“...in ecclesia Sancte Marie de Arestano, in basilica videlicet Sancti Micaelis, que dicitur Paradisus� Atti del Seminario di Studi - 29 Settembre 2013
“…in ecclesia Sancte Marie de Arestano, in basilica videlicet Sancti Micaelis, que dicitur Paradisus”* ・Atti del Seminario di Studi - Oristano 29 settembre 2013・
* 20 febbraio 1192. P. Tola, Codex diplomaticus Sardiniae; Torino, 1861-1868, vol. I, pp. 273-277, docc. CXXXVII, CXXXVIII, CXXXIX.
Il volume è stato realizzato grazie al contributo della Regione Autonoma della Sardegna - Assessorato della Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport
Testi: Salvatore Sebis, Nadir Danieli, Sebastiano Fenu, Maurizio Casu, Raffaele Cau, Enrico Correggia. Fotografie: Giorgio Dettori, Nadir Danieli, Raffaele Cau, Archivio Soprintendenza BAPSAE, Archivio di Stato di Cagliari, Archivio Storico Diocesano di Oristano. Grafica e impaginazione: Nadir Danieli. Apparati: Nadir Danieli.
Editore Fondazione Sa Sartiglia Onlus Piazza Eleonora d’Arborea n° 44 09170 Oristano - Tel. 0783 303159 info@sartiglia.info - www.sartiglia.info Stampa: Pixartprinting S.p.A. 30020 Quarto d’Altino (VE) - Tel. +39 0422 823301 www.pixartprinting.it Un particolare ringraziamento a: Sua Eccellenza Rev. ma Mons. Ignazio Sanna, Mons. Giuseppe Sanna, Mons. Antonino Zedda, Mons. Michele Sau, Gianna Meloni, Manuela Pinna. I documenti riprodotti sono tratti dall’Archivio di Stato di Cagliari (autorizzazione n° - 158 - del 26 FEB. 2014) e dall’Archivio Storico Diocesano di Oristano (autorizzazione del 26/03/2014). È espressamente vietata la riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo. © Fondazione Sa Sartiglia Onlus 2014 È severamente vietato riprodurre o copiare, in qualsiasi modo, totalmente o parzialmente il contenuto di questo volume senza il consenso o una specifica autorizzazione scritta da parte degli autori e della Fondazione Sa Sartiglia Onlus. Per qualsiasi informazione rivolgersi alla Fondazione Sa Sartiglia Onlus. Stampato nel mese di Luglio 2014
ISBN 978-88-99075-00-2
Saluto
La Fondazione Sa Sartiglia Onlus, che mi onoro di presiedere in qualità di Sindaco della Città di Oristano, con grande piacere offre all'intera cittadinanza, ma non solo, questo prezioso studio sulla storia della Cattedrale Arborense. Le importanti novità archivistiche e le preziose scoperte inerenti i conci lavorati riferibili all'antica cattedrale romanica, presentate proprio nella Cattedrale in occasione del seminario di studi realizzato durante le Giornate Europee del Patrimonio del 2013, organizzato dalla Fondazione in collaborazione con la Curia Arcivescovile, costituiscono oggi un volume prezioso per tutti gli studiosi e per gli appassionati, amanti della storia della nostra Città. Grazie al contributo dei relatori, che qui ringrazio per i loro generosi e preziosi studi, possiamo aggiungere importanti tasselli alla storia della chiesa di Santa Maria Assunta, documenta sin dall'età bizantina e divenuta cattedrale nel corso dell'XI secolo, in seguito al trasferimento della capitale arborense da Tharros in Aristanis. La Storia e le storie legate a questo eccezionale luogo di culto hanno segnato la storia della Città di Oristano, per questo motivo la Fondazione, impegnata quotidianamente nella valorizzazione e nella promozione dell'ingente patrimonio culturale di Oristano, ha voluto organizzare questo importante evento culturale. Qualcuno potrebbe chiedersi quale nesso abbia potuto portare la Fondazione Sa Sartiglia, organizzatrice della giostra equestre di carnevale, all'organizzazione di un evento culturale che avesse per oggetto la Cattedrale Arborense. La lettura del volume potrà offrire alcune interessanti risposte a questo quesito; qui ci limitiamo a considerare che non è un caso che il percorso della corsa alla stella coincida con il tracciato della cattedrale, che l'antica tradizione della Sartiglia rimanda alla volontà di un canonico della cattedrale di donare un fondo rustico al gremio dei contadini i cui proventi avrebbero garantito le spese della giostra e che, presso la stessa cattedrale arborense, vi sia la cappella del gremio dei falegnami di San Giuseppe, la corporazione che organizza la Sartiglia dell'ultimo martedì di carnevale. Attingendo dal vocabolario della Sartiglia, affermiamo che anche la lettura di questi Atti rappresenta una vera "discesa in cattedrale", una cavalcata che, a differenza di quella effettuata a carnevale dagli abilissimi cavalieri intenti ad infilare la stella, ha questa volta per bersaglio la storia stessa della cattedrale arborense, elegante monumento che, da dieci secoli, si impone con la sua storia e la sua solennità nel sentimento religioso e nella cultura della Città di Oristano. Guido Tendas Sindaco di Oristano Presidente della Fondazione Sa Sartiglia
III
Presentazione Con vivo piacere presento ai lettori il bel volume di studi sulla cattedrale di Oristano, e, indirettamente, sulle tradizioni religiose della città giudicale. Le ricerche sulle vicende architettoniche della nostra cattedrale, nonché sulle tradizioni religiose ad essa connesse, sono ben documentate e ricche di annotazioni interessanti. Ringrazio gli autori di queste ricerche: Salvatore Sebis, Nadir Danieli, Sebastiano Fenu, Maurizio Casu, Raffaele Cau e Enrico Correggia, nonché i responsabili dell’organizzazione del convegno, per aver allargato e approfondito le nostre conoscenze più accreditate, pur lasciando ancora aperto il cantiere per ulteriori studi e approfondimenti. Che il cantiere rimanga aperto lo attesta la conclusione del saggio del Danieli sulla rilettura delle fasi architettoniche dell’area della cattedrale nei secoli VIII-XIV, che apre il volume. Egli scrive, infatti, che “se è ancora da chiarire a quale preciso periodo debbano ascriversi i frammenti scultorei dell’area della cattedrale di Santa Maria Assunta di Oristano, così come tuttora offuscate appaiono le esatte vicende attorno alla committenza delle opere architettoniche apportate durante il medioevo arborense, non più luminosi possono dirsi i dati formali sull’arrivo del gotico in Sardegna”. La storiografia, quindi, dovrà compiere ancora molti progressi per conservare le memorie e i monumenti di questi secoli. Due indicazioni delle presenti ricerche hanno attirato particolarmente la mia attenzione: la data della dedicazione della chiesa cattedrale e l’inizio del culto del patrono della città S. Archelao. Per quanto riguarda la dedicazione della chiesa cattedrale, il Danieli scrive che secondo le trascrizioni dei sinodi del Vico (1641-1657), dell’Alagon (1672-1685) e del Masones (1704-1717), per tradizione la festa di consacrazione della nostra cattedrale, a partire dal 1228, si celebrava il 30 di novembre, in collegamento con la festa di S. Andrea, la cui invocazione era legata al suo ruolo di protettore speciale dei consigli civici. Questo dato è molto importante se lo si confronta con quello relativo alla dedicazione dell’attuale cattedrale, che, da una ricerca effettuata qualche anno fa, risulta essere avvenuta il 2 febbraio del 1745. A questo punto, potrebbe sorgere il problema su quale data privilegiare per l’inserimento ufficiale nel calendario liturgico della Sardegna. Allo stato attuale, abbiamo fissato la data del due febbraio, anticipata però a i vespri solenni del 1° febbraio, per non farla coincidere con la festività della Presentazione del Signore. Ma questa decisione potrebbe essere anche rivista se la continuità interiore dell’istituzione ecclesiale prevale sulle modifiche temporali delle sue strutture esteriori. L’altra indicazione interessante è il contributo di chiarezza sulla data di inizio del culto ufficiale di S. Archelao come patrono della Diocesi, a partire dal rinvenimento delle sue reliquie a Fordongianus. Secondo il Casu, dall’analisi delle fonti storiche, oltre all’iscrizione di Fordongianus, che pare sia scomparsa in occasione dell’invasione delle truppe francesi del 1637, il nome Archelaus non figura in Sardegna in nessun altra attestazione epigrafica o comunque scritta, né di età romana né del periodo vandalico. Più che alla conclusione IV
sulla reale identificazione delle reliquie del martire, quindi, si giunge alla conclusione che, sulla base delle conoscenze attuali, la sola cosa certa è la data di inizio del culto ufficiale di Sant’Archelao, risalente al 1615. La fonte più utilizzata anche dal Casu per questa indicazione è il canonico Salvatorangelo Scintu, che pubblicò la Raccolta di memorie d’Arborea tratte in gran parte da documenti inediti nel 1873, in epoca, quindi, molto posteriore al rinvenimento delle reliquie. La tesi, poi, che “dall’esame degli elementi archivistici, storici, artistici e della tradizione di cui si dispone, si è indotti a ipotizzare che se Archelao non è stato il primo e unico patrono della città di Oristano, probabilmente, si deve riconoscere in san Giovanni Battista se non il più antico patrono, uno dei protettori speciali della città di Oristano” è sicuramente più facile da sostenere e si appoggia sull’esistenza d’un santo di venerazione universale. In ultima analisi, perciò, sarà contento San Giovanni Battista, venerato come protettore. Non si dispiacerà Sant’Archelao, venerato come patrono. E gli Oristanesi chiedono grazie e protezione a tutti e due. + Ignazio Sanna Arcivescovo Metropolita di Oristano
V
6
Testimonianze archeologiche dal sagrato della cattedrale di Oristano. Scavo 19871 Salvatore Sebis
I. Premessa: Alla fine del mese di marzo del 1987, e precisamente il giorno 31, nel corso dei lavori di ristrutturazione del sagrato della cattedrale di Oristano, un profondo scavo effettuato con mezzi meccanici in prossimità della torre campanaria intaccava e sezionava una serie di lembi archeologici stratificati tutti anteriori all'attuale chiesa e databili, quelli più antichi, al V-VI sec. d.C.2 (figg. 1-3). Le strutture di maggiore evidenza emerse a seguito di tali lavori erano costituite dalle parti residue di una scalinata e da una tomba a cassone. Si intuì facilmente che ci si trovava difronte a importanti testimonianze archeologiche legate alle origini e alle vicende storiche della città di Oristano e - nella situazione specifica - all'instaurarsi nel sito di un primitivo edificio chiesastico più volte ristrutturato nel corso dei secoli e pervenutoci nell'attuale forma settecentesca. I lavori erano iniziati da circa un mese e pur essendo presumibile la presenza nell'area del sagrato di testimonianze storiche pluristratificate, non erano ancora emersi dati di tale evidenza ed interesse. A seguito del rinvenimento, segnalato da Don Antonio Pinna al Comune di Oristano, il 7 aprile furono avviate da parte della Soprintendenza Archeologica per le Province di Cagliari e di Oristano delle indagini archeologiche, indagini che si conclusero il 6 luglio dello stesso anno. L’intervento fu diretto da R. Zucca, allora Ispettore della Soprintendenza Archeologica, con la collaborazione di G. Tore dell’Università di Cagliari e degli ispettori onorari G. Farris, S. Demurtas
1 Il presente articolo venne esposto in forma di comunicazione nella giornata di studi “...in ecclesia Sancte Marie de Arestano, in basilica videlicet Sancti Micaelis, que dicitur Paradisus”, tenutasi presso la cattedrale di Santa Maria Assunta di Oristano in data 29 settembre 2013, col titolo “L’antica chiesa e le sue tombe nel contesto dell’Aristiane bizantina” e costituisce una sintesi e parziale rielaborazione del testo già edito nel 1988: S. SEBIS, Intervento di scavo nel sagrato della cattedrale di Oristano, 1987, in: S. SEBIS, R. ZUCCA, Aristiane, Quaderni, n° 4, anno 1987, Soprintendenza Archeologica per le province di Cagliari e Oristano, 1988, pp. 133-149. 2
Vedi: paragrafo II.I. 7
e S. Sebis della stessa Soprintendenza e dello studente in archeologia M. Dadea. II. Sequenza stratigrafica e fasi storico-archeologiche: L’indagine archeologica riguardò esclusivamente la parte del sagrato adiacente al fianco sinistro della chiesa, dove appunto in corrispondenza dei tagli già praticati dai mezzi meccanici erano affiorati gli strati archeologici. L’area di scavo fu suddivisa in vari settori (A, B, C, D, E) (fig. 4), ma si intervenne soprattutto nel settore A dove in sezione si proponeva una ricca e articolata sequenza stratigrafica. Nei settori adiacenti (B, C, D) furono effettuati invece soltanto dei piccoli saggi onde chiarire, anche sul piano planimetrico, alcuni elementi stratigrafici già individuati nel settore A (fig. 5). Dalle sezioni in parete dei settori A ed E fu inoltre possibile intuire la morfologia originaria del sito, costituita da un terrazzo alluvionale di formazione quaternaria che in prossimità della torre campanaria e della facciata della chiesa raggiunge la quota massima di m 9,10 s. l. m. e digrada verso Est in direzione della via Duomo e del palazzo Arcivescovile. Gli strati archeologici di base in parte si adagiano e in parte intaccano il profilo del terrazzo alluvionale, costituito da strati sabbiosi compatti nella parte superiore e argillosi in quella inferiore (settore A: US 10, 11, 12, 24, 37) (figg. 6-8). I dati di scavo, per quanto parziali e frammentari, ci consentono di proporre una sequenza stratigrafica articolabile in più fasi a partire dal periodo vandalico (455-534 d.C.). II.I Fase 1: periodo vandalico (455-534 d.C.): Le tracce archeologiche ascrivibili alla fase 1 sono rappresentate dalle parti residue di un fossato e da una discarica. Il fossato, scavato nei sedimenti del terrazzo alluvionale con orientamento NO-SE, trasversalmente al profilo del pendio, è stato evidenziato nel settore A lungo un tratto di m 8,50 e presso il muro di confine con il convento di San Francesco per un altro tratto di circa 13 m (fig.10). Lungo le sezioni contrapposte A e C del settore A, esso presenta una larghezza massima di m 3,00 e una profondità massima di m 1,25 nel suo profilo concavo (sez. A: US 9; sez. C: US 36) (figg. 6, 8). Difficile attribuire una funzione specifica a tale struttura; sta di fatto che 8
essa ci è pervenuta ricolma di un terreno di colore grigiastro e nerastro per la presenza di cenere e di residui carboniosi, commisto a resti di pasto (ossa di animali, ostriche, cardium, etc) e a frammenti ceramici3 e di vetro. Lo stesso deposito si espande all’esterno del fossato ricoprendo con spessore variabile il profilo del terrazzo alluvionale (US 8, 21, 35) (figg. 6-9). Si tratta evidentemente di una discarica formatasi in rapporto ad un nucleo abitativo presumibilmente situato nelle immediate vicinanze, ma non ancora localizzato, e riferito da R. Zucca all'Aristiane del V-VI sec. d.C. sulla base dei tipi ceramici rinvenuti nello strato (scodelle e piatti in sigillata chiara D; lucerne mediterranee; anfore africane)4. II.II Fase 2: periodo altomedioevale (VI-VII sec. d.C.): La fase 2 risulta connessa con l'impianto di una necropoli attestata da tre tombe a cassone litico e da due tombe a fossa terragna rinvenute lungo le pareti del settore A, fortunatamente intaccate solo in parte dal mezzo meccanico (fig. 11). Il loro orientamento non è costante, ma in ogni caso gli inumati presentano il capo situato tra WSW e NW. Altre tombe dovevano essere sicuramente presenti all'interno dello stesso settore, ormai distrutte e asportate con l’avvio dei lavori di ristrutturazione del sagrato, ma solo il prosieguo dell'indagine avrebbe potuto consentire di accertare la reale estensione dell'area cimiteriale. Le tombe a cassone litico sono delimitate da blocchi e da lastre più o meno squadrate di arenaria e di basalto e coperte da lastroni d'arenaria, mentre la base si presenta in terra battuta. Per il loro impianto venne intagliato lo strato della discarica della fase precedente (US 8, 21, 35) fino a raggiungere e a incidere lo strato geologico sottostante (figg. 6-8).
A. DEPALMAS, Ricerche archeologiche nell’area della cattedrale di Oristano: materiali di scavo, in: Quaderni della Soprintendenza Archeologica per le Province di Cagliari e Oristano, n° 7, 1990 (1991), pp. 201-203; p. 215, tav. II, 1-17.
3
R. ZUCCA, L'Aristiane dei Bizantini, in: Quaderni Oristanesi, nn° 13/14, 1987 (1), pp. 51-52; A. DEPALMAS, 1990, p. 207.
4
9
Fra le tombe a cassone, la Tomba 1 (US 34) 5 (figg. 11, 8, 12), la prima ad essere stata individuata, si colloca lungo la sezione C, presso l'angolo formato con la sezione B; la Tomba 2 (US 5) 6 (figg. 11, 6, 13) appare nella sezione A a m 1,10 di distanza dal vecchio muro di terrazzamento del sagrato; la Tomba 3 (US 23)7 (figg. 11, 7, 14) nel punto intermedio della sezione B, sovrastata dalla scalinata della fase successiva (US 15) (fig. 7). Le tombe sul piano tipologico presentano pianta rettangolare, sono delimitate da blocchi e da lastre più o meno squadrate di arenaria e di basalto e coperte da lastroni d'arenaria, mentre la base è formata da un piano in terra battuta; esse contenevano più individui inumati privi di corredo e senza oggetti di ornamento personale: due le Tombe 1 e 3, tre la Tomba 2. Per il loro impianto venne intagliato lo strato della discarica della fase precedente (US 4, 22, 33) fino a raggiungere e a incidere lo strato geologico sottostante (figg. 6-8). Le Tombe 2 e 3 ci sono pervenute superiormente intaccate dalla sovrapposizione della US 15 (T. 3) e della US 2 (T. 2), unità stratigrafiche che rappresentano rispettivamente la scalinata e il battuto del piazzale a questa antistante, realizzati nella successiva fase 3. Alla Tomba 1 si sovrappone invece uno strato di terreno spesso mediamente
5 La Tomba 1, orientata NW-SE, si presenta priva dell'estremità SE asportata dall'escavatore. Si conserva per una lunghezza residua di m 1,38 e misura internamente m 0,51/0,56 di larghezza e m 0,60 di altezza. È delimitata da lastre di basalto e di arenaria; della copertura residuano tre lastroni d'arenaria dei quattro collocati in origine. Conteneva due inumati dei quali solo il più recente in buono stato di conservazione e in connessione anatomica, con il capo rivolto a NW.
La Tomba 2, con orientamento WSW-ENE, seppure integra nell'impianto di base, ci è pervenuta danneggiata già in antico, priva della copertura e della metà della spalletta WNW. La tomba misura internamente m 1,90 di lunghezza, m 0,65/0,68 di larghezza e si conserva per un'altezza massima di m 0,65 lungo la spalletta ESE, quella più integra. Appare delimitata da lastre e da blocchi sia d'arenaria, sia di basalto. Quest'ultimi presentano la faccia interna ben spianata e potrebbero essere di riutilizzo, provenienti da strutture preesistenti. Le tre deposizioni contenute nella tomba, seppure in cattivo stato di conservazione, si conservavano in connessione anatomica con il capo rivolto a WSW. L'ultimo inumato presentava in modo evidente le braccia incrociate sul petto.
6
7 La Tomba 3, orientata W-E, si presenta danneggiata nella copertura a causa della sovrapposizione della scalinata medioevale della fase 3 e mancante dell'estremità orientale asportata dal mezzo meccanico. Le spallette Sud e Nord hanno una lunghezza residua, rispettivamente, di m 2,00 e di m 1,55; la larghezza è di m 0,49/0,55, mentre l'altezza è di m 0,56. La tomba è delimitata da blocchi e da lastre di arenaria e di basalto; la copertura residua con una sola lastra d'arenaria all'estremità Ovest. Conteneva due deposizioni delle quali quella superiore sconvolta presumibilmente al momento della costruzione della scalinata, l’inferiore in cattivo stato di conservazione, ma con le ossa residue ancora in connessione, con il capo rivolto a Ovest.
10
m 0,50 (US 20) che nella sezione B (US 20=19) si estende in parte sotto la scalinata (US 15) ed è tagliato dalla fondazione US 17-18. A sua volta lo stesso strato (US 20=27) mostra di avere una stretta relazione con le tombe a fossa terragna 4 e 5 le quali si collocano lungo la sezione C, come la Tomba 1. La Tomba 4 (Saggio IV), di forma incerta, è apparsa scavata nel livello superiore dell'US 20; lo scheletro dell'inumato, sezionato e asportato nell'estremità inferiore dalla fondazione di un muro della fase successiva (US 26), presentava il capo rivolto verso Ovest. La Tomba 5 (Saggio V) si situa ad appena m 1 ad Est della precedente, per metà distrutta dal mezzo meccanico e pertanto visibile lungo la sezione C (US 28 e 29) (figg. 8, 15); la fossa interseca fino alla base per una profondità di m 0,74 lo strato di discarica della seconda fase (US 35) e risulta colmata da un terriccio proveniente dall'US 27. La sepoltura nella sua forma integrale è da supporre di pianta ellittica; ha una lunghezza residua di m 0,66 e una larghezza massima di m 0,56. L’inumato, risparmiato nella parte superiore del corpo col capo orientato a NW, giaceva alla base della fossa ricoperto da scheggioni di arenaria e di basalto; vicino al cranio sono stati recuperati due orecchini ad anello in bronzo con globetti databili al VII sec. d. C 8. (figg. 16-17). Fermo restando dal punto di vista stratigrafico che la necropoli risulta essere successiva alla discarica del periodo vandalico e anteriore alla scalinata connessa con la chiesa romanica della fase successiva, nello stesso tempo appare problematico proporre una adeguata spiegazione sul piano sia stratigrafico sia cronologico fra le tombe a cassone e le tombe terragne come pure fra le stesse tombe e lo strato di terreno (US 19=20=27), che in origine possiamo ipotizzare esteso e sovrapposto anche sulle Tombe 2 e 3, prima che venisse asportato con la realizzazione della scalinata e del piazzale antistante. Tale strato, costituito da un terreno brunastro a tratti compatto, misto a residui d'intonaco e a ossa di animali, restituisce frammenti del V-VI sec. d.C. provenienti sicuramente dalla sottostante discarica del periodo vandalico, insieme ad altri di nuova tipologia con superfici di colore rossastro, giallino e beige, alcuni decorati da incisioni continue a zigzag o ondulate e da striature parallele ottenute col pettine, altri dipinti, databili tra il VI e il VII secolo d.C.9 . Si avrebbe pertanto la conferma 8
S. SEBIS, 1988, p. 137 (comunicazione personale di P. B. Serra).
9 A. DEPALMAS, 1990, pp. 203-204; p. 216, tav. III, 3-8. Cfr. anche: A. DEPALMAS, Materiali dall’area della Chiesa di Santa Maria, Cattedrale di Oristano, in: C. COSSU, R. MELIS (a cura di), La ceramica artistica, d’uso e da costruzione nell’Oristanese dal neolitico ai giorni nostri, Atti del I Convegno “La ceramica racconta la storia”, Oristano, 1995, pp. 221-244.
11
della sua contemporaneità con la necropoli, per la quale R. Zucca propone una datazione al VI-VII d.C. e dallo stesso autore messa in rapporto “ad una primitiva ecclesia di Aristiane, intitolata probabilmente alla Vergine Assunta ed a San Michele” 10. II.III Fase 3: dal XII secolo ai primi decenni del Settecento: I dati stratigrafici più importanti riferibili a questa fase sono rappresentati da una scalinata, da un piazzale a questa antistante, da alcune strutture murarie e da un ambiente con pavimento in mattoni cotti (fig. 19). Purtroppo di questi dati non possiamo avere una lettura integrale essendo stati parzialmente intaccati non solo in antico, ma anche nella fase iniziale di ristrutturazione del piazzale della chiesa. La parte residua della scalinata (US 15) (figg. 18, 7, 19) è stata messa in luce nel settore C, cioè nello spazio compreso tra la sezione B del settore A e la cappella absidata di San Luigi Gonzaga costruita nella prima metà dell'Ottocento esternamente alla testata settentrionale del transetto della cattedrale settecentesca11 . Con asse orientato SE-NW, pressoché parallelo alla fiancata sinistra dell'attuale chiesa, si conserva per una larghezza massima di m 8, mancante sia del lato sinistro, distrutto quando venne innalzata la suddetta cappella, sia del lato destro, asportato dal mezzo meccanico con lo scavo della seconda fioriera. Si presenta invece integra per quanto riguarda la sua lunghezza originaria, che è di circa m 3,50. I gradini sono otto e permettono di superare un dislivello di m 1,50. A causa presumibilmente degli spogli intervenuti nel momento in cui venne distrutta la cattedrale medievale per essere sostituita da quella attuale, la scalinata ci è pervenuta priva dell'originario rivestimento, residuo in parte solo nel primo gradino inferiore per un tratto di m 4,03 con sei blocchi squadrati di arenaria verdastra ben accostati. Dalle loro dimensioni si può calcolare, dei gradini, un alzo di cm 19 e una pedata di cm 40. Dei gradini successivi avanza solo il piano di giacitura costituito da pietrame misto (arenaria e basalto) e scaglie, forse di ardesia o di scisto, saldamente cementati con malta di calce. Da notare, inoltre, che il primo gradino superiore appare in parte sovrapporsi ad un muro di fondazione (US 17 e 18) (fig. 7) costruito con pietrame di medie dimensioni, unito da malta di fango, ma R. ZUCCA, 1987 (1), p. 53; R. ZUCCA, La Cattedrale di Oristano nel quadro dell’urbanistica e della storia di Aristanis nell’alto medioevo, in: R. CORONEO, A. PASOLINI, R. ZUCCA, La Cattedrale di Oristano, Cagliari, Zonza, 2008, pp. 8-9. 10
11
Vedi nota 17. 12
in mancanza di una indagine stratigrafica più approfondita non è possibile al momento stabilire se questo muro abbia una qualche relazione con la costruzione della scalinata oppure se vi preesistesse. Le strutture murarie sono emerse a breve distanza dalla scalinata, sul lato NE (settore D), allo stesso livello del piano di calpestio da questa raggiunto. Si tratta di due brevi tratti murari rettilinei di diverse dimensioni e costruiti con tecnica diversa (fig. 18). Il primo tratto, lungo m 2,75 e largo da m 0,80 a m 0,65, si conserva con una altezza di m 0,30 e appare costruito con pietre di basalto di media dimensione unite con malta di fango. Il secondo (US 25 e 26) (fig. 8) si addossa ortogonalmente al precedente, pressoché nel suo punto intermedio; esso ci è pervenuto con una lunghezza residua di circa m 3,00, essendo stato distrutto, sul lato opposto, dall'escavatore.Visibile nella sezione C, presenta una fondazione scavata a sacco, larga m 1 e profonda m 0,70, formata da grossi blocchi di basalto cementati con malta magra di calce. Su questa poggia un muro a vista largo m 0,46, conservatosi per un’altezza di appena m 0,15 e costruito con piccole pietre e mattoni cotti murati con calce. Più a est, a una distanza di circa m 2,50 da queste strutture e in asse con le stesse, è stata evidenziata la parte residua di un ambiente, presumibilmente quadrangolare, quasi del tutto distrutto dal mezzo meccanico (settori A e D; sez. C e D) (fig. 18). Del perimetro residuano parzialmente due lati consecutivi, individuabili nella trincea di spoliazione dell'elevato e della fondazione dei muri, mentre internamente all'ambiente si conserva una parte dell'originaria pavimentazione in mattoni cotti (US 31) 12, che si sovrappone a uno strato di allettamento argilloso (US 32) misto a frammenti ceramici, spesso mediamente m 0,20 (figg. 8-9). La quota del pavimento risulta più bassa di m 1,25 rispetto a quella del sagrato superiore, accessibile dalla scalinata. Di fronte a questa è stato parzialmente messo in luce, con piccoli saggi, uno spiazzo con pavimento in terra battuta in leggera pendenza verso l'attuale piazzetta dell'episcopio con la quale in origine doveva formare un unico piazzale (settore B) (fig. 18). Lo strato di terra battuta (US 2), spesso fino a un massimo di m 0,20, si sovrappone ad un altro più sottile di calce che ricopre i depositi del V-VI sec. d.C., come si può notare dalle sezioni A e B del settore A (figg. 6-7). I mattoni (17 integri e 11 frammentari), allineati su tre file parallele, residuano su una superficie di m 2,20 x 1,25, avendo mediamente le seguenti dimensioni: cm 37 di lunghezza, 19 di larghezza e 4 di spessore. Prodotti con un impasto ricco di tritume di paglia e di inclusi silicei, presentano superfici porose e di color rosso vivo. Sulla superficie superiore si notano delle striature e ad una estremità appare ricorrente un segno lineare arcuato, inciso col dito. 12
13
Questo insieme di elementi strutturali appare organicamente connesso con la cattedrale medioevale eretta in forme romaniche intorno alla metà del XII secolo13 e con l'assetto urbanistico costituitosi in rapporto a questa nell'area immediatamente adiacente, sul lato SE14. L'edificio romanico subì delle ristrutturazioni nel sec. XIV con l'aggiunta del transetto gotico e della torre campanaria, conservando tale aspetto fino ai primi decenni del 1700, quando venne demolita e poi ricostruita nell'attuale forma barocca15 . Sul piano cronologico le strutture messe in luce dallo scavo e prese in esame risultano essere tutte anteriori alla costruzione della cattedrale settecentesca, in quanto ricoperte e sigillate dalle discariche edilizie, di cui si dirà più avanti, derivate dalla distruzione della cattedrale medioevale. Purtroppo non è stato possibile acquisire dati stratigrafici più completi per poter stabilire il momento esatto dell'impianto della scalinata, come la sua contemporaneità o meno con le altre strutture messe in luce dallo scavo. Non è da escludere, tuttavia, che lo studio dei reperti ceramici, molti dei quali più invetriati, sia di produzione locale sia di importazione, da parte di specialisti e un'analisi più approfondita dei rapporti stratigrafici possano offrire valide indicazioni al riguardo. Al momento e provvisoriamente si preferisce riferire questi dati stratigrafici ad un'unica ed ampia fase, considerando la costruzione della chiesa romanica (sec. XII) come termine post quem e la distruzione pressoché totale della stessa negli anni 1729-1745 come termine ante quem. Nello stesso tempo va sottolineato il fatto che sul piano stratigrafico come pure fra i reperti ceramici non si hanno attestazioni ascrivibili al periodo che intercorre tra la necropoli bizantina del VI-VII d.C. e la costruzione della cattedrale romanica nel XII secolo.
M. MANCONI DE PALMAS, La Chiesa di S. Maria Cattedrale di Oristano, in: Quaderni Oristanesi, nn° 5-6, marzo 1984, pp. 7, 10, 13, 76-77. R. CORONEO, La cattedrale di Oristano in età Giudicale: architettura e arte, in: R. CORONEO, A. PASOLINI, R. ZUCCA, La Cattedrale di Oristano, Cagliari, Zonza, 2008, pp. 21-25. 13
14 Sulla struttura urbana di Oristano medioevale, vedi: P. GAVIANO, La bifora in dispensa, Oristano, S’Alvure, 1985; in particolare il capitolo La ruga mercatorum, pp. 29-32.
Sulle vicende della cattedrale romanica, dalla costruzione alla demolizione settecentesca, vedi: M. MANCONI DE PALMAS, 1984, pp. 76-8; vedi anche: R. Coroneo, Architettura romanica dalla metà del Mille al primo ‘300, Nuoro, Ilisso, 1993, pp. 214-15, sch. 97.
15
14
II.IV Fase 4: costruzione della nuova cattedrale (1729-1745) e restauro della torre campanaria (1776): Questa fase coincide con la costruzione tra il 1729 e il 1745 della cattedrale settecentesca e di conseguenza con la quasi totale distruzione della preesistente edificio romanico16 . Nel 1776, inoltre, fu restaurata la torre campanaria17 . All’evento della costruzione della nuova cattedrale si deve, presumibilmente, lo spoglio del rivestimento della scalinata, mentre con i detriti edilizi derivati dalla demolizione dell’edificio preesistente venne realizzato un piano omogeneo lungo tutta la fiancata laterale sinistra della nuova chiesa, occultando la situazione preesistente. La discarica (US 1) (figg. 6-9), che di fronte alla scalinata raggiunge la potenza di m 1,50, non ha una composizione omogenea e risulta formata da lenti sovrapposte di calcinacci misti a tegole, di terra e di scaglie di arenaria. Nello strato sono stati rinvenuti numerosi frammenti ceramici, che possono risalire a diversi periodi, non oltre, comunque, il Settecento. Per quanto riguarda il restauro della torre campanaria effettuato nel 1776, due saggi di scavo di limitata estensione effettuati nel settore C su due lati consecutivi della base ottagonale (fig. 18) hanno permesso di evidenziare fino a una profondità di m 1,50 dal piano di calpestio del sagrato la trincea scavata intorno alla base della torre per poter consolidare la fondazione con un rifascio di grandi blocchi di arenaria (fig. 24). II.V Fase 5: cappella absidata di San Luigi Gonzaga (1831-1837): La fase si individua nell'ampia e profonda trincea di fondazione scavata per la costruzione, tra il 1831 ed il 1837, della cappella absidata di San Luigi Gonzaga, esternamente alla testata settentrionale del transetto della cattedrale settecentesca18. La stessa trincea determinò l’ulteriore distruzione del lato sinistro della scalinata medioevale (fig. 18).
M. MANCONI DEPALMAS, 1984, pp. 61-64; S. NAITZA, Architettura dal tardo ‘600 al classicismo purista, Nuoro, Ilisso, 1992, pp. 67-77; I. S. FENU, ivi, p. 70, sch. 14.
16
17 M. MANCONI DEPALMAS, 1984, pp. 64-65; S. NAITZA, 1992, p. 113; I. S. FENU, ivi, p. 125, sch. 25. Cfr. i documenti inediti esaminati nella relazione di R. Cau nel presente volume. 18
M. MANCONI DE PALMAS, 1984, p. 69. 15
Considerazione conclusiva: Questo, nelle linee essenziali, tutto ciò che l'indagine di scavo ha potuto documentare sul piano stratigrafico. Si tratta di dati di estremo interesse i quali, opportunamente integrati da fonti storiche scritte, in particolare del periodo giudicale, non possono che arricchire il quadro delle vicende storiche della città di Oristano. Nello stesso tempo, se si tiene conto delle circostanze in cui sono emerse le testimonianze archeologiche, non si può fare a meno di osservare quanto sia auspicabile che gli interventi di restauro e di ristrutturazione di edifici di particolare interesse storico e artistico siano sempre preceduti, oltre che affiancati, da indagini archeologiche.
16
Tavola I. 1: Sagrato della cattedrale prima dell’intervento di scavo; 2: Parti del sagrato intaccate in profondità dai mezzi meccanici; 3: Parti del sagrato intaccate in profondità dai mezzi meccanici in rapporto alla situazione preesistente; 4: Settori A, B, C, D ed E dell’area di scavo (rielaborazione da Manconi Depalmas 1984).
Tavola II. 5: Emergenze archeologiche di vari periodi evidenziate nei settori A, B, C e D; 6: Sezione A del Settore A e relative Unità Stratigrafiche; 7: Sezione B e relative Unità Stratigrafiche.
Tavola III. 8: Sezione C e relative Unità Stratigrafiche; 9: Sezione C e relative Unità Stratigrafiche; 10. Tracce residue del fossato evidenziate dallo scavo nel Settore A e presso il muro confinante col convento di San Francesco.
Tavola IV. 11: Tombe 1-5 della necropoli bizantina (VI-VII sec. d. C.); 12: Pianta e sezioni della Tomba 1.
Tavola V. 13: Pianta e sezioni della Tomba 2; 14: Pianta e sezione della Tomba 3.
Tavola VI. 15: Parte residua della Tomba 5; 16: Tomba 5: posizione dell'orecchino ad anello con globetti.
Tavola VII. 17: Tomba 5: orecchini ad anello in bronzo con globetti; 18: Strutture successive alla necropoli bizantina e anteriori alla riediďŹ cazione della cattedrale nel secolo XVIII.
Tavola VIII. 19: Settore C: scalinata; 20: Rapporto ipotetico fra scalinata e cattedrale romanica; 21: Rapporto ipotetico fra scalinata e cattedrale romanica con l’aggiunta del transetto gotico (rielaborazione da Manconi Depalmas 1984).
Tavola IX. 22: Sezioni C e D: pavimento in mattoni cotti (US 31 e 32) di un ambiente presumibilmente quadrangolare; 23: Cattedrale riediďŹ cata nel 1729-1745 con le cappelle del transetto costruite nel 1831-1837 in rapporto alle strutture della fase 3 (XII-primi decenni del Settecento) emerse nei settori A, B, C e D (rielaborazione da Manconi Depalmas 1984).
Tavola X. 24: Saggio di scavo alla base della torre campanaria: in evidenza i blocchi d’arenaria utilizzati per consolidare nel 1776 la base della torre.
27
Per una rilettura delle fasi architettoniche dell'area della cattedrale di Oristano nei secoli VIII-XIV1 Con cenni sulle vicissitudini degli Arcivescovi Metropoliti d'Arborea Nadir Danieli
I. L'origine dell'insula episcopalis: Sebbene - come risulta dalle indagini di scavo effettuate negli anni ottanta e illustrate nel presente volume dal professor Sebis - le più antiche testimonianze d'antropizzazione del dosso alluvionale sul quale si erge la cattedrale di Santa Maria Assunta di Oristano risalgano ad età vandalica e bizantina, è possibile affermare che la storia dell'arte del duomo inizi ben prima. È infatti al II o III secolo d.C. che debbono ascriversi i due capitelli compositi da tempo immemore conservati nell'androne del Seminario Arcivescovile2 unitamente ad altro materiale Il presente articolo propone per esteso la relazione dal titolo “La cattedrale romanica: nuove scoperte, studi e ricerche” presentata in occasione del seminario di studi “...in ecclesia Sancte Marie de Arestano, in basilica videlicet Sancti Micaelis, que dicitur Paradisus”, tenutosi presso la cattedrale di Santa Maria Assunta di Oristano in data 29 settembre 2013. È mio dovere ringraziare l'Arcidiocesi di Oristano, nelle persone di Sua Eccellenza Rev. ma Mons. Ignazio Sanna, il parroco della cattedrale Mons. Giuseppe Sanna, il cancelliere dell'Arcidiocesi Mons. Antonino Zedda, il rettore del Seminario Arcivescovile Don Michele Sau, per l'attenzione, la disponibilità e la fiducia dimostrate nel corso dei miei studi e di queste campagne di ricerca, oltre che per aver ospitato il detto seminario. Colgo anche l’occasione per ringraziare la fondazione Sa Sartiglia Onlus, che ha reso possibile, non senza grande impegno, la divulgazione delle innumerevoli novità emerse da questi studi e la pubblicazione dello stesso volume.
1
G. NIEDDU, Capitelli romani di età imperiale da Oristano, in: Archeologia Sarda, anno 1984, pp. 63-70; M. MANCONI DE PALMAS, La chiesa di S. Maria Cattedrale di Oristano; in: Quaderni Oristanesi, nn° 5-6, Marzo 1984, pp. 77-78, nt. 9-10; R. CORONEO, Per la conoscenza della scultura altomedioevale e romanica ad Oristano, in: Biblioteca Francescana Sarda, anno 1988, nn° 1-2, p. 89; G. NIEDDU, R. ZUCCA, Othoca: una città sulla laguna; Oristano, S'Alvure, 1991, pp. 150-151, 274-275, tavv. LXXIV, LXXV; G. NIEDDU, S. MAMELI, Il reimpiego degli Spolia nelle chiese medievali della Sardegna; Oristano, S’Alvure, 2003, pp. 30-31; Sono di dimensioni comprese tra: h 0,43-0,50 m e ø 0,20-0,37 m; nella relazione manoscritta dell’ing. Francesco Daristo, che eseguì una perizia dello stato di conservazione del campanile nel 1773 (e sul quale opererà interventi di consolidamento in seguito al crollo della volta della cella superiore, nel 1776), tra i tanti dati di notevole interesse, riguardanti anche gli altri edifici, vengono elencati alcuni dei materiali di spoglio giacenti attorno alla cattedrale: tra questi figurano ben quattro capitelli e una base. Devo la segnalazione a Raffaele Cau, che illustrerà il documento nel presente volume. Cfr. anche M. MANCONI DE PALMAS, 1984, pp. 64-65; A. PILLITTU, La chiesa nellʼArcidiocesi di Oristano; collana: LʼArte Sacra in Sardegna; Sestu, Zonza, 2003, p. 89. 2
28
scultoreo 3; uno di questi ha, di recente, trovato graziosa collocazione al centro della fontana ripristinata nel giardinetto antistante la cappella privata del Seminario, intitolata all’Immacolata, riedificata nel 1833-344 sul precedente Oratorio delle Anime, affiancato a un ossario pertinente il cimitero della cattedrale, documentato almeno dal XIV secolo5 . Il capitello poggia su un fusto marmoreo, che insieme ad altri sedici delle stesse dimensioni reimpiegati per realizzare un portico sul lato Ovest dell'edificio e che si pensò, in altra epoca, di utilizzare per ultimare la facciata settecentesca del duomo, rimasta incompiuta6, altri murati nei locali attigui7 e numerosi frammenti di diverse qualità riemersi nelle più recenti indagini del materiale erratico dell'area della cattedrale8,
Si tratta di un concio con sezione di modanatura nervata del primo XIV secolo, e di ciò che rimane di uno stemma arcivescovile su una lastra in marmo bianco.
3
4
A. PILLITTU, 2003, p. 145.
Precisamente dal 1301, quando il mercante catalano Guillelm Lloret decide che i suoi resti terreni vengano inumati qui, vedi: M. G. MELE, Oristano giudicale: topografia e insediamento; Cagliari, CNR, 1999, pp. 43, nt. 26, 176-177, 226. 5
Venne rivestita in cantoni solo nel 1782, vedi: M. MANCONI DE PALMAS, 1984, pp. 62-63; A. PILLITTU, 2003, p. 93; R. CORONEO, A. PASOLINI, R. ZUCCA, La cattedrale di Oristano; Cagliari, Zonza, 2008, p. 62. 6
7
M. MANCONI DE PALMAS, 1984, p. 77, nt. 9.
Costanti ricognizioni, effettuate dal 2009 ad oggi, hanno permesso di documentare materiale finora inedito, presentato in questo studio. Tra l'altro si ricordano alcuni conci con incise orme di calzari affusolati e altri simboli lievemente solcati, per i quali si rimanda a: G. DORE, Sulle “orme” dei pellegrini: testimonianze dei percorsi penitenziali medioevali nell’Isola; Monastir, Zonza, 2001 e S. CASTELLO, Segni lapidari in Sardegna: spunti per la ricerca e la catalogazione, in: Actes du XIV colloque international de glytographie de Chambord, 19-23 juillet 2004, pp. 203-230; 2005; S. CASTELLO, Segni lapidari in Sardegna: nuove acquisizioni e prime comparazioni, in: Actes du XV colloque international de glytographie de Cordoue, 18-22 juillet 2006, pp. 57-90; 2006; un percorso di pellegrinaggio doveva interessare le chiese di S. Pietro di Zuri, S. Paolo di Milis e S. Lussorio di Fordongianus, vedi: A. L. SANNA, San Pietro di Zuri: Una chiesa romanica del giudicato di Arborea; Ghilarza, Iskra, 2008, pp. 45-48; vi è anche un fusto a sezione ottagona in basalto con spigoli smussati, sul quale oggi campeggia una croce ferrea, collocato nei giardini del Seminario Arcivescovile. 8
29
costituirono il colonnato del perduto duomo romanico di Oristano9. Impossibile determinare con certezza la provenienza di questo materiale di spoglio, che si è supposto ricavato da qualche edificio della vicina Othoca o della capitale Tharros, trasferita ad Oristano alla fine dell'XI secolo10. È legittimo supporre che proprio in questo periodo, vista la necessità di erigere una nuova insula episcopalis11 ai margini dell'abitato della Oristano bizantina, si impiantò il primo cantiere del duomo medievale, in un luogo già interessato da un certo numero di sepolture, realizzate con ogni probabilità nei pressi di una primitiva chiesa altomedievale12. 9 R. DELOGU, L'architettura del Medioevo in Sardegna; Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1953, pp. 164-165, 222-227; M. MANCONI DE PALMAS, 1984, pp. 10-13; R. Serra, Italia Romanica: La Sardegna, Milano, Jaca Book, 1989, pp. 139-141; R. CORONEO, Architettura romanica dalla metà del Mille al primo ʻ300; Nuoro, Ilisso, 1993, pp. 214-215, sch. 97; R. CORONEO, R. SERRA, Sardegna preromanica e romanica; Milano, Jaca Book, 2004, pp. 299-303; Nella citata relazione dell’ing. Daristo (vedi nt. 1), si contano venti colonne, differenti per diametro e dimensioni. La grande consapevolezza e conoscenza dei monumenti del Regno gli suggerisce la collocazione nell’antico duomo; fusti spezzati e rocchi di colonne potevano infatti impiegarsi nella fabbrica, come avvenne in molte altre costruzioni sarde del XII secolo, più in ossequio al “gusto antiquario” che all’omogeneità dei materiali. Per il Can. G. Spano, i fusti, granitici e marmorei, si contavano in numero di ventidue ancora nel XIX secolo, quando giacevano dimenticati e sparsi ai piedi del campanile, vedi: G. SPANO, Oristano e la sua antica Cattedrale: Appendice, in: Bullettino archeologico sardo, ossia raccolta dei monumenti antichi in ogni genere di tutta l'isola di Sardegna, pp. 161-173, vol. X, n° 12, anno 1864, p. 163; S. A. SCINTU, Raccolta di memorie d'Arborea: tratte in gran parte da documenti inediti; Oristano, Tipografia Arborense, 1873, p. 39; oggi sarebbero diciannove, vedi: G. NIEDDU, S. MAMELI, 2003, pp. 30-31; sono di dimensioni comprese tra: h 2,48-3,60 m e ø 0,31-0,55 m.
G. F. FARA, De rebus Sardois, 1580, vol. II, p. 136 (cfr. pp. 190-191, nn° 25-30, Rist. Gallizzi, 1992); riporterebbe al 1070 il trasferimento della capitale per volere del giudice Orzocco, data canonicamente accettata ma inverificabile, poiché tratta da un antiquo m.s. oggi perduto. Un arcivescovo d'Arborea è inoltre attestato dalla fine dell'XI secolo, poi il 5 ottobre 1116 e ancora nel 1118, vedi: P. TOLA, Codex diplomaticus Sardiniae; Torino, 1861-1868, vol. I, pp. 192-194, doc. XXI; R. VOLPINI, Documenti nel Sancta Sanctorum del Laterano. I resti dell’Archivio di Gelasio II, in: Lateranum, anno LII, n°1, 1986, pp. 261-264. 10
11 Dobbiamo ricordare che anche il palazzo arcivescovile è documentato dal XII secolo, e precisamente dal 1157, quando il giudice Barisone compirà una donazione in favore della sposa Agalbursa: P. TOLA, CDS, vol. I, p. 220, doc. LXIV; una seconda attestazione è del 1189, vedi: Idem, p. 267, doc. CXXXI.
R. ZUCCA, L'Aristiane dei bizantini, in: Quaderni Oristanesi, nn° 13-14, anno 1987, pp. 47-56; R. BONU, Oristano nel suo duomo e nelle sue chiese: cenni storici e due appendici; Cagliari, STEF, 1973, p. 17.
12
30
Di questa chiesa, ancora non elevata al rango di cattedrale, rimane innanzitutto l'intitolazione, tramandata ancora nel 119213, quando un atto stipulato per definire i limiti dei poteri condominiali tra i giudici Pietro I de' Lacon-Serra e Ugo I de' Bas 14 venne rogato in ecclesia Sancte Marie de Arestano, in basilica videlicet Sancti Michaelis, que dicitur Paradisus15. Si tratta della nostra cattedrale, alla cui intitolazione alla Beata Vergine si accosta quella a San Michele, accompagnata dal termine paradisus. Il passo ha poco di equivoco: benché si ritenne di dover attribuire la seconda intitolazione a una "cappella nobile"16, il termine videlicet (vale a dire, ovvero) non lascia molto margine di interpretazione. Inoltre, più che una cappella, è plausibile che si volesse indicare effettivamente un impianto antecedente di cui si ricordava l'esistenza o la persistenza17. Nel caso della clesia nova18 della Santa Maria di Bonarcado, infatti, un edificio romanico si accostava - già nel XII secolo - a un primo impianto a croce greca di piccole dimensioni, mantenuto e restaurato, in alcune sue parti, come Santuario di Nostra Signora di Bonaccatu19 . Non è possibile determinare se questo edificio si trovasse effettivamente
20 febbraio, vedi: P. TOLA, CDS, vol. I, pp. 273-277, docc. CXXXVII, CXXXVIII, CXXXIX.
13
14 F. C. CASULA, Genealogie Medioevali di Sardegna; Cagliari-Sassari, Due D, 1984, p. 170, II, n° 9 e pp. 381-382, XXXII, n° 2; F. C. CASULA, La storia di Sardegna; Sassari, C. Delfino, 1992, pp. 327-328, lemmi 333, 334; R. BONU, 1973, pp. 19, 61; F. ARTIZZU, Pisani e Catalani nella Sardegna medioevale; Padova, CEDAM, 1973, pp. 20-21. 15 Questa la lezione nei documenti del Tola appena citati, uno dei quali appare rogato in ecclesia Sancte Marie de Arestano, in basilica videlicet Sancti Michaelis, senza il termine paradisus; mentre Cherchi Paba, ne da lettura differente, vedi: F. C. PABA, Il duomo di Oristano; Cagliari, Tip. P. Valdes, 1956, p. 3. 16
R. BONU, 1973, p. 19.
17 Espressioni come “quod dicitur” potevano indicare il ricordo di un edificio precedente, oppure il modello cui il nuovo si ispirava, vedi: R. KRAUTHEIMER, Architettura sacra paleocristiana e medievale e altri saggi su Rinascimento e barocco; B.B., Torino, 2008, p. 121.
M. VIRDIS, Il condaghe di Santa Maria di Bonarcado; Nuoro, Ilisso, 2003, pp. 190-191, nn° 144-145; cfr. R. C. RASPI, Condaghe di S.Maria di Bonarcado; Cagliari, Il Nuraghe, 1937, pp. 59a, 59b, [147]; M. VIRDIS, Il condaghe di Santa Maria di Bonarcado; Oristano, S'Alvure, 1995, p. 60, n° 145. 18
19 Anche in questo caso si tramanda una intitolazione più antica, stavolta alla Purissima o all'Immacolata, da Panàkhrantos, vedi: G. PAULIS, Lingua e cultura nella Sardegna bizantina: testimonianze linguistiche dell'influsso greco; Sassari, l'Asfodelo, 1983, p. 34; R. CORONEO, 1993, p. 103.
31
ancora in piedi al momento della rogazione dell'atto20 . Come già notato21 , il termine paradisus doveva far riferimento non solo al culto di San Michele22 ma avere connotazione prima di tutto materiale, visiva e di conseguenza, architettonica. Oltre a indicare "il giardino celeste" o il "regno della beatitudine celeste", il termine si trova di frequente accanto alle dedicazioni di basiliche o fondazioni monastiche23 , in riferimento al luogo - spesso un prato cinto da porticati e altri edifici - antistante il tempio24. Pochi sono, in Sardegna, i portici romanici risparmiati alle ingiurie del tempo e degli uomini, tra i quali possiamo ricordare quello
20 Una chiesa che ha conservato ritagli del paramento murario altomedievale a Oristano è il Santo Spirito, a brevissima distanza dalla cattedrale, in un tratto di strada che contava, già in epoca giudicale, numerosi edifici di culto, vedi: R. SERRA, L'Oratorio delle anime a Massama; Cagliari, 1971, pp. 36-37; M. G. MELE, 1999, pp. 27-28, nt. 8; come emerso dagli ultimi saggi di scavo, della stessa chiesa si conserva anche un capitello altomedievale con palmette, ovoli e volute disposti all’inverso, reimpiegato come acquasantiera, raccolto in: O. LUPERI, Oristano prima dei Giudici: Genesi ed evoluzione dell'insediamento, tesi di laurea in beni culturali, Università degli Studi di Cagliari, anno 2013, pp. 98-100. 21
M. G. MELE, 1999, pp. 32-33, 40-46; in particolare nt. 23, 27.
F. C. PABA, La Chiesa greca in Sardegna: cenni storici, culti, tradizioni; Cagliari, Scuola Tipografica Francescana, 1962, pp. 13-16; F. C. PABA, Il duomo di Oristano; Cagliari, Tip. P. Valdes, 1956, p. 3; che si ricorderà, "accompagnava le anime in paradiso", Cfr. Ibidem; e quindi richiamando il cimitero del VI-VII secolo; sulla effettiva antichità del culto micaelico nell’Isola, Cfr. G. PAULIS, 1983, pp. 158-160. 22
23 In particolare cistercensi e quindi anche nel XII secolo, vedi una Paradisus Sanctae Mariae e altre, in: O. VON SIMSON, La cattedrale gotica: il concetto medievale di oridine; Bologna, Il Mulino, 1988, p.53, nt. 58; una villa di Santa Maria di Paradiso, già citata dal Fara, si ritrova anche presso Burcei, in Sardegna (arcidiocesi di Cagliari), ed è documentata nell'XI e nel XIV secolo, quando contava ben quattro edifici di culto (San Pietro, Santa Maria, Sant'Anna, San Giovanni) e circa sessanta famiglie di coloni, vedi: S. PETRUCCI, Re in Sardegna, a Pisa cittadini: ricerche sui domini Sardinee pisani; Bologna, Cappelli, 1988, p. 160; J. DAY, Villaggi abbandonati in Sardegna dal trecento al settecento: inventario; Parigi, CNRS, 1973, p. 17, n° 25; J. DAY, La Sardegna sotto la dominazione pisano-genovese; Torino, UTET, 1987, pp. 26, 75, 99, 126, dove si parla di un “grosso villaggio”; F. ARTIZZU, Rendite pisane nel giudicato di Cagliari nella seconda metà del secolo XIII, in: Archivio Storico Sardo, anno 1957, vol. XXV, pp. 13, 16, 18, 19, 23, 100-103. Una Santa Maria del Paradiso presso Vallermosa è citata tra le chiese altomedievali innalzate su impianti termali, come il santuario di Bonarcado, in: R. CORONEO, Arte in Sardegna dal IV alla metà dell'XI secolo; Cagliari, 2011, p. 329.
Sono numerosi nella penisola i “chiostri del Paradiso” annessi a chiese cattedrali, tra i quali si ricorda il più celebre di Amalfi, della seconda metà del XIII secolo. 24
32
molto risarcito della Santissima Trinità di Saccargia25 , quello mutilo del San Lussorio di Selargius 26, quello monumentale del Sant'Antioco di Bisarcio27 e ciò che rimane del recinto con portale in opera bicroma a scacchiera della Santa Maria di Perfugas 28. Di altri possono riconoscersi le mensole d'imposta, come nel San Michele di Salvenero29 , nel San Paolo di Milis, nella Santa Maria di Bonarcado e nella cattedrale di Santa Giusta30. Le ultime tre conobbero tutte una fase del primo XII secolo e probabilmente l'attività delle stesse maestranze, operanti nell'Arborea31 . Ulteriore indizio sulla presenza di questa chiesa è dato dai frammenti di pilastrino marmoreo che costituiscono oggi la base del simulacro della Vergine del Rimedio nella cappella del Santissimo
R. DELOGU, 1953, pp. 77-78, 155-157; R. SERRA, 1989, pp. 272-299; R. CORONEO, 1993, pp. 138, sch. 46, 144; A. INGEGNO, Storia del restauro dei monumenti in Sardegna dal 1892 al 1953, Oristano, S’Alvure, 1993, pp. 200-201, sch. 9. 25
26
R. SERRA, 1989, pp. 347-348; R. CORONEO, 1993, p. 177, sch. 73.
27 R. DELOGU, 1953, pp. 152-155, 168; R. SERRA, 1989, pp. 262-270; R. CORONEO, 1993, p. 93; R. CORONEO, R. SERRA, 2004, pp. 156-167. 28
R. DELOGU, 1953, p. 135, nt. 48; R. CORONEO, 1993, p. 188, sch. 81.
29
R. DELOGU, 1953, pp. 78-80, 151; R. CORONEO, 1993, pp. 149-150, sch. 54.
30
R. DELOGU, 1953, p. 120.
R. DELOGU, 1953, pp. 115-116, 120, 164-165; R. SERRA, 1989, pp. 144-156, 158-181, 367-368; R. CORONEO, 1993, pp. 68-69, sch. 11, 104-106, sch. 21, 218, sch. 98; R. CORONEO, L'irradiazione delle maestranze della clesia nuova di Santa Maria di Bonarcado nel giudicato di Arborea, in: Giudicato d'Arborea e Marchesato di Oristano: proiezioni mediterranee e aspetti di storia locale, vol. I, pp. 463-485; ISTAR, 2000, pp. 463-487. 31
33
Sacramento32 , datati da R. Coroneo all'VIII-IX secolo33 . Si tratta di tre porzioni, recanti i girali di un tralcio che nel frammento più consistente si conservano in numero di quattro: la resa è fortemente geometrizzante e lo schema circolare seguito per tracciare il disegno quasi perfetto. Due solchi attraversano il tralcio descrivendo centralmente al girale un trifoglio. In passato il pilastrino si è ritenuto, per la mancanza di altre attestazioni, elemento isolato e proveniente da un edificio altomedievale del Sinis non identificabile34, in quanto risulta essere un unicum in questa regione dell'Isola (mentre simili frammenti marmorei abbondano nel cagliaritano). Oggi è possibile collocarlo nell'area della cattedrale ab antiquo, o almeno, come si vedrà, dal XIII secolo. Un concio calcareoarenario reimpiegato nel prospetto settecentesco restituisce lo stesso tralcio a girali, seppur fortemente semplificato: il solco è unico, la resa geometrica lasciata al caso e le foglie riverse nella direzione opposta. Un raffronto riferibile al XII secolo è in un capitello della pieve di San Giovanni Battista e Sant'Ansano in Greti35 , dove il tralcio con foglie riverse appare ormai privo del solco. Lo stesso frammento scultoreo presenta un secondo motivo, sulla porzione superiore. Uno stelo genera mediante bottoncini dei racemi, che raccolgono lamelle dalla forma affusolata, "a valva"36. Si tratta di un motivo ben lontano da quello del pilastrino, che pur dovette servire da modello per alcuni elementi di un più recente ornato architettonico. Il solco dello scalpello, in particolar Opera di artista catalano del XIV secolo, Cfr. C. MALTESE, Arte in Sardegna dal V al XVIII secolo, De Luca Editore, Roma,1962, p. 222, sch. 46; R. SERRA, Pittura e Scultura dallʼEtà romanica alla fine del ʻ500; Nuoro, Ilisso, 1990, pp. 67-71, sch. 28; R. ALCOY, El retablo de San Martin de Oristano y la pintura catalana del gotico internacional en Cerdena, in: Giudicato d'Arborea e Marchesato di Oristano: proiezioni mediterranee e aspetti di storia locale; ISTAR, 2000, pp. 21-34; P. BESERAN I RAMON, Ecos de la escultura catalana en Oristano: en torno al retablo del Rimedio y otras escultura sardas, in: Giudicato d'Arborea e Marchesato di Oristano: proiezioni mediterranee e aspetti di storia locale; ISTAR, 2000, pp. 161-173; A. PILLITTU, 2003, pp. 17, 21, 112-117. 32
R. CORONEO, Per la conoscenza della scultura altomedioevale e romanica ad Oristano, in: Biblioteca Francescana Sarda, anno 1988, nn° 1-2, pp. 90-91; R. CORONEO, A. PASOLINI, R. ZUCCA, 2008, pp. 11, 21; R. CORONEO, 2011, p. 322. Il motivo si rintraccia in bronzi a partire dal V secolo e si ritrova, con sensibilità immutata e non ancora interessato dal tralcio, in una delle transenne marmoree del S. Vitale di Ravenna, del VI secolo.
33
34
Ibidem.
35 G. CANTELLI, Lʼarchitettura religiosa in Toscana: il Medioevo, Banca Toscana, 1995, p. 111. 36
R. CORONEO, 1988, p. 83. 34
modo nella definizione delle foglie, si ritrova in tutti gli altri frammenti37, opera della stessa équipe. La tecnica di realizzazione, già individuata da Dionigi Scano per i celebri plutei marmorei conservati in cattedrale38 e più avanti ricollocata in preciso ambito orientale39, è caratteristica dell'ebanisteria o dell'intaglio eburneo40 quanto della scultura litica.
II. Il primo cantiere romanico: I plutei41 , realizzati tra la fine dell'XI e il principio del XII secolo42, costituiscono unitamente a colonne e capitelli l'ultima traccia dell'apparato decorativo della prima cattedrale romanica oristanese, e forniscono idealmente il limite cronologico della costruzione dell'edificio, la cui prima attestazione documentaria risale al dicembre dell'anno 1131 43. Lo strumento pergamenaceo, rogato dal notaio Iohannis (nome N. DANIELI, Catalogo dei frammenti scultorei dell’area della Cattedrale di Santa Maria Assunta di Oristano, Ghilarza, Tipografia Ghilarzese, 2013 (a cura dell’Arxiu de Tradicions); Del corpus dei frammenti era stata data notizia della scoperta nel gennaio 2013, cfr. E. CARTA, Decorazioni antiche nelle storiche mura della Cattedrale, La Nuova Sardegna, p. 20, anno 121, n° 28; 29 gennario 2013; la presentazione del lavoro è stata anticipata in: N. DANIELI, Arte e storia tra le mura, L’Arborense: settimanale d’informazione dell’Arcidiocesi di Oristano, p. 5, n° 22, 16 giugno 2013. Alcuni dati, relativi ai frammenti e ai loro raffronti, ricavati dal catalogo in quel momento inedito, sono stati utilizzati su indicazione dello scrivente in: O. LUPERI, 2013, pp. 87-97. Un ringraziamento particolare va a Mons. Antonino Zedda, cancelliere dell’Arcidiocesi di Oristano, la cui costante collaborazione ha reso possibile la prima divulgazione di questi studi. 37
D. SCANO, Storia dell'Arte in Sardegna dall'XI al XIV secolo; Cagliari, Stab. Tip. G. Montorsi, 1907, pp. 50-53.
38
R. DELOGU, 1953, p. 39; C. MALTESE, 1962, pp. 219-220, sch. 5-6; R. CORONEO, 1988, pp. 85-88.
39
R. DELOGU, 1953, p. 187; M. C. CANNAS, Alcuni Aspetti della decorazione scultorea dell'ex-cattedrale di San Pantaleo di Dolianova: il busto del "giudice" d'Arborea Mariano II de Bas Serra, in: Medioevo: Saggi e Rassegne, 1991, n° 16, p. 202; oltre che dei "lavori in metallo sbalzato", vedi: R. CORONEO, 1988, p. 81.
40
41 Meritano trattazione specifica che ci riserviamo di proporre in altra occasione, ma lo studio più completo rimane: R. CORONEO, 1988, pp. 69-107. 42
Ibidem.
Actum in ecclesia sanctae Mariae de Orestano feliciter, Cfr. P. TOLA, CDS, I, p. 207-208, doc. XLI.
43
35
che troveremo tra i più frequenti nei documenti medievali arborensi), conserva l'atto di donazione da parte del giudice Comita44 e dell'arcivescovo Pietro45 di alcuni possedimenti arborensi al San Lorenzo di Genova. È un indice degli stretti rapporti di alleanza intrapresi nel XII secolo tra l'Arborea e Genova, che desteranno presto la preoccupazione del comune dell'Arno46 . I plutei altro non erano che la recinzione presbiteriale del duomo romanico. Questo primo tempio aveva dimensioni non dissimili da quelle delle altre maggiori cattedrali dell'Isola edificate nello stesso lasso di tempo e da maestranze della stessa educazione, come il San Gavino di Porto Torres, il San Simplicio di Olbia e la suffraganea oristanese, Santa Giusta, nel centro omonimo47. I citati fusti e capitelli reggevano le arcate a tutto sesto dei setti divisori, generando gli spazi della navata centrale coperta in legname e delle navatelle, forse voltate a crociera48. L'asse longitudinale, già orientata a Sud-Est come mostra la successione delle fasi edilizie, terminava con abside semicircolare divisa in specchi da semicolonne e arcatelle, tra le quali si interponevano forse piccoli capitelli marmorei come a Santa Giusta e Terralba49 , dei quali uno potrebbe risultare il terzo esemplare, stavolta d’esecutore romanico, conservato in Seminario50. Alla stessa collocazione cronologica (fine XIprincipio XII secolo) potrebbe ascriversi uno dei frammenti venuti alla luce nella più recente fase di restauri del duomo: si tratta dell'ultimo 44
F. C. CASULA, 1984, p. 167, II, n° 2.
45 R. BONU, Serie cronologica degli arcivescovi d'Oristano; Sassarri, Gallizzi, 1959, p. 22; M. VIDILI, Cronotassi documentata degli arcivescovi di Arborea: dalla seconda metà del secolo XI al concilio di Trento; Oristano, Edizioni l'Arborense, 2010, pp. 31, 61.
F. ARTIZZU, 1973, pp. 20-23; S. PETRUCCI, 1988, pp. 12-13; F. C. CASULA, 1992, pp. 322-324, lemma 329; G. G. ORTU, La Sardegna dei Giudici; Nuoro, Il Maestrale, 2005, p. 220. 46
R. DELOGU, 1953, pp. 113-129; M. MANCONI DE PALMAS, 1984, pp. 9, 13; R. SERRA, 1989, 144-156, 184-212, 322-329; R. CORONEO, 1993, pp. 15-25, sch. 1, 68-69, sch. 11, 79-81, sch. 14. 47
L’ipotesi è confermata, oltre che dai dati raccolti nel lavoro di M. MANCONI DE PALMAS e dalla descrizione del padre Jorge Aleo (si veda la nota 92), da un documento illustrato da Sebastiano Fenu nel presente volume. Nelle Relationes ad limina Apostolorum, dalle quali ricaviamo quella dell’arcivescovo Bernardo Cotoner (1664-1671), vediamo infatti che “[...] Corporiquae ecclesiae adherent duae naves [...]”.
48
49
R. CORONEO, 1993, p. 78, sch. 12.
Già attribuito a qualche falso loggiato del prospetto romanico, vedi: M. MANCONI DE PALMAS, 1984, p. 77, nt. 9; misura h 0,24 m x ø 0,16 m. 50
36
residuo di una decorazione a girali fitomorfi, eseguita piattamente, anche se ormai difficile da determinare per via del precario stato di conservazione. Racchiuso da un accenno di cornice a listello si trova un girale che genera un tozzo trifoglio, mentre il tralcio ha lamelle solcate. Pur avulso dal suo contesto, può immaginarsi pertinente un architrave, stipite, pilastrino o porzione di altro arredo architettonico. Il tipo ha grande riscontro tra X e XI secolo nei frammenti marmorei del cagliaritano51 , ma sembra potersi avvicinare formalmente al motivo in rilievo su uno dei capitelli della cattedrale di Santa Giusta, che risponde a datazione seriore52 . Ulteriore raffronto al modello di Santa Giusta è nella descrizione del sesto di un archetto della pieve dei SS Ermolao e Giovanni a Calci, riferibile al XII secolo. Al duomo col suo sagrato si giungeva grazie alla scalinata monumentale ritrovata mutila nei saggi del 1987, ricoperta di lastroni arenari di una speciale qualità verdastra53 . Tutti questi elementi forniscono, anche in assenza di dati certi sulla committenza del primo impianto del duomo, un indizio notevole sulla munificenza e la volontà di potere giudicale e clero secolare nel dotare la nuova capitale di un adeguato luogo di culto e di potere. III. Le vicende dell'arcidiocesi alla fine del XII secolo: Negli anni novanta del XII secolo il marchese di Massa Guglielmo I Salusio IV, giudice di Cagliari, invase l'Arborea in un piano di conquiste
R. CORONEO, Scultura mediobizantina in Sardegna; Nuoro, Poliedro, 2000, pp. 131-133 e ss.
51
52 Il capitello è variamente illustrato, in: G. NIEDDU, R. ZUCCA, Othoca: una città sulla laguna; Oristano, S'Alvure, 1991, pp. 146-147, n° 12, tav. LXI; S. MAMELI, G. NIEDDU, 2003, p. 106; E. CURRELI, I capitelli, in: La Cattedrale di Santa Giusta: architettura e arredi dall'XI al XIX secolo, a cura di Roberto Coroneo; Cagliari, Scuola Sarda Editrice, 2010, pp. 173-174, D2; è stato proposto un raffronto - già rettificato nel più recente studio di E. CURRELI - col pilastrino erratico di Dolianova, dove però il tralcio si mostra discontinuo e il raffronto possibile in una singola lamella, vedi: R. CORONEO, 2000, p. 226, n° 6.1; S. MAMELI, G. NIEDDU, 2003, p. 50.
S. SEBIS, R. ZUCCA, Aristiane, Quaderni della Soprintendenza Archeologica per le Province di Cagliari e Oristano, 4-II/1987; Cagliari, 1988, pp. 125-149; vedi il contributo del prof. S. Sebis nel presente volume.
53
37
che interessava a dire il vero gran parte dell'Isola54. In questo momento è arcivescovo il genovese Giusto55, noto con certezza dal citato documento del 1192. Condòmini sul trono arborense sono, invece, Pietro I e Ugo de' Bas 56. Uno dei motivi che spinsero il marchese a invadere le nostre terre deve riconoscersi nello schieramento filogenovese dei giudici d'Arborea: da un lato Pietro stipula accordi con Genova riservando ai suoi mercanti importanti spazi per le loro attività, dall'altro Ugo, grazie ai contatti di Agalbursa57 , si appresta a ricevere una prima spedizione catalana nell'Isola, tra l'altro col favore dei signori di Torres58. La situazione politica è particolarmente complessa: oltre alle lotte interne per la successione dinastica, nei conflitti tra i giudici si inseriscono indiscriminatamente genovesi e pisani, che come lo stesso Giusto occupavano già posti di primaria importanza tra Corte e Chiesa. F. C. CASULA, 1992, pp. 205-208, lemmi 224, 225, 226; su Guglielmo non si hanno grandi notizie. Figlio di Oberto Corso e Giorgia, della quale sono ancora in discussione i natali, è giudice dal 1187, vedi: B. BAUDI DI VESME, Guglielmo giudice di Cagliari e l'Arborea: secondo contributo alla istoria del Giudicato di Cagliari nel secolo XIII, in: Archivio Storico Sardo, anno 1905, vol. I, pp. 21-52, anche pp. 32, nt. 1, 36; S.PETRUCCI, 1988, p. 14, nt. 15; a proposito della condotta di Guglielmo, vedi anche: M. G. SANNA, Innocenzo III e la Sardegna; Cagliari, CUEC, 2003 (2), pp. 3-146; e per le vicende del giudicato di Cagliari: M. G. SANNA, Papato e Sardegna durante il pontificato di Onorio III; USA, Aonia Edizioni, 2012, pp. 20-25, n° 13; S. PETRUCCI, 1988, pp. 11-29. 54
S. A. SCINTU, 1873, pp. 26-28; R. BONU, 1959, pp. 25-27; M. VIDILI, 2010, pp. 32-33, 64-66; sotto i pontificati di Celestino III (1191-1198) e Innocenzo III (1191-1216). 55
Che ricorderemo più tardi come fratello uterino di Mariano II giudice di Torres; B. BAUDI VESME, ASS, 1905, p. 48, nt. 3; M. G. SANNA, Il giudicato d'Arborea e la Sardegna tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo: aspetti storici, in: Chiesa, potere politico e cultura in Sardegna dall'età giudicale al Settecento: atti del II convegno interazione di studi, Oristano 7-10 dicembre 2000, ISTAR, 2005, p. 436, nt. 75.
56
DI
La penetrazione dei catalani nell'Arborea è documentata fin dal matrimonio di Agalbursa con Barisone nel 1157, quando nobili e borghesi giunsero anche a occupare posizioni di rilievo a Corte. Inoltre pare che i catalani fossero presenti nell'Isola con piccoli corpi armati al soldo dei giudici già dallo stesso secolo XII. Attualmente il problema è trascurato, vedi: F. ARTIZZU, 1973, pp. 11-23; F. C. CASULA, La Sardegna Aragonese; Sassari, Chiarella, 1990, p. 24; G. G. ORTU, 2005, p. 220; M. MANCONI DE PALMAS, Il Guilcieri: antica curatoria arborense; Ghilarza, Iskra, 2002, p. 22; sul rapporto tra Sardegna, Catalogna e Genova nel XIII-XIV secolo: A. BOSCOLO, Catalani nel Medioevo; Bologna, Cappelli, 1986, pp. 23-32, 49-55; per una visione d'insieme degli apporti culturali catalani all'Isola: J. ARMANGUÉ I HERRERO, Forme di cultura catalana nella Sardegna Medioevale, in: Insula: Quaderno di cultura sarda, n°1, giugno 2007; Dolianova, Parteolla, 2007, pp. 9-55. 57
58
F. ARTIZZU, 1973, p.18-21. 38
Tra il 1176 e il 1208 è legato pontificio per la Sardegna l'arcivescovo di Pisa, Ubaldo Lanfranchi, una figura di grande rilievo59 . I suoi interessi personali corrispondevano frequentemente a quelli del Comune. Nel 1195 Guglielmo entra in Oristano e la devasta, danneggiando pesantemente le chiese senza risparmiare la cattedrale60; aveva, però, non solo il pieno sostegno dell'arcivescovo Ubaldo, soddisfatto dei suoi successi militari61 , ma del capitolo della cattedrale oristanese - in gran parte composto da cittadini pisani - che gli riconobbe lo scettro, il trono e gli permise di metter mano sui beni ecclesiastici. Pare che i canonici tendessero a favorire il Comune dell'Arno riesumando antiche questioni, dissapori e ordendo trame e complotti dall'interno dell'arcidiocesi62. Il marchese di Massa ricevette dalla Sede Apostolica la scomunica per le sue azioni spregiudicate63. Giusto, nel frattempo, preoccupato certamente, tra le altre cose, per la sua nazionalità, fugge con la scorta di Ugo verso la sua città d'origine64, ma non si perde d'animo. La guida del capitolo, o meglio, il fautore delle accuse che vennero mosse nei confronti di Giusto, fu un tale Pietro di Staura. Questi si rivolse direttamente al pontefice, accusando Giusto di orrendi crimini: omicidio, spergiuro, incendio, stregoneria e - oltre ad aver scomunicato ingiustamente alcuni uomini - aver permesso la vendita di schiavi
59 R. TURTAS, Storia della chiesa in Sardegna: dalle origini al Duemila; Roma, Città Nuova, 1999, pp. 255-262; M. G. Sanna, Et si, diaboli facente malitia, gladio vel alio modo...: violenze su vescovi ed ecclesiastici nella Sardegna del XIII secolo, in: Bischofsmord im Mittelalter: Murder of Bishops; a cura di N. Freyde e D. Ritz; Vanderhoeck & Ruprecht, Göttingen, 2003 (2), pp. 3-6 e ss.
Ne riferisce correttamente il Mattei nel 1708, quando dice: ex parte diripuerunt, Cfr. A. F. MATTEI, Sardinia sacra seu de episcopis sardis historia; Roma, 1758; P. MARTINI, Storia ecclesiastica di Sardegna; Cagliari, Stamperia Reale, 1839-1841, vol. I, libro V, pp. 280-283; S. A. SCINTU, 1873, pp. 26-28. 60
R. TURTAS, 1999, p. 260; per il rapporto tra Ubaldo e Guglielmo e la loro posizione rispetto alla Sede Apostolica, vedi anche: M. G. SANNA, 2003 (2), pp. 18-23, 47-48, 61-63, 79-80, 93-94, nn° 8-12, 38, 54, 73, 78 e ss..
61
62
R. TURTAS, 1999, pp. 274-275; M. G. SANNA, 2003, p. 329, nt. 44.
63
R. TURTAS, 1999, pp. 260-261.
64
F. ARTIZZU, 1973, p. 22. 39
cristiani ai Saraceni65 . Con ogni probabilità fu in questo momento che Giusto perse ogni legittimazione episcopale, non avendo più alcuna credibilità presso la Sede Apostolica66. Approfittando della momentanea assenza del marchese Guglielmo, il nostro arcivescovo torna brevemente alla sua Sede, ammonendo i canonici non tanto per la sua causa personale, quanto per aver concesso lo scettro a un sovrano illegittimo, che lui si ostinava a non riconoscere. Il capitolo si schierò ancora con maggiore decisione al fianco di Guglielmo, affidandosi al carisma di Staura: la più raccapricciante delle violenze contestate all'arcivescovo riguardava la lardatione hominis cum lardo et cera67. Nel frattempo Ubaldo giunse in Sardegna68, tramando tra l'altro anche in questioni giudicali a Torres, allo scopo di sostenere le accuse dei canonici che riconobbero nel legato pontificio l'unica autorità in grado di valutare Giusto, mentre il nostro si rivolse a Roma69. Il messo o procuratore che Giusto inviò presso la Sede Apostolica venne però catturato e assassinato e l'arcivescovo arborense, di fatto, costretto e imprigionato: i suoi cavalli vennero sequestrati e Guglielmo diede ordine ai patroni di non concedere ospitalità a bordo al malcapitato presule, che si vide negato anche il minimo per il suo sostentamento70 . Intanto Ubaldo accettò in assemblea la falsa documentazione portata a sostegno delle tesi del marchese, negando a Giusto la difesa contro Staura71 . Giusto tentò ancora una volta di fuggire, imbarcandosi per 11 agosto 1198; P. TOLA, CDS, vol. I, pp. 280-281, doc. CXLVII; Il documento è ben regestato in: D. SCANO, Codice diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna, Cagliari, BCT, 1940-41, vol. I, pp. 4-5, doc. II; e si trova anche in: P. J. MIGNE, Patrologia Latina, 1849-1855, vol. 214-217, doc. CCCXXIX; O. HAGENEDER, Die Register Innocenz’ III, Graz-Köln 1964, vol. I, n° 329, pp. 477-480; R. BONU, 1959, pp. 25-26; R. TURTAS, 1999, pp. 260-262; M. G. SANNA, 2003, pp. 329, 331; M. G. SANNA, 2003 (2), pp. 7-12, nn° 2, 3; M. VIDILI, 2010, pp. 32-33, 65. 65
66 E. BESTA, Per la storia dell'Arborea nella prima metà del secolo decimoterzo, in: Archivio Storico Sardo, anno 1907, vol. III, p. 328; R. BONU, 1959, p.27.
Ibidem; per la tortura, vedi: M. G. SANNA, 2003, p. 331; M. G. SANNA, 2003 (2), pp. 7-12, nn° 2, 3; vicende legate a Giusto sono raccolte - in riferimento alle iniziative di Pisa sotto il marchese Guglielmo - anche in: S. PETRUCCI, 1988, pp. 19-20.
67
68 1197; la visita, probabilmente, diede occasione di riunirsi a molti vescovi e gran parte del clero isolano, Cfr. R. TURTAS, 1999, p. 261.
D. SCANO, CDR, 1941, vol. I, pp. 4-5, doc. II; M. G. SANNA, 2003, p. 330; M. G. SANNA, 2003 (2), pp. XLII, nt. 97, 8.
69
70
Ibidem.
71
Ibidem. 40
Genova presso Porto Torres, ma il giudice Comita II72, soggiogato da Guglielmo73 , gli tolse ancora una volta la libertà. In questo lasso di tempo Giusto tentò di donare sette pani di cera alla chiesa di San Leonardo presso il centro omonimo, ma il prezioso atto di devozione venne interrotto: Ubaldo, ormai senza pietà, catturò gli inviati di Giusto e ne disperse i doni74. Finalmente Giusto e Staura ottengono di poter rappresentare le loro parti presso la Santa Sede, e giungono a Roma. Innocenzo III decide, diffidente, di incaricare i presuli di Torres e Sorres di indagare sulla vicenda75 ; era prudente perché, pur avendo riconfermato i privilegi a Ubaldo, non si fidava della sua attività e nominò infatti, entro il 22 marzo 1203, il vescovo Biagio di Torres legato per la Sardegna, uomo di massima fiducia ed ex notaio pontificio76. Sfortunatamente qui si interrompe la documentazione sulle vicende di Giusto, che vide la sua carriera e la sua vita distrutte dagli spregevoli Ubaldo e Guglielmo. Certamente non rientrò in possesso della sua Sede, poiché dal 1199-1200 è documentato l'arcivescovo Bernardo77.
72
F. C. CASULA, 1984, p. 201, VI, n° 9.
73 Tra l'altro per via del matrimonio del figlio Mariano con Agnese, figlia del marchese. Comita è inizialmente alleato genovese, ma col tempo sarà costretto ad assecondare Guglielmo, poiché fu il primo giudice turritano a necessitare di un appoggio che giustificasse la successione dinastica non naturale, cfr. B. BAUDI DI VESME, ASS, 1905, pp. 22-23, 31, in particolare pp. 34-40; dove si ricorda E. BESTA, Per la storia del Giudicato di Cagliari al principiare del secolo decimoterzo; Sassari, Gallizzi, 1901; M. G. SANNA, 2005, p. 429, nt. 58. 74 M. G. SANNA, 2003, p. 331; la maggior parte delle notizie sono tratte dal citato documento del 1198. 75
M. G. SANNA, 2003, p. 331; M. VIDILI, 2010, p. 33, 65, nn° 5-6.
D. SCANO, CDR, vol. I, p. 12, doc. XIV; R. TURTAS, 1999, p. 262 e note; M. G. SANNA, 2005, p. 431, nt. 56.
76
77
R. BONU, 1959, pp. 25-27; M. VIDILI, 2010, p. 66. 41
IV. La fase edilizia del primo trentennio del XIII secolo: In questi anni è attiva la nuova fabbrica della cattedrale di Santa Maria Assunta78 : non sappiamo con precisione quando si avviarono le riparazioni dell'edificio, che come abbiamo visto era ancora in piedi e non del tutto perduto. Sarebbe ad esempio utile dimostrare in che misura la presenza di Guglielmo (scomparso nel 1214) determinò la fretta o invece la lentezza nell'avvio dei lavori, oppure, come suggerito dalla confusione nella successione degli arcivescovi, quale di questi si adoperò per primo per la riparazione della sua chiesa cattedrale. Di questo edificio e della nuova fase edilizia abbiamo due testimonianze fondamentali: la fonte epigrafe dei picchiotti e la descrizione del padre Jorge Aleo. I picchiotti o battenti bronzei79 , ornati da protomi leonine, ci informano - così come fecero per tutti gli storici che si apprestarono a raccogliere delle notizie sul duomo80 - sul completamento e la riconsacrazione 81 della nostra cattedrale romanica. Rinvenuti nell'Ottocento, conservati in diversi ambienti e oggi col tesoro del duomo, costituiscono un unicum nel patrimonio artistico medievale sardo82 . Una iscrizione percorre in circolo i dischi83: D. SCANO, 1907, pp. 315-319; R. DELOGU, 1953, pp. 164-165, 245-246; R. SERRA, 1989, 139-141; R. CORONEO, 1993, pp. 214-215, sch. 97.
78
Che alimentarono per decenni una rovente questione storiografica, i cui principali riferimenti si trovano in: G. SPANO, BAS, 1864, pp. 165-167; F. C. PABA, 1956, pp. 4-8; R. BONU, 1959, pp. 32-33, nt. 21; O. ADDIS, I borchioni bronzei del duomo di Oristano, in: Archivio Storico Sardo, anno 1964, vol. XXIX, pp. 285-322; R. BONU, 1965, pp. 93-99; O. ADDIS, La Nuova Sardegna, 1966, nn° 131, 157; R. BONU, E a dir Sardegna…; Cagliari, Fossatro, 1969, pp. 91-98; R. BONU, 1973, p. 20-21, nt. 30; magistralmente riassunti in: M. MANCONI DE PALMAS, 1984, pp. 73-76, nt. 2-3. 79
80
Ibidem.
81
S. A. SCINTU, 1873, pp. 38-40.
82 Che ben valse, seppur ormai lontana nel tempo, la notorietà raggiunta grazie alle mostre in tutta Europa - Parigi, Bordeaux, Barcellona - e al catalogo curato da Raffaello Delogu nel 1952, vedi: R. DELOGU, Mostra di antica Arte Sacra, 5-20 settembre 1952, Cagliari, 1952; D. PESCARMONA, Considerazioni in margine ad alcuni problemi offerti in discussione dalla mostra, in: Cultura quattro-cinquecentesca in Sardegna: retabli restaurati e documenti; Cagliari, Soprintendenza, 1984, pp. 58-59; M. PALLOTTINO, Arte in Sardegna; Milano, Electa, 1986, pp. 173-174; R. SERRA, 1990, p. 28.
Se ne da qui nuova trascrizione in quanto quelle proposte finora risultano tutte divergenti. 83
42
AD ONOReM DEI (e)T bEATE MARIE (e)T IVDICIS MARIANI PLACENTINVS NOS FECIT. (e)T COPE[r]TVR[am ecclesie] MCCXXVIII ARChIEPIS[copus] TROGOTORIVS NOS FECIT FIERI ET COPE[r]TURA[m] ECCL[esi]E
Dunque nel 1228, per volontà del giudice Mariano e dell'arcivescovo Torgotorio, il maestro fonditore e forse carpentiere Placentinus, realizzò gli stessi picchiotti (così, probabilmente, i nuovi portali) e la copertura lignea della chiesa84 . Nonostante la lettura dei caratteri risulti tutto fuorché complicata, specialmente nella porzione che accoglie la data, a lungo si ritenne dubbia la collocazione cronologica esatta dei manufatti, tanto da portarla fin sullo scorcio del secolo. Secondo le trascrizioni dei sinodi del Vico (1641-1657), dell'Alagon (1672-1685) e del Masones (1704-1717)85, per tradizione la festa di consacrazione della nostra cattedrale si celebra il 30 di dicembre. In un caso viene precisata anche la data completa, e l'anno è il 1288. Curiosamente, nelle cronotassi compilate dagli stessi arcivescovi, però, viene riportato correttamente il 1228 - desunto dai picchiotti - ricordando l'erezione della chiesa. La data potrebbe risultare da una errata trascrizione della originale pergamena di consacrazione del tempio o di una sua copia, forse conservata in Archivio Capitolare fino al 1649 quando venne celebrato il Sinodo che la ricorda - e oggi perduta. La lettura avrebbe dovuto rimandare al 122886. Il cronista e padre cappuccino Jorge Aleo ci fornisce una ulteriore conferma della corretta lezione del 1228. Nella sua descrizione dell'aspetto seicentesco della cattedrale, contenuta in un volume
84
R. CORONEO, 1993, p. 215.
Le costituzioni dei sinodi sono, rispettivamente, del 1649, 1680 e 1708, vedi: R. BONU, 1959, pp. 108-109, 111, 113-116.
85
86
S. A. SCINTU, 1873, pp. 37-38; M. MANCONI DE PALMAS, 1984, pp. 74-75, nt. 3. 43
manoscritto conservato alla Biblioteca Universitaria di Cagliari87 , si rilevano alcuni tratti della cattedrale romanica. La chiesa ha pianta "in forma di croce" per via dell'innesto del transetto gotico nei primi decenni del XIV secolo88 , ma il corpo longitudinale, risultante ancora dal primo impianto dell'XI-XII secolo, è intatto89 . La descrizione, molto particolareggiata, ci fa sapere infatti che internamente i setti divisori sono ancora dati dalle robuste colonne che reggono l'apparecchio murario e il soffitto a capriate lignee; l'opera, all'interno e all'esterno, è in cantoni calcareo-arenari e trachitico-basaltici disposti a filari alternati, che danno la bicromia 90. Quello descritto dall'Aleo altro non è che il paramento bicromo acquisito dalla cattedrale oristanese sul principio del XIII secolo coi lavori conclusi nel 1228, terminus ante quem accettato anche per altri simili cantieri dell'Arborea91 .
J. ALEU, Sucessos generales de la isla y reyno de Sardeña, vol. II, 1684, vol. II, 1684, c. 971; il passo è stato variamente riproposto. Per i migliori criteri di trascrizione, si riporta M. G. MELE, 1999, p. 224: "[…] Esta Iglesia en su architectura muestra ser obra de Pisanos como la demas Cathedrales de la Isla. Trazeronla espaciosa, alta y capaz en forma de cruz con tres naves que las dividen dos ordinas de colunas de una pleza de piedra muj fuerte, con sus arcos de selleria que sustentan las paredes y el maderaje del texado de la misma Iglesia. Toda la obra dentro y fuera es de cantos quadrados de color blanco colorado y nigro, entraverados con tal arte y prima y que muestra haver sido edificio y obra Real muy vistosa y primorosa […]". Già nella relazione del marzo 1642 dell’arcivescovo Pietro de Vico (1641-1657), illustrata in questo volume da S. Fenu, si legge: “[...] Estque dicta Metropolitana ecclesia insignis et grandis in modum crucis fabricata, chorum a tergo altaris majoris, sacellaque duo a latere dextro habens [...] sinistroque latere duo habet alia sacella, cum multis aliis per totam dispersis ecclesiam sub diversis titulis et invocationibus [...]”. 87
R. DELODU, 1953, p. 223; M. MANCONI DE PALMAS, La cattedrale di Oristano, in: Studi Sardi, nn° 12-13, 1954, 33-69; M. MANCONI DE PALMAS, 1984, pp. 17-37.
88
Anche se, come dimostrano gli studi di R. Cau e S. Fenu nel presente volume, certamente si praticarono delle brecce nel paramento murario medievale per ricavare delle cappelle, almeno a partire dal secolo XVI, unitamente ai lavori già documentati di coro e sagrestie nel secolo seguente, vedi: M. MANCONI DE PALMAS, 1954, pp. 52, 61, nn ° 5-6; M. MANCONI DE PALMAS, 1984, pp. 53-58. 89
90 Numerosi risultano i cantoni e conci squadrati, di taglio romanico, in ambo i materiali, reimpiegati nell’area della cattedrale a cominciare dall’attuale prospetto. 91
R. CORONEO, 1993, pp. 217-218. 44
Dello stesso periodo sono infatti le fabbriche del San Palmerio di Ghilarza, della Santa Sofia di San Vero Milis e del San Paolo di Milis 92. Le maestranze operanti in questi cantieri provenivano dal nord dell'Isola93, e prima ancora dalla Toscana: è infatti al gusto e all'educazione pisano-pistoiese che vanno attribuiti questi interventi architettonici94 . In particolare il San Paolo di Milis, realizzato fondamentalmente in due differenti fasi edilizie, sembra mostrare una certa affinità con la successione di lavori della cattedrale di Oristano: una prima, che interessò le fondazioni e la gran parte della struttura, riferibile alla metà del XII secolo e alle maestranze di Santa Giusta; una seconda, che può individuarsi alle quote alte, realizzata nel primo trentennio del XIII secolo e ascrivibile alle maestranze provenienti da Oristano95 . Allo stesso momento di riqualificazione architettonica risale anche la fase più antica oggi nota del complesso del San Francesco di Oristano, prospiciente la nostra cattedrale. Monumento ben noto per le
R. DELOGU, 1953, pp. 155-168, 245-246; R.SERRA, 1989, pp. 139-141, 367-370; R. CORONEO, 1993, pp. 218-221, sch. 98, 99, 100; entro la prima metà del XIII secolo, altre chiese minori vengono investite dall'attività di queste maestranze o di altre educate nei cantieri fin qui menzionati. Tra queste il Sant'Antonio Abate di Zeddiani, il San Giovanni di Zerfaliu e il San Nicola di Massama; R. CORONEO, 1993, pp. 220, 222-223, sch. 101, 102, 103; anche nel San Pietro vecchio di Solanas, che deve le sue attuali sembianze a interventi operati dal XVI secolo in poi, è evidente una fase romanica nel prospetto, in conci ben squadrati di media pezzatura, alla base in regolare opera bicroma. È mio dovere ringraziare Roberta Pau, che con la sua collaborazione ha reso possibile l’esame di quest’ultimo edificio. 92
Tra le altre chiese in cui intervennero, si ricorda anche il Sant'Antonio di Salvenero; R. DELOGU, 1953, pp. 163-164; R. CORONEO, 1993, pp. 145, 148, sch. 53; e il San Lorenzo di Rebeccu (corsivo mio); R. CORONEO, 1993, pp. 189, 194-195, sch. 92. 93
R. DELOGU, 1953, pp. 147, 150, 155-168; R. CORONEO, 1993, p. 96, 101, 198; viene di consueto portato ad esempio il San Giovanni Fuorcivitas di Pistoia, il cui paramento bicromo risulta realizzato alla metà del XII secolo; M. MANCONI DE PALMAS, 1984, pp. 7-9.
94
R. DELOGU, 1953, pp.164-165; R.SERRA, 1989, pp. 367-368; R. CORONEO, 1993, pp. 218-219, sch. 98.
95
45
sue travagliate vicende edilizie96, grazie ai costanti interventi di restauro e recupero, che si debbono alla volontà dei padri minori conventuali, può vantare oggi alcuni consistenti residui dei fabbricati precedenti. Riaffiora infatti dagli intonaci moderni un tratto in opera bicromia di conci arenari e trachitici, disposti regolarmente nelle murature del chiostro. Si notano interpolazioni gotiche sia coeve al cantiere del primo XIII secolo, sia seriori e riferibili agli ampliamenti della fine dello stesso97. Non conosciamo con precisione la sequenza dei lavori del complesso conventuale, ma è indicativo che nello stesso periodo in cui si decise di rimediare ai danni subiti dalla cattedrale, si approntò anche un nuovo cantiere al San Francesco, forse, addirittura, opere delle stesse maestranze. È quindi lecito immaginare, sul principio del '200, l'area della cattedrale come una vasta e sollecita fabbrica.
V. Le vicende dell'arcidiocesi sul principio del secolo XIII: È giudice d'Arborea Pietro II98, in condominio con Mariano II di Torres 99. Mariano viene solennemente incoronato nella cattedrale di V. ANGIUS, G. CASALIS, Dizionario geografico statistico commerciale degli stati di Sua Maestà il re di Sardegna; Torino, G. Maspero, vol. XIII, 1845, p. 298; G. SPANO, BAS, 1864, p. 169; S. A. SCINTU, 1873, pp. 122-124; R. DELOGU, 1948, pp. 99-131; R. DELOGU, 1953, pp. 209-213; C. M. DEVILLA, I frati minori conventuali in Sardegna; Sassari, Gallizzi, 1958, pp. 268-269; A. S. DEIDDA, L'antico portale del chiostro di S.Francesco in Oristano, in: Biblioteca Francescana Sarda, anno 1987, n° 1, pp. 169-176; R. CORONEO, 1993, p. 268, sch. 149; M. G. MELE, 1999, pp. 54-57; U. ZUCCA, Una rilettura della presenza e ruolo dei frati minori conventuali in Oristano nel periodo giudicale, in: Giudicato d'Arborea e Marchesato di Oristano: proiezioni mediterranee e aspetti di storia locale, vol. II; ISTAR, 2000, pp. 1113-1136; A. PILLITTU, 2003, pp. 31-33; L. PISANU, I Francescani in Sardegna e i rapporti coi Giudici di Logudoro e d’Arborea, in: La civiltà giudicale in Sardegna nei secoli XI-XIII: Atti del Convegno nazionale, fonti e documenti scritti, 16-18 marzo 2001, pp. 175-193; Sassari, Stampacolor, 2002, pp. 175-193. 96
C. M. DEVILLA, 1958, pp. 263, 268; R. CORONEO, 1993, pp. 262, 268, sch. 149; U. ZUCCA, GAMO, 2000, pp. 1113-1136. 97
F. C. CASULA, 1984, p. 382, XXXII, n° 4; F. C. CASULA, 1992, pp. 328-330, lemmi 334-335; figlio dello sfortunato Ugo de' Bas, morto nel 1211, esule a Genova con Giusto. Ugo aveva sposato un'altra figlia del marchese di Massa, cfr. anche: B. BAUDI DI VESME, ASS, 1905, pp. 47, 49-52.
98
99 Già nominato come figlio del giudice Comita e marito di Agnese di Massa, era zio di Pietro II, vedi: S. PETRUCCI, 1988, p. 19; M. G. SANNA, 2005, p. 434; Mariano regna al tempo di Federico II Hohenstaufen (1194-1250), vedi: F. C. CASULA, 1984, pp. 202-203, VI, n° 13; M. G. SANNA, 2002, p. 111.
46
Santa Maria del Regno di Ardara, ormai trentenne; è da considerarsi un saggio e illuminato sovrano, importante per Torres quanto per l'Arborea. Dai picchiotti si ricava, come abbiamo visto, la sua partecipazione alla committenza dei lavori duecenteschi della cattedrale. Mariano aveva, infatti, diritti sull'Arborea: con una scelta lungimirante li mantenne ed esercitò sapientemente cedendo, invece, quelli sul cagliaritano100. Una sua figlia illegittima, Benedetta, sposò una nobile della casata dei Bas, in modo che si proseguissero le politiche matrimoniali dei decenni precedenti101 . Inizialmente schierato con Genova tanto da dichiararsi cittadino ligure col padre Comita nel 1216102, nel 1219 da in moglie la figlioletta Adelasia a Ubaldo Visconti, pisano erede di Gallura, col quale poi ingaggerà guerra103. Prima del 1221 si avvarrà inoltre del vescovo di Sorres per trattare questioni personali presso la Sede Apostolica104 . I territori riuniti sotto il controllo del giudice Mariano risultano ormai di grande interesse per gli attenti potentati europei105. I battenti bronzei riportano però un secondo nome, quello di Torgotorio de Muro, arcivescovo arborense attivo dal 30 ottobre 1224 fino agli anni quaranta o cinquanta dello stesso secolo106 . Successore di Bernardo, sul suo conto si conserva un discreto numero di documenti. Venne traslato da Terralba; per la perduta cattedrale di San Pietro promosse una donazione consigliando il giudice Pietro nel 1232107 . Fu lo
100
M. G. SANNA, 2005, p. 436, nt. 76.
101
F. C. CASULA, 1992, p. 247.
D. SCANO, CDR, vol. I, p. 37, doc. LIII; M. G. SANNA, 2005, pp. 434-436; M. G. SANNA, 2012, p. XXVIII, nt. 31, XLVI, LIX-LXI, nt. 155, 29-33, n° 15.
102
Per le complesse vicende attorno al matrimonio, vedi: D. SCANO, CDR, vol. I, pp. 48-49, docc. LXIX, LXXI; e il sempre puntuale: M. G. SANNA, 2012, pp. XXIX, nt. 32, LXI, LXXIX-LXXX, 54, 65-66, 69-70, 74, 77-78, 82-84, nn° 37, 46, 51, 56, 60, 67, 69; vedi anche: S. PETRUCCI, 1988, p. 34, 42-43, 51; C. PIRAS, Le pergamene relative alla Sardegna nel Diplomatico di San Frediano in Cestello dell'Archivio di Stato di Firenze, in: Archivio Storico Sardo, anno 2009, vol. XLV, doc. I, pp. 53-56. 103
104
M. G. SANNA, 2012, pp. 107-109, n° 102.
105
F. C. CASULA, 1992, pp. 246-248, lemmi 264, 265; F. C. CASULA, 1994, p. 569.
106
R. BONU, 1959, pp. 31-35; M. VIDILI, 2010, pp. 35-37, 72-79.
D. SCANO, Serie cronologica dei giudici sardi, in: Archivio Storico Sardo, anno 1939, vol. XXI, pp. 253-254. 107
47
stesso capitolo arborense a volerlo108. Ma la gavetta alla sede suffraganea non dovette essere la sua unica credenziale: per tutto il XIII secolo appaiono copiose le terre, i possedimenti e i privilegi che lo interessano109, oltre che alcune chiese rurali da lui amministrate110 . Già nel 1224111 , nel documento che sancisce il suo passaggio alla guida arcidiocesana, in un prezioso elenco di chiese arborensi, è nominato il San Palmerio di Ghilarza, che veniva controllato da Torgotorio (e dai suoi predecessori) 112. Nella stessa carta, Onorio III concede all'arcivescovo il pallio e la facoltà di celebrare alcune particolari ricorrenze, tra le quali si ricordano la Natività, la Pasqua, l'Ascensione, Pentecoste e "[…] Tribus festivitatibus Beate Marie, Natali Beati Johannis Baptiste […] Dedicationibus Ecclesiarum, Anniversario consecrationis tue die, et festivitatibus […] ad quas Judex Arbarensi et populus tue provincie consueverunt sollempniter convenire: Ecclesie tue principalibus festivitatibus, Consecrationibus espiscoporum, et Ordinationibus clericorum […]". Si tratta di una testimonianza eccezionale, perché ci informa a proposito delle feste e celebrazioni caldamente e solennemente accolte da popolo e giudice d'Arborea nel primo XIII secolo. Nel marzo del 1235 Torgotorio sceglie di donare la chiesetta di San Marco di Finocleto alla Santa Croce di Pisa113. A ricevere la donazione è Vitale, arcivescovo di Pisa (1217-1252), nominato legato o primate di Sardegna114. L'atto mostra, da un lato, le doti diplomatiche di Torgotorio P. TOLA, CDS, vol. I, pp. 881-882, doc. VI; M. G. SANNA, 2012, pp. 130-131, nn° 121-122.
108
109 Specialmente nel Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, vedi: M. VIRDIS, CSMB, 2003, pp. 90-91 nn° 24, 104-107 nn° 33, 248-253 n° 205; cfr. R. C. RASPI, 1937, pp. 14b-15a [22], 21b-22a [31], 84a-85b [204]. 110
A. PILLITTU, 2003, pp. 27-28.
11 giugno; D. SCANO, CDR, vol. I, pp. 58-69, doc. XC; M. G. SANNA, 2012, pp. 136-140, n° 129.
111
M. MANCONI DE PALMAS, 1996, pp. 35-37; M. MANCONI DE PALMAS, Note introduttive a: M. LICHERI, Ghilarza: note di storia civile ed ecclesiastica, 1900 (Rist. Anast. Amministrazione Comunale, 1998), p. IX. 112
Una volta parrocchiale del villaggio di Nuracabra, vedi: S. A. SCINTU, 1873, pp. 41-42; il documento è rogato in curia archiepiscopatus Arborensis, forse ancora il vecchio palazzo attestato nel 1157 e nel 1189; P. TOLA, CDS, vol. I, pp. 345-346, doc. LIV.
113
Che godrà degli stessi privilegi presso Gregorio IX (1227-1241), benché il pontefice avesse tentato di limitare lo strapotere pisano nell'Isola, vedi: R. TURTAS, 1999, pp. 264-265.
114
48
già accennate, dall'altro l'approccio del tutto favorevole a Pisa; si ricavano così importanti indizi sulle sue personali frequentazioni. Del 1237-38 è un'altra fondamentale serie di strumenti in cui Torgotorio figura come teste primario. Il nostro presule, sempre attento a riconfermare le donazioni e i privilegi alla Santa Maria di Bonarcado115, ospiterà qui il legato pontificio di Gregorio IX, Alessandro. Negli stessi atti compaiono anche altri testi, tra i quali i suffraganei arborensi e i maggiori presuli di Torres 116. Risultano dunque numerosi e costanti i contatti tra questi presuli ancora ai tempi di Mariano II di Torres, che scomparirà nel 1232117 . Per Torgotorio, la sfera di frequentazioni si estende, quindi, dal giudicato di Torres a Pisa, senza trascurare la Sede Apostolica. A riconferma del peso dell'arcivescovo presso i pisani è una nuova richiesta di Gregorio IX, che si rivolge a lui come mediatore per questioni tra il Comune e i signori di Gallura118 . Torgotorio non ha ancora ultimato la sua illustre carriera sotto il nuovo papa Innocenzo IV (1243-1254), quando nel 1243 ha il compito di revocare la scomunica impartita ad Adelasia di Torres e re Enzo, pienamente riabilitati119 ; Adelasia, evidentemente riconoscente, dispone nuove donazioni in favore del monastero benedettino di San Martino di Buelli, esplicitamente sotto consiglio di Torgotorio120. Anche Innocenzo si fida ciecamente di lui, tanto da assegnargli alcune indagini sui matrimoni dei giudici del regno Torres 121. Inoltre dovrà occuparsi di sostituire il vescovo di Sorres, che da poco aveva perso la vista122 . 115 P. TOLA, CDS, vol. I, pp. 342, 349-50, docc. L, LXII; A. SOLMI, Studi storici sulle istituzioni della Sardegna nel Medio Evo, Cagliari, S.S.S., 1917, pp. 415-417. 116 Per la ingente mole di documentazione a riguardo, cfr. i regesti in: D. SCANO, CDR, vol. I, pp. 85-89, docc. CXXXI-CXL; e le trascrizioni in: P. TOLA, CDS, vol. I, pp. 334, 351-358, docc. XLII, LXVI-LXXVII, LXIX, LXXV, LXXVII. 117
S. PETRUCCI, 1988, p. 42; F. C. CASULA, 1992, p. 247, lemma 265.
118
D. SCANO, CDR, vol. I, pp. 89-90, docc. CXL-CXLI.
119
Idem, p. 98, doc. CLI.
120
Idem, pp. 99-101, doc. CLIV.
121 Si accetta qui R. BONU, 1959, pp. 34-35; contestato in M. VIDILI, 2010, pp. 36-37, 79-80; D. SCANO, CDR, vol. I, p. 194, doc. CLVIII.
Medesimo compito avrà per le l'arcidiocesi di Torres e la diocesi di Terralba, alla quale, come abbiamo visto, era legato dal suo primo incarico; Ibidem; D. SCANO, CDR, vol. I, pp. 105-106, docc. CLXI-CLXIII. 122
49
Due anni prima che venisse completato il duomo oristanese, il 13 novembre del 1226, si celebrò nella cattedrale di Santa Giusta il Sinodo o Concilio Provinciale123 . Il luogo venne scelto per ovvie ragioni: l'edificio era l'unico, dopo la cattedrale di Oristano, sia per importanza che per capienza, a poter accogliere un simile evento124 . Ventisette Canoni vennero prescritti in questa solenne occasione, curiosamente in assenza di Torgotorio, che dovette necessariamente presenziare. Non è da escludere che il suo nome non figuri perché dalle carte appaiono evidenti i provvedimenti anti-pisani assunti dal Concilio, al fine di impedire le ingerenze del Comune nelle dispute tra Corte e diocesi125 . Risulta lampante dai documenti fin qui esaminati come Torgotorio ebbe un ruolo determinante nella realizzazione della nuova cattedrale, o meglio, nella riparazione di quella preesistente, più antica ormai di un secolo. I suoi rapporti privilegiati con Pisa gli permisero di ricevere compiti e mandati di grande importanza direttamente dal pontefice, che poteva contare su un uomo fidato. I suoi stretti legami con Torres e col giudice Mariano, per un certo periodo condòmino d'Arborea, non gli resero estranee le nuove chiese consacrate nel nord della Sardegna alla fine del XII secolo, alcune di impianto monumentale e connotate dall'opera bicroma, come la SS Trinità di Saccargia, il San Pietro di Sorres, Il San Pietro delle Immagini di Bulzi e la Nostra Signora di Tergu126 . Torgotorio si avvalse, verosimilmente, delle stesse maestranze operanti in cattedrale per la ricostruzione del San Palmerio di Ghilarza, come già notato dalla Manconi De Palmas 127.
VI. I nuovi frammenti scultorei: Il corpus dei riemersi frammenti scultorei, cui si è accennato per il duomo romanico dell'XI-XII secolo e per il concio con doppio motivo in 123
P. MARTINI, 1840, vol. II, libro VI, pp. 13-27, nt. 1.
124
R. BONU, 1973, p. 19.
R. BONU, 1959, pp. 35-36, nt. 40; R. TURTAS, 1999, pp. 263-264; M. VIDILI, 2010, p. 74, nt. 47.
125
R. DELOGU, 1953, pp. 147-162; R. CORONEO, 1993, pp. 96-101, sch. 20, 119-121, 122-123, sch. 34, 129-131, sch. 37; R. SERRA, 1989, pp. 272-310, 420-422; R. CORONEO, R.SERRA, 2004, pp. 168-195, 202-209. 126
M. MANCONI DE PALMAS, Contributo a una lettura della chiesa di San Palmerio di Ghilarza, in: Quaderni Oristanesi, nn° 37-38, 1996, pp. 29-37. 127
50
facciata, è costituito però in gran parte da elementi riferibili al XIII secolo inoltrato. Molti di questi sono conservati nel vano sette-ottocentesco128 che dalla cappella semicircolare del transetto odierno porta al campanile gotico. Si contano una decina di esemplari, alcuni mutili e consunti ma complessivamente in buono stato di conservazione. Il repertorio è vario e comprende rosette a sei petali - in due frammenti - e in numeri dispari, talvolta umbonate e con corolla multipla, porzioni sparse di un reticolo geometrico, un volatile acefalo e una decorazione fitomorfa identificabile con una palmetta o "albero della vita". Sotto un aspetto esecutivo, i frammenti mostrano una certa relazione di dipendenza non solo formale: ritornano le foglie "corpose" e "carnose"129 già adottate nei plutei e quindi l'ascendenza islamica130 dell'intaglio. Sono tratti noti in Sardegna con ogni probabilità dalla "fine dell'Antichità e l'inizio dell'Altomedioevo" 131, riscontrabili, innanzitutto, nei monoliti di Suelli, Siurgus e Senorbì, datati inizialmente al IV-VI secolo e secondo una nuova proposta di collocazione, ascrivibili al XIII o dubitativamente a un periodo successivo al IX132. La forma a valva delle lamelle, cui si è fatto riferimento per la decorazione che reimpiegò il tralcio del IX secolo, si deve infatti a "reminiscenze tardonatiche" 133, e la
Il vano sembra potersi identificare con la “piccola sacristia per uso dei Domeri” citata nelle risoluzioni capitolari del febbraio 1825, edificata con un costo di 350 scudi, ma la parete interessata dai frammenti fa parte delle strutture settecentesche. Cfr. M. MANCONI DE PALMAS, 1952, p. 67, doc. 24. 128
129
R. SERRA, 1990, p. 17.
R. DELOGU, 1953, pp. 180-187. Per chiarimenti sulla comune matrice di diversi ornatisti, vedi la nota 133. 130
S. C. NOVELLI, Inediti monumenti scultorei della Sardegna centro-orientale: introduzione ai dati tipologico-linguistici, in: Le sepolture in Sardegna dal IV al VII secolo, SʼAlvure, Oristano, 1987, pp. 318-319, 329. 131
M. SERRA, Note su un pilastrino medievale in Trexenta, in: ArcheoArte: Rivista elettronica di Archeologia e Arte; Cagliari, 2010; il raffronto è invece lampante coi monoliti di Tebessa, databili al IV-V secolo e di tradizione "semitica", vedi: S. C. NOVELLI, 1987, pp. 310-319.
132
133 R. CORONEO, 1988, p. 83; Come da tempo assodato, il carattere “popolaresco” dell’intaglio, in singoli elementi che ritroviamo anche nei nostri frammenti e vanno letti nel loro insieme, era di costume fin dal III-IV secolo nei lavori in metallo di officine romane specie orientali - e ampiamente diffusi in tutta Europa. Richiamiamo doverosamente a questo proposito la lezione del Riegl, che dimostrò la continuità di tecniche e repertorio dovute al particolare Kunstwollen degli artisti in epoche differenti. Cfr. A. RIEGL, Industria artistica tardoromana, Firenze, Sansoni, 1953 (rist. 1981), pp. 251-295.
51
stessa induce a datare i frammenti certamente oltre l'XI secolo134. Modi arcaici, evidenti ancora una volta nei plutei135, si accostano al fiore esapetalo, al cordolo attorto che rinserra la corolla di una delle rosette, alla palmetta e al volatile, forse un pavone. Identico repertorio iconografico si scopre nell'ornato architettonico di alcune chiese delle Asturie, e in una moltitudine di frammenti erratici provenienti dall’area di queste e oggi conservati al Museo Arqueológico di Oviedo. Nello specifico appare utile richiamare la decorazione a fasce litiche della Santa Maria Quintanilla de las Viñas, non distante dal centro di Burgos, alternativamente datata tra VII-VIII e - proprio per via dell’ornato, che eluderebbe citazioni tardoantiche - IX-X secolo. L'insieme decorativo è vario: tralci a girali definiti da modanatura attorta custodiscono volatili, alberelli o palmette, racemi d'uva, fiori esapetali e altri motivi fito-zoomorfi e monogrammi. Il rilievo è piatto e schematico, ma il modo di scolpire le caratteristiche sezioni triangolari, detto localmente a bisel, che interessa alcune lamelle, ricorda la prassi esecutiva dei nostri frammenti. La stessa è riferibile anche all'ornato delle affini San Juan de Baños e San Pedro de la Neve. In quest’ultima, la complessa decorazione è opera di due mani differenti: una, plausibilmente coeva alla fase d’impianto, recupera un repertorio geometrico e fitomorfo già locale, né orientale né bizantino, dove i solchi dello scalpello sono profondi e le rosette esapetale e spiraliformi prive di umbone. L’altro, con scene veterotestamentarie nei capitelli, ripresenta motivi della prima con l’aggiunta di volatili tra i girali, analogamente a quanto osservato nella Santa Maria e collocandosi anch’essa attorno al IX o X secolo. Vi è poi il complesso programma decorativo delle chiese del Monte Naranco, dove sono protagoniste le cornici a doppia modanatura attorta. I fregi hanno in questo caso ancora maggiori richiami ai conseguimenti orientali, cosicché rimane problematica la
Ibidem. Vedi anche i confronti con motivi ornamentali su materiali scultorei dell’XI-XII secolo da Smirne, in: D. MOI, Sculture mediobizantine dall’Agorà di Izmir, in: ArcheoArte: Rivista elettronica di Archeologia e Arte; Cagliari, 2012. Un’assodata tesi storiografica vuole la Sardegna, salvo rare eccezioni, esente da diretti influssi “gotonici” nella sue vicende artistiche, che ne mostrano i riflessi unicamente in seguito alla renovatio romanica. Vedi: C. Maltese, R. Serra, Episodi di una civiltà anticlassica, in: Sardegna, Milano, Electa, 1969, p. 197. 134
D. SCANO, 1907, 50-53; R. DELOGU, 1953, 39, 242; C. MALTESE, 1962, pp. 219-220, sch. 5-6; R. CORONEO, 1988, pp. 82, 86-87; R. SERRA, 1990, 15-17, sch. 1. 135
52
rivendicazione di un tramite certo per i prototipi dell’intero repertorio, di matrice omayade o di ascendenza bizantina 136. Il cordolo attorto è di ampia diffusione dal VII-VIII secolo fino al XII, in frammenti di plutei su tutto il territorio nazionale, tra i quali ricordiamo quelli conservati al Museo Lapidario del duomo di Modena. Si ritrova largamente impiegato nelle modanature delle chiese romaniche corse databili al XII-XIII secolo ed è comune in altri frammenti erratici del VIIVIII secolo137 , alla base delle lesene absidali della Santa Maria del Regno di Ardara138, nel pane crociato in un capitello del San Platano di Villaspeciosa139, nelle colonnine che costituivano un falso loggiato ad archetti tra i ruderi della Santa Maria di Paulis 140. È da escludersi un riferimento diretto al nastro intrecciato con fori da trapanatura presente in diversi materiali del X-XI secolo141 e in un capitello di Santa Giusta, già collocato in ambito islamico e riportato in quello pisano142, tra l’altro per via della "sensibilità bizantineggiante"143 , cui i nostri frammenti sono in massima parte estranei. Devo queste puntuali e preziose indicazioni allo stimatissimo prof. Roberto Coroneo, i cui ultimi studi si rivolgevano ormai da tempo anche all’arte delle Asturie. Rimaste inedite le sue ultime ricerche, rimando qui alla sintesi in: S. MELE, Sculture asturiane del IX secolo, in: ArcheoArte: Rivista elettronica di Archeologia e Arte; Cagliari, 2012. 136
R. CORONEO, Le chiese romaniche della Corsica: architettura dallʼXI al XIII secolo; Cagliari, AD, 2006, pp. 37-44, 78, 89-91, 133-134, 147-156, 176; Motivo distintivo, tra l’altro, degli ornati lombardi, non è chiaro se debba ricondursi in questo caso a cifre pisane.
137
La cui fabbrica, conclusa nel 1107, vide operare maestranze pisane che seguivano modi lombardi, vedi: R. DELOGU, 1953, pp. 106-109; R. CORONEO, 1993, p. 55, sch. 9.
138
Di costruttori toscani della seconda metà del XII secolo, che seguivano "temi decorativi di forte continuità altomedievale", vedi: R. DELOGU, 1953, pp. 61-62; R. SERRA, 1989, pp. 42-48; R. CORONEO, Marmi romani e decorazioni romaniche nella chiesa vittorina di S. Platano a Villaspeciosa, in: Studi Sardi, vol. XXIX, anno 1990-91, pp. 387-403; R. CORONEO, 1993, pp. 117, 170-171, sch. 70; R. CORONEO, R. SERRA, 2004, pp. 256-260. 139
Anche se il motivo sembra non potersi ricondurre alle preferenze dell'Ordine Cistercense, cfr. M. C. CANNAS in: AA. VV., Atti del Convegno di studi: I Cistercensi in Sardegna: aspetti e problemi di un ordine monastico benedettino nella Sardegna medioevale, Silanus, 14-15 novembre 1987; Nuoro, Provincia, 1990, pp. 255-256. 140
141
R. CORONEO, 2000, pp. 127-128.
R. CORONEO, La cattedrale di Santa Giusta: architettura e arredi dall'XI al XIX secolo; Cagliari, 2010, pp. 161-178 e bibl. relativa, in particolare: R. DELOGU, 1953, p. 118.
142
143
R. CORONEO, 1988, p. 94. 53
Le rosette, in special modo quelle con umbonatura, riportano però vagamente ai frammenti mediobizantini del cagliaritano144, all’ambito dei quali potrebbe doversi comunque più di un prestito, che rientrerebbe allora tra possibili "antichi moduli ornamentali bizantini"145. Del tutto differenti sono invece quelle a sei petali, inscritte in un esagono, come quella restituibile da un frammento di cancello presbiteriale del San Juan de Baños datato alla metà dell’VIII secolo (o più plausibilmente del IX), che rivelano insieme alle altre tracce di cornice sui lembi, rivendicandone la probabile appartenenza a un architrave o stipite di un perduto ornato architettonico. Il motivo, diffuso in molte regioni del mondo e in diverse epoche146 , si ritrova nei monumenti del romanico sardo, tra gli altri, nel San Pietro di Sorres e nell'affine decorazione del duomo duecentesco di Cagliari147, entrambe predisposte per l'alloggio di tasselli policromi. Sei petali hanno i fiori corsi della cattedrale del Nebbio e del San Michele di Murato148 , quelli, forse non ultimati, protetti dai rombi in facciata nella Santa Maria di Tratalias149 e altri variamente collocati nella Santa Maria di Uta. Imperversa attorno alle rosette l'intaglio cosiddetto a cuneo, teso a colmare il vuoto lasciato dai fregi agli spigoli, analogamente a quanto si faceva nei plutei della Santa Cristina de Lena nelle Asturie, reimpiegati nella chiesa del IX-X secolo ma di datazione controversa. Rimane assente dal nostro corpus la foglia cuoriforme. La palmetta, o arbor vitae che dir si voglia, dove le foglie si generano da bottoncini identici a quelli del frammento in facciata e quindi frutto del lavoro degli stessi scalpellini, è tratta anch'essa da repertorio orientale, a riconferma di presupposti iconografici di 144
R. CORONEO, 2000, p. 226.
Comprendenti le già discusse caratteristiche dell’intaglio e elementi iconografici, vedi: M. C. CANNAS, 1992, p. 202.
145
La rosetta è frequentemente impiegata nell’arte medievale e simboleggia l’armonia celeste (Cristo); il cerchio (o la ruota) esprimono il concetto dell’eternità e del divino nella sua perfezione, vedi: M. M. DAVY, Il simbolismo medievale, Ed. Mediterranee, 1988, p. 195; G. HEINZ-MOHR, Lessico di iconografia cristiana; Milano, IPL, 1995, p. 300. 146
D. SCANO, 1907, p. 150; R. DELOGU, 1953, pp. 167-168, 256-257; C. MALTESE, 1962, p. 201; R. SERRA, 1989, p. 131; R. CORONEO, 1993, pp. 96-97, 101, 212-213; R. CORONEO, La cattedrale di Santa Maria di Castello a Cagliari: sculture della facciata romanica, in: Medioevo, l'Europa delle Cattedrali: Atti del Convegno internazionale, Parma 19-23 settembre 2006; Milano, Electa, 2007 (2). 147
148
R. CORONEO, 2006, pp. 151, 154-156.
149
R. CORONEO, 1993, pp. 197-199, sch. 93. 54
derivazione sasanide, diffusi in occidente a partire dal V secolo. Il motivo ricompare accanto a rosette con cordolo nell'architrave del palazzo ayyubide a Shawbak, in mostra al Palazzo Pitti di Firenze nell'anno 2009150 . Ritorna anche nei citati pilastrini di Suelli151 e ancora una volta in sporadici frammenti del sud dell'Isola 152. Così il volatile, plausibilmente un pavone, oggi acefalo, la cui iconografia viene più ampiamente sfruttata, come quella dell’albero della vita, tra X e XI secolo, rimanda a simboli d'immortalità e risurrezione153. È allora d’obbligo un ultimo riferimento ai frammenti di pluteo dal San Miguel de Liño, con albero della vita, grifo e tralcio a girali includente rosette, realizzato con abbondante impiego dell’intaglio a cuneo. Non esente da problemi di collocazione cronologica, sembra, proprio per gli elementi citati, ascrivibile al X secolo inoltrato154 . Intagli geometrici formanti reticoli a punta di diamante155 si ritrovano nei materiali scultorei della riedificata cattedrale di San Pietro di Terralba156, "estrema semplificazione dell'ornato classicista a nastro intrecciato", identici a quelli rilevabili nell'architrave del San Michele di Siddi157 . Anche un concio nel prospetto del San Lussorio di Selargius reca inciso lo stesso motivo158 . Un ultimo frammento, forse il più notevole anche per stato di conservazione, presenta una porzione di tralcio a girali culminanti in Per una visione dʼinsieme della mostra del luglio/ottobre 2009 a Palazzo Pitti a F i r e n z e : h t t p : / / w w w. f r o n t i e r a r c h a e o l o g y. e u / m o s t r a / i n d e x . p h p ? option=com_content&view=article&id=6&Itemid=3&lang=it; http://www.eosarte.eu/? p=7723
150
151
S. C. NOVELLI, 1987, p. 290.
152
R. CORONEO, 2000, pp. 140-143, 224.
153
R. CORONEO, 1989, p. 139; R. CORONEO, 2000, pp. 139-140.
154
Vedi la nota 136.
Per il motivo, che possiamo davvero ritenere senza tempo, si vedano il cit. A. RIEGL, 1981, pp. 290-297; H. FOCILLON, L’arte dell’Occidente, Torino, Einaudi, 1987, pp. 76-78.
155
156 D. SALVI, Capitelli di età romana nella cattedrale di Terralba, in: Quaderni Oristanesi, nn° 17-18, Settembre 1988, pp. 43-45; R. CORONEO, 1988, pp. 93-94; R.SERRA, 1989, p. 148. 157
Della seconda metà del XII secolo, cfr. R. CORONEO, 1993, p. 246, sch. 134.
Idem, p. 177, sch. 73; delle incisioni preparatorie per motivi geometrici, predisposti per un ornato architettonico mai realizzato, possono osservarsi in conci del prospetto del San Salvatore di Sestu, cfr. Idem, p. 175, sch. 71.
158
55
lamelle - sempre realizzate dalla stessa équipe -, il cui stelo è percorso da fori da trapanatura; si tratta del relitto di un'architrave, stipite o cornice159 . Il dettaglio dei fori si ritrova, ancora una volta nel XIII secolo, nei capitelli della Santa Maria di Uta, dove se ne fa largo impiego per descriverne le volute160 , forse allo scopo di alloggiarvi dei tasselli policromi o di ricavare un preciso solco. La vicinanza all'architrave della cattedrale di Cagliari, datata alla prima metà del XIII e di scuola "neobizantina" pisano-lucchese161 è solo approssimativa e non sembra possibile prenderla in considerazione. Vi è, nel vasto panorama del romanico sardo, un edificio che conserva e condensa, in realtà, tutti gli elementi fin qui descritti. Fiori esapetali racchiusi in un circolo - perfino in una sinopia rossastra che riprende gli esempi scolpiti -, rosette umbonate talvolta con doppia corolla, palmette o alberelli, motivi stellari e a intaglio geometrico a cuneo (alcuni reimpiegati nell’attuale base d’altare maggiore), tutti ricavati nella pietra arenaria e tufacea, costituiscono - a dire il vero insieme a ulteriore profusione di figure zoo-antropomorfe - la decorazione architettonica della cattedrale di San Pantelo di Dolianova. La rispondenza nel repertorio, nei moduli e nella tecnica d'esecuzione, attribuibile all'ornatistica di quel gusto genericamente definito islamico, è sorprendente162. La seconda fase edilizia della chiesa, che interessò l'incessante definizione degli archetti pensili, può circoscriversi con precisione grazie a fonte epigrafica, collocando i lavori tra il 1261 e il 1289163 . La fabbrica del San Pantaleo conobbe l’azione di maestranze “formatesi in ambiente mediterraneo” combinare “elementi di sostrato L’andamento del tralcio rievoca quello del motivo fitomorfo nelle cornici di numerose chiese gotiche dell’Isola edificate tra la fine del XIII e il principio del XIV secolo, nei modi e nei tipi che dobbiamo all’arrivo dei francescani. Lo troviamo infatti nel transetto della cattedrale di Cagliari come, presso Iglesias, nella cattedrale di Santa Chiara e nella Santa Maria di Valverde. Compare anche, nella variante con cordoncino, nel vasto repertorio del San Pantaleo di Dolianova, nei capitelli d’imposta dell’arco frontale dell’abside. In nessuno di questi casi compaiono fori da trapanatura, e tutti - meno il nostro - generano le foglie da un raccordo.
159
R. CORONEO, A. PISTUDDI, Per il Catalogo della scultura architettonica in Sardegna: i capitelli di S. Maria di Uta (Ca), in: Archivio Storico Sardo, Vol. XLI, 2001, pp. 370, 375-376, sch. 1, 2. Trapanature vengono impiegate anche nella definizione dei motivi geometrici nelle decorazioni all’esterno dell’edificio.
160
161
R. SERRA, 1990, pp. 17, 22.
R. DELOGU, 1953, pp. 180, 182, 187; R. SERRA, 1989, p. 108; M. C. CANNAS, 1991, p. 200; R. CORONEO, 1993, p. 206-206, sch. 95.
162
163
Ibidem. 56
islamico” e “dati toscani di ceppo lombardo”164 affiancarsi a scalpellini “di prevalente cultura occidentale [...] in contatto col cantiere della primaziale pisana” 165. Oristano dovette quindi conoscere la medesima "sintesi originale" operata da questi costruttori, risultato non infrequente in Sardegna166. A questo punto viene da chiedersi se i frammenti, più che al 1228, non debbano accostarsi alla seconda metà del secolo, e se, di conseguenza, non debbano attribuirsi a qualche edificio compreso nella riqualificazione architettonica e urbanistica del munifico Mariano II de' Bas-Serra167 , giudice d'Arborea (1241-1297), celebre per aver innalzato le mura tardoduecentesche della città168 e per aver presenziato alla riconsacrazione di chiese quali il San Pietro di Zuri e lo stesso San Pantaleo di Dolianova, dove lavorarono alcuni degli scalpellini provenienti dalla Santa Maria di Bonarcado, ampliata nel 1242-1268169. Un documento del 1282170 , il primo rogato nel Palatio novo Archiepiscopatus Arbaree, del quale non si sono conservate le sembianze medievali, mostra tra i testi dompno Gonario de Milii episcopo Dolliensi, proprio nel momento in cui la cattedrale di Dolia era ancora in costruzione. Appare altresì utile ricordare che alcuni frammenti sono riemersi in un tratto del paramento murario ottocentesco della cappella dell’Immacolata, opera dell'architetto Giuseppe Cominotti, ultimata nel 1834 per volontà dell'arcivescovo Giovanni Maria Bua (1773-1840). Venne realizzata in sostituzione dell'Oratorio delle Anime e di alcuni ripostigli e depositi della cattedrale, le cui fondazioni risultavano
164
R. DELOGU, 1953, p. 180; R. CORONEO, 1993, p. 202.
165
M. C. CANNAS, 1991, p. 201 e nt. 5.
166
R. CORONEO, 1988, p. 88.
F. C. CASULA, 1992, pp. 328-336, lemmi 335, 336, 337, 338, 339; F. C. CASULA, 1984, p. 383, XXXII, n° 6; per la figura di Mariano d'Arborea e i suoi rapporti con Pisa, si vedano i tratti fondamentali raccolti in: S. PETRUCCI, 1988; in particolare pp. 106-117, 142-145, 152-158.
167
F. FOIS, Le mura e le torri medioevali di Oristano: contributo alla storia delle fortificazioni in Sardegna; Valencia, Artes Graficas, 1969; R. CORONEO, 1993, p. 293, sch. 176; M. G. MELE, 1999, pp. 63-119.
168
169 R. DELOGU, 1953, pp. 180-183, 184-188; R. CORONEO, 1993, pp. 103-107, sch. 21, 22, 198, 202, 204-207, sch. 95; R. CORONEO, GAMO, ISTAR, 2000, pp. 463-487. 170
D. SCANO, CDR, vol. I, doc. CDLXI, pp. 324-333. 57
precarie171. Secondo le indiscrezioni del Can. Raimondo Bonu, un considerevole tratto di terreno pertinente l'orto dei minori conventuali, venne acquistato poco prima allo scopo di edificarvi la nuova cappella; in questo luogo sorgeva l'ossario "del contiguo cimitero che si estendeva lungo la parte meridionale della cattedrale” che “viene chiamato tuttora su cimitoriu" 172. La dimensione media dei frammenti, in parte mutili ma con un'ampiezza compresa tra i 15 e i 50 cm, rimanda all'apparato scultoreo del partito architettonico dell'edificio romanico, giustificato tra l'altro dalla scelta dei materiali (arenaria e non marmo, impiegato invece prevalentemente nell'arredo liturgico), grazie ai quali si può ipotizzare la presenza di una vera e propria officina che operava in loco. A quale degli edifici dell'area - tutti investiti da una fase duecentesca - faccia riferimento la maggior parte dei frammenti, non è dato sapere con certezza173 . Secondo i più recenti metodi di analisi del frammento scultoreo 174, è possibile rilevare in alcuni casi l'impiego di pattern per la realizzazione di motivi mediante semplici modelli geometrici. In altri che avrebbero dovuto seguirlo, sembra invece essere stato abbandonato durante l'applicazione del disegno, in coincidenza con libere citazioni iconografiche. Nel caso dei frammenti con tralcio a girali, non si esclude
G. PAZZONA, Il contributo architettonico dell'architetto Giuseppe Cominotti nella fabbrica del Seminario Arcivescovile di Oristano, in: Il Seminario Arcivescovile di Oristano: Studi e ricerche sul Seminario (1712-2012), vol. I; Edizioni l'Arborense, 2013, pp. 335, 338-343; A. PILLITTU, 2003, pp. 143-147; M. MANCONI DE PALMAS, 1984, p. 81, nt. 38.
171
172
R. BONU, 1973, pp. 34-35, nt. 75.
173 Allo stesso periodo va probabilmente ascritto il frammento calcareo-arenario reimpiegato nella cappella Est del transetto gotico, assicurato al fonte battesimale settecentesco in marmi policromi che oggi occupa, monumentale, quasi l'intero vano. Variamente collocato cronologicamente, ha evidenti relazioni con la tecnica d'esecuzione degli altri relitti e somiglia, benché maggiormente curato plasticamente, a un peduccio nella zona absidale della cattedrale di San Pantaleo di Dolianova; M. MANCONI DE PALMAS, 1984, pp. 37, 43, foto 45; P. GAVIANO, Il sepolcro dei giudici d'Arborea in Sab Bartolomeo, cappella gotica della Cattedrale di Oristano, in: Chiesa, potere politico e cultura in Sardegna dall'età giudicale al Settecento: atti del II convegno internazionale di studi, Oristano 7-10 dicembre 2000; ISTAR, 2005, p. 286.
A. RUGGIERI, Strumenti e tecniche di progettazione nella bottega dello scultore medievale, in: Ricerche sulla scultura medievale in Sardegna, vol. II, a cura di R. CORONEO, Cagliari, AV, 2009, pp. 58-62. 174
58
la possibilità che sia stata applicata la sezione aurea, come già dimostrato per altri contesti175.
VII. Limiti cronologici certi per la datazione dell'ultimo intervento architettonico medievale: Sul principio del XIV secolo i documenti riguardanti l'Arborea e la storia medievale della Sardegna aumentano notevolmente 176. Si articola un periodo di particolare complessità politica e amministrativa, che abbraccia anche la sfera ecclesiastica; gli arcivescovi dei primi decenni del secolo si succedono a intervalli, spesso, di pochi mesi177 . Per la necessità di contenere questo contributo nel consono spazio che gli è stato assegnato (e del quale ha già usufruito in larga misura)178, si procederà ora per date, elencando i principali limiti utili forniti dal riesame della documentazione edita, rapportati alla fabbrica del transetto gotico della cattedrale di Santa Maria Assunta, realizzato entro la prima metà del secolo XIV179. 1292 - Dall'opera di trascrizione settecentesca del Campion del conbento de San Francisco de Menores Claustrales desta Ciudad de Oristan180 , si deduce che "[…] el Combento de S. Francisco […] desta Ciudad Orestani este fundado desde el 1292", ovvero que son hasta el
R. CORONEO, La scultura altomedievale in Sardegna: dal frammento al contesto, ivi, p. 24.
175
176 Si veda ad esempio il materiale regestato in: F. C. CASULA, La cancelleria di Alfonso III il Benigno re d'Aragona: 1327-1336; Padova, CEDAM, 1967; F. C. CASULA, Carte reali diplomatiche di Alfonso III il Benigno, re d'Aragona, riguardanti l'Italia; Padova, CEDAM, 1970; L. D'ARIENZO, Carte reali diplomatiche di Pietro IV il Cerimonioso, re d'Aragona, riguardanti l'Italia; Padova, CEDAM, 1970. 177
M. VIDILI, 2010, pp. 39-40.
Il quadro storico-artistico del momento, già esaminato, verrà restituito in uno studio di prossima pubblicazione.
178
R. DELOGU, 1953, pp. 222-227, 247; M. MANCONI DE PALMAS, 1954, pp. 33-69; M. MANCONI DE PALMAS, 1984, pp. 17-37; R. CORONEO, 1993, pp. 214-215, sch. 97. 179
M.s. cartaceo di pp. 155, rilegato in pergamena, conservato nell'archivio del convento oristanese, raccoglie testimonianze dal 1462 al 1709, vedi: C. M. DEVILLA, 1958, p. 263, nt. 18.
180
59
presente 424 años181. La data non riguarda certo la fondazione, poiché i minori conventuali sono documentati in città almeno dal 19 ottobre 1253, alla redazione del testamento di Gottifredo di Pietro d'Arborea182 , ma la riconsacrazione della nuova chiesa183 , edificata in forme gotiche e infatti correttamente ascrivibile, all'analisi dei suoi resti, al terzo quarto del XIII secolo184. La chiesa sorge dunque negli stessi anni del San Francesco di Stampace, i cui terreni predisposti al cantiere vennero acquistati nel 1274185 . Le sembianze del convento e della chiesa oristanesi, dei quali sussistono ancora cospicui residui186 , denunciano l'intervento di maestranze cistercensi provenienti dalla penisola italiana e considerevolmente influenzate dalla maniera francese187 . Lo schema planovolumetrico adottato è quello dell'aula mononavata che si innesta perpendicolarmente a un transetto con cappelle presbiteriali quadrangolari; questi valori verranno messi in pratica anche nel transetto della cattedrale. Tra le particolarità "monastiche" annoveriamo anche il lavabo con centina archiacuta o triloba, presente a Cagliari quanto a Oristano.
181
Ibidem; U. ZUCCA, GAMO, 2000, pp. 1115-1117.
P. MARTINI, 1840-41, vol. II, libro VI, p. 67, nt. 1; vol.III, p. 450; M.s. delle Carte Baylle, conservato presso la Bibl. Univ. di Cagliari, Portafoglio V, f. 8, 546; già nota in: A. MELIS, Storia politica, religiosa, civile di Arborea: ripartita in tre volumi; Stab. Tip. Rosario Pascale, 1929, vol. I, pp. 64-65; ed edita in: F. ARTIZZU, Un inventario dei beni sardi dell’Opera di Santa Maria di Pisa (1339), in: ASS, anno 1961, vol. XXVII, pp. 115-128; F. ARTIZZU, 1973, pp. 27-38; B. FADDA, ASS, XLI, 2001, pp. 100-108, docc. XXII-XXIII; il documento è raccolto anche in appendice a: C. M. DEVILLA, 1958, pp. 584-587; Gottifredo vive sobriamente nonostante la sua posizione sociale, se ne parla, in speciale riferimento allo spoglio dei beni, in: J. DAY, 1987, pp. 137-139, 148; sui francescani in Oristano, vedi anche: L. PISANU, 2002, pp. 190-193. 182
183
Ibidem; G. G. ORTU, 2005, p. 221.
184
R. DELOGU, 1953, pp. 210-213; R. CORONEO, 1993, p. 268, sch. 149.
Ibidem; D. SCANO, Avanzi e ricordi in Cagliari di un insigne monumento francescano, in: Palladio: Rivista di storia dell'architettura; Hoepli, 1938, p. 1; C. M. DEVILLA, 1958, pp. 221-223; R. SERRA, 1989, p. 114.
185
186
U. ZUCCA, ISTAR, 2000, pp. 1113-1136.
R. DELOGU, Architetture cistercensi della Sardegna, in: Studi Sardi, anno 1948, vol. VIII, pp. 99-131; R. DELOGU, 1950, pp. 562-575; R. DELOGU, 1953, p. 211.
187
60
1324-1326 - Vengono ultimati il santuario di Bonaria188 e il nuovo transetto della cattedrale di Cagliari, già iniziato in forme pisane ancora legate alla tradizione romanica e completato dagli aragonesi con una cappella a pianta poligonale, su modello dell'abside della nuova chiesa catalana189 . Similitudini tra il transetto della Santa Maria di Castello e il nostro si incontrano, formalmente, nelle lesene a fasci di semicolonne, negli archetti terminali a doppia ghiera (che seguono la modanatura delle lesene) e in parte dei capitellini che le generano, con decoro fitomorfo a foglia d'acanto (in un caso a foglia d'acqua) o con racemi liberi. La speciale qualità prima del repertorio e poi del nobile marmo oltre che dell'esecuzione - adottati per l'ornato del transetto cagliaritano sono ben lontani dal potersi assimilare a quelli impiegati a Oristano. Ciò significa che nella nostra capitale si operò medesima sintesi190 tra novità gotica e persistenza romanica, ma "troppo tenue motivo"191 appare per dover ammettere una imprescindibile dipendenza dalle maestranze della Santa Maria di Castello, forse le stesse del S.Francesco di Stampace192. La vicinanza tra le due costruzioni riguarda nello specifico il lato Sud del transetto di Cagliari - ovvero quello "aragonese", realizzato per ultimo - e alcune delle decorazioni residue a Oristano. A un'attenta analisi, però, questo risulta, esternamente, pesantemente corrotto e risarcito, probabilmente in occasione dei lavori che liberarono la celebre bifora dalle murature della dispensa dell'episcopio, nel 1912193. Altrettanto può dirsi di alcuni elementi delle cappelle cagliaritane, in particolar modo di quella detta "pisana". La volta a costoloni di questa, poi, nasce da peducci che terminano in semicolonne interrotte, mentre le nostre volte sono generate da peducci con ricca decorazione fito-zoo-antropomorfa. Le cornici di coronamento all'esterno della tribuna, a Cagliari, sono definite R. SERRA, Il santuario di Bonaria in Cagliari e gli inizi del gotico catalano in Sardegna, in: Studi Sardi, anno 1957, vol. XIV-XV, pp. 333-354; F. S. PULVIRENTI, A. SARI, Architettura tardogotica e d'influsso rinascimentale; Nuoro, Ilisso, 1994, pp. 17-19, sch. 1.
188
189 R. DELOGU, 1953, pp. 219-222; R. CORONEO, 1993, pp. 202, 212-213, sch. 96, 214-215; F. S. PULVIRENTI, A.SARI, 1994, pp. 20-21, sch. 2; R. CORONEO, 2006 (2), pp. 122-130; D. ANEDDA, 2012, pp. 5-34. 190
R. DELOGU, 1953, p. 224.
191
M. MANCONI DE PALMAS, 1984, p. 29.
R. DELOGU, 1953, p. 220; R. SERRA, 1989, p. 114; R. CORONEO, 1993, p. 267, sch. 148; R. CORONEO, R. SERRA, 2004, p. 305; R. CORONEO, 2006 (2), p. 124.
192
193
M. MANCONI DE PALMAS, 1984, p. 70; A. MELIS, 1924, p. 23. 61
dalla successione di motivi di ripresa classicista e da tralci continui, come in Sardegna si ritrovano in chiese di matrice francescana, edificate tra la fine del secolo XIII e il principio del successivo194, in questo caso desunte dall'esempio di Stampace. I modelli francescani influenzarono, quindi, i cantieri di entrambe le città, anche se a Oristano sono riconoscibili quasi esclusivamente gli schemi planovolumetrici. Il Delogu ricavò per primo questi dati195. 1330 - 20 giugno: Un documento di recente acquisizione196 ci informa sulle disposizioni del re d'Aragona Alfonso IV (1327-1336) in merito alla raccolta dei proventi per il "felice viaggio di Granada"197. Lo scrivano e cancelliere del re, Clemente de Salavert, ha il compito di distribuire una cassa di legno con sistema di serrature in ogni chiesa parrocchiale e cattedrale dell'Isola, così da farvi confluire i contributi. Il processo si estende naturalmente alle maggiori città, ricordando con precisione il duomo di Cagliari e Sassari. Per Oristano, strettamente legata in questo momento alla Corona198 , viene però scelta la esgleya dels frares menors, ovvero la chiesa di San Francesco. In questo momento è arcivescovo il domenicano Guido Cattaneo (1312-1339), da lungo tempo in rotta con i francescani199. Cattaneo godeva della massima fiducia sia presso la Sede Apostolica che presso il re, dove era considerato - e riconosciuto ufficialmente - consigliere e membro della sua famiglia200. Benché il San Francesco risulti luogo di fondamentale importanza per il
Ad esempio, nella Santa Maria di Betlem di Sassari o nelle chiese di Santa Maria di Valverde, San Saturno e nella cattedrale di Santa Chiara di Iglesias, cfr. R. DELOGU, 1953, pp. 196-197, 215-219, 236; R. CORONEO, 1993, pp. 270, 274-275, sch. 156, 157, 158.
194
195
R. DELOGU, 1953, p. 223.
R. CONDE Y DELGADO DE MOLINA, Codice diplomatico di Guido Cattaneo; Oristano, ISTAR, 2012, doc. 55, pp. 154-157. 196
Si tratta della spedizione contro Granada e Genova, cfr. Idem, doc. 68, pp. 176-179; 18 dicembre 1332.
197
F. C. CASULA, 1990, pp. 134-138; F. C. CASULA, 1992, pp. 342-345, lemmi 345, 346; A. ERA, Ugone II d’Arborea governatore generale dei sardi, in: Atti del IV Congresso internazionale di studi sardi; Cagliari, P. Valdes, 1962, pp. 105-113. 198
M. VIDILI, 2010, pp. 46-47; R. CONDE Y DELGADO DE MOLINA, CDGC, 2012, docc. 45, 46, 47, 52, 53, pp. 134-141, 148-153.
199
200
Idem, doc. 21, pp.92-95 e segg. 62
potere giudicale nel XIV secolo201, non appare il luogo più appropriato per conservarvi la cassa (la scelta è infatti del re e non del giudice), ma certamente l'unico a disposizione, secondo solo alla cattedrale, che in quel momento doveva risultare ancora in costruzione. Simile indizio, indirettamente, potrebbe ricavarsi da un documento del 3 aprile 1307, rogato in apotheca domus magnificorum virorum dominorum judicum Arboree202 e non in una casa privata, in cattedrale o in altra cappella. Si tratta dell'atto con cui Bindo Porcacchia, patrono dell'Allegranza, restituisce una somma di denaro a Tingo di Gufa203. 1335 - 4 aprile (1336, computo pisano): Ugone II de' Bas Serra, Giudice d'Arborea (1321-1335), detta il suo testamento alla presenza degli uomini che nella massima fiducia lo hanno accompagnato in una vita illustre204. Due giorni più tardi risulta deceduto, come si ricava dalla lettera del principe Pietro III (1335-1347) al re Alfonso IV d'Aragona205. Il passaggio determinante ai fini della nostra ricerca, recita: "[…] iudicamus corpus nostrum apud ecclesiam Beate Marie civitatis nostre Arestanni sepellindum in sepulcro in et ubi antecessores sunt soliti sepelliri intus si capella nostra Sancti Bartholomei que modo hedificatur tunc completa non fuerit, sed si completa fuerit volumus corpus nostrum sepelliri in predicto sepulcro anticorum nostrorum quod volumus et mandamus reponi in dicta nostra capella […] juxta ecclesiam Beate Marie Virginis nostre civitatis Arestanni […]"206 P. TOLA, CDS, Vol. I, doc. CL, p. 829; R.C.RASPI, Ugone III d’Arborea e le due ambasciate di Luigi I d’Anjou; Il Nuraghe, 1936; A. BOSCOLO, Medioevo Aragonese; Padova, CEDAM, 1958, p. 20; M. G. MELE, 1999, pp. 135-142.
201
202 F. ARTIZZU, Documenti inediti relativi ai rapporti economici tra la Sardegna e Pisa nel Medioevo; Padova, CEDAM, 1961-1962, pp. 90-91, doc. 56; riedito in: B. FADDA, ASS, XLI, 2001, pp. 184-185, n° LII.
Sulla falsariga di questa osservazione e di non dissimile documentazione, sembra di poter descrivere nuovi limiti anche per il transetto di Cagliari. Anche per queste acquisizioni sarà necessario attendere futura occasione di divulgazione.
203
F. C. CASULA, 1990, pp. 134-162, 219-225; F. C. CASULA, 1992, pp. 343-345, lemma 346; il documento, ricavato da una trascrizione del XV secolo, si trova in: P. TOLA, CDS, vol. I, doc. XLVIII, pp. 701-708. 204
205
13 aprile 1335; F. C. CASULA, 1970, doc. 501, p. 281.
Si accetta qui la lezione in M. G. MELE, 1999, p. 225, per i moderni criteri di trascrizione del più recente esame del documento.
206
63
Il passaggio ha costantemente rinfocolato la storiografia207 in merito alle sepolture della famiglia giudicale dei Bas, che certamente esistettero in cattedrale, come provano non solo il testamento di Ugone, ma il lastrone mutilo di reimpiego con porzione di cornice e stemma aragonese e l'arcosolio a centina ogivale ancora presenti nella già citata cappella Sud del transetto208 . La prima ad osservare come la collocazione della cappella di San Bartolomeo dovesse risultare poco probabile all'interno della cattedrale fu la Manconi De Palmas209, che notò l'incongruenza nell'uso dei termini juxta e apud, l'uno in riferimento alla posizione esatta della cappella, l'altro alle spoglie di Ugone. La studiosa pensò di identificarla con l'Oratorio delle Anime, anche se uno dei motivi che spinsero alla sua demolizione negli anni '30 del XIX secolo fu proprio - pare - l'assenza di una vera cappella al suo interno210. La lezione sembra confermata dall'esistenza di una chiesa o cappella di San Bartolomeo, citata come luogo di sepoltura attorno al XVII secolo 211. Le parole di Ugone, come abbiamo visto, sembrano abbastanza chiare in proposito. Nel caso in cui la cappella di San Bartolomeo non fosse ultimata (e non poté esserlo perché Ugone morì il giorno successivo alla redazione del testamento), chiede di essere sepolto accanto agli altri giudici, in cattedrale, che di conseguenza doveva essere perfettamente in grado di accogliere i suoi resti mortali e le solenni celebrazioni per gli estremi onori. Ugone non avrebbe mai disposto coscientemente nel suo testamento che le celebrazioni si tenessero in un edificio incompleto, che avrebbe, oltretutto, necessitato di una nuova cerimonia di consacrazione. Vi sono quindi due alternative: o il transetto era stato realizzato entro l'aprile del 1335 212, o il cantiere non era ancora stato approntato. Se la prima ipotesi appare la più verosimile, d’altra parte la recentissima acquisizione di un documento di
V. ANGIUS, G. CASALIS, vol. XIII, 1845, p. 296; G. SPANO, 1864; O. ADDIS, 1964; R. BONU, Foresadu e Gosinu: tra terrazzano e cittadini di Sardegna; Cagliari, Fossatro, 1965, p. 30 nt. 20; P. GAVIANO, 2005, pp. 249-293. 207
208
M. MANCONI DE PALMAS, 1984, pp. 21, 33.
209
Idem, p. 81, nt. 38.
210
G. PAZZONA, 2013, p. 339.
211
In documenti inediti studiati nel presente volume da S. Fenu, cui si rimanda.
212
R. DELOGU, 1953, p. 225. 64
capitale importanza213, rivela come già nel 1572 vi fosse una cappella dedicata a San Bartolomeo non in prossimità della cattedrale, ma al suo interno, insieme ad altri dodici altari consacrati. Dallo stesso inventario del XVI secolo ricaviamo la presenza di un’altare dedicato alla Madonna del Rimedio - presumibilmente già cappella - dove si trova oggi, ovvero a destra dell’altare maggiore, come confermato anche dalla citata testimonianza dell’arcivescovo Vico214 e da altri atti, più precisi, del XVII secolo215 . Su una delle cappelle del transetto godeva dei diritti di patronato la famiglia Pintolino. Di questa famiglia conosciamo il Giovanni Sanna Pintolino sepolto, come attesta l’epigrafe 216, nel 1626 nel luogo in cui venivano conservate le reliquie di Sant’Archelao, di recente traslate in cattedrale. Di conseguenza la cappella doveva avere precedentemente altra intitolazione. Grazie al Vico sappiamo che il Santissimo Sacramento era conservato nella cappella accanto a quella di Sant’Archelao; nel vano dietro l’attuale fonte battesimale, che risparmia la parete sinistra di questa cappella, il cui spazio è oggi in massima parte occupato da quella del Santo Crocifisso, troviamo una rientranza compatibile con le dimensioni dell’epigrafe del Pintolino. Conosciamo dunque le vicende legate ad almeno tre delle quattro cappelle del transetto, oltre che, per la presenza dell’altare a San Bartolomeo elencato non distante dalle stesse, la certa relazione tra i lavori di innesto del transetto gotico e le volontà del giudice. Che dobbiamo all’instancabile e meticolosa opera di ricerca condotta dal Dott. Raffaele Cau, che tra le pagine di questo volume renderà noto uno dei più importanti documenti mai venuti alla luce in merito all’antiqua facies della Cattedrale. Siamo ben lungi dalla ricostruzione dell’edificio operata in forme barocche nel primo Settecento, così come dal devastante episodio del 1637, raccontato in queste pagine dal ricercatore Enrico Correggia. Le ricostruzioni fin qui citate e proposte, non tengono conto infatti dell’aspetto dell’edificio in un diaframma temporale che dal XIV secolo si estende fino alla situazione attuale. In questo notevole frangente, che interessò tra l’altro la vita marchionale della città, dobbiamo immaginare alcune delle importanti cappelle scomparse sfoggiare volte a crociera con costoloni semplice o stellata, realizzate secondo modalità costruttive ben note nell’Arborea e in Oristano. Documenti editi rendono nota l’attività edilizia del primissimo XVII secolo nei cantieri del San Domenico e del San Martino di Oristano; nel secondo caso conosciamo perfino i nomi degli scalpellini e il modello sul quale dovettero impostarsi i progetti: due cappelle esistenti presso il complesso di San Francesco, con volte pentagemmate, analogamente a quanto accadeva a Stampace. Vedi: A. PILLITTU, 2003, pp. 203-206.
213
214
Vedi nota 87.
Anche per questi si rimanda al lavoro di S. Fenu nel presente volume, cui devo la segnalazione dei docc. citati in seguito.
215
216
L’epigrafe è stata trascritta ed esaminata in questo volume da E. Correggia. 65
Il testamento di Ugone si è quindi ben meritato le discordanti esegesi che la copiosa storiografia che lo interessa conserva, nonostante queste preziose novità sembrino suggerire e confermare la suggestiva ipotesi che il nuovo sepolcro dei giudici venne effettivamente realizzato all’interno della nostra cattedrale. Lo stesso testamento, inoltre, viene rogato in quadam camera curie dicti domini judicis 217. 1343 - 22 settembre: Clemente VI (1342-1352) concede al giudice Pietro III di poter rifondare il convento delle monache claustrali di Santa Chiara nella città di Oristano218. L'atto indica indirettamente la preesistenza della chiesa, già documentata con intitolazione a San Vincenzo219 . I restauri del 1923 ne hanno del tutto snaturato l'aspetto, lasciando spazio a una nuova copertura voltata - neogotica - in luogo delle originarie capriate policrome220 , forse d'ispirazione catalana 221. La chiesa custodisce ancora la lapide sepolcrale di Costanza di Saluzzo,
217
P. TOLA, CDS, vol. I, doc. XLVIII, p. 708.
D. SCANO, CDR, vol. I, doc. CDLIX, p. 323; si vedano anche: F. C. PABA, 1973; C. PIRAS, Chiesa e monastero di S.Chiara in Oristano, in: Quaderni Oristanesi, nn° 7-8, 1985, pp. 17-32; G. MELE, Un manoscritto arborense inedito del Trecento: il codice 1bR del Monastero di Santa Chiara di Oristano, Oristano, S’Alvure, 1985; C. PIRAS, Reale monastero di Santa Chiara in Oristano: alcune note, in: Quaderni Oristanesi, nn° 21-22, 1989, pp. 65-76; a proposito del concorso di Mariano IV nella costruzione del monastero: C. PAU, Un monastero nella storia della città, Oristano, S’Alvure, 1994, passim; M. G. MELE, 1999. 218
219 C. EUBEL, Bullarium Franciscanum Romanorum Pontificum: Constitutiones, Epistolas, ac Diplomata Continens Tribus Ordinibus Minorum, Clarissarum, Et Poenitentium; a Seraphico Patriarcha Sancto Francisco Institutis Concessa ab Illorum Exordio ad Nostra Usque Tempora, tomo VI; 1898-1904; s.d, doc. 320, p. 162; M. G. MELE, 1999, pp. 127, 154-157.
D. SCANO, 1907, p. 326; R. DELOGU, 1953, p. 226; R. CORONEO, 1993, p. 276, 282, sch. 169; A.INGEGNO, 1993, p. 333 sch. 88.
220
M. G. MELE, 1999, p. 205, nt. 45; dove si propone un raffronto con la cappella reale di Sant'Agata a Barcellona. 221
66
moglie di Pietro222, deceduta il 18 di febbraio del 1348223 , il terminus ante quem per la fabbrica gotica di Santa Chiara. Dei lavori del XIV secolo rimangono alcuni conci di reimpiego nel prospetto, parte della tribuna e l'abside quadrangolare. Le maestranze che lavorarono a questo cantiere non possono identificarsi con quelle coinvolte nella realizzazione delle cappelle presbiteriali della cattedrale: differiscono le scelte adottate per alcuni elementi (zoccolatura, lesene assenti, ornato illeggibile) e la riduzione degli schemi volumetrici, presi a modello dal transetto. La bifora che da luce al presbiterio di Santa Chiara e la sua tozza reinterpretazione ne suggeriscono la realizzazione seriore rispetto a quelle cattedralizie224 . Dell'8 maggio 1348 (1349, computo pisano) è anche la lapide sepolcrale di Filippo Mameli, dottore in diritto canonico e fidato consigliere dei giudici arborensi225 , murata al lato del Vangelo nella cappella della Vergine del Rimedio o del SS Sacramento; si tratta del terminus ante quem riconosciuto per il nostro transetto226. Ma se è legittimo individuare lo svolgimento dell'opera gotica a Santa Chiara tra la sua rifondazione e la sepoltura di Costanza, opera che necessariamente attinse dagli schemi della cattedrale, nessun motivo vi è di dubitare che il transetto fosse già completo nel 1343.
F. C. CASULA, 1984, pp. 271-281, XVIII, n° 27; F. C. CASULA, 1992, pp. 345-346, lemma 347; che sul verso reca parte di un tralcio a girali riconducibile ai plutei, indizio sulla penuria di marmo in Sardegna ancora nel XIV secolo, vedi: R. CORONEO, 1988, pp. 69-72; R. SERRA, 1990, p. 17, sch. 1. 222
223 T. CASINI, Le iscrizioni sarde del Medioevo, in: Archivio Storico Sardo, anno 1905, vol. I, p. 357, n° 61; si riporta di seguito la trascrizione in C. TASCA, Le influenze pisane nella produzione epigrafica sarda e catalana del XIV secolo, in: Archivio Storico Sardo, anno 1986, vol. XXXV, pp. 61-62, nt. 2: Hic : iacet : egregia : domina : Constancia : de Sa/ luciis : olim : iudicissa :/ Arboree : que : obiit : die : XVIII : mensis : februarii/ anno Domini mill(esimo)/ CCC quadragesi/ mo octavo; la lastra misura cm 34 x 50, con caratteri in gotica epigrafica. 224
R. CORONEO, 1993, p. 276.
225 D. SCANO, Un giurista arborense: Filippo Mameli, in: Archivio Storico Sardo, anno 1937, vol. XXI; A. MARONGIU, Sul probabile redattore della Carta de Logu d'Arborea, in: Studi economico-giuridici, pp. 21-32, n° 27; Cagliari, G. Dessì, 1939; F. ARTIZZU, 1963; F. ARTIZZU, Di Filippo Mameli e di altri, in: Archivio Storico Sardo, anno 1981, vol. XXXII; vedi poi: T. CASINI, ASS, 1905, p. 358, n° 62; si riporta di seguito la trascrizione in C. TASCA, ASS, 1986, p. 63, nt. 3: : Iobia : ad : dies : VIII : de maiu :/ de M : CCC : XLIX : morivit : messer : / Philippo : Mameli : dotore : de : decre/ tu : et : de : lege : et : canonicu : d'Arbar(ea)/ et : iaghet : cughe : sossa : sua :; la lastra misura cm 52 x 96, e presenta le stesse caratteristiche epigrafiche di quella di Costanza. 226
R. CORONEO, 1993, p. 282, sch. 169. 67
Conclusione: Se è ancora da chiarire a quale (più preciso) periodo debbano ascriversi i frammenti scultorei dell'area della cattedrale di Santa Maria Assunta di Oristano, così come tuttora offuscate appaiono - per l'ampia lacuna documentaria - le esatte vicende attorno alla committenza delle opere architettoniche approntate durante il medioevo arborense, non più luminosi possono dirsi i dati formali sull'arrivo del gotico in Sardegna. Ancora considerevoli sembrano i passi che la storiografia dovrà muovere in questo senso nei prossimi anni, poiché da tempo non si intravedono grandi novità in materia. Con l'auspicio che meglio e più saggiamente possano conservarsi le memorie e i monumenti di questi secoli, lasciamo questo modesto contributo.*
* Postilla: Si riportano in questa nota alcuni elementi di estrema importanza, rilevati successivamente alla stesura della relazione ma che è oltre ogni dubbio necessario rendere noti. Nel corso della ricerca, altri dati inediti sulla fabbrica romanica della cattedrale di Santa Maria Assunta di Oristano sono emersi grazie all’impegno del Dott. Sebastiano Fenu (e alla cui nota in proposito, nel presente volume, si rimanda). Lo studioso ha identificato, tra le carte di un fondo dell’Archivio di Stato di Cagliari che interessano l’attività di notai cagliaritani nella città di Oristano, uno schizzo (eseguito ad inchiostro su carta), relativo agli anni 1679-80 e quindi precedente la soprammenzionata riedificazione settecentesca. Il disegno, la cui particolare difficoltà di esegesi è da imputarsi alla mano dell’autore, incapace di riportare con criterio l’insieme dell’edificio, presenta in ogni caso dettagli riconducibili alla cattedrale oristanese, che lo scrivente e l’autore della scoperta ritengono doversi attribuire, con la dovuta cautela, proprio al nostro duomo. Siamo infatti lontani dalla precisione dei disegni di Juan Francisco Carmona, eseguiti nel 1631 per il volume Alabanças de los santos de Sardeña (m.s. della Biblioteca Universitaria di Cagliari, S.P. 6.2.31), e in particolare quello contenuto nel foglio 106r, che mostra con estrema fedeltà il prospetto romanico della cattedrale di Santa Maria di Castello in Cagliari prima della sua ricostruzione (R. Coroneo, 2007, p. 122). Nel disegno, diviso in almeno tre porzioni date dall’ampiezza del foglio, si riconosco (da destra a sinistra e dall’alto in basso, ovvero seguendo la direzione nella quale sono stati riportati): il campanile gotico ripartito in ordini da cornici, con ancora la sua copertura a falde, simile a quella del campanile della cattedrale di Alghero e ad altri minori dell’Isola, con croce o banderuola svettante, parzialmente in ombra sulla sinistra; ai piedi di questo, almeno due colonne (vedi sopra: S. A. Scintu, 1873, p. 39) e ciò che sembra potersi identificare come l’ultimo relitto di un arco (generato a sinistra da una mensola) 68
o di un intero portico, coronato da un elemento forse in ferro battuto; una porzione di un fianco dell’edificio, divisa in tre ordini di quattro ampie arcatelle nascenti da lesene e peducci modanati, nel primo con alternanza di rombi e oculi e negli ultimi esclusivamente con oculi, l’intero corpo sormontato da una sorta di cupola con banderuola (in ombra sul lato destro, forse la facciata); un elemento isolato, con ogni probabilità una colonna su base in conci squadrati, sormontata da un globo con croce patriarcale, di difficile attribuzione; la parte inferiore del foglio, separata dal resto, che sembrerebbe mostrare l’interno dell’edificio, dove sono riportate quattro colonne con capitello (una delle quali con catena di rinforzo, un’altra forse con un’importante lesione verticale), le grandi arcate a tutto sesto che dovevano dare uno dei setti divisori, con altri dettagli dell’ornato riferibili all’esterno dell’apparecchio murario (rombi privi di gradonatura) e agli estremi poggianti direttamente su pilastri, il tutto reso più chiaro dalla presenza della pavimentazione forse in marmi e ardesia, dove l’autore tentò di dare resa prospettica al suo lavoro. Il partito romanico desumibile dal disegno conferma non solo i dati raccolti nel dettaglio dallo scrivente relativi all’antiqua facies del duomo, ma quelli finora osservati da Raffaello Delogu (1953) e da Maria Manconi de Palmas (1954; 1984), ripresi da Roberto Coroneo (scheda in R.Serra, 1989; 1993; 2004). I dati forniti dall’interpretazione del prezioso documento permettono anche di ribadire la collocazione cronologica dell’edificio e di riconoscervi le fasi del primo XII secolo e della parziale ricostruzione terminata nel 1228: osservando attentamente il disegno, si nota una sorta di cornice orizzontale tra le arcatelle più basse e le altre, interrotta dalle lesene. Questa doveva segnare effettivamente, all’esterno, la divisione tra navatelle e corpo centrale; le arcatelle più alte potrebbero essere frutto della ricostruzione terminata nel 1228, che, come visto, dovette interessare unicamente le quote alte dell’edificio. Un caso analogo, evidenziato dall’impiego di materiali differenti per via di un crollo in corso d’opera, si ritrova presso Olbia nel San Simplicio. È inoltre possibile identificare l’attività di precise maestranze, le poche capaci di tali prodezze a operare nell’Isola, come esposto nella relazione e negli studi citati, educate in ambito pisano-pistoiese e i cui riflessi diretti sono evidenti tanto in Sardegna quanto in Corsica. Di particolare interesse sembra il raffronto con la perduta chiesa di San Nicola di Gurgo delle appendici di Oristano, riferibile all’attività delle maestranze di Santa Giusta e fabbricata negli stessi anni, ante 1131, per volontà del giudice Costantino, ricordato dal nipote Barisone alla donazione ai Cassinesi del 1182. Costantino, responsabile anche della edificazione della prima chiesa romanica di Santa Maria di Bonarcado (1110 ca.), agiva col concorso della moglie Anna de Zori. La potente famiglia logudorese aveva vasti interessi anche nell’Arborea, come documentano tra gli altri il Brogliaccio e il Condaxi Cabrevadu del San Martino di Oristano fino al XV-XVI secolo, oltre che il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado. Gli Zori furono molto impegnati nelle donazioni ai monaci benedettini; una delle loro imprese più rilevanti fu l’edificazione del San Nicola di Silanos, presso Sedini, opera unica di abilissime 69
maestranze lucchesi, conservata oggi in stato di rudere. La restituzione del prospetto mostra affinitià non solo con il San Giovanni di Vicopisano e in parte col San Frediano di Pisa, ma in Sardegna col San Nicola di Gurgo. Queste osservazioni permettono di postulare la presenza di entrambe le maestranze nel cantiere del San Nicola di Oristano quanto - visto l’emergere del disegno - in quello della cattedrale. È forse al giudice Costantino, la cui vita rimane in massima parte oscura per la quasi totale mancanza di documenti, che dobbiamo guardare come primo responsabile della riqualificazione romanica degli edifici di culto della nostra città. È qui utile ricordare che nel documento di consacrazione dell’arcivescovo Torgotorio avvenuta nel 1224, di cui si è diffusamente parlato nella relazione, si ricordano anche le festivitatibus Sancti Nicolai et Sancti Marci Martiris, solennemente accolte da giudice e popolo. Il primo, forse, un riferimento alla chiesa di cui abbiamo parlato, il secondo a quella ugualmente perduta di Tharros, da identificarsi con l’impianto basilicale a pochi metri dal battistero o con la chiesa di San Giovanni Battista, che secondo alcuni studiosi ricevette l’attuale intitolazione in un periodo intermedio tra l’abbandono del settore già indicato e il ripopolamento di Oristano (R. Coroneo, 2001, p. 126 e ss). È mio dovere ringraziare il Dott. Sebastiano Fenu per aver reso noto, con la sua preziosa collaborazione e l’estrema perizia del suo operato, il rinvenimento del disegno e per avermi permesso di fornire una prima analisi dello stesso, che siamo certi contribuirà a quella nuova pagina della storia della cattedrale che da troppo tempo attendeva di essere scritta.
70
Tavola I. Sovrapposizione delle piantine: in azzurro il duomo romanico, in rosso il transetto gotico (rielaborazione da: M. Manconi De Palmas, 1984).
Tavola II. Dall'alto in basso e da sinistra: capitello composito del II-III secolo d.C; fregio ascrivibile all’XI-XII secolo; fregio in facciata, XIII secolo; pilastrino marmoreo, VIII/IX secolo; Oristano, area della cattedrale, frammento di tralcio a girali, XIII secolo (f. N. Danieli).
Tavola III. Picchiotti bronzei del maestro fonditore Placentinus, 1228 (f. N.Danieli).
Tavola IV. In alto: Milis, chiesa di San Paolo; in basso: Idem, dettaglio (f. N.Danieli).
Tavola V. Dall'alto in basso e da sinistra: Oristano, San Francesco, chiostro (Archivio Soprintendenza BAPSAE, fonte: http://www.sbappsaecaor.beniculturali.it/getImage.php? id=331); in basso: cattedrale, conci di reimpiego, alcuni modanati; Oristano, battistero, frammento d’ornato architettonico; Dolianova, San Pantaleo, peduccio con triplice ďŹ g. antropomorfa (f. N.Danieli).
Tavola VI. In alto: Oristano, nuovi frammenti, seconda metà del XIII secolo.; in basso: Dolianova, San Pantaleo, dettagli dell’ornato (f. N.Danieli).
Tavola VII. Pattern geometrici impiegati in alcuni frammenti (elaborazione N. Danieli).
Tavola VIII. In alto: raffronto per lo stato di conservazione della bifora del transetto oristanese (foto a sinistra: R.Delogu, 1953); in basso: frammento d’arca sepolcrale con stemma dei Bas, XIV secolo (f. N.Danieli).
79
Note sulla cattedrale di Santa Maria in Età Moderna1 Sebastiano Fenu
Raramente gli storici e gli storici dell’arte si sono occupati della cattedrale di Oristano relativamente all’Età Moderna, verosimilmente a causa della carenza di fonti documentarie note; forse per questo motivo le note storiche si sono limitate a riportare la descrizione dell’edificio data dall’Aleo nel 1684, fatta eccezione per pochi altri atti custoditi nell’Archivio Capitolare arborense2 . Nuove fonti - documentarie e grafiche - permettono oggi di inquadrare meglio sia la struttura chiesastica che il contiguo palazzo arcivescovile.
I. La cattedrale: Il primo storico a dare una descrizione della cattedrale arborense fu il Fara che la illustra come un edificio quadratum lapide insignique
Questo articolo riprende solo in parte ed amplia la relazione tenuta al seminario “…in ecclesia Sancte Marie de Arestano, in basilica videlicet Sancti Micaelis, que dicitur Paradisus”, tenutosi presso la Cattedrale di Oristano il 29 settembre 2013, promosso dalla Fondazione Sa Sartiglia Onlus in collaborazione con l’Arcidiocesi di Oristano. Vengono presentati i dati ricavati da nuovi ritrovamenti documentari, che hanno permesso di inquadrare meglio alcuni aspetti architettonici della stessa sede arcivescovile e di illustrare alcuni dei lavori eseguiti nell’adiacente palazzo arcivescovile.
1
Cfr. J. ALEU, Successos Generales de la isla de Sardeña, Cagliari, 1684; G. SPANO, Oristano e la sua antica Cattedrale. Appendice, in: Bullettino archeologico sardo, ossia raccolta dei monumenti antichi in ogni genere di tutta l'isola di Sardegna, anno 1864, vol. X, n° 12 (dicembre 1864), pp. 161-173; S. A. SCINTU, Raccolta di memorie d’Arborea tratte in gran parte da documenti inediti, Oristano, 1873; A. MELIS, Guida storica di Oristano, Oristano, 1924; M. MANCONI DE PALMAS, La Cattedrale di Oristano, in: Studi sardi, 1954, nn° 12-13 (1952-1954), pp. 33-69; F. C. PABA, Il duomo di Oristano, Cagliari 1956; R. BONU, Oristano nel suo duomo e nelle sue chiese. Cenni storici e 2 appendici, Cagliari, 1973; M. MANCONI DE PALMAS, La chiesa di S. Maria, Cattedrale di Oristano, in: Quaderni Oristanesi, nn° 5-6, 1984; M. G. MELE, Oristano giudicale. Topografia e insediamento, Cagliari, 1999; R. CORONEO, A. PASOLINI, R. ZUCCA, La cattedrale di Oristano, Cagliari, Zonza, 2008. 2
80
structura constructum3; dobbiamo però all’Aleo4 una descrizione più dettagliata. Egli nella sua opera Successos Generales de la isla de Sardeña la descrive come un edificio spazioso in forma di croce, con tre navate suddivise da colonne, costruito con conci squadrati di colore bianco, nero e colorati alternati con eleganza da maestranze probabilmente pisane, con una torre campanaria alta ed elegante come nessun’altra nel regno5 . Seguendo il racconto dell’Aleo si può dedurre che ancora nella seconda metà del XVII l’edificio conservava in parte intatto il suo aspetto di stampo romanico, demolito nella prima metà del 1700 per far posto alla struttura tutt’oggi esistente. Quanto riportato dallo storico spagnolo trova ora riscontro in altri documenti coevi. Particolare interesse riveste un disegno rinvenuto tra gli atti del notaio Gregorio Melas, nel volume 368 degli atti notarili sciolti della tappa di Oristano, conservati presso l’Archivio di Stato di Cagliari6 . Il disegno è stato eseguito da mano ignota con inchiostro nero nel verso di una carta in formato in-folio, rimasta bianca, alla fine di un atto rogato a Oristano il 27 ottobre 1679 dal notaio citato, relativo ad una diffinissió de 3 “[...] Inter alia aedificia memorabo templum maximum B. Mariae sacrum quadrato lapide insignique structura a Torgotorio archiepiscopo, et Mariano Iudice Arborensi, anno 1228 constructum [...]”. Cfr. J. F. FARA, De chorographia Sardiniae libri duo, ex recensione Victorii Angius ex S.P., Carali, 1838, p. 92.
Padre Jorge Aleo, nasce a Cagliari nel 1620, con il nome di Lussorio Aleo. Nel 1640 entra nell’Ordine dei Cappuccini a Iglesias. Nel 1662 viene eletto fabbriciere per la Custodia di Cagliari, nel 1664 guardiano del convento di San Benedetto della stessa città; nel 1665 guardiano nel convento di Quartu; nel 1667 vicario nel convento di Cagliari; nel biennio 1668-69 è nuovamente guardiano in San Benedetto. Nel dicembre del 1671 viene esiliato in Sicilia, nel convento di Castelvetrano, dal duca di San Germán per la sua contiguità con i capi del partito avverso al viceré Camarasa. Dal 1675, rientrato a Cagliari, completa i suoi due lavori di storia, che nel 1686 vengono esaminati ed approvati per la stampa.
4
“[...] Esta iglesia en su architectura muestra ser obra de pisanos, como le demas Cathedrales de la Isla, trazaronla espaciosa, alta y capaz en forma de cruz con tres naves, que las dividen dos ordines de colunas de una pleza de piedra muy fuerte, cun sus arcos de selleria que sustentan las paredes, y el materiaje del texado de la misma iglesia; toda la obra dentro y fuera es de contos quadrados de color blanco, colorado y negro, entreverados con tal arte y primay que muestra haver sido edificio, y obra Real muy vistosa, costosa y primorosa; fabricò tambien una torre por las campanas todo de contos quadrados tan alta fuere, y hermosa que no la tiene meyor ninguna otra Cathedral del Reyno [...]”. Cfr. J. ALEU, Successos Generales, op. cit., vol. II, c. 971.
5
6 Del notaio Gregorio Melas presso l’Archivio di Stato di Cagliari sono conservati 13 protocolli notarili che attestano la sua attività tra il 1660 e il 1706. Oltre che notaio pubblico ricoprì anche la carica di segretario della Mensa Arcivescovile per vari anni.
81
dot tra il notaio Francisco Pisu nato e residente nella villa di Usellus, e Anna Francina alias Fuliada Piscanali y Cominu; rappresenta spaccati di un edificio chiesastico sormontato da una croce patriarcale, fatto che porta ad identificare la chiesa come sede arcivescovile, con sotto la scritta - parzialmente cancellata - Joannes Ma(ch)a anno a nati | Anno a nativitate Domini 1737, realizzata con lo stesso inchiostro con cui è stato tracciato il disegno (fig. 1). Sorprendente per l’infantilità della rappresentazione, il disegno in oggetto presenta una molteplicità di problemi di lettura e di interpretazione. Sembra riprodurre particolari idealizzati, forse non richiamanti la realtà concreta, ma ciò che di essa ha colpito l'attenzione dell'autore. Si possono identificare con pochi dubbi alcune parti della chiesa, probabilmente quelle che lo sconosciuto autore ha ritenuto essere più interessanti: in alto a sinistra una torre, quasi sicuramente la torre campanaria, come suggerisce la bicromia in linea con il corpo della chiesa, ai cui piedi sono state tracciate delle colonne, verosimilmente ancora presenti in situ alla fine del XIX secolo7, unite da una sorta di arcata; accanto alla torre, nella parte in alto al centro, è raffigurata una fiancata dell’edificio, o meno probabilmente l'abside, ripartita in tre ordini su quattro arcate; in basso il prospetto di quella che potrebbe essere la parte interna della chiesa, come suggerisce il tracciato del pavimento, con una “vista” sulle cappelle laterali. Di più difficile lettura risulta l’ultima parte del disegno, che, a differenza delle altre sezioni, non presenta particolarità tali da facilitarne l’interpretazione; questa parte del disegno sembra essere appena cominciata, un abbozzo non terminato. L’ipotesi iniziale della presenza di una seconda torre è stata esclusa dalla documentazione, potrebbe quindi trattarsi di una colonna o di un edificio non più esistente; spicca la base di grandi blocchi squadrati, evidentemente tanto grandi da colpire l’attenzione dell’autore al punto da doverli raffigurare, e la sfera superiore sormontata dalla croce patriarcale. Altro aspetto di difficile interpretazione è la sua datazione. È stato eseguito sicuramente dopo il 27 ottobre 1679, data dell’atto, e si potrebbe ipotizzare una data prossima al 1737, indicata in calce al foglio; in questo caso potrebbe trattarsi di un disegno eseguito a memoria, in quanto l’edificio era stato già demolito per far posto a quello che conosciamo oggi. “La parte che si è conservata della Cattedrale di Torgodorio prova che era solida ed elegante; [...] che il corpo della chiesa aveva cinque navate, sostenute da quattro fila di colonne di marmo e di granito: un buon numero delle quali è ora gettato attorno al campanile [...]”. Cfr. S. A. SCINTU, Raccolta di memorie, op. cit., p. 39. Per la segnalazione si rimanda all’articolo di N. Danieli nel presente volume, in particolare: Postilla.
7
82
Nella carta successiva, anch’essa rimasta bianca, è presente un secondo disegno raffigurante un Cristo crocifisso, che per alcuni aspetti potrebbe rimandare al Cristo di Nicodemo conservato nella chiesa di San Francesco o a qualche altro crocifisso doloroso presente in città e a noi oggi sconosciuto (fig. 2). Se da un lato il disegno illustrato permette di avere un’idea di come dovesse essere l’aspetto esteriore dell’edificio prima della sua demolizione e ricostruzione settecentesca, altri documenti offrono indizi sulla sua struttura. Gran numero di notizie vengono fornite dalle Relationes ad limina apostolorum, presentate dai vescovi alla Sacra Congregazione del Concilio per illustrare lo stato della diocesi – secondo quanto dettato dal Concilio di Trento -, in particolare quelle redatte dagli arcivescovi Pietro Vico8 e Bernardo Cotoner9 . Nella sua relazione del 1642 il Vico descrive così l’edificio: [...] Est igitur ecclesia Arborense in civitate Oristanei sedes archiepiscopalis, et quatuor centis annis ecclesia metropolitana, sub invocatione Sanctae Mariae semper Virginis, estque ex uno latere urbis tota continua meniis. [...] Estque dicta Metropolitana ecclesia insignis et grandis in modum crucis fabricata, chorum a tergo altaris majoris, sacellaque duo a latere dextro habens, in quarum uno Sanctissimum Eucharistiae Sacramentum reservatur et in altera corpus Sancti Archelai praesbiteri et confessoris, cuius festum magna cum populi frequentatione devotionisque fervore die XI februarii singulis celebratur annis; a sinistroque latere duo habet alia sacella, cum multis aliis per totam dispersis ecclesiam sub diversis titulis et invocationibus, et maxime Assumptionis Beatissimae semperque Virginis Mariae cuius miraculosa inmago ex toto Sardiniae Regno a fidelibus conflu[entibus vener]atur sanctorumque etiam variis ornatur reliquiis, et praecipue Sanctissimae Crucis Christi frustulo. Post pontificalem sedem aliam a dextro latere habet in qua archipresbiter qui est prima dignitas sedet, et alteram a sinistra in qua etiam vicarius generalis ipsius archiepiscopi, et eo absente antiquior canonicorum sedet; et consequenter sunt aliae quamplurimae quas caeteri canonici et hebdommaderii suo || Pietro Vico, originario di Sassari, dottore in utroque, occupa la sede arcivescovile arborense dal 1641 al 1657, anno in cui viene nominato arcivescovo di Cagliari. Cfr. R. TURTAS, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al Duemila, Roma, 1999, p. 839. 8
Bernardo Cotoner fu arcivescovo di Oristano dal 1664 al 1671; venne quindi trasferito alla sede di Maiorca. Cfr. Ibidem.
9
83
ordine occupant. Habetque sexdecim canonicatus et novem hebdommadarios seu beneficiatos qui omnes quotidianis distributionibus utuntur [...]. Habet itaque ipsa cathedralis ecclesia palatium archiepiscopale contiguum, exelsamque turrim copiosa canpanarum musica ornatam miroque artificio fabricatam, nec non ab ea passus decem distantem.10
Su altri aspetti pone invece l’accento una trentina d’anni dopo, nel 1670, la relazione di Bernardo Cotoner: [...] Ecclesia Arborensis est Metropolitana in Regno Sardiniae, estque de iure patronatu serenissimi regis Hispaniarum catholici erecta sub titulo et invocatione Beatissimae Virginis Deiparae de Assumptione [...]. Sunt duo organa, grande unum, quod antea inserviebat musicis con cantibus et pulsabatur, nunc vero fere destitutum est, et alterum parvae magnitudinis intra eundem chorum, quod continuo inservit, aptum et satis ornatum, et praefatum organum adaptatur et organista satisfit eis quadam distributione, fructuum omnium beneficiorum, qua de causa || fuit erectum quadam beneficium sub eodem titulo, et persona semper debet nominari a Capitulo, sive illa persona sit secularis vel etiam ecclesiastica; ei Mensam Capitulari tam ceram pro luminibus qual oleum pro lampadibus ceteraque necessaria ad festivitate solemnizandas abundanter suppeditat. Habet campanile cum campanis et orologio suggestum omniaque ad divinum cultum nexia optime disposita cum fonte baptismali. 10 Le Relationes vennero rese obbligatorie dal papa Sisto V con la costituzione Romanus Pontifex del 20 dicembre 1585, con la quale disponeva che a decorrere dal 1587 i vescovi dovessero recarsi a Roma ad veneranda limina Apostolorum e consegnare una relazione scritta circa lo stato della loro diocesi; tali relazioni sarebbero state prese in esame dalla Sacra Congregazione del Concilio e conservate nel suo archivio. Per la relazione presentata dall’arcivescovo Pietro Vico, datata Cagliari, 10 marzo 1642 cfr. Archivio Segreto Vaticano, Fondo Sacra Congregatio Concistorialis relationes, Arborea, 70 A, c. 52r-v. Sull’importanza delle Relationes si veda A. VIRDIS, Rapporto su “Relazioni triennali” alla Santa Sede e associazionismo cristiano nell’Oristanese, in: Chiesa, potere politico e cultura in Sardegna dall'eta giudicale al Settecento: atti del II Convegno internazionale di studi, Oristano, ISTAR, 2005, pp. 533-591; C. NUBOLA, L’importanza delle visite pastorali dal punto di vista storico, in: AMMENTU - Bollettino Storico, Archivistico e Consolare del Mediterraneo (ABSAC), n° 2 (gennaio-dicembre 2012), pp. 139-147; G. ZICHI, L'uso delle visite pastorali e delle relationes ad limina nello studio della storia della Chiesa sarda aspetti generali, in: AMMENTU - Bollettino Storico, Archivistico e Consolare del Mediterraneo (ABSAC), n.° 2 (gennaio-dicembre 2012), pp. 148-153.
84
Corpus ecclesiae antiquae quidem sed satis nobilis structurae; palatium quoque habet episcopale contiguum ecclesiae cathedrali non tam capacis habitationis, ad quod tamen ampliandum aliquos redditus pertinentes Mensae archiepiscopali designare decrevi, favente Deo. Corporique ecclesiae adherent duae naves, estque praefata ecclesia in forma crucis, habet aliquas capellas iniunctas; in una earum reconditum est corpus Sancti Archelai martiris huius meae dioecesis patroni decentissimo modo observatum11 .
Appare chiaro come ancora nella seconda metà del Seicento la struttura conservasse in gran parte intatto l’aspetto dell’impianto medioevale. Sita da un lato dell’abitato, in prossimità delle mura cittadine, godeva – a detta del Vico - del titolo di Metropolitana da circa 400 anni, che porterebbe a collocare la nascita della sede arcivescovile intorno alla metà del XIII secolo; tale indicazione cronologica venne desunta verosimilmente dal prelato sulla base della data indicata nei picchiotti bronzei che datano al 1228, anno in cui vennero compiuti importanti lavori nell’edificio12 . Costruita in forma di croce latina e intitolata alla Vergine Assunta, su tre navate, per quanto antica era ancora satis nobilis structurae; dietro l’altare maggiore trovava posto il coro con gli stalli per 16 canonici e 9 beneficiati. Nel coro trovavano posto due organi: uno grande, che nel 1670 era già in disuso, verosimilmente destinato alla “musica figurata”, e un secondo, di piccole dimensioni, utilizzato per le ufficiature quotidiane, alla cui cura era adibito un organista, ecclesiastico o laico, nominato dal Capitolo; quello maggiore, in disuso nel 1670 potrebbe identificarsi con quello commissionato all’organaro Nicolau Brancarino dallo stesso arcivescovo Vico nel 164213. Nel transetto trovavano posto quattro cappelle, due a destra e altrettante nel lato sinistro; quella al lato destro erano intitolate rispettivamente al Santissimo Sacramento e al patrono della diocesi, Sant’Archelao.
11 Relazione dell’arcivescovo Bernardo Cotoner, non datata; nell’angolo in alto a destra della prima carta è indicato l’anno 1670. Cfr. Ivi, c. 66r-v.
Secondo recenti studi la sede metropolitana arborense è attestata almeno dalla fine dell’XI secolo. Cfr. M. VIDILI, Cronotassi documentata degli arcivescovi di Arborea dalla seconda metà del secolo XI al concilio di Trento, Oristano, L’Arborense, 2010, pp. 22-25. Per le note storiche sul periodo vedi l’articolo di N. Danieli nel presente volume. 12
Ringrazio il dott. Roberto Milleddu che mi ha segnalato il documento. Sull’arte organaria in Sardegna si veda dello stesso R. MILLEDDU, Arte Organaria in Sardegna. Costruttori e strumenti fra XVI e XX secolo, in corso di stampa. 13
85
La cappella del Santissimo Sacramento, forse da identificare con la “nuova cappella” fatta costruire dall’arcivescovo Antonio Canopolo14 tra fine Cinquecento e inizio Seicento, terminata prima del 2 aprile 160315 , venne presa come exemplum quando, con atto del 12 maggio 1618, si decise di costruire una cappella intitolata alla Madonna del Rosario nella parrocchiale di Santa Giusta; l’esecuzione dei lavori venne affidata al picapedrer Francisco Orrù, del borgo di Oristano. Altre numerose cappelle sotto diversi titoli e invocazioni erano innestate sulle navatelle laterali. Allo stato attuale degli studi è impossibile indicare con certezza quante fossero le cappelle per totam dispersis ecclesiam sub diversis titulis et invocationibus, ma è verosimile che fossero almeno una decina; una relazione del 1572 tramanda i nomi di 14 altari, nell’ordine, dopo l’altare maggiore, quelli della Madonna del Rosario, Santa Caterina, San Giacomo minore, dell’Angelo Custode, San Giuseppe, Sant’Andrea, San Paolo primo eremita, San Giovanni Battista, Santissimo Crocifisso, Madonna del Rimedio, Madonna della Neve, Madonna della Pietà e infine di San Bartolomeo, senza indicare in quali cappelle fossero collocati16 . Nell’elenco manca, stranamente, l’indicazione di quello dell’Annunziata, sicuramente presente nell’edificio sacro. Proprio sull’Annunziata e sulla sua cappella abbiamo una discreta quantità di attestazioni che portano a ritenere che il suo culto fosse
14 Antonio Canopolo, sassarese, studia diritto a Bologna. Occupa la Sede arborense dal 1588 fino al 1621, quando viene trasferito a Sassari. Cfr. R. TURTAS, Storia della Chiesa, op. cit., p. 838. 15 Cfr: Archivio Storico del Comune di Oristano, Llibres de Conçelleria, registro n° 305, cc. 41v-42r. 1603 aprile 2, Oristano. “(Consell per traure los clavaris de Santa Clara y tractar per fer lo monument). Die secundo mensis aprilis anno a nativitate Domini millesimo sexcentesimo secundo, Oristanii. [...] Item es estat preposat per lo dit conseller en cap que atento que cadañy com vos magnifichs consellers y demes del consell sabens en esta dita çiutat de Oristany se sol fer lo monument en la Seu de Arborea d.esta dita çiutat per reservar lo Santissim Sacrament y per fer dit monument tocaria a esta çiutat a pagarlo; y havent considerat lo molt gasto que cadañy porta lo fer dit monument per ço seria be que aquell se fes de modo que sia cosa perpetua y que se compra lo llignam que fara mester per fer aquell per que causa moltissim fastidi y gasto en sercar lo llegnam y apres de aquell s.en talla y pert tant de taulas com serradissos y tot paga esta çiutat y per exa causa per evitar tal gasto seria be ferlo perpetuo y per exa causa se ha de parlar a monseñor de Arborea per que se te entes que aquell voldria que dit monument se fassa de assi avant en la capella nova que monseñor ha fet en dita Seu [...]”.
La relazione è stata rinvenuta da R. Cau che ringrazio per la segnalazione. Si veda l’articolo dell’autore in questo stesso volume. 16
86
molto diffuso in città, così come attestato dal Fara17. Nella cappella a lei intitolata - oggi la prima a destra - è presente una statua lignea datata al XIV secolo, attribuita allo scultore Nino Pisano 18. La cappella disponeva di una amministrazione propria - quella che viene comunemente chiamata opera o fabbriceria – che si occupava tanto dell’amministrazione dei beni quanto della cura della stessa e delle opere di restauro, sicuramente dal XVII secolo ma verosimilmente già dai secoli precedenti. Nel 1611 Leonardo Pitzolo, ufficiale del Campidano Maggiore, donò infatti alla obra y capilla de la Annunciada y per aquella al obrer de dita capella – quindi all’amministratore dei suoi beni – un orto e delle case in rovina chiamate comunemente lo hort de la obra, che aveva ereditato dal padre Antonio Pitzolo; l’orto era contiguo alla cattedrale in quanto confinante nel lato posteriore con il campanile e la fontana del duomo, da un lato al cimitero dello stesso duomo e dall’altro lato alla chiesa di San Francesco19. Nella cappella aveva sede verosimilmente una confraternita femminile, le cui consorelle godevano del diritto di sepoltura; di queste faceva parte una certa Clara Perra y Tuveri, consorella anche della confraternita del Rosario, che il 1 luglio 1650, disponendo le sue ultime volontà, chiese di essere seppellita ai piedi dell’altare della cappella e che le fosse vestit lo abit de dita Nostra Señora de la Anuntiada20 . Dirimpetto alla cappella dell’Annunziata stava una cappella di cui non conosciamo l’intitolazione, nella quale aveva il patronato la famiglia Mancha, che venne indicata come exemplum ai picapedrers Hieronim Carta, Sebastià Naitza e Sisinni Setxi per la costruzione della nuova
17 “Antiqua piaque B.M. Virginis Annunciatae immago populorum frequentia sacratissime culta” cfr. J. F. FARA, De chorographia Sardiniae libri duo, ex recensione Victorii Angius ex S.P., Carali, 1838, p. 52. Il culto era vivo ancora a metà Ottocento, come attestato dallo Spano: “Si dice che l’architetto intanto conservò l’antica posizione per non chiuder fuori la cappella della SS. Annunziata, la prima a man destra entrando dalla porta maggiore, alla quale il popolo aveva molta || divozione. Fin dal tempo del Fara il simulacro che vi è nell’altare si onorava con molta frequenza dal popolo” (cfr. G. SPANO, Oristano, op. cit., pp. 162-163).
Cfr. L. DELITALA, L’Annunciata del duomo di Oristano, in: Quaderni Oristanesi, nn° 5-6, 1984, pp. 91-98. 18
Cfr. Archivio di Stato di Cagliari (in seguito ASCa), Atti notarili sciolti di Oristano (in seguito AnsOr), notaio Mura Pietro Angelo, vol. 498 (1611), cc. non numerate, 1611 ottobre 15, Oristano. 19
20
Cfr. ASCa, AnsOr, notaio Pintolino Antonio, vol. 617, cc. sciolte non numerate. 87
cappella della confraternita del Rosario nella chiesa di San Martino nel 160921 . Altra cappella ampiamente attestata nei documenti è quella intitolata alla Madonna del Rimedio. Già dalla fine del 1500 tale cappella era dotata di una statua, tuttora esistente, importata forse da Napoli che nel secolo successivo venne arricchita con un retablo; il retablo venne commissionato dal notaio Pietro Angelo Mura, consigliere in seconda, al pittore Giovanni Antonio Amatuccio22 per il prezzo di 375 lire con atto del 4 febbraio 1626, e venne da questi consegnato prima del 18 marzo 1628, data nella quale Lixandre Casola23, in qualità di suo procuratore, ricevette il saldo della somma pattuita tra il Mura e l’Amatuccio più altre 40 lire per se stesso dovutegli per il lavoro di restauro della statua della stessa Madonna del Rimedio e del Bambino Gesù con pittura dorata e colorata24. Anche per questa cappella è attestato il diritto di sepoltura, i cui proventi venivano riscossi dal Capitolo Metropolitano, che in cambio provvedeva alla celebrazione delle messe per i defunti25 . Negli anni 30 21 “[...] fabricarà la capella de Nostra Señora del Roser en lo matex lloch que vuy ocupa la que vuy es en peu, la qual farà de llargaria y amplaria de la capella del quondam Antoni Manca fabricada dins la Seu d.esta çiutat devant la capella de Nostra Señora de la Annunciada.”
Giovanni Antonio Amatuccio pittore e scultore di origine napoletana, risiedeva nel quartiere della Lapola di Cagliari almeno dal 1624, anno in cui è attestato per la prima volta nei documenti; la sua attività nell’isola è accertata fino al 1637. Cfr. F. VIRDIS, Artisti napoletani in Sardegna nella prima metà del Seicento, Dolianova, 2002, pp. 53-62. 22
23 Attestato per la prima volta in Sardegna nel 1624, Alessandro Casola era un pittore originario di Napoli, residente nel quartiere della Lapola di Cagliari; il suo cognome veniva spesso sardizzato in Casula e a volte Casu o Caso. Muore il 27 ottobre 1631 e il suo corpo viene tumulato nella chiesa di S. Nicola. Cfr. Idem, pp. 41-53.
Cfr. ASCa, AnsOr, notaio Nonni Michele, vol. 521, cc. 22v-23v: 1621 marzo 18, Oristano. Il retablo è stato oggetto di studio in: A. Pasolini, Il retablo del Rimedio nel duomo di Oristano, in: Cinquantacinque racconti per i dieci anni. Scritti di storia dell'arte, Soveria Mannelli, 2013, pp. 69-74 (in corso di stampa). Ringrazio sentitamente l’autrice per avere gentilmente messo a mia disposizione l’articolo; si veda inoltre A. PILLITTU - G. PANI, Chiese e arte sacra in Sardegna. L'Arcidiocesi di Oristano, Sestu, Zonza, 2003. 24
Cfr. ASCa, AnsOr, notaio Mura Pietro Angelo, vol. 499 (1612), cc. 77v-78v: 1612 febbraio 24, Oristano. L’arciprete Pietro Paolo Pira e i canonici Tommaso Dessì, Giacomo Dessì, Francesco Trogu, Sisinnio Loi, Monserrato Cabra, i dottori Agostino Pira, Nicola Santone e Martino Monni, tutti membri del Capitolo, dichiarano di aver ricevuto dal sarto Giacomo Liqueri cento lire in denaro contante, somma che era stata destinata per via testamentaria dalla prima moglie del Liqueri, una certa Zedda, per la celebrazione di una messa recitata “[...] baxa de requiem celebradora en la capella de Nostra Señora del Remei y absoluçio fahedora en la sepultura ahont dita Zedda es enterrada en lo replà de dita capella”.
25
88
del XVII secolo è attestato in questa cappella il giuspatronato con diritto di sepoltura della famiglia Vilesclars che vi aveva un sepolcro familiare26. Già dalla metà del XVI secolo è attestata una cappella intitolata a San Giuseppe, sede del gremio dei falegnami, data alla quale potrebbe collocarsi l’istituzione del sodalizio cittadino; di fusters e mestres de carro si parla in un regolamento tariffario del 156627; già al principio del secolo successivo la cappella non era più sufficiente per le necessità della maestranza e fu necessario addivenire ad un accordo tra il Capitolo e il gremio per ampliarla. Il Capitolo concesse un tratto di terreno “[...] per obs de fer y fabricar una nova capella sots invocatiò del glorios Sant Joseph dins esta Santa iglesia, ahont vuy la tenen comensada a construir y edificar, y tenen fundat la dita conflaria de dit offici de fusters y mestres de carro [...]”28 per la somma di 300 lire; la prima rata pari a 100 lire venne pagata il 9 novembre 1614, la seconda di altre 100 lire il 30 novembre 1625, una terza rata di 68 lire e 17 soldi il 29 giugno 1626, infine le restanti 31 lire e 3 soldi vennero versate al Cfr. ASCa, AnsOr, notaio Correli Giovanni Agostino, vol. 147, cc. sciolte non numerate: 1633 dicembre 3, Oristano: Testamento di Joan Francisco Villes Clars: “[...] Elegint sepultura ecclesiastica al meu cos y cadaver fahedora dins la santa metropolitana iglesia de Arborea, y en la capella mia de Nostra Señora del Remey, volent y ordenant y manant que dit meu cors sie sepellit en la llosa de dita capella dins una caxa y que se me vesta lo habit de la venerable Compañia de la Mort alias de la Oratiò; que lo die del meu obit si hora sera e sino lo die seguent se me digan y çelebren sinch misses ço es una cantada en dit altar del Remey, çelebradora aquella de un canonich de dita santa Seo y les quatre sien baxas de requiem ço es dos en lo altar de la Nuntiada y les altres dos en lo altar del glorios Sant Archelao; y lo semblant vuill y mane se me fassa al ters set, trenta y agnada y la caritat de tot pagat de mes bens. [...] Ittem dexe y llegue a la capilla de Nostra Señora del Remey deu lliures, volent y manant que de aquelles se hatgie de acomodar la llosa hont yo seré sepillit, y en mirada de fer acomodar aquella dexe y llegue a mestre Miquell Pira volent axibe y manant que totes dites coses per mi dexades y llegades dita ma moller y curadora las hatgie de pagar y exequtar“.
26
Il documento del 18 marzo 1567, rinvenuto dallo scrivente, è stato pubblicato dietro nostra segnalazione in W. Tomasi , Mestieri, manufatti, salari e tariffari nella Oristano del XVI secolo, in: Bollettino dell’Archivio Storico del Comune di Oristano, anno II, n° 2 (agosto 2008), pp. 33-68. Al 1560 data inoltre una lapide presente nella detta cappella segnalata dallo Spano - che, qualora dovesse riferirsi alla tumulazione di un falegname – cosa tutt’altro che sicura – sarebbe indice che la maestranza già in quegli anni vi godesse del diritto di sepoltura. Cfr. G. SPANO, Oristano, op. cit., p 167, nt. 2: “[...] Il pavimento sarà stato pieno d’iscrizioni che riponevano sopra le tombe. Tutte furono infrante, e forse adoperate per materiali della fabbrica, come abbiamo osservato un frammento di marmo nell’altare di san Giuseppe, in cui è scritto sepulcrum ... obiit die XVII maii MDLX [...]” (corsivo dello scrivente). 27
28
Cfr. ASCa, AnsOr, notaio Correli Giovanni Agostino, vol. 150, cc. 263r-266v. 89
Capitolo il 20 luglio 1627. I patti stabiliti tra il Capitolo e il gremio prevedevano che nella nuova cappella potessero essere tumulati non solo i membri del gremio ma anche i loro apprendisti, compresi quelli che non erano ancora stati esaminati, purché avessero terminato il periodo di apprendistato e avessero una loro bottega per esercitare il mestiere; avrebbero inoltre goduto del privilegio della sepoltura tutti i figli dei mastri esaminati morti in minore età. La cappella verosimilmente era destinata esclusivamente ai falegnami residenti in città, benché il gremio riscuotesse dai mastri dei tre Campidani la solita almoina y charitat per il suo mantenimento e decoro, così come era stabilito dai Capitoli del gremio, già in uso in quegli anni; nel 1618, poiché quanto stabilito nello Statuto non veniva osservato, il gremio nominò suo procuratore un certo Giacomo Pisano, affinché si recasse a Cagliari per richiedere l’osservanza dello statuto del gremio ed eventualmente, se nello stesso fossero state riscontrate lacune o errori, emendarlo in conformità allo statuto del gremio gemello della capitale29. Di alcune cappelle, infine, sono giunte fino a noi solo le intitolazioni. Quella intitolata all’Angelo Custode30 è citata nel testamento di Antonio Pellis il quale dispose che vi venissero celebrate in suo suffragio 5 messe ogni settimana in perpetuo; a quella consacrata alla Madonna di Montserrat Francesco Sanna, originario di Milis, lasciò una somma per la celebrazione di messe accompagnate dal canto dei gosos in onore della Madonna31 ; nella cappella del Santo Rosario chiese di essere tumulata la vedova Joana Angiela Moni, e infine in quella
29 I mastri citati nell’atto sono Miquel Matzuçi mestre de carros, Barçolu Sanna, fuster, lo present any matjorals de la venerable compagnia del glorios Sant Joseph d.esta ciutat de Oristany, Antiogo Cau, Antonio Lai, Bainju Sanna, Julia Mancha, Joan Antonio Escano, Antonio Mancha, Andria Porcu, Antiogo Onni, Francisco Pinna, y Francisco Pisano.
Cfr. ASCa, AnsOr, notaio Nonni Michele, vol. 527, cc. non numerate: 1633 marzo 3, Oristano. 30
Cfr. ASCa, AnsOr, notaio Mura Pietro Angelo, vol. 495, c. 149v: 1607 marzo 30, Oristano. 31
90
intitolata a San’Andrea chiese di essere sepolto il cittadino March Antoni Casu32. Unico caso attestato di un altare con intitolazione diversa rispetto a quello della cappella dove era ubicato è tramandato da un atto del 1614. I canonici, dietro richiesta di Giacomo Corellas, si impegnavano a celebrare nella cappella di San Giacomo, nell’altare intitolato a Nostra Signora della Neve, una messa recitata al giorno per un anno, il lunedì per le anime del purgatorio, e i restanti giorni della settimana a discrezione del Corellas, il quale si impegnava a pagare la somma di 100 lire in quattro uguali rate trimestrali33. Un’ultima cappella di cui fino ad ora mancavano attestazioni documentarie è quella intitolata a San Giovanni Battista. Recentemente lo studioso Maurizio Casu, sulla base di un esame del retablo dei consiglieri eseguito nel 1565 da Antioco Manias, ha ipotizzato che proprio il Battista fosse in quell’epoca il patrono della città34, prima del ritrovamento - nel 1615 - delle reliquie di Sant’Archelao. Il santo Precursore doveva essere - così come ancora oggi - molto amato in città, e tenuto in grande considerazione anche dal Capitolo, tanto che nel 1620 un canonico, Pietro Spano, commissionò ad Andreu de Lastrigo, caxer genovese abitante a Cagliari, la realizzazione di un cocchio simile a quello commissionato allo stesso mastro dal reverendo Antonio Dessi, decano della diocesi di Ales, dello stesso legname e fattura, con gli ingressi laterali ad anta unica, da consegnare entro la vigilia della ricorrenza della natività del Santo acabat, dret a posar los bous y cavalls; il costo relativamente basso e l’ipotesi di potervi
Cfr. ASCa, AnsOr, notaio Correli Giovanni Agostino, vol. 147, cc. sciolte non numerate: 1644 luglio 27, Oristano: Testamento di Joana Angiela Moni: “[...] Elegint sepultura ecclesiastica al meu cos y cadaver faedora dins la metropolitana iglesia de Arborea en lo replá de la capella del Sant Roser, volent y manant que dit mon cos sie vestit del abit del glorios Sant Francesch”. Nello stesso volume il testamento di March Antoni Casu rogato a Oristano il 23 novembre 1643: “[...] Elegint sepultura ecclesiastica al meu cos y cadaver faedora dins la metropolitana iglesia de Arborea de baix lo replá de la capella del glorios Sant Andreu , volent y manant que dit mon cos sie sepellit y enterrat ab lo abit de la venerable compañia de la Mort alias dita de la Oratio“.
32
Cfr. ASCa, AnsOr, notaio Mura Pietro Angelo, vol. 500, cc. 161r-v: 1614 aprile 3, Oristano 33
Cfr. M.CASU, De sa cittad'e Tharros portant sa pedra a carros e ... il santo patrono?, in: Quaderni Bolotanesi, n° 33 (2007), pp. 273-278. 34
91
attaccare buoi portano a pensare che il cocchio servisse per portare la statua del santo nella consueta processione35. Anche in questa cappella, sicuramente a partire dagli anni ‘20 del Seicento era istituito un patronato di cui godeva la famiglia de Moncada, che si occupava del mantenimento della stessa e vi godeva del diritto di sepoltura. Antonio de Moncada, che ricoprì anche la carica di podestà cittadino vi fece svolgere dei lavori tanto importanti da giustificare l’impegno di una ventina di fabbri, ricompensati con una somma non indicata per la fena de la capella del glorios sant Joan Baptista te dins la santa Seo desta dita ciutat36. Anche in questo caso, trattandosi di una ricevuta di pagamento non è indicato che tipo di lavori vennero svolti nella cappella. La famiglia de Moncada godeva del patronato sulla cappella ancora alla metà del secolo, quando abbiamo attestazione che vi venne tumulato il cadavere di donna Giovanna de Moncada, il 19 aprile 164537 . L’affermazione del Vico secondo cui le cappelle erano iniunctas alle navatelle laterali, dà l’idea della cattedrale come di un cantiere sempre aperto, nel quale, all’occorrenza venivano aggiunte nuove parti o anche solamente eseguite modifiche; a comprova di ciò può citarsi la nuova cappella fatta costruire dal Canopolo, o i lavori per la realizzazione del nuovo coro, eseguiti dai picapedrers Francesco Orrù e Melchiorre Uda cui erano stati affidati dal Capitolo con la risoluzione capitolare del 26 novembre 1622, e conclusi cinque anni dopo, come si evince dalla risoluzione del 24 novembre 1627, con la quale il Capitolo deliberò il pagamento dell’opera, dichiarandosene molto soddisfatto. Cfr. ASCa, Atti notarili sciolti di Cagliari, notaio Conco Michele, vol. 176, cc. non numerate: 1620 maggio 12, Cagliari. Il santo era festeggiato nella città arborense almeno dagli inizi del XIII secolo; la ricorrenza è infatti citata in un atto dell’11 giugno 1224. Cfr. D. Scano, Codice Diplomatico delle Relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna, vol. I, Cagliari 1940, doc. XC, pp. 58-69; il documento è stato riesaminato da N. Danieli e M. Casu nei rispettivi articoli di questo volume. 35
Cfr. ASCa, AnSor, notaio Pinna Nicolò, vol. 603, cc. 393r-v: 1618 giugno 15, Oristano: i ferrers e magnans citati sono: Simoni Vacha, Francisco Sanna, Joanneddu Caria, Serbestu Serra, Salvador Pinna, Barcolu Enna, Antonio Casula, Llorens Motchi, Francisco Varju, Francisco Matana, Alexi Mancha, Perdu Obino, Antonio Ala, Anjel Pinna, Antiogo Capai, Antiogo Abis, Antonio Anjel Casu, Perdu Deana, Llorens Mastino, Barçolu Cabra. 36
Cfr. Archivio del Monastero di Santa Chiara di Oristano, manoscritto B4: “[...] Vuy a 19 de abril 1645 fas notta de com nostre Señor le es sevit portarsse d.esta vida a la millor a la quondam donna Juana de Moncada ma moller. Se es enterrada en la capilla de Sant Juan de la metropolitana esglessia segons consta per lo testament rebut per Juan Agostì Correly notari rebut a 18 de dit mes y ayñ. Nostre Señor li hatja dat gosar la santa gloria, amen.” 37
92
L’anno successivo, con atto del 4 ottobre, il Capitolo commissionò allo stagnaio Joan Bruno, di costruire 11 vetrate per le finestre del nuovo coro; sei per le finestre della lanterna, due per le finestre grandi che danno luce da nord (a part de tramontana), una per la finestra grande ad est (a part de levante), e le ultime due per gli hovals che ugualmente danno luce da est38. Alla fine del secolo l’arcivescovo Giuseppe de Acorrà y Figo39 chiamò in città l’architetto Baldassarre Romero, originario della città di Milano e domiciliato a Sassari, per realizzare una barandilla de balaustres de pedra vermella de Bosa demunt de la ultima grada del replà del altar major, uguale a quella che si trovava nella cattedrale di Bosa ma lavorata in modo simile alla balaustra di diaspro presente nella cattedrale di Sassari40 ; il Romero si impegnava ad eseguire anche “[...] una exida eo corredor com serà gusto de dita sa señoria illustrissima hara sia demunt del axico de la capella del Santissim Sacrament o a part del cor e finalment hont voldrá dita sa señoria de modo que puga registrar la iglesia o vero dit coro y que de aquella puga hoir la santa missa sempre y quant voldrá [...]”, e di consegnare i lavori entro la fine del carnevale del successivo anno 1693, il tutto per il prezzo di 100 scudi41 . Dalle Relationes ad limina si evince che accanto alla cattedrale vi era una torre campanaria con diverse campane, una delle quali eseguita dal campanaro di Sassari Andrea Matja nel 1606 dietro commissione del Capitolo per tocar Aves 42, edificata a circa 10 passi di distanza dal corpo chiesastico; nel 1670 nella stessa torre aveva trovato posto anche
La lanterna è una sorta di torre che permette l'illuminazione di una cappella o della chiesa. Il documento è conservato in ASCa, AnsOr, notaio Correli Giovanni Agostino, vol. 150, cc. non numerate: 1628 ottobre 4, Oristano. Riguardo agli atti capitolari cfr. M. MANCONI DE PALMAS, La Cattedrale di Oristano, op. cit., pp. 52, 60-69; R. BONU., Oristano nel suo duomo, op. cit., p. 62; F. SEGNI PULVIRENTI - A. SARI, Architettura tardogotica e d’influsso rinascimentale, collana Storia dell’arte in Sardegna, Nuoro, Ilisso, 1994, sch. 69. 38
39
Arcivescovo dal 1685 al 1702. Cfr. R. TURTAS, Storia della Chiesa, op. cit., p. 839.
“[...] conforme resta traballada la barandilla de jaspe que es en la catredal de Sasser [...]”.
40
41
Cfr. ASCa, AnsOr, notaio Melas Gregorio, vol. 373, 2 cc. sciolte non numerate.
42 Cfr. ASCa, AnsOr, notaio Mura [Pietro Angelo], vol. 505, cc. non numerate: 1606 maggio 19, Oristano. Con lo stesso atto il Matja si impegna a realizzare altre due campane, una per la villa di Barumini e una per la villa di Fenogueda.
93
l’orologio43. Gli stessi documenti hanno permesso inoltre di chiarire il dubbio sull’esistenza presunta di una seconda torre campanaria situata a destra della facciata. L’atto con cui Leonardo Pitzolo donava il 15 ottobre 1611 alla cappella dell’Annunziata un orto confinante nella parte posteriore con il campanile e la fontana della cattedrale, da un lato al cimitero e dall’altro alla chiesa di San Francesco44, unitamente ad un atto di appalto di un secondo orto contiguo al cimitero, al muro del cortile del palazzo arcivescovile e alle mura cittadine risalente al 161745 portavano a pensare all’esistenza di una seconda torre, probabilmente da identificare con la struttura appena tratteggiata nel disegno e al momento non identificata.
II. Il palazzo arcivescovile: Contiguo alla chiesa cattedrale era il palazzo arcivescovile, attestato già dal 115746 . Nel corso del XVII secolo, quando il Capitolo deliberò di costruire il nuovo coro, alcune stanze vennero demolite per far posto all’ampliamento detto, tanto che ancora nel 1628 l’arcivescovo se ne lamentava con il Capitolo, proponendo che si prendesse una casa in affitto per evitargli i disagi causatigli in attesa di rinnovare le strutture dell’edificio47. 43 L’orologio non viene citato nella precedente relazione del Vico; si può ipotizzare quindi che l’orologio abbia trovato posto nella torre tra il 1640 e il 1670. Relativamente agli orologi in età medievale e moderna cfr. C. M. CIPOLLA, Le macchine del tempo. L'orologio e la società 1300-1700, Bologna, Il Mulino, 1981 e 1996. Nella città arborense era presente anche un orologio civico, attestato dalla metà del 1500, e che nel 1628 era alloggiato nella torre di Porta Ponti o di San Cristoforo, sotto la campana; nella stessa torre resterà almeno fino agli anni ’30 del Settecento. Cfr. ASCOr, Llibres de Conçelleria, registro n. 319, c. 6r., 1628 novembre 30, Oristano. 44 Cfr. ASCa, AnsOr, notaio Mura Pietro Angelo, vol. 498, cc. non numerate: 1611 ottobre 15, Oristano.
ASCa, Antico Archivio Regio, vol. BD 30, c. 49: 1617 luglio 24, Cagliari. Citato in: F. CARBONI – A. PONTIS, Oristano nell’Archivio di Stato di Cagliari (secoli XV-XVII), in: Quaderni Bolotanesi, n° 30 (2004), pp. 211-247, in part. p. 240. 45
46
Cfr. P. TOLA, Codex Diplomaticus Sardiniae, Torino 1861, tomo I, doc., LXIV, p. 220.
Cfr. Archivio Capitolare di Oristano, Risoluciones Capitulares, vol. I, pag. 45. “[...] Empeza del año 1621 y acaba en el de 1645 [...]”, citato in M. MANCONI DE PALMAS, La Cattedrale di Oristano, op. cit., doc. VII, pp. 61-62. 47
94
I lavori eseguiti probabilmente furono solo di ripristino, tanto che ancora nel 1670 l’arcivescovo Cotoner nella sua Relazione al Pontefice lamentava che l’edificio era di dimensioni ridotte, tanto da richiedere l’assegnazione di alcune rendite della Mensa arcivescovile per il suo ampliamento48 Lavori per la costruzione di nuovi locali furono svolti dal suo successore Accorrà y Figo. Questi con atto del 22 febbraio 1695 incaricò l’architetto milanese Baldassarre Romero di completare gli alloggi del nuovo palazzo, non ancora ultimato, junt al palassi antigament plantat y fabricat. I lavori comprendevano il rafforzamento dei solai del piano inferiore, con mattoni cotti, sabbia e calce, senza utilizzare fango, nel piano rialzato dei locali, due dei quali, quelli affacciantisi verso le mura cittadine, in quadra di 25 palmi grandi per 22 di ampiezza, mentre negli altri, verso la Casa della Città, avrebbe dovuto ricavare due stanze da letto di 12 palmi grandi di lato, con i relativi despensa o sea gabineto, per un costo complessivo dei lavori pari a 400 scudi, corrispondenti a mille lire49 (fig. 3).
48 Bernardo Cotoner così lo descive nella sua relazione Ad limina del 1670: “[...] palatium quoque habet episcopale contiguum ecclesiae cathedrali non tam capacis habitationis, ad quod tamen ampliandum aliquos redditus pertinentes Mensae archiepiscopali designare decrevi, favente Deo [...]”. Cfr. Archivio Segreto Vaticano, Fondo Sacra Congregatio Concistorialis relationes, Arborea, 70 A, c. 66v. 49
Cfr. ASCa, AnsOr, notaio Melas Gregorio, vol. 373, cc. sciolte non numerate. 95
Tavola I. 1 e 2: ASCa, Atti notarili sciolti di Oristano, notaio G. Melas, vol. 368, cc. sciolte non numerate. Su concessione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo - Archivio di Stato di Cagliari -, autorizzazione n° - 158 - del 26 FEB. 2014; è espressamente vietata la riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo.
Tavola II. 3: Disegno eseguito dall’architetto Baldassarre Romero per i nuovi locali dell’episcopio di Oristano. Su concessione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo - Archivio di Stato di Cagliari -, autorizzazione n° - 158 - del 26 FEB. 2014; è espressamente vietata la riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo.
98
Archelaus: da presbiter b. m. a Beatus Martir e Patrono dell’Arcidiocesi Arborense Maurizio Casu
Tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo, l'antica polemica tra gli arcivescovi di Sassari e Cagliari per il titolo di primate della Chiesa sarda, registrò un particolare livello di asprezza1 . Già dal 1409 gli stessi arcivescovi di Cagliari si erano attribuiti il privilegio di "primate di Sardegna e Corsica", fatto cui da subito si opposero i presuli turritani. Nel 1588 l'arcivescovo sassarese Alfonso de Lorca perorava la sua causa rivolgendosi al pontefice Sisto V, ma la disputa venne considerata dalla Sacra Rota soltanto nel 1606, essendo arcivescovi di Sassari Andrea Bacallar e di Cagliari Francisco de Esquivel2 . Alla contesa ed alla polemica presero parte numerosi protagonisti di primo piano della scena politica e religiosa del tempo; oltre al sovrano Filippo III di Spagna, schierato in favore del metropolita cagliaritano, ebbe un ruolo nella controversia anche il primate di Pisa, il quale da tempo chiedeva per se il riconoscimento del titolo di primate della Chiesa Sarda. Il dibattito si inasprì ulteriormente allorquando, nel 1613, venne nominato arcivescovo di Sassari Gavino Manca Cedrelles, già vescovo di Alghero, imparentato con nobili ed influenti famiglie catalane3 . Proprio in quegli anni, una possibilità di soluzione dell'annoso problema fu individuata nella valutazione e considerazione dell'inventio ovvero nel ritrovamento - delle reliquie dei corpi dei martiri, il cui numero e la cui rilevanza avrebbero legittimato l'autorità e quindi la supremazia di una delle due diocesi sarde sull'altra. Tale operazione risultava perfettamente coerente con il programma ed il metodo che la Controriforma in quegli anni promuoveva. Infatti, il rinvenimento e la valorizzazione delle reliquie dei primi martiri del cristianesimo nella città di Roma, dimostrava il ruolo centrale che la Sede del successore di Pietro vantava da secoli e che, come custode secolare di questa tradizione e di queste memorie, si candidava ancora, dopo il Concilio di 1 D. FILIA, La Sardegna Cristiana, collana: Storia della Sardegna, Sassari, Stamperia della Libreria Italiana e Straniera, 1929, vol. II, pp. 263-285; R. TURTAS, Storia della chiesa in Sardegna: dalle origini al Duemila, Roma, Città Nuova, 1999, pp. 373-382, in part. 377 e ss.
F. D'ESQUIVELL, Relacion de la invencion de los cuerpos santos que en los annos 1614, 1615, 1616, Napoli, 1617.
2
G. MANCA CEDRELLES, Relacion de la invencion de los cuoerpos de los santos martires San Gavin, San Proto y San Ianuario, Madrid, 1615, passim.
3
99
Trento, quale fulcro del cristianesimo, in seguito alla diffusione del protestantesimo ed alla affermazione dell'autorità delle chiese inglese, francese e tedesca. In Sardegna, così come nel resto dell'orbis cristianus, si assiste pertanto ad una notevole campagna di scavi volta alla ricerca dei corpi dei martiri, ricerca che al contempo ha rappresentato una prima ed interessante forma di vera e propria indagine archeologica4. Da un punto di vista artistico ed architettonico la cripta della cattedrale di Cagliari5 , ben rappresenta questo momento storicoreligioso, durante il quale si registrerà il rinvenimento di innumerevoli reliquie di Santi e che - con differenti valutazioni circa l'effettiva autenticità delle stesse - annovererà il ritrovamento di alcuni Santi martiri. Tra questi si ricorda l'inventio dei resti dei corpi dei Santi Gavino, Proto e Gianuario nell'omonima basilica di Porto Torres nonché, nell'isola di Sant'Antioco, la scoperta delle reliquie del Santo patrono dell'isola sulcitana6. Nell'anno 1615, l'Arcivescovo arborense Antonio Canopolo, inserendosi a pieno titolo nella corsa alla primazìa di Sardegna, promosse degli scavi presso la chiesa di San Lussorio di Fordongianus, già documentata come luogo di sepoltura del martire omonimo. Gli scavi, diretti dal vicario generale Antioco Casu, misero in luce sul lato meridionale della cripta un'iscrizione marmorea riferita ad un Archelaus presbyter, qualificato Beatus Martir7 . Secondo il canonico Salvatorangelo Scintu, autore nel 1873 della Raccolta di memorie d’Arborea - nelle quali, come vedremo, sono riferite interessanti informazioni circa il ritrovamento e i successivi festeggiamenti in onore del patrono della diocesi arborense - l'iscrizione scomparve in occasione dell'invasione nella città di Oristano delle truppe francesi nel 16378. 4 AA.VV., Sancti Innumerabiles: scavi nella Cagliari del Seicento: testimonianze e verifiche, Oristano, S’Alvure, 1988, pp. 19-21. 5 AA.VV., Arcidiocesi di Cagliari, collana: LʼArte Sacra in Sardegna, vol. I, Cagliari, Zonza, 2000, passim.
G. MELE, La "Passio" medioevale di Sant'Antioco e la cinquecentesca Vida y miracles del benaventurat Sant'Anthiogo fra tradizione manoscritta, oralità e origini della stampa in Sardegna, in: Teologica e Historica: Annali della Pontificia facoltà teologica della Sadegna, vol. VI, Cagliari, Piemme, 1997, pp. 111-119.
6
R. ZUCCA, Le iscrizioni latine del Martyrium di Lvxsurivs, Oristano, 1988, pp. 9, 15-19 e ss. 7
S. A. SCINTU, Raccolta di memorie d'Arborea tratte in gran parte da documenti inediti, Oristano, 1873, p. 145.
8
100
Alcuni scrittori del XVII secolo hanno tramandato la seguente trascrizione9: HIC IACET BEATUS MARTYR ARCHELAUS PRESBITER OBIT (die) TERZIO KALENDAS mA RZI(as) AN. 100
La prima riga dell'iscrizione si presentava secondo la formula hic iacet b. m., largamente documentata nelle epigrafi sarde di età romana; ma mentre l'abbreviazione b. m. viene sistematicamente sciolta con la formula bene merenti, nel caso del presbyter, titolo raramente documentato in Sardegna, viene interpretata come beatus martir. Il nome Archelaus, che risulta documentato in Sardegna solo da questo titolo, è noto nell'orbis christianus ma riferito esclusivamente ad un Archelaus diacono, martirizzato ad Ostia nell'età di Diocleziano e ad un Archelaus Vescovo in Mesopotamia nel IV secolo d.C. Infine, non risulta altrimenti documentato nelle iscrizioni sarde il verbo obire. Il mistero sulla figura del martire Archelao si infittisce se si considera che lo storico Giovanni Francesco Fara, nel suo De Chorographia Sardiniae del 1580, pur riferendo sulla sepoltura di San Lussorio presso la chiesa omonima di Fordongianus, non cita l'iscrizione, documento epigrafico che sul finire dell'Ottocento fu giudicato falso dallo studioso di epigrafia Teodoro Mommsen10 . Attualmente, a differenza del ritrovamento delle reliquie di altri Santi martiri, non si conosce una relazione ufficiale dello scavo e quindi del rinvenimento dei resti del corpo del presbitero Archelao. Alcune notizie relative alla sua inventio, talvolta contrastanti circa i dati e le date della scoperta, oltre a quelle riportate nell'opera già citata del canonico della nostra diocesi, sono riferite da Mons. Raimondo Bonu, altre, relative ad alcune vicende successive alla scoperta, nonché ai cerimoniali dei festeggiamenti nella città di Oristano dal 1616 sino al XIX secolo, si trovano documentate presso l'Archivio Storico del Comune di Oristano. Lo Scintu, così come recita l'iscrizione collocata nel 1942 nella L’epigrafe ha conosciuto varie trascrizioni, si vedano principalmente: F. CARMONA, Alabanças de los santos, 1631, m.s. cartaceo conservato presso: Biblioteca Universitaria di Cagliari, f.35; D. BONFANT, Triumpho de los Santos del Reyno de Cerdena, Caller, 1635, pp. 127-8; S. VIDAL, Annales Sardinae, vol. II, Milano, 1645, p. 109; R.ZUCCA, Le iscrizioni, op. cit., p. 29. 9
10
G. F. FARA, De Chorografia Sardinae, Torino, 1835, p. 74; T. MOMMSEN, CIL X, 1120. 101
cappella di Sant'Archelao nella cattedrale di Santa Maria Assunta, riferisce che le reliquie di Archelao, scoperte il 5 di febbraio del 1615, vennero traslate nel capoluogo solo il giorno 11, in quanto l'opposizione e la protesta degli abitanti di Fordongianus impedirono la traslazione delle reliquie del martire locale. Solo l'intervento del viceré poté placare l'ira della comunità dell'antica Forum Traiani, in quanto non ne volevano certo sentire di veder partire le reliquie di Archelao. Il giorno 11, finalmente, un solenne cerimoniale e un lungo corteo si preparava ad accogliere presso la chiesa della Maddalena di Silì, l'ingresso delle reliquie nel capoluogo arborense. Nel registro di consiglieria dell'anno 1615-1616, custodito presso l'Archivio Storico di Oristano, già studiato da Walter Tomasi, si riferisce di alcune spese accorse per l'organizzazione dei festeggiamenti in onore al martire Archelao; tra queste si elencano la realizzazione di lance, l'acquisto di un nastro di seta per un bastoncino ed un premio per un vincitore11 . Tutti questi elementi rimandano all'organizzazione di una edizione straordinaria in città di una Sartiglia. Anche ad Oristano quindi, con tutta probabilità, così come si era già fatto per celebrare solennemente il ritrovamento di corpi santi nelle città di Cagliari e Sassari, la corsa all'anello rappresentò una delle forme di festeggiamento e spettacolo offerti al popolo per un'occasione così importante. Anche ad Iglesias, come testimonia un prezioso documento, nel 1615, una sortilla segnò solennemente i festeggiamenti organizzati in occasione del passaggio delle reliquie del martire sulcitano, rinvenute nell'omonima isola di Sant'Antioco, successivamente traslate nel capoluogo iglesiente. Dalla documentazione custodita presso l'Archivio Storico del Comune di Oristano12 , circa la collocazione delle reliquie di Archelao, si evince che, inizialmente, la curia arborense aveva pensato di custodirle presso il palazzo arcivescovile. Tale iniziativa fu oggetto di un preciso intervento da parte dei Consiglieri della Città, i quali sensibilizzarono l'Arcivescovo affinché le reliquie del martire non fossero collocate in un luogo così inaccessibile ma che fossero facilmente disponibili per il culto e la venerazione della comunità, proponendo quindi la sistemazione in cattedrale. Inoltre, così come si era già realizzato nelle Città Regie di Cagliari e di Sassari, i consiglieri civici chiedevano che una delle tre chiavi della cassetta nella quale erano conservati i resti del Corpo Santo fosse custodita da un rappresentante della città. L'Arcivescovo acconsentì alla richiesta formulata dal consiglio civico e, come recita la W. TOMASI, “Sortilles”, palii e altri spettacoli equestri nella città regia di Oristano, in: Testimonianze inedite di storia arborense, Mogoro, PTM, 2008, pp. 109-135.
11
12
Il cui puntuale rinvenimento e studio dobbiamo sempre a W. Tomasi, vedi nota prec. 102
già citata iscrizione collocata nella cappella, le reliquie furono custodite nel duomo cittadino, inizialmente presso la cappella del battistero, quindi nella cappella della Vergine Immacolata vicino all'aula capitolare e successivamente presso la cappella appositamente dedicata al martire Archelao. Nel corso del XVII secolo i festeggiamenti in onore di Archelao sono documentati nella giornata dell'11 di febbraio, data che, come detto, ricorda l'ingresso in città delle sue reliquie. Un documento inedito del 1619 riferisce che in occasione della festa, i resti del corpo di Archelao vennero traslati in una cappella posta a mano destra rispetto all'altare maggiore e che, al termine della solenne processione, alla presenza dell'Arcivescovo Antonio Canopolo e delle autorità civiche, furono riposti nell'apposita cassetta le cui tre chiavi erano in possesso rispettivamente del Reverendo Arcivescovo, del canonico più anziano del Capitolo ed una affidata al Consigliere in Capo della Città. Da questa attestazione risulta pertanto completamente accolta la richiesta già avanzata dai rappresentanti civici, mentre appare chiaro che a quella data non esisteva nella cattedrale arborense una cappella dedicata all'attuale santo patrono della Diocesi. Come testimoniano le preziose cronache custodite presso l'Archivio Storico cittadino, a partire da quel momento sino al XIX secolo, ogni anno, si ripeteva il solito solenne cerimoniale in occasione della festa. La compresenza dei tre custodi delle chiavi garantiva l'apertura della cassetta, seguiva quindi l'ostensione delle reliquie che dava inizio alle celebrazioni, la Santa Messa e la solenne processione alla presenza di tutte le autorità religiose e civili della città. Al termine delle stesse si predisponeva la ricollocazione delle reliquie nella cassetta, quindi, nuovamente, alla presenza di tutti e tre i custodi delle chiavi, si assicuravano le reliquie riponendo la cassa nella sua collocazione. Il canonico Salvatorangelo Scintu, nel fornirci numerose informazioni sull'evento della scoperta e sui festeggiamenti in onore a questo Santo, sottolinea che tali celebrazioni risalgono a tempi antichissimi e che nella città di Oristano non si ricordavano festeggiamenti in onore di un altro patrono. Ora, il fatto che, come già accennato, nel 1619 ancora non vi era nella cattedrale di Oristano una cappella dedicata al Santo, attualmente documentata dallo studioso Raffaele Cau solo a partire dal 167713 , unitamente all'analisi di numerose altre testimonianze storiche e religiose, a differenza di quanto afferma lo Scintu, ci induce a ipotizzare che, probabilmente, il culto ad Archelao sia da considerarsi attivo a partire dal rinvenimento delle sue reliquie. Infatti, reputiamo che la dedica della prima cappella a sinistra 13
Vedi la relazione di Raffaele Cau in questo volume. 103
del presbiterio della cattedrale arborense ad Archelao abbia sostituito nel corso del Seicento una precedente intitolazione; cappella che, così come si presenta attualmente, rimanda agli importanti lavori eseguiti nel duomo oristanese nel terzo decennio del Settecento con l'intervento dello scultore Pietro Pozzo, il quale realizzò in marmo la statua e la cappella di Sant'Archeolao, unitamente a quella di San Filippo Neri, grazie anche all'intervento economico dell'allora Arcivescovo Nin14. I festeggiamenti oristanesi del patrono Sant'Archelao, come informa ancora lo Scintu, a partire dall'anno 1680, furono spostati dal mese di febbraio a quello di agosto, esattamente al giorno 29, in ricordo della giornata del martirio, così come, annota ancora il canonico, da tempo immemorabile, si faceva presso la comunità di Fordongianus. In considerazione del contesto del rinvenimento delle reliquie di Archelao a cui abbiamo già accennato e valutando tutta una serie di riferimenti religiosi, storici ed artistici, ci siamo chiesti se prima dell'anno 1615 - anno di rinvenimento delle reliquie - fosse testimoniato in Sardegna, o almeno nel territorio arborense, il culto in onore al presbiter Archelaus ed in particolare da quando il Beatus Martir fosse documentato come patrono della città di Oristano. Dall'analisi delle fonti storiche, oltre all'iscrizione di Fordongianus, che secondo il canonico scomparve in occasione dell'invasione delle truppe francesi de is sodraus grogus, tristemente documentata in città nel 1637, il nome Archelaus non figura in Sardegna in nessun'altra attestazione epigrafica o comunque scritta, né di età romana né del periodo vandalico. La più antica menzione del titolo martiriale della chiesa di Fordongianus, si ha in una lettera di Gregorio Magno a Gianuario vescovo di Cagliari, datata 599, che menziona escusivamente il monasterium ss. Gabinii atque Luxurii15 . Né Archelaus è citato nel Martyrologium Hieronimianus, risalente al VI secolo, dove è solamente registrato il martirio in Sardinia, in (Foro) Traiani di Lussorio, suppliziato sotto Diocleziano e sepolto, secondo la Passio sancti Luxurii, extra oppidum in cripta. Nella nostra ricerca, particolare rilevanza storica assume il fatto che non registriamo alcuna attestazione del suo nome né del culto nei documenti di età medievale, così come non troviamo riportato il nome A. PILLITTU, G. PANI, La chiesa nellʼArcidiocesi di Oristano; collana: LʼArte Sacra in Sardegna, Sestu, Zonza, 2003, pp. 90-92, 99, 102-105; M. MANCONI DEPALMAS, La chiesa di S. Maria Cattedrale di Oristano; in: Quaderni Oristanesi, nn° 5-6, Marzo 1984, pp. 65-67; R. CORONEO, A. PASOLINI, R. ZUCCA, La Cattedrale di Oristano, Cagliari, Zonza, 2008, passim. 14
G. F. FARA, De Chorografia, op. cit., p. 196; G. ARCA, De Sanctis Sardinae liber II, Cagliari, 1598, vol. I, p. 73.
15
104
Archelao nei Quinque Libri delle parrocchie della diocesi arborense. Tali elementi ci inducono a ipotizzare che probabilmente il culto di Archelao e la sua protezione speciale come patrono della Città di Oristano e dell'intera Arcidiocesi arborense furono invocati dalla chiesa e dallo stesso Arcivescovo Antonio Canopolo, sostituendo magari un precedente patrono con questa figura di martire locale, il cui rinvenimento si colloca, come già detto, nel contesto storico e religioso della corsa alla reliquie dei Santi, intrapresa dai presuli di Cagliari e di Sassari. Come affermato, attualmente, non si possiedono notizie documentarie in merito ai festeggiamenti in suo onore prima del 1615, data dell'inventio delle sue reliquie, sia presso la comunità di Fordongianus, sia nel capoluogo. Diversamente, importanti indizi storici, riferibili ad un arco cronologico dall'XI sino al XVI secolo, ci consentono di riconoscere nella figura di San Giovanni Battista quella di protettore speciale se non di patrono della città di Oristano. Nel 1580 lo storico Giovanni Francesco Fara, nel riferire, a suo dire con tanto di prova documentaria, del trasferimento nell'anno 1070 degli abitanti da Tharros verso l'antica Aristiane, informa che l'intera cittadinanza si spostò, guidata dal Giudice Orzocco de Zori e dall'Arcivescovo di Tharros, in seguito alle continue minacce saracene. In questa occasione così come nelle altre opere, il Fara non cita mai il nome di Archelaus, tanto meno il suo ruolo di antico patrono. E' presumibile che nell'XI secolo, la cattedrale arborense fosse la chiesa di San Giovanni di Sinis e quindi si potrebbe individuare nella figura del Battista il patrono di Tharros, prima capitale del regno d'Arborea. Un'altra ipotesi sarebbe quella di individuare l'intitolazione della cattedrale e forse il santo patrono in San Marco di Sinis, la cui chiesa era ubicata nel cuore dell'antica città di Tharros, presso le cosiddette Terme di Convento Vecchio. Nella nostra ricerca di un eventuale patrono della città di Oristano nei secoli precedenti il ritrovamento seicentesco delle reliquie di Archelao, risulta rilevante il dato secondo il quale, in seguito al trasferimento della cattedra vescovile da Tharros in Oristano, il presule arborense continua a mantenere il titolo di Abate di San Giovanni di Sinis. Relativamente all'età medievale, come già accennato, non registriamo alcuna attestazione del culto di Sant'Archelao, mentre non mancano i riferimenti alle giornate di festa e alle solennità celebrate nel capoluogo arborense. In particolare in questa occasione, citiamo un
105
prezioso documento del 122416, emesso dalla cancelliaria della Sede Apostolica papale ed indirizzato all'Arcivescovo arborense Torgotorio, lo stesso presule che si occupò del restauro della cattedrale del 1228 e che risulta documentato nei preziosi picchiotti di bronzo, attualmente custoditi presso l'Archivietto della cattedrale. Nel documento citato, il papa Onorio III, unitamente alla conferma di tutte le pertinenze e le proprietà già concesse dai suoi predecessori all'Arcivescovo arborense, elenca tutta una serie di festività "[...] ad quas Judex Arborensis et populus tue provincie consueverunt sollempniter convenire [...]". Tra le solennità sono elencate la Domenica delle Palme, il giovedi e il sabato santo, la Pasqua, l'Ascensione, la Pentecoste e le tre feste in onore della Madonna. Risulta interessante notare come, tra le feste in onore dei santi, per prima si citi la natività di San Giovanni Battista; seguono quindi le feste degli Apostoli, la dedicazione della chiesa e l'anniversario della sua consacrazione, oltre alle feste dei santi Nicola e Marco. Sottolineiamo infine ancora una volta come anche in questo elenco non figurino celebrazioni in onore di Sant'Archelao. Altra importante testimonianza di età medievale per la nostra ricerca è senza dubbio la Carta de Logu, promulgata dalla giudicessa Eleonora d'Arborea sul finire del XIV secolo17 . In particolare osserviamo che nel capitolo CXXI, De feriis, ovvero delle ferie, si ordinava che dovevano essere considerati giorni feriali dalle curadorias, con l'obbligo di recarsi in Oristano per fare la chida de berruda, le feste di San Giovanni, di Sant'Agostino e di San Marco. Ancora, nel capitolo CXXV, intitolato Dies feriades, sono registrate tutte le giornate di festa nelle quali era proibito che si tenesse la Corona de Logu o de berruda o altre di queste assemblee. Tra queste vi sono le ferie delle messi ovvero il periodo che va dal 15 giugno al 15 luglio, comprendendo quindi anche il 24 giugno, giorno della festa della natività di San Giovanni Battista. Relativamente al XV secolo, registriamo una interessante commissione di un'opera d'arte raffigurante il Battista. Pur non essendo documentata la sua precisa destinazione, è noto che un patrizio oristanese, nel 1478, chiese al pittore ligure Giovanni Canavesio di
D. SCANO, Codice Diplomatico delle Relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna, Cagliari, BCT, 1940, vol. I, doc. XC, pp. 58-69.
16
S. BONESU, Sa festa de Santu Marcu de Sinis, in: Quaderni Oristanesi, nn° 13-14, Maggio 1987, pp. 39-45.
17
106
realizzare un retablo raffigurante San Giovanni Battista in maestà18 . Il costo dell''opera, alta 15 palmi e larga 12, venne fissato in 360 monete correnti di Albenga, città di provenienza dell'autore. La commissione dell'opera, il soggetto, le dimensioni e la fama del suo autore, farebbero ipotizzare una collocazione importante per il retablo, forse la stessa cattedrale, la cui cappella in onore a San Giovanni Battista risulta documentata, in seguito ai recenti ritrovamenti archivistici del paleografo Sebastiano Fenu, almeno dalla prima metà del XVII secolo19. Un altro prezioso documento, utile al nostro percorso di ricerca, è rappresentato dalla mazza cerimoniale della Città di Oristano. Si tratta dell'antico simbolo dell'Istituzione Comunale e quindi dell'intera comunità oristanese che, fino a qualche anno fa, custodita tra le mani di un messo comunale in alta uniforme, accompagnata dal gonfalone della città e alla presenza del sindaco, sfilava in processione in occasione della solennità del Corpus Domini. Nella mazza, configurata nella parte superiore a lanterna, oltre alla data 2 aprile 1650, si leggono i nomi del notaio civico, dei cinque consiglieri della città di quell'anno e i nomi dei seguenti Santi: Santa Maria, San Giovanni, Sant'Andrea, Sant'Archelao, Sant'Alessandro e San Vincenzo. Nel ricordare che nel 1650 erano già trascorsi 35 anni dalla data dell'inventio delle reliquie di Archelao, e che quindi si era oramai affermato il suo culto, richiamiamo il fatto che il tributo a Santa Maria lo incontriamo in numerosissime attestazioni, dalle intestazioni di opere all'incipit dei documenti, così come il suo nome è ripetuto per ventiquattro volte nella campana della torre di San Cristoforo, quasi ad indicarne l'invocazione in tutte le ore del giorno. Nella mazza, nell'ordine, è quindi inciso il nome di San Giovanni Battista - ormai a noi noto - segue quindi quello di Sant'Andrea. L'invocazione a tale santo è legata al suo ruolo di protettore speciale dei consigli civici. Infatti, in base alle disposizioni del Llibre de Regiment, il libro dei capitoli che la Oristano Città Regia doveva rispettare a partire dal 1479, l'elezione del consiglio civico avveniva secondo la formula dell'insaccolazione, il 30 di novembre di ogni anno, festa di Sant'Andrea. La pratica era comune a numerose città nei regni della Corona
18 A. CALECA, Pittura in Sardegna: problemi mediterranei, in: Cultura quattrocinquecentesca in Sardegna: retabli restaurati e documenti, Soprintendenza ai beni ambientali, architettonici artistici e storici, Cagliari, 1983, p. 35; D. PESCARMONA, Considerazioni in margine ad alcuni problemi offerti in discussione alla mostra, Idem, p. 43; Z. BIROLLI, Due documenti inediti sull’attività del pittore Giovanni Canavesio, in: Arte Lombarda, n° 1, pp. 163-164 (con riproduzione del doc.). 19
Vedi la relazione di S. Fenu nel presente volume. 107
aragonese20 . La formula elettiva, sperimentata nella Oristano Città Regia, prevedeva nel corso dell'anno l'imbussolamento e la sistemazione in cinque sacchi diversi dei nomi degli aventi diritto alla carica di consigliere distribuiti nelle cinque classi. Nella giornata del 30 di novembre era prevista, per mano di un bambino, l'opera dell'estrazione di un nome da ciascuno dei cinque sacchi: si conoscevano quindi i nomi dei cinque consiglieri che per un anno rimanevano in carica, formando l'esecutivo del governo della città. Era dedicata a Sant'Andrea anche l'antica cappella del Palazzo di Città - l'edificio dove si riuniva il consiglio civico - individuabile attualmente, grazie all'iscrizione dell'età di Filippo II di Spagna, conservata nella struttura posta all'angolo tra la piazza Eleonora e la Piazza Martini, oggigiorno ospitante una sezione dell'ufficio tecnico comunale. Anticamente, la festa di Sant'Andrea, rappresentava sicuramente una solennità in città, come testimoniano sia la disposizione dell'indulgenza plenaria del 1586 del Papa Sisto V per chi si recava a pregare nella giornata della festa del Santo nella cappella civica, sia il titolo canonicale del capitolo arborense. Nella mazza cerimoniale cittadina figurano quindi Sant'Archelao e Sant'Alessandro, il santo che ha protetto Oristano in occasione dell'invasione dei sordaus grogus, i soldati francesi che negli ultimi giorni di febbraio del 1637 misero a ferro e a fuoco la nostra città. In ricordo della sua invocazione ed intercessione durante quei giorni così drammatici, sino al XIX secolo, una solenne processione del capitolo partiva dalla chiesa cattedrale per recarsi nella chiesa di San Sebastiano, per poi farne ritorno21 . Infine nella mazza è ricordato San Vincenzo, il cui antico rapporto con la nostra città lo riconosce quale primo titolare dell'edificio dove, successivamente, nella prima metà del XIV secolo, Pietro III d'Arborea edificò la chiesa di Santa Chiara22 . E' inoltre documentata nel XVI secolo una chiesa dedicata a San Vincenzo Martire, corrispondente all'attuale aula consigliare, precedentemente all'insediamento dei Padri Scolopi, che versava in condizioni precarie e la cui custodia e opera di ricostruzione - come ha rilevato Sebastiano Fenu nelle sue ricerche venne offerta dalle autorità civiche alla maestranza dei mercanti e dei
L. D’ARIENZO, Il Llibre de regiment e il Municipio di Oristano: Introduzione storica, in: Llibre de Regiment: Facsimile e traduzione, Oristano, ISTAR, 2007, p. 13.
20
21
A. MELIS, Guida storica di Oristano, Oristano, 1924, passim.
C. PAU, Un monastero nella storia della città, Oristano, S’Alvure, 1994, pp. 23-24; M. G. MELE, Oristano giudicale: Topografia ed insediamento, Cagliari, CNR, 1999, pp. 126-127, 139 nt. 65. 22
108
negozianti23 . I festeggiamenti solenni legati al culto di San Vincenzo Martire sono inoltre attestati in una interessante iscrizione custodita presso l'Antiquarium Arborense24 . Il documento epigrafico richiama il lascito del facoltoso commerciante oristanese Michele Pira, ricordato nella toponomastica cittadina con una via che porta il suo nome, il quale nel 1656 con una donazione desiderava perpetuare la festa solenne con processione ed ostensione delle reliquie del santo. In conclusione della nostra presentazione di fonti e di notizie inerenti la figura di un Santo patrono della città di Oristano prima dell'inventio delle reliquie di Sant'Archelao, ovvero precedentemente al 1615, citiamo un ultimo documento prezioso per la nostra indagine: il retablo della Madonna dei Consiglieri, datato 1565, realizzato dal pittore Antioco Mainas, allievo di Pietro Cavaro, attualmente custodito presso la sala retabli dell'Antiquarium Arborense di Oristano25. L'opera rimanda al noto topos artistico della "Madonna dei Consiglieri" che si trova presso numerose antiche città del regno d'Aragona e che noi confronteremo in particolare con quella quattrocentesca realizzata dal pittore Lluis Dalmau per la città di Barcellona e quella dipinta da Pietro Cavaro per la città di Cagliari26 . In tutte e tre le opere la Madonna è raffigurata al centro della tavola principale, assisa in trono con in braccio il Divino Infante. Ai piedi della Madonna, ogni volta, troviamo rappresentati in ginocchio i cinque consiglieri in capo, espressione dell'esecutivo delle rispettive città, che, per le ragioni già citate, recano su una spalla una sacca, simbolo della formula elettiva dell'insaccolazione. In piedi, sistemato al fianco della Madonna, in tutte e tre le opere riconosciamo Sant'Andrea in quanto, come già accennato, nel giorno della sua festa, avveniva l'estrazione e quindi l'elezione del nuovo consiglio civico cittadino; nell'altro lato, in piedi al fianco della Madonna, troviamo rispettivamente: Sant'Eulalia nel retablo barcellonese, santa patrona della città e della stessa cattedrale, Santa Cecilia nel retablo cagliaritano, che ricordiamo essere la più S. Fenu, Dalla Obreria de la Iglesia Rural de San Juan Baptista al Gremio dei Contadini, in: Il Gremio dei Contadini di San Giovanni Battista di Oristano, la sua storia e le sue carte, Oristano, Tipografia Ghilarzese, 2010, p. 14. 23
24
R. ZUCCA, Antiquarium Arborense, Sassari, C. Delfino, 1998, pp. 98-99.
A. ERA, Tre secoli di vita cittadina: 1479-1720: dai documenti dell’Archivio Civico, Cagliari, Tip. Valdes, 1937, p. 65; R. ZUCCA, Antiquarium, op. cit., p. 94; M. CASU, De sa cittad'e Tharros portant sa pedra a carros, ...e il santo patrono?, in: Quaderni Bolotanesi: appunti sulla storia, la geografia, le tradizioni, le arti, la lingua di Bolotana, n° 33, 2007, pp. 273-278; A. POMOGRANATO, Il Retablo dei Consiglieri di Oristano di Antioco Mainas, in: Testimonianze, op. cit., pp. 71-108. 25
26
R. SERRA, Pittura e Scultura, op. cit., pp. 208-209, sch. 95. 109
antica patrona di Cagliari, nei documenti medievali citata anche come Santa Igia o Santa Gilla - dando inoltre il nome alla prima capitale del giudicato di Cagliari - mentre nel retablo oristanese troviamo San Giovanni Battista. Considerando che l'opera è stata commissionata all'autore nel 1565, esattamente 50 anni prima dell'inventio delle reliquie di Archelao, reputiamo che tale rappresentazione "istituzionale", confrontata con gli schemi delle opere di altre importanti realtà cittadine, permetta di ipotizzare che il presbiter Archelaus forse era ancora sconosciuto e per questo non poteva essere considerato il patrono della nostra città che, secondo noi, poteva riconoscersi invece nella figura di San Giovanni Battista. Un ultimo curioso indizio ci è offerto ancora dallo stesso Scintu nelle sua opera. Il canonico, nel richiamare i festeggiamenti in onore di Sant'Archelao, che, come accennato, ancora in quegli anni si usava celebrare il 29 di agosto, ricorda come nella stessa giornata vi fossero quelli in onore di San Giovanni Battista, riferendosi espressamente sia ai festeggiamenti organizzati presso la chiesa di San Giovanni di Sinis sia agli altri celebrati presso la chiesa campestre dedicata al Santo Precursore, vicina alla città di Oristano. Curiosamente, lo Scintu si sofferma nel testimoniare come "[...] il popolo, che nulla conosceva e nulla sapeva di Archelao, diceva che si trattava di Giovanni Archelao, come se fosse il cognome del presbitero di Fordongianus [...]" 27. Dall'esame di tutti questi elementi archivistici, storici, artistici e della tradizione, siamo indotti a ipotizzare che se Archelao non è stato il primo ed unico patrono della nostra città, probabilmente, dobbiamo riconoscere in San Giovanni Battista se non il più antico patrono, uno dei protettori speciali della Città di Oristano.
27
S. A. SCINTU, Raccolta di memorie, op. cit., p. 149. 110
Tavola I. Dall'alto e dalla sinistra: Retablo dei Consiglieri della Città di Oristano, Antioco Mainas (f. N. Danieli); Mare de Déu dels Consellers, Barcellona, Lluís Dalmau (f. ca.wikipedia.org); Retablo dei Consiglieri di Cagliari, Pietro Cavaro (f. Giorgio Dettori).
Tavola II. In alto: epigrafe e stemma presso la Casa de la Ciutat, Oristano; Mazza cerimoniale argentea della CittĂ di Oristano, con in evidenza i nomi dei Santi protettori (f. N. Danieli).
Tavola III. Cappella di Sant'Archelao, altare in marmi policromi di Pietro Pozzo (1739-1741) (f. N. Danieli).
Le sepolture dei Majorales en Cabo nella cappella del gremio dei falegnami di San Giuseppe e gli altri luoghi di sepoltura ad Oristano tra il ‘600 e il ‘700 Raffaele Cau
Nel 2000 mi venne commissionata, da parte dell’allora presidente, una ricerca storico-documentaria sul gremio dei falegnami di Oristano1. L’impresa risultava essere ardua vista la scarsità di documenti reperibili in quel momento. Scopo del lavoro era quello di individuare in che maniera il gremio usufruisse del proprio privilegio di sepoltura in cattedrale e in quali altri siti cittadini si inumassero i defunti, in un arco cronologico che spaziava dal ’500 sino alla prima metà dell’800. In primis iniziai ad analizzare tutti i dati rilevabili sui Quinque Libri oristanesi2, in particolare quelli dei Libri dei defunti, che risultano essere i più ricchi di informazioni. I registri in questione sono conservati presso l’Archivio Storico Diocesano di Oristano, e principiano per la parrocchia della cattedrale nel 16523 e per quella di San Sebastiano (Borghi) nel 16034 . Il primo registro della cattedrale risulta essere il più interessante. Nel settembre del 1652, infatti, iniziò a diffondersi nella città arborense la 1 Grazie al presente studio e al consono spazio che gli è stato concesso, la suddetta ricerca è stata ampliata e i suoi contenuti resi pubblici. Colgo l’occasione per ringraziare la Fondazione Sa Sartiglia Onlus, in particolare nella persona del dott. Maurizio Casu, e l’Arcidiocesi di Oristano, in particolare il cancelliere Mons. Antonino Zedda, per la costante collaborazione e disponibilità.
I Quinque Libri furono adottati obbligatoriamente dai sacerdoti per disposizioni emanate dal Concilio di Trento (1545-1563). Sono divisi in: libro dei Battesimi, cresime, matrimoni, defunti e stato delle anime (quest’ultimo chiamato anche “libro matricola” o “degli inconfessi”).
2
ASDOR (Archivio Storico Diocesano di Oristano), Q. L., Oristano Cattedrale, registri dei defunti esistenti: 1) dal 1652 al 1665; 2) dal 1673 al 1703; 3) dal 1704 al 1735; 4) dal 1735 al 1749; 5) dal 1750 al 1764; 6) dal 1764 al 1776; 7) dal 1776 al 1801; 8) dal 1801 al 1818; 9) dal 1818 al 1836; 10) dal 1836 al 1863. Risultano dunque andate perdute le registrazioni dal 1666 al 1672 e tutte quelle precedenti al 1652.
3
4 ASDOR, Q.L., Oristano Borghi (San Sebastiano), registri dei defunti esistenti: 1) dal 1603 al 1658; 2) dal 1660 al 1689; 3) dal 1689 al 1720; 4) dal 1720 al 1752; 5) dal 1752 al 1769; 6) dal 1769 al 1785; 7) dal 1785 al 1798; 8) dal 1798 al 1810; 9) dal 1810 al 1822; 10) dal 1822 al 1832; 11) dal 1832 al 1842. Nei Borghi si seppellivano i cadaveri all’interno della chiesa di San Sebastiano e nel cortile esterno adibito a cimitero comune.
115
peste5, l’inarrestabile morbo che fino al maggio del 1653 lascerà dietro di sé una lunga scia di vittime; un grafito scoperto nel 1928 nella chiesa di San Martino extramuros, così recitava: Passado esto año + de 1652 a primero de 7bre comencò la peste en los Burgos y en esta Ciudad y durò hasta el mes de mayo del año siguiente de 1653. Muriero(n) en la Ciudad octocientos personas y en los Burgos mil y octocientos
Scorrendo le pagine del registro, si susseguono i nomi di centinaia di morti, così tanti che i sacerdoti spesso annotavano soltanto il nome, senza aggiungere nessun altro particolare. Tale situazione di disagio, indusse il clero a seppellire i cadaveri in quasi tutte le chiese cittadine (tabb. 1-2), compresa la cattedrale, che accolse sepolture in tutte le sue cappelle6, nelle navate e nell’altare maggiore7. In un momento di grande confusione e paura, i diritti di sepoltura vennero comunque rispettati, e mentre le spoglie dei poveri, spesso, venivano deposte in fosse comuni, alle persone abbienti era invece riservata una sepoltura adeguata al mestiere e al proprio status sociale. La maggior parte dei defunti vennero tumulati nel cimitero della cattedrale. Questo si estendeva dal duomo verso il carcere, inglobando la chiesa di San Giovanni Evangelista che per questo motivo veniva detta anche San Juan del cimiterio8. Per quanto riguarda la cappella di San Giuseppe presente in
F. MANCONI, Castigo de Dios, Roma, 1994; V. PIRAS, Il Llibre de Concelleria sel 1652-1653: la peste a Oristano in: Bollettino dell’Archivio Storico del Comune di Oristano, Anno VI, n° 7, giugno 2012.
5
Nell’ordine vengono elencate le seguenti cappelle (tra parentesi viene indicato la prima attestazione documentaria di una sepoltura): della Madonna del Rosario (1652), dell’Annunziata (1652) e di San Giuseppe (1654), tutte dotate di un sepolcro sotterraneo; della Madonna del Rimedio (1652), di San Paolo (1655), dell’Angelo Custode (1655), del Santissimo Sacramento (1656), di Sant’Andrea (1665), di San Filippo Neri (1673) e quella di Sant’Archelao (1677).
6
L’altare maggiore era il luogo privilegiato per la sepoltura dei canonici e degli arcivescovi. Era dotato di una cripta. 7
Dalla seconda metà del ‘700 alla prima metà dell’800 tutti i carcerati vennero sepolti in questo cimitero.
8
116
cattedrale, la prima sepoltura certa la si registra nel 16549 : in data 11 dicembre vi venne sepolta la moglie del mastro falegname Cosimo De Pau. La cappella era, oltre che luogo di sepoltura dei falegnami (mestres de carros, boters, fusters, carpinteros, etc), anche degli artisti che avevano a che fare in qualche modo con l’impiego del legno nella propria bottega, quindi di pittori, scultori e doratori. È da tener presente che non era assolutamente scontato che gli affiliati ad un determinato gremio o confraternita venissero sepolti nella cappella di pertinenza. Ogni singolo personaggio faceva storia a se; solitamente i mastri artigiani, le loro mogli e figli venivano sepolti in cappella. Questo privilegio poteva essere abrogato in caso di mastri inadempienti, che non pagavano la quota annuale o non eseguivano i lavori con i criteri dettati dal loro statuto e dalla loro arte; ma capitava anche che un falegname venisse sepolto in altro luogo per sua esplicita richiesta o per dare più lustro alla famiglia. Era infine buon uso che un falegname particolarmente povero venisse comunque sepolto in cappella, questo grazie all’intervento economico dei suoi colleghi del gremio che si occupavano di tutte le spese occorrenti per il funerale, con erogazione di adeguato censo. Nel ‘700 un altro fattore importante subentrò nella decisione del luogo di sepoltura: l’appartenenza ad una determinata confraternita 10. Le confraternite avevano una composizione disomogenea, motivo per cui nelle proprie file spesso militavano insieme falegnami, calzolai, muratori, contadini e altri, senza distinzione di gremio. Non conosciamo il reale sviluppo planimetrico della cattedrale di Oristano tra il Cinquecento e gli interventi di ricostruzione del primo La mensa d’altare della cappella di San Giuseppe ingloba una lastra sepolcrale marmorea datata 17 maggio 1560, già notata dal canonico Spano (BAS, X, 1964, p. 167, nt. 2). La detta lastra potrebbe non essere pertinente alla cappella in questione; altre simili vennero reimpiegate in vario modo all’interno dell’edificio dopo la ricostruzione settecentesca: una all’ingresso della sagrestia dei beneficati, una all’ingresso dell’aula capitolare e un’altra nei giardini dell’episcopio. 9
Tra il Seicento e il Settecento erano attive ad Oristano almeno otto confraternite: quella di San Pietro e della Vergine del Rimedio (che aveva sede nell’omonima chiesa ora scomparsa), quella del SS. Nome di Gesù (questi ebbero sede inizialmente nel convento di San Martino extramuros e poi nella chiesa di San Domenico), quella della Madonna del Rosario, quella della Pietà eretta nel 1680 (con sede nella chiesa di San Mauro), quella della Madonna del Carmelo detta anche delle Anime Purganti fondata nel 1773 (con sede nel convento del Carmine), quella dello Spirito Santo (con sede nell’omonima chiesa), quella della Santissima Trinità (con sede nell’omonima chiesa) e quella della Maddalena (con sede nella chiesa, ora scomparsa, di Santa Maria Maddalena intramuros). 10
117
Settecento, di conseguenza neanche la posizione esatta delle cappelle all’interno di essa. Quello che sappiamo per certo è che il loro numero e le loro denominazioni si modificarono nel corso del tempo. La cappella di San Giuseppe in cattedrale esisteva probabilmente già nella prima metà del ‘500. Un altare dedicato al Santo protettore dei falegnami lo troviamo nel 1572, descritto in un documento d’archivio, un inventario11 della cattedrale di Oristano redatto il 14 di ottobre dal Canonico e sacrestano maggiore Giovanni Corona12. L’attuale cappella di San Giuseppe è frutto dei lavori di ricostruzione che interessarono la cattedrale nel ‘700 (fig. 2). E’ dotata di un altare barocco che nell’edicola interna al timpano spezzato riporta la
ASDOR, carte sciolte, Inventario della Cattedrale di Oristano del 1572. Vengono elencati tutti gli altari presenti all’interno della Cattedrale, le suppellettili, i paramenti, l’argenteria, descritti il pulpito e il campanile: “XIIII de octobre MDXXII Oristany. Notta envendari de les robes ornaments y conses de la Seu de la present Ciudad, lo Rector señor mossen Joan Corona Canoje y secresta maior de alla dona als nou jaganos de Campanal et entra a saber lo jagano Joan Melas, jagano Joan Arca, jagano Antonio Carcajo. Primo en lo altar de N. S. del Roser dos tovalles de indigo…(omissis)…Lo altar de Santa Caterina en la capella de mossen Coza…(omissis)…Lo altar de Sant Jayme menori…(omissis)…Lo altar del Angel Custodi…(omissis)…Lo altar de Sant Josepe de la Capella de mossen Josepe Noco…(omissis)…Lo altar de Sant’Andreu en la capella de mestre Dionis…(omissis)…Lo altar de Sant Pau primo hermita…(omissis)…Lo altar de Sant Joan Baptista…(omissis)…Lo altar del Sant Crocifixi…(omissis)…Lo altar de Nostra Señora del Remey…// una tovalla de indigo en la image de Nostra Señora de la Assunptio. Lo altar de Nostra Señora de la Neu…(omissis)…Lo altar de la Pietas… (omissis)…Lo altar de Sant Bartomeu…(omissis)…Lo altar Maior...// la cortina del retaulo. …(omissis)…”. Risultano così presenti 14 altari, dedicati alla Madonna del Rosario, Santa Caterina, San Giacomo minore, all’Angelo Custode (San Michele?), San Giuseppe, Sant’Andrea, San Paolo primo eremita, San Giovanni Battista, al Santo Crocifisso, alla Madonna del Rimedio (al cui interno era conservata la statua dell’Assunta), alla Madonna della Neve, alla Pietà, a San Bartolomeo e, infine, l’altare maggiore (dotato di retablo).
11
12 L’inventario venne redatto poco prima dell’elezione del nuovo arcivescovo di Oristano Pietro Buerba, che amministrò la chiesa arborense dal 29 ottobre 1572 fino al 1574 anno della sua morte; per i dati biografici cfr. R. BONU, Serie cronologica degli arcivescovi di Oristano, Sassari, 1959, pp. 96-97.
118
data del 1760 (fig. 3). Venne realizzata a partire dal 173013 - momento in cui l’edificio chiesastico subì una massiccia demolizione delle vecchie strutture ad eccezione del transetto gotico14 - e venne terminata entro il 1754, anno in cui il gremio richiede nuovamente il diritto dello jus sepeliendi. L’altare barocco è dotato di varie statue: nella nicchia centrale è presente la statua del titolare San Giuseppe falegname (fig. 4). Il santo, stante, con capelli tendenti al grigio che ricadono in un ciuffo al centro dell’ampia fronte, regge con la mano destra la verga fiorita di gigli e sul braccio sinistro sostiene il Bambino, che, accomodato su un panno bianco, protende la mano destra verso di lui ad accarezzarne il volto incorniciato da una barba riccioluta. Questa, come recita un’iscrizione presente alla base della statua, venne realizzata dallo scultore Lorenzo Cerasuolo nel 176015 . Di questo artista abbiamo pochissime notizie biografiche. Si sa che fu attivo nel regno di Napoli e specialmente in
13 Il promotore dell’iniziativa è l’arcivescovo mons. Antonio Nin: nel 1729 viene approvato il progetto di “riedificazione” del duomo redatto dal capomastro cagliaritano Salvatore Garrucciu che, su modello della cattedrale di Cagliari, prevedeva una pianta basilicale a tre navate. La morte del Garrucciu nel 1731 costringe i canonici a cercare una soluzione alternativa; viene allora chiamato il capomastro lombardo Giovanni Battista Arieti, noto per aver lavorato in importanti fabbriche di Alghero e Sassari, oltre che per aver collaborato col suocero Giuseppe Quallio nel santuario dei Martiri di Fonni. Egli propone un impianto a navata unica, che garantiva risultati maestosi, monumentali e di minore costo, perché riutilizzava le parti residue del transetto gotico; viene prescelto il suo progetto, caldeggiato dall’ingegnere piemontese Antonio Felice de Vincenti. Il risultato è un edificio a croce latina composto da un’ampia aula unica voltata a botte, su cui si affacciano tre cappelle per lato comunicanti tra loro; all’incrocio della navata coi bracci del transetto si eleva un alto tamburo ottagonale che sorregge un’ampia cupola; cfr. A. PASOLINI, La Cattedrale di Oristano in età Moderna, in: Collana, Chiese e arte sacra, n° 6, La Cattedrale di Oristano, Cagliari, 2008. 14 La Cattedrale viene ricostruita e dotata di un’unica navata con sei cappelle laterali, tre per parte, intitolate a: l’Annunziata, San Michele Arcangelo, Sant’Archelao, San Filippo Neri, San Giuseppe e Nostra Signora di Monserrat (dal 1860 dedicata al Sacro Cuore di Gesù). 15
L’iscrizione recita: “Laurentius Cerasuolo F.N. A.D. 1760” 119
Sicilia16. Probabilmente, sono da attribuire allo stesso ambito artistico le statue presenti nelle nicchie laterali. In quella di destra è San Luca evangelista 17, rappresentato stante, con la mano sinistra che regge il Vangelo e con la mano destra - probabilmente - reggeva un pennello (andato perduto). Nella nicchia sinistra diventa problematico riconoscere l’iconografia del santo. Si tratta certamente di un evangelista, Marco o Matteo: entrambi, nei loro rispettivi Vangeli, danno degli accenni biografici sulla vita di San Giuseppe, motivo per cui uno dei due vi è stato raffigurato. In particolare Matteo introduce il suo Vangelo con la genealogia di Giuseppe, attraverso la quale collega Gesù a Davide e ad Abramo; lo presenta come sposo di Maria e lo qualifica come uomo giusto. Nella parte alta del retablo, infine, sotto il timpano, in una nicchia più piccola, è conservata una statua di ridotte dimensioni raffigurante Sant’Antonio da Padova nella sua rappresentazione classica. Il retablo, pur essendo coevo alle statue, non è di fattura napoletana, ma opera di falegnami locali, che lo costruirono interamente a proprie spese, senza impegnare in nessun modo i denari del capitolo arborense. A dimostrazione di ciò è anche il fatto che la doratura, commissionata dal gremio, venne eseguita nel 175918 dal maestro doratore, pittore e scultore oristanese Giovanni Sanna (Oristano, 1732 ca. - +1802)19. 16 Di questo scultore napoletano si hanno poche certezze e rari dati biografi, uniche opere conosciute o a lui attribuite sono: le statue dell’Immacolata e di San Francesco di Paola che realizzò nel 1758 per la parrocchia di Gangi (Palermo) e la statua di San Francesco di Paola che scolpì nel 1767 per la chiesa del Santissimo Salvatore di Petralia Soprana (Palermo); cfr. M. SALIS, M. G. SCANO, Approdi sardi per la scultura campana del Settecento. Pietro Nittolo e Lorenzo Cerasuolo, in “Kronos” n° 14, pp. 225-234; M. MANCONI DE PALMAS, La chiesa di Santa Maria cattedrale di Oristano, in “Quaderni Oristanesi” n° 5-6, Oristano, 1984, p. 67; A. PASOLINI, La Cattedrale, op. cit., p. 57. 17 Ben contestualizzato all’interno di questa cappella, in quanto santo protettore di pittori e scultori; infatti, narra la leggenda, fu lui il primo a dipingere il ritratto della Vergine Maria. 18
ASDOR, carte sciolte della cartella “Censi e Ricevute”.
19 Nacque a Oristano nel 1732 circa, si sposò con l’oristanese Stefania Cabitza e morì in data 8 novembre del 1802. Pur appartenendo al gremio dei falegnami venne sepolto nella chiesa del convento del Carmine. Tra i suoi lavori più importanti ricordiamo: tra il 1758 e il 1759 è a Seneghe dove dora il nuovo retablo di Sant’Elena e varie statue; nel 1759 ad Oristano dora il retablo di San Giuseppe; nel 1760-61 a Narbolia restaura la statua dell’Assunta; nel 1762 a Baratili San Pietro dipinge alcune scenografie per il presepe; nel 1782, nello stesso paese, restaura e ridipinge la statua della Madonna Della Neve; vedi: R. CAU, Serie cronologica degli artisti operanti nell’antica arcidiocesi di Oristano tra il ‘500 e l’800, inedito di prossima pubblicazione.
120
A soli 13 anni dalla realizzazione dell’altare di San Giuseppe, il capo degli ingegneri di S. M., il piemontese Giovanni Francesco Daristo, in data 13 ottobre 1773, redasse una relazione in cui parla dello stesso retablo e di altre opere da lui ritenute non idonee ad essere ospitate in una cattedrale dalle forme e dall’aspetto moderno20 . Le decorazioni pittoriche delle pareti e della volta della cappella, invece, furono realizzate tra il 1912 e il 1913 dal validissimo pittoredecoratore romano Ettore Ballerini21 .
ASDOR, Armadio n° 9, atti sciolti della cartella “Relazioni e lavori”; ne riporto parzialmente il testo: “Risultato della ricognizione fatta nella città di Oristano dal sottoscritto Capitano Ingegnere, in adempimento dei veneratissimi ordini di S.E. concernenti edifici ecclesiastici. La chiesa cattedrale della suddetta città, è costruita in forme di croce latina con cupola; ella è si per la vastità, che pel buon ordine, delle più ragguardevoli del Regno, ha un presbiterio di grande distesa, che occupa anche una parte del vaso comune. …(Omissis)…In ogni pedale della mentovata Croce, vi sono tre cappelle, delle quali, le prime due di rimpetto, sono munite d’altari di marmi, dedicati a San Filippo Neri, ed a Sant’Archelao Diacono: le due seconde a reciproco fronte, una è di San Giuseppe con altare di legno dorato, altra di San Michele Arcangelo con altare di stucco, e ambi sono di depravato disegno: seguono indi le due confinanti coll’estremità del detto pedale, sono ambe dedicate alla Beatissima Vergine, sotto diversa invocazione, a quella, che si dice della Madonna di Monserrata, o sia del Monte, è la più bisognevole d’essere munita di nuovo altare, siccome l’esistente è un’anticaglia troppo semplice per comparire in una chiesa di moderna architettura: e da quanto hanno riferito quei signori Canonici, questa Cappella no spetta a veruna Confraternita, ne v’è alcun particolare, che ne abbia patronato…(Omissis)…In un’estremità del piccolo piazzale, che è di rimpetto alla facciata della più volte lodata Chiesa, ritrovasi l’Oratorio, e Casa, che serve alla posizione delle ossa dei defonti, l’uno, e l’altra abbisognano di molte riparazioni, e massimamente l’Oratorio, d’antica struttura senza volta, ed essendo il coperto in gran disordine, e per mancanza di decente altare, si sono già da alcuni anni cessati quei suffragi, che la pietà cristiana soleva fare in tale Oratorio dedicato alle Anime Purganti; per ciò, che concerne alla suddetta casa, richiede il rinnovamento d’una porzione d’un laterale, e rifacimento del coperto sovra essa casa. Li marmi esistenti avanti la facciata della sovra specificata chiesa, e altri depositati contro dei laterali della stessa, sono venti colonne, alcune uguali di misura, altre dissimili di diametro, delle quali, molte sembrano di Bardilio, altre di pietra forte, volgarmente detto Sarizzo, d’ambe le specie, ve ne sono, che hanno li collarini e imoscafi infranti; vicino alle dette colonne, vi sono anche quattro capitelli, e una base, tutti di diverse configurazioni e misure. Tutti questi Marmi e Sarizzi, (come hanno asserito molti di quei particolari d’età innoltrata), erano in opera nel vecchio Duomo stato demolito, che era figurato a tre navi, come sogliono essere quasi tutte le antiche Chiese del Regno, nelle quali vi sono colonne di diversi diametri, …(Omissis)…Cagliari 14 8bre 1773 Daristo”.
20
21 Cfr. A. MELIS, Guida storica di Oristano, Oristano, 1924, p. 26; F. C. PABA, Il duomo di Oristano, in “Quaderni Storici e turistici di Arborea” n° 3, 1956, p. 17; R. BONU, Oristano nel suo duomo e nelle sue Chiese, Cagliari, 1973, p. 71; A. PILLITTU, Chiese e arte sacra in Sardegna, Arcidiocesi di Oristano, volume V, Sestu, 2003, pp. 76, 94, 105.
121
La cappella, come dicevamo, esisteva con tutta probabilità già nel Cinquecento. I primi documenti certi sono della prima metà del Seicento; nel 1627, da un atto notarile rileviamo che il gremio dei falegnami decise di costruire una nuova cappella di San Giuseppe in cattedrale 22. A lavori conclusi, il gremio chiese al capitolo arborense il permesso di poter seppellire i propri associati e i loro parenti nella cappella. Il privilegio dello jus sepeliendi venne accordato in data 31 ottobre 164223 . La notizia si apprende dall’atto notarile di rinnovo del privilegio redatto in data 29 gennaio 175424 dal notaio Diego Pinna25. Quest’importante incartamento è presente nell’Archivio Storico Diocesano di Oristano esclusivamente sotto forma di fotocopia, e non mi è stato possibile al momento reperire l’atto originale. La data è coerente allo stato dell’edificio, visto il fatto che in quel momento i lavori della nuova cattedrale erano completati e quindi si poteva di nuovo usufruire della cappella. Questa fu dotata di un sepolcro sotterraneo voltato a botte, una sorta di ossario dove venivano posizionate le spoglie dei defunti una volta rimosse dalle sepolture presenti lungo il pavimento della cappella vera e propria. Le tombe erano ricoperte da lastre di marmo amovibili, in maniera che, periodicamente, si potesse provvedere a eliminare con agilità le vecchie inumazioni e preparare il sepolcro per riceverne delle nuove. Ove sorgano dei dubbi sull’utilizzo o meno di questo luogo di sepoltura, ci vengono incontro i documenti d’archivio. Infatti, leggendo gli atti di morte, che seguono dei formulari ben precisi, rileviamo tutti i dati più importanti. Prendendo in esame, ad esempio, un foglio del registro dei defunti del 1675 (fig. 1), leggiamo che il 20 febbraio “passò desta (para mejor) vida mestre Juan Carta carpintero del Burgo, murio ab intestatu, le enterraron en la capilla de Sant Joseph desta Iglesia 22 Documento rintracciato dal Dott. Sebastiano Fenu e riportato nella sua relazione di questo seminario di studi. Vengono nominati i seguenti maistros de carros y fusters (carrai e falegnami): Joa Antonio Scano, Antiogo Onni, Andreu Porcu, Julia Manca, Francesch Coa y Atzeni, Bainju Sanna, Cosme de Pau e Gavi Martis.
L. SPANU, Storia e Statuti dei Gremi di Oristano, vita sociale ed economica del ‘600, Oristano, 1997, pp. 185-188.
23
24 ASDOR, Cartella relativa ai gremi della città di Oristano (in fotocopia); L. Spanu, Storia e Statuti, op. cit., pp. 185-188; in quest’atto compaiono i mastri: Michele Sanna Maggiorale in capo del gremio dei mastri carrai, Salvatore Cabiddu Maggiorale secondo dei falegnami, Francesco Pinna probo uomo in capo dei falegnami, Giovanni Sequi, Salvatore Osanu, Pietro Arca, Nicola Arca e Salvatore Pisano, tutti falegnami, Antonio Pinna, Giuseppe Ledda e Salvatore Pinna, questi ultimi tre tutti carrai. 25
L. SPANU, Storia e Statuti, op. cit., pp. 185-188. 122
Cathedral” e che il 10 di marzo “muduse desta para major vida Vitoria Romana recibidos sacramentos, testamento no hizo, fue sepultada en la capilla de Sant Joseph desta Santa Seo”26. Il sacerdote, pur utilizzando formule molto ridotte, ci da in questi due casi i dati fondamentali sul defunto, nome e cognome, mestiere, avvenuta o meno redazione del testamento e luogo di sepoltura. Abbiamo dunque due personaggi sepolti in cappella, il primo Giovanni Carta dei Borghi in quanto carpintero (falegname), la seconda Vitoria Romana lì sepolta perché figlia di un pittore, un certo Francisco che per un certo periodo operò e risiedette a Oristano. In due apposite tabelle ho riportato l’elenco dei defunti sepolti all’interno della cappella dal 1654 al 1704 (tabb. 3-4), la maggior parte di loro sono donne e bambini, figli e mogli di mastri falegnami. Grazie a questi documenti veniamo a sapere quali sono i nomi di questi artigiani e la loro qualifica: Geronimo Sanna, mastro Tomaso e Antioco Putzolu tutti chiamati fuster, Giovanni Carta, Geronimo Sanna, Giuseppe Sau, Francesco Mameli, Giovanni Maria Arca e Antioco Putzolu qualificati come carpintero ed infine il maestro Antonio Alexandru dorador (doratore) 27. In cappella si inumò quasi ininterrottamente fino al seppellimento di un figlio di 7 anni del falegname Antioco Caria, avvenuto il 19 novembre del 1730; da quell’anno in poi la cattedrale subisce la ricostruzione, tanto che fino al 1760 non si registrano nuove sepolture. Da quel momento, terminata la cappella e collocato il nuovo retablo, si ricomincia a deporvi le spoglie con una certa continuità fino al 1835,
26 ASDOR, Quinque Libri, Oristano Cattedrale, libro dei defunti dal 1673 al 1703, f. 8. È mio dovere ringraziare il Cancelliere dell’Arcidiocesi di Oristano, Mons. Antonino Zedda, per la cordiale e puntuale collaborazione che ha reso possibile questo studio e la pubblicazione del citato documento.
Artista oristanese qualificato nei documenti come faber lignarum, dorador e pintor (falegname, doratore e pittore), era coniugato con una certa Gavina Marcelina. Tra i suoi lavori più importanti ricordiamo: nel 1708 dorò il retablo del Santo Cristo per la confraternita del SS. Rosario di San Vero Milis che per tale lavorò gli corrispose £. 75; sempre a San Vero Milis tra il 1709 e il 1711 restaura le statue di San Michele, dello Spirito Santo e di Sant’Antonio Abate, nel 1711 realizza un baldacchino per la confraternita del SS. Rosario e nel 1713 dora il retablo dello Spirito Santo; per i dati biografici vedi: R. CAU, Serie cronologica degli artisti operanti nell’antica arcidiocesi di Oristano tra il ‘500 e l’800, inedito di prossima pubblicazione. 27
123
anno in cui è attesta l’ultima sepoltura28 (tab. 5). Nello stesso anno viene imposto il divieto assoluto di tumulazione all’interno delle chiese e dal 183829 tutti i defunti vengono sepolti nel nuovo cimitero comunale di Oristano. In cattedrale le sepolture divennero privilegio esclusivo di arcivescovi, canonici ed altri prelati.
28 Con due circolari emanate in data 20 e 26 aprile 1816 il Governo Sabaudo cercò di far rispettare l’ordinanza che vietava il seppellimento all’interno delle chiese parrocchiali e le altre chiese che si trovavano all’interno dell’abitato. L’ordinanza non venne rispettata, tanto che in data 20 novembre 1824 il vicario generale di Oristano (la sede vescovile era vacante dal 1821) emanava una circolare con cui sollecitò i parroci della diocesi affinché si prodigassero a rispettare i dettami di tale ordinanza. Ma incredibilmente si ignorarono le circolari e le leggi, e in un clima di completa insubordinazione si continuò a seppellire all’interno delle chiese parrocchiali e nella stessa Cattedrale fino al 1835. Cfr. ASDOR, Armadio n°9, Cartella n° 20, Circolare del Vicario Generale Antonio Raimondo Tore, Oristano, 20.11.1824. 29 Il Governo Sabaudo, con Pregone vice-regio del 15 settembre 1836, rinnovò il divieto assoluto di inumazione all’interno delle chiese dell’abitato e dispose che venissero costruiti nuovi cimiteri all’esterno dei centri abitati, e quando possibile, in prossimità di chiese campestri. A quel punto l’arcivescovo Giovanni Maria Bua, si prodigò perché tali indicazioni venissero rispettate, e grazie all’aiuto economico del Comune di Oristano si avviarono i lavori per la costruzione del nuovo camposanto, che entrò in funzione tra il 1838 e il 1839; cfr. ASDOR, Armadio n°9, Cartella n° 20, Dispaccio diretto al Consiglio Civico di Oristano, tumulazione dei defunti presso il nuovo campo santo, Oristano 20.10.1838 e ASDOR, Armadio n° 9, Cartella n° 20, Osservazioni al Nota del Consiglio Civico di Oristano relativa alla tumulazione dei defunti nel nuovo camposanto, Oristano, 18.01.1839.
124
Riepilogo delle date e degli avvenimenti più importanti
1572
In cattedrale è presente un altare dedicato a San Giuseppe
1627-41 1642 1654
Ampliamento della cappella di San Giuseppe Primo jus sepeliendi nella cappella di San Giuseppe Prima sepoltura accertata in cappella
1693
Capitoli dello Statuto (in catalano)
1726 1729 1742 1730-53 1754 1759 1760
1773
Antonio Nin diventa Arcivescovo di Oristano Iniziano i lavori della nuova cattedrale Consacrazione della nuova cattadrale Viene realizzata la nuova cappella di San Giuseppe Nuovo jus sepeliendi nella cappella di San Giuseppe L’altare barocco è dorato dal maestro Giovanni Sanna Viene completato il nuovo altare barocco (realizzato da maestranze oristanesi) Lorenzo Cerasuolo, scultore napoletano, realizza la statua di San Giuseppe Relazione sulla cattedrale del capo Ingegnere Daristo
1803
Copiatura dello statuto (in lingua spagnola)
1835 1835-38
Ultima sepoltura in cappella Divieto assoluto di seppellire i defunti dentro le chiese e costruzione del nuovo Campo Santo comunale
1912-13
La cappella di San Giuseppe viene decorata dal pittore romano Ettore Ballerini
1760
125
Tavola I. 1: Elenco cronologico dei luoghi di sepoltura ad Oristano tra il 1603 e il 1656.
Tavola II. 2: Idem, tra 1665 e 1735; 3: Elenco cronologico dei sepolti nella cappella di S. Giuseppe dal 1654 al 1665.
Tavola III. 4: Elenco cronologico dei sepolti nella cappella di S. Giuseppe dal 1675 al 1704.
Tavola IV. 5: Idem, dal 1730 al 1835 (stralci).
Tavola V. 1: ASDOR, Q. L., Oristano - cattedrale, libro dei defunti dal 1673 al 1703, f. 8 (1675). Su concessione dell'Archivio Storico Diocesano di Oristano - autorizzazione del 26/03/2014 - è espressamente vietata la riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo; 2: Oristano, cattedrale, altare barocco della cappella di S. Giuseppe (1760) (f. R. Cau).
Tavola VI. 3: Oristano, cattedrale, part. del timpano dell’altare barocco della cappella di S. Giuseppe (1760) (f. N. Danieli); 4: Oristano, cattedrale, statua di S. Giuseppe (Lorenzo Cerasuolo, 1760) (f. R. Cau).
132
Gli stendardi francesi della cattedrale di Oristano Ovvero di chi, calcando il suolo arborense, portò gloria, notorietà o devastazione. Enrico Correggia
Quando si pensa ad Oristano, spesso si ha nella mente quella ridente cittadina sonnacchiosa che siamo abituati a conoscere. Certo, ci si crogiola nel passato glorioso dei Giudicati. Forse qualcuno si spinge anche fino all’età Marchionale. Ma poi è deserto, oblio. Tutto tace. E non è difficile immaginare perché. In realtà il capoluogo è finito più volte tra le braccia della fama. Non sempre per merito suo, chiaramente. A volte è stata tirata per i capelli in eventi ben più grandi della sua portata. Ma altre volte è l’ingegno dei suoi figli ad averle dato notorietà; a volte la validità, o la scelleratezza, delle loro azioni. Vediamo, così, cosa accadde nella pacifica cattedrale di un posto tranquillo nell’età degli Imperi.
I. La notorietà dell’Episcopato Arborense, nel bene e nel male, del secolo XVI: La riforma luterana si abbatté come una mannaia sull’Europa cattolica causando lotte, divisioni e guerre fratricide. Fino ad un punto di non ritorno, in cui Papa Paolo III decise di reagire. Batté un pugno sulla sua augusta scrivania e convocò il Concilio di Trento, capolavoro della Dottrina Cattolica dell’età moderna. In verità far partire il Concilio non fu cosa facile. Già nel 1543 arrivò all’Arcivescovo di Oristano una convocazione1 che si risolse in un nulla di fatto: la data di apertura dei lavori venne rimandata. Finalmente, nel 1545, la cattedrale tridentina di S. Vigilio si riempì e le sessioni conciliari poterono cominciare. Alla morte di Paolo III, fu eletto Papa Giulio III, personaggio largamente noto negli ambienti del Concilio. Così, nel 1551, dopo uno stallo di qualche anno, i lavori vennero riaperti e le convocazioni riformulate. Così, il 26 novembre dello stesso anno2, Carlo de Alagòn, Arcivescovo arborense, si presenta al Concilio. E lo fa nel migliore dei M. VIDILI, Cronotassi documentata degli Arcivescovi d’Arborea: dalla seconda metà del secolo XI al Concilio di Trento, Oristano, L’Arborense, 2010, p. 165.
1
2
Ibidem. 133
modi: celebra i Vespri della vigilia dell’Epifania nel duomo e la Messa per la festa dell’Epifania davanti a tutti i padri conciliari3 . Interviene al Concilio, fa sentire la sua voce come parte attiva della Chiesa Universale. Diventa un personaggio in vista guadagnando l’ammirazione del Pontefice. Ma per poco: nello stesso anno l’assise Tridentina viene sospesa e lui farà ritorno a casa, ove morirà due anni dopo. Per un Arcivescovo lodato, un altro è infangato. Ed è il caso di Gerolamo Barberàn che, per non voler dare il convento di S. Martino ai domenicani, si mise contro nientemeno che Pio V, arrivando a diventare protagonista delle bolle Sincerae devotionis affectus e Significavit nobis 4. Errare humanum est, perseverare autem diabolicum. E infatti il Barberàn, incurante di tutto, proseguì per la sua via. Ma mettersi contro un Papa, soprattutto quando si chiama Pio V, non è mai una scelta tanto saggia. Infatti gli arrivò un mandato di comparizione a Roma. E siccome le buone notizie non vengono mai sole, era accompagnato da una scomunica con conseguente sospensione a divinis 5. Visto che le maniere forti a volte servono a qualcosa, l’Arcivescovo capitolò e fu reintegrato nelle sue funzioni. Godendo, ovviamente, della stima dei suoi colleghi. Scrive6 , infatti, l’Arcivescovo Cagliaritano Parragues al Vescovo di Ales 7 rattristandosi per il fatto che sia sottoposto ad un individuo come il Barberàn “che tutto il mondo sa che legge male il latino, e non ha mai studiato in sua vita, uomo inetto al bene, ma astuto, intrigante, intento alle amicizie, ambizioso di onori e di titoli, e favorito nella sua ambizione da quelli cui avea fatto e promesso servigio e omaggio”. Mica male, come presentazione!
3
Ibidem.
4
G. CASALIS, Storia di Oristano, Bologna, Atese, 1983 (rist.), p. 396.
5
Ibidem.
6
Ibidem.
7
28 settembre 1563. 134
II. Di come la pietra si tinse di scarlatto e la morte visitò la cattedrale: Un manto di tenebra avvolgeva la città semideserta mentre la pioggia incessante creava dei piccoli ruscelletti lungo i canali di scolo della via maestra. Il rumore di qualche carro, l’incedere frettoloso di chi cercava riparo, i lamenti di qualche randagio. Tutto era silenzio, in confronto ai tremendi boati causati dalla furia elementale. E la cattedrale si ergeva imponente, in tutta la sua silente maestà, sferzata dalle intemperie e incurante del peso degli anni. Le sue pareti bianche e nere8 avevano visto più volte il piombo al posto del cielo e si erano sempre mostrate un solido rifugio per ogni viandante che cercasse ristoro per le membra e per lo spirito. L’unica cosa che, infatti, non si era arrestata dinnanzi al tremendo brontolio atmosferico era la vita liturgica. Questo dava conforto, come le imponenti mura della chiesa. In fondo, quel 26 luglio, festa di S. Anna dell’Anno Domini 1586 era un sabato come tutti gli altri. Ed ecco frotte di chierici indaffarati per i preparativi del III notturno della domenica. Uno ad uno tutti i canonici del Capitolo Metropolitano occupavano i loro scranni del coro, pronti per la funzione, mentre l’assemblea si disponeva orante lungo la navata. Il maltempo sarebbe cessato prima o poi; la liturgia, specie quella Celeste, è eterna. Tutto proseguiva regolarmente, in quella quarta ora pomeridiana. Pinnacoli di incenso s’innalzavano lungo le volte del presbiterio, spandendosi per tutto il transetto gotico e lungo la navata romanica. Un torculus, poi un salicus, uno scandicus e un porrectus si alternavano sonori nelle sicure voci dei canonici. Ad un tratto al più fragoroso dei boati seguì un violento tuono. Timore e tremore giunsero sull’assemblea e le tenebre caddero su di essa. Una folgore si abbatté con inaudita veemenza sull’alta torre campanaria e questa crollò rovinosamente sulla volta del duomo. In un attimo, la pioggia lapidea raggiunse il suolo. E fu strazio, grida e stridor di denti. La cattedrale non era più un luogo sicuro. Una sola cosa fu più forte del rumore provocato dalla pietra, una sola cosa più del frastuono dato dall’umano terrore. L’urlo di una madre che sentì il proprio cuore spezzarsi, esattamente come la vita del figlio J. ALEU, Successos generales de Isla y Reino de Serdeña, vol II, 1684, p. 971; “Esta Iglesia en su architectura mostra ser obra de Pisanos, como las demas Cathedrales de la Isola, trazeronla espaciosa, alta y capaz, en forma de cruz con tres naves, que las dividen dos ordines de colunas, de una pleza de pietra muy fuerte, con sus arcos de selleria, que sustentan las paredes, y el maderaie del texado de la misma Iglesia; toda la obra dentro y fuera es de cantos quadrados, de color blanco colorado y nigro [...]”. 8
135
infante colpito in pieno da un masso acuminato. Acqua e sangue tutt’intorno a lei, sola nella folla, morta, nel suo essere in vita, per la morte di un innocente. E, nel presbiterio, riverso a terra, il cadavere di Lorenzo Mossia, suddiacono arborense avviato al sacerdozio. I suoi occhi giovani, fibrillanti d’estasi liturgica solo qualche attimo prima, s’erano tramutati in vetro e fissavano l’eternità. Il suo manipolo, testimone del martirio, pian piano, mutava colore, tingendosi di rosso. Uno dei canonici, in sagrestia, prese penna e calamaio, vergando i solchi della tragedia su un codice quattrocentesco. Ed è grazie a lui se questa testimonianza è sopravvissuta. Il Salterio-Innario P. XIII è, come al solito, fonte inesauribile di informazioni9. Nella c.189r, una mano anonima scrive: Hodie sabbato 7 Kalen. Aug. año Dñi 1586, hora fere 4a pomeridiana in festo S. Annæ accidit Clericis in Choro tertium nocturnum Dominicæ legentibus, quedam tonitrua orta cum fulgoribus moverentur; ita ut ipsorum ultimum supra tintinabularium ceciderit, unde multos lapides diruit super puerum, quem fere in duas partes secarunt; fulgur vero Laurentium Mossia subdiaconum tintinabulum tangentem occidit, et inter alia duodecim gradus fractos a proprio loco dimovit.
Ma gli inchiostri, si sa, col tempo sbiadiscono, e con essi il ricordo degli avvenimenti. Nonostante la scritta originaria sia ancora leggibile, una mano provvidenziale10 ne copiò il contenuto appena sotto per evitare di perderne la memoria arricchendola con un piccolo preambolo: Hoc monumentum11 jam vetustate deletum ne omnino pereat fideliter hic exhibetur, quod est ut sequitur nempe.
Di fatto l’evento funesto riportato deve aver turbato non poco la vita della cattedrale. Così come i danni da esso causati dovettero essere G. MELE, Note storiche, paleografiche, codicologiche e liturgico-musicali sui manoscritti arborensi, in: Die ac Nocte: i codici liturgici di Oristano dal Giudicato d'Arborea all'età spagnola (secoli XI-XVII), Cagliari, AM&D, 2009, p. 29.
9
10
Ibidem.
11 Degno di nota è il questo termine: Monumentum. Spesso si sottovaluta la portata di una semplice nota a margine, quando essa può essere un vero e proprio monumento per ricostruire un passato che altrimenti non ci sarebbe pervenuto.
136
notevoli. E non mi viene difficile pensare che i grandi lavori di ristrutturazione e ampliamento svolti tra il 1622 e il 162712 con gran soddisfazione del Capitolo13 possano aver avuto origine proprio da questo fatto. Anche il campanile dovette essere interessato, visto che padre Jorge Aleo, nel 168414, lo descrive come integro: Fabrico tambien una Torre por las campanas, todo de cantos quadrados, tan alta fuere, y hermosa, que non la tiene mayor ninguna otra Cathedral del Regno.
I lavori dovevano inaugurare un nuovo periodo di pace e prosperità, nel quale la cattedrale avrebbe dovuto godere di splendore, anche per il rinnovato entusiasmo degli artisti che la circondavano15. Periodo che, in effetti, ci fu, ma fu tutt’altro che duraturo. E vedremo in seguito perché.
III. Lo sbarco di Cerone e i “vizi” della cappella Musicale: Se c’è una costante immutata attraverso i secoli è il tentativo da parte delle corti civiche o ecclesiastiche di acquisire cantori o strumentisti di pregio, veri e propri fuoriclasse delle arti sonore, per dar lustro alla propria cappella musicale dando origine ad un vero e proprio cantomercato.
Che portarono, tra le altre cose, alla creazione della Sacrestia dei Beneficiati, all’ampliamento del presbiterio e alla creazione del cosiddetto archivietto.
12
A. SARI, Architettura rinascimentale ad Oristano e nel suo territorio, in: Chiesa, potere politico e cultura in Sardegna dall’età giudicale al Settecento: atti del II convegno internazionale di studi, Oristano, ISTAR, 2005, p.452; “[a Francesco Orrù e Melchiorre Uda, picapedrers] qui han fet la obra del nou cor dos centes lliures de estrenes, ço és cent aquiscu, vist la bona obra y fabrica que han fet y la satisfatio que han dat”.
13
14
J.ALEU, Sucessos, op. cit., vol. II, p. 971.
15 Vista la scarsità di materiale del secolo XVII a noi pervenuto è facile cadere in errore: colgo l’occasione per segnalare che l’acquasantiera del 1633 presente nella cappella di S. Luigi Gonzaga non fa parte del corredo della Cattedrale. Era, invece, stata donata dal Canonico Mancosu Dessì alla Chiesa di S. Domenico. Ivi rimase fino agli inizi del XX secolo quando fu, poi, traslata nella Chiesa del S. Cuore, ove venne, in seguito, sostituita. Fu l’allora parroco della Cattedrale, mons. Giampiero Tuveri, sul finire degli anni ’90, a posizionarla nella sua sede attuale.
137
In una di queste trattative, l’Arcivescovo di Oristano16 mise a segno il colpo del secolo, portando nella sua “squadra” nientemeno che Pietro Domenico Cerone. E chi era costui? Nato nel 156617 a Bergamo da una nobile famiglia oriunda, fu avviato alla carriera ecclesiastica e iniziò i suoi studi da cantore, probabilmente presso la cappella di S. Maria della sua città natale. Come ogni ragazzo del suo tempo, sognava di diventare uno Spagnolo, quindi colse al volo la possibilità di trasferirsi ad Oristano, ambendo, per sua stessa dichiarazione, ad approdare a Madrid. Luogo dove, effettivamente, giunse nel 1592 stabilizzandosi nella cappella reale di Filippo II prima e di Filippo III poi: la celeberrima Capilla Real Española, erede di quella Capilla Flamenca sull’abilità della quale litri d’inchiostro son stati versati. Lì ebbe modo di studiare largamente la musica iberica e i suoi massimi esponenti. E li studiò così tanto a fondo da esclamare pubblicamente che, sotto sotto, gli italiani erano molto più talentuosi. Soprattutto Palestrina. E la sua venerazione per il Maestro romano la vedremo nello specifico più avanti. Così, nel 1603 lo ritroviamo a Napoli, cantore della Chiesa della SS. Annunziata in attesa di quell’ordinazione sacerdotale che arriverà l’anno dopo. Nel 1609 è citato come insegnante di canto dei diaconi, ma lascerà l’incarico l’anno seguente per diventare uno dei tenori della cappella reale. E qua si stabilizzerà fino alla sua morte, sopraggiunta nel 1625. Della sua attività canora non ci sono arrivate recensioni. Probabilmente, visti gli incarichi, era un discreto tenore, ma nessuno si è mai prodigato per farci avere dettagli sulla qualità vocale. Piuttosto, il buon Pietro, decise di dare alle stampe, oltre a qualche manuale, un trattatello di 1160 pagine, 22 libri e 849 capitoli che ha per titolo El Melopeo y Maestro: tractado de musica theorica y pratica; en que se pone por extenso; lo que uno para hazerse perfecto musico ha menester saber; y por mayor facilidad, y claridad del Lector, esta repardido en XXII libros.
Non si conosce la data esatta dell’arrivo di Cerone ad Oristano. Il Bonu ipotizza che nell’ottobre 1588, trovandosi in Roma Antonio Canopolo per ricevere la nomina episcopale, incontrato il musicista, lo persuase a raggiungerlo nell’Arborea. Probabilmente potremmo trarre maggiori informazioni dall’Archivio Capitolare, se non fosse chiuso. Giampaolo Mele, in: Die ac Nocte, op. cit., (nt. 66, p. 64) già preannuncia indagini in tal senso, avendo individuato a suo tempo delle piste fruttuose. 16
Informazioni biografiche tratte dal DEUMM, dal Dizionario Enciclopedico degli Italiani Treccani e dal New Grove’s Dictionary of Music and Musicians. 17
138
Quest’agile lettura ebbe subito ampia diffusione in tutto l’Impero Spagnolo, Americhe comprese e diede un’impronta ben precisa alla musica spagnola per tutto il XVII secolo e buona parte del XVIII18 diffondendo uno stile molto conservativo improntato, ovviamente, sulle orme di Palestrina. Obiettivamente la situazione iberica era molto differente rispetto a quella italiana. Le corti erano meno interessate al mecenatismo musicale e i compositori si adagiavano nella loro routine. Cerone voleva, così, spingerli verso quel grande ideale rinascimentale di perfezione che aveva fatto raggiungere vette incredibilmente alte. E non è un caso se l’unico compositore spagnolo che cita in termini di assoluta venerazione e stima è Tomas Luis de Victoria, il più romano tra gli iberici, el Compositor de Dios. Ora, tutto ciò è molto bello e interessante, ma con la cattedrale di Oristano che c’entra, tolto quel misero passaggio di, forse, quattro anni? Torniamo al punto dov’eravamo rimasti. Il buon Cerone approda, ricco di entusiasmo, buoni propositi e una discreta voglia di fare, in quell’Oristano ancora mutilata dagli effetti della folgore. Così propone ai cantori della cappella del duomo un brano di Giovanni Pierluigi da Palestrina. E ci rimase malissimo quando scoprì che ad Oristano il nome del suo autore preferito era conosciuto e… disprezzato! I suoi colleghi erano tutti dei supporters di Luca Marenzio. Fu così che il nostro, non perdendosi d’animo, prese le parti dell’Ave Regina Coelorum palestriniano a otto voci e le trascrisse firmando a nome di Marenzio. Al coro il pezzo piacque e lo si cantò con gran gusto. Questa storiella, che ordinariamente sarebbe rimasta nei confini della città, magari oggetto di vanteria o lamentela in taverna, fece il giro del mondo, in quanto inserita nel Melopeo19. E i nostri arcicantori furono pubblicamente messi alla gogna. Ovviamente, in buona compagnia: un 18 Tra i trattatisti che citano la sua opera vi sono, ad esempio, Andrés de Monseratte (1614), Andrés Lorente (1672), Manuel Nunes da Silva (1685), Josè Salado (1730), Bernardo Comes (1739), Antonio Roel de Rio (1760), Diego de Roxas (1760) e Antonio Soler (1765). Jorge Guzman arrivò a definire Cerone come il più grande tra tutti i teorici.
P. D. CERONE, El Melopeo y Maestro, p. 309; “[…]Si à este proposito quisiesse yo tambien contàr lo que me aconteciò estando en Cerdeña, menester fuera mas de una mano de papel, la qual quiero à horrar para gastar despues en escrivir cosa que sea de mas provecho, y no emplearla en descubrir la mala voluntad de unos tales que tenian à las obras de Prenestina, y la demasiada afficion que mostravan despues à las de Lucas Marenzio. Basta dezir sumariamente, que para hazer cantar una Ave Regina coelorum a ocho bozes de Prenestina à ciertos arcicantores, fue menester trasladarla, y ponerle el nombre de Marenzio. Las opinion anda preñada y à las vezes pare monstruos porque con cibe de mal uso y de ignorancia; los quales de tal manera perturban el oydo, que le hazen parecer las obras agenas de la calidad que ellos quieren. […]”.
19
139
episodio analogo che coinvolse Josquin des Prèz e Adrien Willaert, è citato da Gioseffo Zarlino, e puntualmente ripreso da Cerone20. Il coro impertinente era, questa volta, la Cappella Musicale Pontificia Sistina.
IV. Il Re degli Strumenti: Avendo trattato in precedenza della Cappella Musicale del duomo, mi è veramente impossibile non spendere qualche parola circa l’Organo, strumento onnipresente nella vita liturgica dell’Arcidiocesi e della sua cattedrale21. Attualmente sopravvivono due strumenti: un Tamburini e un Aletti. Il primo è un organo a trasmissione elettropneumatica, con 30 registri reali, 2.200 canne e consolle a due manuali (da 61 tasti l’uno) con pedaliera radiale. Fu costruito nel 1961 e posto dietro l’altare. Un decennio dopo, però, fu spostato per varie esigenze nella sua attuale posizione, lungo il braccio sud del transetto. Costò all’epoca 8.600.000 lire, esclusi trasporto e spese varie22 . Grand’Organo Recitativo-Espressivo Pedale Principale 16’ Eufonio 8’ Contrabbasso 16’ Principale 8’ Bordone 8’ Subbasso 16’ Flauto aperto 8’ Viola dolce 8 Basso 8’ Corno camoscio 8’ Principalino 4’ Bordone 8’ Ottava 4’ Flauto 4’ Corno 4’ Flauto a camino 4’ Flauto in XII 2’ XV 2’ XV 2’ Flautino 2.2/3’ XIX 1/1.3’ Ripieno 5 file Ripieno 5 file Trombone 16’ Cornetto 2 file Oboe 8’ Tromba 8’ Viola celeste 8’ Tromba 4’ Tremolo Voce umana 8’
20
Ibidem.
21 G. CASALIS, Storia di Oristano, op. cit., p. 297: “Si adopera il canto gregoriano, il quale non è però, come sembra, praticato con molta intelligenza. L’organo è l’unica musica che si oda anche nelle più solenni funzioni.”
R. BONU, Oristano nel suo duomo e nelle sue chiese, Cagliari, STEF, 1973, p. 68, nt. 149. 22
140
Il secondo è un organo a trasmissione meccanica costruito a Monza nel 1888. Prima Colonna
Principale da 8’ basso Principale da 8’ soprano Principale II° basso Principale 16’ soprano Ottava bassa Ottava soprana Quinta decima Decima 9 bassa Decima 9 soprana Vigesima 2 Vigesima 6 e 9 Trigesima 3 e 6 Contrabbassi ed Ottave Tromboni ai pedali
Seconda Colonna
Fagotto basso Trombe soprane Clarinetto basso Corno inglese soprano Flutta soprana Flauto in VIII soprano Ottavino soprano Violetta bassi Violino soprani Voce umana Tremolo Terza mano Timpani al pedale
Con la costruzione dell’organo Tamburini fu rimosso e posizionato nel braccio sinistro del transetto della vicina Basilica di Nostra Signora del Rimedio. Ma, chiaramente, si parla di strumenti veramente recenti. Cosa c’era in passato? E, soprattutto, c’era qualcosa? Quest’ultima è l’unica domanda alla quale mi sento di dare una risposta. In trepidante attesa dell’apertura dell’archivio Capitolare, che potrà darci qualche pista da seguire, dobbiamo accontentarci dello scarsissimo materiale in nostro possesso. In primis una nota del 24 aprile 176723 che tra le varie opere completate in quegli anni per la cattedrale cita anche due organi24 . Ma di ancor maggiore interesse è un’epigrafe, scritta in un latino decisamente poco ciceroniano, poggiata nella nicchia del Battistero: HEC EST CAPELLA IOANNIS PAVLI SANNA ET IVLIANE SANNA AC PINTOLINO CONIVGVM CIVITATIS ORESTANIJ SVB INVOCATIONE SANCTISSIMI SACRAMENTI ET SANCTI ARCHALAI PRESBITERIS ET MARTIRIS, CVIVS CORPVS IN EADEM CAPELLA IACET RECONDITV M. MANCONI DE PALMAS, La chiesa di S. Maria Cattedrale di Oristano; in: Quaderni Oristanesi, nn° 5-6, Marzo 1984, p.67.
23
24
R. BONU, op. cit.: “[…] organo grande y uno de los balcones de hierro […]”. 141
INQVA ADMODVM PER ILLVSTRIS ET REVERENDVS CAPITVLVS ARBORENSIS SINGVLIS HEB-DOMADIS PERPETVIS TEMPORIBVS PRO DEVOTIONE ET INTENTIONE EIVSDEM IOANNIS PAVLI SANNA MISSAM SANCTISSIMI SACRAMENTI CVM COMMEMORATIONE BEATISSIME AC SANCTISSIME VIRGINIS MARIE, ET DEFVNCTORVM CELEBRARE ET CVM ORGANORVM PVLSATIONE CONCINERE TENETVR. 1626
Oltre a darci testimonianza del transito terreno della coppia di coniugi in questione, a fornirci un’idea della rilevanza che potevano avere per il clero arborense del primo ‘600 e a ricordarci il primo luogo all’interno della cattedrale deputato alla custodia delle reliquie del “nuovo” patrono25 , ci fornisce un assist involontario. Se nel 1626 vengono richieste delle Messe da cantarsi in perpetuo ogni giovedì col suono dell’organo, evidentemente un organo c’era. E quelli del 1767 non erano i primi. Elementare. E ciò è confermato anche da un altro prezioso documento. Il codice ACO, P. IX, prima dell’explicit, presenta una scritta, vergata in inchiostro rosso il 31 luglio 1609. […] Hunc libellum cum suo toto cantu caracterizari fecit. Sisinnius Loy canonicus Arborensis et Organorum beneficiatus26 .
La presenza di un Canonico con la prebenda degli organi nel 1609 ci conferma la presenza di uno o più strumenti già da quell’epoca. Di che tipologia di strumento si trattasse e da quanto fosse presente, allo stato attuale degli studi, non è dato sapere. Restiamo in attesa di novità in questo filone che merita ulteriori approfondimenti27 .
25
Ricordiamo a tal proposito il bello studio di Maurizio Casu, pubblicato in questa sede.
26
G. MELE, Note storiche, op. cit., p. 32.
Uno studio, ad opera dell’ottimo musicologo Roberto Milleddu, è in via di pubblicazione. Si spera ne seguiranno altri arricchiti, magari, da notizie provenienti dall’archivio Capitolare.
27
142
V. La stoffa insanguinata d’oltralpe: Siamo nel 1637. L’Europa è in ginocchio, dilaniata da un tremendo conflitto che imperversa da quasi un ventennio e prenderà il nome di “Guerra dei Trent’anni”28. Nato in seguito alla defenestrazione di Praga come scontro, almeno ufficialmente, a sfondo religioso tra protestanti e cattolici all’interno del Sacro Romano Impero, non tardò molto a diventare una vera e propria disfida, prima sotterranea, poi plateale, tra gli Asburgo e la Francia. La Spagna, battaglia dopo battaglia, registra notevoli successi. Tra questi l’occupazione del Parmense. È Duca di Parma e Piacenza Odoardo I Farnese, figlio di Ranuccio I e Margherita Aldobrandini. Per uno stato relativamente piccolo, esser schiacciato da un impero immenso come quello spagnolo non dev’essere un’esperienza troppo piacevole. E allora il Duca, per scacciare l’invasore, si rivolge al suo “fratello maggiore”: la Francia 29. Quando un amico della Francia chiede soccorso contro un nemico del genere, il cardinale Armand Jean du Plessis, duca di Richelieu, risponde. E lo fa con i fuochi d’artificio. Circa quarantacinque30 navi, comandate dal Conte Enrico di Lorena-Harcourt, detto “Cadet la perle” a causa dell’orecchino che portava, discendente in linea diretta della famiglia ducale di Guisa31, e da Henri d'Escoubleau de Sourdis32, Arcivescovo di Bordeaux, lasciarono l’oceano Atlantico, dov’erano già impegnate, alla volta del Mediterraneo. Giunti vicino all’Italia, però, scoprirono che la Spagna aveva, per ragioni politiche, già riconsegnato i territori. 28
1618-1648.
29 Odoardo I sposa nel 1628 Margherita de Medici, figlia di Cosimo II, erede di quel Ferdinando I che lasciò la porpora cardinalizia per assumere il governo del Granducato in seguito alla morte del fratello Francesco I nel 1587. Quest’ultimo, fatta eccezione per un bambino morto in tenera età, ebbe solo figlie femmine tra le quali v’era Maria, moglie di Enrico IV di Francia e madre di Luigi XIII, sovrano regnante dal 1610 al 1643. 30 Un elenco approssimativo comprendente 48 imbarcazioni, ricavato da una lettera di Luigi XIII (datata 23 febbraio 1637) all’arcivescovo di Bordeaux, verrà riportato alla fine della trattazione. 31 Figlio di Carlo I d’Elbeuf (1556-1605) e Margherita di Chabot. Carlo era figlio di Renato di Guisa (1536-1566) e Louise de Rieux, nipote di Claudio I di Guisa (1496-1550), fondatore della dinastia, e Antonietta di Borbone.
Nipote dell’Henri d’Escoubleau de Sourdis (1548-1615) che fu suo predecessore all’arcivescovado di Maillezais. 32
143
Poteva il Conte d’Harcourt far dietrofront senza colpo ferire, con una flotta così ben armata e dei soldati che iniziavano a sentire il bisogno di cibo e compensi? Chiaramente no! Ecco, dunque, che ripiegò, senza regia autorizzazione33 , su un obiettivo secondario: la Sardegna34. La Gran Torre era sguarnita. Cosa poteva mai succedere in quel placido sabato pomeriggio, 21 febbraio, all’ora del tè, con la popolazione trepidante in attesa della Sartiglia che si sarebbe tenuta il giorno dopo? L’alcaide e la truppa di presidio erano in città a godersi i festeggiamenti carnascialeschi. Solo due soldati restarono a guardia. E fuggirono, col cuore in gola, appena quelle navi che si avvicinavano minacciose alla costa iniziarono a cannoneggiare la torre. Gli invasori, in maggioranza ugonotti35, poterono sbarcare indisturbati. Giunti a Cabras decisero di sfogare lo spirito di razzia sulle peschiere e sulle cantine. La notizia giunse rapidamente in città e i consiglieri mandarono don Sisinnio Ponti, uomo di fiducia, a negoziare. Si sentì dire che era loro intenzione occupare la città per consegnarla al Re di Francia e riuscì a ottenere una tregua di quattro giorni per domandare al vicerè cagliaritano il permesso di aprire le porte all’esercito Francese. Chiaramente una notte è lunga e ricordare una tregua stipulata il giorno prima non è facile: così il Conte d’Harcourt e l’Arcivescovo di Bordeaux avanzarono con qualche migliaio di uomini (4000 per Aleo, 11000 per Canales de Vega 36). Le porte furono aperte: opporre resistenza sarebbe stato inutile. I cittadini fuggirono disperdendosi verso l’interno. Restarono solo i membri del consiglio con alcuni poveri che non avevano niente da perdere dall’invasione. Mons. Vico, vescovo 33 V. A. DI SAVOIA, lettera all’Arcivescovo di Bordeaux in data 23 febbraio 1637; “[…] J’aurais cru que vous n’auriez rien voulu résoudre avant que d’avoir reçu les commandements du Roi; mais, ayant appris que vous avez fait tout le contraire, j’attendrai le succès de votre voyage avant que d’en faire jugement […].”
Sull’episodio è presente una copiosa bibliografia coeva. Tra gli altri: C. BERNARD, Entreprise sur l’Ile de Sardaigne; J. ALEU, Historia chronologica y verdadera de todos los successos y cosas particulares succedidas en la Isla y Reyno de Serdeña, del año 1637 al año 1672, Raccolta Baille, Cagliari, XVII secolo; A. CANALES DE VEGA, Invasion de la armada francesa del Arzobispo de Bordeaux y Enrique de Lorena conde de Harchout hecha sobre la ciudad de Oristan del reyno de Cerdena en 22 de hebrero 1637, P.Gobetti, 1637. 34
35
Passati alla storia come is sordaus grogus a causa del colore giallo delle loro uniformi.
L. SPANU, Lo sbarco dei Francesi in Oristano, Marrubiu, Accademia Arborense, 1992, p. 15.
36
144
ausiliario, il clero, il colonnello Nieddu e i miliziani ripiegarono verso S. Giusta in attesa di rinforzi. Le monache di clausura furono condotte a Laconi. Fu saccheggio libero. I beni nascosti durante la fuga furono subito trovati. Anche l’argenteria della cattedrale, posta in un nascondiglio in una cappella della chiesa, in corrispondenza dell’episcopio, fu trovata subito e contribuì ad ingrossare le tasche transalpine37. Nulla di sacro fu risparmiato da quell’esercito. In una cappella della chiesa dei Padri Conventuali c’era un Santo Cristo molto venerato e molto miracoloso, visitato da pellegrini di tutte le parti del regno. Si dice che sia opera di San Luca Evangelista. Fu talmente temerario un soldato eretico che, salito su una scala, staccò sacrilegamente le cortine del retablo. Non se ne andò però senza il castigo meritato perché all’uscita dalle porte della chiesa con il bottino lo raggiunse un colpo d’archibugio d’incerta provenienza che lo lasciò morto al suolo. All’istante il corpo si gonfiò come una botte e divenne nero ed orribile come un demonio38. E ancora Mons. Vico, nella sua relazione ad limina del 164239 riporta: […] quia galli milites omnia bona mobilia istius ciitatis subtraxerunt et quod [....]st non sine magno meo memore omnes calices, cruces et alia vasa argentea, multaque ornamenta et paramenta dictae cathedralis ecclesiae ultra valorem sex mile ducatorum ita ut ecclesia spoliata remansit; ex calices quibus hodie utitur sunt ab aliis eclesiis acomodati, unde ratio ipsa postulat quod Episcopus Burdagalen qui similia a suis militibus perpetrari permissit ad integrum per vestras Eminentissimas dominationes restituere cogatur. Don Diego Masons, uno dei capitani dell’esercito sardo, aveva imparato il francese nei suoi trascorsi bellici nelle Fiandre. Entrato a Oristano camuffato da Francese vide gli occupanti ormai affamati organizzarsi per uscire e rapire delle donne che preparassero il pane. Fu allora che tornò alla base e organizzò degli agguati che si conclusero positivamente per i miliziani. 37 In uno slancio di fervore, quasi a parlare di una temibile maledizione, l’Aleo scrive: “Si seppe dopo da informazioni attendibili che tutti quelli che avevano partecipato al bottino erano morti di disgrazia”. 38
J. ALEU, Historia chronologica, op. cit., cap. IV.
39
Documento illustrato da S. Fenu nel presente volume. 145
Era il mercoledì delle ceneri. Per tendere un tranello al nemico, il Masons, insieme a Giovanni Battista Furcas, diede ordine agli ottanta cavalieri che li seguivano di dividersi in due tronconi, salire sul colle della basilica di S. Giusta e girare intorno alla chiesa tutta la sera. I francesi credettero, così, di trovarsi davanti una potenza militare notevole e issarono bandiera bianca. I due capitani sardi andarono, dunque, a parlamentare, portando con loro un interprete, Andrea Capuxedo. Sentitisi accusare dagli “ospiti” di averli maltrattati, gli oristanesi tornarono perplessi a S. Giusta. Ma con una convinzione in più: i francesi potevano esser battuti. Giovedì 26 febbraio, giorno di S. Alessandro, qualcosa successe. Ma se fino ad ora le fonti presentavano discrepanze sensibili nella ricostruzione degli eventi, è giunto il momento di trovare divergenze notevoli. I Francesi batterono in ritirata. Poco importa se di propria spontanea volontà, a causa di un assedio o per una minaccia di attacco. Di fatto tornano alle navi. Col bottino in spalla, chiaramente. Non avevano pensato che il governatore Aragall potesse tendere un’imboscata: egli aveva infatti portato le sue truppe presso la località de Su Paloni. L’attacco fu feroce. Con una stima poco probabile, i sardoiberici dichiararono di aver perduto solo cinque uomini contro gli ottocento caduti borbonici40 . Certo è che i Francesi dovettero abbandonare l’isola quanto prima. Oltre alle centinaia di militi, persero anche 36 prigionieri, due cannoni, otto vessilli, bagagli, armi e una parte del bottino. Oristano, invece, perse quasi tutte le sue ricchezze e subì ingenti danni alle sue strutture. L’Arcivescovo di Bordeaux, chiaramente, non poteva far passare la notizia di una sconfitta così bruciante. E, essendo ormai nota la sua iniziativa, fece un rapporto molto edulcorato al Cardinale Richelieu. E aggiunse, in chiusura, attribuendo la “ritirata” al solo Conte d’Harcourt: […] Le conseil de quitter la ville, de la piller, et de se rembarquer, a été résolu sans M. de Bordeaux.
Il cardinale, ch’era dotato di notevole abilità politica, risponde, con un’epistola datata primo marzo 1637. [...] Le Roi laisse libre à M. d’Harcourt et à vous de vous gouvernaire en l’affaire que vous avez entreprise en Sardaigne ainsi que vous l’estimerez à propos, sans vous prescrire aucune chose; partant ce sera à vous à prendre vos mesures selon que la 40
J. ALEU, Historia chronologica, op. cit., cap. VI. 146
facilité ou difficulté que vous trouverez sur le lieu vous y obligeront [...]
Fossi nell’Escoubleau avrei abbastanza difficoltà a rispondere ad una lettera del genere. E infatti nella risposta, la relazione di un attacco ad alcune isole segnalate da Luigi XIII, l’Arcivescovo glisserà sull’episodio oristanese. Oltre a ciò, ricevette anche una epistola infuocata da parte di Mons. Vico, il quale lo redarguirà ricordandogli i suoi doveri ed esortandolo a cambiare attitudini.41 Nel mentre, in quella che fu la capitale del Giudicato, quattro degli stendardi sottratti agli invasori vennero portati in cattedrale per assistere al solenne Te Deum di ringraziamento che si tenne il 28 febbraio. Da allora, fino a pochi anni fa, ogni 26 febbraio42 , storico anniversario, la popolazione Oristanese commemorava la vittoria con una solenne processione all’interno della cattedrale. I vessilli sottratti partecipavano silenziosi, appesi alle pareti, come fieri testimoni dell’avvenimento. Intanto quello che venne chiamato in tutto il mondo Siglo de Oro si chiuse. E portò con se tanta gioia per Oristano. Infatti, dopo i Francesi, vennero carestia, cavallette43 e peste44 . Ma questa è un’altra storia.
41
G. CASALIS, Storia di Oristano, op. cit., p. 409.
42
S. Alessandro, sa festa de sa vittoria de is sordaus grogus.
43
1647.
44
1652. 147
Le imbarcazioni francesi * Vascelli che devono restare a levante Nome
Le Galion de Guise L’Europe La Licorne Le Saint-Michel Le Saint-Louis de Saint-Jean-de-Luz La Pélerine La Sainte-Geneviève L’Intendant Le Lion d’or Le … L’Hermine La Perle La Madeleine du Havre Le Saint-Jean La Sainte-Marie La Lionne La Marguerite La Sainte-Anne L’Aigle Le Neptune La Levrette La Cardinale La Grande Frégate La Petite Frégate
ton
Capitano
1000 Sera amiral 500 M. de Manty 500 M. de Montigny 500 M. de Caen, sergent500 major-gén 600 M. Guron 500 M. de Saint-Maure 300 M. Beaulieu l’ainé 300 M. Furant 300 M. de Beaulieu250 Pressac 300 M. de Miraumont 300 M. de Coursan 300 M. de Boisjoly 200 M. Du Metz 200 M. … 200 M. Portenoire 200 M. de Beaulieu jeune 200 M. …. 200 Le chevalier de 200 Postrincourt 100 M. de Senantes 80 M. Duquesne 60 M. Daniel M. de Larivière d’Auray M. de Razé M. …
* Elenco tratto da un’epistola di Luigi XIII all’Arcivescovo di Bordeaux datata 23 febbraio 1637 in cui il re dispone della flotta dando nuovi incarichi.
Vascelli che devono passare da levante a ponente Nome
ton
L’Amiral La Fortune Le Coral Le Coq Le Cygne La Madeleine La Renommée Le Saint-Louis de Hollande L’Espérance en Dieu La Salamandre Le Griffon Le Saint-Jean La Royale
Capitano
1000 M. Desgouttes 500 M. de Poincy 500 M. de Guitaud 500 M. de Chastellux 500 M. de Cangé 300 M. de Treillebois 300 M. de Coupauville 300 M. de La Bretonnière 200 M. d’Arrierac 200 M. de Cazenac 200 M. de La Chesnaye 120 M. … 100 M. Poincy le jeune
Galere Nome
La Guisarde, Capitane La Patrone La Cardinale La Richelieu L’Eguilly La Vinceguerre La Centine La Ballibaude La Maréchale La Peronne L’Aiguebonne
Capitano Chevalier de Geurs Chevalier des Roches Baron de Termes Baron d’Eguilly Chevalier de Vinceguerre Chevalier de Valence Ballibaude Antoine Pavon Chevalier du Puget Chevalier de Ris
Tavola I. Frontespizio del Melopeo; Ritratto di Cerone, tratto dalla sua opera.
Tavola II. Ritratto del Conte d'Harcourt (www.beniculturali.it); Ritratto dell'Arcivescovo di Bordeaux (www.biographie.net).
Tavola III. Stendardo francese nella cattedrale di Oristano (f. N. Danieli).
Cronologia storico-artistica della cattedrale di Santa Maria Assunta di Oristano ・ V Secolo ・ Il dosso alluvionale sul quale si erge la cattedrale restituisce materiali di scarto del periodo. ・ VI - VII Secolo ・ Alle stesse quote vengono realizzate delle sepolture di vario genere, pertinenti un cimitero altomedievale e la sua Ecclesia. ・ VIII - IX Secolo ・ Compare un frammento d’ornato, forse della suddetta chiesa. ・ 1070 - 1131 ・ La capitale del giudicato viene trasferita da Tharros a Oristano: pochi anni dopo è attestata la prima cattedrale, ovvero il duomo romanico. Vengono realizzati i celebri plutei dell’ambone. ・ 1192 - 1195 ・ Si ricorda l’intitolazione a San Michele. Subito dopo l’edificio viene danneggiato da Guglielmo di Massa. ・ 1228 ・ L’Arcivescovo Torgotorio e il giudice di Torres Mariano si adoperano per ripararla: sono i bei borchioni bronzei di Placentinus a ricordarcelo. ・ 1301 ・ È attestato il cimitero della cattedrale di Santa Maria. ・ 1326 - 1335 ・ Viene aggiunto al corpo basilicale un transetto gotico, dando alla chiesa la forma de cruz. Sopravvive la bifora. ・ 1348 ・ La peste miete numerose vittime illustri, tra cui Filippo Mameli, che viene tumulato in cattedrale. ・ XV Secolo ・ Viene edificata la maestosa torre campanaria. In questo secolo o subito dopo viene realizzata una importante stoffa di ambito catalano, poi impiegata per una pianeta, la più antica che si conservi a Oristano; un altro primato spetta al reliquiario della Vera Croce, dello stesso periodo, poi rimaneggiato. ・ 1572 ・ Un prezioso documento ci informa sulla presenza di alcune cappelle e altari, tra cui San Giovanni Battista e San Giuseppe. ・ 1586 ・ Un fulmine si abbatte violento sull’edificio, seminando terrore e devastazione; di questo periodo sono anche le mazze cerimoniali o “bordoni” capitolari, di scuola sarda e forse alcune tavole dipinte pertinenti un altarolo portatile. ・ 1611 ・ È attestata la cappella dell’Annunziata: ancora oggi conserva il pregevole simulacro del primo XV secolo. ・ 1615 ・ Si rinvengono presso Fordongianus le reliquie di Archelaus, che da quel momento diviene il Santo Patrono dell’Arcidiocesi. ・ 1626 ・ Viene realizzato un ampliamento del coro, detto “Archivietto”, un capolavoro del sincretismo tardogotico-rinascimentale, e altre opere per le sagrestie. ・ 1637 ・ I sordaus grogus devastano la città, impadronendosi di molte suppellettili
liturgiche di grande valore e danneggiando la cattedrale: d’Harcourt ci lascia i suoi stendardi. ・ 1642 - 1730 ・ La cappella di San Giuseppe è impiegata come luogo di sepoltura; del 1642 è anche l’altare della Pietà, frammentario, e una pisside, entrambi voluti da Pietro Angelo Mura. ・ 1729 - 1742 ・ La cattedrale subisce l’irrimediabile abbattimento delle strutture romaniche per far posto alla mole barocca: pochi anni più tardi verrà solennemente consacrata e ornata di marmi policromi. Dello stesso secolo abbiamo ancora una moltitudine di argenterie, paramenti e dipinti. ・ 1760 - 1786 ・ Proseguono i lavori tra nuovi altari lignei, in stucco e numerose opere d’arte. ・ 1825 - 1837 ・ Vengono progettati e realizzati alcuni vani e i cappelloni semicircolari del transetto: i progetti presentati dal Cominotti vengono ridotti a schemi più semplici. Le deliziose statue sono di Andrea Galassi, allievo del Canova. ・ 1835 ・ Le più recenti disposizioni impediscono di seppellire in cattedrale: nel frattanto è pronto il cimitero cittadino. ・ 1843 - 1863 ・ Il coro della cattedrale accoglie le splendide tele del Marghinotti e alcune cappelle vengono decorate. ・ 1912 - 1920 ・ Si liberano le cappelle gotiche dalle murature che le obliteravano e il Ballerini decora quella del Rimedio, che conserva l’originale scultura del XIV secolo; “Masnadieri guazzettoni”, capitanati dallo stesso Ballerini, realizzano tutte le altre decorazioni, compresa quella della cupola.
Piantina1
In azzurro: il duomo romanico; in rosso: gli ampliamenti gotici; in verde: le aggiunte seicentesche; in giallo: il corpo di fabbrica settecentesco; in viola: completamenti ottocenteschi. 1
Rielaborazione da: M. MANCONI DE PALMAS, 1984.
Indice
Salvatore Sebis - L’antica chiesa e le sue tombe nel contesto dell’Aristiane bizantina - p. 7 I. Premessa II. Sequenza stratigrafica e fasi storico-archeologiche II.I Fase 1: periodo vandalico II.II Fase 2: periodo altomedievale II.III Fase 3: dal XII secolo ai primi decenni del Settecento II.IV Fase 4: costruzione della nuova cattedrale e restauro della torre campanaria II.V Fase 5: cappella absidata di San Luigi Gonzaga Nadir Danieli - Per una rilettura delle fasi architettoniche dell’area della cattedrale di Oristano nei secoli VIII-XIV - p. 28 I. L’origine dell’Insula episcolis II. Il primo cantiere romanico III. Le vicende dell’arcidiocesi alla fine del XII secolo IV. La fase edilizia del primo trentennio del XIII secolo V. Le vicende dell’arcidiocesi sul principio del secolo XIII VI. I nuovi frammenti scultorei VII. Limiti cronologici certi per la datazione dell’ultimo intervento architettonico medievale Sebastiano Fenu - Note sulla cattedrale di Santa Maria in Età Moderna - p. 80 I. La cattedrale II. Il palazzo arcivescovile Maurizio Casu - Archelaus: da “presbiter b. m.” a “Beatus Martir” e Patrono dell’Arcidiocesi Arborense - p. 99
Raffaele Cau - Le sepolture dei Majorales en Cabo nella cappella del gremio dei falegnami di San Giuseppe e gli altri luoghi di sepoltura ad Oristano tra il ‘600 e il ‘700 - p. 115 Enrico Correggia - Gli stendardi francesi della cattedrale di Oristano p. 133 I. La notorietà dell’Episcopato Arborense, nel bene e nel male, del secolo XVI II. Di come la pietra si tinse di scarlatto e la morte visitò la cattedrale III. Lo sbarco di Cerone e i “vizi” della Cappella Musicale IV. Il Re degli Strumenti V. La stoffa insanguinata d’oltralpe