Mensile • Anno VIII • N°66 Gennaio/Febbraio 2013 • Euro 3,50
Cuochi La filosofia culinaria di Capraro
PER I PROFESSIONISTI E GLI APPASSIONATI
Cucine Creatività per dar forma all’high-tech
Foto di Alex Peroli
Vino Scoprire il Riesling lungo Reno e Mosella
Ospitalità La natura in camera all’Aquapetra
Andrea Mainardi
Un geniale folletto in cucina
editoriale
A portata di click Barbara Amati amati@foodandbev.it
C
ome districarsi tra App, iPhone, iPad e tablet vari e vivere senza quel senso di imbarazzante inadeguatezza? Semplice. Basta avere 14 anni, come mio figlio Andrea per il quale le continue innovazioni poste dalle nuove tecnologie, lungi dal rappresentare un mistero, diventano delle stimolanti sfide che pare fronteggiare con estrema disinvoltura, quasi che la loro decodificazione sia intrinseca nel suo Dna. Forse anche lui, a breve, rientrerà in quel ritratto emerso da una recente ricerca dell’Università Cattolica di Milano sui lombardi under 30 che, definiti Millennialis, scartano l’informazione televisiva per il recupero delle notizie, disdegnano il formato cartaceo e prediligono il consumo d’informazione attraverso i siti dei giornali. Anche se non siamo teenager e i vari schermi touch ci mettono in difficoltà, il
mondo va innegabilmente in questa direzione e corre veloce, tanto che in soli tre anni sono cambiate assai le modalità con cui gli italiani si procurano le informazioni e i commenti sull’attualità. Dunque, imparare a usare le nuove tecnologie si deve trasformare per ognuno di noi in un’opportunità. Tanto più per un editore, che ha il preciso dovere di estendere e migliorare la propria offerta. Ma anche i ristoranti devono fare i conti con la Rete e dunque con la necessità di avere un proprio sito con informazioni aggiornate sul locale, l’alternanza dei menu, gli eventi ecc.... Uno studio recente condotto da Nielsen ha infatti dimostrato che il 95 per cento degli utenti smartphone effettua ricerche che riguardano i ristoranti. Ciò significa che, in pratica, se un locale non ha un sito visualizzabile da mobile o non ha predisposto attività di geolocalizzazione, come il semplice inseriLa Rete sta cambiando mento su Google Maps, è un ristorante che di fatto perde clientela. velocemente il mondo Food&Beverage, pur non allontanandosi affatto dalla carta stampata per la quale dell’informazione nutriamo un affetto che trascende qualsiasi innovazione, raddoppia la visibilità e occorre adeguarsi. potenziando il proprio portale aggiornato sui fatti dell’enogastronomia: www.foodandbev.it. Una diversa finestra sul mondo che in tempo reale trasferisce informazioni a Così, Food&Beverage operatori e consumatori gourmet sempre più decisi a trarre le loro conoscenze dalla potenzia il proprio portale in collegamento Rete, come anche gli approfondimenti per la costruzione di una propria opinione grazie allo scambio sotto forma di post o di tweet. E così, anche noi, attraverso i social con i social network network vogliamo metterci maggiormente in contatto con le aziende e gli operatori dell’horeca per “essere sul pezzo” e diffondere live il “buono” dell’enogastronomia. Affiancata alla carta stampata, questa nuova prospettiva dispiega scenari di grande potenzialità. Ormai imprescindibili. La Rete utilizzata come nei nostri propositi arricchisce la comunicazione. Vogliamo diffondere i contenuti della rivista ampliati e supportati da strumenti di comunicazione visiva e multimediali che la carta stampata non consente. Inoltre, grazie al web possiamo raggiungere e comunicare con i professionisti e gli appassionati di tutto il mondo, una sorta di “edicola mondiale” che mette a disposizione i contenuti cartacei che elaboriamo mensilmente in un’edizione digitale che può essere arricchita da contenuti multimediali. Vi invitiamo dunque a registrarvi al sito di Food&Beverage, usufruendo di un mese di abbonamento gratuito scaricando l’edizione online della rivista visibile su pc, tablet e smartphone, collegandosi a F&B www.febeditoriale.com/edicola.html. Attendiamo consigli e opinioni.
Food&Beverage gennaio/febbraio 2013 | 3
48 Food&Beverage vi dà appuntamento al 5 Marzo 2013 Direttore Editoriale Aureliano Amati direzione@foodandbev.it Direttore Responsabile Barbara Amati amati@foodandbev.it Coordinatore di Redazione Jenny Maggioni redazione@foodandbev.it Collaboratori di Redazione Federica Belvedere, Silvana Caminada, Irene Catarella, Francesca Farina, Stefano Masin, Bibi Monti, Simona Percivalle via Simone d’Orsenigo 5 - 20135 Milano tel. 02 47787220 - fax 02 47787237 segreteria@foodandbev.it Collaboratori Clara Aliborange, Adriano Baffelli, Francesca Barni, Nicola Dante Basile, Paolo Becarelli, Enza Bettelli, Donatella Bernabò Silorata, Elena Bianco, Pietro Bongiorno, Jerry Bortolan, Luigi Caricato, Manuela Caspani, Francesco Colombera, Alberto Corrado, Beppe Francese, Laura Gambacorta, Luca Gardini, Marco Ghedini, Gerardo Giorgi, Fabiano Guatteri, Rocco Lettieri, Giulia Marcucci, Beba Marsano, Monica Mazzanti, Gianna Melis, Betty Mezzina, Giorgio Montanari, Anna Pesenti, Cesare Pillon, Erica Re, Beatrice Rioda, Giulio Cesare Saviozzi, Roger Sesto, Gualtiero Spotti, Irma Tannino, Biagio Testa, Franco Tosca, Bianca Trao, Bianca Zille Foto: Archivio terre di Faenza, Nanni Fontana, Lorenzo Galbiati, Rudy Kutzky, Philippe Laurent, Alex Peroli, Jimmy Pessina Responsabile Amministrativo e Commerciale Aldo Ballestra ballestra@febeditoriale.com Pubblicità Italia F&B Editoriale tel. 02.47787220 Grafica e impaginazione Pigierre Srl - via Angelo Maj 12 20135 Milano Stampa Tiber Spa - via Volta 179 25124 Brescia Distributore esclusivo per l’Italia Press di Srl - Segrate (Mi) Editore F&B Editoriale Srl Sede legale p.zza San Camillo de Lellis 1 20124 Milano Reg. al Trib. di Milano n. 720 del 27/9/2005 Venerdì 1 Febbraio 2013 Euro 3,50 4 | Food&Beverage gennaio/febbraio 2013
Sommario Editoriale A portata di click Barbara Amati
pag. 3
BOCUSE d’OR L’eccellenza irlandese di Bord Bia Stefano Masin
32
pag. 18
UK ITALY AWARDS Premiati Lavazza e Besana Group Barbara Amati
pag. 21
andrea mainardi Un geniale folletto in cucina Gualtiero Spotti
pag. 32
champagne Pommery sulle tavole degli chef Barbara Amati
pag. 38
tappi La rivoluzione Diam per vini sicuri Clara Aliborange pag. 40
concept La filosofia di cucina di Craparo Paolo Becarelli pag. 42
vino Il futuro punta su export e giovani Nicola Dante Basile pag. 46
cucine Dare forma all’high tech Bianca Zille
pag. 48
degustazioni Tenuta Sette Ponti, Oreno in verticale Barbara Amati
pag. 54
psiche Quando la fame parte dal cervello Irene Catarella pag. 56
78
FOOD&BEVERAGE online www.febeditoriale.com www.foodandbev.it FOOD&BEVERAGE online Siamo in internet al sito www.febeditoriale.com
Seguiteci su
70 g e n n a i o / f e b b r a i o
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Redazione Recapiti via Simone d’Orsenigo 5 Centralino 20135 Milano Redazione Tel. 02 47787201 Commerciale/Amministrazione Fax 02 47787237 Fax
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attualità
abruzzo Zunica 1880 l’arte dell’ospitalità Stefano Masin
pag. 58
TERRITORI La Romagna dei vini si racconta Barbara Amati
pag. 62
sicilia La storia antica del formaggio Irene Catarella
pag. 64
germania Il Riesling lungo il Reno e la Mosella Elena Bianco
pag. 70
belgio Contorni zen a L’Air du Temps Gualtiero Spotti
Uomini e Vigne pag. 8 Novità da stappare pag. 14 Food Valley pag. 16 Lodge & Spa pag. 26 Business News pag. 28 Il mondo in pentola pag. 30 Cultura & Gusto pag. 94
rubriche Scelte di gusto Spirit Barman Buona lettura Pillole di storia Stelle a tavola
pag. 76
16
venezia Il restyling dell’Hotel Danieli Beba Marsano
pag. 6 pag. 88 pag. 96 pag. 97 pag. 98
pag. 78
gourmet Chez Alfred. Il cibo secondo Hitchcock Erica Re
pag. 80
prevenzione Per le ossa la salute vien mangiando Irene Catarella
pag. 82
sfiziofood Un tocco di zenzero Monica Mazzanti
84
pag. 84
26
locali Zoc, solo Km0 Manuela Caspani
pag. 90
quartieri alti Natura in camera all’Aquapetra Federica Belvedere
pag. 92 Food&Beverage gennaio/febbraio 2013 | 5
scelteDIGUSTO Il ristorante preferito, la bevanda più amata, l’abbinamento perfetto: ogni mese Food&Beverage dà voce ad alcuni imprenditori del nostro settore e a personaggi noti per conoscere le loro preferenze gourmet e scoprire gusti e abbinamenti che talvolta ci possono sorprendere
Responsabile comunicazione Acquerello
Anna Rondolino Capovolgere gli schemi
Il ristorante del cuore Smoque Bbq, Chicago Il piatto della passione Saltinbocca della mamma La bevanda preferita Acqua gasata Piatto e bicchiere mon amour Hamburger, patatine fritte e Chinotto Drink preferito Gin Tonic A tavola con… tutta la mia famiglia
Presidente gruppo cimbali
Maurizio Cimbali Rassicurante classicità Il ristorante del cuore Torre di Pisa, Milano Il piatto della passione Risotto giallo alla milanese La bevanda preferita Acqua naturale Piatto e bicchiere mon amour Prosciutto e melone con vino bianco Drink preferito Negroni A tavola con… gli amici, in relax
Vignettista
Show girl
Il ristorante del cuore Au Bourguignon du Marais Parigi Il piatto della passione Riso al salto La bevanda preferita Sauvignon friulano Piatto e bicchiere mon amour Cotoletta alla milanese con patatine fritte e Nebbiolo Drink preferito Gin Tonic A tavola con… mia moglie Ilaria e pochi amici
Il ristorante del cuore Le Calandre, Rubano (Pd) Il piatto della passione Tagliatelle con ragù La bevanda preferita Amarone della Valpolicella Piatto e bicchiere mon amour Degustazione di formaggi con Nero d’Avola Drink preferito Bollicine Ca’ del Bosco A tavola con… persone che abbiano la mia stessa passione per l’enogastronomia
Giorgio Forattini L’incanto della tradizione
Elenoire Casalegno Emozione e gusto
FOOD&BEVERAGE È ANCHE ON LINE www.febeditoriale.com
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uominievigne riconoscimenti
Nonino premia Féolde, Marchesi e Santin A
nnie Féolde, Gualtiero Marchesi ed Ezio Santin hanno ricevuto dalla giuria, presieduta dal Premio Nobel per la Letteratura Vidiadhar Surajprasad Naipaul, il Premio speciale Nonino Risit d’Âur 2013 promosso dalla famiglia Nonino fin dal 1975 per la valorizzazione della civiltà contadina. Premiato con il Risit d’Âur il gastronomo americano Michael Pollan, filosofo del cibo. Il Premio Nonino 2013 è stato assegnato a Fabiola Gianotti, responsabile dell’esperimento Atlas che ha permesso di individuare il bosone di Higgs; alla poetessa americana Jorie Graham è stato assegnato il Premio internazionale Nonino e al fisico Peter Higgs il Premio Nonino A un Maestro del nostro tempo. Grande festa, dunque, a Ronchi di Percoto alle Distillerie Nonino, con Benito e Giannola Nonino e le loro figlie Cristina, Antonella ed Elisabetta, circondati da una schiera di entusiasti nipoti. L’assegnazione del premio a tre dei più famosi cuochi che hanno reso grande la nostra cucina ponendola alla ribalta internazionale, la cui “grandezza” è stata riconosciuta con tre stelle Michelin, è stata motivata dal carattere pionieristico delle loro creazioni. Partiti dalla tradizione che hanno innovato con coraggio e determinazione, Annie Féolde, Gualtiero Marchesi ed Ezio Santin sono alla base dell’evoluzione della nostra cucina. Ha detto bene Gualtiero Marchesi: “Se ti apostrofano chiamandoti maestro, non c’è da gongolare troppo, semmai da stringere i denti e sentirti, nuovamente e a qualsiasi età, come il primo degli scolari. Per questo dico che bisogna farsi maestri con gli altri. Vorrei che sempre più giovani, giovani con interessi anche opposti alla cucina, venissero a cena da me non per dire che hanno mangiato da Marchesi, ma che hanno imparato qualcosa intorno al cibo e all’arte di imbandirlo”.
Collaborazioni
Giardini Arimei profuma la pastiera
D
alla collaborazione tra Ugo Mignone, della Pasticceria Mignone di Napoli, e Francesco Iacono, vitienologo dell’Arcipelago Muratori, è nata la Pastiera Giardini Arimei, il dolce tipico napoletano di pasta frolla farcita con la ricotta. Nell’esclusiva versione di Mignone il dolce si arricchisce dei profumi dell’arancio fresco grattugiato, ma, soprattutto, dell’aroma e del sapore ricco di Giardini Arimei, il passito secco dell’omonima tenuta sull’isola d’Ischia della famiglia Muratori. “La pastiera è da gustare dopo due giorni dalla preparazione, perché i sapori si devono amalgamare, ma il vino ci aiuta nella conservazione del dolce, fino a 10-12 giorni”, spiega il pasticciere. Iacono racconta, invece, la sequenza delle sette vendemmie che attraverso tre stagioni portano ogni anno in cantina le uve surmature da cui nasce questo passito, biancolella, forastera, uva rilla e San Lunardo, che gli conferiscono una straordinaria ampiezza gustativa.
Abbinamenti
Associazioni
Un felice connubio tra Altesino e Matias Perdomo
Le Donne del Vino al traguardo dei 25 anni
La cucina di Matias Perdomo del milanese Pont de Ferr, precisa e poliglotta, si è sposata con i vini di Altesino, di Montalcino, la prima azienda a introdurre il concetto di cru e della vendita in anteprima del Brunello. Così, il Mosaico di ricciola cruda, foie gras, arancio e pompelmo e il Riso, pasta, foglia d’Oro, si sono abbinati al Bianco 2011, uvaggio di chardonnay, vermentino e viognier, il Sashimi di filetto di bue e foglie di foie gras con salsa bernese e prugne umeboshi con il Rosso di Montalcino 2011, la Pasta e vongole leggermente piccante e lo Spallotto d’agnello dei Pirenei cotto al forno coi cavolfiori, pelle di latte e pinoli caramellati al Brunello di Montalcino Montosoli 2007, vino potente ed elegante.
L’Associazione nazionale Le Donne del Vino festeggia il 25° compleanno. Per l’occasione si annuncia un fitto calendario di appuntamenti, ma la vera festa sarà al Vinitaly di Verona. Un quarto di secolo vissuto intensamente da un’associazione che conta oltre 700 socie e che ha inciso nel panorama enologico, un tempo rigorosamente al maschile, come ha ribadito la presidente Elena Martusciello “Stiamo vivendo un periodo di grandi incertezze in cui tutto è aleatorio, quindi un’associazione formata da un team che lavora in armonia da venticinque anni, è un motivo di speranza per tutti: sviluppando proficue sinergie si superano gli ostacoli”.
8 | Food&Beverage gennaio/febbraio 2013
tecnologia
Enomatic per i vini Tenuta degli Dei
N
ell’enoteca milanese N’ombra de vin, Enomatic e Tenuta degli Dei hanno proposto una mini verticale grazie al wine system Enomatic, vestito per l’occasione da Roberto Cavalli. Si tratta di un sistema innovativo che permette di erogare automaticamente il vino nei calici grazie a un semplice tocco. Protagoniste della degustazione le annate 2007, 2008, 2009 dell’Igt Toscana Cavalli Tenuta degli Dei, cuvée di cabernet sauvignon, petit verdot, cabernet franc, e Le Redini 2010, un Merlot espressione del territorio di Panzano in Chianti (Fi). Nato da un’idea di Lorenzo Bencistà Falorni, Enomatic in pochi anni ha rivoluzionato la cultura del vino, grazie a una tecnologia all’avanguardia che permette di conservare una bottiglia fino a 30 giorni, limitando gli sprechi e proponendo il vino a bicchiere. Nella foto, Tommaso Bencistà Falorni e Tommaso Cavalli, a destra.
champagne
Clicquot Garden Rosé omaggia la primavera
V
euve Clicquot si ispira al Giappone rendendo omaggio all’antica arte dello Shakkei, che consiste nel comporre un giardino ispirandosi agli elementi già presenti nel paesaggio. La maison celebra così la primavera con il suo Clicquot Garden Rosé, dal naso fruttato e floreale, e veste lo Champagne di delicati fiori rosa. Il design della collezione rappresenta i fiori simbolo della primavera giapponese, la longevità del bambù, l’opulenza degli hanaguruma, carri di fiori trainati da buoi, e i colori delle uve di Champagne. La collezione propone due raffinati cofanetti: un coffret fiorito che avvolge la bottiglia come un kimono e una confezione con due flûte che si apre come i petali di un bocciolo di ciliegio.
distribuzione
Vini e spirits d’eccellenza insieme nel Club
S
agna, Balan, Cuzziol, Meregalli, Pellegrini, Sarzi Amadè e Turrini di Heres sono i sette soci fondatori del Club dei distributori e importatori nazionali di vini e distillati di eccellenza che riunisce le principali realtà italiane che operano nel campo della distribuzione vitivinicola. Il Club, infatti, è nato un anno fa con lo scopo di diffondere la cultura e il concetto di organizzazione della distribuzione e del commercio, settori che, sempre più, necessitano di trasparenza, correttezza e maggior etica nei comportamenti. Aperto agli operatori della distribuzione di vini e distillati a livello nazionale, il Club, che lavora nell’alto di gamma del canale horeca, conta un volume di affari di oltre 100 milioni di euro, con 700 agenti sul territorio nazionale e circa 800 aziende rappresentate o distribuite, di cui un terzo italiane.
nomine
Andrea Terraneo presidente di Vinarius Francesco Bonfio, dopo sette anni di presidenza di Vinarius, l’associazione di enoteche italiane che riunisce circa 100 fra bottiglierie e punti vendita di vino a mescita in tutto il territorio nazionale e anche all’estero, passa il testimone ad Andrea Terraneo, classe ‘73 e titolare dell’Enoteca La Barrique di Cantù (Co) (nella foto). Con le nuove nomine -la maggior parte dei consiglieri ha un’età che va da 30 a 35 anni- l’associazione vuole dimostrare che tra le sue priorità c’è quella di trovare nei giovani la spinta giusta per valorizzare il vino e, al tempo stesso, lanciare il ruolo dell’enotecario in una veste più moderna e dinamica. Costituita nel 1981, Vinarius promuove e valorizza l’enoteca come luogo in cui vengono commercializzate le eccellenze enologiche e in cui lavorano i professionisti dei vini e dei distillati.
degustazioni
Bardolino e Chiaretto in anteprima a Lazise Il 17 e il 18 marzo alla Dogana veneta di Lazise, sulla sponda veronese del lago di Garda, si svolgerà la 5ª edizione dell’Anteprima del Bardolino e del Chiaretto. Sulla scia del successo ottenuto lo scorso anno, il Consorzio di tutela vino Bardolino Doc ha, infatti, deciso di raddoppiare l’appuntamento per accogliere gli appassionati e dedicare, invece, il lunedì 18 agli operatori. Sarà possibile, quindi, degustare, un mese prima di Vinitaly, 200 etichette della vendemmia 2012 di sessanta aziende, un’annata che ha portato a quantitativi di uva in linea con la media della Doc del Bardolino. E dal 2012, a totale garanzia del consumatore, i 32 milioni di bottiglie di Bardolino e Chiaretto recano il contrassegno di Stato.
Food&Beverage gennaio/febbraio 2013 | 9
uominievigne nomine
Bonomo presidente Ente vini bresciani L’Ente vini bresciani ha un nuovo presidente. Si tratta di Sante Bonomo, attuale leader del Consorzio Valtènesi: succede a Cesare Materossi e guiderà l’organismo per il prossimo triennio. Maria Grazia Marinelli del Consorzio Montenetto e Michelangelo Scarpari del Consorzio Botticino sono, invece, i nuovi vicepresidenti. Nominati anche i nuovi consiglieri: Paolo Pasini, Giovanni Avanzi, Mario Chiappini, Elisabetta Bontempi, Luca Formentini e Marisa Mauri. L’obiettivo prioritario per il neo presidente è il consolidamento della vitivinicoltura bresciana attraverso il rilancio delle diverse Denominazioni d’origine, puntando a qualificare ulteriormente i servizi a supporto dei Consorzi vini e delle imprese associate.
giornalisti
Un premio per Francesco Arrigoni
U
spumanti
In Calabria in arrivo una nuova eccellenza
L’
ambiente
Toso sviluppa l’ecosostenibilità Toso, l’azienda di Cossano Belbo (Cn) sensibile alla tutela ambientale, ha programmato per il biennio 2012-2013 due successive fasi di potenziamento del proprio impianto di depurazione delle acque. L’impianto, realizzato a inizio anni ’90, aveva bisogno di un ulteriore potenziamento per rispondere agli impegni di un’azienda come la Toso in costante crescita e per evitare ogni interferenza negativa sul torrente Belbo il cui equilibrio ambientale è sottoposto a un impatto piuttosto pesante. Per completare il ciclo della depurazione il prossimo passo sarà quello di disidratare i fanghi e impiegare i prodotti di questa ulteriore lavorazione per concimare gli stessi terreni da cui provengono.
10 | Food&Beverage gennaio/febbraio 2013
n premio in memoria di Francesco Arrigoni. L’hanno voluto la famiglia e gli amici per ricordare il giornalista bergamasco scomparso a 52 anni, nell’agosto 2011. Allievo di Luigi Veronelli, con una prestigiosa carriera che lo ha visto approdare al Corriere della Sera, Arrigoni è stato uno dei massimi esperti della nostra enogastronomia. Il 4 maggio, giorno del suo compleanno, nel monastero San Pietro in Lamosa di Provaglio (Bg), avverrà la consegna del premio in sua memoria, destinato a un’iniziativa con una forte valenza etica legata all’enogastronomia. Il premio consiste in 5 mila euro e in un oggetto artistico ogni anno differente ma con tre elementi ricorrenti: un pezzo di roccia, un cuore e qualcosa che spunta dalla roccia, a ricordarne la generosità e la passione per la montagna.
azienda Santa Venere Vigneti e Cantine di Cirò (Kr), già nota per il suo vino biologico, impianterà un nuovo vigneto per la produzione di uno spumante metodo Classico. L’impianto sarà per l’80 per cento di gaglioppo, mentre il restante 20 per cento sarà suddiviso tra uvaggi di altre varietà autoctone. Sarà, quindi, un vigneto tradizionale ma anche tecnologico in quanto munito di una stazione di pompaggio che somministrerà i nutrienti al terreno e alla vite in base alle necessità e alle condizioni. La famiglia Scala, titolare dell’azienda, punta a ottenere nei prossimi anni uno spumante dalle alte qualità organolettiche e affinato in tempi più brevi con una conseguente riduzione dei costi e una maggiore accessibilità per i consumatori.
CHAMPAGNE
Piper-Heidsiek seduce con Black CanCan
J
ean Paul Gaultier ha firmato la nuova Piper-Heidsiek Black CanCan. Lo stilista francese ha, infatti, vestito la bottiglia con della lingerie costituita da una sensuale “calza a rete nera” tempestata di cristalli Swarovski e un collare di borchie. Piper-Heidsiek Black CanCan, con due flûte, è racchiusa in una sorta di cabaret foderato con velluto rosso che, una volta aperto, sprigiona aromi di frutti esotici, piante e tabacco, quasi a voler anticipare le sensazioni che si proveranno in degustazione. Sorseggiando lo Champagne, l’iniziale impressione al palato è, infatti, quella di una deliziosa nota di burro e miele che, insieme al latte, lascia il posto all’hennè, al sandalo e all’incenso. Con tali caratteristiche l’annata 2000 si è dimostrata la musa perfetta per questa limited edition esotica e sensuale.
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uominievigne Anteprime
Alla scoperta delle nuove annate Febbraio è il mese delle Anteprime. Dopo quella dell’Amarone della Valpolicella che ha presentato a Verona l’annata 2009, il 16 febbraio tocca al Chianti che a Firenze presenterà l’annata 2012. Il 16 e il 17 febbraio sono di scena a Montepulciano (Si) il Nobile 2010 e la Riserva 2009. Per conoscere l’annata 2012 della Vernaccia di San Gimignano e la Riserva 2011, appuntamento dal 17 al 18 a San Gimignano (Si). Dal 18 al 20 febbraio il Chianti Classico Collection presenterà a Firenze le nuove etichette del Gallo Nero. A chiudere il ciclo, a Montalcino si svolgerà Benvenuto Brunello, il 22 e 23 febbraio, con il Brunello 2008 e la Riserva 2007.
concorsi
Piccoli artisti per il Cartizze Canevel Per il secondo anno consecutivo la Canevel Spumanti ha indetto il concorso tra le classi delle scuole elementari di Valdobbiadene (Tv), Cartizze di classe per la personalizzazione della gabbietta del Cartizze. Gli alunni hanno realizzato un disegno che sarà riprodotto per un anno, appunto, sulla gabbietta dei vini Canevel. Il Premio Cartizze di classe 2012 è stato vinto da Emma Dalla Costa della 5a della scuola San Venanzio Fortunato di Valdobbiadene. La consegna della targa ricordo del concorso è stata fatta in occasione della visita della classe all’azienda, momento in cui è stato affidato al preside della scuola l’assegno premio che sarà utilizzato per attività didattiche.
eventi
Krug, tra effimero ed eterno
C
ome sempre, la maison de Champagne Krug ama stupire. E questa volta lo fa con Krug en capitale Milano. Milano through the glass. Si tratta di un ristorante che esisterà solo dal 20 al 26 febbraio, durante la settimana della moda, in una location esclusiva: il 27 esimo piano della Diamond Tower, il grattacielo realizzato nella zona di Porta Nuova, dove è in via di sviluppo il nuovo skyline della città. L’evento vuole essere un omaggio a Milano e a questo quartiere rinnovato. A creare i piatti sarà lo chef stellato Enrico Bartolini, del ristorante Devero, del Devero Hotel di Cavenago di Brianza (MB). Per l’occasione sarà presentata l’opera della Maison Veronese, l’Éphémère Éternel, una creazione in vetro dorato di Murano realizzata per ricreare l’eterna piacevolezza dell’universo Krug.
ricorrenze
Guicciardini Strozzi e Bisol brindano con Cusona Brut
T
rent’anni di amicizia e collaborazione costellati di successi e momenti importanti hanno creato un legame indissolubile tra Bisol, la storica famiglia veneta del Proseco e del Cartizze, e Guicciardini Strozzi, nobile stirpe fiorentina le cui origini risalgono all’anno Mille. A unire le due famiglie, l’idea di Girolamo Strozzi, tra i soci fondatori del Consorzio della Vernaccia di San Gimignano e suo primo presidente: produrre uno spumante solo con uve vernaccia. Per questo pensò di avvalersi, appunto, dell’esperienza della famiglia Bisol di Santo Stefano di Valdobbiadene. Nel 1983 nacque così la prima edizione di Guicciardini Strozzi Cusona Brut Spumante di Vernaccia di San Giminiano: un vino fine e di buona persistenza con sentori di frutta e lieviti, fresco e armonioso al palato con un finale mandorlato.
12 | Food&Beverage gennaio/febbraio 2013
Cocktail
Una bag per Cointreau firmata Dita Von Teese
L
a regina del burlesque Dita Von Teese, brand ambassador di Cointreau, ha realizzato la nuova My Cointreau evening, una bag intrigante da portare sempre con sé per personalizzare i cocktail e creare nuove ricette seguendo l’ispirazione, l’umore e le emozioni. La borsa contiene la bottiglia di Cointreau e tre vasetti di spezie, zenzero, cannella e peperoncino, per insaporire i drink. Ma non è tutto. Quello che sembra un portacipria è, invece, una scatola contenente del tè. Tè e Cointreau, infatti, si presentano come un’unione inaspettata che dà vita a un equilibrio perfetto di sapori da gustare con ghiaccio. La bag si completa con due accessori fondamentali, un cucchiaio per mescolare e dosare le spezie e un misurino per il Cointreau, oltre a un libretto di ricette ideate da Dita. Il prezzo della bag è da intenditori: 400 euro.
lutti
È scomparso Lucio Mastroberardino D
opo una lunga malattia è scomparso Lucio Mastroberardino, rampollo di una delle famiglie storiche del vino, Terredora, e presidente dell’Unione Italiana Vini, tra le istituzioni più importanti del settore. Proprio l’elezione alla massima carica dell’Uiv è stata il risultato del percorso personale, costellato di successi, di un imprenditore attento e capace che ha girato il mondo, uso a occuparsi di problemi concreti, con rapidità e decisione. Per la sua approfondita conoscenza del settore, per la grande capacità di sintesi e per il suo lungo impegno affinché il mondo del vino potesse venire a capo dei tanti problemi che da tempo l’affliggevano, l’enologia italiana perde uno dei suoi indiscussi protagonisti. Una vita, la sua, tutta dedicata alla vitivinicoltura: dopo la laurea in Enologia ha, infatti, iniziato a lavorare nell’azienda di famiglia, Terredora, a Montefusco (Av), fondata dal padre Walter nel 1993. Al suo fianco, i fratelli Paolo e Daniela, presidente nazionale del Movimento Turismo del Vino. Ma Mastroberardino non si fermava mai e,
accanto all’impegno costante di portare Terredora ai massimi livelli qualitativi, commerciali e di immagine, si è dedicato con passione e professionalità a diverse associazioni, da Confagricoltura, di cui è stato esponente di spicco, all’Unione Italiana Vini, che lui chiamava la “casa comune del vino italiano”, fino alla conduzione del Consorzio dei Vini Irpini, dove ha portato avanti la strenua difesa dei vitigni autoctoni campani, primi fra tutti il greco di tufo, il fiano di Avellino e l’aglianico. Grazie alla sua intelligenza e alla convinzione “che essere aperti al cambiamento è fondamentale per la crescita, il miglioramento, la continuità e la coesione dell’impresa”, Terredora è diventata una della maggiori aziende del Sud, con 200 ettari di vigna e 1,3 milioni di bottiglie prodotte ogni anno, di cui circa il 35 per cento esportato. Protagonista con la famiglia e l’azienda del Rinascimento vitivinicolo campano, il ricordo di Lucio Mastroberardino rimarrà nei suoi vini e nel loro pregio. Alla famiglia, a Paolo e a Daniela, le condoglianze di Food&Beverage.
Novitàdastappare alto adige
Kastelaz, il Gewürztraminer di Walch N
asce nel vigneto Kastelaz, a 300 metri sul livello del mare, su terrazze molto strette il Gewürztraminer Kastelaz vendemmia 2011 di Elena Walch, azienda altoatesina che da sempre dimostra come si possano coniugare in modo eccellente tradizione, qualità e innovazione. Il terreno della Tenuta Kastelaz, calcareo e a tratti argilloso, è estremamente vocato per questa tipologia di vino bianco. Le uve vengono selezionate in vigna e macerano sulle proprie bucce per circa sei ore prima della pressatura. L’affinamento avviene sui propri lieviti fino a primavera quando, una volta pronto, assume un colore giallo paglierino dai sentori intensi di rosa e spezie. Al palato è corposo e dal sapore pieno. Persistente e armonico, il Gewürztraminer Kastelaz 2011 ha un retrogusto intenso ed elegante di grande impatto. È un vino che può maturare al meglio per 3-8 anni.
veneto
Valentina Cubi, il biologico di qualità
U
na piccola realtà di prestigio si sta affacciando con successo alla produzione biologica: è l’azienda agricola Valentina Cubi, situata in località Casterna a Fumane (Vr), nota per i suoi Amarone di pregio. I due vini biologici sono l’Iperico Valpolicella Doc e il Sin Cero Verona Rosso Itg 2011. Prodotto da uve Corvina e Rondinella, senza l’aggiunta di lieviti, solfiti, enzimi e agenti chiarificanti e non filtrato, il Sin Cero ha colore rosso porpora chiaro, naso deciso, raffinato, con note di frutti rossi, naturale speziatura e mineralità. Per la sua vivacità è un vino perfetto da bere giovane. Fondata nel 1970, l’azienda ha una superficie di 13 ettari -10 a vigneto e 3 a oliveto e frutteto- con terreni adagiati sulle colline che, grazie all’esposizione al sole e al clima favorevole, danno vini di grande struttura.
sicilia
Favinia Le Sciabiche il rosso di Firriato
F
avinia Le Sciabiche è il nuovo rosso siciliano prodotto da Firriato nella Tenuta di Calamoni, sull’isola di Favignana, nelle Egadi: qui, dopo un secolo, la famiglia Firriato ha ripiantato le viti che oggi hanno dato un vino importante, fresco, dedicato a due grandi vitigni autoctoni siciliani, perricone e nero d’Avola. Le proprietà organolettiche di queste uve donano al vino un bagaglio di componenti saline di grande pregio grazie al mare. Il risultato è quello di una struttura elegante corredata da tannini avvolgenti e di grande finezza, il tutto su uno sfondo caratterizzato da spiccata mineralità e sapidità. Favinia Le Sciabiche è intenso, destinato a pochi eletti, e risultato di una viticoltura di mare vissuta con passione, viste le difficoltà che comporta la coltivazione per le condizioni particolari ed estreme.
veneto
limited edition
La Cuvée 1821 il Prosecco di Zonin
Baileys è fashion firmato dalle designer Felder Felder
Prodotto con uve glera in purezza, la Cuvée 1821, Prosecco Doc di Zonin, è un’alta espressione qualitativa dell’esclusivo vitigno da cui si ottiene un vino che è uno dei simboli del made in Italy: il Prosecco. La Cuvée 1821, dall’anno in cui la famiglia Zonin ha cominciato a produrre vino, è speciale per la selezione clonale realizzata dagli enologi dell’azienda. Di colore giallo paglierino, dalla spuma bianca e fine e dal sottile perlage, ha un profumo gradevole, intenso, fruttato e aromatico che ricorda fiori di glicine e mela renetta. Al palato è fresco e armonioso, con una particolare fragranza. Da servire a una temperatura tra 5 e 7 gradi, è ottimo come aperitivo, ma perfetto a tutto pasto con piatti leggeri.
Baileys, la famosa crema al whisky irlandese, distribuita da Diageo, è uscita in una limited edition dai toni fashion, in collaborazione con il duo di stiliste anglo tedesco Felder Felder. Le gemelle hanno aggiunto un tocco personale alla bottiglia con bracciali in pelle borchiati che cingono le diverse referenze del liquore in colori e pattern differenti: sono veri accessori che possono essere indossati. Così, design e gusto si uniscono in una bottiglia da collezione che costa 90 euro. Baileys limited edition è in vendita da 10 Corso Como, a Milano.
14 | Food&Beverage gennaio/febbraio 2013
toscana
Arkeos, rosso di carattere
I
l pugnitello è una varietà autoctona toscana scoperta e recuperata a inizio anni ’80. Nel 1987, l’azienda Agricola San Felice, nel Chianti Classico, propose ai ricercatori di piantare queste uve in un vigneto sperimentale e, nel 2006, fu presentata al mercato la prima produzione di Pugnitello vendemmia 2003 che riscosse un grande successo. Nel ’98 le uve sono state piantate anche nella zona di Montalcino e della Maremma, ottenendo ottimi risultati. Così, oggi, è nato Campogiovanni Arkeos vendemmia 2008. Si tratta di un blend di pugnitello al 60 per cento e il rimanente sangiovese proviene, appunto, dalla tenuta Campogiovanni di Montalcino. Una produzione di appena 3 mila bottiglie, di un rosso interessante e di carattere che ha riposato 20 mesi in botti di rovere francese.
sardegna
100, un vino per il centenario di Antonio Argiolas
A
ntonio Argiolas nasce nel 1906 a Serdiana (Ca), ancora oggi sede dell’omonima azienda. Per festeggiare il centenario del fondatore è stata presentata l’ultima annata del vino da dessert, Antonio Argiolas 2009, ideale per accompagnare tutti i dolci, ma che dà il suo meglio in associazione al cioccolato. Un grande rosso ottenuto da uve cannonau e malvasia nera lasciate appassire naturalmente sulla pianta. Il colore rubino si intensifica sbocciando in sfumature granata. Il profumo è ricco di intensi aromi mediterranei, mentre al palato è morbido e rotondo, ben equilibrato, elegante, con un finale lungo e persistente. Il numero “100” sull’etichetta è un omaggio alla vita di Antonio Argiolas e un richiamo alla formula bene augurale dei brindisi sardi: a kent’annos.
veneto
Il Prosecco Ville d’Arfanta
V
inicola Serena, l’azienda di Conegliano, ha creato la linea Ville d’Arfanta, il cui nome si rifà all’omonima azienda agricola che si estende sui declivi fra le cittadine di Conegliano e Valdobbiadene (Tv). Tra i prodotti della linea Ville d’Arfanta c’è il Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Brut Millesimato Spumante, la più accattivante e versatile delle versioni, capace di stuzzicare anche palati esigenti. Ottenuto con il metodo Charmat, questo spumante ha colore giallo paglierino scarico con riflessi citrini, perlage fine e persistente. Al naso offre sentori caratteristici di frutta gialla (ananas e banana) con sfumature di glicine e una nuance di acacia. Al palato è fresco e fragrante, con una piacevole nota agrumata. Ideale per l’aperitivo, ben si abbina a formaggi semistagionati, ma la sua forza espressiva lo rende adatto anche per un consumo a tutto pasto.
piemonte
La Matta, perfetto blend di Barbera d’Alba La Matta Barbera d’Alba 2008 di Gianni Gagliardo proviene da due vigneti dalle caratteristiche opposte: il primo è nel comune di Monforte d’Alba, cioè nei terreni marnosi della zona del Barolo, e ha un’età di circa 40 anni. Il secondo vigneto è invece a Monticello d’Alba, nei terreni sabbiosi del Roero, ed è molto più giovane. Le uve dei due vigneti sono vinificate separatamente. Nel 2006 la macerazione è durata circa 6 giorni. Dopo la fermentazione il nuovo vino è stato trasferito in legno per l’affinamento avvenuto con batonnage settimanali fino alla primavera, quando le selezioni delle migliori barrique sono state assemblate. Un ulteriore passaggio di 4 mesi in botte grande ha consentito a La Matta di armonizzarsi ed equilibrarsi ulteriormente.
toscana
Carpineto Farnito Brut uno Charmat selezionato Ottenuto da vini Chardonnay di diverse annate, i più vecchi dei quali maturano in barili di rovere, il Farnito Brut dell’azienda toscana Carpineto è uno spumante prodotto in quantità limitatissime, essendo il risultato di una lunga selezione. Sono necessari otto mesi affinché il Farnito Brut diventi spumante e altrettanti ne devono passare per l’affinamento in bottiglia. Dal perlage fine e continuo, e dal colore giallo paglierino, al naso è elegante con sentori speziati, il bouquet è fine e complesso. In bocca è ricco, molto persistente, di importante struttura, secco ma carezzevole, con le stesse sensazioni aromatiche percepite all’olfatto. Ottimo in abbinamento a piatti elaborati della cucina internazionale, è ideale con primi piatti all’italiana e con formaggi in genere.
Food&Beverage gennaio/febbraio 2013 | 15
foodvalley birra
Warsteiner incontra la cucina di Alice L’
alta cucina ha ormai aperto le porte ad abbinamenti interessanti, come quello con la birra. Il brand tedesco Warsteiner, anticipando questa opportunità, dal 2008 collabora con la scuola di cucina milanese Congusto per portare la birra di qualità non solo in accostamento ai piatti, ma anche come ingrediente. La Premium Warsteiner, come ha spiegato Silvia Serpelloni, responsabile marketing, è di proprietà della famiglia Cramer dal 1516 e la sua qualità la rende ideale per la creazione di ricette di alta cucina, come quelle realizzate dalla chef stellata Viviana Varese del ristorante Alice di Milano. Così, Pasta fagioli e cozze è stata accompagnata dalla birra chiara Warsteiner Premium Verum, mentre negli altri due piatti la birra è diventata ingrediente: l’Insalata di rinforzo di baccalà cotto nella birra scura Konig Ludvig Dunkel e il Carpaccio di branzino, mela verde, granita di ricotta, polvere di bergamotto e gelatina alla birra Warsteiner Premium Verum. “L’amaro è difficile da trovare nelle materie prime, quindi la birra può essere un ottimo ingrediente capace di chiudere il cerchio dei sapori assieme al dolce, al salato e all’acido -ha raccontato la cuoca- Per quanto riguarda le preparazioni, invece, ho utilizzato una birra scura e dall’aroma più intenso per il Baccalà che ha un sapore forte, mentre per il Carpaccio di branzino ho scelto una birra chiara, più delicata”.
acqua
In diretta dalla natura con Levissima
U
n viaggio in alta definizione alla scoperta della natura incontaminata. Levissima e National Geographic Channel hanno creato una partnership per il Wild Purity Project che mostra il Belpaese, partendo da dove nasce Levissima, la fonte Cepina in Alta Valtellina, alla Maremma, al Parco nazionale della Majella all’Etna. Dai social media al blog passando per la televisione, il racconto, seguito live, dell’avventura della blogger Chiara Cecilia Santamaria e del fotografo, Nanni Fontana, riprende paesaggi mozzafiato. Le sette puntate sono in onda su National Geographic Channel dal 18 gennaio. Per Paolo Caporossi, direttore marketing di Levissima, “si è partiti dall’origine del prodotto mostrando luoghi che creano emozioni, come il ghiacciaio dove nasce Levissima che porta in tavola sorsi di natura incontaminata”.
formaggi
partnership
Da Igor ricette inedite per il Gorgonzola
Ferri dal 1905 ed Egan per un tè esclusivo
La principale azienda produttrice di Gorgonzola, uno dei formaggi Dop più conosciuti e apprezzati, Igor di Cameri (No), ha presentato il libro Gorgonzola My Love, un’inedita raccolta di ricette. Tante idee sfiziose per questo formaggio ricco di minerali e vitamine e senza lattosio né glutine. Un ricettario che è anche un omaggio all’attività di Igor: infatti, “coraggio imprenditoriale, amore per il proprio lavoro, qualità e rispetto della tradizione”, come ha detto l’amministratore delegato Fabio Leonardi, hanno decretato il successo di un’azienda che dal 1935 si dedica con passione al Gorgonzola.
Intimità di Sapori è un’elegante linea di tè e infusi realizzata in collaborazione da Ferri dal 1905 ed Egan. Il progetto nasce dall’idea di unire un prodotto di alta qualità a una confezione raffinata e ad alto impatto emotivo. La famiglia Ferri da oltre cento anni seleziona in tutto il mondo le materie prime d’eccellenza, mentre Egan realizza ricercati articoli da regalo. Così è nata Intimità di sapori Grand Cru di Ferri dal 1905, un’esclusiva confezione in tessuto per conservare il gusto e il profumo dei prodotti da infusione.
16 | Food&Beverage gennaio/febbraio 2013
usa
Focus sulla cultura italiana
R
icerca, scoperta e innovazione sono i temi principali delle iniziative che hanno come protagoniste le eccellenze del Belpaese nel corso dell’Anno della cultura italiana negli Stati Uniti, inaugurato a Washington alla presenza del ministro degli Affari esteri, Giulio Terzi (nella foto con, a sinistra, l’ambasciatore d’Italia negli Stati Uniti Claudio Bisogniero). Protagonisti arte, musica, teatro, design e non solo. Tra i must italiani non poteva mancare l’enogastronomia, uno dei settori che il mondo ci invidia per qualità e ricchezza di prodotti. Le eccellenze che rivestiranno il ruolo di ambasciatrici e faranno assaporare agli americani l’arte di vivere all’italiana sono S.Pellegrino, Frescobaldi, Donnafugata, Masi, Guido Berlucchi, la Scuola internazionale di cucina Alma e lo chef tristellato Massimo Bottura.
cioccolato
Perugina, 90 anni di baci
M
essi tutti in fila i Baci Perugina venduti finora farebbero 10 volte il giro della Terra. Era il 1922 quando Luisa Spagnoli provò a impastare la granella di nocciola, residuo delle lavorazioni, aggiungendo una nocciola intera e ricoprendola con il cioccolato. Il tutto con l’obiettivo di contenere i costi di produzione. Il risultato fu sorprendente. Per la forma, simile a un pugno, il cioccolatino fu chiamato Cazzotto. Fu Giovanni Buitoni a cambiargli nome e quando, poi, il creativo Federico Seneca propose di inserire un biglietto d’amore, la strada per il cioccolatino degli innamorati era stata tracciata. Oggi sono 300 milioni i Baci venduti ogni anno e 1.500 quelli prodotti al minuto. Esportati in 55 Paesi, portano in giro per il mondo le frasi d’amore più belle regalando un innocuo peccato di gola.
esportazioni
Cirio torna in Giappone
I
l made in Italy alimentare di qualità in Giappone è molto apprezzato e, dopo l’incidente alla centrale di Fukushima, i prodotti di importazione sono particolarmente richiesti. Su quest’onda, Cirio, il marchio che fa capo a Conserve Italia, forte della sua crescita a livello mondiale e già attivo nel Paese del Sol Levante in passato, con buona notorietà e distribuzione, vuole valorizzare ulteriormente la propria presenza commerciale per sviluppare le potenzialità del proprio brand. Per questo rientro Cirio si avvale di Montebussan, uno dei maggiori distributori di Tokyo e, per promuovere l’operazione ha organizzato un galà all’ambasciata italiana nella capitale nipponica con 250 invitati, tra rappresentanti del canale horeca, buyer della distribuzione e opinion leader, che hanno potuto degustare la gamma di derivati del pomodoro a marchio Cirio.
nomine
Felici presidente di Heinz Italia Alessandro Felici, 42 anni, nato a Roma e laureato in Economia all’Università La Sapienza, è il nuovo presidente e amministratore delegato di Heinz Italia. Dopo una brillante carriera in Procter & Gamble, è entrato in Heinz Italia nel 2005 come direttore marketing, diventandone successivamente vicepresidente. Eletto nell’anno del cinquantenario della presenza di Heinz in Italia, Felici si è detto consapevole del difficile momento per il Paese, ma “l’obiettivo è puntare sull’innovazione, sulla vicinanza al consumatore e sull’eccellenza dei prodotti”. Il brand, infatti, ha acquisito anche Plasmon, Nipiol e Dieterba, assumendo un ruolo di punta nel settore baby food e medical food, con un giro d’affari di 400 milioni di euro e circa mille dipendenti.
solidarietà
Un libro per donare il sorriso ai bambini malati A tavola con le quattro stagioni. Le ricette del sorriso, pubblicato dall’editore Morellini, raccoglie una serie di ricette abbinate ai vini di Gerardo Cesari. Il ricavato della vendita è stato interamente devoluto alla Fondazione Operation Smile, per donare un sorriso ai bambini di oltre 60 Paesi, nati con malformazioni facciali correggibili. Il volume di Gloria Brolatti e Monica Sartoni Cesari, con la prefazione di Filippo La Mantia, è stato promosso dalla Gerardo Cesari di Verona per dimostrare come la responsabilità sociale e l’attenzione verso i meno fortunati sia un obiettivo dell’azienda, nota, soprattutto, per il suo Amarone: in questo momento di crisi è ancora più importante trovare qualcuno disposto a devolvere fondi per cause nobili.
Food&Beverage gennaio/febbraio 2013 | 17
concorsi La
competizione, nata da un’idea di
Paul Bocuse,
premia l’eccellenza
Paesi. Bord Bia,
in cucina realizzata con i migliori prodotti provenienti da diversi
Quest’anno
è stato selezionato il manzo irlandese certificato
internazionalmente conosciuto e apprezzato per qualità e versatilità
L’eccellenza irlandese al Bocuse d’Or con Bord Bia Stefano Masin
T Il prototipo del piatto con la carne irlandese di Alfio Ghezzi per il Bocuse d’Or. In basso, John Keane, direttore del Bord Bia, e Claire Farrell, responsabile marketing, con Ghezzi e Perbellini
italiano, allenatore francese, materia prima irlandese. Avversari? Solamente (si fa per dire) 23 squadre di rinomati cuochi provenienti da tutto il mondo. Questo è ciò che attende la squadra Azzurra di cucina alla finale del Bocuse d’Or a Lione, la competizione biennale nata nel 1985 da un’idea del francese Paul Bocuse, tra i più innovativi cuochi del mondo, inventore della nouvelle cuisine e insignito di tre stelle Michelin dal 1965. E mai come in questo caso, il termine “squadra” si addice a un concorso di cucina. Il Bocuse d’Or, infatti, ha un regolamento rigido che richiede l’esperienza di diverse persone, che nel team azzurro sono il presidente, Giancarlo Perbellini, il bistellato patron dell’omonimo ristorante a Isola Rizza, (Vr); il concorrente candidato, Alfio Ghezzi, chef della Locanda Margon (Tn), eam
assieme all’assistente Sebastiano Cont; l’allenatore Frédéric Garnier e la food designer Ylenia Agate. Una squadra affiatata che gareggia di fronte a una giuria il cui presidente d’onore quest’anno è il tristellato Enrico Crippa del Piazza Duomo di Alba (Cn). Ma gli Azzurri hanno un asso nella manica: il concorso, infatti, prevede che il piatto a base di carne sia realizzato con il filetto irlandese certificato Bord Bia, molto apprezzato e conosciuto anche da Perbellini che lo utilizza in uno dei piatti più famosi del suo ristorante, La tartare ai tre pesti. È una materia prima di qualità, utilizzata da molti chef e dallo stesso Bocuse che fa
parte da anni dell’Irish Beef Club, come ha ricordato John Keane, direttore Italia Bord Bia, un circolo che riunisce cuochi di tutto il mondo che utilizzano e si fanno ambasciatori delle carni irlandesi. La scelta, quindi, è in linea con lo spirito della competizione, che seleziona i prodotti migliori nei diversi Paesi per una cucina d’eccellenza. “Il bestiame irlandese cresce quasi sempre al pascolo, quindi ha poco grasso e un’elevata quantità di omega 3, 6 e di vitamine -ha spiegato Claire Farrel, direttore marketing Bord Bia- È una carne facile da lavorare, versatile, che si presta a varie cotture, adattandosi quindi a diversi tipi di cucina”. Lo stesso Perbellini ha esaltato le caratteristiche della carne irlandese che grazie all’alimentazione degli animali e alla vita al pascolo ha un sapore e una qualità uniche. Anche il candidato in gara Ghezzi ha espresso soddisfazione nel poter lavorare con il manzo irlandese: “Abbiamo a disposizione un filetto maturato 21 giorni, con una buona fascia muscolare e un’ottima marezzatura la quale ha un duplice effetto: veicola molto bene gli aromi, frutto anche della sana alimentazione, e F&B mantiene succosa la carne”.
foodvalley web
Il tonno nella rete con un nuovo portale Si chiama www.tonno360.it ed è il primo sito italiano dedicato alla cultura del tonno in scatola. Insieme al latte e alle uova, il tonno è la proteina di origine animale più conveniente sul mercato. Ha una penetrazione altissima nei consumatori, pari a circa il 96 per cento delle famiglie. E proprio alla luce di questo intenso consumo è nato il sito, promosso, anche, da Ancit, Associazione nazionale conservieri ittici, con l’obiettivo di fornire al consumatore un’adeguata conoscenza. Una vetrina a tutto tondo sul mondo del tonno che spazia dalle caratteristiche nutrizionali alle ricette, dalla classificazione delle specie alle tecniche di pesca, fino alle diverse fasi di lavorazione.
aperture
Splendor Parthenopes inaugura a Roma
N
CROCIERE
Con Bottura menu a tre stelle per Costa
M
bevande
I benefici del mangostano per Xango Reserva Xango è una linea di prodotti naturali al 100 per cento, nata dagli estratti dell’esotico frutto del mangostano, ricco di fitonutrienti, tra i quali flavonoidi e xantoni. Capostipite della produzione è Xango Reserva, bevanda dal sapore fresco e corposo, che ha conquistato milioni di consumatori. Il frutto, originario del Sudest asiatico, proviene da frutteti certificati thailandesi, sottoposti a severe e costanti verifiche. La produzione avviene, invece, negli Stati Uniti, in stabilimenti dotati della più alta tecnologia, con laboratori di analisi, ricerca e sviluppo. La salutare bevanda è un prodotto artigianale che apporta solo 43 calorie per 100 millilitri di succo.
20 | Food&Beverage gennaio/febbraio 2013
el cuore della Capitale, vicino a piazza Cavour, dove c’era I professionisti, bar storico della città, ha inaugurato Splendor Parthenopes, un locale dall’anima cosmopolita dove la tradizione gastronomica napoletana è riletta in chiave contemporanea. Distribuito su 800 metri quadri e su tre piani, il ristorante è aperto dalle 7 del mattino alle 2 di notte, con un’offerta che spazia dalla colazione, con il vero caffè napoletano e i dolci della croissanterie, ai piatti caldi e freddi per il pranzo e la cena. Ma la regina incontrastata qui è la pizza, che è proposta assieme ai prodotti della rosticceria e della gastronomia tipica, preparati con ingredienti campani. Non manca un recupero della cucina casalinga con minestre, torte salate e timballi, fino ai pranzi domenicali scanditi dal rito del ragù e delle paste mischiate.
assimo Bottura dell’Osteria La Francescana di Modena, tre stelle Michelin, ha realizzato i menu di Natale e Capodanno proposti su alcune navi della Costa Crociere e gustati da circa 20 mila ospiti. Bottura ha studiato i piatti omaggiando l’Emilia, sua terra d’origine, lacerata dal terremoto pochi mesi fa, e coinvolgendo i produttori locali. Un esempio: i tortellini realizzati a mano dalle sfogline di Castelfranco Emilia, che hanno lavorato per settimane producendone due tonnellate. Le ricette hanno previsto anche l’utilizzo di molti prodotti tipici come il Parmigiano, le mandorle, le ciliegie e il bergamotto. Ma non è tutto: in tavola il Bollito non bollito, la versione di Bottura di uno dei piatti della tradizione emiliana.
premi
Libri da Gustare a Nicola Dante Basile
N
icola Dante Basile, giornalista, scrittore e già firma del Sole 24 Ore e di Food&Beverage, ha vinto il premio Libri da Gustare 2012 per la sezione “Cultura del vino e del bere”, con Olio & Vino: eccellenze d’Italia prima e dopo la crisi, edito da Dalai. Basile ha attraversato l’Italia per scoprire come i consumatori e le imprese hanno reagito alla crisi: gli uni, alla perdita del potere di acquisto, e le altre come abbiano risposto alla caduta delle vendite. Un’indagine che scava in profondità nel settore, carpisce gli umori dei protagonisti e svela l’azione rigeneratrice alla base dei nuovi piani di sfida ai mercati. Il premio, organizzato dall’Associazione culturale Ca dj’Amis, si è svolto al Salone internazionale del libro di Torino.
Awards Il Consolato Generale Britannico di Milano e l’agenzia governativa UK Trade & Investment sottolineano il successo degli investitori italiani nel Regno Unito. Nel settore alimentare si sono distinte l’azienda torinese, leader nel caffè, e l’impresa napoletana produttrice di frutta secca
La Gran Bretagna premia Lavazza e Besana Group Barbara Amati
L Vic Annells, Console generale a Milano e Direttore generale di Ukti Italia, e Michael Fallon, UK Minister of State for Business & Enterprise, premiano Luca Piccini, managing director di Lavazza Coffee Ltd in Uk, e Pino Calcagni, presidente di Besana Group
avazza e Besana Group sono state premiate con gli UK Italy Business Awards promossi dal Consolato Generale Britannico di Milano e da UK Trade & Investment (Ukti), l’agenzia governativa che aiuta ad affermarsi le imprese con sede nel Regno Unito e fornisce assistenza alle aziende estere che effettuano investimenti nel Paese. “Nel 2011-2012 l’Italia si è collocata al secondo posto tra i Paesi di origine degli investimenti, rappresentando il 7 per cento del totale dei progetti d’investimento nel Regno Unito”, ha reso noto Michael Fallon, UK Minister of State for Business & Enterprise, intervenuto alla cerimonia accanto a Massimo Tononi, presidente di Borsa Italiana, Christopher Prentice, ambasciatore di S.M. Britannica in Italia, e Vic Annells, Console generale a Milano e Direttore generale di Ukti Italia; all’evento era presente anche Elsa Fornero, ministro del Lavoro e delle Politiche sociali. Tra le dieci aziende premiate a Palazzo Mezzanotte, sede di Borsa Italiana, a Milano, si è distinta Prysmian Group, leader mondiale nel sistema dei cavi per l’energia e le telecomunicazioni, nominata Investor of the year. A Lavazza è stato assegnato il Brand Recognition Award: presente nel Regno Unito da oltre venti anni, si è affermata come simbolo del caffè espresso e dell’identità italiana, iniziando un’opera di catechesi per convincere gli inglesi della bontà del real coffee, il caffè tradizionale, in un mercato dominato dal caffè solubile “L’offerta di Lavazza, che all’inizio era limitata solo al caffè macinato per il consumo domestico e al caffè in grani per il fuori casa, si è arricchita con una serie di innovazioni -ha spiegato Luca Piccini, dal 2009
managing director di Lavazza Coffee Ltd in Uk- Dallo sviluppo del sistema a cialde, declinato nel fuori casa e nel consumo in casa grazie al lancio della macchina A modo mio, al concept dei coffee shop, i Lavazza Espression. La Gran Bretagna è uno dei mercati che presenta tassi di crescita più elevati, a 2 cifre negli ultimi 2-3 anni”. Lavazza è l’unico torrefattore italiano di riferimento sul mercato britannico, al secondo posto nel mercato retail (escluse naturalmente le private label), e primo nel segmento espresso. Nel 2011 ha siglato un accordo con Wimbledon e nei 60 punti vendita del complesso il caffè servito è Lavazza. Besana Group, tra le principali realtà mondiali nel settore frutta secca, frutta essiccata, semi e cioccolato, ha vinto il Long Term Investor Award: il Gruppo si sposterà in un’area strategica con un investimento di 5 milioni di sterline e un aumento delle risorse impiegate del 20 per cento. “Siamo presenti nel Regno Unito con una sede strategica fin dal 1989 e oggi produciamo Oltremanica il 60 per cento della nostra gamma -ha precisato Pino Calcagni, presidente dell’azienda di San Gennaro Vesuviano (Na)- Partner delle principali catene di distribuzione e dei principali produttori industriali, dall’89 ad oggi la nostra azienda in Gran Bretagna è cresciuta del 10 per cento all’anno, tanto che il giro di affari è di 60 milioni di sterline e rappresenta il 55 per cento del fatturato complessivo del Gruppo”. F&B Food&Beverage gennaio/febbraio 2013 | 21
foodvalley GEMELLAGGIO
INAUGURAZIONI
A Milano l’ateneo del gusto Quando il panino fa scuola Lo storico brand milanese Panino Giusto ha inaugurato nella capitale meneghina, in un ristrutturato ex deposito Atm vicino all’Università Bocconi, l’Accademia Panino Giusto. Un luogo che mira alla formazione di personale esperto nel mondo della ristorazione, ma non solo. Infatti, grazie al progetto La Fabbrica dei Sogni, accompagnerà i ragazzi in un percorso di autorealizzazione, con percorsi di carriera personalizzati. All’interno dell’Accademia, inoltre, uno spazio di 400 metri quadrati accoglierà mostre dedicate al mondo del food e la biblioteca conterrà oltre 2 mila volumi sul tema del panino.
Dal Ticino a Berlino con sapore
L
ambiente
Monini, extravergine eco friendly
L’
concorso
Cuochi in gara tra territorio e olio A Sanremo (Im), in occasione del Festival della canzone italiana, dal 12 al 16 febbraio il Gruppo Eventi e la società 30Nodi, con la Scuola di cucina Dolce&salato di Maddaloni (Ce) e il Premio Sirena d’Oro di Sorrento (Na), organizzano il primo concorso Festival della cucina italiana. Gli chef in gara si cimenteranno in una ricetta del loro territorio con l’aggiunta di oli Dop italiani. L’obiettivo è promuovere le tipicità regionali. Nella giuria, insieme alla stampa di settore, ci saranno il tristellato Enrico Cerea del ristorante Da Vittorio di Brusaporto (Bg) e Michele Del Leo, due stelle Michelin, del Palazzo Avino di Ravello (Sa) (www.gustomediterraneo.it).
22 | Food&Beverage gennaio/febbraio 2013
d’eccezione, piatti innovativi, vini prestigiosi e convivialità: queste le parole chiave di S.Pellegrino Sapori Ticino, l’evento che vedrà protagoniste due realtà emergenti della ristorazione europea: il Canton Ticino e Berlino. Il 26 e il 27 febbraio gli chef ticinesi Marco Ghioldi, Dario Ranza, Lorenzo Albrici, Egidio Iadonisi, Andrea Bertarini e Alessandro Fumagalli daranno prova del loro estro culinario nella capitale tedesca. Dal 7 aprile al 12 maggio, saranno, invece, 7 chef berlinesi a “impadronirsi” dei fornelli svizzeri. Il gemellaggio metterà in luce il lato gourmand di Berlino, oggi la città tedesca con il più alto numero di stelle Michelin -16 in 13 ristoranti- passando dallo street food all’alta cucina, grazie a chef come Micheal Kempf, Marco Müller, Christian Lohse e Hendrik Otto.
ocation
azienda Monini è la prima tra le grandi imprese del settore a garantire la produzione interamente sostenibile di olio extravergine di oliva. Lo ha stabilito la certificazione Environmental Product Declaration (Epd), la dichiarazione ambientale di prodotto che analizza l’intero ciclo di vita di un bene, rendendo pubblici tutti gli aspetti della lavorazione. Quattro i prodotti coinvolti: Classico, GranFruttato, Il Poggiolo e un olio dedicato al mercato estero. “Il possesso di una dichiarazione ambientale di prodotto deve essere recepito soprattutto come un incentivo per noi produttori -commenta Maria Flora Monini, direzione immagine, comunicazione e relazioni esterne- Ci permette di confrontarci in modo trasparente mettendo in rete informazioni rilevanti che possono servire a far crescere tutto il comparto”.
boutique
Kusmi Tea apre a Milano
K
usmi Tea, la maison de thé francese fondata in Russia nel 1867, ha inaugurato la sua prima boutique monomarca milanese in via Fiori Chiari, nel cuore di Brera, dopo il corner nella Food Hall al 7° piano di La Rinascente Duomo. Vi si trovano tutti i prodotti cult come i mélange di tè neri e di tè verdi oltre agli infusi, presentati nel tipico packaging a effetto di Kusmi: le boîte colorate e barocche, veri must have per i collezionisti. Il nuovo negozio è un piccolo scrigno che gioca con colori e arredi nel quartiere più artistico di Milano: la purezza del bianco e le trasparenze sono un perfetto canovaccio per far esprimere le vivaci boîte, in piacevole contrasto con il rosso istituzionale del brand nei pavimenti in legno canadese.
cuochi Una
12 mani per i nuovi stellati campani ha appagato i palati al ristorante Il Comandante del Romeo Hotel di Napoli, con la regia di Salvatore Bianco. Protagonisti Giuseppe Stanzione, Vincenzo Guarino, Luigi Tramontano, Pasquale Palamaro e Rosanna Marziale cena a
Campania felix e stellata Bibi Monti
C Il padrone di casa Salvatore Bianco, seduto a sinistra, insieme agli altri cuochi della serata. Sotto, alcuni dei piatti cucinati per l’occasione. A destra, la splendida vista sul porto di Napoli dal ristorante Il Comandante
on trentadue stellati ai fornelli, la Campania si conferma terra felix. Senza dubbio è una delle regioni più vivaci e interessanti d’Italia in fatto di cucina e gastronomia e la conferma viene dalla serata organizzata lo scorso 12 gennaio al Romeo Hotel di Napoli dal general manager Stefano Petrucelli. A cena con le stelle, recitava l’invito, e le aspettative non sono state tradite: innanzitutto per la location che è stata il ristorante Il Comandante al decimo piano dell’avveniristico hotel di design. Le stelle in questione erano ben sei, perché l’evento è stato pensato proprio per festeggiare i nuovi stellati Michelin, in testa Salvatore Bianco, il giovane executive chef de Il Comandante, poco più che trentenne, originario di Torre del Greco e con belle esperienze nazionali e internazionali. Con lui in cucina c’erano Rosanna Marziale de Le Colonne di Caserta, Pasquale Palamaro dell’Indaco di Ischia, Vincenzo Guarino dell’Angiolieri di Vico Equense, Luigi Tramontano de Il Flauto di Pan di Villa Cimbrone di Ravello e Giuseppe Stanzione de Le Trabe di Paestum. Insieme hanno ideato un menu di sei portate che è stato un viaggio nei sapori della Campania, tra piatti di tradizione e creazioni più innovative. Il mare è stato protagonista, ma non sono mancate suggestioni di terra e ingredienti simbolo della regione come la mozzarella, di cui si è fatta ambasciatrice la Marziale, unica donna del gruppo e interprete sublime del proprio territorio, il casertano. Eccolo, dunque, il menu della serata: Ostrica con cru di cacao e lardo di Colonnata (Salvatore Bianco), Frittella di murena su torzella stufata e maionese di limone in cartoccio (Pasquale Palamaro), Tortello
con cuore di ricciola, broccolo, provola in salsa buiabes (Vincenzo Guarino), Cernia all’olio con pesto di lattuga di mare, salsa di olive taggiasche e patate allo zafferano (Luigi Tramontano), Vitellone con mozzarella di bufala campana Dop (Rosanna Marziale), Come occhio di bue sale e pepe (Salvatore Bianco) e Semplicemente ricotta e pera (Giuseppe Stanzione). Ad accompagnare queste creazioni i vini di tre aziende campane: Marisa Cuomo, Alepa e Joaquin, tre espressioni diverse del territorio. L’apertura è stata affidata al Fiorduva Furore Bianco 2010 di Marisa Cuomo, emblema della viticoltura eroica della costa d’Amalfi; si è proseguito con il Riccio Bianco 2010, il buon pallagrello di Alepa, che ha presentato anche il Rosso Palenio annata 2007, e con il Vino della Stella F&B 2009, il Fiano di Avellino Docg di Joaquin.
foodvalley pasticceria
olio
Le delizie al pistacchio di Vicente Delicacies
Dalla Francia Isio 4 per condire con leggerezza
Alle pendici dell’Etna, a Bronte (Ct), patria del pistacchio verde Dop, Vicente Delicacies produce una linea di pasticceria finissima che esalta i profumi e gli aromi autentici della Sicilia. Dalle Paste di mandorle classiche al pistacchio o agli agrumi al Croccante Matador, nelle varianti al pistacchio, alle mandorle e alle nocciole di Sicilia; dai torroncini Glamour, morbidi e ricoperti con diversi tipi di cioccolato alla Crema spalmabile artigianale al pistacchio di Sicilia. Tutti prodotti di elevata arte dolciaria con il valore aggiunto delle materie prime del territorio di alta qualità.
Non esiste una bacchetta magica capace di far perdere peso senza fare qualche sforzo se si ha esagerato a tavola, ma eliminando alcuni alimenti e assumendone altri, l’impresa può essere meno dura. Le regole sono semplici: pochi grassi, evitare i dolci e fare un po’ di movimento. Un ulteriore aiuto può derivare dall’utilizzo di oli leggeri e salutari come Isio 4 dell’azienda francese Lesieur, che nasce da una combinazione di quattro oli vegetali complementari ed è ricco di nutrimenti come gli omega 3, omega 6, vitamina E e D. La gamma di oli Lesieur è composta da Isio 4, un blend di girasole, colza e vinaccioli, Isio 4 con extravergine di oliva e Oleisol, un olio di girasole ricco di acido oleico.
P
ACQUA
Prestige, San Benedetto per la ristorazione
S
an Benedetto, iconico marchio con la rondine, amplia la gamma dedicata alla ristorazione con la linea Prestige 75 centilitri, rinnovandone il design. Le nuove bottiglie, essenziali e moderne, vantano un’etichetta con un’inedita “finestra a vista” e l’aggiunta della bandiera tricolore, a testimonianza della qualità e del significato di un prodotto tutto italiano. La trasparenza del vetro, arricchito dall’incisione in rilievo, esalta la purezza dell’acqua minerale. A distinguere i tre gusti delle diverse acque di Prestige è il colore che differenzia con il rosa la naturale, con il blu la frizzante e con il verde la leggermente frizzante. Acqua Minerale San Benedetto produce 17 milioni di pezzi al giorno e ha un fatturato di 710 milioni di euro.
PESCE
La passione di Sadler per il salmone
I
l salmone selvaggio dell’Alaska, sinonimo di naturalità, qualità ed ecosostenibilità, nelle sue diverse varianti, sta conquistando gli chef stellati, che sempre di più lo propongono nei loro piatti, come il bistellato milanese Claudio Sadler, patron del ristorante gourmet Sadler e della trattoria moderna Chic’n Quick. Ma il mercato ittico dell’Alaska non offre solo il salmone. Altrettanto buoni e amati dai cuochi, ci sono i molluschi e i crostacei, dal granchio reale alla granceola artica, dai gamberi alle vongole, dai ricci di mare alle ostriche. E, perfetto per menu delicati e gustosi, il pesce bianco, come il pollock, il merluzzo del Pacifico, il carbonaro, l’halibut, la limanda e il pesce pietra.
24 | Food&Beverage gennaio/febbraio 2013
ARTE
L’arte in cucina con l’accademia di Brera
N
icola Salvatore, professore all’Accademia di belle arti di Brera a Milano, dal 1995 porta avanti un particolare progetto didattico dedicato agli studenti del suo corso: Trattoria da Salvatore. Lo scopo dell’iniziativa è indagare il connubio tra arte e cibo. All’interno di Trattoria da Salvatore, quest’anno c’è il progetto In q... alla pentola. Il cuoco che non c’è, per il quale gli studenti realizzeranno delle opere utilizzando come “modelli” alcuni degli chef più famosi del panorama italiano. Gli allievi faranno dei ritratti dipinti o applicati sul fondo esterno di pentole. In primavera, nell’ex chiesa di San Carpoforo a Milano ci sarà una mostra dedicata proprio a queste opere.
chef
La frutta secca favorisce la creatività U
n ingrediente buono e salutare sta diventando un must nei piatti dei ristoranti: la frutta secca. Un alimento che piace perché rappresenta un universo di sapori variegato che coniuga benessere e gusto. Per avvicinare i consumatori alle virtù della frutta secca, l’azienda leader nel settore Madi Ventura da tre anni organizza La mia frutta secca. Ventura Top Chef, appuntamento gastronomico in collaborazione con la Scuola internazionale di cucina Alma. Grazie a questa golosa iniziativa, oltre 30 chef Alma hanno inserito nei loro menu alcune ricette gourmand che interpretano al meglio il gusto e la qualità della frutta secca. Piatti d’autore, in perfetto equilibrio tra creatività e giusto apporto nutritivo come la Zucca con nocciola e caffè di Antonia Klugmann del ristorante L’Argine di Dolegna del Collio (Go), i dolcissimi 5 minuti di Pietro Leemann del Joia di Milano il Croccante di nocciole di Davide Brovelli del Sole di Ranco (Va), il Rocher di fiordilatte ai frutti secchi e insalate liquide di Antonino Cannavacciuolo del Villa Crespi di Orta San Giulio (No) e la Crema di mandorle e datteri con insalata di pistacchi e anguria e gelato alle vongole di Alfio Ghezzi della Locanda Margon di Trento. Per la realizzazione dei piatti i cuochi Alma hanno a disposizione la vasta gamma di prodotti Madi Ventura: dai pinoli alle noci, dalle mandorle alle arachidi, fino ai frutti rossi essiccati, un nuovo mix di fragole, mirtilli neri, lamponi essiccati. Ma non solo. L’estro culinario dei maestri ha un nuovo alleato in cucina: la linea Ventura BBmix speciale insalate, calibrata per garantire un equilibrato apporto di calorie e per creare fantasiosi accostamenti di sapori. Chicca in più: chi sceglierà di assaggiare questi piatti d’autore avrà in omaggio una litografia in edizione limitata di Quasi dolce per Ventura, l’opera che il pittore Concetto Pozzati ha realizzato per l’occasione.
Versatile, gustosa e salutare la frutta secca è ideale per piatti innovativi come 5 minuti di Pietro Leemann, a sinistra, il Rocher di fiordilatte ai frutti secchi e insalate liquide di Antonio Cannavacciuolo e il croccante di nocciole di Davide Brovelli. In alto i nuovi prodotti di Madi Ventura
SANTADI C A N T I N A
LODGE&SPA alto adige
Al Sonnalp per una cucina gourmet N
el 2012 l’Hotel Sonnalp, quattro stelle superiore, nell’incantevole Val d’Ega, con i suoi “due cappelli” si è riconfermato parte dell’élite gastronomica dell’Alto Adige. Il riconoscimento, già attribuitogli nel 2011 dalla guida Gault Millau, altro non è che la convalida del ristorante Gourmetstube e della cucina alpina e mediterranea interpretata in maniera creativa dallo chef Martin Köhl. Garzie all’atmosfera tradizionale della stube e al maestoso panorama sul massiccio del Latemar, il tutto si trasforma in una coinvolgente esperienza di “pura vita montana”. La Sonnalp Spa di 600 metri quadrati offre sauna finlandese, sauna bio, bagno turco e bagno aroma. La beauty dell’hotel propone trattamenti speciali e tradizionali tra cui bagni di fieno sudtirolese, orchidee e cioccolata. Massaggi ayurvedici e hawaiani per un relax totale.
venezia
Tracontemporenea al Met Restaurant
I
dea sicuramente originale quella del Met Restaurant dell’hotel Metropole di Venezia che con lo chef Luca Veritti lancia Tracontemporanea, un nuovo concept di cucina che fonde due filosofie: quella che ha fatto la storia della gastronomia italiana e quella della contemporaneità, con cui gli stessi piatti vengono elaborati e riproposti in maniera creativa. Così, il menu elenca portate dalla doppia identità: nello stesso piatto, fianco a fianco, la versione tradizionale e quella moderna. Imprescindibile la qualità delle materie prime: il pesce viene da Rialto, l’agnello da Alpago, le verdure nientemeno che dall’isola di Sant’Erasmo.
firenze
La carbonara rivisitata del Brunelleschi
I
n una piazzetta nel centro storico fiorentino, l’Hotel Brunelleschi emana un fascino particolare: l’albergo ha sede, infatti, in una torre bizantina del VI secolo che domina il Duomo. Una ragione in più per soggiornare al Brunelleschi è il menu dello chef Simone Bertaccini del ristorante Santa Elisabetta: una cucina prettamente toscana, anche se il suo piatto signature, toscano non è. Si tratta di una carbonara rivisitata: non spaghetti, ma tagliolini impastati con pecorino e pepe; l’uovo appare sopra, grattugiato e disidratato. Tra i secondi, carne e pesce: dal Petto d’anatra laccato con birra Moretti Grand cru e contorno di patate e scalogni glassati, allo Scorfano in brodo di cacciucco, molluschi e sfoglie di pane. Un altro piatto sfizioso è il gelato salato, anche in versione finocchio, servito con Trancetto di tonno alla soya e sesamo, con crema di patate e mandorle.
filippine
malta
Design etnico al Fairmont Makati
La cucina mediterranea dello Xara Palace
Fairmont Hotels & Resorts continua la sua espansione nell’area del Pacifico con il Fairmont Makati, nelle Filippine. Situato a Makati, il distretto degli affari e del divertimento, il nuovo Fairmont ha 280 camere deluxe e suite, ognuna con vista mozzafiato sulla città. L’architettura moderna unisce lo stile Fairmont Hotel al design filippino, ricco di richiami locali nell’utilizzo dei materiali. Ampia la scelta di ristoranti: Spectrum propone cucina internazionale; Café Macaron delizia con dolci e pasticcini; Lounge at Fairmont è l’ideale per l’afternoon tea o piccoli snack. Non manca un ampio spazio per una pausa di benessere alla Willow Stream Spa.
26 | Food&Beverage gennaio/febbraio 2013
Lo Xara Palace Relais & Château di Malta e il suo Ristorante de Mondion hanno ricevuto il premio Best Dining Boutique Hotel 2012. A essere vincente è stato l’estro dell’executive chef Kevin Bonello che reinventa in chiave contemporanea piatti della tradizione mediterranea. Esclusivo boutique hotel 5 stelle di Mdina, lo Xara Palace è protetto da mura di cinta e circondato dalle bellezze dell’architettura barocca. Conta 17 tra camere e suite e una clientela internazionale. È stato incluso da Fox News nella lista dei 10 migliori hotel al mondo ospitati in castelli.
germania
Waldorf inaugura a Berlino
L
o storico brand di lusso Waldorf Astoria Hotels & Resorts ha inaugurato nella capitale tedesca il Waldorf Astoria Berlin. Dotato di 232 camere e suite di lusso distribuite su 32 piani, l’hotel si trova all’interno del nuovo grattacielo Zoofenster, progettato da Christoph Mäckler. Il design degli interni è stato ideato dall’agenzia parigina Inter Art Etudes, in un’interpretazione attuale di art déco. Ma Waldorf Astoria Berlin stupisce anche per l’ampia offerta enogastronomica dove il fiore all’occhiello è il ristorante Les Solistes by Pierre Gagnaire del famoso chef stellato. E per chi ama rilassarsi, c’è la spa gestita dalla maison francese Guerlain che, in esclusiva per l’hotel, propone la gamma di trattamenti Beauty revelation per viso e corpo.
alto adige
Al Gassenhof, per un benessere totale
I
n Val Ridanna, tra le Alpi dello Stubai, l’Hotel Spa & Benessere Gassenhof è un quattro stelle simbolo della vera tradizione altoatesina; non per niente, nel 2012 è stato nominato per la seconda volta Top Hotel da Holiday Check Awards. Nel suo ristorante, delizie tipiche locali, tra le quali degustazione di formaggi e prodotti “fatti in casa”; da provare il Rahmmuas, antico piatto a base di panna e farina, amalgamate fino a farle diventare brune, con l’aggiunta di semi di papavero, cannella, zucchero, scorzette di arancia o limone. Nella cantina, 400 vini di pregio provenienti da tutto il mondo. Ma si può anche provare il menu gourmet nel Gratznhäusl, tipico maso ristrutturato come una casa contadina del XVI secolo.
svizzera
Megu, cucina nipponica e lusso alpino
I
l celebrato ristorante giapponese Megu ha aperto il suo primo avamposto europeo in Svizzera, nell’area di Oberbot, al The Alpina Gstaad, il nuovo luxury hotel di Gstaad. Megu (“benedizione” in giapponese) rappresenta la perfetta fusione tra tradizione e modernità che si riflette nella cucina e nel design architettonico, curato da Noé Duchaufour-Lawrance. Ma non solo, perché la cucina di Megu combina le tradizionali influenze orientali a quelle svizzere, con l’introduzione di specialità locali come il caviale Oscietra e il formaggio Belperknolle accanto a piatti giapponesi come il Chawanmushi e lo Shabu Shabu. In cucina c’è un team di chef che hanno fatto esperienze in alcuni dei migliori ristoranti giapponesi del mondo, sotto la guida del capo sushi Tsutoma Kugota, arrivato dal Nobu Matsuhisa di Atene.
austria
Terme di Loipersdorf coccole e cioccolato In Stiria, poco oltre il confine austriaco, le Terme di Loipersdorf sono un angolo di paradiso che unisce divertimento e piacere, con momenti di assoluto relax. Da una parte, Le Terme da Vivere, con gli scivoli e il parco acquatico, aperti anche d’inverno; dall’altra, Il mio Schaffelbad, con trattamenti naturali e massaggi orientali. L’hotel Garni Villa Thermale propone deliziose offerte gastronomiche come gli spiedini di frutta e cioccolato Zotter. Ma il cioccolato si può gustare direttamente alla fontana presente nel ristorante delle terme, o nella fabbrica Zotter per la quale sono organizzati dei tour che permettono di seguire il viaggio dal chicco di cacao alla barretta di cioccolato.
stati uniti
New York, la città più visitata d’America Sono 52 milioni i visitatori che nel 2012 si sono recati a New York. Un numero che mette la Grande Mela al primo posto tra le località più visitate degli Stati Uniti. L’incremento sul 2011 è stato del 2,1 per cento, quando i viaggiatori furono 41 milioni. Secondo le stime, il turismo ha generato l’anno scorso un impatto economico di oltre 55 miliardi di dollari, accogliendo il 33 per cento dei visitatori internazionali giunti negli Usa. Afferma il sindaco Michael Bloomberg: “Il nostro obiettivo è arrivare a 55 milioni di turisti all’anno con un indotto economico di 70 miliardi di dollari entro il 2015”. Questi numeri sono anche frutto di una efficace promozione nei Paesi emergenti come Brasile, Cina e Argentina.
Food&Beverage gennaio/febbraio 2013 | 27
Businessnews gruppo cremonini
Roadhouse apre in Centrale a Milano A
ll’interno della Stazione Centrale di Milano il Gruppo Cremonini ha recentemente inaugurato il primo ristorante Roadhouse Grill del centro città e il sedicesimo in Lombardia. La catena di steakhouse propone carni alla griglia in un ambiente informale e con servizio al tavolo. Il nuovo locale della capitale meneghina, con i suoi 130 posti a sedere, dovrebbe arrivare a 100 mila pasti all’anno, per un fatturato di 1,8 milioni di euro. La formula, infatti, è vincente grazie anche a un servizio sette giorni su sette dalle 12 alle 23 e uno scontrino medio tra 17 e 19 euro a persona. Tra i nuovi business del Gruppo alla Stazione Centrale anche il bar Mokà e il ristorante a marchio Rosso Pomodoro, in sub concessione, che sarà inaugurato a breve. Inoltre, Cremonini è presente anche con Bianco&Nero, un format di ciocco-gelateria. Attualmente sono 38 i Roadhouse Grill in Italia, con 900 dipendenti, e nei prossimi mesi sono previste altre tre aperture; nel 2012 questo brand della ristorazione commerciale ha raggiunto un fatturato di 50 milioni di euro, in crescita del 15% rispetto all’anno precedente.
BILANCI
Cresce a doppia cifra Cantina di Soave
C
antina di Soave (Vr) ha chiuso il 2012 con un fatturato consolidato di 107 milioni di euro, in crescita del 20% rispetto allo scorso anno, percentuale che in termini di valore è pari a oltre 18 milioni di euro. Quest’anno ha raggiunto il livello record di remunerazione delle uve con quasi 54 milioni di euro, pari a un +22% rispetto al 2012. La remuneratività per ettaro, quindi, passa da 8 mila a 10 mila euro. In tema di capitalizzazione aziendale il patrimonio netto è di 49 milioni e 800 mila euro, con un cash flow di 7 milioni e 749 mila euro e un utile di esercizio di 1 milione 369 mila euro. Il giro d’affari legato al mercato domestico incide per il 56% sul totale del fatturato, a fronte di un 44% derivante dai mercati esteri. Nella foto, da destra, il presidente Attilio Carlesso e il direttore generale Bruno Trentini.
oli
investimenti
Frantoi Redoro qualità ed energia pulita
Progetti ambiziosi per Veronafiere
Una crescita del 12 per cento nel 2011 e a doppia cifra nel 2012, con un fatturato che ha raggiunto gli 8 milioni di euro. Questi sono i numeri dell’azienda della famiglia Salvagno che produce oli provenienti solo da olive italiane. Dall’export proviene il 40 per cento dei ricavi, con mercati consolidati come Giappone, Stati Uniti e Nord Europa. Frantoi Redoro conta su una produzione annua di 25 mila quintali di olive. La spremitura a freddo, la produzione virtuosa e l’utilizzo di energia pulita, ne fanno un’azienda di riferimento per l’olio extravergine di oliva Veneto Valpolicella Dop.
Ricavi per 80 milioni di euro e un Ebitda al 12,9% per Veronafiere che ha chiuso il 2012 registrando un aumento del fondo di dotazione di 15 milioni di euro e l’approvazione dell’aggiornamento del piano industriale 2012-2016. L’obiettivo è di superare i 100 milioni di euro di fatturato e di investimenti programmati per 40 milioni di euro, grazie al presidio dei mercati, all’innovazione dei prodotti, al potenziamento delle infrastrutture e alla crescita sul fronte internazionale. Un programma ambizioso ma possibile, dati i numeri del 2012 durante il quale il totale delle manifestazioni ha visto un +7% dei visitatori e un +8% degli espositori.
28 | Food&Beverage gennaio/febbraio 2013
liquori
Bacardi acquisisce St-Germain
B
acardi Limited, il maggior produttore privato di alcolici del mondo, ha acquisito St-Germain, liquore al sambuco super-premium. Bacardi, fondata a Santiago di Cuba oltre 150 anni fa, produce i suoi distillati in 27 stabilimenti situati in 16 mercati in quattro continenti. Il liquore francese StGermain, creato da Robert Cooper, è uno dei marchi del settore in maggior crescita negli Stati Uniti. Realizzato in modo completamente naturale e artigianale unicamente con fiori di sambuco freschi che fioriscono in Europa in tarda primavera, ha sapore di frutti tropicali, pera, agrumi e una nota di caprifoglio. Quasi in concomitanza con l’acquisizione di St-Germain, inoltre, Bacardi Limited ha nominato Eric A. Kraus vicepresidente senior e direttore della divisione Comunicazioni e affari aziendali.
contatti
Autogrill tratta per l’acquisto di Ssp
U
n vecchio sogno di Autogrill potrebbe trasformarsi in realtà. Nel 2006, infatti, la società della famiglia Benetton partecipò senza successo a un’asta indetta da Compass Group per l’acquisizione della britannica Select Service Partners, Ssp, colosso della ristorazione presente nei maggiori aeroporti del mondo. All’epoca ad aggiudicarsi l’asta fu il fondo di private equity svedese Eqt, che fa capo alla famiglia Wallenberg, con 1,82 miliardi di sterline. Oggi la crisi del settore ristorazione, e di conseguenza di Ssp, che non riesce a far fronte al pesante indebitamento, rende difficile a Eqt incassare gli utili. Il private equity svedese, quindi, avrebbe contattato la famiglia Benetton per offrirgli di rilevare Ssp. Una trattativa ancora in fase preliminare ma dalle prospettive vantaggiose per il Gruppo italiano.
fatturati
Per Gruppo Cevico +23%
I
l bilancio 2011-2012 del Gruppo Cevico ha riportato numeri decisamente importanti: +23% di fatturato, con un incremento dell’export del 41%. Il Gruppo associa 4.500 famiglie di viticoltori e 9 grandi cooperative, complessivamente vanta un vigneto di 6.600 ettari che si estende dalle colline romagnole fino al delta del Po, per l’80% Doc e Igt. Il patrimonio netto del Gruppo è di circa 64 milioni di euro, con un fatturato consolidato di quasi 126 milioni di euro, e il valore dell’export si è assestato su quasi 10 milioni di euro. Gruppo Cevico, con 1,3 milioni di quintali di uva lavorata, rappresenta il 30% della produzione in Romagna, il 17% in Emilia Romagna e il 2,5% in Italia. Nella foto, la presidente di Cevico Ruenza Santandrea.
acquisizioni
Nasce in Francia Granarolo International Granarolo, il maggior Gruppo agro-industriale e principale operatore italiano nel lattiero-caseario, ha acquisito il 100% del capitale sociale della holding francese Compagnie du Forum Sas, garantendosi così il controllo di Cipf Codipal e dando vita a Granarolo International. Con un fatturato di 105 milioni di euro nel 2012, il gruppo Cipf Codipal è uno dei maggiori operatori francesi nella produzione e distribuzione di formaggi freschi e stagionati. Un ulteriore passo verso l’internazionalizzazione per Granarolo il cui fatturato nel segmento formaggi si stima supererà i 400 milioni di euro, grazie alle attività che fanno capo a Cipf Codipal che possono generare anche un fatturato di oltre 100 milioni di euro l’anno.
distribuzione
Per Italia Formaggi successo in Inghilterra Dall’unione di Dalter e Gennari è nata un anno fa Italia Formaggi, società con sede a Devon (Uk), specializzata nell’importazione sul mercato inglese di alcune eccellenze casearie italiane. E, dopo solo 12 mesi, i risultati raggiunti sono notevoli con 35 referenze importate per un totale di 16 mila colli consegnati ogni settimana e un giro d’affari pari a 20 milioni di euro. Il servizio flessibile e dinamico, e la qualità tipica del made in Italy sono elementi fondamentali della veloce crescita di Italia Formaggi, che tra i principali clienti ha alcune delle maggiori catene della Grande distribuzione come Sainsbury’s, Morrisons e Waitrose. E, per il 2013, Italia Formaggi ha in progettazione una nuova gamma di formaggi da utilizzare in cucina.
Food&Beverage gennaio/febbraio 2013 | 29
ILmondoINpentolA
Léveillé, l’altra stella di Hong Kong Hong Kong. Philippe Léveillé ha fatto un passo che di questi tempi immaginano molti cuochi in cerca di una risposta alla crisi perdurante. Nel settembre scorso ha, infatti, inaugurato, insieme alla moglie Daniela Piscini, a Hong Kong (dove già si trova l’unico ristoratore italiano con tre stelle Michelin all’estero, l’8 ½ Otto e Mezzo di Umberto Bombana) la sua seconda creatura, nonostante l’impegno al Miramonti l’altro di Concesio (Bs). Il nuovo ristorante si chiama semplicemente L’Altro, si trova al 10/F di L. Place, 139 Queen’s Road Central e ha già attirato l’attenzione della stampa, della clientela locale e della Michelin che gli ha attribuito una stella, che si aggiunge alle altre sue due. Anche se, a essere pignoli, Philippe è bretone nell’anima -guai a chiamarlo francese- e la sua cucina ha più legami con quella d’Oltralpe che con il Belpaese, ma è la riprova che diversificare e guardare oltre il proprio orto può aiutare a superare il momento critico. (g.s.)
Estate newyorchese per Shaun Hergatt New York. Il giorno di apertura non è stato ancora stabilito, ma è probabile che il mese, destinato a vedere la nascita del nuovo ristorante/caffetteria di Shaun Hergatt a New York, sia giugno, visto che il locale, al 12 East della 31 esima strada, si chiama proprio Juni. È l’ultima avventura più easy e certamente trendy di uno dei protagonisti della cucina della Grande Mela. Soprattutto se si parla di mettere in scena un certo stile fusion dei piatti. D’altro canto Shaun Hergatt, che lo scorso anno ha fatto una capatina in Europa, ospite del festival di Vila Joya in Algarve, si è guadagnato ben due stelle Michelin al suo ristorante Sho, lasciato lo scorso agosto. C’è da scommettere che la sua clientela raffinata e upper class sarà la prima a muoversi in direzione del Juni, magari solo per un buon caffè o per un aperitivo, visto che il locale sarà aperto dalla mattina, per le colazioni, fino al dopocena. (g.s.)
30 | Food&Beverage gennaio/febbraio 2013
Simioli in cima all’Olimpo Roma. Ultimissime da L’Olimpo, il roof restaurant più alto del centro storico della capitale, da dove, una volta arrivati in cima, con una mano si può toccare il cielo e con l’altra gustare un Gamberone con cachaça, avocado e pepe di Szechuan, ed entrare in paradiso. La proprietà dell’Hotel Bernini Bristol, uno dei più antichi alberghi romani ha, infatti, dato inizio alla revolution con un solo obiettivo: alta gastronomia gustosa e anche mondana, perfetta per la movida gastronomica romana e internazionale. Per questo la cucina è affidata a Michele Simioli, cuoco di grande esperienza, rientrato a Roma dopo un giro nelle cucine del mondo arabo e di New York. (j. b.)
Il “pometo”di Morelli all’ombra del souk Marrakech. Il Pomiroeu (in dialetto lombardo pometo), storico ristorante di Seregno (MB), da dieci anni sapientemente gestito da Giancarlo Morelli approda anche al lussuoso Delano Marrakech. Morelli ha alle spalle una prestigiosa carriera di livello internazionale e ha saputo negli anni emozionare con piatti della tradizione lombarda, semplici ma di grande effetto, come il Riso Carnaroli ai pistilli di zafferano con midollo e riduzione al vino rosso. La sua cucina gli è valsa già molti riconoscimenti e una stella Michelin. La nuova apertura in Marocco lo vede protagonista in uno degli alberghi più sfarzosi al mondo, il Delano, con 71 camere boutique, spa, piscine e negozi. Al Pomiroeu di Marrakech Morelli porterà un tocco di glamour italiano, utilizzando le migliori materie prime nostrane rimaneggiate secondo la sua immaginazione e il suo estro creativo.
De Jong, chiude e riapre Rotterdam. Il giovanissimo cuoco olandese Jim De Jong a gennaio si è spostato di qualche centinaio di metri. Ha chiuso i battenti il suo De Jonge De Jong (il giovane De Jong) e ha inaugurato, al 38 di Raampoortstraat, sempre a Rotterdam, il nuovo e accogliente restaurant De Jong. La cucina, come è accaduto nel recente passato del cuoco, guarda in molte direzioni, gode della freschezza di uno stile spigliato e cosmopolita e intreccia sensazionalismi alla Jamie Oliver e concretezze da reminescenze francesi, con un’attenzione particolare verso le delizie del mare e le esigenze della clientela vegetariana. Un buon indirizzo dall’altra parte del fiume, in una città che sta crescendo rapidamente nel numero di indirizzi gourmand da tenere d’occhio. (g.s.)
Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale: l’Europa investe nelle zone rurali
Iniziativa finanziata dal Programma di Sviluppo Rurale per il Veneto 2007 - 2013 Organismo responsabile dell’informazione: Consorzio per la Tutela dei Vini Valpolicella Autorità di gestione: Regione del Veneto - Direzione Piani e Programmi del Settore Primario
Servizio fotografico Š Alex Peroli
andrea mainardi Ai fornelli si lascia trasportare dalle sensazioni, dall’istinto, dalla passione pura e da una gioiosa follia che gli permette di osare, avendo alle spalle esperienze professionali con grandi cuochi. La sua Officina Cucina, a Brescia, è un ristorante unico, con un solo tavolo in un ambiente raccolto con cucina a vista: un vero e proprio laboratorio di idee e uno stile di vita
Un geniale folletto Gualtiero Spotti
M Andrea Mainardi e il suo profilo nella sua Officina Cucina, a Brescia, dove la pittura su parete è parte dell’ arredamento: “È un po’ come raccontare la propria storia su un muro, rendendola sempre presente”, dice lo chef, instancabile sperimentatore come nel suggestivo Ghiacciolo di ostrica, limone e liquirizia che rappresenta al meglio la filosofia della sua cucina
ichellemainardiofficinacucina .
Detto così, tutto d’un fiato, quasi come fosse un’unica parola, esattamente come fa il papà Andrea Mainardi quando si presenta. Michelle, quattro anni e mezzo, suggella così, con l’innocenza e lo spirito di emulazione tipico di un bambino, il forte legame col padre, cuoco di origini bergamasche, che accompagna spesso per fiere ed eventi gastronomici occupando ogni minuto della sua libertà al di fuori dei molteplici impegni lavorativi. “Con una complicità talmente forte -rivela Andrea- che è lei la mia critica più feroce quando preparo un piatto. Michelle ha a casa una piccola cucina professionale con induzione reale dove, a basse temperature chiaramente, si diverte insieme a me a stupire i commensali, che di solito sono delle bambole! Ospiti con i quali per fortuna non si rischia di fare brutta figura, anche se, a parte gli scherzi, è sempre lei la prima ad assaggiare le mie creazioni e il suo palato fresco e sincero non tradisce mai: da Michelle ho tutte le risposte che mi servono”. Andrea Mainardi certo non nasconde la sua felicità quando parla della figlia, ma è raggiante, e ne ha ben motivo, anche se si parla della sua frenetica attività di cuciniere, che negli ultimi tempi ha conosciuto degli sviluppi decisamente originali. Si va dalla fortunatissima presenza alla trasmissione televisiva La Prova del Cuoco, condotta da Antonella Clerici e capace di offrirgli una popolarità mediatica nazionale inaspettata (la sua partecipazione continuerà almeno fino a fine maggio), all’apertura di ristoranti negli Stati Uniti, dalla creazione e promozione di elettrodomestici per la cucina, al ruolo piuttosto inconsueto di cantante da discoteca. Ma non c’è da stupirsi che tutte queste cose insieme possano coesistere, perché quando lo si conosce e quando lo si osserva da vicino con il suo look da punk d’avanguardia, con l’istintiva energia e l’allegria strabordanti e presenti in ogni momento, si vede un folletto pazzo che è quanto di più lontano ci può essere dall’immagine del cuoco classico, quello
serio e compassato che impartisce ordini alla brigata. Oppure di quello critico e sprezzante, come accade di incontrarne ormai spesso in alcuni dei food reality (sembra questa l’espressione più adatta per certi show televisivi) che impazzano di questi tempi sul piccolo schermo. Forse molti colleghi con un pizzico d’invidia per i recenti successi lo vedrebbero più facilmente a dimenarsi su un cubo in discoteca, piuttosto che a proporre deliziosi piatti lavorando dietro ai fornelli. Invece Andrea è tutt’altro che uno sprovveduto o un cuoco improvvisato senza un passato da mettere sul tavolo
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Andrea mainardi
La Pernice alla cacciatora (con la freccia a indicare che si tratta di cacciagione) e la sala con il tavolo in primo piano e l’angolo ludico, con schermo tv, dvd, joystick e giochi elettronici
Il Salmì concentrato di fagiano (che richiede 10 giorni di marinatura), con contorno di arachidi tostate e aceto balsamico, è tra i piatti più apprezzati
e un talento da dimostrare. La sua storia Mainardi l’ha costruita negli anni con un percorso nel solco della classicità e la trafila da bravo apprendista. Prima frequentando la scuola alberghiera di San Pellegrino, in provincia di Bergamo, e poi approdando nei ristoranti che contano, con l’aiuto di cuochi come Corrado Fasolato (ai tempi della Siriola) e Paolo Frosio, e perfino da Gualtiero Marchesi a L’Albereta, quando a dettare i ritmi della cucina era un certo Andrea Berton. Che ancora oggi ricorda con piacere: “Forse è proprio Berton il cuoco con il quale ho legato di più -dice Andrea con convinzione- soprattutto per la sua impostazione mentale e professionale”. Qui, nelle grandi cucine, e lungo la strada percorsa, Mainardi ha masticato le diverse tecniche di cottura, ha conosciuto il rigore e la disciplina, ha, in poche parole, “studiato” da vicino la materia. E in qualche modo ha tenuto a freno per un po’ di tempo la sua anima ribelle di instancabile sperimentatore. Almeno fino al 2007, quando si è presentata l’opportunità, nel quartiere di San Zeno a Brescia, e in quello che originariamente era un mini appartamento all’ultimo piano all’interno di uno stabile (che tra l’altro ospita al pianterreno il ristorante I Monaci sotto le stelle), di aprire la
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prima versione di Officina Cucina. Un ristorante assolutamente unico, con un solo tavolo (ospiti variabili dai 2 ai 10), e un vero e proprio laboratorio di idee, con la nascita di un marchio o, come dice Andrea, di uno stile di vita. Un ristorante che è poi diventato più compiutamente, nella seconda inaugurazione del marzo 2010, “il” ristorante di Mainardi per come lui lo ha sempre immaginato. Situato ancora una volta in un’ala diversa della mansarda dello stabile, ma ora più accogliente, con un ambiente costruito ad hoc e più adatto a rappresentare la personalità un po’ bizzarra ed egocentrica del cuoco. Quindi ecco arrivare la cucina a vista, il dialogo continuo con gli ospiti del tavolo per soddisfare ogni curiosità, una cantina costruita sul pairing con i piatti e il continuo gioco dei colori che ricorre nelle preparazioni così come nella scelta dell’oggettistica che anima la sala del ristorante. Con un po’ di spirito di osservazione, l’ospite scopre che ogni elemento presente all’interno di Officina Cucina è in qualche modo da ricondurre alla storia del cuoco o del ristorante stesso. Si va dal grande e incombente profilo di Mainardi dipinto su una parete ai libri di cucina del suo background professionale, fino ai due grandi orologi colorati che porta sempre ai polsi, immortalati anch’essi su una parete. “Un’idea che mi è venuta, quella di raccontarmi in questo modo nel ristorante -spiega Andrea- quando ho
conosciuto due ragazze di Brescia proprietarie di un negozio chiamato Pistacchio e Caffè. Mi è piaciuto immediatamente l’utilizzo che loro hanno pensato di fare della pittura su parete come arredamento d’interni. Per me questo è un po’ come raccontare la propria storia su un muro, renderla sempre presente. E poi sono io, con i miei eccessi, con il mio stile, la mia verve”. E perfino la scelta di approntare un menu unico (Officina Cucina funziona su prenotazione e, in realtà, non esiste un magazzino) rivela quale sia la filosofia della casa. Qui si mangia ciò che sceglie Andrea e sono in tutto una decina di portate che passano attraverso giochi di consistenze, l’abbinamento dolce/salato e i contrasti di temperature, in un percorso sempre in crescendo, che parte dalla portata più delicata e arriva a quella più impegnativa sotto il profilo gustativo. Alcuni dei piatti che vanno per la maggiore di questi tempi sono il Ghiacciolo di ostrica, limone e liquirizia, la Pernice alla cacciatora (con cipolla) e il Salmì concentrato di fagiano (che richiede 10 giorni di marinatura), con contorno di arachidi tostate e aceto balsamico. Ma è soprattutto il ghiacciolo a rappresentare al meglio la filosofia presente nella cucina di Mainardi. “L’idea è partita dal famoso gelato di limone con stecco di liquirizia che tutti conoscono, poi un giorno, durante una festa dei casoncelli a Barbariga, mi è capitato di osservare una nonnina che mangiava un melone e sopra ci metteva del sale. Così le ho parlato e ho scoperto che lo faceva perché il sale esalta il sapore del melone. E ho voluto creare un ghiacciolo che contenesse l’acidità, il dolce e il
contrasto sapido, ma senza utilizzare a tutti i costi il sale. Ho pensato che l’acqua di ostrica fosse l’ideale, con una simpatica fogliolina di menta all’interno. Sono rappresentate tre diverse consistenze di freddo. All’interno del ghiacciolo c’è il limone, che è un sorbetto profumato con la vodka. A seguire c’è uno strato intermedio con il succo di liquirizia, e infine l’acqua ghiacciata di ostrica all’esterno. E poi, come dicevo, io faccio sempre assaggiare i miei piatti a Michelle e preferisco che lei conosca il gusto e il sapore senza che questi siano viziati dalla presenza del sale. Una cosa non facile visto che quando poi lei va a trovare la nonna finisce inevitabilmente per mangiare anche piatti sapidi come cotechino e polenta…”. Così la sosta per una cena da Officina Cucina si tramuta in un’esperienza quasi sensoriale, docilmente presi per mano dal cuoco e confortati dall’ambiente caldo, familiare e un po’ spensierato che si viene subito a creare. Una complicità che è anche la forza del ristorante, il quale spesso accoglie ospiti che tornano di frequente e che nel tempo diventano quasi di famiglia. Un luogo dove si superano le formalità, ma dove l’accoglienza e i contorni rimangono ineccepibili e di alto livello. E poi, se non bastasse, c’è tutto il mondo di Mainardi che si sviluppa al di fuori di Officina Cucina. A dire il vero spesso non è troppo lontano,
Gli ospiti, al massimo dieci, sono docilmente presi per mano dal cuoco e confortati dall’ambiente caldo, familiare e un po’ spensierato: una complicità che è anche la forza del ristorante e di Mainardi, quanto di più lontano dall’immagine del cuoco classico che impartisce ordini alla brigata
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Andrea mainardi
Andrea e i suoi due collaboratori di cucina, Marco Ghidini e Simone Frerotti. La sua storia Mainardi l’ha costruita negli anni nel solco della classicità e la trafila da bravo apprendista
Corse in go kart, la pesca e, soprattutto, la musica: Mainardi ha appena pubblicato il suo primo singolo “È straordinario”
come nel caso della nuova scuola di cucina per una quindicina di allievi che il cuoco si appresta a inaugurare nei prossimi mesi in una sala appositamente allestita a fianco del ristorante. Ma poi capita di passare dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, nel Connecticut, dove in aprile Andrea inaugurerà una singolare risotteria fast food dopo aver già messo un piede a New York al Bowery Kitchen. E, ancora, con l’impegno profuso a promuovere la vendita di una vaporiera di sua creazione, realizzata con l’azienda Mepra: “Un elettrodomestico che considero rivoluzionario, perché riunisce in un unico oggetto sei diversi tipi di cottura, tra cui quella classica a vapore, il vapo-grill e perfino l’affumicatura”. Sempre che il singolo appena pubblicato, dove il cuoco si diverte a cantare (si intitola È straordinario ed è realizzato dall’etichetta A&A Recordings, che è pronta anche a lanciare il secondo singolo opportunamente intitolato Cooking Show in primavera) non finisca ai vertici dell’hit parade, perché in quel caso potrebbero aprirsi nuove prospettive di carriera. In realtà, a parte quest’ultimo diversivo che la dice lunga sulla passione che Mainardi ha per il mondo della musica, il suo sogno rimane quello di aprire diversi Officina Cucina, tutti con la stessa logica del singolo tavolo, in diverse capitali internazionali. In sostanza, un format da esportazione, che potrebbe sicuramente funzionare vista l’originalità della proposta e la forza
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del personaggio. Anche se poi ci sarebbe il problema di dividersi su diversi ristoranti. A questo punto c’è solo da chiedersi, e da chiedergli, come faccia a trovare un po’ di tempo, in mezzo a tutti questi impegni, per se stesso. “In effetti non ne ho molto -risponde- ma va bene così. Anche perché continuo a divertirmi molto in quello che faccio, e questo è fondamentale per andare avanti. Poi, quando riesco a ritagliarmi un po’ di tempo mi scateno con il go kart, al vicino Autodromo di Castrezzato, oppure mi rilasso andando a pescare. Ma non nei fiumi di montagna o nei laghi. Preferisco la pesca sportiva nei laghetti, dove tra le altre cose sono sicuro prima o poi di pescare qualcosa”. Insomma, uno scavezzacollo ai fornelli, capace di lasciarsi trasportare dalle sensazioni, dall’istinto, dalla passione pura e da una gioiosa follia che gli permette forse di osare dove altri non osano. Andrea Mainardi è un globetrotter figlio dei tempi, sempre pronto a mettersi in discussione e a lasciare che la sua curiosità prenda il sopravvento, non solo in cucina. Una libertà interpretativa nel piatto, quella che si incontra a Officina Cucina, che piace e diverte, che stimola la fantasia e apre nuovi orizzonti. Un modo, tra l’altro, di avvicinarsi a tecniche di cottura e a cucine innovative, scoprendo i trucchi e i segreti della professione direttamente dalla sua voce. F&B scheda
Officina Cucina via San Zeno 119 25124 Brescia tel +39.333.3020033 www.officinacucina.com info@officinacucina.com
bollicine Determinazione, dinamismo e creatività che da sempre caratterizzano il Gruppo Vranken Pommery sono il motore per il consolidamento e l’ampliamento dei mercati. I progetti per il 2013 sono rivolti a rafforzare la leadership nel mondo della gastronomia di prestigio
Sulle tavole degli chef lo Champagne è Pommery Barbara Amati
I Nathalie Vranken, vero motore del Gruppo Vranken Pommery, e un’immagine della Vinothéque
n un mercato che vede una contrazione complessiva dei numeri dello Champagne, il Gruppo Vranken Pommery Monopole ha registrato nel 2012 un sorprendente segno positivo nella politica di sviluppo dei propri marchi all’export, con particolare riferimento a Stati Uniti e Giappone, attualmente i due mercati trainanti per lo Champagne e per questo, in virtù di una visione lungimirante del Gruppo, sedi di filiali considerate strategiche. L’ennesimo successo per il Gruppo Vranken Pommery, che si definisce il primo vigneto d’Europa, e che anche per il 2013 ha focalizzato la propria strategia sui valori che da sempre lo contraddistinguono: ricerca della qualità, attenzione al dettaglio, creatività e savoir-faire, ispirandosi alle teorie del politologo Alain Minc, sintetizzate nel concetto della mondialisation heureuse, la globalizzazione felice, che consente una visione nettamente più ottimistica per accompagnare reattività e dinamismo. Quale essenza migliore può accompagnare questa visione se non lo Champagne? Il vino della gioia, della celebrazione, dell’autogratificazione, il vino che trasversalmente piace a tutti e che, soprattutto oggi, diventa veicolo di uno stile di vita. I quasi 180 anni di storia della maison Pommery testimoniano ancora di più la modernità di questa visione, a partire dalla rivoluzionaria idea di madame Louise Pommery, nel 1874, di cambiare il gusto dello Champagne da dolce a secco, creando il Brut Nature con assoluta assenza di zuccheri, anticipando i tempi e favorendone il consumo. Oggi come ieri, l’obiettivo del Gruppo è guardare maggiormente al di là dei confini, accompagnando la crescita di nuovi e promettenti mercati: Cina, Russia, Brasile, Australia. Con la presenza sempre più importante dei marchi Vranken Pommery Monopole nel mondo (il 60 per cento della produzione viene esportata in oltre 145 Paesi), il Gruppo afferma e consolida i valori della distinzione e del lusso, propri dello Champagne, intesi non come effime-
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ri e voluttuari ma come desiderabili. Infatti, per distinguersi in un contesto iperconcorrenziale le marche di lusso devono essere in grado di evocare la sfera del desiderio. Cosa significa? Bisogna affermare il mito di una marca attraverso la sua storia, i suoi valori di creatività, eleganza, raffinatezza, investendo nell’innovazione. La nuova rivoluzione, dopo quella dell’innovativo gusto imposto da madame Louise è quella di cedere il passo dall’effimero al raffinato, elevando gusto e conoscenza e migliorando la cultura e la visione. L’eredità di madame Louise oggi è in mano a Nathalie Vranken, il vero motore del Gruppo, la nuova “Madame Champagne”, colei che attraverso la sensibilità e l’amore per l’arte e il mecenatismo sostiene la filosofia della conoscenza e della ricerca della desiderabilità. “Attraverso l’arte si intercettano le idee del futuro”: in questa frase si racchiude l’essenza della visione del Gruppo, futuro, progresso, lungimiranza. Forte di questi importanti valori, la filiale italiana, considerata strategica, insiste nella sua ricerca dell’eccellenza attraverso una sua identificazione nel mondo della gastronomia, aggiungendo lo Champagne ai piaceri della tavola, icona di stile e raffinatezza. La gastronomia è educazione, è cultura, è esplorazione ed esercizio dei sensi. In Italia è un patrimonio, lo hanno compreso tanti giovani chef che con talento e
passione promuovono l’arte del gusto: Pommery è promotrice e sostenitrice di questa cultura, veicolando lo Champagne come un vino speciale che, grazie alla sua unicità e alla sua capacità di esaltare piatti e cibi, suscita desiderabilità. “I progetti per il 2013 -afferma Mimma Posca, già direttore commerciale e oggi amministratore delegato della filiale italiana di Vranken Pommery- saranno essenzialmente rivolti a promuovere e rafforzare la nostra leadership nel mondo della gastronomia. Dalla creazione della filiale abbiamo sempre puntato a creare collaborazioni con punti di consumo vicini al nostro brand. Il Club Pommery con i suoi affiliati ne è un esempio, la Guida ne attesta un percorso sul territorio nazionale; non solo, con la creazione delle Champagne Luxury Station abbiamo elevato e rafforzato il consumo di Champagne negli hotel di lusso, veri e propri veicoli di diffusione della marca in linea con la visione internazionale del brand. Da Milano, al Four Seasons, a Venezia all’Europa&Regina, a Roma al Grand Melia, prossimamente in Toscana, nella lussuosa tenuta del Castello di Casole, un affascinante viatico della diffusione dei valori di raffinatezza, eleganza e classe”. Attesissimo il lancio di un nuovo Champagne dedicato alla gastronomia e battezzato dallo chef tristellato Michelin Yannick Alleno; una menzione merita la celebrazione dei 25 anni di attività di Alain Ducasse che ha festeggiato al Louis XV dell’Hotel de Paris, a Montecarlo, lo scorso novembre, e in cui la Cuvée Louise F&B era co-protagonista.
Mimma Posca, nuovo amministratore delegato di Vranken Pommery Italia e, sopra, la Champagne Luxury Station dell’Hotel Europa&Regina di Venezia. A sinistra, Mimma Posca con la chef stellata Annie Feolde e Giuseppe Vaccarini, brand ambassador di Pommery
Per San Valentino la maison propone Pommery For You con etichetta personalizzata dedicata agli innamorati
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tappi Una degustazione ha dato conferma della validità del sughero microgranulato ideato dall’azienda francese che ha sconfitto il sapore di tappo dal vino. Un’innovazione chiamata Diamant scelta anche da molte Cantine italiane di prestigio che ne raccontano la validità
La rivoluzione Diam per vini sicuri Clara Aliborange
A La tecnologia Diamant permette di salvare dalla contaminazione sensoriale milioni di bottiglie
vete presente la delusione che si prova quando, dopo aver aperto una bottiglia di vino, magari pregiato, annusando il tappo di sughero tocca sentenziare “Sa di tappo”? Si tratta del tricloroanisolo -la sigla è Tca- che può trovarsi nel sughero e quindi trasmettere al vino lo sgradevole odore e l’orrendo sapore. Sono circa 500 milioni le bottiglie, su quasi 20 miliardi, che possono potenzialmente infliggerci l’amara delusione, che nel caso dei produttori si configura come un sentimento decisamente più forte. Ora pare che questo inconveniente sia evitabile ricorrendo ai tappi Diam Bouchage, perché l’azienda francese, leader mondiale nella produzione di tappi tecnici, ha messo a punto un sistema che estrae dal sughero microgranulato la molecola incriminata e anche tutta una serie di altre sostanze in grado di deviare odore e sapore del vino. I risultati dell’uso di questi tappi tecnici è convincente, in particolare a giudicare dalla degustazione dei vini di alcune aziende che li hanno adottati con soddisfazione, oltre che dalla crescita delle vendite di Diam Bouchage nel nostro Paese. Un vero e proprio “momento della verità” per i tappi Diam si è svolto al Westin Palace Hotel di Milano. Nel bicchiere, i vini di nove prestigiose aziende tra le circa mille che su tutto il territorio nazionale hanno adottato questi tappi, nelle diverse tipologie per ogni genere di vino. A partire dalle bollicine -Prosecco Superiore di Conegliano e Valdobbiadene Giustino B di Ruggeri, Franciacorta Brut Montenisa e Antica Cantina Fratta (Essence Brut Millesimato)- passando per i bianchi -Gavi dei Gavi La Scolca, Sauvignon Blanc Lahn della Cantina San Michele Appiano e Fiano di Avellino Pietracalda di Feudi San Gregorio- fino ad arrivare al rosé -Valtenesi Chiaretto RosaMara di Costaripa- e, quindi, ai rossi -Barbera d’Alba Fiulot di Prunotto e Aglianico Pian del Cerro di Vigneti del Vulture. Una bella carrellata, esente da tutti i difetti conferibili dal tappo, a dimostrazione dell’efficacia “ripulente” del processo Diamant.
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Il direttore generale di Diam Bouchage, Dominique Tourneix, all’evento milanese che ha portato all’assaggio diversi vini chiusi con il tappo Diamant
“Il Prosecco Conegliano Valdobbiadene -ha sottolineato Paolo Bisol di Ruggeri- è un vino fresco, fruttato e delicato per il quale è molto importante avere la tranquillità non solo dell’assenza dell’odore e del gusto di tappo, che comunque il consumatore riconosce e imputa alla chiusura, ma anche delle piccole deviazioni del gusto, che spesso vengono attribuite al vino”. Attualmente Ruggeri usa Mytik, il tappo adatto alle bollicine, su tutta la sua produzione. La motivazione di Chiara Soldati della Scolca va al di là degli aspetti tecnici, che pure sono stati alla base dell’adozione da parte dell’azienda piemontese dei tappi Diam per le due linee, vini fermi e mossi: “Pur essendo una cantina con 90 anni di vita alle spalle -spiega Chiara Soldati- guardiamo al futuro e crediamo non solo nell’innovazione tecnologica, ma anche nelle partnership tra aziende che hanno gli stessi obiettivi. Il nostro vino arriva negli angoli più remoti del mondo e deve essere protetto da una chiusura garantita. E Diam garantisce per noi tenuta, resistenza e longevità dei vini”. Mattia Vezzola di Costaripa tiene d’occhio i tappi Diam da tempo e ora li usa per il suo rosato: “Questo tappo tecnico -osserva- ha avuto una buona evoluzione qualitativa con il controllo e la diversificazione del passaggio di ossigeno e ora lo uso su un vino delicato e fragile come il rosé. Togliersi dalla memoria il rischio che il tappo rovini il vino, potenzialmente anche con sentori di foglie marce, fungo e terreno, è un notevole alleggerimento psicologico per il produttore ed è anche una bella garanzia per il consumatore”. Sono sempre di più le cantine
italiane che utilizzano i tappi di Diam Bouchage, azienda francese i cui prodotti sono importati dalla piemontese Araldo (www.paoloaraldo. com). “L’Italia è il secondo Paese in termini di vendite dopo la Francia e buoni riscontri si stanno avendo anche in Nord e Sud America, in Australia e in Cina -spiega il direttore generale dell’azienda francese Dominique Tourneix - Diam Bouchage produce circa un miliardo di tappi all’anno con il metodo Diamant, un processo rivoluzionario di purificazione del sughero che viene frantumato e vagliato, dando origine a granuli di diverse dimensioni. Il granulato viene sottoposto al passaggio della CO2 in fase supercritica che, attraversando capillarmente il sughero, ne rimuove il tricloroanisolo e altre molecole responsabili di deviazioni organolettiche. Lo stato supercritico -che è intermedio tra quelli liquido e gassoso- potenzia le capacità della sostanza quale solvente e permette una rimozione molto più efficace delle molecole responsabili di deviazioni sensoriali. I fluidi supercritici si utilizzano anche, ad esempio, per estrarre la caffeina dal caffè e gli aromi dalle piante nell’industria dei profumi”. “Questi tappi tecnologici in microgranulato purificato hanno proprietà meccaniche costanti che consentono un’omogeneità di evoluzione alle bottiglie -aggiunge Paolo Araldo- La gamma Diam per vini fermi ha 5 livelli di permeabilità all’ossigeno per due lunghezze; ai vini spumanti è F&B dedicata la gamma Mytik”.
La degustazione ha dato voce ai produttori che utilizzano i tappi Diam con soddisfazione, tra cui Chiara Soldati, proprietaria de La Scolca di Gavi, e Mattia Vezzola, titolare di Costaripa
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concept Il ristoratore di Modica si sdoppia in due locali. Alla Gazza Ladra la cucina è giocata sui contrasti per approdare a una personale concezione di leggerezza, pulizia e semplicità del piatto, mentre alla Locanda del Colonnello va in scena la tradizione contadina
Craparo, una filosofia di cucina divisa in due Paolo Becarelli
I Accursio Craparo, cuoco celebrato per la sua cucina creativa, nel piatto cerca leggerezza
l lusso costa caro. Le tovaglie di lino stirate a mano, i bicchieri di cristallo, gli arredi di design ma, soprattutto, la materia prima d’eccellenza e il servizio, che non devono mancare in qualunque ristorante stellato, possono raggiungere costi difficilmente sostenibili. Così, il celebre chef francese Alain Sanderens già anni fa aveva rinunciato alle tre stelle del suo Lucas Carton di Parigi per il locale -meno pretenzioso- che oggi porta il suo nome. Diversi cuochi hanno seguito in questi anni l’esempio di Sanderens, ma anche chi non ha rinunciato alle stelle spesso ha aperto una più economica versione bistrot del suo ristorante per permettere a chi non può spendere cifre importanti di gustare ugualmente la sua cucina. Il servizio è senza fronzoli, ma i piatti sono fatti dalla stessa mano dello chef del locale stellato. Insomma, il menu è a prezzo di saldo e i clienti gradiscono. La moda di aprire un locale alter ego economicamente più accessibile, che completi l’offerta di quello blasonato, si è estesa in Italia a macchia di leopardo: ad esempio, a Milano, Claudio Sadler (2 stelle Michelin) da tempo ha affiancato al suo ristorante il più democratico Cheap and Chic; fin dalla sua apertura nel 2005, al piano terra del Piazza Duomo di Alba, Enrico Crippa (anch’egli 2 stelle Michelin) propone la cucina di sostanza della Piola. E, a Modica (Rg), Accursio Craparo, cuoco celebrato per la cucina creativa della sua La Gazza Ladra, ristorante stellato aperto all’interno dell’hotel Palazzo Failla, lo scorso anno ha inaugurato, sempre a Modica, La Locanda del Colonnello. Tre sale semplici, ma accoglienti e calde oltre a un ampio dehors, dove i clienti possono assaporare una cucina contadina e della tradizione, spendendo in maniera contenuta e sentendosi come a casa. “La Locanda del Colonnello ha subito avuto successo, tanto che oggi è quella che mi dà le soddisfazioni maggiori. Ma sarebbe ingiusto scinderla dalla Gazza Ladra che, peraltro, tiene le posizioni anche in questi
tempi di congiuntura negativa, perché la prima gode dei benefici di immagine e di notorietà che ho grazie alla seconda -sottolinea lo chef- Entrambi i ristoranti riflettono la mia filosofia di cucina, la mia attenzione alla materia prima, ma giocano le loro partite in campi diversi e con squadre differenti”. Così, se alla Gazza Ladra la cucina di Accursio è da Formula 1, legata a doppio filo al territorio e giocata sui contrasti per approdare a una sua personale concezione di leggerezza, pulizia e semplicità del piatto, alla Locanda del Colonnello va in scena la tradizione contadina. Le materie prime qui sono meno pregiate, ci sono verdure spontanee e legumi e non mancano carne e pesce, ma invece del filetto di manzo vengono usati tagli meno nobili, al posto dei gamberi rossi e delle cernie si preferiscono quelli rosa e il pesce azzurro di Portopalo. L’attenzione per la qualità è però la medesima, ossia altissima. A cominciare dallo stesso pane a lievitazione naturale: servito caldo e accompagnato dall’olio extravergine selezione Craparo e da olive cunzate, alla Locanda del Colonnello diventa un aperitivo povero ma gustoso e apre la
strada ad assaggi di street food (arancine, tomasine, scacce, panserotti) o a classici piatti modicani come i Ravioli di ricotta e maggiorana, lo Sufato di maiale o il Coniglio alla stempirata (cioè cucinato arrosto in agrodolce con peperoni, cipolla, capperi, carote e olive). Anche la cantina rispetta il concetto di territorialità, con una cinquantina fra le più rappresentative etichette siciliane. “La Gazza Ladra è invece un ristorante gourmet, frequentato da clienti raffinati e attenti. Qui cerco di volare alto: le materie prime sono il meglio del meglio e mi sforzo di reinterpretarle giocando con una mia personale grammatica dei contrasti e delle sottrazioni -spiega il cuoco- Anche piatti apparentemente semplici come i miei Spaghetti con spremuta di Sicilia, conditi con una salsa a base di filetti di acciuga, bottarga di tonno e scorza d’arancia candita, hanno alle spalle un lungo studio per evitare dissonanze fra i vari ingredienti. Ad esempio, per dare armonia al piatto uso i fiori e il polline del finocchietto, più delicati dei semi, raccolti da un produttore di Scicli”. Siciliano nato a Sciacca nel 1976, dopo il diploma al locale Istituto alberghiero Accursio Craparo viaggia molto: dalle Dolomiti in Germania, a Francoforte e all’Osteria Enoteca con cucina d’influenza piemontese. Poi
La raffinatezza della sala ristorante de La Gazza Ladra e due piatti, l’Orto del contadino e il Fritto leggero di pesce. Sotto, la semplicità accogliente della sala della Locanda del Colonnello e il suo Macco di fave con polpo arrosto
concept
Dopo essersi formato nelle cucine di Pietro Leemann, al Joia di Milano, Accursio Craparo è tornato in Sicilia per scoprire la vera identità del suo territorio trovando le materie prime in grado di soddisfare il suo gusto raffinato come nell’Arancino con frutti di mare e pistacchio e nella Cipolla al carbone con macco di pane
entra nelle cucine di Pietro Leemann a Milano e di Massimiliano Alajmo a Rubano, che ancora oggi considera i suoi maestri. Infine, torna in Sicilia e conosce Corrado Assenza. Grazie al celebre pasticciere del Caffè Sicilia di Noto (Rg) scopre la vera identità del suo territorio trovando le materie prime in grado di soddisfare il suo gusto raffinato. “Oggi però mi sono affrancato dall’influenza di questi cuochi e ho elaborato un mio personale approccio al cibo e alla cucina, sia quella creativa de La Gazza Ladra sia quella tradizionale della Locanda del Colonnello. Leggerezza, pulizia, tecnica: ecco cosa cerco ora in un piatto”, puntualizza Craparo, che aggiunge: “Ogni tipo di cucina, se fatta bene, richiede passione e attenzione e per questo sarebbe sbagliato pensare che alla Locanda del Colonnello io proponga piatti di serie B. Anzi, a volte è proprio La Locanda del Colonnello a impegnarmi di più perché lì devo trovare il modo di imporre il mio stile in piatti già codificati dalla tradizione e spesso ulteriormente modificati nelle cucine di famiglia. Fortunatamente, essendo i due ristoranti distanti solo poche decine di metri, posso giocare agevolmente su due fronti senza perdere di vista quanto accade ai fornelli. Inoltre, ho potuto centralizzare lavorazioni come quella del pane che servo alla Locanda del Colonnello e alla Gazza Ladra in un unico laboratorio, realizzando interessanti economie di scala. Anche per gli acquisti ho dei riscontri positivi: comprando un volume maggiore di materie
prime ottengo infatti sconti maggiori”. Se la concentrazione di alcune lavorazioni e l’ottimizzazione dei costi che ne deriva è un asso nella manica di Craparo, l’altro sta nelle due brigate di giovani e preparati professionisti che il cuoco è riuscito a “costruire”. Due team con competenze specifiche, ma che sanno comunque integrarsi perfettamente in diverse occasioni. Ad esempio, quando lo chef va in trasferta per proporre il suo banqueting in aziende o case private e le due brigate condividono il medesimo compito di regalare emozioni agli ospiti. Perché, come conclude, “in fondo l’obiettivo di ogni tipo di cucina, sia quella alta che quelle ‘povera’ o della tradizione, rimane sempre uno. Ossia far stare bene chi si siede a tavola. E, visto come si mangia mediamente nei ristoranti italiani, credetemi, non è cosa da poco”. F&B schedE
La Gazza Ladra Hotel Palazzo Failla via Blandini 5 97015 Modica (Rg) tel. e fax 0932.755655 chiuso lunedì e domenica sera
La Locanda del Colonnello vico Biscari 6 97015 Modica (Rg) tel. e fax 0932.752423 www.lalocandadelcolonnello.com
vino L’esportazione ha superato il 50 per cento del totale prodotto, pari a 23 milioni di ettolitri. Ma 174 imprese, di cui il 54 per cento controllato da famiglie, vantano un fatturato superiore a 10 milioni di euro. Lo racconta una ricerca di Unicredit e Bocconi presentata alla Guido Berlucchi
Export e giovani il futuro delle aziende Nicola Dante Basile
È
In Italia esistono 600 mila aziende agricole, 200 mila vinicole, 25 mila imbottigliatori, reti di grossisti e numerosi dettaglianti, che muovono un giro d’affari di 8-9 miliardi di euro, di cui 4-4,5 all’estero
certo che il successo del vino italiano nel mondo sia nei fatti. Basti dire che lo scorso anno l’export, per la prima volta nella storia enologica nazionale, ha superato la soglia psicologica del 50 per cento del totale prodotto: 23 milioni di ettolitri su un totale di 45 milioni. Un risultato importante da consolidare, tenuto conto che la competizione internazionale si fa sempre più aggressiva. Ed è alla luce di questo rapporto che bisogna cogliere tutte le opportunità presenti anche in un contesto di crisi sistemica come l’attuale. Per farlo non c’è modo migliore che partire dalla conoscenza della propria impresa, di ciò che si ha a disposizione in capitale umano, finanziario e modelli gestionali. Conoscenza che sovente viene messa in ombra da interventi di breve respiro che enfatizzano la logica del mordi e fuggi. Il che non s’addice a un settore frammentato come il nostro, composto da un reticolo di 600 mila aziende agricole, 200 mila vinicole, 25 mila imbottigliatori, reti di grossisti e innumerevoli dettaglianti. Il tutto con affari per 8-9 miliardi di euro, di cui 4-4,5 sui mercati esteri. Numeri che confermano la dimensione lillipuziana del sistema, salvo scoprire -e qui siamo al fatto nuovo in assoluto- l’esistenza di un nucleo di 174 imprese che vantano un fatturato superiore a 10 milioni di euro e che, nell’ultimo decennio, grazie all’export, ha conseguito una crescita del business del 73 per cento. A darne notizia è l’Osservatorio Aub (Aidaf, Unicredit, Bocconi) che ha curato una ricerca sul sistema vitivinicolo italiano promossa da Unicredit. La ricerca è
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stata presentata nella sede della Guido Berlucchi, l’azienda bresciana che nel 1961 ha fatto da apripista alle bollicine di Franciacorta. Ebbene, dallo studio illustrato dal curatore Guido Corbetta dell’Università Bocconi e da Dario Prunotto e Riccardo Masoero di Unicredit, emerge che il 54 per cento delle 174 imprese sono controllate da famiglie, che il 56 per cento di esse ha un’età tra 25 e 50 anni e che vantano un forte legame con il territorio in cui operano. Di più. Tre aziende su quattro hanno una leadership individuale, mentre il 25 per cento di esse ha alla guida una persona con più di 70 anni sulle spalle. Il che la dice lunga su qual è la propensione dei protagonisti a discutere di ricambio
generazionale, al punto che, nel decennio 2001-2010, solo un terzo delle aziende ha risolto problemi di successione al vertice. Un tema attuale e urgente da affrontare. Cui fa il paio l’internazionalizzazione dell’impresa, ovvero l’intensità di utilizzo della leva export. E la ricerca non è avara in questo senso, dimostrando che le (poche) aziende di famiglia gestite da giovani eredi sono più propense ad affidare incarichi gestionali a manager esterni e a guardare ai mercati esteri. Orientamento confermato dal dibattito con gli addetti ai lavori, a cominciare dal padrone di casa Franco Ziliani che ha incoraggiato la gestione della Guido Berlucchi, affidata ai suoi tre figli Cristina, Paolo e Arturo. Ed è toccato proprio ad Arturo, responsabile della produzione, arguire che, sì, “la successione nella nostra azienda è un tema già risolto, ma nostro padre continua ad avere un peso importante in ogni decisione che prendiamo”. Compreso il discorso dell’internazionalizzazione. A proposito del quale ha detto che “il nostro approccio è a una fase iniziale, sebbene siamo convinti che bisognerà puntare molto più di quanto non sia stato fatto finora”. Per Vittorio Moretti, presidente della Holding Terra Moretti che conta marchi come Bellavista e Contadi Castaldi, il ricambio generazionale e l’export costituiscono due fattori di uno stesso problema, vale a dire assicurare continuità e futuro all’attività di famiglia. Un futuro che Moretti già da qualche anno ha deciso di affrontare avvalendosi del contributo delle figlie Carmen e Francesca. Un’apertura che ha coinciso con l’idea di scavalcare i confini, andando a mettere radici anche all’estero. “A oggi il nostro obiettivo principale è stato il mercato nazionale -ha spiegato Moretti- ora è la volta di andare anche altrove, in Svizzera, Giappone, Brasile. Paesi, cioè, dove lo Champagne non la fa da padrone”. E se per Umberto Pasqua e i suoi fratelli Carlo e
Giorgio, dell’omonimo Gruppo di vini veronesi, la questione successoria è stata avviata con gradualità, lasciando che figli e nipoti facessero una prima esperienza altrove e, solo dopo, aprire loro le porte dell’azienda di famiglia, per gli Antinori, invece, la procedura segue da tempo percorsi più diretti. Se non altro per il fatto che si tratta di un’azienda che da cinque secoli, anzi da ben 26 generazioni, si tramanda l’arte vinattiera. Il che potrebbe indurre l’osservatore a pensare che sotto l’insegna Antinori tutto sia più facile. Invece non è così, ha fatto capire in modo esplicito Albiera Antinori che, con le sorelle Allegra e Alessia, affianca il padre, marchese Pietro, nella conduzione di un Gruppo da 15 milioni di bottiglie, 160 milioni di euro e aziende sparse in mezzo mondo. “Quando ognuno di noi ha messo piede nelle attività di famiglia -ha ricordato Albiera Antinori- la prima cosa che ci è stata spiegata è che tutto quello che ritenevamo fosse di nostra proprietà non era nostro, ma della famiglia, dei nostri figli e delle generazioni che verranno. A loro bisogna cercare di lasciare un patrimonio possibilmente migliorato e accresciuto. A ogni modo, noi tutte abbiamo delle responsabilità precise in azienda, la cui gestione vede ad alto livello la presenza di manager esterni alla famiglia. Se oggi, in tempi di crisi, le aziende famigliari mettono a segno risultati positivi, sono convinta che una delle ragioni risieda nel fatto che i primi a cui viene chiesto di fare sacrifici sono proprio i memF&B bri della famiglia. E lo dico per esperienza”.
Il ricambio generazionale e l’export sono gli obiettivi sui quali le aziende famigliari devono puntare per assicurare continuità e futuro all’attività. Solo le imprese di famiglia gestite da giovani eredi sono più propense ad affidare incarichi gestionali a manager esterni. Nella foto, Arturo Ziliani della Guido Berlucchi, e Albiera Antinori
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cucine Arriva la connettività in cucina, con obiettivi molteplici: risparmio energetico e rispetto per l’ambiente, personalizzazione degli spazi e funzionalità per le diverse esigenze prestazionali. Per un luogo che evolve senza cambiare la propria essenza: favorire la convivialità
Dare forma all’high tech Bianca Zille
T
ecnologia al servizio dell’uomo. E di quello che l’uomo mangia. Un’innovazione che potrebbe avere un impatto preciso sulla nostra vita, sull’interazione giornaliera con il nostro spazio domestico e che, spingendosi un po’ più in là, potrebbe diventare anche un modo per tenere d’occhio la nostra casa quando siamo lontani o assenti, via Facebook o attraverso i social network. Una connettività che
potrebbe plasmare non solo le cucine e gli spazi domestici del futuro ma addirittura le nostre abitudini. In un mondo sempre più interattivo anche gli elettrodomestici sembrano seguire questa tendenza: ad esempio, 6th Sense Live di Whirlpool Europe offre al consumatore la possibilità di interagire con gli elettrodomestici dal proprio smartphone, tablet o personal computer. Anche Candy si trasforma in base al modo di comunicare di oggi: a seguito di un progetto sviluppato con il laboratorio Hoc-Hypermedia Open Center del Dipartimento di Elettronica e informazione del Politecnico di Milano, è nato U.Motion, il forno a comando gestuale e vocale. E con uno sguardo al futuro anche il gruppo Indesit Company presenta un’esplorazione verso la connettività globale: dagli elettrodomestici smart alla smart kitchen, alla smart home fino alle smart cities, per migliorare la vita domestica e renderla un’esperienza più sociale e sostenibile. Il risparmio energetico e il rispetto per l’ambiente sono due fattori centrali che stanno catalizzando l’interesse di molti nuovi prodotti e concept. La nuovissima linea di forni Bosch è dotata della rivoluzionaria funzione AriaCalda 3D Eco, che consente di utilizzare un solo livello del vano: l’aria si muove attorno alla 48 | Food&Beverage gennaio/febbraio 2013
pietanza avvolgendola a 360°, garantendo risultati perfetti e contemporaneamente riducendo il consumo di energia, fino al 30 per cento in meno rispetto ai valori della Classe A. Per chi, invece, volesse sfruttare al massimo il maxi volume del forno, la funzione MultiCottura 3D permette di cucinare simultaneamente più portate su più livelli, senza rischiare di mescolare odori e sapori. Anche gli innovativi forni InfiSpace™ della collezione The Inspiration Range di Electrolux Appliances, dalla maxi cavità -oltre 74 litri di capacità interna- sviluppati per i professionisti e ora adattati ai consumatori, permettono di cucinare più piatti contemporaneamente, anche quelli di grandi dimensioni. Non dovremmo più sfogliare smarriti il manuale d’istruzione per selezionare un programma della lavatrice o arrovellarci per impostare la cottura di un soufflé. L’elettrodomestico, con una maniglia touch, potrà comunicarci ciò che succede al suo interno. Oppure una telecamera vigilerà sul nostro arrosto in cottura nel forno, mentre noi saremo in soggiorno a intrattenere gli amici. Che futuro! Più tempo al dialogo e meno al fare. Più spazio alla convivialità e meno al lavorare. Gli elettrodomestici parlano con noi, affinché possiamo parlare meglio gli uni con gli altri.
Belli da vedere, con anima hi-tech e super-funzionali, come il maxi forno B46E74N1 di Neff, una punta di diamante in cucina grazie alle sue 13 modalità di funzionamento e alla garanzia di un risparmio energetico del 30 per cento.
Flessibilità e personalizzazione
Elettrodomestici interattivi per la cucina del futuro; nella pagina d’apertura, 6th Sense Live di Whirpool Europe, con cui ci si può collegare attraverso tablet, pc o smartphone. Accanto, le linee di forni di Bosch AriaCalda 3D Eco e di Electrolux Rex che con funzioni innovative consentono di cucinare su uno o più livelli con risultati professionali
E i creativi? In un mondo sempre più tecnologico sono chiamati a rispondere a una precisa richiesta: dare forma agli strumenti hi-tech. L’imperativo è che ogni oggetto, o elettrodomestico che sia, debba avere una sua funzionalità. Da qui l’importanza della collaborazione con i designer, per immaginare una casa e una cucina di un lusso discreto e intimistico, nel quale troveremo l’amalgama perfetto tra personalizzazione, comfort e novità in casa. Nel 1963 Joe Colombo disegna per Boffi un curioso monoblocco su rotelle di legno di frassino. Il progetto si chiama Minikitchen ed è un concetto nomade che racchiude in mezzo metro cubo tutte le funzioni indispensabili per la cucina: conservazione, lavaggio, cottura, deposito cibo. Tutto a portata di mano. 50 anni e molte tendenze dopo, l’idea è attualissima. Vedi Meccanica, di
A sinistra, dettaglio del forno della linea Electrolux Rex Vapore e la sequenza del progetto Minikitchen disegnato nel 1963 per Boffi e ora riproposto con successo Food&Beverage gennaio/febbraio 2013 | 49
cucine
Due prospettive di Meccanica e LaCucinaAlessi, entrambe proposte da Valcucine con l’obiettivo di ridimensionare e razionalizzare lo spazio cucina e snellire le architetture. Sotto, gli chef Carlo Cracco e Fabrizio Nonis: ambedue considerano fondamentali per la cucina moderna la flessibilità e la funzionalità
Valcucine: demodé, rivolta a un pubblico giovane, ispirata all’idea della decrescita e dell’anti-accumulo. E del riciclo, visto che Valcucine si impegna a ritirare i propri prodotti, smaltirli e promuovere il processo di riciclo e/o ricondizionamento dei materiali usati. E Meccanica è riutilizzabile al 90 per cento e riciclabile al 100 per cento. Stesso concetto per LaCucinaAlessi by Valcucine (design Wiel Arets): una micro-architettura in Corian pensata per razionalizzare gli spazi. Spigoli arrotondati, senza giunture a vista. Tutto in uno. Idem per Board di Pietro Arosio Design per Snaidero, una componibilità che si fa versatile: si parte da un blocco base autoportante di 90 o 120 cm e all’occorrenza si aggiungono armadiature, contenitori e volumi. E se cambiamo casa, la struttura ci segue. Un concetto perfettamente interpretato da Liquida, la cucina autoportante di Veneta Cucine, by Elisa e Stefano Giovannoni. Il concept nasce nel 2008, ponendo le basi di un nuovo modo di interpretare la cucina. Nella sua ultima versione, Frame si propone come un oggetto tecnologico e funzionale: lo spazio cucina si svincola addirittura dal rapporto con la parete, vivendo al centro dell’ambiente e proponendo un uso quasi circolare delle attrezzature, su due fronti. Certo il rinnovamento estetico non può dimenticare le esigenze prestazionali, ma è notevole l’alleggerimento visivo complessivo. Oggi decisivo è l’uomo e centrali sono i suoi desideri, che possono cambiare nel tempo, certo, e con i quali si
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modifica anche tutto ciò che c’è intorno. Bulthaup ha fatto propria questa mission per la progettazione e la resa degli ambienti: un sistema che l’azienda definisce “adattivo”. L’evoluzione del sistema di cucine classico Bulthaup b3 è la risposta ai cambiamenti sociali in atto. Il nuovo principio è basato su una struttura geometrica, che crea un ordine funzionale ed estetico per mezzo dei cosiddetti prismi funzionali. In questo modo la persona diventa il regista della scena, del proprio ambiente e della propria vita. Un ambiente in cui ora la persona non deve più interagire con strutture industriali prefabbricate, ma diventa parte attiva dell’atto progettuale. Accessibilità ed ergonomia, ogni elemento racconta qualcosa della personalità, della cucina e delle abitudini alimentari dei suoi utilizzatori. La pura funzione cede il passo all’intuizione: si possono quindi suddividere gli spazi per tema o creare zone specifiche nelle isole, oppure ancora separare e organizzare le diverse aree, stabilendo delle priorità per settori primari e secondari e creando immagini variegate e colorate, che riflettono i gusti e lo stile culinario di chi li utilizza.
Le esigenze degli chef “La cucina è uno spazio unico e personale. Bisogna attrezzarla a piacere. Io consiglierei di progettarla in modo che sia il più flessibile possibile. Poi, piano piano, la si può integrare e costruire a propria immagine e somiglianza”. Così Carlo Cracco, che conferma e promuove a pieni voti questo nuovo filone interpretativo del cucinare moderno. Gli fa eco Fabrizio Nonis,
giornalista, chef, macellaio, personaggio mediatico e dal 2011 testimonial di Arrex Cucine: “Una cucina deve essere funzionale per chi la compra e la utilizza; la cucina ideale ha un design pratico e lineare, senza orpelli eccessivi. Mi è capitato -aggiunge- di dare dei suggerimenti per apportare delle migliorie ai modelli esistenti. Sono cucine già di per sé molto pratiche ma io, avendo la passione per la carne, avevo alcune esigenze particolari”. Qualcosa che, invece, non c’era proprio, e che ha fortemente voluto, è l’utensileria per i coltelli. Nonis ha persino disegnato una collezione tutta sua. La produce l’azienda friulana Maserin. “Ad Arrex Cucine ho richiesto un portacoltelli intarsiato all’interno, perché quando si usano i coltelli in cucina è di fondamentale importanza che le lame non si tocchino, correndo così il rischio di rovinarsi, quando questi vengono sfilati o riposti. E ho anche chiesto una cappa particolare, a forma semi-conica, che esce quando si cucina la carne per aspirare tutti i fumi e gli odori e che sparisce quando invece si preparano cibi più easy”. Nel settore delle cappe d’arredo, oggi le tecnologie d’avanguardia puntano tutto sull’efficienza energetica. Ico e Icarus di Elica consentono una riduzione del consumo di energia elettrica del 50 per cento rispetto alle cappe tradizionali. Aspirazione di nuova generazione anche per Best, propone un ricircolo dell’aria che supera gli attuali limiti tecnologici. Ecco che risparmio energetico (attivo e passivo), filtraggio degli odori, generazione di un basso livello di rumorosità e sicurezza sono tutte prerogative che ritroviamo anche nelle nuove cappe tecnologiche di Faber, con i suoi inediti modelli anti-crisi che coniugano contenuti estetici, tecnologia e accessibilità di costo. Il benessere e la salute sono gli obiettivi principali anche per Falmec. Con la sua nuova tecnologia brevettata e.ion® system, l’aria viene purificata e trattata neutralizzando tutti gli agenti inquinanti come batteri,
virus, acari, polline, spore, polveri, cattivi odori, gas, fumo di sigarette e di cottura. Il tutto per una vita più salutare. Quando Andrea Mainardi, l’istrionico chef di Officina Cucina, ha iniziato con il suo team a progettare la cucina per il suo ristorante a Brescia, aveva le idee ben chiare nonostante la giovane età -anche se, a onor del vero, giovane età non sempre coincide con poca esperienza, dato il curriculum di tutto rispetto che lo ha visto attivo in passato nelle cucine dei più grandi chef, da Marchesi a Frosio a La Siriola- “Era importante trasmettere al design, alla versatilità, alla velocità e alla facilità di pulizia, la mia idea di ristorazione: l’impatto familiare era essenziale, quindi una cucina semiprofessionale era perfetta. Ovviamente il cuore è tecnologicamente super avanzato, con tutto il necessario per preparare piatti ‘forti’, dalle basse temperature a fritture controllate, dagli essiccatori al liofilizzatore”.
La nuova proposta di cucine Bulthaup, basata sulla possibilità di modificare a propria scelta la resa dello spazio
Cappe su misura E, difatti, da Andrea, ormai in molti lo sanno, si va per fare un’esperienza completamente diversa dal solito: quella cucina a vista cosi maliziosamente ostentata a uso e consumo dell’avventore è uno spettacolo nello spettacolo. “Nel mio ristorante, essendo direttamente a contatto con i commensali, avevo un’esigenza su tutte: evitare odori. Ma anche rumori di motori di cappe fastidiose o altro. Risultato: dopo attente ricerche, ho optato per una cappa costruita sartorialmente e tagliata su misura su di me, sulla mia altezza. Motore silenzioso a tetto di ultima generazione, e 4.200 metri cubi l’ora che eliminano qualsiasi traccia degli effetti del mio operato in cucina. Straordinario”. Potere delle menti giovani. Chissà se qualche azienda asseconderà l’appello
Andrea Mainardi, giovane chef di Officina Cucina a Brescia che ha fatto del design una componente funzionale del proprio spazio lavoro
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cucine
La cucina autoportante Frame di Veneta Cucine, un progetto nato nel 2008 e che si è evoluto fino a separarsi dalla parete per permetterne un uso a 360°. A fianco, la cappa Icarus proposta da Elica
Stefano Callegari e il suo trapizzino, nato dal connubio di pizza e tramezzino, nuova interpretazione del concetto di street food
lanciato da Mattia Poggi, giovane volto televisivo appassionato di cucina che afferma a gran voce: “Quello che mi manca di più? Sicuramente tutto ciò che ha a che fare con la ‘zona lavaggio’, il lave-vaisselle in francese. Ma una cosa seria, però. Ecco: manca una lavastoviglie/lavabicchieri come quelle professionali, e quindi ad alta velocità”.
Design democratico e naturalistico Altro tema legato all’industria del mobile è l’accessibilità. Sempre di più i progetti e i produttori propongono soluzioni con forti connotazioni di responsabilità sociale. Come conciliare i prodotti di valore tecnico ed estetico con un “design più democratico”, e cioè alla portata di tutti anche nel prezzo? Ecco che grazie alla creatività che ci ha resi famosi in tutto il mondo possiamo risolvere le più fastidiose problematiche con alcuni accorgimenti. Gli spazi piccoli, ad esempio: qui, forse, la fantasia, l’originalità e le soluzioni più geniali arrivano dai designer che hanno capito che anche i piccoli accessori della casa possono risolvere i grandi problemi di spazio. E così tavolini, carrelli, piccole mensole vanno in soccorso alle “cucine su misura” della nostra casa. È su questo terreno che creatività e funzionalità si sfidano. Anche perché il settore cucina tra gennaio e agosto 2011 ha visto le esportazioni crescere dell’1,7 per cento in valore, raggiungendo un totale di 390 milioni di euro. Nei primi 10 mercati di sbocco della produzione di cucine made in Italy, Russia, Germania e Svizzera, hanno registrato una crescita a due cifre degli acquisti; interessanti anche i dati provenienti dalla Cina che, al 17° posto, ha mostrato un incremento del 50 per cento sugli acquisiti di cucine italiane. Le tendenze più forti del momento si rifanno a una valorizzazione degli elementi naturali. Le cucine in
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massello di rovere o in noce rispecchiano il concetto delle lavorazioni artigianali. Dalle ricercate essenze di legno emana un calore unico e un piacevole effetto tattile. E poi la pietra, la roccia, il sughero, il marmo e addirittura l’acqua. La natura sconfina e irrompe nell’ambiente domestico con i suoi profumi e i colori. Una casa immersa nella natura: ecco la visione futura. Che sia veramente iniziata una nuova epoca? La risposta spetta a noi. Come ha fatto il marchigiano Mauro Uliassi, reinterpretando il concetto antico di street food. Ecco che l’alta cucina esce dagli stretti confini prestabiliti e scioglie i lacci delle convenzioni, andando verso il consumatore finale. L’idea del movimento poi combacia perfettamente con lo stile di vita delle famiglie moderne. Uliassi ha sposato l’idea di Stefano Callegari -pizzaiolo e gourmand romano- di abbinare il trapizzino con le ricette marchigiane. Il trapizzino è una versione di street food di un tramezzino che magicamente è diventato pizza, una sorta di triangolo chiuso su due lati, una tasca perfetta da riempire a piacimento. Sapori che forse stiamo un po’ perdendo: “Ovviamente se cuciniamo con un forno a legna o con un forno a convezione i sapori cambiano, certo -ammette Cristian Bertol del ristorante trentino Orso Grigio- ma io cerco di mantenere la cucina del territorio, usando il più possibile prodotti autoctoni e cercando di non stravolgere la loro essenza”. Ecco svelata la priorità di ogni progetto: mai cercare di stravolgere l’essenza di qualcosa. Sempre mantenerne l’anima. In conclusione, se oggi c’è sempre meno tempo per fare da mangiare, la cucina però resta uno spazio importante. Certo ha avuto un’evoluzione forte nel tempo, da tinello a luogo di servizio fino a diventare un vero e proprio laboratorio. Oggi si è aperta al resto della casa ed è tornata centrale, tanto che ormai non si parla più di soggiorno con angolo cottura ma, al F&B contrario, di cucina con angolo soggiorno...
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ONLINE non si può fare a meno
Degustazioni Antonio Moretti, imprenditore del mondo della moda e produttore vitivinicolo, ha puntato sulla tenuta di famiglia, nel cuore del Chianti, per creare vini dalla personalità decisa. Su tutti, Oreno, sapiente blend di merlot, cabernet sauvignon e petit verdot, degustato da Luca Gardini
Oreno, vino culto della Tenuta Sette Ponti Barbara Amati
B Un viale di cipressi accompagna alla splendida Tenuta Sette Ponti nel cuore del Chianti
uon gusto ed eleganza. È questo che da sempre contraddistingue Antonio Moretti, la sua vita da imprenditore nel mondo della moda e quella da produttore vitivinicolo, due delle più riuscite espressioni del made in Italy. A fare da collante, la passione, quella che ha trasferito ai figli Alberto, Amedeo, Andrea e Monica, e che oggi fa la differenza e si traduce in etichette di spessore. Antonio Moretti ha dato una svolta alla Tenuta Sette Ponti, una proprietà di famiglia fin dagli anni ’50 acquistata dal nonno Alberto dalle principesse Margherita e Maria Cristina di Savoia d’Aosta , nel cuore del Chianti, tra Firenze a Arezzo. Il primo nucleo di un universo vitivinicolo che si svolge tra la Maremma e la Sicilia. A Bolgheri ha creato due aziende: Orma e Poggio al Lupo. La prima ha sette ettari esposti a sud ovest, dove nasce il vino omonimo, da uve merlot, cabernet sauvignon e cabernet franc, prodotto per la prima volta nella vendemmia 2005; elegante e sontuoso, rappresenta al meglio il territorio di Bolgheri. Poggio al Lupo, a Magliano, invece, ha 45 ettari, di cui 15 vitati: qui nasce il Morellino di Scansano Docg e Poggio al Lupo, prodotto con uve cabernet sauvignon, alicante e petit verdot. Nella siciliana Val di Noto, infine, Feudo Maccari ha 50 ettari di vigneto e un nero d’Avola allevato esclusivamente ad alberello che entra in maniera importante nell’uvaggio di Maharis, accanto a cabernet sauvignon e syrah: un vino rotondo e dai tannini vellutati, speziato e fumé; a questo rosso si affianca il Grillo in purezza, pieno, sapido e ben equilibrato, di grande freschezza. La Tenuta prende il nome dai Sette Ponti che collegano le due sponde dell’Arno. Dai primi 50 ettari iniziali la proprietà ne conta oggi 330, di cui 50 a vigneto, in gran parte sangiovese, accanto a merlot, cabernet sauvignon e altre varietà autoctone; i terreni variano dall’argilla alla sabbia, dal calcare al galestro, con un’altezza dai 200 ai 300 metri sul livello del mare. Sono vigne allevate con un’alta densità di impianto che raggiunge i 6.666 ceppi per ettaro. Una canti-
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Antonio Moretti ha creato con Oreno un vino culto, massima espressione del territorio e dei vigneti della Tenuta. Un rosso che, dal 2001 ad oggi, è stato oggetto di una precisa evoluzione
na adeguatamente tecnologica e una ricerca della qualità estrema raggiunta avvalendosi dapprima di agronomi ed enologi noti, ma poi procedendo secondo la personale filosofia produttiva di Antonio Moretti che ha dato vita al vino culto della tenuta, Oreno, a partire con la prima annata, la mitica 2001, frutto dell’uvaggio di merlot, cabernet sauvignon e sangiovese, per giungere al millesimo 2007 nel quale si abbandona il sangiovese ed entra il petit verdot. Ricchissimo di struttura, energico e di grande finezza, è impreziosito dalle nuance del rovere nuovo: frutto di un sapiente blend, Oreno è un vino complesso e strutturato, elegante e potente insieme, che varia da un’annata all’altra mantenendo una sua identità legata alla vigna e al territorio. Accanto a questo rosso, la Tenuta Sette Ponti ne firma altri due, il Chianti
Vigna di Pallino e il Crognolo, Sangiovese di grande struttura in prevalenza affinato in barrique; il bianco è invece Anni, da uve sauvignon blanc e viognier. Per sottolineare l’evoluzione di Oreno, Luca Gardini, campione del mondo dei sommelier, ha guidato la degustazione di diverse annate, dalla storica 2001, alla 2003, 2004, 2007, 2008, 2010, proposte in magnum. Infine, con i piatti di Andrea Aprea del Vun del Park Hyatt di Milano sono stati assaggiati altri vini delle aziende di Antonio Moretti: Grillo 2011 di Feudo Maccari con l’Astice bretone, patata, cime di rapa; Saia 2010 di Feudo Maccari, nero d’Avola in purezza con il Riso, rapa rossa, blu di bufala, petto di quaglia; Crognolo 2012 di Tenuta Sette Ponti con la Cotoletta di vitello alla milanese, radicchio, scalogno fondente. F&B annatE
Oreno in verticale. Luca Gardini in degustazione 2001 Più sapido che fresco, con note finali che quasi richiamano la salamoia. È un millesimo di ottima caratura quello che vede Oreno accogliere al suo interno ancora l’apporto del sangiovese insieme al merlot e al cabernet. Terroso, sfodera un frutto potente, di prugna secca che alterna note di tabacco e lieve goudron. Pieno, vellutato, con un tannino scalpitante e di buona tessitura, convince nell’allungo finale e in quel tocco salato finale che richiama atmosfere da macchia mediterranea. 95 2003 Né cotto, né surmaturo. E questa è già una grande notizia considerando che il millesimo in questione sarà ricordato un po’ ovunque nella penisola come tra i più torridi mai visti. Compatto, integro, al naso convince e stupisce con tocchi di oliva e grafite. L’impatto del tannino è ovviamente meno equilibrato del solito, ma non tale da far traballare la struttura complessiva che regge e sfodera una dinamicità piacevole, eccezionale per l’annata. 94
2004 Grande annata e prestazione maiuscola. Rovere fuso e intrigante, note di torrefazione, gelso, oliva e rosmarino. Compatto, con un tannino graffiante e di carattere, la giusta freschezza e un finale che ricorda la carruba. Ha stoffa, non c’è che dire, e ambizioni di poter dare ancora molte soddisfazione negli anni a venire. 95 2007 L’abbandono del sangiovese con la scelta di sposare la classicità del taglio bordolese, unendo al duo merlot/cabernet anche il petit verdot, se da una parte gli toglie la sanguignità più autentica del nobile vitigno toscano, dall’altra gli dona una dimensione più rotonda, morbida ed elegante. Qui il frutto è dolce, di visciole e amarene, tocchi di frutta secca e una nuance selvatica precisa, senza sbavature. La freschezza c’è e si sposa con un tannino che sebbene ancora in fieri, in parte ruvido e non fuso a dovere, dona struttura e complessità. 94 2008 Grande prova, di autentica finezza. Un naso ampio e suadente, dove si rincor-
rono noce moscata e noci secche, si dona senza fretta, quasi timido. La nota del ribes amaro, selvatico, insieme a quella della ciliegia matura e dolce, completano un quadro aromatico di grande fascino. La bocca è piena, fresca, salata, con un tannino perfetto, dalla tessitura fine e dalla grana quasi polverosa e croccante. Non gli manca nulla. 92 2010 Ha tutte le potenzialità per diventare grande: le spezie di bella finezza, note di cacao bianco e mandorla da una parte e il tocco lievemente erbaceo, selvatico, ma mai grezzo, con toni decisi di timo e maggiorana. La gioventù non ha ancora fuso ed equilibrato il tutto. Fresco e di ottimo dinamismo, ha già ora la piacevolezza del sorso dalla sua, in attesa di raggiungere quella maturità che gli donerà equilibrio e completezza. 98
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psiche Mangiare non è solo un atto necessario a sopravvivere. Il cibo entra nella sfera della mente e, trasformandosi in nutrimento psicofisico, regala sensazioni di piacere e appagamento estetico. Religioni, filosofie e malattie dimostrano come il rapporto con gli alimenti sia influenzato dal cervello
Quando la fame parte dal cervello Irene Catarella
R Un’alimentazione varia ed equilibrata è indispensabile per mantenere il cervello giovane e attivo
ecenti ricerche nell’ambito delle neuroscienze hanno rilevato che nel cervello dell’adulto si formano nuovi neuroni, ossia che la neurogenesi dura sino alla vecchiaia, sfatando il mito che la materia grigia, dopo una certa età, sia destinata al decadimento. Con la scoperta del “cervello plastico”, poi, si è approdati alla consapevolezza che le connessioni tra neuroni si riadattino in base all’esperienza, quindi che l’encefalo cambia di continuo in rapporto a nuovi stimoli. Ricordiamo che con “cervello plastico” s’intende che la nostra attività modifica e rafforza le connessioni tra i neuroni e che allenare la mente significa potenziare il cervello. Per certi versi il nostro cervello è come un atleta che, ben allenato e ben alimentato, può migliorare la propria forma fisica, i propri “muscoli” intellettuali e il tono generale dell’umore, tanto importante per ottenere prestazioni da record. A questo punto il passo dall’allenamento all’alimentazione è breve: ogni atleta deve stare attento a ciò che mangia e a come mangia. Si tratta di idee di per sé non nuove che, però, ci ritornano rafforzate dall’autorità della ricerca scientifica. A ben guardare, già la medicina tradizionale cinese sosteneva che il cibo è uno dei fattori che garantiscono il benessere psicofisico, indispensabile per una buona vita, ma oggi sappiamo di più: sappiamo che il dualismo tra la mente e il cervello separa quelli che sempre più appaiono come due facce della stessa medaglia. E non solo: il cervello non abita e dirige il nostro corpo come un capitano governa la propria nave; esso è immerso nel corpo, agisce in un brodo di segnali neurochimici, dipende da ghiandole e ormoni e da tutta quell’architettura di ossa, nervi e tendini che è la base della nostra soggettività vissuta. Da ciò si comprende come per potenziare il benessere psicofisico, la creatività e l’intelletto, la varietà alimentare faccia la differenza: essa contribuisce a dare input nuovi alle cellule grigie. Saranno questi gli orizzonti futuri per rilanciare l’importanza del cibo non solo come nutrimento del
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Esiste uno stretto legame tra cibo e mente. Per gli studiosi, infatti, non si mangia solo con la pancia, ma anche con la testa, che “si mette d’accordo” con i recettori del gusto
corpo, ma anche della mente? Probalimente sì, visto che il concetto di olismo e psicosoma, ossia di essere noi umani unità inscindibili di corpo e mente, è ormai assodato e sta cominciando a penetrare anche nella medicina e nella cucina tradizionale, oltre che in quelle alternative o legate a filosofie e religioni. Ecco, quindi, la nuova frontiera della cucina: l’alimentazione non è solo biologia, non è solo cultura, ma è anche unità di soma e psiche. Ultimamente, soprattutto, si sta mettendo in evidenza che, oltre che con l’aspetto sociale e relazionale, essa è in connessione con qualcosa di più profondo e personale, con la psiche e l’inconscio. Un aspetto di notevole interesse delle ricerche sul cervello è che gettano luce sulle origini e la natura del piacere del cibo. Esiste, infatti, una regione del cervello nella quale si producono le endorfine, sostanze la cui assenza infonde un senso di frustrazione, mentre la cui presenza ci gratifica e provoca sensazioni piacevoli. Gustare un alimento che piace e, secondo alcune ipotesi, anche solo immaginare di farlo, produce endorfine, dunque, positività. Ecco perché non si mangia con la pancia, ma si mangia con la testa che “si mette d’accordo” con i recettori del gusto. Come afferma Vittorino Andreoli, “il piacere dipende dal cervello plastico ed è legato all’esperienza”. Ragion per cui, ad esempio, chi si sente male dopo aver ingerito un determinato alimento, difficilmente lo vorrà riassaggiare anche se cucinato in modo diverso, perché il ricordo del malessere bloccherà ogni nuovo approccio. Il cibo è connesso alla mente anche perché è fonte di sensualità: non per niente la bocca è legata all’erotismo. Inoltre, come trascurare il fatto che per corteggiare qualcuno, in genere, lo si invita a cena? L’apoteosi del rapporto cibo-mente la si raggiunge quando l’alimento non si assume per bisogno energetico, ma
perché diventa simbolo di qualcosa. Basti pensare a tutti coloro che mangiano un piatto perché gli ricorda un’infanzia felice, o che, mentre gustano una portata, sono assaliti da sensazioni legate a esperienze che, apparentemente, avevano dimenticato. Comunque, il valore simbolico per eccellenza, il cibo lo raggiunge nell’ambito religioso, tramutandosi in nutrimento per l’anima. È significativo come nel Cristianesimo, ad esempio, Gesù Cristo si definisca “pane della vita”, tanto che durante la messa ostia e vino diventano per transustanziazione corpo e sangue divini. E, ancora, per alcune religioni esistono cibi che contaminano e di cui si ha assoluto divieto di assunzione: anche questo dipende dal rapporto che la comunità in questione instaura con l’alimentazione per peculiari processi mentali. Sempre per costumi e tradizioni, alimenti che per alcuni sono immangiabili, per altri sono delle vere e proprie squisitezze. La molteplicità del rapporto cibo-mente riguarda anche l’estetica del piatto che ispira il cervello ad assaggiarlo. E, ancora, il rapporto con il cibo può generare comportamenti alimentari che appartengono alla patologia. Non dimentichiamo che i disturbi dell’alimentazione sono malattie della mente. Insomma, bisogna tener presente che ognuno vive il cibo in una maniera particolare che non è quella della F&B semplice risposta a un istinto.
Spesso si sceglie un piatto che ricorda l’infanzia e che evoca sensazioni piacevoli
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abruzzo Nel Parco naturale del Gran Sasso, nella suggestiva Civitella del Tronto, Daniele Zunica porta avanti una tradizione di famiglia nata a fine ’800, in cui ospitalità e gastronomia si fondono in un mix perfetto in stretto legame con i prodotti del territorio e il fascino del paesaggio
Zunica 1880 l’arte dell’ospitalità Stefano Masin
I Valore aggiunto di Zunica è la cucina, espressione delle eccellenze del territorio
niziamo da lontano, da quando l’Italia era suddivisa in regni, e il Regno di Napoli prima, e quello delle Due Sicilie poi, dividevano lo Stivale resistendo fino al 1861, precisamente il 20 marzo, quando l’ultimo avamposto della resistenza borbonica dovette cedere sotto l’assedio dell’esercito sardo-piemontese e all’Unità d’Italia. Quel giorno, il generale delle truppe piemontesi Mezzacapo inviò un telegramma a Camillo Benso Conte di Cavour, il quale si trovava al Consiglio delle Nazioni a Parigi, che recitava: “È caduta la real piazza di Civitella del Tronto. Si è fatta l’Italia”. Quell’avamposto era proprio la fortezza di Civitella del Tronto, paese abruzzese in provincia di Teramo, a quasi seicento metri sul livello del mare, nel cuore del parco del Gran Sasso e
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a pochi chilometri in linea d’aria dal Mar Adriatico. La fortezza, edificata dagli spagnoli tra il 1564 e il 1576, ancora oggi protegge con la sua imponenza e i suoi 25 mila metri quadri di superficie, i 5 mila abitanti del paese. Il borgo esprime tutto il suo fascino in qualunque periodo dell’anno ed è anche punto di partenza per visitare un territorio naturalistico e architettonico estremamente ricco e sorprendente di paesi medioevali, abbazie e castelli che hanno resistito a guerre, tempo e popoli. E proprio sulla piazza principale di Civitella, in un palazzo del Seicento, nel 1880 è nato l’hotel Zunica, che da ormai quattro generazioni offre ospitalità ai viaggiatori in cerca di un luogo di ristoro fuori dall’ordinario. Zunica è un quattro stelle molto intimo, in cui i clienti vengono coccolati da un ambiente caldo e accogliente, con tutti i servizi necessari a rendere piacevole il soggiorno. Con un’area relax affacciata sulla piazza principale di Civitella, dispone anche di una sala da tè e da lettura, un bar con un’ampia selezione di birre speciali, ma soprattutto, cosa ancora assai rara nelle strutture di pregio, l’hotel accoglie anche gli animali domestici. Le camere, suddivise in classiche, superior e suite, sono tutte raffinate nella loro tipologia e dotate di accesso wireless a internet gratuito, tv satellitare e tutti i comfort che si addicono a una struttura di alto livello. Ma per godere appieno della bellezza dell’albergo e di Civitella del Tronto, è meglio scegliere una delle dodici camere che si affacciano sulla piazza principale del borgo e offrono una magnifica vista che si estende dal Gran Sasso al Mar Adriatico. Un altro valore aggiunto del
territorio è certamente la cucina, espressione massima dell’ospitalità, un modo per far scoprire sapori unici per qualità e abbinamenti. E Zunica, fedele a questo principio, nacque proprio nel 1880 quando Antonio Zunica decise di aprire ai viandanti la sua dimora, ma soprattutto la sua cucina, con il nome di Locanda del Mamozio. Daniele Zunica rappresenta oggi la quarta generazione della famiglia e ha fatto della passione per la cucina e l’ospitalità una scelta di vita. Assieme agli chef Luca Di Felice e Sabatino Lattanzi, Daniele vive la cucina come un laboratorio in cui si raccolgono i suggerimenti dei più anziani, le varianti dei piatti raccontate dalle famiglie del paese, i consigli dei viaggiatori. È una cucina in continua evoluzione, risultato di un sapiente equilibrio di tradizione dei piatti, freschezza dei sapori basata sulle solide fondamenta delle eccellenze del territorio. Funghi porcini, tartufo bianco che lascia il posto in inverno a quello nero pregiato dei Monti
L’hotel Zunica 1880, ricavato in un palazzo del ‘600, sorge sulla piazza principale di Civitella. Quattro stelle intimo e accogliente, è dotato di tutti i comfort per un piacevole soggiorno tra storia e natura
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Diverse camere dell’albergo si affacciano sulla piazza principale del borgo e offrono una magnifica vista che si estende dal Gran Sasso al Mar Adriatico
Il menu cambia almeno quattro volte l’anno. Ma le parole d’ordine sono sempre le stesse: stagionalità, chilometro zero e produzioni biologiche
della Laga, tutti i tipi di verdure, il prezioso zafferano di Navelli, sono solo alcuni dei prodotti utilizzati a seconda delle stagioni. Salumi, carni pregiate, come il vitellone marchigiano Igp, le pecore e i suini cresciuti allo stato brado, sono utilizzate per ripieni di pasta fresca, tipica della zona, fatta sempre a mano utilizzando farine macinate con mulino a pietra. La vicinanza con il mare, poi, arricchisce il menu che cambia quattro volte l’anno se non cinque, con pesci e crostacei. La stagione fredda è ideale per piatti come il Raviolo farcito con pecora alla callara in salsa allo zafferano e pecorino o, ancora, la Zuppetta di pecorino con tartufo nero dei monti della Laga. Tra i secondi risalta il Croccante d’agnello, in cui la carne viene battuta al coltello, arricchita con pistacchio tritato e salsa all’anice. “Un piatto, per noi, nasce dalla selezione dei prodotti con le migliori materie prime scelte sul territorio e provenienti da piccole produzioni biologiche -spiega Daniele Zunica- Questo ci permette di conoscere il
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produttore, di visitare e di controllare gli allevamenti e i campi, in maniera da intuire tutte le peculiarità, i profumi e le potenzialità già durante la fase di crescita, in modo da poter studiare consistenze e abbinamenti e valorizzare ogni stagione”. E nella cucina di Zunica si percepiscono chiaramente cura del dettaglio e ricerca del prodotto. L’armonia del piatto è la naturale conseguenza del lavoro di ricerca compiuto in cucina. È una combinazione di tecniche e di cotture sapienti che lasciano dominare i profumi della terra e non una loro sofisticata elaborazione. Anche la cantina del ristorante Zunica 1880 è connessa al territorio. Sono oltre ottanta, infatti, le etichette che esaltano i vitigni regionali, trebbiano, montepulciano e cerasuolo, oltre a tutta una selezione di vini nazionali e bollicine francesi. “Il messaggio che vogliamo trasmettere al cliente, sia straniero, come i molti europei e americani che si fermano da noi, sia italiano, è che qui si sentiranno sempre a loro agio -riflette Daniele- Per noi ospitalità vuol dire accoglienza e diffusione di una cultura del territorio sia gastronomica, sia artistica e storica unica nel suo genere”. Questo desiderio di trasmettere lo spirito, l’entusiasmo e trasferire il valore dei prodotti abruzzesi si coglie anche in iniziative come quella dei pacchetti gourmet di quattro giorni, ideati per piccoli gruppi di ospiti amanti della buona gastronomia, durante i quali si svolge un breve corso di cucina che inizia con degustazioni e visite a pastifici locali, cantine e frantoi per svilupparsi in tre vere lezioni al fine di insegnare i segreti della cucina locale. F&B scheda
Zunica 1880 Ristorante e hotel piazza Filippi Pepe 14 64010 Civitella del Tronto (Te) tel. +39 0861.91319 www.hotelzunica.it
Abbiamo sperimentato
Abbiamo scelto
Abbiamo atteso
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TERRITORI In occasione del 50° anno dalla fondazione, il Consorzio Vini di Romagna ripercorre l’evoluzione dell’enologia romagnola in un libro. Al fianco dei produttori, ha generato innovazione e valore, favorendo la riconoscibilità territoriale dei vini e il rinnovamento di vigneti e cantine
La Romagna dei vini si racconta Barbara Amati
P
er chi la Romagna ce l’ha nel cuore -come chi scrive- per chi negli anni ha vissuto il cambiamento, la crescita qualitativa, d’immagine e commerciale dei vini romagnoli, per chi ha dovuto sempre difendere il vino della sua regione, dà soddisfazione, oggi, aprire bottiglie di indiscusso livello, dal Sangiovese all’Albana, prima Docg d’Italia, al Trebbiano, ai vini più di nicchia e meno conosciuti come Cagnina e Pagadebit. Produzioni che in 50 anni sono passate dalla quantità alla qualità grazie anche al Consorzio Vini di Romagna che ha stimolato e accompagnato la crescita della vitivinicoltura romagnola e che ha voluto giustamente documentarne ogni passaggio in Mezzo secolo della Romagna dei vini, libro celebrativo del 50° anno di attività del Consorzio (edito da Consorzio Vini di Romagna, 224 pagine). Un affresco
Negli ultimi anni le produzioni romagnole hanno conquistato posti importanti nelle guide enologiche e gli apprezzamenti di critici e grandi chef. Il libro per il cinquantenario della nascita del Consorzio Vini di Romagna ne ha raccontato l’evoluzione 62 | Food&Beverage gennaio/febbraio 2013
di storie, personaggi, protagonisti che, giorno dopo giorno, da quel lontano 1962 quando il Consorzio fu fondato a Faenza, hanno contribuito a migliorare e a promuovere le produzioni romagnole che oggi hanno conquistato posti importanti nelle guide enologiche e gli apprezzamenti di critici e grandi chef. Fondato con l’obiettivo di difendere i vini tipici romagnoli, il Consorzio è stato sempre un preciso punto di riferimento per la produzione, una sede nella quale si sono definite strategie e iniziative concrete per la tutela, la qualificazione e la promozione di vini che inalberavano un marchio particolare, quello del Passatore Stefano Pelloni, il brigante romagnolo della metà del 1800 considerato benevolmente dalla gente una sorte di Robin Hood. In questi cinquant’anni, base della crescita qualitativa è stata indubbiamente la ricerca condotta dai professori dell’Università di Bologna Cesare Intrieri, nel campo della viticoltura, e Aureliano Amati, in quello dell’enologia, al Centro ricerche dipartimentale viticolo ed
Tiberio Rabboni, assessore all’Agricoltura della Regione Emilia-Romagna, e Giordano Zinzani, presidente del Consorzio Vini di Romagna, puntano su nuovi progetti per la valorizzazione di un territorio vitivinicolo che ha grandi potenzialità
enologico (Crive) dell’Ateneo bolognese, nella Cantina sperimentale di Tebano (Faenza), cuore della ricerca vitienologica in Romagna, voluta dal Consorzio. Una crescita che si è dipanata tra l’evoluzione delle forme di allevamento e nuove modalità di vinificazione, tra innovazioni in vigna e in cantina, tra tecnologie d’avanguardia che sono state capite e adottate dalle aziende grazie a quella cinghia di trasmissione che è sempre stato il Consorzio, a cui era demandato il compito di trasferire ai produttori il valore delle sperimentazioni. “Il Consorzio -conferma l’assessore all’Agricoltura della Regione Emilia-Romagna Tiberio Rabboni- ha generato innovazione e valore, favorendo la riconoscibilità territoriale dei vini romagnoli e attivando il rinnovamento di vigneti e cantine”. “Negli anni Settanta lo scenario vedeva protagonisti i commercianti e gli imbottigliatori, e i produttori che arrivavano sul mercato con bottiglie qualificate erano un numero limitato -spiega Giordano Zinzani, presidente del Consorzio Vini di Romagna che controlla circa 12 milioni di bottiglie ed è costituito da 9 cantine cooperative, 83 produttori vinificatori, 11 imbottigliatori e 4.900 aziende con vigneti iscritti agli albi delle Denominazioni di origine- La crescita importante è avvenuta negli ultimi 15 anni: oggi sono diverse le aziende che guidano la produzione di alta qualità, ma un ruolo fondamentale nella nostra regione l’ha giocato anche la cooperazione che, se prima puntava sulle vendita dei vini sfusi, in seguito ha investito in nuove tecnologie e stimolato i propri associati al miglioramento dei vigneti e alla loro valorizzazione con lo spostamento delle vigne dalla pianura alla collina”. Indubbiamente in questi anni la Romagna ha saputo recuperare la distanza qualitativa che la separava da regioni più blasonate, anche se oggi manca ancora un’immagine che qualifichi la qualità dei suoi vini. “Siamo consapevoli di avere intrapreso la strada della qualità in ritardo, ma sappiamo che oggi stiamo compiendo i passi giusti -aggiunge Zinzani- a cominciare dal disciplinare della nuova Doc Romagna, adottato
dalla vendemmia 2011, che ha unificato le Denominazioni in un unico documento, anteponendo la parola Romagna al vitigno. Il nome geografico in premessa aiuta nell’immediata identificazione di un territorio che ha una spiccata vocazione nell’ospitalità, nella cultura, nell’arte, nel paesaggio, nella qualità della vita e nella qualità della gastronomia. Nel contempo il disciplinare ha anche apportato delle piccole modifiche che si erano rese necessarie al fine di recepire i miglioramenti produttivi. Infine, l’obiettivo è stato anche quello di fare chiarezza nelle etichette, per renderle comprensibili anche a un pubblico meno esperto”. A questo si aggiunge il ruolo rinnovato del Consorzio in virtù del fatto che ha ottenuto la scorsa estate dal ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali il riconoscimento Erga Omnes che ora lo pone alla guida di tutte le aziende fruitrici -soci e non- delle Denominazioni d’origine romagnole: una grande responsabilità per guidare la valorizzazione di un territorio vitivinicolo che ha grandi potenzialità. Tra i contributi che arricchiscono il volume, le interviste a Francesca Adinolfi, già dirigente del Ministero delle Politiche Agricole, a Lorenzo Cappelli, primo tribuno del Tribunato di Romagna, al sommelier Marco Nannetti, contitolare dell’Enoteca Italiana di Bologna, a Luca Gardini, Miglior sommelier del mondo 2010, e a tre ristoratori d’eccellenza come Gianfranco Bolognesi, della Trattoria Bolognesi. Da Melania, a Castrocaro Terme (FC), Paolo Teverini, dell’omonimo ristorante di Forlì, Nerio Raccagni, di Torre Pratesi, a Brisighella (Ra): enotecari, sommelier e ristoratori sono stati il motore che ha sostenuto il vino romagnolo e le sue etichette più rappresentative, facendo un lavoro di comunicazione importantissimo. A chiudere il volume, un cameo dell’indimenticato Tonino Guerra, grande estimatore di vini e sostenitore della Romagna a tavola. F&B Food&Beverage gennaio/febbraio 2013 | 63
tipicità Dalla caciotta al semiduro, dal fior di Garofalo alla tuma persa, dalla mozzarella al caciocavallo, un viaggio goloso tra i pascoli di Agrigento e Palermo alla scoperta delle migliori produzioni casearie che riprendono i procedimenti e le ricette di famiglia, tramandate di padre in figlio
La storia antica del formaggio siciliano Irene Catarella
N Due formaggi dell’azienda Giambrone, in Contrada Passo Barbiere
ell’entroterra della Sicilia, in un territorio di verdi pascoli al confine tra la provincia di Agrigento e quella di Palermo, si estende una zona che costituisce il secondo polo alimentare del settore caseario della regione, dopo quello di Ragusa. Si tratta di un’estensione compresa tra Cammarata, San Giovanni Gemini e Castronovo, dove pascolano sia le mucche modicane, la razza autoctona più antica della Sicilia, sia le brune alpine e le frisone italiane e dove nascono caci dal sapore inconfondibile, e non solo. La produzione di formaggio ha qui origini antiche, che risalgono al periodo in cui si praticava la transumanza, che prevedeva lo spostamento del gregge in estate sui declivi di Monte Cammarata e in inverno nelle pianure di Sparacia e Tumarrano fino al Feudo Montoni.
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Liborio Mangiapane, titolare dell’omonima azienda, spronato a seguire la tradizione di famiglia da una passione profonda, ricorda, insieme al padre Domenico, come gli allevatori usassero la mannira, recinto di pietre all’interno del quale si riunivano gli animali, e come ogni pastore avesse una serie di attrezzature che portava con sé nelle migrazioni stagionali: a quadara, recipiente in genere di rame dove veniva posto il latte, i vasceddi di juncu, ossia le fiscelle di giunco per mettere la pasta del formaggio, la schiumarola, il mestolo, la tina di legno, la cannara, un insieme di canne dove si poneva la tuma prima della lavorazione, u piddiaturi, nel quale la si lavorava dopo averla affettata e la si rendeva liscia con un legno chiamato macillaturi. “In seguito si procedeva all’accoppatura, ossia si tagliava la tuma a pezzi e si lavorava con le mani -dice
Mangiapane- e dal prodotto così ottenuto, mediante la messa in salamoia e stagionature diverse, nascevano i formaggi, dal caciocavallo, perché cavato dal latte e fatto asciugare appeso alle canne, alle caciotte”. In passato, quando ogni famiglia acquistava la sua riserva di “pezze”, procedeva personalmente alla stagionatura nel tumazzaru, una stanzetta, spesso dal soffitto basso, in cui la temperatura costante favoriva la maturazione delle forme. “Andavamo una volta a settimana a controllare e a fare la cosiddetta passata da manu, considerata un’arte perché da come si accarezzava il formaggio dipendeva il buon esito della stagionatura, proprio perché serviva a evitare la formazione delle muffe”, ricorda con emozione la
Le modicane, mucche indigene del territorio tra Agrigento e Palermo, producono un latte adatto alla produzione di caci dal sapore inconfondibile. Qui sotto il tavolato e le fiscelle per la tuma che si utilizzavano nell’azienda di Liborio Mangiapane
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tipicità
Giuseppina, Maurizio e Pino Mastrella tra ricotta fresca, tuma e caci vari: in etichetta, i fiori di sulla, un’ erba che rappresenta il miglior foraggio per le mucche
Il Tomello, ultimo nato nell’azienda Giambrone: è un gustoso formaggio a pasta molle
signora Giuseppina Lo Sardo, madre dei fratelli Mastrella, proprietari dell’omonima azienda. Ai giorni nostri, con le normative europee che prevedono strettissimi obblighi di produttività e norme per la realizzazione dei formaggi in strutture specifiche e adeguatamente igieniche, i caseifici, le aziende agricole hanno dovuto attrezzarsi per conformarsi alle leggi con materiali più salubri di plastica e metallo. “Il sapore, però, è alterato perché, quando si mettevano nel siero bollente le fiscelle in giunco, il formaggio acquistava anche l’aroma di questo materiale, mentre ora, con quelle di plastica, si perde questa caratteristica”, affermano Maurizio e Pino Mastrella. La famiglia Mastrella sottolinea il proprio legame con la tradizione anche con la scelta del marchio rappresentato da fiori di sulla, un’erba rossastra che da sempre è considerata il foraggio per ottenere il latte migliore e con cui ancora oggi nutrono le loro mucche. I formaggi di questa azienda,
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in contrada Bocca di Capra, sono realizzati con latte di mucche brune alpine e di pecore di razza sarda e comprendono il primo sale liscio, o condito con pepe o peperoncino, degustabile, come la caciotta, dopo appena una settimana, lo stagionato con pepe, prodotto dopo circa dieci mesi, il semiduro, con quattro-sette mesi di stagionatura, riconoscibile dalla tradizionale scorza ricoperta di pepe, il caciocavallo, di quattro o sei mesi, dalla forma a parallelepipedo. E, ancora, non si può dimenticare la ricotta salata, conosciuta in tutto il mondo perché elemento base della pasta alla Norma, ottenuta con un procedimento preciso: la ricotta viene fatta cuocere più a lungo in modo da raccoglierla con meno siero, detto lacciata, e viene poi addizionato il sale che la fa spurgare; dopo circa quindici-venti giorni è pronta per essere grattugiata. E cosa dire degli ainuzzi, ossia i caci figurati, di cui mastra per eccellenza è Vincenza Giracello, che ha trasmesso la sua arte ai figli, proprietari dell’azienda Giambrone in contrada Passo Barbiere? Gli ainuzzi sono costituiti da formaggio a pasta filata, in questo caso di latte di brune alpine, con cui si realizzano forme di animaletti, come caprette, cervi, cavalli, creati per iniziare i più piccoli a gustare il formaggio, e le cui imperfezioni sono garanzia dell’artigianalità del prodotto. Pasquale Giambrone, mentre racconta la rottura della cagliata, che una volta avveniva con la ruotula, un attrezzo di legno dotato di una rotella piatta, puntualizza che nella loro azienda si usa solo latte crudo con cui si ottengono la ricotta, la mozzarella, la caciotta, il caciocavallo semi-stagionato, u panuzzu affumicatu. L’ultimo nato è
il Tomello, formaggio a pasta molle, considerato una specie di brie siciliano, creato da Marco Giambrone, che ha curato anche il particolare disegno del marchio, costituito da una caciotta stilizzata. Per tramandare ai più piccoli il valore delle tradizioni casearie, le aziende Giambrone e Mangiapane sono diventate Fattorie didattiche, cioè centri in cui i bambini delle scuole assistono alla lavorazione del formaggio e lo degustano insieme a piatti tipici realizzati in diretta. Molteplici le ricette che ancora le massaie di paese, come l’indimenticata Deodata Chimento, sanno realizzare: spiccano i canaluotti, costituiti dalla tuma fatta riposare e rimessa in acqua bollente per farla tornare filante, da cui si staccano porzioni della grandezza di un pugno, che vengono spianate e imbottite di salsiccia leggermente stagionata e insaporita con spezie, finocchio e peperoncino oppure con alici e acciughe salate, sfilettate e infine passate nell’uovo e nel pangrattato e fritte nell’olio bollente.
In Contrada Garofali si producono due diversi formaggi, davvero particolari: il fior di Garofalo e la tuma persa, ideati da Salvatore Passalacqua, proprietario dell’azienda, secondo delle ricette che tiene gelosamente custodite. “Il fior di Garofalo è stato riconosciuto come primo formaggio a pasta morbida di latte termizzato prodotto in terra siciliana con latte di mucche di razza varia ma che pascolano rigorosamente nel nostro territorio”, dice il sindaco di Castronovo Vitale Gattuso. La tuma persa deriva da un cacio perduto, di cui non era chiara la composizione, nominato in un libretto datato 1936 di Alberto Romolotti sui formaggi siciliani conosciuti a fine Ottocento, ristampato dal Consorzio ricerca filiera lattiero casearia, come ricorda Roberto Rubino, presidente dell’Associazione nazionale formaggi sotto il cielo (Anfosc) che si occupa della valorizzazione e della tutela dei formaggi ottenuti con latte di animali F&B al pascolo.
Fior di Garofalo e la tuma persa, ideati da Salvatore Passalacqua, secondo ricette gelosamente custodite
A sinistra, gli ainuzzi realizzati dall’azienda Giambrone: sono formaggi a pasta filata con cui si realizzano forme di animaletti, creati per iniziare i più piccoli a gustare il formaggio. Accanto, forme di tuma in salamoia
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Chef La sua è una cucina che affianca alla grande tecnica di scuola classica l’esplorazione dei prodotti autoctoni. Un laboratorio di sapori nel quartiere del Jardim Botânico, a Rio: pochi tavoli, atmosfera più europea che brasiliana e un menu di cinque portate che cambia tutti i giorni
Roberta Sudbrack brasiliana di tendenza Jerry Bortolan
V Il bel locale di Roberta Sudbrack, a Rio, e il suo piatto intrigante, il quiabo che avvolge il gambero
ivace, a base di carne e di pesce, ma anche realizzata con semplici prodotti della terra coltivati nel Nord Est, la cucina brasiliana sta salendo nella classifica della ristorazione internazionale. Un panorama nel quale la giovane Roberta Sudbrack è, in questo momento, lo chef considerato più in dai “carioca” (gli abitanti di Rio), essendo riuscita a farsi interprete di nuove tendenze e a farle apprezzare e capire ai clienti “mangia-carne” delle churrascherie. A far capire come un’ottima carne assada (alla brace) può diventare superlativa con le moderne tecniche di cottura a bassa temperatura. Quella di Roberta è una cucina che viaggia chiaramente su due binari ben precisi: grande tecnica di scuola classica, affiancata a una continua esplorazione dei prodotti autoctoni brasiliani. Classicità evidente nelle preparazioni delle portate principali, dove carni e pesci vengono esaltati da tagli da artigiano e cotture tradizionali e rigorose. La ricerca e l’approfondimento sulle materie prime nazionali si focalizza ogni anno su un prodotto differente, arrivando così col tempo a formare un patrimonio inestimabile di conoscenza e sapori. Un esempio è il quiabo (un vegetale con la forma del
peperoncino verde) che, in uno dei piatti simbolo della cuoca, viene letteralmente smontato per avvolgere un gambero semicrudo. Ma tipica della sua cucina è anche la banana, essiccata in forno fino a diventare farina, accompagnamento di molte creazioni. Il laboratorio di sapori di Roberta si trova a Rio, in una casetta arancione a due piani nell’elegante quartiere del Jardim Botânico. Pochi tavoli, un’atmosfera dal carattere più europeo che brasiliano, si presenta con un menu unico di cinque portate che cambia tutti i giorni. Non si sceglie, ma il Roberta Sudbrack (è questo il nome del ristorante) diventa una tappa irrinunciabile per tutti i golosi che si possono immergere in solide e originali creazioni tra avanguardia e tradizione. F&B scheda
Roberta Sudbrack Rua Lineu de Paula Machado 916 Jardim Botânico Rio de Janeiro, Brasile tel. + 55.21.38740139
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germania Il famoso bianco aromatico che nasce sulle ripide colline che abbracciano i grandi fiumi lo si scopre a poco a poco lungo la Strada del vino. Grazie alle particolari condizioni microclimatiche e alla conformazione dei
terreni, è uno dei più straordinari, eleganti e durevoli vini del mondo
Il Reno e la Mosella in un sorso di Riesling Elena Bianco
U Un’ansa della Mosella circondata dalle colline vitate
na strada sinuosa lunga 242 chilometri segue le anse del grande fiume, la Mosella, così arrotondate che sembrano ripiegarsi su se stesse. La valle è racchiusa fra colline erte come muraglie, disegnate dalle linee diritte dei filari del riesling, il reissende tiere, ossia animale selvatico, per via dell’aroma vagamente muschiato. Un giusto incipit è la media valle del fiume, a Treviri, la città più antica della Germania, la Augusta Treverorum fondata nel 16 a.C. dai Romani (ma una leggenda sostiene che venne fondata dall’Assiro Trebeta 1300 anni prima di Roma) e in seguito residenza imperiale di Costantino. Qui la permanenza romana si fa sentire e le Terme, il Palazzo imperiale, l’Anfiteatro, parlano di una maestosità superata solo da quelli della Città Eterna. Il percorso si può simbolicamente iniziare dal centro cittadino, a scelta fra
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un omaggio al pensiero politico nella casa/museo di Karl Marx o al senso religioso nel Duomo, patrimonio Unesco, costituito da due chiese appoggiate, una romanica e la Liebfrauenkirche gotica. Ma è uscendo dalla città attraverso la Porta Nigra, la grandiosa porta del nord in arenaria del II secolo d.C., che improvvisamente appare il maggiore lascito romano a questa regione: i vigneti di Argitis Minor, da cui pare derivi il Riesling. Il Palatinato, con le valli della Mosella, della Saar e Ruwer, è una delle principali aree vinicole tedesche: 9 mila ettari di cui oltre 5 mila coltivati a riesling ne fanno la zona di maggior produzione al mondo. Qui, inoltre, si coltivano l’autoctono elbling, il müller thurgau, il weiss e grauburgunder: è il trionfo dei bianchi, mentre ai rossi è destinata meno del 10 per cento della superficie vitata. La vite cresce su quello che nel Devoniano (400 milioni di anni fa) era un fondo marino scistoso, oggi corru-
gato dall’orogenesi in ripide formazioni collinari, il cui substrato di ardesia grigia dona mineralità, eleganza e struttura ai vini bianchi, caratterizzandoli rispetto a quelli dei Paesi più meridionali. La verticalità è in parte responsabile di un microclima temperato: protegge infatti dal vento del nord e consente una migliore esposizione al sole. Questo è quanto accade nei vigneti di Berthold e Ingrid Oster, così aerei da somigliare a un’Alta Via Alpina. Si trovano nell’Ürziger Wurzgarten, unica area caratterizzata dal Rotliegend, una roccia rossa di origine vulcanica. Le pendenze fino al 70 per cento e una sola strada d’accesso limitano l’uso degli antiparassitari alla nebulizzazione dall’elicottero. Per il resto dei trattamenti si usano tecniche a basso impatto: le piante di rosa sentinella e la tecnica di lotta integrata attra-
Le Terme Romane a Treviri e la Porta Nigra, che si affaccia sulla piazza centrale, dove Karl Marx visse bambino con la famiglia
Ingrid Oster mostra il “suo” Riesling. A sinistra, l’orto di erbe aromatiche degli Oster, sopra Ürzig, e i ripidi vigneti dell’Ürziger Wurzgarten, caratterizzati da rocce rosse
germania
Le reginette del Riesling al Castello di Johannisberg nella Rheingau. Il ripido, assolato vigneto di Bacharach richiede un elevatore a cremagliera per vendemmiare. A destra, Ian Klein mostra le uve della sua vigna. In basso, BernkastelKues, il cuore della Mosella, fra moderne chiatte fluviali e secentesche dimore del centro storico
verso i feromoni. Da questa viticoltura “eroica” si ricavano 60 mila bottiglie circa, fra cui il Riesling Erdener Treppchen 2011, proveniente da piante di cinquant’anni, le cui lunghe radici hanno assorbito un maggior numero di minerali, che l’hanno reso singolarmente secco e con una grande persistenza e complessità aromatica. Scendendo fra i vigneti si arriva a Kröv, piccolo paese in riva alla Mosella, uno dei tanti lungo il fiume con le cantine che offrono visite e degustazioni. Staffelter Hof, donato nell’ 862 da Lotario II all’Abbazia di Stavelot, è la più antica. Gli antenati degli attuali proprietari, la famiglia Klein, erano lavoranti dei monaci e dopo la
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secolarizzazione dei beni ecclesiastici da parte delle truppe rivoluzionarie francesi, ebbero il possesso della terra. Oggi coltivano biologicamente nove ettari e vendemmiano manualmente un riesling che, a seconda della posizione della vigna, utilizzano per vini secchi, demi-sec, dolci, e spumanti, fra cui un crémant Riesling rifermentato 24 mesi in bottiglia molto gradevole per la fruttata freschezza. Ma il fascino della Mosella si apprezza non solo in cantina: il modo migliore per godere della natura è sicuramente percorrere almeno in parte le piste ciclabili, che dalle sorgenti in Francia arrivano fino a Coblenza, dove il fiume si getta nel Reno. Sui sentieri sterrati fra la vegetazione verdissima lungo il corso d’acqua, quasi a ogni curva si è sovrastati da castelli medioevali e si attraversano romantici villaggi e piccole città. Vale
cuochi
Le stelle di Becker brillano su Treviri
una sosta Bernkastel-Kues, con le sue strade lastricate, la piazza del mercato circondata da case secentesche a graticcio di legno e le pergole di vite che fanno da tetto ai vicoli. Dal cosiddetto “angolo tedesco” di Coblenza ci si trova nella valle del Reno che fino a Magonza è un susseguirsi di colline di quarzite e scisti argillosi e 3 mila ettari a vigneto che dolcemente circondano il grande fiume. La navigazione in battello offre paesaggi di grande suggestione: imbarcandosi a St. Goar si può scegliere fra le molte fermate tra le due rive. Bacharach ha i vigneti impervi orientati a sud e una cinta muraria del 1356, ancora percorribile e resa attuale dalle molte abitazioni che vi si affacciano. Fra di esse il Rhein Hotel, piccolo albergo con un bel ristorante dove lo chef Andreas Stüber offre deliziosi formaggi e salumi di capra, un animale molto diffuso perché usato tradizionalmente per “ripulire” i prati in pendenza, e per la produzione di tenerissime carni di vitello stufate al Riesling, neanche a dirlo. I vini sono quelli del posto: un ottimo Riesling della cantina Mades che
A Treviri non è troppo oneroso concedersi una cena da Wolfgang Becker, due stelle Michelin, che in una struttura minimalista riunisce design hotel, winebar e ristorante. Minimalista anche l’elegante sala, caloroso, invece, il benvenuto dalla cucina con tanti piccoli assaggi stuzzicanti e freschi, come il gazpacho verde di cetriolo e coriandolo servito con un gambero, la tartare di tonno con yogurt e gelatina di lime, piacevole nel contrasto fra il grasso e l’acido, la rapa rossa declinata in gelato, al naturale e in meringa, con ostrica in gelatina e dadini di speck, in buon equilibrio fra dolce, salino e salato. Ottimo conoscitore delle materie prime, Becker le propone nel ristorante che porta il suo nome, Becker’s (www.beckerstrier.de) senza mascheramenti, esaltando con cotture accurate le caratteristiche dei singoli prodotti che nel piatto risultano non contaminati da connubi “furbi”. Il foie gras, quindi, si esprime chiaramente, proposto in scaloppa, paté e gelato, con accompagnamenti semplici ed efficaci: l’uovo di quaglia, la gelatina di Riesling, il pan brioche. L’astice convince semplicemente scottato su di una crema di prezzemolo e accompagnato dai porcini, l’agnello merino, rosato da una cottura a bassa temperatura, con puré di melanzana e aglio nero ha la semplicità del grande piatto. Uno chef concreto, Becker, che non stupisce con effetti speciali, ma con una cucina leggera perché fatta con i singoli sapori, con l’equilibrio di dolce-salato, croccantemorbido, caldo freddo.
Le raffinate creazioni di Wolfgang Becker: agnello merino a bassa temperatura e foie gras. In basso, Andreas Stüber, eccellente chef a Bacharach e la caratteristica cittadina affacciata sul Reno
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FOCUS indirizzi gourmet
Ristoranti e hotel
Le celle dell’elegante banca del vino della famiglia Ress a Hattenheim. Sotto, degustazione all’enoteca Bastian a Bacharach e il Riesling di Mades, fra i migliori renani. A destra, Merluzzo fritto con puré all’olio di sesamo da Civitas, a Nierstein
grazie al sole della vigna di Bacharach ha acquisito una struttura da vino rosso, aromi caldi di frutta matura e l’annata, il 2005, ne dimostra la predisposizione alla longevità. Straordinario il vino dolce: il Riesling Bacharacher Halm di Toni Jost del 2011 ha sentori di frutta esotica, fico secco e dattero e un finale lungo da passito di razza. La cantina Bastian, invece, all’ottava generazione, produce il Riesling da un vigneto di due ettari su di un’isola in mezzo al Reno: l’Insel Heyles’en werth del 2010 stupisce con la sua nota agrumata, lime, pompelmo ed erba fresca, che contraddistingue questa vite cresciuta sulla sabbia. La fama del Riesling renano ha suggerito a Stefan Ress, quarta generazione della cantina Balthasar Ress a Hattenheim, nel Rheingau, fra i maggiori produttori di Riesling al mondo, una “banca” dove ogni cliente può “stoccare” i suoi vini più preziosi. In una elegante e tecnologica cantina con celle personalizzate, la clientela, prevalentemente aziende, può invitare gli ospiti per un’insolita degustazione. Sono garantite temperatura e umidità ottimali e sicurezza. Questo è il cuore nobile del Riesling renano: sulle morbide alture di quarzite, Johannisberg, abbazia benedettina vecchia di 1200 anni del Principe Abate di Fulda e, dopo la secolarizzazione napoleonica, della famiglia von Metternich, è il fulcro di tutta la viticoltura della Rheingau. Qui, nel diciottesimo secolo ha avuto i natali la vinificazione di vendemmie tardive con le uve botritizzate e oggi è un luogo d’incanto dove organizzare un evento, pranzare con vista sui vigneti o acquistare i vini del castello. A pochi chilometri, ricordiamo, si trova Geisenheim, una delle Facoltà di viticoltura ed enologia più quotate al mondo: siamo nell’Università del vino. Ma non sempre la nuova generazione di enologi esce di qui: Kai Schätzel, a Nierstein, ha trasformato l’antica casa di famiglia in azienda e cantina e vinifica con metodi biodinamici l’uva pigiata con i piedi proveniente da sette ettari, seguendo i suggerimenti del diario del bisnonno. Sta conducendo sperimentazioni alla ricerca di un metodo personale, fra una
Becker’s Olewiger Str. 206 54295 Trier tel. +49 (0) 651 93808-0 www.beckers-trier.de Oechsle Wein & Fischhaus Palaststr. 5-7 54290 Trier tel. +49 (0) 651-9917264 Weinhaus Weiler Marktplaz 4 55430 Oberwesel tel. +49 (0) 674493050 Stüber’s Restaurant, Rhein Hotel Langstr.50 55422 Bacharach am Rhein tel. +49 (0) 6743-1243 www.rhein-hotel-bacharach.de Baiken Restaurant Wiesweg 86 65343 Eltville am Rhein tel. +49 (0) 6123900345 www.baiken.de Civitas Weinstube Marktplatz 9 55283 Nierstein tel. +49 (0) 61335714995 www.civitas-nierstein.de Blesius Garten Hotel Olewiger Str. 135 54295 Trier tel. +49 (0) 651 36060 www.blesius-garten.de Augustin’s Hotel Rathaus Str. 2 55430 Oberwesel tel. +49 (0) 6744710070 www.augustins-hotelgastro.com Rhein-Hotels Bacharach Langstr.50 55422 Bacharach am Rhein tel. +49 (0) 6743-1243 www.rhein-hotel-bacharach.de Favorite Parkhotel Mainz Karl-Wieser Str. 1 55131 Mainz tel. +49 (0) 613180150 www.favorite.mainz.de
pressa vecchia di sessant’anni e il raffreddamento con l’azoto, e i suoi vini sono un work in progress che parla di uno dei futuri possibili di questa zona unica (info: Ente Nazionale Germanico per il Turismo, Milano, tel. F&B 02.00667797, www.germany.travel.it).
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Verona, SABATO 6 APRILE 2013
Verona 7 | 10 APRILE 2013
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belgio A Liernu c’è il regno incontrastato del cuoco di origini coreane Sanghoon Degeimbre. La cucina è decisamente spiazzante, chimica ed emozionale, con rivestimenti di silicio e alginati, ma anche costruzioni estetiche, che deliziano l’occhio, e sapori netti e definiti che stuzzicano il palato
Contorni zen a L’Air du Temps Gualtiero Spotti
I L’Air du Temps è uno degli indirizzi più interessanti del nuovo Belgio gourmand
l Belgio è una delle nazioni europee emergenti sotto il profilo strettamente gastronomico, e non solo per la ben nota presenza di prodotti ultracelebrati come il cioccolato o la birra. Qui si incontra, su un territorio relativamente piccolo, una grande quantità di ristoranti stellati, ma anche cucine dove sono diversi i cuochi che dimostrano una spiccata creatività per il curioso incrocio di stili che mette in contrapposizione prodotti locali ed eccellenze internazionali. Un territorio dove si evoca la vicina Francia ma si strizza l’occhio anche ai rampanti nordici, in un melting pot spesso audace ed entusiasmante. Il Belgio, però, vive anche da un punto di vista strettamente culinario una netta divisione territoriale. Il nord, con le Fiandre, è vivace e ricco di opportunità per i foodies più accaniti, nella Vallonia, una regione densamente meno popolata, invece gli indirizzi da tenere a mente si contano sulle dita di una mano. Uno di questi, forse il più interessante, è a Liernu ed è il regno incontrastato del cuoco di origini coreane Sanghoon Degeimbre, assoluto protagonista nel suo ristorante dai contorni zen chiamato L’Air du Temps. Il luogo e la cucina sono decisamente spiazzanti e inducono a molte riflessioni, come d’altro canto accade quando si scopre il tortuoso percorso professionale che ha affrontato. Adottato in Belgio in tenera età, Sanghoon fino a quindici anni fa non aveva
mai cucinato in un grande ristorante. Gli è accaduto quando si è deciso a inaugurare L’Air du Temps, ma prima il suo curriculum diceva di un diploma di macellaio ottenuto verso la metà degli anni Ottanta e di un successivo apprendistato nel mondo del catering. Tutto questo prima di cimentarsi come sommelier, dal 1989 fino all’apertura del suo ristorante nel 1997, in giro per il Belgio. Una passione, quella per il vino, che lo ha portato a sperimentare i primi piatti. Non tanto nel più classico wine pairing, ma nell’accostamento di note e di aromi provenienti dal vini direttamente nel piatto, incrociandoli con i sapori della carne e del pesce. Così, all’inizio del secolo, il fermento di nuove tecniche di cottura, di strumenti di precisione e di scienza applicata alla cucina che invade i ristoranti (sulla scia dei testi di Hervé This) diventa il motore capace di spingere l’autodidatta Sanghoon verso nuovi orizzonti. A iniziare dal food pairing, ovvero la ricerca delle molecole aromatiche che compongono un alimento al fine di abbinarlo ad altri che ne condividono le caratteristiche. È da questa intuizione che è nato, ad esempio, il suo famoso piatto Kiwostrica. Come? Semplice, un giorno il cuoco annusa un kiwi
e percepisce delle note di pesce, da qui capisce che i due alimenti in qualche modo si possono incontrare. Il passo successivo, per non creare composizioni imbarazzanti, è l’assoluta precisione e attenzione maniacale nel dosare le quantità, nel trovare i numeri perfetti delle dosi (nella cucina d’avanguardia i numeri sono essenziali nella riuscita di un piatto) che portano al giusto equilibrio. Qui nasce la cucina di Sanghoon Degeimbre, un po’ chimica e un po’ emozionale, dove troviamo rivestimenti di silicio e alginati ma anche costruzioni estetiche che deliziano l’occhio e sapori netti e definiti che stuzzicano il palato. Lo dicono le recenti preparazioni come Mare e caffè o Formaggio e caffè, anche se un ottimo esempio rimane il Piccione di Waret (una località belga vicina a Noville) con purea di pastinaca con alga nori, cosce di piccione confit e sugo con fava di Tonka, un classico del ristorante che ancora oggi si può trovare in carta e che presenta tre tipi di cottura, quella tradizionale, quella sottovuoto e con ultrasuoni. Una scelta, quest’ultima, operata per evitare i diversi gradi di cottura di cosce e filetti di piccione, ma anche per una più rapida estrazione degli aromi, consentita proprio dall’utilizzo della cottura a ultrasuoni. Gli anni più
recenti hanno visto il cuoco di origini coreane farsi largo nel variegato mondo degli eventi gastronomici internazionali. Da Culinaria a Paris des Chefs, da Madrid Fusion ai Flemish Primitives (i Primitivi Fiamminghi), la sua cucina ha raccolto consensi e interesse come dimostrano anche l’attenzione posta da guide celebrate come Michelin e Gault Millau, che lo hanno messo ai vertici nel panorama belga dei ristoranti che contano. Certo è che un passo fondamentale per entrare in contatto con la cucina innovativa di Sanghoon Degeimbre è la lettura dei suo primo libro intitolato L’Air du Temps e opportunamente diviso in due volumi. Il primo, intitolato Cooking, spiega in ricette la storia del cuoco, mentre il secondo, Casting, permette di vivere l’incontro con alcuni dei suoi principali fornitori di materia prima. Poi è chiaro che nulla vale il piacere di mettersi in viaggio verso la bucolica campagna vallone per sperimentare l’esperienza quasi mistica di una cucina sorprendente e di un luogo da puro relax.
Sanghoon Degeimbre ha affrontato un tortuoso percorso professionale che lo ha portato, da autodidatta, a cimentarsi con successo con le nuove tecniche di cottura e con la scienza applicata alla cucina. Tra i suoi piatti più famosi Formaggio e caffè, a sinistra, e il Mare e caffè, accanto
F&B scheda
L’Air du Temps Rue de la Croix Monet 2 5310 Liernu (Belgio) tel. +32 (0) 81813040 www.airdutemps.be
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venezia Pierre-Yves Rochon, maestro di scenografie d’interni, ha restituito a nuova, smagliante giovinezza le quattro Suite Palazzo Dandolo. Quattro tempietti di eleganza, autentico trionfo di gialli, oro e zafferano, che richiamano la fastosa ricchezza della città nell’età dei Dogi
Hotel Danieli, restyling nel rispetto della storia Beba Marsano
H Le suite emozionali di Palazzo Dandolo dell’Hotel Danieli si affacciano sul bacino di San Marco
a firmato il restyling del George V di Parigi e del Peninsula di Shanghai, dell’Hotel de Paris di Montecarlo e del Grand Hôtel du Cap di Saint-Jean Cap Ferrat, del Four Seasons di Londra e di quello di Firenze. Lui è Pierre-Yves Rochon, maestro di scenografie d’interni ad alto impatto emozionale, che ha restituito a nuova, smagliante giovinezza le quattro Suite Palazzo Dandolo dell’Hotel Danieli a Venezia, gioiello del Gruppo Starwood. Quattro tempietti di eleganza, tutti affacciati su un quadro, quel bacino di San Marco topos della pittura veneziana, celebrato in trionfi di colore e di luce dai giganti del vedutismo settecentesco: Canaletto, Bellotto, Guardi. E il restauro delle storiche suite (in cui hanno dormito, tra i tanti, Bill Gates e l’emiro del Quatar, e dove Carlo Verdone ha girato alcune sequenze del film Viaggi di nozze) è stato condotto come quello di un’opera d’arte. Nel rispetto dell’identità di uno stile, e a dispetto di un’epoca -la nostra- in cui anche il panorama del bello è dominato da un gusto seriale. Il risultato? L’espressione più compiuta dell’ospitalità contemporanea in chiave storica. Dove meraviglie tecnologiche convivono in complice armonia con pezzi da museo, patrimonio della gloria della Serenissima. Come l’affresco con volo di angeli in un cielo di cirri rosati di Jacopo Guarana (XVIII secolo), restaurato in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti e pezzo forte della Doge Dandolo Royal Suite: 150 metri quadrati di lussi sontuosi da 5.150 euro a notte, che in alta stagione salgono a 9.900 euro. Nel prezzo il privilegio di essere circondati da tele del macchiaiolo lagunare Ermolao Paoletti e da vetri di un maestro della forma quale Archimede Seguso, da antichi lampadari di Murano e da tappeti persiani (di cui Venezia nel Rinascimento fu il massimo centro d’importazione) a coprire classici pavimenti a terrazzo. Per non parlare di tessuti e tappezzerie, autentico trionfo di gialli, oro e zafferano, che richiamano la fastosa ricchezza della città nell’età dei Dogi. Non meno esclusive le Signature Suite ispirate a tre
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delle ospiti più celebri nella storia dell’hotel, Greta Garbo, Maria Callas, Grace Kelly, dove a evocare la personalità di ciascuna sono soprattutto i colori. Declinata sui toni del bronzo la Suite Greta Garbo, che omaggia la diva del cinema anni Trenta con un’eleganza algida quanto la sua leggendaria bellezza. Teatrale, scenografica, avvolgente quanto il suo temperamento focoso e appassionato la Suite Maria Callas, trionfo di verde e di salvia, le tonalità predilette dalla grande signora dell’opera. Sfumature di rosa cipria e grigio perla, invece, per la suite intitolata a un’intramontabile icona di stile come Grace Kelly. Il restyling delle Suite Palazzo Dandolo (un’operazione durata sette mesi e costata un paio di milioni di euro) non è che la prima fase di un progetto che intende riportare al fascino di un tempo il trecentesco Palazzo Dandolo, tutto colonne in marmo rosa, soffitti a foglia d’oro e damaschi preziosi, il più antico dei tre edifici storici in cui si sviluppa l’hotel. Da novembre a marzo 2013 un secondo ciclo di lavori, sempre per la regia di Pierre-Yves Rochon, vedrà la trasformazione di 19 camere in 8 nuove suite e 4 stanze premium deluxe. Un processo di rinnovamento iniziato nel 2008 con l’intervento in Palazzo Danieli Excelsior di Jacques Garcia, enfant prodige dell’interior design d’Oltralpe, autore tra gli altri di due icone del lusso contemporaneo come l’Hotel Costes di Parigi e il Métropole di Montecarlo. Un intervento culminato nel roof garden, con il Ristorante Terrazza Danieli, la più bella tavola con vista del mondo, con affaccio aereo sul Canal Grande che confluisce nel bacino di San Marco e
sulle isole della laguna. “Venezia è come mangiare un’intera scatola di cioccolato al liquore in una sola volta. Ti stordisce”, diceva lo scrittore americano Truman Capote. Niente di più vero. Soprattutto da qui, nella voluttà di velluti cremisi e grandi specchiere lavorate che moltiplicano la magia delle luci soffuse. Una degna cornice alle raffinatezze papillari dello chef Gian Nicola Colucci, da scegliere in un menu dove la tradizione veneziana e quella mediterranea si sposano a sapori e profumi d’Oriente. Qualche esempio? Cacciucco ai frutti di mare e crostacei aromatizzato allo zenzero; Trancio di pesce spada in crosta di pane alle spezie orientali con crema di finocchi e cavoletti di Bruxelles; Controfiletto di manzo Kobe con croccante di patate, verdure di Sant’Erasmo e salsa Teriyaki. Sontuosa la lista dei vini, antologia delle più prestigiose produzioni italiane e non, con una trentina di etichette di soli Champagne. F&B
A sinistra, il ristorante Terrazza Danieli, la più bella tavola con vista sulla laguna, e alcune delle rinnovate suite
scheda
Hotel Danieli Riva degli Schiavoni 4196 30122 Venezia tel. 041.522 6480 www.danielihotelvenice.com
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gourmet “Il cinema è una fetta di torta, non una fetta di vita”. Alfred Hitchcock era un maniaco del cibo e un esperto ed esigente buongustaio. Figlio di un macellaio, amava tanto la tavola quanto i film e spesso li combinava in un mix di brivido e godimento, di Eros e Thanatos
Chez Alfred Il cibo secondo Hitchcock Erica Re
‘‘L’
uomo non ha bisogno solo di delitti, ma anche di pasti abbondanti”. Il che è tanto più vero se ad affermarlo è stato proprio colui che tradizionalmente viene considerato il maestro del brivido, ovvero Alfred Hitchcock. Il quale, con il cibo, aveva sviluppato un rapporto di vera e propria dipendenza, come mette chiaramente in evidenza il film Hitchcock in uscita il 21 febbraio. Nella pellicola di Sacha Gervasi che racconta il making of , cioè il dietro le quinte del suo capolavoro, Psycho, sono infatti numerose le scene in cui lo si sorprende, ad esempio, in preda a un attacco di fame in piena notte mentre afferra dal frigorifero una coscia di pollo. Del resto non è più un mistero che, davanti a una tavola imbandita o, piuttosto, dietro il bancone della sua cucina, il regista inglese si sentisse a proprio agio come in un set cinematografico al punto ormai che la fama di abile e goloso gourmet lo precedev ovunque andasse. E in questo senso, moltissimi sono le leggende e gli aneddoti (veri o presunti che fossero) circolanti sulle sue abitudini culinarie, a volte messe in circolo proprio da lui. Ad ogni invito che riceveva, ad esempio, era solito rispondere: “Mi è proprio impossibile venire a cena da te. Io sono un autentico buongustaio e non ho idea di cosa potrebbe mettere in tavola tua moglie”. Più facile, quindi, era incontrarlo in uno dei suoi pochi ristoranti di fiducia, come il Chasen di Beverly Hills che lo accoglieva ogni giovedì a pranzo con una doppia bistecca e un punch allo Champagne. Ancor di più, poi, amava ricevere ospiti nella sua cucina, il cui costo, pari a 75 mila dollari, era risultato superiore all’acquisto stesso dell’immobile. Lì, infatti,
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fra i fornelli e l’enorme locale frigorifero, poteva veramente essere the one man show, al quale era affidato uno spettacolo gastronomico di tutto rispetto. Ce ne ha lasciato testimonianza Alida Valli (scelta da Hitch per Il caso Paradine) che era solita ricordarlo “avvolto in un candido grembiule simile a quello del padre macellaio e intento a cucinare minestre improbabili e carni sublimi”. E, difatti, la carne era decisamente il suo piatto preferito: adorava la bistecca con il purè di patate (altro ingrediente immancabile nel suo piatto), le costolette d’agnello con pastinache o in alternativa il roast beef e gli arrosti. Era un amante anche del pesce, in particolare delle sogliole di Dover (rigorosamente cotte alla griglia) che per quasi mezzo secolo si fece spedire via aerea da Londra, così come riceveva in media una cassa al mese di Apfelwein, un sidro scuro di cui andava pazzo. “Il cinema è una fetta di torta, non una fetta di vita”: Hitchcock amava tanto la tavola quanto i film ed era lui stesso a dichiarare che trovava uno straordinario appagamento nel cibo. “È un fatto più mentale che fisico così come ci sono due modi per mangiare: mangiare per vivere o mangiare per piacere. Io mangio per piacere”. Del resto lo si comprende anche nei suoi film, in cui il cibo è spesso protagonista (pensiamo, ad esempio, a Frenzy o a Champagne dove il vino è predominante già nel titolo), strumento indispensabile ai fini della storia (in Il sospetto il latte viene avvelenato mentre in Nodo alla gola si servono tramezzini dalla cassapanca dove poco prima era stato riposto il cadavere) o, ancora,
indicatore preciso di psicologie e personaggi (è il caso della cena in L’ombra del dubbio). E, naturalmente, gli psicoanalisti non si sono certo fatti sfuggire l’occasione di analizzare un caso così clamoroso di bulimia. In particolare, è risultato evidente il collegamento che il genio inglese sviluppò nei confronti della paura e della dipendenza da cibo. Al punto che per lui “ogni film è diventato un pasto completo per esorcizzare la sua paura”. E, difatti, le cronache dell’epoca ricordano come il lavoro sul set coincidesse regolarmente con una dieta ferrea di Hitch, quasi che le sue ossessioni culinarie si trasferissero sulla pellicola: giusto per fare un esempio, Il delitto perfetto e La finestra sul cortile, girati entrambi nel 1954, gli erano “costati” ben 45 chili. Altrettanto evidenti nelle sue opere sono anche i legami che intercorrono tra sesso e cibo: in Notorius. L’amante perduta, Cary Grant e Ingrid Bergman si mordicchiano le labbra mentre commentano il pasto serale a base di pollo. Inoltre, si ha spesso l’impressione, che il connubio tra morte e cibo in qualche modo rinvii a Thanatos, ne sia il suo stesso emissario: pensiamo ad esempio a Blackmail, Sabotaggio o a Caccia al ladro, in cui la signora Stevens spegne la sigaretta in un uovo, che il regista notoriamente odiava e che altrettanto notoriamente è simbolo di vita. Per fortuna, però, il sense of humour di Hitch, imprescindibilmente inglese, sapeva anche smorzare i toni più cupi. Alla domanda: “Come sceglierebbe di essere ucciso?”, era solito infatti rispondere: “Be’, ci sono molti modi piacevoli. Mangiando è uno di questi”. F&B
Sacha Gervasi, regista del film Hitchcock, in uscita il 21 febbraio, che racconta il dietro le quinte di Psycho, svelando anche la grande passione di Alfred Hitchcock per il cibo: tra i suoi piatti preferiti la carne
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prevenzione In Italia sono circa 5 milioni le persone affette da osteoporosi. È importante, quindi, promuovere campagne di informazione sullo stile di vita e soprattutto sulla terapia alimentare per prevenirla e sensibilizzare i consumatori verso l’inscindibile binomio cibo sano uguale benessere
Anche per le ossa la salute vien mangiando Irene Catarella
C
he il cibo sia ormai una forma terapeutica per la prevenzione delle malattie, dalle più gravi alle più lievi, è ormai assodato, ma, d’altro canto, troppi sono coloro che speculano sull’argomento con la creazione di mode alimentari che talvolta nascondono un business sfrenato e non la ricerca del benessere. Una delle patologie sulle quali si “lucra” di più è l’osteoporosi. Luigi Sigigaglia, presidente di Siommms (Società italiana osteoporosi, del metabolismo minerale e delle malattie dello scheletro) ricorda che questa malattia è definita “sistemica dello scheletro, caratterizzata da una ridotta massa ossea e dal
Poiché la prima causa di osteoporosi è l’acidosi bisogna diminuire l’assunzione di proteine, compresi formaggi e latticini 82 | Food&Beverage gennaio/febbraio 2013
deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo, con conseguente aumento della fragilità ossea e una predisposizione alle fratture”. Sia il professore che Ombretta di Munno, associata di Reumatologia della Sezione Osteoporosi all’Università di Pisa, ribadiscono che la prevenzione di tale patologia si fonda su una terapia di tipo alimentare. E, siccome la prima causa di osteoporosi è l’acidosi, che porta in solubilizzazione il calcio, bisogna cominciare a diminuire l’assunzione di proteine, compresi formaggi e latticini. Una volta tolta l’acidosi, si può cominciare a somministrare il calcio sotto
forma assorbibile -altrimenti finisce nelle arterie e le indurisce- assumendo cibi alcalinizzanti, quali frutta matura, verdure, orzo, grano saraceno, fagioli Azuki, di soia e di Lima, noci del Brasile, germogli di mandorle, miele e miglio, insieme ad acque minerali calciomagnesiache, come Uliveto, Sangemini, Lete e Ferrarelle, poiché è stato dimostrato che bevendo due litri di questo tipo di acque al giorno si ha un’ottimizzazione della prevenzione dell’osteoporosi. Secondo Emilio Minelli, docente di Terapia del Dolore con tecnica agopunturistica della Scuola di Specialità di Chirurgia Ricostruttiva e Plastica all’Università degli Studi di Milano, bastano piccoli accorgimenti alimentari per compiere i primi passi preventivi, come evitare il caffè, lo zucchero bianco, l’alcol, il lievito e il sale, a meno che non si tratti di quello marino o dell’Himalaya, e consumare in modo costante alimenti come il sesamo, che contiene il 120 per cento di calcio in più di un analogo quantitativo di latte; per la prevenzione dell’osteoporosi sarebbe utile spargerlo, già tostato perché più digeribile, su insalate e verdure. In mancanza di altro, anche gli integratori legati alla fitosoia aiuterebbero il processo, ma basilare è lo stile alimentare che, se adeguato, fornisce un quantitativo di calcio biodisponibile che si fissa naturalmente. In ogni caso, come ha messo in evidenza Ferdinando Silveri, dirigente medico alla Clinica Reumatologica dell’Università Politecnica delle Marche, è fondamentale che si venga educati fin da bambini a un’alimentazione equilibrata. Non devono, quindi, mancare sulla tavola verdure crude o cotte, soprattutto a foglia verde, che abbiano tutti i principi attivi che possiedono come fossero appena colte. Poiché non è facile, soprattutto nelle grandi città, gustare verdure appena raccolte, occorre consumare prodotti di cui si ha la certezza che siano stati sottoposti a processi di conservazione che non ne alterino le proprietà, come quelli di Orogel, azienda nazionale leader di alimenti freschi surgelati, vicina al mondo scientifico dei nutrizionisti e dei medici che vogliono informare i consumatori attraverso una rete di consigli utili da comunicare ai consumatori. Luca Pagliacci, direttore marketing di Orogel, riba-
disce come l’azienda sia sempre più attenta a fornire prodotti nutrizionalmente corretti come quelli de Il Benessere, una linea di vegetali naturali ricchi di principi attivi resi, così, disponibili tutto l’anno ed è per questo che è al fianco di Fedios, Federazione italiana osteoporosi e malattie dello scheletro. Oltre all’attività fisica sotto carico che stimola la massa ossea, ci sono innumerevoli ricette da sperimentare con gli alimenti utili alla prevenzione, perché mangiare sano non significa rinunciare al piacere della tavola. Ci sono piatti come le sarde con le verdure, salmone e insalata di asparagi con il pesto, pesce persico a vapore con finocchi o prezzemolo e capperi, dentice con capperi, limone e timo fresco servito con bietole, pollo arrosto con aceto balsamico e pilaf di riso integrale, lombata di agnello profumata con prezzemolo e senape con insalata di spinaci, ma anche piatti vegetariani come il cavolo verde marinato con ravanelli e pinoli, gli involtini tailandesi di verdure con salsa di mandorle, frutta secca ricca di sali minerali e pochissimi grassi. Una ricetta stellata viene da Pietro Leemann, patron del milanese Joia, che ha creato Chapitta, un piatto ricco di elementi nutrizionali essenziali per la prevenzione dell’osteoporosi. Nasce dall’unione di due tradizioni: il chapati indiano e la pitta di origine araba. Si tratta di pane azzimo integrale e di farina di farro, condito con spinaci, crescenza, pesto di carote, olive e pomodori disidratati, tutti ingredienti ricchi di calcio e vitamina D. In aggiunta, il sesamo, che arricchisce il gusto e stimola la rigenerazione cellulare. F&B
Numerose sono le ricette da sperimentare con gli alimenti utili alla prevenzione. Lo sa bene Pietro Leemann che ha creato Chapitta, qui sopra, un piatto di ispirazione araba e indiana che contiene ingredienti ricchi di calcio e vitamina D come il pane azzimo, gli spinaci, la crescenza, il pesto di carote, olive e pomodori disidratati
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SFIZIOFOOD Con il suo sapore fresco e penetrante e le sue proprietà benefiche questa radice antica ha conquistato anche le nostre tavole. Cuochi importanti lo utilizzano spesso come ingrediente principe delle loro creazioni, proprio per la sua caratteristica agrumata pungente, ottima per aromatizzare i piatti
Un tocco di zenzero Monica Mazzanti
C’
è una radice che viene da lontano ed è davvero bizzarra, con quella sua forma bitorzoluta dalle variegate ramificazioni nodose che assumono fattezze sempre diverse. Per questo ha suscitato la curiosità di molti ma, piano piano, ha saputo conquistarsi un posto di tutto rispetto sugli scaffali dell’ortofrutta. È la radice di zenzero. Nella cucina orientale è una delle spezie più conosciute, da sempre aromatizza e insaporisce cibi di ogni tipo, carni e zuppe in particolare. In India viene, ad esempio, utilizzata in polvere come ingrediente dell’onnipresente curry; in Giappone, servito sottaceto, è l’immancabile complemento di sushi e sashimi. Ma non solo. Nel mondo anglosassone se ne fanno deliziosi biscottini; negli Stati Uniti è la base di una delle bevande più
Dal Ginger Ale ai biscotti, lo zenzero è perfetto declinato in piatti dolci e salati. Coltivata fin dall’antichità in India e in Cina, questa radice è ormai utilizzata in tutto il mondo 84 | Food&Beverage gennaio/febbraio 2013
popolari, il Ginger Ale, che, a sua volta, deriva dalla birra irlandese allo zenzero, e un po’ dappertutto se ne fanno tè e tisane aromatizzate. Ma, abbandonando il campo culinario, lo zenzero spazia, attraverso la storia e attraverso i popoli, nei più svariati impieghi. La leggenda racconta che, nella prelibata forma candita, se ne facesse grande uso negli harem arabi per la presunta azione afrodisiaca. Alcuni popoli africani ritengono che mangiarlo preservi dalle punture delle zanzare. E, ancora, agli apprendisti sciamani veniva spalmata sulle palpebre una miscela di zenzero e tabacco affinché potessero vedere gli spiriti della foresta. In Thailandia, invece, nell’ambiente della muay thai -la boxe locale- è comune l’utilizzo di impacchi di zenzero con oli ed erbe medicinali per dare sollievo a traumi muscolari e tendinei. Lo zenzero è inoltre impiegato per disturbi circolatori, mal di denti, raffreddore, nausea e diarrea, nonché come energizzante in stati di affaticamento. Ci sono, però, alcune controindicazioni, in quanto può potenziare l’attività di farmaci anticoagulanti, antinfiammatori e antiaggreganti piastrinici perché inibitore della trombossano sintetasi. Già nell’antichità Greci e Romani ne conoscevano le proprietà farmacologiche e lo importavano dall’area del Mar Rosso ma, con la caduta dell’Impero romano, lo zenzero scomparve dall’Europa. Marco Polo lo riportò nel Vecchio Continente, ma fu soltanto nel XVI secolo che riapparve nel mondo
In Giappone lo zenzero sottaceto è l’immancabile completamento di sushi e sashimi. Oltre che nei tradizionali biscotti gingerbread man, è utilizzato anche per il pumpkin pie, il dolce americano di Halloween. Nei mercati orientali si trova sia fresco sia candito
anglosassone grazie agli omini di pan di zenzero, tipico dolce inglese preparato con un impasto a base di cannella, chiodi di garofano, noce moscata e molto zenzero. Si narra che la regina Elisabetta I ne fosse particolarmente ghiotta e ne facesse dono ai propri cortigiani. In quello stesso periodo fu la Germania, in particolare la città di Norimberga, a costituire il centro della produzione del gingerbread, che divenne un vero e proprio business, esclusiva di una corporazione di fornai specializzati. Gli omini di pan di zenzero da prodotti dolciari diventarono anche decorazioni per l’albero di Natale. Negli Stati Uniti la loro notorietà venne amplificata da una famosa filastrocca, che narrava la fuga di un omino dalle fauci di una serie di affamati individui. Ancor oggi, realizzati con gambe aperte e braccia spalancate, questi tipici Food&Beverage gennaio/febbraio 2013 | 85
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Il Risotto con triglia marinata allo zenzero, limone e broccoli neri dello chef bistellato Gennaro Esposito, a destra. Il tubero cristallizzato con lo zucchero viene impiegato per la preparazione di infusi. Grazie al film di animazione Shrek, l’omino di pan di zenzero Zenzy ha conquistato sempre più estimatori
dolcetti vengono mangiati dai bambini quasi per gioco, secondo l’ordine in cui vengono addentate le diverse estremità del biscotto nella canzone. Recentemente ci ha pensato la serie Shrek a far diventare famoso Zenzy in tutto il mondo e lo zenzero è così diventato una moda, già arrivata anche su tavole blasonate e stellate. Fabio Barbaglini, chef del ristorante La Cassolette del Mont Blanc Hotel Village di Courmayeur (Ao) ne è un convinto sostenitore e lo mette in molte delle sue creazioni, dal pesce alla carne, dalla Coda di scampo e noce di capasanta in succo di sedano infuso all’assenzio con purea di cipollotti e zenzero al Filetto di pollanca, purea di nespole al miele e zenzero, radici e mandorle fresche. Andrea Mattei de La Magnolia dell’Hotel Byron di Forte dei Marmi (Lu) lo propone nella crema di burrata, che serve insieme al Branzino condito all’olio di rose con cuore di sedano. Egon Bajardi, giovane cuoco dell’Osteria del Centenario a Locarno, in Canton Ticino, cuoce il suo Filetto di vitello su passatina di piselli allo zenzero. Kotaro Noda, che di questa radice se ne intende venendo dal Sol Levante, propone, alla Magnolia del Jumeirah Grand Hotel Via Veneto di Roma, i Ravioli del Lazio rivisitati con tocco orientale, aggiungendo zenzero e scomponendo la salsa di pomodoro. Tra gli estimatori dello zenzero c’è anche lo chef bistellato Genna-
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ro Esposito della Torre del Saracino di Vico Equense (Na). “Utilizzo molto lo zenzero, sia candito sia fresco. La canditura la faccio in casa per ottenere al meglio il contrasto dolce-piccante. Fresco lo utilizzo per aromatizzare il pesce azzurro appena scottato e nelle marinature. Lo zenzero ha una spiccata personalità che lo rende perfetto in diversi modi e usi. Uno dei miei piatti in cui lo zenzero è protagonista è il Risotto con triglia marinata allo zenzero, limone e broccoli neri, varietà tipica di queste zone”. Ma, senza scomodare i grandi chef, basta provarlo sugli spaghetti in bianco: aglio, olio e zenzero, invece che peperoncino. Oppure semplicemente candito. Un altro piatto facile sono le cozze all’arancia e zenzero: le cozze si aprono in una base di vino bianco e succo di arancia e sono poi condite con prezzemolo, zenzero grattugiato, sottile julienne di scorza di arance e una macinata di pepe. Ingrediente ideale dei dessert, oltre che nei gingerbread (il pane aromatizzato), lo zenzero ritorna in un classico americano, il pumpkin pie, il dolce di Halloween. Da provare anche il sorbetto e il gelato, pezzi forti tra i nuovi gusti esotici, così come il cioccolato aromatizzato, famoso quello modicano. Dal dolce al salato, lo zenzero convince: che sia nel biscotto o nel piatto di portata, che sia all’orientale o rivisitato all’italiana, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Nessuna scusa per chi non lo avesse ancora assaggiato. F&B
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SPIRITBARMAN Il barman del Floris House di Torino, affascinante struttura in un palazzo d’epoca, ha studi artistici alle spalle che ne hanno formato carattere e personalità: la duttilità, la capacità di cogliere esigenze, di adeguarsi a stili e a culture diverse, è ciò che può fare la differenza
Una vena artistica nei cocktail di Bellanca Manuela Caspani
D Mario Bellanca ha saputo conciliare nella sua professione l’amore per l’arte, per l’hockey e per Torino, regalando alla città il Floris House, locale a metà tra un bistrot e un negozio elegante
ire che conosce profondamente Torino è dire poco: Mario Bellanca del capoluogo piemontese ha fatto una scelta di vita. Oggi barman al Floris House, affascinante struttura all’interno di uno di quei palazzi d’epoca che permettono romantici tuffi nel passato, ha lavorato in città praticamente da sempre e ha concentrato la propria carriera proprio a Torino, selezionando e scegliendo alcuni dei locali più rinomati ed eleganti, nonostante gli studi in un altro settore (liceo artistico). “Negli anni ’80 ho fatto esperienza nei bar classici, quelli che portano avanti una tradizione consolidata e amata: caffetteria, pasticceria, snack raffinato unito al cocktail bar -racconta Mario- Ancora giovanissimo sono approdato al Danieli dove ho rafforzato la mia formazione grazie alla ventata internazionale che questo locale portò in città. Dal ’90 al 2000 sono stato allo Zucca, cocktail bar e caffetteria d’alto livello, ancora oggi ricordato da tanti stranieri che tornano in città”. Il via vai internazionale ha radicato alcune convinzioni in Mario come quella che in un barman sia proprio la duttilità a fare la differenza, come la capacità di cogliere esigenze, di adeguarsi a stili e culture diverse. Un’apertura mentale che non poteva non tradursi in una vocazione al viaggio che si è concretizzata in scelte personali più che lavorative. Ecco, dunque, che, oltre alla vena artistica, scopriamo anche quella sportiva di Mario, giocatore di hockey su prato: “Viaggio molto e partecipo anche a tornei internazionali. Viaggio per me, non IL COCKTAIL
Floris Fruit Cognac Succo di lime zucchero liquido Apricot brandy arancio fresco Cognac frutti rossi Shakerare e versare in un bicchiere da long drink.
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per lavoro, ma il mio occhio è sempre quello attento del barman, pronto a cogliere stimoli e riflessioni che poi riporto nella quotidianità lavorativa”. La Gran Bretagna soprattutto, e il suo modello di cocktail bar, sono un esempio per Mario. Che ha impostato il Floris House, a metà tra il bistrot e il negozio elegante, con un’atmosfera vagamente high society ma al contempo calda e accogliente. “Abbiamo aperto in occasione delle Olimpiadi 2006 -spiega il barman- ma il passaparola ha fatto sì che siamo sempre ricercati da tutti coloro che arrivano in città, stranieri e italiani, senza contare che a Torino apprezzano il sapore rassicurante del locale di tradizione”. Così, al Floris la presenza di importanti distillati si unisce all’estro artistico di cocktail ispirati ai profumi più amati. F&B
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GUSTA IL RISPARMIO
LOCALI Nel suo ristorante romano Angelo Belli è riuscito a far convivere le esigenze di mercato con la sua filosofia che predilige prodotti del territorio riqualificando il passato senza distogliere lo sguardo dal futuro. Il
risultato è un luogo che sorprende dalla colazione ai cocktail del dopocena
Zoc, solo Km0 Manuela Caspani
K Oggetti di recupero, sapientemente restaurati, danno carattere agli ambienti
m0. Più facile a dirsi che a farsi. Ne sa qualcosa Angelo Belli, imprenditore romano che ne ha fatto una filosofia che permea la propria attività da più di quindici anni. Perché Km0 non significa solo attenzione ai prodotti del territorio, ma significa salvaguardare l’ambiente e con l’ambiente le persone. La sensibilità di capire il produttore, di tutelare il lavoratore, soprattutto quando parliamo di lavoro immigrato. Significa non dimenticare cosa s’intenda per spreco, significa trovare il modo per conservare e riqualificare il passato senza distogliere lo sguardo dal futuro. Anzi. “Tutto è partito -ricorda Belli- dalla distribuzione quotidiana di prodotti per giungere alla ristorazione con l’apertura di Urbana 47, ristorante a Km0 che ha da molto conquistato il proprio spazio privilegiato in una Roma a volte, forse, un po’ troppo frettolosa, che ha saputo però cogliere gli stimoli di una sperimentazione”. A Urbana 47 è di recente seguito Zoc (sillaba iniziale del nome della via Zoccolette), locale poliedrico, che, vantando un’apertura, non solo “mentale”, ma anche fisica con la sua struttura a loft, riesce a declinarsi in un locale nel locale: Caffè Colette (il resto delle sillabe!). In origine era il laboratorio di falegnameria dove restauravano i mobili, non per niente gli arredi di Zoc e di Urbana sono oggetti di recupero. Naturalmente sapientemente restaurati, scelti e armonizzati in una visione design che mira a distinguersi in modo quasi avanguardistico, riscoprendo ciò che è oggi in disuso. La scelta di Km0 più spinta in Urbana 47 si addolcisce nel progetto Zoc, dove all’utilizzo di prodotti locali si uniscono da una parte la voglia di misurarsi con altre culture culinarie, che grazie al fenomeno migratorio sono oggi prepotentemente alla ribalta (per chi vuole coglierne la ricchezza, naturalmente), dall’altra l’attenzione per la produzione, diciamo così, etica, che porta a utilizzare anche prodotti distanti selezionandone i produttori. Le arance, ad esempio, non esattamente prodotto laziale, arrivano dalla Sicilia. Non è semplice tenere insieme tutto, unire esigenze di
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mercato alle proprie scelte ideologiche. Emerge dalle parole di Belli che, ben lungi dall’utilizzare toni enfatici, analizza con lucida intelligenza la fatica, ma anche la soddisfazione, così come la capacità di stabilire dove essere più duttili e dove restare molto fermi. Il risultato è un luogo che sorprende fin dalla colazione del mattino, capace di riconciliare con il difficile mondo nel quale ci troviamo a vivere. Tanto possono a volte le piccole cose buone. Ad accompagnare quanto detto, nel giardino, a disposizione, giornali e biciclette, stretti in una romantica immagine senza tempo che parla di un mondo di cultura e natura. I cornetti, i muffin e le torte sono fatti in casa, accolgono accanto a frutta e verdure di stagione pronte a trasformarsi in centrifughe e smoothies. Latte e yogurt di fattoria. Il caffè naturalmente viene da lontano, insieme alle spezie, agli aromi, ai profumi che caratterizzano il menu stagionale in un connubio straordinario fra territorio e altri Paesi. Christian, lo chef, viene a sua volta da lontano e crea, anche partendo dal prodotto del mese, associando ai prodotti Km0 profumi e suggestioni che arrivano alla Carbonara cinese. Il rapporto tra chi cucina e chi produce è strettissimo. Vale per tutti i comparti, anche per quello del cocktail bar Caffè Colette dove Nadia, dietro al bancone, applica la stessa filosofia ai drink che rendono l’aperitivo un’altra occasione per respirare novità. Qualche dubbio? Moijto con lo zenzero, dicono qui. Oppure per il dopocena l’imperdibile Bloody Mary con la passata di Mancini in bottiglietta tipo bitter. Certo, la scelta di km 0 limita sui prodotti, le deroghe sono consentite ma ristrette, eppure permette esperienze culinarie interessanti. Il menu riporta indicazioni di provenienza. Ad esempio: Crema di zucca speziata, castagne ed erba cipollina
dove si specifica chi produce cosa, associazioni, produttori, cooperative. O, ancora, Tortillas di farro con fagioli albenghini, verdure di stagione e fonduta di formaggi, tutto da vari produttori del Lazio. “Non è sempre facile far comprendere cosa significa questa scelta -commenta Angelo- in primis riguardo ai costi. Ingenuamente c’è chi ritiene che Km0 significhi che tutto debba costare meno. In realtà è vero il contrario”. Anche per l’attenzione all’onestà e all’etica, aggiungiamo, che oggi, dove i grandi colossi la fanno da padrone, ha un costo non indifferente per essere praticata. Fortunatamente Angelo Belli non sembra essere tipo da demordere. Una visione illuminata che lo porta ad affermare che “solo mescolando si cresce e si migliora”. Un’opportunità per Roma di liberarsi da certe etichette: “La vorrei un po’ meno romana -afferma con affetto Angelo- più accogliente e meno F&B timorosa di trasformarsi”.
Zoc propone un concetto di design nuovo e all’avanguardia. In cucina l’utilizzo di ingredienti a Km0 si unisce alla voglia di sperimentare altre culture culinarie. Prodotti locali o lontani sono scelti attraverso un’accurata ed etica selezione dei produttori
scheda
Zoc via delle Zoccolette 22 00186 Roma tel. +39 06.68192515 www.zoc22.it
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QUARTIERIALTI Nell’antico Sannio beneventano, terra di grandi vini e prodotti unici, questo hotel di charme è ricavato in un borgo in pietra dell’Ottocento. Un’oasi di pace e relax in simbiosi con la natura dove ritrovare il proprio tempo e concedersi qualche peccato di gola con i piatti dello chef
Aquapetra Resort & Spa la natura in camera Federica Belvedere
B Il resort è nato dal sapiente recupero di un borgo in pietra del 1858, circondato da uliveti e boschi
isogna predisporsi con l’animo del viaggiatore, più che del turista, per decidere di partire alla volta della Campania interna, tralasciando le mete patinate di Positano e della Costiera, Sorrento e le isole del golfo, per addentrarsi nella provincia di Benevento, l’antica terra dei Sanniti, come veri wine & food hunters. Perché quella del Sannio, incastonata tra la valle Caudina e la valle Telesina, è una campagna disegnata da vigne e uliveti centenari dove si conservano, ancora pressoché intatti, piccoli borghi antichi di grande valore storico e culturale. È questa la terra in cui nasce l’aglianico del Taburno, la più recente Docg della regione, e uno dei migliori extravergine d’oliva d’Italia. È la terra dei funghi di Cusano Mutri, della mela annurca Igp, dei torroni di San Marco dei Cavoti e dell’agnello di Laticauda. Una regione per viaggiatori gourmand, da scoprire slow time anche nell’arco di un weekend, magari lasciandosi guidare dal personal wine & food consultant di Aquapetra Resort & Spa di Telese Terme, indirizzo di charme ricavato dal restauro di un borgo in pietra del 1858, immerso nel verde e nel silenzio. A circa un’ora di auto da Roma e da Napoli, Aquapetra è una perla di accoglienza, uno di quei luoghi che mettono in pace con se stessi. L’albergo nasce dal sapiente recupero di antiche case in pietra, immerse in un abbraccio di ulivi secolari a ridosso di un bosco di lecci, querce e roverelle. Un’oasi di natura intatta, a tratti ancora selvaggia, dove il silenzio è rotto solo dalle voci del vento e degli uccelli. La località è Monte Pugliano, a tre chilometri
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da Telese Terme: il resort non è segnalato se non da una grande pietra bianca all’ingresso del lungo viale di accesso. Strada che conduce a un autentico paradiso dove si viene accolti da un team di persone giovani e gentili. Il restauro non ha alterato lo spirito del luogo che conserva la conformazione di un villaggio con volumi sparsi, una piazzetta centrale, la piccola cappella con il campanile, le stradine lastricate che conducono alle camere, alla piscina, al ristorante e alla spa. Tutt’intorno 25 ettari di prati, boschi, sentieri e percorsi nella natura. La vecchia cantina ospita oggi La Locanda del Borgo che è il ristorante del relais con una bella sala interna, con camino e pianoforte, e una grande terrazza con patio per le serate d’estate. L’interior design curato dall’architetto Domenico Tartarone combina con eleganza stile country e minimalismo contemporaneo, decor provenzale e genius loci. Belli i colori, i materiali, le luci. Dove c’era il vecchio fienile si apre l’AquaSpa, fiore all’occhiello di Aquapetra, nato sin dall’inizio come luogo per ritemprarsi. Il percorso benessere comprende sauna, bagno turco in grotta, percorso Kneipp, piscina interna con idromassaggio e una serie di cabine per trattamenti di remise en forme per viso e corpo con particolare attenzione ai rimedi antiage. La piscina interna con la zona relax si affaccia sul verde del parco: le ampie vetrate creano una continuità visiva tra il dentro e il fuori. La luce, i colori della natura, i materiali utilizzati e le comode chaise longue con morbidi materassini inducono al più assoluto relax in ogni ora della giornata. Ed è vero, come dicono qui “alla cromoterapia ci pensa la natura che ci circonda”. Anche la piscina esterna è stata realizzata in armonia con il paesaggio: una combinazione di acqua, rocce e ulivi che ne fanno una presenza discreta; nessun fondo azzurro, ma un
naturale color sabbia ed effetti a sfioro che ben dialogano con il panorama. Pietra e acqua sono ovunque. Le camere sono quaranta divise tra classic, superior, deluxe, junior suite, sparse nel borgo, tutte arredate con gusto e cura dei dettagli, con meravigliosi letti king size e televisione al plasma; alcune con terrazza privata. Per chi vuole concedersi una vacanza più esclusiva c’è anche la suite di 50 metri quadrati con una sala da bagno con piscina idromassaggio riscaldata ricavata da una vecchia fornace dell’Ottocento. La ristorazione merita un cenno a sé: ai fornelli c’è il giovane Luciano Villani, artefice di una cucina che recupera con attenzione le ricette del territorio esaltando sapori e ingredienti locali con creatività. Il menu cambia con le stagioni e secondo la disponibilità del mercato ma la maggior parte dei piatti è un omaggio alla terra. Da provare: la Ricotta di bufala scottata con verdure all’aceto di mele, un piatto essenziale e ricco al tempo stesso e, tra i dessert, il Cubo di cioccolato fondente e mela annurca. La carta dei vini è giusta e ben fatta e l’impeccabile personale in sala sa consigliare l’abbinamento perfetto. Dopo la cena è bello ritrovarsi nel lounge bar a fumare F&B un sigaro nel silenzio della notte.
Il ristorante La Locanda del Borgo è stato ricavato nella vecchia cantina. Ai fornelli il giovane chef Luciano Villani, capace di rivisitare con creatività le ricette e i prodotti del territorio
scheda
Aquapetra Resort & Spa località Monte Pugliano 82037 Telese Terme (Bn) tel. 0824.941878, 0824.975007 www.aquapetra.com
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CULTURA&GUSTO Nel Chiostro del Bramante, nel cuore di Roma, la mostra Brueghel, Meraviglie dell’arte fiamminga, è un percorso interiore tra bellezza stilistica e analisi minuziosa della vita quotidiana del ’600, in bilico tra passioni e difetti immutati del genere umano, rappresentati con ironia
I Brueghel, una stirpe che dipinge vizi e virtù Irene Catarella
N “Danza nuziale all’aperto” di Pieter Brueghel il Giovane. A destra, “Gli adulatori”
el celeberrimo Chiostro del Bramante, fino al 2 giugno Roma ospita una mostra straordinaria dedicata ai Brueghel, stirpe di artisti fiamminghi che operarono tra il XVI e il XVII secolo. Un’opportunità imperdibile per ammirare oltre 100 opere, provenienti da importanti musei nazionali e internazionali, ma anche da prestigiose collezioni private, alcune delle quali per la prima volta in Italia, come Le sette opere di misericordia di Pieter Brueghel il Giovane (1564-1638), in cui in uno scenario di grande densità umana vengono rappresentate con un intenso realismo tutti gli atti di amore caritatevole. Brueghel. Meraviglie dell’arte fiamminga è divisa in cinque sezioni che mettono in evidenza la storia del talento di questi artisti. Il capostipite Pieter Brueghel il Vecchio (1525/1530 ca.-1569) è celebrato nella prima sezione intitolata Il contesto e le origini del mito, in cui trapela la sua volontà di descrivere gli uomini come sono in realtà, con i loro difetti e le loro passioni, per lasciare allo spettatore la possibilità di riflettere e modificare in meglio la propria vita. Per sfatare il mito che Brueghel il Vecchio sia un semplice prosecutore dell’arte di Hieronymus Bosch (1450-1516), la sezione ospita anche due suoi capolavori, I sette peccati capitali e Il ciarlatano, che dimostrano come l’artista sia stato figura cardine della formazione del pittore di Breda, ma come ognuno abbia mantenuto un’intrinseca originalità di stile. Diversi nell’espressione artistica, ma ugualmente continuatori del filone paterno, sono Pieter Il Giovane e Jan il Vecchio (1568-1625), i cui dipinti sono protagonisti della seconda tranche della mostra. Il primo è cronista del suo tempo, rappresentando molte scene legate al mondo contadino, come nella
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IL RISTORANTE
Sangallo ai Coronari locale per palati creativi
Danza nuziale all’aperto, ma parallelamente analizza con maggiore tolleranza le debolezze umane, anche se con un pizzico di ironia, come ne Gli adulatori. La sua personale rielaborazione dello stile e dei temi paterni è particolarmente evidente nella Trappola per gli uccelli, opera che, per le pennellate decise e le atmosfere pregnanti che mette in rilievo, viene considerata una delle migliori testimonianze del Barocco fiammingo. Jan, invece, è più mondano ed elegante, tanto da essere soprannominato “Jan dei velluti” per la sua tecnica raffinata, che si evidenza in rappresentazioni della natura dal vigore ineguagliabile, come ne La Tentazione di Sant’Antonio nel bosco e nel Riposo durante la fuga in Egitto. I Brueghel hanno fondato una modalità artistica unica, tanto è vero che nella terza sezione si osanna “lo stile Brueghel” che portò molti discendenti a continuare a dipingere in nome dell’orgoglio familiare di una tradizione così rara e ammirata. Per mettere in evidenza tale particolarità, qui sono analizzate sia le collaborazioni tra i membri della stirpe con artisti diversi, sia le opere di nipoti e pronipoti, come Ambrosius (1617-1675) e Jan Peter (1625-1680) Brueghel. Di straordinaria fattura e significato sono le allegorie della guerra e della pace, dell’acqua, dell’amore, dell’olfatto e dell’udito, protagoniste della IV sezione e realizzate dal figlio di Jan il Vecchio, omonimo del padre. Seguendo le
Dai Tonnarelli al tè verde, gamberi e pomodoro ai Gamberoni in pastella con ristretto di pomodori secchi e broccoli, il Ristorante Sangallo ai Coronari propone una cucina mediterranea e creativa di gusto. Lo chef Paolo Londero realizza piatti sempre nuovi di grande raffinatezza con al massimo quattro prodotti per dimostrare che la creatività non ha limiti. Non mancano dolci squisiti, come il Semifreddo al melograno e mousse allo spumante, ma il cavallo di battaglia sono le portate a base di carne e mozzarella di bufala, come il Filetto con funghi porcini e tartufo nero e il Carpaccio. Il proprietario Carlo Gerardi, già esperto barman, accanto a cocktail classici propone drink creativi e, ogni giorno, offre un assaggio a sorpresa dello chef, che può spaziare dall’Amatriciana al Carpaccio. La cantina offre oltre 350 vini alla carta e diverse etichette alla mescita. Ristorante Sangallo ai Coronari via dei Coronari 180, Roma, tel. +39 06.6865549 www.ristorantesangallo.com
Tra le oltre 100 opere in mostra, anche il Paesaggio fluviale con bagnanti di Jan Brueghel il Vecchio, olio su rame
orme del genitore, già considerato il primo massimo pittore di fiori e nature morte, Jan il Giovane propone in chiave inusuale l’idea del sorprendente, dell’esotico e del meraviglioso, molto apprezzata dalla ricca borghesia mercantile seicentesca. L’eredità di una dinastia è il titolo dell’ultima sezione che completa il quadro dell’attività di una famiglia già famosa nella seconda metà del Seicento e che attirò a sé personaggi legati al mondo dell’arte, annettendoli anche tramite vincoli matrimoniali, come Jan van Kessel il Vecchio (1626-1679), figlio di Paschasia, sorella di Jan il Giovane. Agli studi dettagliati di farfalle, insetti e conchiglie, compiuti da van Kessel, è dedicata un’intera sala F&B della mostra.
l’albergo
Trionfo di natura e arte all’Hotel Raphaël A pochi passi da piazza Navona, l’Hotel Raphaël Relais & Châteaux con la sua facciata, ricoperta di vite vergine, glicini e bouganvillea si propone come un sipario naturale che promette orizzonti di benessere e atmosfere di bellezza. L’interno è ricco di opere d’arte di pregio, come le ceramiche di Picasso e i dipinti di Mirò. Tra le camere di rilievo quelle realizzate dall’americano Meier, in cui il legno di quercia e le finiture di pelle si alternano al marmo di Carrara e al travertino Navona in un capolavoro di architettura contemporanea. Sul tetto, la terrazza Bramante è approdo gourmand in cui gustare le specialità di Jean-Luc Fruneau con splendida vista sulla città. Per gli amanti di relax e benessere, l’albergo mette a disposizione il centro fitness gratuito. Hotel Raphaël Relais & Châteaux, largo Febo 2, piazza Navona, Roma, tel. +39 06 682831, www.raphaelhotel.com
Food&Beverage gennaio/febbraio 2013 | 95
BUONALETTURA a cura di Simona Percivalle
Ristoranti Il pesce come protagonista Il pesce cucinato con amore e con grande conoscenza della materia prima, nel solco della migliore tradizione italiana, è la cifra stilistica del ristorante milanese Alice. In questo libro, Alice e le meraviglie del pesce. Dal mercato alla tavola in quaranta ricette, Sandra Ciciriello e la chef Viviana Varese che, insieme, gestiscono l’affermato ristorante stellato, insegnano una (Sandra) come scegliere al mercato il pesce migliore, seguendo il ritmo della natura e l’altra (Viviana) come pulirlo, conservarlo e cucinarlo. Una sinergia, la loro, che sa compenetrarsi armoniosamente. Con Viviana Varese, che ha fatto del pesce la sua arte, scopriamo nei minimi dettagli le quaranta ricette che hanno decretato il successo del locale. Il tutto illustrato dalle immagini di Francesca Brambilla e Serena Serrani che seguono il racconto delle autrici con il loro occhio fotografico. Edito da Giunti, costa 14,90 euro.
Omaggi Il Veronelli pensiero
Ricette Fare il pane come una volta
La vita è troppo corta per bere vini cattivi. Così la pensava Gino Veronelli e così si intitola il libro a lui dedicato curato da Gian Arturo Rota e Nichi Stefi. Libro che contiene le istanze del suo pensiero, rigorosamente in ordine alfabetico, il criterio da lui prescelto per la comprensione del mondo, e in particolare del suo mondo fatto di vino e cibo che ha approfondito con brama onnivora e attenzione amorosa. Un testo che svela il lato umano oltre che il ruolo di studioso e divulgatore della cultura vitivinicola dell’indimenticato giornalista. Aneddoti e citazioni si intrecciano a riflessioni e cronache, seguendo il filo conduttore di una vita spesa a godere ogni attimo con pienezza e a difendere l’universo contadino. Edito da Giunti e Slow Food, costa 16,50 euro.
“Negli ultimi 50 anni, il pane si è trasformato in un prodotto industriale perdendo la propria identità insieme al sapore e al profumo”. Così decreta Sara Papa, scrittrice, cuoca e maestra dell’arte della panificazione, nell’incipit del suo Pane, dolci&fantasia. Un viaggio fra semole e lieviti madre dove l’autrice svela i segreti della preparazione, delle farine di qualità, delle macinazioni a pietra, delle cotture e, soprattutto, della straordinaria creatività del cibo per eccellenza più importante: il Pane, con la P maiuscola. Un invito, quindi, a riappropriarsi della dimensione domestica tornando a fare il pane così come si faceva una volta grazie a sessanta delle sue celebri ricette. Edito da Gribaudo, costa 16,90 euro.
Alimentazione Magri e in salute
Sostenibilità Zoppas, il valore dell’acqua
Saremo eternamente grati a Nicola Sorrentino, a maggior ragione dopo i bagordi delle feste natalizie. Perché, leggendo il suo ultimo libro La dieta Sorrentino. La vera dieta salutare per dimagrire e stare bene, scopriamo che dimagrire senza soffrire è possibile. Ciò che bisogna adottare è un corretto stile alimentare che premia la dieta mediterranea, ricca di vitamine, carboidrati e fibre, che include sia la pasta che la pizza, a torto considerati cibi che fanno ingrassare, e che riduce, senza demonizzarle, le proteine animali. L’autore si fa portavoce di un’educazione alimentare, opposta alle diete fai da te, miracolistiche e confusive, dando risposte agli interrogativi che si è sentito porre e sui quali è indispensabile avere idee precise. Edito da Mondadori, costa 14,90 euro.
Un impegno pionieristico e lungimirante che ha reso Acqua Minerale San Benedetto una delle più importanti case-history nel campo dello sviluppo sostenibile e che ha consentito all’azienda di produrre la prima bottiglia a CO2 compensata, l’Easy, divenuta progetto-pilota nel settore. Di questa esperienza e di questi traguardi parla il libro-intervista Una vita per l’acqua, l’acqua per la vita. La storia di Enrico Zoppas. Radici salde e il valore del lavoro di Alberto Rochira, in cui Enrico Zoppas, classe 1944 e patron dell’azienda, racconta gli episodi della sua adolescenza che lo hanno formato nei valori in cui crede: disponibilità al sacrificio, passione e intraprendenza. Un tuffo tra passato e futuro volto alla sensibilizzazione di nuovi stili di vita sostenibili. Edito da Gruppo Rem, toldo@grupporem.com.
96 | Food&Beverage gennaio/febbraio 2013
pillolediSTORIA
La via del cioccolato Nicoletta Negri
C
arl von Linné, più conosciuto come Linneo, lo scienziato e botanico svedese che diede alla pianta del cacao il nome Theobroma cacao, sicuramente fu uno dei primi chocoholic della storia. Theobroma significa, infatti, cibo degli dei. Il nome cacao, cacahuatl, deriverebbe dalle prime popolazioni che scoprirono le qualità dei frutti di questo albero, ben 3000 anni fa, in Mesoamerica. Da cibo comune, di cui si nutrivano, consumandone solo la polpa, anche le scimmie e i pappagalli, divenne, appunto, il cibo degli dei. Furono i Maya a sperimentare la prima bevanda a base di cacao e che, verificati gli effetti sorprendenti, elessero il suo albero a simbolo sacro. Con valore mistico e religioso, il cacao era consumato durante le cerimonie importanti, offerto con l’incenso come sacrificio alle
divinità. In Europa il cacao arrivò più tardi e non per merito del primo esploratore che lo incontrò. Infatti, Cristoforo Colombo, che si portò in Italia alcuni semi avuti in dono dagli indigeni, non si rese conto del valore di quelle fave scure, che erano per i nativi tanto preziose da essere utilizzate anche come moneta. La fortuna capitò, invece, al conquistatore spagnolo Hernán Cortés che si trovò Amato in tutto il mondo, nel posto giusto al momento giusto: nel 1523, quando i Maya erano già spariti dalle loro terre lasciando il posto agli Aztechi che, tra i loro tanti idoli, adoravano, il cioccolato ha origini come i popoli che li avevano preceduti nell’America centrale e meridionale, Quetantichissime. Furono zalcoatl, il dio che aveva insegnato loro a coltivare i semi di cacao. Si racconta, i Maya a sperimentare infatti, che questi fosse il guardiano dei figli del sole e che avesse rubato una fava la prima bevanda di cacao per offrirla agli uomini come consolazione per essere stati costretti a viderivata dai semi vere sulla terra. Fu sempre lui che, per errore, favorì l’avvento spagnolo. Secondo il Codice Matricula de Tributos, documento sulle origini del Messico, il dio delle di cacao, ma solo tenebre e delle negatività, Tezcatlipoca ingannò Quetzalcoatl facendogli perdere con il conquistatore la verginità. Per la vergogna Quetzalcoatl abbandonò la terra scomparendo nel spagnolo Cortés mare, promettendo, però, un suo ritorno per punire il popolo che lo aveva tradito. essa arrivò in Europa Quando dal mare comparve Cortès, barbuto ed elegante nella sua armatura, fu scambiato per il dio tanto aspettato e fu accolto da onori e doni dal re Montezuma, che gli offrì una tazza di quella bevanda prelibata destinata a pochi. Per noi, la storia del cioccolato F&B comincia da qui...
Food&Beverage gennaio/febbraio 2013 | 97
STELLEaTAVOLA a cura di Galatea
Ariete
Toro
Gemelli
Cancro
Gli Arieti focosi non amano il freddo. Un bel bicchiere di rosso, che accompagna un ottimo arrosto, farà buon sangue.
Inizio anno sottotono per i sensuali Torelli da combattere con la degustazione di tutto ciò che piace, senza limiti al godimento.
Per amplificare l’energia di questo inizio d’anno, degustate cibi e bevande etniche e particolari che appaghino curiosità e gusto.
Coccolatevi con cioccolate calde e pasticcini per non cadere nella malinconia stagionale cui spesso siete soggetti.
Leone ACQUARIO Il desiderio di libertà domina la personalità di voi Acquariani, anche nelle scelte di gusto. Proprio per questo sarebbe superfluo imporvi dei cibi predeterminati in base al periodo o indicarvi delle regole ben precise del bere. In realtà, voi seguite il sapore del momento, che vi porta a prediligere anche cibi caldi in piena estate o freddi nonostante le temperature glaciali che vi possono circondare. Anche nel bere siete in grado di accompagnare piatti di pesce e di carne con Coca Cola e birra e, viceversa, la pizza con vini pregiati, senza nessuna attinenza specifica, se non quella del vostro estro. Va bene così, ma cercate di essere più aperti ai consigli degli esperti senza pensare che attacchino la vostra libertà. Potrebbero aprirvi a esperienze degustative nuove che arricchirebbero il vostro potere creativo. Provate il Risotto allo zenzero con un bicchiere di Riesling.
Bevande calde in atmosfere relax, soli o in compagnia, cene a lume di candela con tortellini in brodo e brasati. E ritorna l’energia.
Vergine Piatti di cereali integrali e verdure crude e cotte vi sostengono in questo periodo in cui pensieri positivi e negativi vi confondono.
Bilancia Concedetevi il lusso di ristoranti di classe per fare assaggini di tutte le portate più sfiziose e appagare il bisogno di bellezza.
Scorpione Pesci Pesciolini, la sensualità che vi caratterizza non può che essere esaltata da bevande e cibi raffinati: antipasti variegati e Champagne inebrieranno gli incontri con la vostra interiorità e con gli altri. Ricordatevi, però, che per voi sono fondamentali le atmosfere, quindi non tralasciate mai di fare attenzione alla location dei vostri pasti, sia nell’ambiente familiare sia in quello dei ristoranti. È fondamentale che l’aria che vi circondi sia suadente e, soprattutto, ricca di positività e di calore, per voi che siete le “spugne” dello zodiaco nell’assorbire sensazioni e impressioni sia delle persone che vi circondano, sia dei luoghi in cui vi trovate. Altrimenti bollicine e cibo non potranno creare quella magia interiore, indispensabile per far scattare in voi una sensazione di piacevolezza. Provate i Calamari ripieni in salsa di pomodoro con bollicine classiche. 98 | Food&Beverage gennaio/febbraio 2013
Ideali pasti brevi e ravvicinati che sceglierete in base all’istinto del momento, accompagnati da un calice di Prosecco.
Sagittario Uscite con amici e variate le portate senza escludere antipasti, primi e secondi, ma abbinate la bevanda giusta facendovi consigliare.
Capricorno Tornate nel ristorante preferito e a casa degustate piatti della vostra infanzia: consoliderete la sensazione di piacere del momento.