferral), si pone comunque un problema di determinazione della materia imponibile, qualora, dopo il trasferimento nell’altro Stato, i beni subiscano un decremento o un incremento di valore. Nella prima ipotesi, se lo Stato di origine non dovesse prendere in considerazione l’eventuale diminuzione di valore degli assets conseguente al trasferimento, il contribuente si troverebbe effettivamente a pagare un’imposta su redditi mai realizzati. Nella seconda ipotesi, la società trasferita finirebbe per subire un’imposizione più gravosa in caso di incrementi di valore successivi al trasferimento, che verrebbero così tassati due volte, nello Stato di origine e nello Stato di destinazione. La Commissione Europea ha spesso ribadito nel tempo che l’imposizione di uno Stato membro sugli attivi che vengono trasferiti non deve tradursi in una doppia imposizione per il contribuente, limitandosi, però, a suggerire che una simile violazione della neutralità fiscale trovi risposta o in misure unilaterali dei singoli stati o tramite le convenzioni bilaterali. Al fine di risolvere tale problematica, gli Stati possono prevenire tale doppia imposizione attraverso il cd. “step up value”, un adeguato sistema di valorizzazione dei beni, cui le plusvalenze si riferiscono, al fine di evitare che la futura tassazione delle stesse finisca per colpire anche quel capital gain maturato sui beni, quando il relativo possessore era non residente. Il valore “in uscita” degli assets trasferiti corrisponde al valore “in ingresso” nel paese di destinazione degli stessi. Oppure, in modo ancora più efficace e coerente, gli Stati Membri possono assicurare una soluzione a questi casi di doppia imposizione stabilendo regole di ripartizione dei rispettivi poteri impositivi in via convenzionale. Le convenzioni rappresentano un utile strumento per distribuire la potestà impositiva fra due Stati, limitando così la doppia imposizione, ma non sempre sono sufficienti a risolvere la controversia specialmente nei casi di problemi di doppia residenza. Si pensi ad esempio ad un soggetto che trasferisce la propria residenza dallo Stato A allo Stato B: al momento del trasferimento si verifica l’evento realizzativo e, in base a quanto stabilito dalla convenzione bilaterale, lo Stato A può applicare la tassazione. In un secondo momento, al realizzarsi degli assets nello Stato B, sarà quest’ultimo ad applicare un’imposizione piena. Se lo Stato A applica una tassazione definitiva alle plusvalenze latenti e, al contempo, lo Stato B assume i valori di bilancio (costo storico) degli assets come base imponibile della propria imposta sul reddito, si determina una sovrapposizione di basi imponibili che conduce a fenomeni di doppia imposizione, difficilmente superabili se non viene concesso da B un credito d’imposta per neutralizzare le imposte pagate nello Stato A. Il Modello OCSE, al fine di eliminare in via convenzionale il problema della doppia residenza, prevede delle tie break rules, ovvero una serie di criteri alternativi che devono essere utilizzati per determinare la residenza ai fini fiscali di un soggetto. Per i soggetti giuridici, ad esempio, il criterio previsto è quello della sede di direzione effettiva (place of effective managmet), concetto che ancora oggi è Via Cesare Battisti, 3 /11 – 35121 Padova Tel. 049 651894 Tel. 049 661482 Fax 049 8753420 C.F. 92204470287 www.odcecpadova.it e-mail: info@odcecpadova.it CIRCONDARIO DEL TRIBUNALE DI PADOVA
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Padova oggetto di grandi dibattiti in sede OCSE e di numerose modifiche del commentario. Nonostante le convenzioni rappresentino uno strumento utile per la determinazione della potestà impositiva fra gli Stati, spesso lasciano irrisolte alcune questioni, come nel caso dell’applicazione della tassazione per il trasferimento di residenza in un altro Stato. Nonostante la consapevolezza della portata di questo problema, la Commissione non si spinge fino a far derivare la necessità di eliminare la doppia imposizione conseguente all’applicazione di exit taxes da un principio generale dell’ordinamento dell’Unione. Ne risulta, così, che l’effettiva realizzazione di tale obiettivo è rimessa alla volontà degli Stati Membri che dovrebbero dare vita a misure di coordinamento delle rispettive legislazioni. LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA IN TEMA DI MOBILITA’ SOCIETARIA ED EXIT TAX L’analisi della disciplina dell’exit tax non può prescindere da un’attenta osservazione della giurisprudenza comunitaria sviluppatasi in materia. Ed invero, il tema della tassazione delle plusvalenze in uscita presenta importanti implicazioni con alcuni principi fondamentali comunitari quali la libertà di stabilimento, il divieto di doppia imposizione, nonché l’esigenza di garantire un’equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli stati membri. Ebbene, la Corte di Giustizia europea si è accostata per la prima volta a tematiche afferenti all’ exit tax con la sentenza Daily Mail, del 27 settembre 1988, causa C-371/10, in materia di trasferimento della sede sociale. In tale circostanza la Corte Ue ha affermato il principio secondo cui in mancanza di un’armonizzazione dei diritti societari nazionali a livello comunitario, uno Stato membro che, in base al proprio ordinamento giuridico, attribuisce ad una società personalità giuridica, ha anche il potere di sottrarre, secondo i propri criteri, alla medesima società la personalità giuridica conferita. In sostanza, secondo la Corte, l’individuazione dei criteri di collegamento non è sottoposta ad alcun vincolo del diritto europeo, rientrando nella piena discrezionalità di ogni singolo Stato membro. Sicché, nel caso in cui l’ordinamento di uno Stato imponga alla società che trasferisce la propria sede all’estero il suo scioglimento, detto Stato ha pieno diritto di imporre la tassazione immediata delle plusvalenze latenti emerse. Tuttavia, come precisato dalla Corte di Giustizia nella successiva sentenza Cartesio, del 16 dicembre 2008, causa C-210/06, detto potere di scelta concerne esclusivamente il mantenimento della qualità di società di diritto dello Stato di origine e non legittima lo stesso ad imporre una tassazione in uscita a qualunque condizione. Ciò significa che, nel caso in cui lo stato di origine ammetta il trasferimento con mantenimento della qualità di società di diritto dello Stato di origine, opera il diritto di ogni cittadino comunitario alla libertà di stabilimento. Ora, tali principi sono stati in parte trasfusi nelle sentenze dell’11 marzo 2004, causa C-9/02, De Lasteyrie du Saillant e del 7 settembre 2006, causa C-470/04, N entrambe aventi ad oggetto il regime dell’exit taxation delle persone fisiche. Tali sentenze vanno oltre alle statuizioni di cui al succitato caso Daily Mail, individuando il principio secondo cui la tassazione delle plusvalenze maturate al momento della perdita della residenza fiscale anziché al momento del realizzo determina la violazione del principio di libertà di stabilimento ex art. 43 del Trattato Cee. In particolare, secondo il Giudice europeo una diversa impostazione si concreterebbe in un trattamento discriminatorio nei confronti di chi intendesse trasferirsi in un altro stato membro, alla luce del fatto che il trasferimento all’interno del territorio dello Stato non è assoggettato a tassazione. La sentenza si ispira ad un principio costante nella giurisprudenza comunitaria in base al quale una restrizione alla libertà di stabilimento può essere ammessa solo se giustificata da motivi di interesse generale ed esclusivamente nei limiti necessari a garantire il conseguimento dello scopo. Le conclusioni raggiunte dalla Corte in relazione alle persone fisiche sono state in larga parte riprese nella sentenza, National Grid Indus, del 29 novembre 2011, causa C-371/10, il c.d. leading case in tema di exit taxation delle persone giuridiche soggette all’imposta sulle società. L’importanza di tale pronuncia trova giustificazione non solo nel fatto che per la prima volta la Corte di Giustizia ha chiarito i principi in materia di imposizione delle plusvalenze latenti all’atto del trasferimento all’estero di società a cui ogni Stato membro deve conformarsi, ma anche perché la Commissione Europea aveva avviato una procedura di infrazione contro i regimi di exit taxation di alcuni Stati membri, ivi compreso lo Stato italiano. Ed infatti, le modifiche apportate all’art. 166 del TUIR dall’art. 91, comma 1, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, rappresentano il tentativo del legislatore italiano di allineare il regime dell’ exit tax ai principi comunitari statuiti nella suddetta sentenza. Nello specifico la Corte Ue ha stabilito che ciascuno Stato membro, in virtù del principio di territorialità fiscale, è legittimato ad assoggettare a tassazione, in caso di trasferimento all’estero della società, le plusvalenze latenti che sono maturate nel periodo di residenza della stessa sul proprio territorio. Nell’ottica della Corte di Giustizia l’exit tax è finalizzata ad evitare che venga compromesso il diritto dello Stato membro di origine ad esercitare la propria potestà impositiva in relazione alle attività prodotte sul rispettivo territorio. In sostanza, secondo la Corte, nel caso dell’exit tax la restrizione alla libertà di stabilimento trova giustificazione nello scopo di mantenere una equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli stati membri. Tuttavia, la libertà di stabilimento viene lesa laddove le norme nazionali impongono la riscossione immediata dell’imposta sulle plusvalenze, ossia al momento del trasferimento all’estero della sede, in quanto idonea a disincentivare la libera scelta del contribuente di esercitare il diritto al trasferimento ex art. art. 49 del Trattato Cee. Sulla base di tale assunto la Corte di Giustizia conclude che l’applicazione da parte di uno Stato Ue di una tassazione sulle plusvalenze latenti degli assets per effetto del trasferimento di una società in un altro stato membro, non osta alla libertà di trasferimento e rispetta il principio di proporzionalità nel limite in cui venga consentito al contribuente di optare tra la riscossione immediata dell’exit tax e il c.d. tax deferral, ovvero il differimento della sua riscossione al momento del realizzo dei plusvalori latenti. Nella sentenza in esame la Corte di Giustizia precisa inoltre che ai fini della quantificazione dell’imposta dovuta è necessario considerare le plusvalenze latenti originate nello Stato di uscita, senza tener conto di eventuali plusvalenze o minusvalenze che si sono generate successivamente allo stesso. Da ciò si deve necessariamente dedurre che la Corte di Giustizia assuma che lo stato di destinazione Via Cesare Battisti, 3 /11 – 35121 Padova Tel. 049 651894 Tel. 049 661482 Fax 049 8753420 C.F. 92204470287 www.odcecpadova.it e-mail: info@odcecpadova.it CIRCONDARIO DEL TRIBUNALE DI PADOVA
Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Padova recepisca il valori della società trasferita al valore di mercato in modo tale da escludere fenomeni di doppia imposizione correlati alla tassazione delle plusvalenze fino al momento del trasferimento. Senonchè, non si comprende per quale ragione la Corte non imponga come condizione la concessione del suddetto step up da parte dello Stato di arrivo, affinchè lo Stato di partenza possa ignorare le successive variazioni di valore. Tra l’altro, tale orientamento si pone in contrasto con quanto statuito dalla stessa Corte di Giustizia nella succitata sentenza “N” in relazione all’exit tax delle persone fisiche. In tale occasione i Giudici comunitari affermavano la necessità di considerare i decrementi di valore intervenuti successivamente al trasferimento della residenza a condizione che detti decrementi non fossero già stati valorizzati nello Stato membro di uscita. La sentenza National Grid Indus motiva tale differente posizione, affermando che nel caso delle società, a differenza delle persone fisiche, i beni patrimoniali sono strettamente correlati all’attività economica e, conseguentemente, il reddito d’impresa è significativamente influenzato dalla valutazione degli elementi patrimoniali. Ora, a prescindere da ogni considerazione in merito alla ragionevolezza di tale posizione, ciò che preme rilevare è che non si può non riscontrare il mutamento di orientamento nella Corte di Giustizia sempre più incline a giustificare restrizioni alla libertà di stabilimento, in favore del perseguimento dell’equilibrata ripartizione del potere impositivo. Infine, va sottolineato che i principi statuiti nel caso National Grid Indus sono stati ribaditi nelle successive sentenze del 6 settembre 2012, C-38/11 e del 31 gennaio 2013, C-301/11 in cui la Corte Ue, nel riconoscere l’ammissibilità dell’exit tax in ragione della tutela della ripartizione del potere impositivo tra stati membri, ha confermato la necessità che ciascun ordinamento interno garantisca al contribuente di poter optare per il differimento della riscossione della stessa. LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA IN TEMA DI MOBILITÀ SOCIETARIA ED EXIT TAX In virtù del c.d. principio di territorialità uno stato può legittimante individuare come presupposto d’imposta una fattispecie che presenta un ragionevole collegamento con il suo territorio. Corte di Giustizia, sentenza 15 maggio 1997, causa C – 250/97, Futura
Participation. L’exit tax applicata alle persone fisiche. La tassazione delle plusvalenze maturate al momento della perdita della residenza fiscale anziché al momento del realizzo determina la violazione del principio di libertà di stabilimento ex art. 43 del Trattato Cee. Corte di Giustizia, sentenza dell’11 marzo 2004, causa C-9/02, De Lasteyrie du Saillant. Lo Stato di entrata deve tener conto dell’eventuale riduzione di valore del bene trasferito che può intervenire tra la data della perdita della residenza fiscale e la cessione dello stesso. Corte di Giustizia, sentenza del 7 settembre 2006, causa C-470/04, N. In mancanza di un’armonizzazione dei diritti societari nazionali a livello comunitario, uno Stato membro, che attribuisce, in base al proprio ordinamento giuridico, ad una società personalità giuridica, ha anche il potere di sottrarre, secondo i propri criteri, alla medesima società la personalità giuridica conferita. Corte di Giustizia, sentenza del 16 dicembre 2008, causa C-210/06, Cartesio. Sul tema della mobilità societaria. Corte di Giustizia sentenza del 12 luglio 2012, causa C-378/10, VALE. Non costituisce ostacolo alla libertà di trasferimento l’applicazione da parte dello stato di uscita di un’exit tax sulle plusvalenze latenti degli attivi trasferiti. Tuttavia la riscossione immediata dell’exit tax viola il principio di proporzionalità e, pertanto, deve essere differita al momento del realizzo (tax deferral). Corte di Giustizia, sentenza del 29 novembre 2011, causa C-371/10, National Grid
Indus, nello stesso senso con specificazioni C-64/11; C-301/11, C-38/10; C-301/11.
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