n°67 marzo

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Mensile • Anno VIII • N°67 Marzo 2013 • Euro 3,50

Anteprime Amarone 20 2009 energia e dinamism dinamismo Acqua Ferrarelle F ll rinnova la tradizione

PER I PROFESSIONISTI E GLI APPASSIONATI

Patate Ill tubero gourmand urmand piace agli chef Caraibi I tanti sapori della cucina dominicana

Un cuoco da favola

Foto di Valeria Lobbia

Alessandro Dal Degan



EDITORIALE

Nonsoloristorante Barbara Amati amati@foodandbev.it

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risi. Senso di incertezza. Disorientamento. E perenne ricerca di qualcosa di nuovo. L’uomo contemporaneo è costantemente in bilico tra la necessità di essere sempre up to date, ottenendo il meglio con la minima resa, e il bisogno di sfuggire al “logorio della vita moderna”. Esigenze che alcuni locali hanno compreso al volo. “Nonsoloristorante” è, infatti, la nuova tendenza dell’ospitalità: rifugi trasformisti, all’occorrenza caldi come una bottega di paese, o fashion come quelli delle grandi metropoli. L’obiettivo è che, una volta varcata la soglia, non solo il cliente soddisferà tutte le proprie esigenze (fame, necessità di fare la spesa, ecc…) ma, se vorrà, potrà essere catapultato in un’altra dimensione, in un’altra città, in un’altra epoca. Un po’ come la porta magica de

Il castello errante di Howl nel film di animazione di Miyazaki: basta scegliere la “destinazione” e il ristorante ci darà l’illusione di essere in un bistrot parigino, in cui poter comprare anche fragranti baguette; ci offrirà uno spaccato di New Orleans con la sua musica jazz o ci riporterà a casa, regalandoci la sensazione di essere in quelle botteghe storiche in cui prendere un cordiale, giocare a carte e comprare i prodotti freschissimi del contadino. Piace, dunque, la multifunzionalità, quell’idea di trovarsi in un posto che ne racchiude altri, come una matrioska che al suo interno svela a poco a poco diverse possibilità, varcando i confini e i luoghi comuni, superando steccati di acquisto e consumo e operando fusioni impreviste. E che fa sua una gestione sempre più flessibile sul piano delle proposte. Sulla scia di questa nuova esigenza nascono, così, sul territorio nazionale locali multifunzione, ossia bar, gastronomia, forno, La risposta alla crisi salumeria, bistrot, enoteca, aperti dalle 9 alle 24, ogni giorno. Nuovi format, nuovi nel mondo del food & concept. Formule ideali dove il cittadino contemporaneo, afflitto dalla rigidità di orari beverage sembra essere di negozi, ristoranti, supermercati, può finalmente rompere gli schemi: ad esempio, la multifunzionalità. mangiare e fare la spesa quando ha tempo e fame, con una selezione di piatti e proUn modo di fare cultura dotti di grande qualità e di nicchia. Ma, oltre al “cosa”, la novità riguarda il “come” e il “dove”. L’atmosfera non è un del cibo diffondendone elemento in più che segue la degustazione o l’acquisto, ma la componente di un’especosì la conoscenza rienza integrata, globale, che si concretizza in bistrot e brasserie dove si possono gustare e l’esperienza prime colazioni in sale sontuose, oppure brunch domenicali o, alla sera, piatti raffinati con ostriche e aragoste. Si esaudisce, così, quella voglia contemporanea che spinge alla ricerca di posti “frizzanti”, anche solo per osservare il viavai della gente, in un cocktail di diversi ingredienti che sembra casuale, ma che in realtà è il risultato di sforzi creativi e di studi accurati che si esprimono in dettagli nascosti e che rivelano quegli elementi capaci di rendere vincente lo stile italiano che sa, anche in questo caso, interpretare i cambiamenti sul modo di nutrirsi nell’era post industriale. Ad attrarre pare sia questa “misticanza” tra l’esigenza materiale (la fame) e le suggestioni ambientali tra l’onirico e il fantastico dove il mangiare apparentemente sembra ridursi a pretesto in favore invece di tutti quegli elementi di contorno che lo rendono accattivante e intrigante. Una tendenza sorta in maniera del tutto spontanea che amplia il nostro sapere. Il cliente viene seguito e informato su origine, tracciabilità, F B caratteristiche dei prodotti. Con sorprese per il suo palato, sempre più competente.

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Food&Beverage vi dà appuntamento al 5 Aprile 2013 Direttore Editoriale Aureliano Amati direzione@foodandbev.it Direttore Responsabile Barbara Amati amati@foodandbev.it Coordinatore di Redazione Jenny Maggioni redazione@foodandbev.it Collaboratori di Redazione Federica Belvedere, Silvana Caminada, Irene Catarella, Francesca Farina, Stefano Masin, Bibi Monti, Simona Percivalle via Simone d’Orsenigo 5 - 20135 Milano tel. 02 47787220 - fax 02 47787237 segreteria@foodandbev.it Collaboratori Clara Aliborange, Adriano Baffelli, Francesca Barni, Nicola Dante Basile, Paolo Becarelli, Enza Bettelli, Donatella Bernabò Silorata, Elena Bianco, Pietro Bongiorno, Jerry Bortolan, Luigi Caricato, Manuela Caspani, Francesco Colombera, Alberto Corrado, Beppe Francese, Laura Gambacorta, Luca Gardini, Marco Ghedini, Gerardo Giorgi, Fabiano Guatteri, Rocco Lettieri, Giulia Marcucci, Beba Marsano, Monica Mazzanti, Gianna Melis, Betty Mezzina, Giorgio Montanari, Frida Parise, Anna Pesenti, Cesare Pillon, Erica Re, Beatrice Rioda, Giulio Cesare Saviozzi, Roger Sesto, Gualtiero Spotti, Irma Tannino, Biagio Testa, Franco Tosca, Bianca Trao, Bianca Zille Foto: Archivio Fundació Pilar i Joan Miró a Mallorca/ Joan Ramón Bonet & David Bonet, Santi Caleca, Chiara e Romeo Covolo, Mario De Biasi, Valeria Lobbia, Biub Raisin, Diego Rigatti, Canio Romanello, Play Style Responsabile Amministrativo e Commerciale Aldo Ballestra ballestra@febeditoriale.com Pubblicità Italia F&B Editoriale tel. 02.47787220 Grafica e impaginazione Pigierre Srl - via Angelo Maj 12 20135 Milano Stampa Tiber Spa - via Volta 179 25124 Brescia Distributore esclusivo per l’Italia Press di Srl - Segrate (Mi) Editore F&B Editoriale Srl Sede legale p.zza San Camillo de Lellis 1 20124 Milano Reg. al Trib. di Milano n. 720 del 27/9/2005 Martedì 5 Marzo 2013 Euro 3,50

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EDITORIALE Nonsoloristorante Barbara Amati

pag. 3

ACQUAVITI Gioco delle cuvée per Poli Barbara Amati

pag. 11

CHAMPAGNE Krug e Bartolini dominano Milano Barbara Amati

pag. 12

EVENTI Ruinart, glamour... quotidiano Bibi Monti

pag. 14

ALESSANDRO DAL DEGAN La cucina da fiaba della Tana Barbara Amati

pag. 30

CONSUMI Le bollicine italiane volano all’estero Stefano Masin

pag. 36

ACQUE Ferrarelle rinnova la tradizione Barbara Amati

pag. 38

INSTANBUL Dom Pérignon svela il Rosé 2002 Barbara Amati

pag. 42

CHEF I giochi d’olio di Simonato Irene Catarella

pag. 44

ANTEPRIME Amarone 2009, un’ottima annata Barbara Amati

pag. 48

VINO Francia e Italia a confronto in Gdo Irma Tannino

pag. 54

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68

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4 ( 9 A 6

ATTUALITÀ

FOCUS Si fa presto a dir patata... Paolo Becarelli

pag. 58

SFIZI Kettle Chips, patatine fuori dagli schemi Stefano Masin

pag. 64

CONCEPT Milano da bere al Pisacco Paolo Becarelli

pag. 66

ITINERARI Scopriamo il sabor dominicano Elena Bianco

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pag. 68

OSPITALITÀ Cena con vista a Palazzo Manfredi Giulia Marcucci

Uomini e Vigne Novità da stappare Food Valley Lodge & Spa Business News Il mondo in pentola Cultura & Gusto

RUBRICHE Scelte di gusto Spirit Barman Buona lettura Pillole di storia Stelle a tavola

pag. 6 pag. 88 pag. 96 pag. 97 pag. 98

pag. 74

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RISTOMUSEI Arte, non solo cibo per l’anima Beba Marsano

pag. 8 pag. 16 pag. 18 pag. 24 pag. 26 pag. 28 pag. 94

pag. 76

PERSONAGGI La buona cucina si tinge di giallo Irene Catarella

pag. 80

ESPERIENZE Riposarsi zappando. Gratis Isa Grassano

pag. 84

SFIZIOFOOD Sua Maestà il granchio dell’Alaska Janny Maggioni

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pag. 86

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LOCALI Q, tra musica e cucina Manuela Caspani

pag. 90

QUARTIERI ALTI Brunelleschi, incrocio di stili Gualtiero Spotti

pag. 92 FOOD&BEVERAGE MARZO 2013 | 5


SCELTEDIGUSTO IL RISTORANTE PREFERITO, LA BEVANDA PIÙ AMATA, L’ABBINAMENTO PERFETTO: OGNI MESE FOOD&BEVERAGE DÀ VOCE AD ALCUNI IMPRENDITORI DEL NOSTRO SETTORE E A PERSONAGGI NOTI PER CONOSCERE LE LORO PREFERENZE GOURMET E SCOPRIRE GUSTI E ABBINAMENTI CHE TALVOLTA CI POSSONO SORPRENDERE

PRES RESIDENTE SURGITAL

PRESIDENTE EATALY

Ro Romana Bacchini Country Co chic

Oscar Farinetti Il Piemonte nel cuore

Il ristorante r del cuore Symposium Sy Quattro Stagioni C Cartoceto Serrungarina (PU) Il piatto della passione Passatelli P in brodo La L bevanda preferita Bollicine Franciacorta Piatto e bicchiere mon amour Tortellini T alla Cesarina e spumante Drink preferito Franciacorta Rosé Cà del Bosco A tavola con… i miei nipoti Edoardo, Matteo, Gianmarco, Federico e Ginevra

Il ristorante del cuore La Torre One Fire, Massa Lubrense (Na) Il piatto della passione Peperone arrosto al forno senza pelle coperto con la bagnacauda La bevanda preferita Barolo di Serralunga d’Alba Piatto e bicchiere mon amour Spaghetti al pomodoro e Barolo Drink preferito Chinotto Lurisia A tavola con… Matteo Renzi

PILOTA F1

ATTRICE

Jarno Trulli Classico contemporaneo

Valeria Solarino Tipicità sensuale

Il ristorante del cuore Tahiti Beach One, Pescara Il piatto della passione Spigola al sale La bevanda preferita Amarone della Valpolicella Piatto e bicchiere mon amour Fiorentina e Amarone della Valpolicella Drink preferito Cerasuolo d’Abruzzo A tavola con… mia moglie Barbara

Il ristorante del cuore Il Tarabuso, Castiglione della Pescaia (Gr) Il piatto della passione Pasta alla Norma La bevanda preferita Franciacorta Bellavista Piatto e bicchiere mon amour Fiorentina e Brunello di Montalcino Drink preferito Mojito A tavola con… le persone che apprezzano la cucina vera

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UOMINIEVIGNE DENOMINAZIONI

Il Montepulciano, piacere d’Abruzzo S

econdo un’indagine condotta da Ipso (Istituto per gli studi sulla pubblica opinione), il Montepulciano ano d’Abruzzo è un vino noto agli italiani: nove su dieci, ci, infatti, dichiarano di conoscerlo; tre su dieci affermano no di berlo spesso e quattro su dieci di degustarlo di tanto in tanto. L’insieme di questi dati porta a un n 73 per cento di consumatori di Montepulciano o d’Abruzzo, mentre i conoscitori salgono al 92 per cento, ponendo la regione al secondo posto, dopo la Toscana e prima dell’Umbria, come produttore di grandi rossi secondo la percezione dei nostri connazionali. Per valorizzare ulteriormente questo importante autoctono abruzzese, il Consorzio di tutela impor ditutela dei vini vi d’Abruzzo, insieme al Consorzio di tutela Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane e al Consorzio di tutela Doc Tullum, d’Ab sono affidati all’agenzia Pomilio Blumm di Pescara per la nuova si so campagna di comunicazione il cui claim è: Il Montepulciano, piacam cere d’Abruzzo. È stato indetto, inoltre, un concorso giornalistico cer internazionale, Words of wine - Parole di vino, con l’obiettivo int di incentivare la promozione e la valorizzazione dell’immagine dell’Abruzzo d enoico attraverso l’attività di comunicazione, f finalizzata anche a curare gli interessi relativi alle Doc del t territorio. Una zona estremamente vocata alla coltivazione del vitigno Montepulciano, con 18 mila e 900 ettari vitati che rappresentano oltre il 55 per cento dell’intera superficie vitata regionale. I numeri della produzione dimostrano quanto questo vino sia cresciuto e apprezzato negli anni. Dai 60 mila ettolitri degli anni ’70, infatti, si è passati ai quasi 900 mila tra il 2010/2011.

RESTYLING

NOMINE

Domenico Zonin presidente Uiv

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omenico Zonin, vicepresidente di Casa Vinicola Zonin di Gambellara (Vi), è il nuovo presidente della Confederazione italiana della vite e del vino-Unione italiana vini. Già vicepresidente dell’Uiv al fianco di Lucio Mastroberardino, è stato scelto dal consiglio d’amministrazione considerandolo la persona più adatta per completare il percorso intrapreso dal presidente prematuramente scomparso. “È per me un privilegio ricoprire questa carica che costituirà uno stimolo ulteriore a dare il mio contributo a sostegno dell’associazione -commenta Zonin- Proseguiremo nel lavoro di rinnovamento e rafforzamento iniziato con Lucio”. Zonin rimarrà in carica fino alla prossima assemblea dei soci prevista a giugno, che eleggerà il nuovo consiglio di amministrazione e il nuovo il presidente.

PACKAGING

Cantina Ponte rinnova la veste dei suoi vini

La filosofia verde di Veuve Clicquot

Il Pinot Chardonnay, il Manzoni Bianco, il Verduzzo Dorato e il Prosecco Doc Treviso Extra Dry, forse il vino più rappresentativo della produzione di Cantina Ponte, proposto in quattro formati, si sono rifatti il look. Più eleganti e raffinate, le bottiglie rappresentano al meglio la Cantina Ponte di Ponte di Piave (Tv), una della realtà più dinamiche del Veneto. “Registriamo una grande attenzione per la segmentazione qualitativa e quindi per i Prosecco di fascia più alta come i millesimati -dice il direttore generale Massimo Benetello- Da qui la scelta di rinnovare l’immagine della nostra linea più rappresentativa, per comunicare l’eleganza, la ricercatezza e la cura dei nostri vini”.

In sintonia con il suo approccio eco-responsabile, la maison Veuve Clicquot ha creato Naturally Clicquot by Cédric Ragot il primo packaging isotermico e 100 per cento biodegradabile pensato per uno Champagne. Per realizzare la confezione il designer Cédric Ragot ha utilizzato fecola di patate e carta, immaginando un’estetica elegante e sobria che segue la forma della bottiglia di Veuve Clicquot Yellow Label, ma con una plus: la maniglia che permette di trasportarla con facilità. Inoltre, il packaging mantiene fresco il vino per due ore. Per scoprire il Naturally Clicquot l’appuntamento sarà allo spazio Veuve Clicquot EverGreen, dal 10 al 14 aprile alla Fiera Milano Rho.

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PREMI

EVENTI

Frescobaldi per l’arte contemporanea

Inverno in montagna con Sambuca Molinari

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lisa Sighicelli, torinese classe ’68, e si è aggiudicata il premio della prima edizione di Artisti per Frescobaldi con un’opera fotografica: Senza titolo (una botte di ferro). Artisti per Frescobaldi, ideato da Tiziana Frescobaldi, direttore artistico, e curato da Ludovico Pratesi, è dedicato alla promozione degli artisti contemporanei più promettenti che utilizzano nuovi linguaggi espressivi come, ad esempio, la fotografia e le video installazioni. In questa prima edizione, ai partecipanti è stato chiesto di ispirarsi alla tenuta Castel Giocondo, a Montalcino (Si), dove la famiglia Frescobaldi produce l’omonimo Brunello. Da questa iniziativa emerge il valore che l’azienda attribuisce da oltre 700 anni al mondo dell’arte e il sostegno che offre ai suoi protagonisti.

TERRITORIO

Cantina di Vicobarone, ritorno alle origini

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unterà sempre di più sul legame con il territorio la strategia di quest’anno della Cantina di Vicobarone di Ziano Piacentino (Pc), azienda nata nei primi anni ’60 quando la “corsa all’oro” per glii itagere liani era abbandonare le campagne e raggiungere rno le città industrializzate. L’obiettivo è un ritorno alle origini per valorizzare i vini territoriali per eccellenza, malvasia e gutturnio, ma anche lo co straordinario patrimonio storico e gastronomico e di queste colline. Oggi, Cantina di Vicobarone riunisce quasi 300 soci che coltivano 700 ettarii di vigneti con una produzione di 3 milioni di bottiglie che soddisfa sia il mercato interno sia quello internazionale e le diverse tipologie di consumatori.

BARMAN

I maestri Aibes in gara sul ghiaccio

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nna Di Sandro (nella foto) con il cocktail Lift to Heaven, a base di Bacardi ron bianco, e Pietro Attolico con il drink alla vodka Don hanno trionfato all’ultima edizione del Challenge on ice, la gara di cocktail riservata quest’anno alle cariche istituzionali riserv dell’Associazione italiana barman e sostenitori, dell’A vincendo rispettivamente per Campania e vince Puglia-Basilicata nelle categorie fiduciari per P consiglieri. Il cocktail Amore e Psiche di e co Angelo Carpentieri si è aggiudicato, invece, Ang primo posto nella categoria speciale del il p Consorzio dell’Asti Docg. L’appassionante Co sfida all’ultimo drink tra i maestri del bere sf bene, ideata da Danilo Bellucci, presidente b dei Soci sostenitori di Aibes, si è svolta d all’hotel La Baitina di Asiago (Vi).

Anche quest’inverno, in alcune tra le più belle località sciistiche italiane, si è svolto il tour di Molinari Share’n Snow. Quest’anno il brand della famosa Sambuca Extra ha ideato un’ambientazione di forte impatto visivo: un ice bar a forma di igloo per rilassarsi e gustare i prodotti Molinari e, grazie alla social lounge, per connettersi gratuitamente a internet condividendo in tempo reale foto, commenti ed emozioni. In parallelo a Share’n Snow, in altre città top dello sci, è stata inaugurata la prima edizione di All we need is Vov, il viaggio invernale di Vov, marchio recentemente acquistato da Molinari Italia.

WHISKY

Il modello David Gandy icona di Johnnie Walker Il modello inglese David Gandy è il nuovo brand ambassador di Johnnie Walker Blue Label. La partnership con lo storico whisky ha dato origine a un esclusivo photo shoot all’Artesian Bar dell’Hotel Langham di Londra, recentemente premiato come Miglior bar del mondo nella classifica dei World’s 50 Best Bars Awards. Alison Forrestal, general manager di Diageo Reserve Brands Western Europe, distributore del whisky, ha definito questa collaborazione come una svolta nella proposizione del prodotto, che acquista così un carattere innovatore e contemporaneo in grado di far evolvere gli usuali schemi. Così come fece nel 1867 Alexander Walker miscelando per la prima volta l’Old Higland Whisky Johnnie Walker e codificando le regole del whisky di lusso.

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UOMINIEVIGNE VALORIZZAZIONE V

Rivoluzione Chianti Classico R Nasce N la Gran Selezione Il riassetto della Denominazione del Chianti Classico partito con importanti novità: innanzitutto, la nascita è pa di una nuova categoria di Chianti Classico, la Gran Selezione, che si posizionerà al vertice della piramide qualitativa, avendo la particolarità di comprendere unicamente quei Chianti Classico integralmente prodotti in azienda, senza nessuna percentuale di uve o vini di altre cantine. Inoltre, si punta alla valorizzazione della Riserva attraverso nuove regole di produzione: il produttore dovrà dichiarare la destinazione del prodotto (Annata, Riserva, Gran Selezione) al momento della richiesta del campionamento. Infine, il restyling del logo del Gallo Nero che uscirà dalla fascetta di Stato per accrescere la propria visibilità sulla bottiglia.

FESTIVAL

Spirit of Scotland invade Roma Il 9 e il 10 marzo all’Aranciera di San Sisto di Roma si terrà la seconda edizione di Spirit of Scotland. Rome Whisky Festival 2013, promosso da UK Trade & Investment. In scena oltre mille etichette dei migliori whisky scozzesi, ma non solo. Oltre le degustazioni libere e i masterclass, tra le novità di quest’anno ci saranno il premio Whisky & Lode, che eleggerà, a scopo benefico, i migliori whisky della fiera, la realizzazione del primo imbottigliamento Spirit of Scotland, un Benrinnes 14yo imbottigliato in esclusiva per la manifestazione da High Spirits e gli spazi extra-whisky, dedicati alle birre scozzesi, al cioccolato, alla torrefazione e, per finire, anche la lounge dei sigari.

PARTNERSHIP

Casa Gheller e Fratelli Rinaldi insieme per il Prosecco

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asa Gheller, marchio della famiglia Moretti Polegato, ha siglato un accordo con i Fratelli Rinaldi Importatori di Bologna per la distribuzione in esclusiva del suo Prosecco. Per l’occasione è stato ideato anche un innovativo restyling del marchio, delle bottiglie e delle etichette, con l’obiettivo di conferire a Casa Gheller un’identità allineata al concetto più attuale e contemporaneo del Prosecco e del suo consumo. In distribuzione, il Valdobbiadene Prosecco Docg e il Prosecco Doc, che lo storico marchio propone nella tradizionale legatura a spago, omaggio alla consuetudine di legare i tappi del vino leggermente frizzante destinato all’uso quotidiano con uno spago per fissarli e garantirne così la tenuta.

DEGUSTAZIONI

Vini e formaggi passione al femminile

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utta all’insegna del colore rosa l’inedita degustazione Vini e formaggi, passione al femminile che Zenato ha proposto al congresso milanese Identità Golose in collaborazione con la prestigiosa azienda casearia Luigi Guffanti 1876 di Arona (No). Il Rosso Sansonina 2009, partorito dall’ingegno di due donne, ha incontrato La Gorgonzola piccante Dop dalla stagionatura di 180/200 giorni, formaggio che, nato da una distrazione del mastro casaro, incantato dalla sua bella donna, è legato per origine al mondo femminile. Il Lugana Riserva Sergio Zenato 2005, vino che sorprende ancora per la giovinezza che dimostra, è stato, invece, abbinato ai Frustè, tronchetti di capra a latte crudo, il cui complesso processo produttivo, che richiede molta pazienza e meticolosità, era tradizionalmente affidato alle donne.

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CARICHE

Trentini presidente del Consorzio Durello

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runo Trentini, direttore generale di Cantina di Soave, è il nuovo presidente del Consorzio di tutela del Vino Lessini Durello. Succede ad Andrea Bottaro, già protagonista di due mandati. Riconfermati i vicepresidenti Silvano Nicolato della Cantina dei Colli Vicentini ed Enrico Marcato dell’omonima azienda. “Il Lessini Durello gode di un momento particolarmente felice: complice un trend di mercato che premia i vini spumanti, le nostre bollicine brillano di una popolarità che mai come oggi si è vista per questo vino che fino a un decennio fa rischiava quasi di estinguersi -commenta il neo presidente- Invece, ora, questo spumante inizia ad avere una sua ben definita nicchia di consumatori. E non è un caso che dalle 180 mila bottiglie iniziali di qualche anno addietro abbiamo superato la soglia delle 600 mila bottiglie”.


ACQUAVITI LA DISTILLERIA POLI HA MESSO IN ALAMBICCO LE VINACCE DI UN PREMIER GRAND CRU, CHÂTEAU LAFITE, DELL’ANNATA 2007. LE ACQUAVITI, AFFINATE IN BARRIQUE DIVERSE, HANNO DATO ORIGINE A PRODOTTI CON QUALITÀ SENSORIALI DIFFERENTI E SONO STATE LE PROTAGONISTE DI UN INUSUALE GIOCO DELLE CUVÉE

Esprit de Pauillac 2007 il distillato che verrà Barbara Amati

U Jacopo, Andrea e Barbara Poli con Giuseppe Meregalli: a Monza, enotecari, sommelier e ristoratori hanno assaggiato i distillati dalla botte della Distilleria Poli per la creazione di un nuovo blend

n inedito gioco delle CUVÉE ha visto protagonista l’acquavite di vinaccia ccia di Château Lafite, un Premier Grand Cru messo in alambicco per la prima volta in Italia. Il primato lo si deve alla Distilleria Poli che, per la creazione, ha coinvolto sommelier, enotecari e ristoratori nella sede del Gruppo Meregalli, a Monza, dal 1987 distributore esclusivo per Italia, Francia e parte della Svizzera dei distillati Poli. Un appuntamento che si è ripetuto per cinque volte e il cui scopo era quello di creare la cuvée Esprit de Pauillac 2007, che sarà una nuova preziosa proposta della distilleria di Schiavon (Vi) partendo dalle acquaviti dell’annata 2007 ancora in affinamento. “La prima annata riposa in 11 barrique diverse, le cui singolari caratteristiche hanno dato origine a 11 acquaviti con qualità sensoriali differenti”, ha spiegato Jacopo Poli. Per creare il blend sono così state assaggiate l’acquavite di vinaccia Château Lafite conservata in serbatoi di acciaio, affinata in barrique nuove fin dall’ottobre 2008, affinata in barrique che hanno contenuto il vino di Château Lafite dall’ottobre 2008 e l’acquavite elevata da marzo 2009 in una barrique che ha contenuto il vino di Château Lafite, nominata Camper perché Ch trasportata, appunto, in camper da Jacopo tra Poli dalla Francia all’Italia: il distillato ha Po così assunto un colore notevolmente più co sscuro e una ricchezza irripetibile. Jacopo Poli, che con i fratelli Andrea e

Barbara guida l’azienda di famiglia che produce grappa fin dal 1898, intuì nel 1995, in visita al Barone Eric de Rothschild a Château Lafite, la potenzialità delle vinacce che costituivano lo “scarto” del vino di Bordeaux più blasonato del mondo. Dopo anni di insistenza, nel giugno 2007, Poli ebbe finalmente le tanto sospirate vinacce con le quali, nell’ottobre dello stesso anno, nacque l’acquavite che prenderà finalmente vita nel blend creato dalla Distilleria con la collaborazione di quegli operatori che, a contatto diretto ogni giorno con i clienti, ne conoscono gusti, desideri e aspettative. Per Marcello Meregalli, amministratore delegato del Gruppo Meregalli, “rispetto a qualche anno fa c’è oggi una maggior richiesta di distillati affinati in barrique, morbidi e di grande ampiezza aromatica, preferiti anche per un consumo in casa”. Il blend vincitore di questo quinto appuntamento definito da Jacopo Poli “un assemblaggio complesso, armonico ed elegante, dalla personalità ben definita che fa risaltare i profumi delle preziose vinacce di parteciperà alla finalissima, che vedrà partenza”, partecip in campo le creazioni delle cinque squadre classificatesi al primo posto, e che si svolgerà entro l’anno alle Distillerie Poli . Nascerà allora Esprit de Pauillac N F B Cuvée 2007. C FOOD&BEVERAGE MARZO 2013 | 11


EVENTI DURANTE LA SETTIMANA DELLA MODA LA MAISON KRUG HA INAUGURATO LA DIAMOND TOWER OFFRENDO AL 27° PIANO, CON UNA VISTA INSUPERABILE SULLA CITTÀ, UN EVENTO UNICO E IRRIPETIBILE, DURATO SOLO UNA SETTIMANA, CHE HA UNITO STRAORDINARI CHAMPAGNE ALLA CUCINA DI ENRICO BARTOLINI

Krug en Capitale Milano domina la città Barbara Amati

P Francesca Terragni, brand director Italia della maison Krug, lo chef Enrico Bartolini del Devero e Margareth Henriquez, presidente dello Champagne Krug

otrebbe essere la LOCATION scelta per una scena di James Bond, oppure l’ufficio di Gordon Gekko che he dall’alto domina e vede denaro nelle mille luci della a città. Il 27 esimo piano della Diamond Tower nell quartiere milanese Porta Nuova, dove sorge il nuovo skyline, è stato scelto dalla maison Krug per realizzare il proprio ristorante effimero nella capitale meneghina: Krug en Capitale Milano. Sette serate uniche, durante la settimana della moda, con menu appositamente creati dallo chef stellato Enrico Bartolini del ristorante Devero del Devero Hotel a Cavenago (MB). Anche questa volta la maison si è superata creando un evento irripetibile, capace di emozionare non solo il palato con gli abbinamenti degli Champagne Krug alla cucina di Bartolini, ma anche la vista, regalando un’immagine di Milano di cui regalan solo pochi p fortunati potranno conservare il i ricordo e l’emozione. “L’idea del progetto è nata a Parigi, in giugno, per prog un omaggio o a Milano e offrire alla città un momento di alta gastronomia in un luogo di particolare fascino per vista che si ha sulla città”, ricorda la v Giuseppe D’Uva, amministratore Gi delegato del Gruppo Moët Hend nessy. “Da qui si legge la storia e il n ffuturo di Milano -aggiunge Maggie Henriquez, presidente della mai-

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son Krug- Un’esperienza U ’ i molto lt originale i i l e limitata li it t nel tempo, mentre è illimitato il piacere di sorseggiare uno Champagne Krug”. A Bartolini il compito di interpretare Milano con i sapori della tradizione. Allo Sgombro e foie gras confit al profumo di mandarino è stato abbinato un Krug 2000, rotondo al debutto e ottimo per contrastare la grassezza del paté, ma con grande personalità sul finale grazie al pinot nero. I Bottoni di olio e lime con salsa cacciucco e polpo cotto alla brace sono stati accompagnati da un Krug Rosé, di grande personalità e vincente nell’abbinamento cromatico del rosato, come il cacciucco. Per il Vitello in rosa al cavolfiore lo chef ha selezionato il Krug Grande de Cuvée, massima espressione edella della maison: “La struttura a di questo Champagne e si sposa bene con la delicatezza del vitello -spiega BartoliniE il cavolo, che ha una nota amara, è stato insaporito con ingredienti legger-mente acidi che rimanandano al caffè tostato e alla FF B B liquirizia della Cuvée”. e”. F



DEGUSTAZIONI FRÉDÉRIC PANAïOTIS, CHEF DE CAVE DELLA MAISON DI REIMS, HA GUIDATO UNA DEGUSTAZIONE DI CINQUE CUVÉE D’ECCELLENZA, RACCONTANDONE LA CIFRA STILISTICA CHE POGGIA SULLO CHARDONNAY. BLEND CARATTERIZZATI DA GRANDE PUREZZA E FRESCHEZZA AROMATICA, ADATTI A OGNI MOMENTO DELLA GIORNATA

Ruinart, glamour... quotidiano Bibi Monti

U In basso, Sebastien Fortuna, senior brand manager Ruinart, e Frédéric Panaïotis, chef de cave della maison. Sotto, tra le cuvée de prestige in degustazione, Dom Ruinart 2002 e Dom Ruinart Rosé 1998

na sala affollata di ristoratori, enotecari, sommelier e giornalisti durante il Congresso di Identità Golose ha seguito con estrema attenzione la degustazione di cinque cuvée della maison Ruinart. A raccontarle era lo chef de cave Frédéric Panaïotis, colui che crea questi Champagne dosando con abilità e creatività ogni vino che va a creare l’assemblaggio. Al suo fianco, Sebastien Fortuna, senior brand manager di Ruinart: “Prerogativa di Ruinart è essere specialista nello chardonnay, elevato in tini di acciaio per mantenerne l’aromaticità -ha spiegato- La maison non prevede millesimati, ma solo blend caratterizzati da una grande freschezza che rende questi Champagne adatti a ogni momento della giornata”. “Sono vini di grande purezza e intensità, prodotti con il 40 per cento di vini di riserva abbastanza giovani (2-3 anni), che conferiscono maturità allo Champagne -ha aggiunto lo chef de cave- Freschezza aromatica è lo stile di Ruinart, non sono vini ‘costruiti’ per invecchiare a lungo dopo la sboccatura”. R di Ruinart è lo Champagne emblema della maison di Reims, il brut dai riflessi dorati e dalla luminosità cristallina, fine e persistente, e dal vivace perlage. Prodotto nella vendemmia 2008 con vitigni chardonnay al 40 per cento, è completato da pinot nero e pinot meunier. Fresco e fruttato, con un tocco floreale e speziato, è corposo e con un finale lungo di frutti maturi. Ruinart Blanc de Blancs è lo Champagne di punta della maison, perché composto da chardonnay in purezza con un’aggiunta del 25 per cento di vini di riserva. Contenuto nella particolare bottiglia tra-

sparente, è puro e incisivo, con sentori di frutti freschi e una nota dominante di agrumi e ananas, mista a fiori bianchi e spezie. Dom Ruinart è la cuvée di prestigio. Il 2002, chardonnay in purezza proveniente solo da Grands Crus della Côte des Blancs, ha un colore giovane e brillante dai riflessi verde mandorla e un perlage dinamico, con la freschezza degli agrumi e dei frutti esotici e una splendida mineralità, un’acidità vibrante e setosa. Particolarmente intriganti i rosati: il Ruinart Rosé tende al corallo e ha un perlage finissimo. Prodotto con chardonnay al 45 per cento e pinot nero di cui il 19 per cento vinificato in rosso che gli conferisce una nota fruttata delicata, è equilibrato e fresco, elegante e morbido. Declinato in rosa anche il Dom Ruinart, che esprime nell’annata ora proposta, il 1998, un grande carattere e una personalità ben definita. L’assemblaggio è 85 per cento chardonnay proveniente dai Grands Crus e 15 per cento di pinot nero vinificato in rosso. Rivela un connubio raffinato di fiori, rosa e geranio, e di frutti. L’intensa maturità dell’annata si svela nelle note calde di crema e gelatina di frutta, cioccolato bianco, pompelmo confit e un accento di miele. Un assemblaggio originale: lo chardonnay segna l’attacco, morbido, preciso e delicato, e il pinot noir si esprime nel finale con una sottile nota amara F B di rabarbaro e pompelmo.


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NOVITÀDASTAPPARE TRENTINO

Altemasi Pas Dosé 2005 Trentodoc U

ve chardonnay al 60 per cento e pinot nero per il restante 40 per cento, perfettamente in equilibrio in un uvaggio armonico, hanno dato vita ad Altemasi Pas Dosé 2005 Trentodoc di Cavit. Un vino di nicchia (sono solo 5 mila bottiglie) che amplia la gamma dei vini di pregio della cantina trentina. La sboccatura è stata realizzata a 78 mesi dal tirage, senza aggiunta di liqueur zuccherina. Dal perlage fine e continuo e dal colore dorato con sfumature verdoline, questo spumante regala profumi complessi di pesca matura e albicocca secca, ben integrati con piacevoli note di liquirizia e vaniglia. In bocca si presenta sapido, austero e di buon nerbo, con un retrogusto minerale e un gradevole finale di mandorla. Altemasi Pas Dosé 2005 è un vino profondamente legato al territorio d’origine ed espressione della migliore viticoltura di montagna.

FRANCIACORTA

Monte Rossa Coupé passione e stile

LOMBARDIA

Classese Selezione 2006 per Travaglino

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l Classese Brut Selezione 2006, l’Oltrepo Pavese Docg metodo Classico di Travaglino, azienda che affonda le proprie radici addirittura nel 1111, è prodotto solo nelle grandi annate. Il millesimo 2006 è ottenuto dalle migliori uve di pinot nero e chardonnay, rigorosamente selezionate già in vendemmia. Il colore giallo paglierino, il caratteristico profumo ricco di sentori di crosta di pane e frutta esotica e il perlage finissimo e persistente, fanno di questo spumante un elegante compagno sia al momento dell’aperitivo, sia a tutto pasto, abbinato anche a piatti robusti e strutturati. La sua storia nasce e si sviluppa nelle sotterranee secolari cantine dove le uve rifermentano per almeno 48 mesi sui lieviti, per poi essere degorgiato e commercializzato solo dopo 5 o 6 anni di affinamento.

UMBRIA

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alla scuderia della famiglia Rabotti è uscito il Franciacorta Monte Rossa Coupé, un non dosato capace di emozionare. Realizzato prevalentemente con uve chardonnay e una piccola percentuale di pinot nero, questo Franciacorta della Monte Rossa di Bornato di Cazzago S. Martino (Bs) ha colore giallo paglierino, luminoso e con riflessi di buccia di lime. Al naso emana un profumo soave con richiami di fiori di sambuco e pesca bianca, mentre nel bicchiere si evolve, svelando tocchi vegetali e marini con chiusura di mandorla fresca. Al palato, invece, colpisce il contrasto tra la cremosità e l’equilibrio del perlage con la persistente freschezza, in chiusura è sapido e balsamico. Monte Rossa Coupé è un Franciacorta che nasce da un mix di passione, stile e spensieratezza e si ispira al mondo dei motori e alle coupé, sogno di tutti gli amanti di automobili.

EMILIA ROMAGNA

Etnico, il Sagrantino dell’azienda Di Filippo

Lambrusco La Battagliola un Grasparossa raffinato

Si chiama Etnico. È il nuovo Montefalco Sagrantino Docg 2009 in purezza dell’azienda umbra Di Filippo di Cannara (Pg). Dopo una macerazione di qualche giorno, il vino riposa in legno per 12 mesi, a cui ne seguono altrettanti in bottiglia. Di colore rosso rubino con riflessi granati, al naso è intenso e fruttato con note di sottobosco. Al palato è tannico, vellutato e intenso, con un gusto fruttato persistente e di lunga durata che lo rendono ottimo con le carni rosse, la cacciagione e i formaggi stagionati. Le uve dell’Etnico, chiamato così per ricordare lo stretto legame con la terra e la sua provenienza, sono coltivate su terreni argillosocalcarei in giacitura collinare.

È prodotto con uve lambrusco grasparossa in purezza il nuovo Lambrusco Grasparossa La Battagliola dell’omonima azienda di Castelfranco Emilia (Mo). Dal colore rosso rubino intenso con sentori fruttati di ciliegia, lampone e mora, al palato è strutturato, vivace e con una nota acida tipica del Lambrusco. Interessante come aperitivo, si abbina a carni rosse, pasta, pizza e formaggi mediamente stagionati e si presta anche ad accompagnare baccalà, pesci grassi e ostriche. Il Lambrusco Grasparossa La Battagliola, grazie all’affinamento sulle fecce nobili per almeno quattro mesi acquista un particolare aroma che lo rende garbato e raffinato, con una nota elegante.

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VENETO

CAMPANIA

Rive di San Pietro esalta il terroir

Deìra, il passito di Villa Matilde

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ebutta Rive di San Pietro di Barbozza, lo spumante brut di Val d’Oca - Cantina Produttori di Valdobbiadene (Tv) realizzato esclusivamente con uve provenienti dai ripidi pendii di San Pietro di Barbozza, le “rive”, appunto, nel cuore della Docg di Valdobbiadene: qui, i terreni di origine argilloso-marnosi ricevono sole e brezze temperate in giusta quantità. Prodotto con uve glera in purezza, questo Prosecco Superiore Docg ha colore giallo paglierino brillante e gusto armonico e vellutato. Nel bicchiere presenta un perlage ricco e una spuma fine e regolare. In degustazione si fa notare per gli aromi floreali che regalano note di acacia e glicine, miscelati a sentori di frutta tropicale. Molto piacevole come aperitivo, accompagna portate leggere o menu a base di pesce.

CALABRIA

Tèmeso, il rosso di Tenuta Pacelli

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èmeso è la nuova scommessa delle Tenute Pacelli, nel cuore della Calabria settentrionale, vicino a Malvito (Cs). Realizzato con il 70 per cento cen di magliocco dolce e 30 per cento n di nero d’Avola, questo rosso corposo e dal da profumo intenso di more fermenta in vasche d’acciaio da 50 ettolitri per p poi maturare un anno in botti di rovere da cinque ettolitri e affinare r altri a 12 mesi in bottiglia. Prodotto in numero limitato, Tèmeso rivela un’estrema longevità: dopo diversi an in bottiglia, infatti, dimostra una anni propension all’invecchiamento. Tèmeso è il buona propensione risultato del lavoro lungo e meticoloso di Francesco Pacelli, titolare dell’azienda ereditata dallo zio, il Barone La Costa.

TOSCANA

Dal Chianti, l’Acquavite Farnito

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on il mosto ricavato dallo stesso vitigno da cui si produce il Farnito Sauvignon bianco, Carpineto ha realizzato Farnito Acquavite d’Uva Sauvignon. Distillata a vapore in alambicco discontinuo con caldaia a bagnomaria sottovuoto, ha un lungo affinamento in serbatoio di acciaio inossidabile che ne ottimizza l’armonia delle caratteristiche organolettiche. Al naso ha un bouquet fresco e pulito con delicati sentori di fiori e frutta a bacca bianca, mentre al palato è morbida ed elegante, priva di spigolature, e dalle sensazioni retro olfattive che si accostano a toni di miele e rosa. Questa acquavite si presta molto bene alla pasticceria a base di pasta di mandorle, ma chi vuole avvicinarsi a un’esperienza davvero particolare lo provi con i salumi affumicati.

Dalle uve aglianico nasce un rosso da meditazione cupo e profondo, intenso al naso e con note al palato di frutti di bosco, fichi secchi e marasca. Si chiama Deìra Aglianico Igt Roccamonfina Passito ed è l’ultimo nato a Villa Matilde, azienda campana di Cellole (Ce). Il vitigno da cui provengono le uve è quello della Tenuta San Castrese di Sessa Aurunca; qui i grappoli sono lasciati appassire sulle viti fino a metà novembre e, una volta raccolti, l’appassimento naturale prosegue su appositi graticci fino alla sgranellatura manuale degli acini e alla successiva pigiatura con lenta fermentazione. I successivi 48 mesi il vino li trascorre in barrique per poi effettuare un ulteriore affinamento in bottiglia.

VENETO

Per Cielo e Terra un nuovo Extra Dry Il Freschello Spumante Extra Dry di Cielo e Terra, Gruppo Cantine Colli Berici, è la nuova referenza in versione spumante della linea Freschello, che come le altre cinque etichette ha una contenuta gradazione alcolica, 9,5°C, studiata proprio per un consumo quotidiano. Dal colore giallo paglierino brillante con un bouquet delicato e leggermente fruttato, note floreali di fiori bianchi, è piacevolmente leggero e fresco al palato. Destinato alla Grande distribuzione organizzata, con la tipica leggerezza dei vini Cielo e Terra, il Freschello asseconda la maggior richiesta dei consumatori di vini frizzanti e spumanti profumati, leggeri, ottimi da aperitivo, ma da poter abbinare anche a tutto pasto.

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FOODVALLEY PASTA

Il senso di Scabin per la tradizione T

agliatelle all’uovo Monograno Felicetti Matt alla bolognese per il Nord; Spaghettoni Monograno Felicetti Matt cacio e pepe per il Centro e Penne lisce Monograno Felicetti Matt alla sorrentina, per il Sud. Questo il menu proposto da Davide Scabin, chef del Combal.Zero di Rivoli (To), che con co il pastificio trentino, dopo aver fatto il giro mo del mondo e sperimentato la versatilità della pasta, ha deciso de per un autentico ritorno alla tradizione italiana. italian “Nel recente passato abbiamo dimostrato, con c successo, che la pasta si può proporre in mille mill maniere diverse -spiega Riccardo Felicetti, presidente pre dei pastai italiani e titolare del pastificio fici di famiglia che con la linea Monograno regala reg profumi e sapori apori intensiNel 2013 torin niamo alla tradizione, n one, agli a ingredienti locali, cali, a ricette ripetibili li e hi, al rispetto di chi, l chef, dopo aver er lo provato riprovato, riprov o, provato, migliorato, a modificato, chiesto a se stesso e agli altri se la e strada fosse quella giusta, interpreta queste tradizioni in maniera contemporanea”. A Felicetti fa eco Scabin, uno dei più talentuosi interpreti della cucina di ricerca: “Dopo tre anni in cui ci siamo concentrati su una nuova vision, cioè sul fatto che la pasta non è solo un primo piatto, e in cui abbiamo giocato con ingredienti e abbinamenti, adesso abbiamo dimostrato di saper fare la pasta: quella secondo tradizione”. Ma Scabin rimane Scabin, e così, accanto ai piatti tipici, ha preparato un “aperitivo” dal sapore etnico: i Rigatini al farro Monograno Felicetti Matt al curry verde.

EBLEX

Roast Beef Club per la carne inglese

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n Italia è nato il primo Roast Beef Club: grazie a un logo speciale i consumatori potranno immediatamente riconoscere i ristoranti, le macellerie e i punti vendita in cui mangiare o comprare la pregiata carne di manzo inglese promossa da Eblex, l’Ente che sostiene l’industria inglese delle carni. Un vantaggio anche per gli iscritti che avranno così un filo diretto con Eblex. “Riunire in un club tutti i clienti e gli amici di Eblex -dice Jeff Martin, rappresentante Eblex in Italia- ci è sembrato il modo più semplice per fornire al consumatore italiano indicazioni su dove trovare il nostro beef. Le macellerie e i ristoranti aderenti saranno riconoscibili grazie al logo che li qualificherà come punto di consumo di questa carne e sarà automaticamente ‘garante’ dell’eccellenza e della qualità”.

GASTROFONICA

COLLABORAZIONI

Con Lorenzo Cogo e Roy Paci la musica nel piatto

Birra di Parma Camou una bionda alla moda

Uno chef, Lorenzo Cogo del ristorante El Coq Di Marano Vicentino (Vi), e un musicista, il trombettista Roy Paci: ecco come nasce la gastrofonica. La particolare performance in cui gli ingredienti diventano suoni e il piatto una sinfonia di sapori. “Quello che cerco di fare con Lorenzo -ha spiegato Roy Paci- è suonare le frequenze elettromagnetiche del cibo per creare una melodia”. Il piatto di Cogo, Fondale marino, realizzato allo stand di San Pellegrino al congresso Identità Golose, ha dato così, letteralmente, il “La” alla tromba di Paci: il pesce ha innescato un Do, la verdura un Sol, il sale un Si bemolle e il limone un Fa, fino a realizzare una piacevole armonia che ha solleticato palato e udito.

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Dalla collaborazione fra l’azienda vinicola Cantine Ceci di Torrile (Pr) e il Birrificio del Borgo è nata la Birra di Parma Camou. Dal bel colore dorato, è una Saison realizzata con i lieviti del Lambrusco Otello, vino di punta dell’azienda parmense, e con il 30 per cento di grano Senatore Cappelli, frumento duro aristato che he mantiene le proprietà e il sapore originari pererché non subisce alcuna manipolazione genetitica. Con un gradazione del 5,9%, è una birra morbida e dissetante. Il packaging è decisamente alla moda: Camou deriva, infatti, da camouflage, cioè “mimetico”, tra le ultime tendenze “ripescate” in passerella.


VERDURE

DENOMINAZIONI

Spirito Contadino al ristorante

Mele, speck e vino l’Alto Adige di qualità

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erdure surgelate e verdure in crosta di farina di grano. Tutte accomunate dalla coltivazione naturale. Ecco la base di Spirito Contadino, azienda agricola di Borgo Tressanti (Fg), nata dal recupero delle antiche tradizioni pugliesi da parte della famiglia De Palma. Seguendo ll’insegnamento dei nonni, oggi Damiana, con suo marito Guido e i figli Antonio e Donato Gervaso, coltivano per la ristorazione verdure di qualità, grazie all’attenta selezione del seme, che viene riutilizzato per una nuova semina, al rispetto paziente dei ritmi e della stagionalità e all’utilizzo di concime organico. Ma non solo, Spirito Contadino riporta in tavola verdure quasi dimenticate come il Peperone friggitello sapore antico, la Borragine, le Rosette fogliari di papavero selvatico di campo, Friarielli di campo, Mugnuli selvatici di campo e le Olive dolci pugliesi (www.spiritocontadino.com).

ANNIVERSARI

Quarant’anni di conserve

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e conserve della nonna, brand del Gruppo Fini, compie 40 anni. Era, infatti, il 1973 quando a Ravarino (Mo), nel cuore dell’Emilia, nasceva l’azienda con l’obiettivo di produrre le antiche e originali ricette tipicamente italiane utilizzando esclusivamente le migliori materie prime. Da allora Le conserve della nonna ne ha fatta di strada, pur rimanendo a Ravarino, offrendo una ricca linea di prodotti, dal dolce al salato, dalle confetture ai sughi fino ai contorni di verdure. L’azienda ha deciso di festeggiare il quarantennale rinnovando ancora una volta la propria mission e puntando su tradizione, passione, impegno e innovazione. Tra le novità 2013 c’è il rinnovo della gamma dei vegetali, che si dividerà in ricette Classiche e Speciali.

PRODOTTI

Il Grana Padano si fa snack

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a Latteria Plac di Dosimo (Cr) lancia le Sgranatelle, snack croccanti cotti al forno al Grana Padano Dop. Un mix perfetto tra salute, per il basso contenuto di colesterolo (45 milligrammi per 50 grammi di prodotto), e sapore dato dall’inconfondibile gusto del formaggio. Uno spuntino con ottime caratteristiche nutrizionali grazie naturalmente al Grana Padano che, ric ricco di calcio, proteine, minerali e vitamine, aiuta a rallentare la perdita di massa ossea, a aiut rin rinnovare i muscoli, a proteggere le cellule dai rradicali liberi. Le Sgranatelle si trovano nella versione al 60 per cento Grana Padano e al 40 per cento Grana Padano in una pratica confezione da 8 snack croccanti suddivisi in 2 vaschette monodose e salva freschezza da 4 pezzi ciascuna: uno sfizio salutare adatto anche anch al momento dell’aperitivo.

Prosegue la campagna d’informazione La nuova sicurezza alimentare europea approvata nel luglio 2011 dall’Unione Europea, sul significato dei marchi europei di qualità Igp, relativi alla mela e allo speck dell’Alto Adige, e Doc riservati ai vini altoatesini. Fino ad aprile i clienti di alcune importanti cate-ne della Grande distribuzione potranno così assagggiare la Mela Alto Adige Igp e lo Speck Alto Adige Igp che, con i Vini Alto Adidige Doc, faranno toccare con mano l’importanza dei marchi europei di tutela a garanzia della qualità, dell’origine, della sicurezza alimentare e della salubrità dei prodotti. Il tutto accompagnato, ovviamente, da materiale informativo.

EVENTI

Focus sulle erbe a Il Piatto Verde Dall’11 al 15 marzo a Riolo Terme (Ra) torna la rassegna gastronomica Il Piatto Verde che quest’anno, per la sua 21a edizione, sarà dedicata alle erbe del risveglio. Tanti gli eventi in programma tra cui cene e corsi di cucina con chef stellati, come Emanuele Scarello del risto-rante Agli Amici di Godio (Ud) e Paolo Donei del Malga Panna di Moena (Tn). Ma il fulcro della kermesse saranno anche quest’anno i due concorsi per la migliore ricetta realizzata con erbe aromatiche: uno rivolto agli istituti alberghieri italiani ed europei e l’altro aperto agli appassionati di cucina.

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FOODVALLEY ITTICA

RESTYLING

Callipo, dal 1913 seleziona il tonno del Mediterraneo

Aria nuova all’Osteria Brunello

Nata nel 1913 a Pizzo (Vv), la Giacinto Callipo Conserve Alimentari, ormai alla quarta generazione con Filippo Callipo alla guida e tra le prime aziende in Italia a inscatolare il pregiato tonno del Mediterraneo, festeggia 100 anni di crescita ininterrotta. La gamma dei prodotti vanta oltre 180 referenze e si articola in tre segmenti: il tonno di tonnara (Bluefin), il tonno a pinne gialle (Yellowfin) e altri prodotti ittici. Prodotto di punta di Callipo sono i filetti di tonno Yellowfin in vaso di vetro, disponibili sia all’olio di oliva, sia al naturale; nella versione con olio, è utilizzato un extravergine da agricoltura biologica privo di agenti chimici e Ogm. L’azienda ha una produzione media di circa 6.500 tonnellate all’anno e un fatturato in crescita.

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PRODOTTI

Casa Modena, il futuro nel ripieno

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TURISMO

Polonia nuova meta moderna e gourmand Polon oggi fa rima con turiPolonia smo a 360°, non più legato solo alla memoria di un passato travagliato o a pellegrinaggi trav religiosi. Il Paese si è trasforreli mato in meta prediletta per ma vacanzieri va giovani e cosmopoliti po alla ricerca di stimoli differenti. Uno tra i primi d ll’enogastronomia. “Anche la ccucina ha subito negli ultimi 15 anni uno straordinarrio rinnovamento -spiega Malgorzata F Furdal, direttore dell’Ente nazionale polacco per il turismo- Grazie a cuochi polacchi che, dopo esperienze all’estero, hanno scelto di aprire qui i loro ristoranti, avviando una nuova tendenza del gusto che mixa le ricette tradizionali con la cucina molecolare. Ne sono un esempio Wojciech Modest Amaro dell’Atelier Amaro e Robert Trzopek del Tamka 43 di Varsavia”.

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ue le importanti novità per l’Osteria Brunello di Milano, guidata dalla sommelier ungherese Tunde Pecsva: un restyling degli ambienti, che l’ha resa ancora più accogliente, luminosa e moderna, e l’arrivo di un nuovo chef, Nicola Cortesi. Cambiamenti che si sono integrati perfettamente con la tradizione del locale, soprattutto in cucina, dove Cortesi ha reinterpretato con sapiente equilibrio, aggiungendo qualche intrigante modifica, i grandi classici del menu dell’Osteria, come la Cotoletta alla milanese o lo Spaghettone ai tre pomodori. Il tutto con ingredienti selezionati e stagionali. Ricette che si sposano con le eccellenze della cantina che conta oltre duecento etichette e, soprattutto, la miglior selezione di Brunello e di vini di Montalcino in città.

d randi Salumifici Italiani, dall’esperienza del brand Teneroni, lancia i Ripienotti, la nuova linea di pasta fresca ripiena pensata da Casa Modena. Dischi volanti morbidi e appetitosi, con doppio ripieno di prosciutto cotto e mozzarella, pollo e patate, ricotta e spinaci o verdure, ma soprattutto privi di glutammato e oli vegetali. Afferma Amedeo Vida, direttore marketing dii Grandi Salumifici Italiani, il Gruppo di cui fanno parte, fra gli altri, anche i brand Casa Modena, Teneroni e Giravolte: “La scelta del segmento della pasta fresca ripiena nasce da un’indagine condotta da Casa Modena, secondo cui non solo l’84 per cento degli acquirenti di Teneroni consuma pasta fresca ripiena, ma una parte consistente risulta molto interessata a una declinazione dei Teneroni nel segmento dei primi piatti. Per questo abbiamo trasferito nei Ripienotti tutti i plus del mondo Teneroni”.

SUCCHI

Pago rinfresca con Anguria, Lime & Menta

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ago, il marchio PREMIUM dei succhi di frutta, compie 125 anni e per festeggiare lancia un nuovo gusto per l’horeca: Anguria, Menta & Lime, un mix innovativo e dissetante, con vera polpa di anguria ed estratti naturali di menta, ideale per chi ama i sapori intensi. L’anniversary edition Pago, riconoscibile grazie al tappo e all’etichetta dorati e con l’esclusivo logo del 125° compleanno, è perfetto bevuto “liscio” o come speciale ingrediente per cocktail. Ne sono due sfiziosi esempi l’Anguria Menta Martini, un drink dal gusto dolce e rotondo, adatto agli aperitivi fashion e alle serate più frizzanti, e il Virgin Anguria, cocktail analcolico, leggero e tonificante, naturale al 100 per cento.


INIZIATIVE

Nasce a Bergamo Ingruppo per l’alta cucina R

ealizzare il sogno di molti di gustare la cucina di un ristorante gourmand nonostante la crisi, combattere il proliferare dei coupon e rilanciare il valore dell’alta cucina. Questi in sintesi gli obiettivi alla base di Ingruppo, l’iniziativa ideata da 15 tra i migliori ristoranti di Bergamo. In prima fila Enrico e Roberto Cerea del Da Vittorio, tre stelle Michelin di Brusaporto. Con loro i ristoranti A’Anteprima di Chiuduno, Al Rustico Villa Patrizia di Sorisole, Al Vigneto di Grumello del Monte, Antica Osteria dei Camelì di Ambivere, Colleoni & dell’Angelo di Bergamo Alta, Collina di Almenno San Bartolomeo, Frosio di Almè, Il Saraceno di Cavernago, La Caprese di Mozzo, Lio Pellegrini e Roof Garden Restaurant di Bergamo, LoRo di Trescore Balneario, l’Osteria della Brughiera di

Villa d’Almè e Posta di Sant’Omont’Omobono. La ricetta è semplice: e: i 15 ristoranti, fino al 30 aprile, propongono un menu speciale per due a 99 euro (99 euro a persona per il tristellato Da Vittorio), dall’antipasto al dolce, compresi vino, bevande e caffè. Un’opportunità unica per poter pranzare o cenare in alcuni dei punti di riferimento della migliore ristorazione orobica. A partire, appunto, dal Da Vittorio, che da oltre 45 anni soddisfa i palati più esigenti, oltre che con il ristorante, anche con il catering, il caffè pasticceria Cavour 1880 a Bergamo Alta, la Scuola di cucina e il Relais & Châteaux. Per Ingruppo, i Cerea hanno ideato un menu accattivante già dal titolo, Il gusto dei colori, tra Gamberi di Oneglia, Pasta e crostacei e Cocco e cioccolato. I più curiosi possono, invece, optare per la cucina molecolare di Daniel Facen dell’Anteprima che concretizzerà il suo estro creativo in due menu, uno a base di carne e uno di pesce. Per trascorrere una serata gourmand tra i luoghi con maggior charme della provincia, invece, perfetti l’Osteria della Brughiera o il Lio Pellegrini. Ma ognuno dei 15 ristoranti offrirà una peculiarità della propria cucina puntando, naturalmente, alla qualità, punto cardine dell’iniziativa.

La famiglia Cerea è stata promotrice dell’iniziativa che ha riunito quindici tra i migliori ristoranti bergamaschi per proporre un menu speciale a un prezzo contenuto


FOODVALLEY MILANO MIL

MANIFESTAZIONI

V Vino e cucina in Bottega tra tr scenografia e gusto

Italia Beer Festival le artigianali a Milano

P

L Bottega del Vino Milano, in piazza La Lega Lombarda, è nata da un’idea di L Emilio Cremascoli, che ha lavorato diversi anni all’Enoteca Cortina e ha gestito l’O l’Ombra de Vin. Cinquecento le etichette selezionate da Cremascoli con il barman e sommelier Alessandro Baldissera e le proposte gastronomiche del giovane chef Dario Macchi. Alla Bottega del Vino Milano ci si può fermare per un brunch domenicale, per uno sfizioso aperitivo, durante il quale vengono servite al tavolo varie tapas, e per una cena in uno scenografico ed elegante contesto, tra pareti nude, mobili di legno scuro e tanti scaffali in ogni sala affollati di bottiglie.

Dal 22 al 24 marzo torna a Milano l’ottava edizione di Italia Beer Festival, la manifestazione itinerante dedicata alla promozione della birra artigianale e di qualità. Saranno oltre 200 le birre in degustazione, provenienti da numerose regioni italiane. Tre le novità in scena le birre realizzate con aggiunta di segale Rye Apa e di frumento American Wheat, ma non mancheranno anche le Black Season e le Black Apa, oltre a birre maturate in botti di grappa, whisky, Amarone e Sagrantino. In programma anche gli incontri dedicati all’homebrewing, l’arte di farsi la birra in casa, e le premiazioni del Campionato italiano delle birre artigianali.

RICONOSCIMENTI

Il Premio Leonardo a Luigi Cremonini

L

uigi Cremonini, presidente del Gruppo Cremonini, ha ricevuto il Premio Leonardo Qualità Italia 2012, attribuito ad aziende che si sono distinte per qualità e vocazione all’export. Un riconoscimento che è stato assegnato anche ad Adler Plastic, Artemide, Pomellato e Prysmian Group. Il Premio Leonardo 2012, riservato a chi si è particolarmente distinto nel promuovere l’immagine dell’Italia nel mondo, è stato attribuito a Roberto Colaninno, presidente del Gruppo Piaggio. “È importante ricordare il tessuto imprenditoriale sano e vivace, costituito da grandi, medie e piccole imprese”, ha commentato Luisa Todini, presidente del Comitato Leonardo. L’export rimane un traino fondamentale per l’economia: nel 2012 le 111 aziende associate al Comitato hanno fatturato quasi 300 miliardi di euro, pari al 20 per cento del Pil, con una quota di esportazione del 53 per cento.

AGRITURISMI

Natura e gusto nei masi altoatesini

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APORI DEL MASO 2013 è la nuova edizione gratuita della guida-ricettario ai prodotti naturali degli agriturismi del Gallo Rosso. Nelle 68 pagine si trovano 52 indirizzi garantiti dal sigillo Gallo Rosso, simbolo tangibile di qualità e rispetto per tempi e modi della natura, con la descrizione degli agriturismi altoatesini che dispongono di uno spazio di vendita al pubblico. I dieci prodotti a marchio Gallo Rosso attualmente sono succhi, sciroppi e confetture, frutta essiccata, distillati, aceti, uova di allevamento all’aperto, erbe aromatiche, pane, formaggi e latticini. E per gli amanti della vacanza nei masi, la Guida Gallo Rosso segnala 37 nuovi indirizzi che si aggiungono agli oltre 1.400 agriturismi già presenti.

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ESPERIENZE

Puglia da vivere e da gustare

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empre più turisti, italiani e stranieri, amano la Puglia. Tra questi due tipologie di viaggiatori: giovani che organizzano viaggi su misura informandosi sul web e turisti che sono alla ricerca di he esperienze e che no per averle sono ndisposti a spena dere tanto. “La o regione ha visto nel 2012 l’aumento della sua notorietà, la diffusione dell’immagine positiva a livello d flussi fl nazionale e l’incremento dei turistici internazionali -spiega Giancarlo Piccirillo, direttore generale di Puglia Promozione- Ma non solo: oggi, la Puglia ha offerte di viaggio diversificate e un punto di forza è senz’altro rappresentato dalla gastronomia che, accanto ai vini la cui notorietà è ormai consolidata, affianca le masserie didattiche, dove scoprire le ricette della tradizione, in equilibrio tra mare e terra, capisaldi della dieta mediterranea”.


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LODGE&SPA NAPOLI

Da George’s gustando il mare A

ll’ultimo piano del GRAND HOTEL PARKER’S, di proprietà della famiglia Avallone, splendido albergo nel cuore di Napoli costruito nel 1870, il George’s restaurant si affaccia sul golfo e su Napoli con una vista a 360°. Qui, dal 1990, Vincenzo Bacioterracino, in arte Baciot, guida una brigata di cucina affiatata e professionale. L’eleganza degli arredi fa da cornice perfetta al menu dello chef di tipica impronta mediterperf ran ranea e, soprattutto, napoletana. In tavola, quindi, le rivisitazioni dei piatti tradizionali preparati utilizzando rivi ip prodotti campani Dop, a partire dalla mozzarella di bufala, e accompagnati dai vini regionali dell’azienda bu d di famiglia Villa Matilde. Tra gli ingredienti di punta della cucina del George’s restaurant, il pesce. E, dopo la d ccena, è perfetto un drink al Bidder’s Bar da sorseggiare guardando il mare di Napoli.

LONDRA

Me By Melìa apre nella City

S

ullo Strand, al centro del dinamico distretto o artistico e culturale della capitale inglese, in cuii sorge la Marconi House, sede storica della Bbc radio, è stato inaugurato l’Hotel Me London By Melìa: 157 camere con arredi e amenities di alta qualità, oltre che dell’innovativo accesso completo al digital media hub dell’hotel. Gli interni, che fondono arredi contemporanei e classici, b i alla ll luce l i all’alll’ l accompagnano i clienti in un percorso dal buio grazie ternarsi di sfumature monocromatiche. Il Me London propone anche un’eccellente e variegata scelta gastronomica: il Radio roof top bar, perfetto per aperitivi e drink, la steakhouse Stk e il ristorante italiano Cucina Asellina. L’hotel dispone anche di un centro fitness e di un’attrezzata spa.

MILANO

Atahotel Quark potenzia l’appeal

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uovo LOOK per l’ATAHOTEL QUARK, il quattro stelle milanese, vicino alla zona dei Navigli, protagonista di un restyling che ne ha rinnovato il ristorante, gli spazi comuni e buona parte delle 283 camere. Il Quam, ristorante dell’albergo, ha modificato l’offerta gstronomica, rinnovandola con piatti della tradizione culinaria italiana e internazionale, ma anche locale, con una maggiore attenzione alla stagionalità e alla qualità delle materie prime, in particolar modo ai prodotti del territorio a chilometro zero. Sofisticate tinte grigie, amplificata luminosità, spaziose planimetrie e raffinate mise en place sono state create per rendere più piacevole la degustazione dei piatti. Facilmente raggiungibile dalle principali direttive stradali, l’Atahotel è dotato di un ampio centro congressi.

TIROLO

NORD AFRICA

Nuovo spazio al benessere al Biohotel Stanglwirt

Il lusso etnico di Taj Hotels sbarca a Marrakech

Il centro benessere del Biohotel Stanglwirt, cinque stelle, gioiello di bioarchitettura in materiali naturali, del vero tyrol style a Going, nel Tirolo austriaco, si arricchisce di ulteriori spazi. Nuove piscine sono state inaugurate nell’area spa: la piscina coperta di 50 metri quadrati e quella all’aperto di 160 metri quadrati, con acqua salina a 36°C, sono fornite di postazioni per l’idromassaggio, bocchette per il massaggio intensivo, nicchie per trattamenti d’acqua individuali e riflessologia plantare con aria. Anche la zona relax esposta al sole è stata ampliata e rivestita con pannelli di vetro, con isole verdi e caminetto.

Affacciata sulle montagne dell’Atlante e sui lussureggianti giardini di Palmerale, Taj Palace Marrakech è la prima struttura della catena Taj Hotels in Nord Africa. Offre ai 161 camere di grande raffinatezza, incluse 25 suite e una royal suite. Opera del celebre designer orientalista americano Stuart Church, l’arredamento è caratterizzato da un sapiente e intrigante connubio tra Indian touch ed echi marocchini. Un ampio spazio è dedicato al benessere con la Jiva Spa, due grandi hammam e un fitness center d’avanguardia.

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GENOVA

Best Western apre vicino all’aeroporto

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l gruppo alberghiero City Hotels Company ha inaugurato a Genova il Best Western Premier Chc Airport. Il nuovo arrivato della catena è un design hotel a 4 stelle situato nella nuova zona commerciale di Sestri Ponente, in posizione strategica sia per i viaggi di lavoro sia per le vacanze tra shopping, natura e arte. Punti di forza dell’hotel sono le 115 camere, arredate con gusto e sobrietà e dotate di cam tutti tutt i comfort, le quattro sale meeting, la mini gym eu un’area relax con bio sauna, l’innovativo sistema di caldo-freddo stimolante e benefico per il corpo. E un’attenzione particolare è riservata anche alla cucina cu grazie al ristorante Gate15, in cui si può gustare un menu regionale rivisitato in chiave g m moderna. Con questo albergo salgono a otto le strutture di City Hotels Company.

VENEZIA

Villa Margherita, tappa per buongustai

I

l ROMANTIK HOTEL Villa Margherita a Mira Porte (Ve), aristocratica residenza del XV secolo di proprietà della famiglia Dal Corso immersa in un parco secolare a pochi chilometri da Venezia, ha nel Ristorante Margherita, uno dei suoi punti di forza. L’albergo propone un soggiorno valido tutto l’anno per gustare piatti, vini e prodotti regionali offerti dal pacchetto Il Buongustaio che comprende l’aperitivo al bar Casanova e la cena gourmet con menu di 6 portate a base di pesce. Si potrà, inoltre, visitare la Cantina sociale di Dolo (Ve) per degustare vini accompagnati da formaggi locali e imparare l’arte del Sabrage, la stappatura con la sciabola delle bottiglie di Champagne.

ROMA

Aperitivo in musica al Bond Bar

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al giovedì al sabato, il suggestivo Bond Bar dell’Hotel d’Inghilterra animerà la zona più esclusiva di Roma, quella tra piazza di Spagna e via Condotti, con musica dal vivo jazz e blues da ascoltare gustando le proposte gastronomiche del prestigioso albergo, coccolati dagli intimi ambienti e avvolti dall’atmosfera tipicamente retrò del locale più british della capitale. Qui, allegri e gustosi canapé caldi e freddi accompagnano le creazioni del barman pag ing inglese Peter Reynolds, le tartine appetitose esaltano l’ottimo Kyr app Royal, l’analcolico Apple Tree o Ro il memorabile Irish Coffee. E, se dopo scatta la fame, si può cenad rre al Cafè Romano, il ristorante dell’hotel, affidandosi al menu d dello chef Antonio Vitale.

DUBAI

Lusso avveniristico al Fairmont The Palm Fairmont Hotels & Resorts ha impresso la firma a Palm Jumeirah, il più grande arcipelago artificiale nel mondo, con l’apertura del Fairmont The Palm. Dal design contemporaneo di influenza araba, l’hotel ha 81 camere e suite, 3 mila metri quadrati dedicati a sale meeting e congressi, quattro piscine, un beach club privato e la prima Willow Stream Spa della regione, con 13 sale trattamenti. La scelta gastronomica varia dai tipici sapori brasiliani serviti al ristorante Frevo alla cucina delle diverse regioni della Cina proposta al Ba¯ , mentre il Flow Kitchen offre piatti internazionali di ispirazione indiana, mediterranea, asiatica e mediorientale.

ALTO ADIGE

Benessere in coppia al Bad Moos di Sesto Sotto lo sguardo imponente delle Tre Cime di Sesto (Bz), immersi nella tranquilla Val Fiscalina, non si può che cedere al romanticismo. È per questo che uno dei punti di forza dell’hotel Sport & Kurhotel Bad Moos è la spa a misura di coppia in cui, oltre a immersioni, peeling e massaggi, c’è spazio per il bagno in due nella tipica tinozza di legno o la seduta nella grotta bagno turco sulfurea: tutti trattamenti speciali da condividere con il partner per raddoppiare la sintonia. Le camere e le suite hanno caratteristiche che le rendono uniche, come la Suite Mansardata, all’ultimo piano, elegantemente arredata in stile alpino con materiali pregiati tipici.

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BUSINESSNEWS CAFFÈ

Kimbo festeggia 50 anni in crescita C

on 170 milioni di fatturato nel 2012, Kimbo cresce del 16% rispetto all’anno precedente. Un traguardo davvero ragguardevole se si aggiunge il fatto che l’export ha registrato un 25% complessivo, dai 16,7 milioni di euro del 2010, ai 19 del 2011 e ai 20,8 milioni del 2012. Risultati che arrivano proprio ora che l’azienda festeggia 50 anni di attività e che sono frutto di una strategia che ha permesso di aumentare le quote di mercato consolidando la presenza al Sud e incrementando il market share nel nord Italia e il peso dell’esportazione. Grazie a questa solida politica economica, Kimbo, in controtendenza con il difficile periodo di crisi, è riuscita nell’ultimo anno a fare nuove assunzioni e a investire15 milioni di euro nel triennio 20112013 per adeguare lo stabilimento di Melito (Na) ai nuovi volumi produttivi. Numeri importanti per Kimbo che giustificano la posizione di secondo player nel settore p rretail in Italia e in costante crescita nel canale horeca. Anche il merccato estero funziona bene, con il marchio Kimbo Espresso Italiano concepito per i mercati stranieri, tra i quali Francia e Inghilterra che vanno per la maggiore. Per festeggiare il Cinquantenario, il 13 marzo Kimbo e Autogrill offriranno un caffè e un cioccolatino a tutti i consumatori dei circa 600 bar Autogrill della rete italiana e degli oltre 2 mila punti vendita presenti in Europa. Il marchio partenopeo, inoltre, che nel 2011 ha avviato una partnership con il Teatro alla Scala di Milano, è molto vicino alla cultura e per sottolineare il legame con la propria città natale patrocinerà la mostra d’arte Bellebbuono. Napoli improvvisamente e contribuirà al restauro dei cinque dipinti della chiesa di Sant’Erasmo.

MARCHI

FERRERO

Esportazioni in aumento

N

ell’ultimo anno Ferrero ha aumentato in modo esponenziale l’esportazione di prodotti italiani in oltre 70 Paesi, realizzando ricavi per 749 milioni di euro. L’azienda torinese, che conta 6.623 dipendenti, ha, infatti, chiuso il 2012 con un fatturato di 2.550 milioni di euro, attestando una crescita dell’1,9% rispetto al periodo precedente. Anche se, in seguito all’aumento del costo di alcune materie prime, l’utile netto si è attestato con un lieve calo, 95,9 milioni rispetto ai 110,7 del 2011, la performance dei marchi Estathé, Nutella e Kinder Bueno ha garantito la tenuta dei volumi sul mercato domestico. Grazie a una politica di innovazione, la posizione finanziaria aziendale di circa 48 milioni di euro è in miglioramento. Anche gli investimenti produttivi sono in netta ripresa, avendo raggiunto i 627 milioni di euro.

VINI

Il Gruppo Campari cede Punch Barbieri

Giordano leader della vendita diretta

Definitivamente siglato l’accordo tra Gruppo Campari, tra i maggiori player a livello globale nel settore del beverage, e Distillerie Moccia, azienda che produce oltre 20 tipologie diverse di liquori, per la cessione di Punch Barbieri, di proprietà del Gruppo milanese dal 2003, con un controvalore di 4,45 milioni di euro. L’operazione permette al Gruppo Campari di porre maggiore attenzione ai marchi di spicco del proprio portafoglio, mentre alla Distillerie Moccia consente di attuare un progetto di ampliamento, grazie all’acquisizione di marchi leader a livello locale. Punch Barbieri sarà affiancato a Zabov liquore all’uovo, di cui Distillerie Moccia è proprietaria dal 1946.

Fondata nel 1900, l’azienda Giordano conferma la propria posizione di leader della vendita diretta anche nel 2012. Con i suoi 51 vini Doc e Docg, i 46 Igt provenienti da 11 regioni e le oltre 60 specialità alimentari della tradizione di tutta la nostra penisola, l’azienda, i cui siti produttivi si trovano in Piemonte e in Puglia, ha raggiunto un fatturato di 110 milioni di euro con vendite annuali di 26 milioni di bottiglie. Giordano vanta 3 milioni di clienti in tutto il mondo e, a testimonianza del valore della sua produzione, il suo Rosso di Puglia Igt 2011, vino dalla floreale dolcezza olfattiva, ha ricevuto la Medaglia d’oro al 20° Concorso Enologico Internazionale di Vinitaly.

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ACQUISIZIONI

L

Mercato in espansione e per le associate Cobes s

a società spagnola Ebro Foods ha rilevato i 25% di Riso Scotti. Con questa operazione Riso Scotti si propone di aumentare la quantità e migliorare il grado di qualificazione dei suoi prodotti, in modo da crearne di più adatti a quel mercato internazionale che apprezza sempre più la cultura del risotto e dell’italian food. L’attenzione di Dario Scotti, che grazie all’alleanza con Ebro Foods (che può contare su 60 marchi in 25 Paesi) vuol dare il via ad una joint venture, è anche rivolta a portare a pieno utilizzo gli impianti di Pavia, che attualmente lavorano con un ottimo regime come quelli del ready food, anche grazie a nuove assuzioni.

Per le aziende associate Cobes,, Comitato buoni pasto voucher sociali e servizi, i numeri del 2012 sono ancora in aumento. Sono 650, infatti, i milioni fatturati con una crescita stimata in linea con il 2011 in cui è stato registrato un più 4,7% di market share e un più 27,10% di ricavi rispetto al 2010. All’interno delle società aderenti a Cobes (Ep, Gemeaz Cusin, Repas Lunch Coupon, Qui! Group,) c’è chi vede la propria posizione stabile rispetto al 2011, ma forti segnali positivi arrivano da Qui! Group, come emerge dai dati previsionali del 2012 che segnalano una crescita del 5% rispetto all’anno precedente. Quest’ultima, infatti, ha chiuso il 2012 con un fatturato previsto di 525 milioni di euro e una crescita della quota di mercato, sempre in previsione, pari al 3%.

BIOLOGICO

Alce Nero cresce ancora nella Gdo

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etta crescita del Gruppo Alce nero e Melizia di Monterenzio (Bo), che vanta tra le sue fila più di mille produttori e agricoltori biologici, grazie soprattutto al marchio Alce Nero, che ha chiuso il 2012 con 25,1 milioni di fatturato, circa il 15% in più rispetto all’anno precedente. Leader nella Gdo, i prodotti Alceall’a nero hanno al loro attivo una crescita maggiore rispetto al tr trend dei mercati di riferimento, come le passate, in aumento del 24,9% contro il 10,3% registrato dal settoaum re, i pomodori in polpa a più 15,9% contro il 3,3% del mercato, i nettari di frutta a più 11,5% e i frollini a più m 9,5%. Il Gruppo Monterenzio è cresciuto del 1,5% in 9, più rispetto al budget previsionale grazie all’aumento p dei volumi venduti, all’acquisizione di nuovi clienti e d all’ampliamento del portafoglio prodotti.

FATTURATI FATT A URAT A I

Prosciutto San Daniele +2,5 punti rispetto al 2011

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BUONI PASTO

Alla spagnola Ebro Foods il 25% di Riso Scotti

rosciutto San Daniele batte la crisi chiudendo il 2012 con un incremento di fatturato del 2,5% rispetto all’anno precedente, con un giro di affari alla produzione di circa 345 milioni di euro. Mario Cicchetti, direttore generale del Consorzio del Prosciutto di San Daniele, ribadendo che anche l’export è in aumento di due punti, afferma che le cifre ripagano il lavoro duro e costante di tutto lo staff aziendale, ma anche la qualità innegabile di un prodotto unico al mondo. In crescita di circa il 13,5% anche la quota di prosciutto esportato in tutto il mondo. Per incentivare questa presenza internazionale, l’azienda ha allocato fuori dai confini italiani il 46% del budget destinato alla promozione, che consiste in 3 milioni di euro di spese totali.

CESSIONI

Barilla cede Lieken al Gruppo ceco Agrofert Barilla ha siglato un accordo per vendere la propria partecipazione nel Gruppo tedesco di prodotti da forno Lieken al Gruppo ceco Agrofert. Una volta approvata dall’Unione europea, l’ operazione consentirà a Barilla di continuare a concentrarsi sullo sviluppo del suo core business, la pasta, garantirà a Lieken un nuovo proprietario strategico. Lieken era l’ultima delle attività detenute in Germania dal Gruppo italiano. Barilla aveva comprato Lieken nel 2002 nell’ambito dell’acquisizione di Kamps, un’ altra catena di prodotti da forno venduta al fondo di private equity Ecm nel 2010. Lieken impiega 4.700 persone e nel 2011 ha registrato un giro d’ affari di 756 milioni di euro.

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ILMONDOINPENTOLA

Fabrizio Ferrari lascia il Roof Garden Bergamo. Il 21 marzo finisce l’avventura di Fabrizio Ferrari al Roof Garden, il ristorante ospitato all’ottavo piano dell’Hotel Excelsior San Marco di Bergamo. Il quarantottenne cuoco di origini pavesi a sei anni dal suo arrivo non ha raggiunto un accordo con la proprietà per continuare l’esperienza e, nono nonostante l’assegnazione della stella Michelin nel 2010 e il posizionamento tra le migliori tavole della città, ha deciso di posiz proseguire pros su altre strade. Alcune delle quali lo vorrebbero prossimamente impegnato in un progetto di ristorazione in pros Francia, Fran in Alta Provenza. Il cuoco che lo sostituisce al Roof Garden è Giampiero Semperboni, che da vent’anni frequenta Ga le cucine c del ristorante e, ultimamente, era uno dei cuochi di fiducia di Ferrari. La svolta dovrebbe riguardare anche lo st di cucina, destinato a risultare in futuro meno creativo stile e intraprendente (e senza le preparazioni sottovuoto di F Ferrari), con un occhio di riguardo per la valorizzazione dei prodotti del territorio. (g.s.)

Da Podvorye per il menu di Putin Tyarlevo. Dalle parti di San Pietroburgo e non troppo distante da Puškin, a Tyarlevo (ed esattamente nel quartiere periferico di Pavlovsk), si può vivere la bizzarra esperienza gastronomica di degustare l’intero menu affrontato da Vladimir Putin in occasione del suo compleanno. Quello che si è tenuto proprio qui, nel tipico ristorante russo Podvorye, ben tredici anni fa. Il menu recita: Funghi porcini marinati, Bollito di manzo con panna acida piccante, Salsa all’aglio e mirtilli di palude, Salmone salato, caviale Beluga affumicato con burro e limone, Aringa con contorno di cipolla, patate bollite con burro e aneto, Salsicce affumicate della casa, Misto di verdure marinate, Borš (una gustosa minestra di cavoli e barbabietole) e la Uchá dello Zar (una zuppa di pesce a base di storione, salmone rosso e mepluza negra cotti in brodo di pollo). Infine, un piatto misto di carni saltate o un piatto misto di pesce saltato. (g.s.)

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Guida sbarca in America Stati Uniti. Il bistellato Antonio Guida, executive chef dell’hotel Il Pellicano di Porto Ercole (Gr), porta la sua arte culinaria e il made in Italy negli Stati Uniti. Dopo il Casa Lever di New York, il rinomato ristorante di Park Avenue che accoglie una delle più grandi collezioni al mondo di dipinti originali di Andy Warhol, Guida sarà guest chef al Sunset Tower di Los Angeles, celebre albergo che tutti gli anni ospita la festa degli Oscar. L’obiettivo è quello di diffondere Oltreoceano i sapori tradizionali della cucina mediterranea, rivisitati dal sapiente tocco di Guida anche attraverso l’utilizzo delle tecniche più innovative lo chef farà conoscere ai curiosi e aperti palati americani alcuni dei suoi piatti icona.

Due Iaccarino a Macao Macao. Sarà un’esibizione gastronomica a quattro mani quella che si terrà al Don Alfonso di Macao, il ristorante gestito dalla dynasty Iaccarino. Il locale è situato all’interno dell’Hotel Grand Lisboa, sede anche del più grande casinò dell’isola, di proprietà del multimiliardario cinese Stanley Ho che ha fortemente voluto il Don Alfonso per la sua cucina mediterranea. Non solo blackjak e roulette per gli ospiti del Lisboa, ma anche Alfonso ed Ernesto, che proporranno piatti legati all’antica cucina dell’età borbonica del regno delle Due Sicilie. Ricette pensate per stupire i gourmet asiatici e quelli della vicina Hong Kong che tanto amano la cucina italiana. I due Iaccarino lasceranno poi il timone a Vincenzo Castaldo, il sous chef che proseguirà fino ad aprile, inserendo nel menu piatti della tradizione sorrentina, come gli Gnocchetti di capesante e la Casseruola di crostacei. (j. b.)

Niederkofler al Vila Joia Albufeira. L’International Gourmet Festival di Vila Joya a o a Albufeira, in Portogallo, ha subito uno spostamento di data nel corso della stagione. L’edizione 2013, che doveva tenersi a marzo -e già rappresentava una novità visto che l’evento si era svolto in passato nel mese di gennaio- si terrà nella prima metà di novembre. Ma nella sostanza non cambiano i contenuti di una amour manifestazione che è ormai tra le irrinunciabili per glamour e spiegamento di forze messe in campo. Grandi nomi mi tra gli chef presenti -i Roca, tutti gli stellati portoghesi, Jonnie Boer, il nostro Norbert Niederkofler, solo per citarne alcuni- e una location da favola per una serie di cene gourmand e degustazioni ad altissimo livello. Basti pensare che lo scorso anno tra gli ospiti c’era anche la cantante americana Sheryl Crow. (g.s.)


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CARNE MATURATA

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ALESSANDRO DAL DEGAN BRODO DI LEGNA, ERBE SPONTANEE, FIORI, FIENO, FUNGHI E FRUTTI DI BOSCO. RIGOROSAMENTE DELL’ALTOPIANO DI ASIAGO. ECCO GLI INGREDIENTI DI UN AUTODIDATTA CURIOSO, GUIDATO DAL CLIMA PIÙ CHE DALLA STAGIONALITÀ. UNA CUCINA DI TERRITORIO E MATERICA, CHE FONDA LE SUE RADICI NEL TEMPO, IN EQUILIBRIO TRA SPERIMENTAZIONE, TECNICHE INNOVATIVE E UN PIZZICO DI MAGIA

La cucina da fiaba della Tana Barbara Amati

C’ Originario dell’Altopiano di Asiago, Alessandro Dal Degan, è tornato alle origini e ha riscoperto ingredienti inusuali che hanno stimolato la sua ricerca e creatività. Sotto, l’Insalata di erbe croccanti, fiori e verdure dell’orto con siero del latte all’olio di tarassaco

era una volta il brodo di legna e c’è ancora… Non è una favola e non nacque per caso. I duri inverni sull’altopiano di Asiago erano lunghi e avari di cibo. Così, per dare gusto all’acqua, ricavata sciogliendo la neve, vi si faceva bollire la corteccia o la parte interna di alcuni alberi, lasciando poi concentrare il brodo, dal sapore deciso, di resina e funghi. Riscoprire strade già battute e ripercorrere le orme di chi abitava un tempo in quel territorio, capire cosa mangiava e quali cotture preferiva, tramandando le esperienze come una ricchezza personale, è alla base della cucina de La Tana di Asiago (Vi), che affonda le proprie radici nel passato. E lo vedremmo proprio bene Alessandro Del Degan a interpretare il mago dei boschi che crea pozioni magiche trasformando ciò che c’è in prati e boschi in qualcosa di molto buono da mangiare. Erbe, fiori, radici, come il raperonzolo della triste favola dei fratelli Grimm: alla Tana, questo germoglio raccolto con la sua radice a inizio primavera entra in un appetizer delizioso, il Carpaccio di baccalà con i raperonzoli crudi, il rafano e la pancetta rosolata. A sentir parlare Alessandro della sua cucina viene naturale pensare alle fiabe, perché gli elementi ci sono davvero tutti, a cominciare dalla sua Tana, un luogo un po’ nascosto, sottoterra, quasi un rifugio dove ripararsi dal mondo e studiare, sperimentare, inventare in tranquillità le sue ricette. “Un luogo ideale per mettersi dentro e tirare fuori qualcosa dal di dentro…”, ammette lo chef,

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attratto dalla filosofia e dallo stile di vita orientale, portato alla calma e alla tranquillità e con un grande controllo delle emozioni. Autodidatta curioso, questo giovane uomo dal sorriso aperto e dallo sguardo limpido ha creato una sua personalissima cucina lasciandosi guidare da tutto ciò che lo circonda, che cresce sopra e sotto la terra dell’Altopiano d’Asiago. Qui ha le sue origini e qui è tornato, Alessandro, introverso e un po’ eremita, trovando la propria dimensione e la propria serenità, lontano dai circuiti culinari in gran fermento che offrono notorietà, ma anche il logorio della vita moderna, come recitava una famosa pubblicità. Tra boschi e montagne la vita è diversa, a misura d’uomo, verrebbe da dire, e sorprende trovare una cucina così ricercata nella sperimentazione, nel gioco e nell’incontro dei sapori, eppure così legata alla materia prima. Perché è questo che si trova, qui. “Elaboro i miei piatti affrontando una profonda ricerca di quelle che erano, da un lato, le tradizioni, dall’altro le necessità alimentari di chi abitava sull’altopiano -racconta lo chef- In inverno, quando c’era scarsità di qualunque materia prima, si arrivava a fare il brodo utilizzando la corteccia di alcune piante come l’abete, il faggio,


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ALESSANDRO DAL DEGAN

Uno scorcio de La Tana, che rispetta il proprio nome essendo al piano sottostrada: tanto legno e luci soffuse ne fanno un ambiente caldo e accogliente. A destra, Tortelli di polenta liquida in brodo di abete, funghi e stracciatella

A destra, la Tartare di cervo alla brace di fieno, berberis vulgaris e olio d’erbe in polvere

il cirmolo che, sapientemente equilibrate, donavano all’acqua un gradevolissimo sapore di funghi e di affumicato. Poi utilizzo erbe, radici, fiori, legni, resine, licheni, torba, fieno, rugiada e anche neve. In questo territorio montano il cui punto più basso è a 650 metri e il più alto a 2.400, si trova una quantità di microclimi e grazie a essi una ampissima varietà di erbe spontanee e aromatiche, radici, fiori, animali”. Ma è la creatività di Alessandro che li trasforma e li assemblea per ottenere qualcosa di inedito e di unico, valorizzando ciò che offre la natura. Una cucina di territorio, certamente, una cucina materica, senz’altro: ma c’è qualcosa di più che incuriosisce e sorprende, perché Alessandro ci mette cuore ed estro, ragionamento e tecnica e, soprattutto, ispirazione. Uno stile nuovo e personale dai gusti netti, limpidi, puliti. “Amo la chimica e la fisica, capire cosa succede all’interno del prodotto, come cambiano i gusti a seconda di come si tratta la materia prima. Faccio una ricerca estrema sulle materie, dalla più comune alla meno comune, una ricerca che già in se stessa è frutto di originalità. La mia è una cucina nella quale si valorizza al massimo mo ciò che c’è nel piatto, e quali e quanti siano gli ingredienti non importa: ognuno deve esprimere il proprio carattere e la propria decisione, se ci sono si devono sentire”. Adolescente a Firenze, e, al seguito della mamma, a, non potendo frequentare la asscuola per piloti (la sua pascide sione) che lì non c’era, decide ne e di seguire le orme materne

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di entrambe le nonne e di diventare cuoco. Frequenta così l’Istituto alberghiero Buontalenti e poi inizia a lavorare a I macchiaioli, un rinomato ristorante di Sesto Fiorentino, diventandone prima sous chef, poi chef, infine co-titolare. Rinunciando ad andare a lavorare nelle cucine di Gualtiero Marchesi all’Albereta, rimase ai Macchiaioli a lungo, e nel giro di un anno il ristorante fu segnalato su tutte le guide. Una grande soddisfazione, un’esperienza importante, che lascia tuttavia per disaccordi con i soci. Va al Gallopapa, di Castellina in Chianti (Si), una stella Michelin, ma nel 2008 torna alla terra d’origine della sua famiglia, l’Altopiano di Asiago (ma Alessandro è nato a Torino) e, complice il colpo di fulmine per Chiara, la sua compagna, laureata in arte, ma fotografa per passione, decide di fermarsi. Dopo un’esperienza al ristorante da Riccardo al Maddarello, tra i migliori dell’altopiano, è chef al St. Hubertus dell’Hotel Europa, un quattro stelle tra i più prestigiosi della località. Ma Stefano Fracaro, direttore dello Sporting Residence Hotel, altro quattro stelle nell’isola pedonale della città, gli offre l’opportunità di diventare il cuoco de La l’oppor Tana, il ristorante a fianco dell’albergo, con posti, e poi di prenderlo in gestione. E qui 40 post inizia un’altra storia, la storia de La Tana, la fiaba fiab dell’uomo dei boschi. Un uomo, meglio, un ragazzo, del segno Toro e quindi molto determinato, del T capa capace di raccogliere le opportunità e le sfid sfide quando gli si presentano, di metters tersi in gioco, consapevole delle proprie cap capacità e della propria professionalità. Ra Racconta della sua ricerca influenzata dalla sensibilità di vedere e capire la natura: “A guidarmi non sono le sstagioni, bensì il clima, perché è lui


che comanda. Vi sono alcune erbe e radici, per non parlare dei fiori, che si trovano soltanto per 10 giorni, al massimo 15. Io le lavoro per quei 15 giorni e poi magicamente ce ne sono altre: l’asparago di bosco, ad esempio, dura una settimana, poi non si trova più. E questo è molto stimolante, perché hai una materia prima sempre diversa ed è quella che devi studiare, lavorare e creare per inventare una ricetta”. Il brodo di abete in questo momento è parte di un piatto che sta avendo un grande successo, ossia i Ravioli ripieni di polenta liquida, in brodo di abete, funghi e stracciatella. Il procedimento con il quale si ottiene il brodo è relativamente semplice. “L’importante è avere la legna giusta: noi abbiamo provato quasi 20 tipi di legna diversa, per trovare i sapori e i gusti differenti. Il mio brodo di legna è composto per l’80 per cento da abete rosso, e poi nocciolo e rami di ginepro selvatico; a volte si usa il legno interno, a volte la corteccia. Si pulisce bene la legna per eliminare ogni impurità e per sterilizzarla la si passa in forno a vapore per 7 o 8 minuti, poi viene messa in acqua fredda e si porta a bollore, si spegne il fuoco, si filtra e se è necessario si fa leggermente ridurre il brodo che si è ottenuto”. Il menu de La Tana propone tre differenti percorsi: Territorio, Progetti, Materie. terie. “Territorio è costituito da piatti della tradizione molto semplimplici, puliti e senza elaborazione one di sorta legati al nostro tererritorio. Progetti comprende de quei piatti che abbiamo elaaborato e che sono sempre e gli stessi, pur cambiando o continuamente negli ingredienti: non possiamo più toglierli, perché ci sono

tante persone che vengono apposta per assaggiarli. Materie si focalizza ancor più sulle materie prime, quegli ingredienti che durano pochissimo tempo, come, appunto, l’asparago di bosco, quindi cambia in continuazione. Ho due opportunità: da una parte i prodotti del territorio e dall’altra la ricerca continua, tecnica e scientifica, con cui elaboro i piatti. Però voglio che le tecniche, anche avanzatissime, che uso in cucina, rimangano nascoste agli occhi del cliente o, meglio, non voglio che i miei piatti appaiano come dei puri giochi di tecnica, perché l’ospite deve goderne in maniera immediata, non deve ragionarci sopra. Punto al gusto e all’estetica, molto più che al puro sfoggio delle mie tecniche di cucina”. Tra i piatti che ad Alessandro danno maggior soddisfazione c’è Il Risotto ai margini del bosco: “Perché tranne il riso, tutto ciò che lo compone viene dal bosco o ha a che fare con il bosco o i margini del bosco: quindi il formaggio, il burro, il latte di montagna. Sostanzialmente è un riso cotto in bianco, con l’Asiago (Asiago è il comprensorio montano con la più alta densità al mondo di malghe attive nella produzione di formaggio d’alpeggio) e mantecato con un burro che lavoriamo con aghi, gemme e resina di pino mugo; ci sono funghi, carne sopra al riso adagiato sul piatto p affumicata, formaggio in scaglie, secca molto affum lichene, polvere di carbone e li olio affumicato, ottenuto mettendo l’olio sulla brace spenta, così che ne assorba iil profumo. Il gioco in tutto questo è dato dal fatto che gli q ingredienti sono sparsi sopra in e sotto s il riso in maniera casuale, quindi a ogni boccone s’incon contra un gusto differente,

Alessandro impegnato nella costruzione di un piatto e muschi e licheni dell’altopiano di Asiago

Il Risotto ai margini del bosco, tra i piatti preferiti da Alessandro: tranne il riso, tutto ciò che lo compone viene dal bosco e assaggiandolo si percepiscono i sapori più intensi o meno intensi che si incontrano in una passeggiata nel verde

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ALESSANDRO DAL DEGAN

La cucina di Dal Degan si può definire materica, perché così legata alle materie prime, ma è ricercata nella sperimentazione, nel gioco e nell’incontro dei sapori. A destra, Mattonella di latte di montagna con frutta e verdura primaverile

più intenso o meno intenso, così come man mano che ci si addentra nel bosco sono più forti o meno forti gli odori che si percepiscono e che cambiano passo dopo passo”. Un’esplorazione che ai suoi clienti piace molto: “Il mio grande piacere è vedere che il 98 per cento delle persone che sceglie di fare un viaggio in una dimensione sconosciuta e si fa guidare nel percorso, alla fine del pasto ha lo stupore negli occhi, perché gli ho fatto assaggiare tutti i sapori che incontra su queste montagne e che mai penserebbe di poter mangiare. Così come le cotture fatte nel fieno, come il piccione, per il quale si usa il fieno di maggio o di giugno che è quello più ricco di profumi. Il piccione è racchiuso in una pasta di sale e cotto in forno. Questa specie di pagnotta è aperta di fronte al cliente in modo tale che sprigioni tutti i profumi e gli aromi del fieno. Certo, sono piatti che vanno spiegati e ho una grande fortuna: Enrico Maglio, mio socio insieme a Stefano Fracaro, ha una grandissima verve comunicativa e riesce a raccontare esattamente un piatto al cliente. Nelle mie ricette ci sono ingredienti inconsueti e se non si spiega ciò che sta dietro, come ad esempio nel caso del Risotto ai margini del bosco, si perde il 50 per cento di ciò che voglio comunicare”. Molto divertente, e sorprendente, è un dolce che parte dal mugòlio, uno sciroppo che fa parte della tradizione di Asiago: “Si raccolgono le piccole pigne mature a fine giugno, si mettono in un vaso di vetro riempiendolo a tre quarti e le si copre di zucchero; il vaso è chiuso e lasciato per 40-50 giorni al sole. Con il caldo lo zucchero si scioglie, si estraggono gli oli essenziali della pigna e si ottiene uno sciroppo da sempre utilizzato contro il mal di gola e il raffreddore. Con questo sciroppo abbiamo fatto un sorbetto che mescoliamo con dell’orzo tostato, non cotto ma solo appoggiato sulla brace, come se fosse un popcorn. Il

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sorbetto è poi servito su un piatto con un tuorlo d’uovo condito con un chicco di fior di sale e con olio al malto d’orzo, in parte spolverato con la polvere di sucamara (liquirizia selvatica): nel momento in cui si mastica l’orzo, si ha la sensazione di mangiare una pigna”. Rintanato, è proprio il caso di dirlo, in cucina per un minimo di 12 ore al giorno, Alessandro dedica il tempo che gli rimane a Chiara e appena può guarda un film giallo o ascolta musica, dalla classica alla disco. Quando cucina si rilassa ascoltando Chopin, ma se si deve concentrare sul lavoro ascolta i Prodigy, un gruppo inglese che fa musica elettronica molto ritmata. Pur avendo poco tempo per andare nei boschi, alla ricerca di tutto ciò che gli serve in cucina (è Romeo, il padre di Chiara, che lo affianca nella raccolta), Alessandro adora camminare in montagna, “perché mi rilassa più di ogni altra cosa. Ci sono dei posti su questo altopiano che mi emozionano: belli da togliere il fiato, ma anche luoghi della memoria, perché qui si è combattuto tanto durante la prima guerra mondiale e ci sono stati 150 mila morti. Sulla cima Portulè sembra di essere sul tetto del mondo; Castelloni di San Marco è un luogo magico: un gigantesco labirinto di roccia che non ci si spiega come si sia potuto formare, quale tipo di erosione l’abbia creato. Invece, il Monte Ortigara, dove si è svolto l’episodio più cruento della Grande guerra, è un posto che mi lascia malinconico ma allo stesso tempo mi trasmette un’energia straordinaria e se si ha un minimo di sensibilità si percepisce la forza dei caduti”. F B SCHEDA

La Tana Ristorante piazza Pertile 4 36012 Asiago (Vi) tel. +39 0424.462521 www.latanaristorante.it latanaristorante@gmail.com



CONSUMI NEL 2012, SU 450 MILIONI DI BOTTIGLIE DI SPUMANTI ITALIANI STAPPATE, DUE SU TRE SONO STATE BEVUTE ALL’ESTERO, DI CUI 165 MILIONI IN EUROPA, CON UN FATTURATO DI 1,2 MILIARDI DI EURO. L’ITALIA SI CONFERMA PRIMO PAESE ESPORTATORE DI METODO CHARMAT, E CRESCE A DOPPIA CIFRA NEL CLASSICO

Le bollicine italiane volano all’estero Stefano Masin

S

tando all’Ovse, Osservatorio economico vini, i dati sullo spumante potrebbero considerarsi quasi uno specchio dei tempi, almeno per l’Italia. I prodotti nazionali, infatti, funzionano molto all’estero, le esportazioni fanno registrare numeri a doppia cifra, mentre il consumo interno, piegato dalla forte crisi economica, è in flessione. Nel 2012 nel mondo sono state stappate circa 450 milioni di bottiglie di spumante italiano, 165 milioni in Europa, con un fatturato alla cantina di più di 1,2 miliardi di euro, e un giro di affari al consumo finale di quasi 3,6 miliardi di euro. Questi dati sono da un lato rassicuranti, in quanto valorizzano il prodotto italiano che è sempre il più richiesto su un mercato globale dove gli acquirenti guardano sempre più alla provenienza del prodotto, alla qualità, alla fiducia, alle Denominazioni specifiche e alla riconoscibilità del brand. Di contro, in Italia si sta delineando, anzi, si è già delineata, una situazione di calo dei consumi dovuta a discontinuità, prezzo alla cassa, ricarichi nell’horeca e al ristorante, infedeltà all’etichetta, ritorno all’occasionalità e rinuncia a tavola di beni voluttuari e non indispensabili. Dopo 15 anni di forte crescita, dal 2010 è iniziato un lento ma inesorabile calo dei consumi. Nel 2012 sono state prodotte 465 milioni di bottiglie di cui 28 milioni con metodo Classico e 437 milioni con metodo Charmat, ma i consumi sono stati rispettivamente di 24,2 e 425,3 milioni di bottiglie. Gli italiani hanno stappato circa 145 milioni di spumanti made in Italy e poco più di 6 milioni di bollicine, con una flessione del 4,10 per cento rispetto al 2011 e del 6,64 per cento rispetto al 2010. Nonostante il calo dei

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Lo spumante italiano è sempre il più richiesto sul mercato internazionale, ma per fronteggiare il calo dei consumi interni occorre maggiore attenzione e personalizzazione nei rapporti commerciali, nella riduzione della filiera e dei ricarichi

consumi, la riduzione del giro d’affari è stata piuttosto contenuta, stabilizzandosi sul 3,37 per cento in meno rispetto alla contrazione dei volumi; dato sintomatico, perché indica che i prezzi al consumo non sono calati: al contrario, in alcuni casi sono aumentati. In particolare, per gli acquisti di bollicine la Grande distribuzione organizzata si è confermata leader nel settore, con un fatturato stabile. Bene i discount che sono cresciuti sia in volumi sia in fatturato; meno bene l’horeca che ha registrato un calo del 9,5 per cento nei consumi e del 12 per cento negli ordini. “Discontinuità e infedeltà all’etichetta si riscontrano già dal 2011, quando due acquirenti su cinque hanno iniziato a cambiare marchio rispetto all’anno precedente -spiega Giampietro Comolli, fondatore dell’Ovse- Nel 2012 si sono aggiunte altre cause croniche come acquisti rinviati, rinuncia causa prezzi al consumo sostenuti, paura di spendere, risparmio forzato. Insomma, tutta una serie di motivazioni legate alla crisi dei consumi e a strategie forse non troppo mirate”. Sempre secondo i dati Ovse, invece, i cali minori sono stati registrati nei consumi domestici, con un ritorno dello spumante come regalo. Il mercato estero, invece, non può che inorgoglire i produttori di bollicine. Nel 2012, infatti, sono state stappate circa 305 milioni di bottiglie made in Italy, di cui 180 milioni solo nella notte di Capodanno. Supremazia quasi totale nelle esportazioni di metodo Charmat con il 99 per cento tra Prosecco, Asti e Spumanti), ma con una forte crescita del metodo Classico (Franciacorta e Trentodoc) che ha fatto registrare un più 21 per cento. Sul mercato export dei vini italiani, che si stima in oltre 4,5 miliardi di euro, in crescita del 12,96 per cento rispetto al 2011, gli spumanti hanno contribuito con 945 milioni di euro facendo registrare un

più 15 per cento e un giro d’affari di 2,5 miliardi di euro. L’Europa rappresenta circa il 51 per cento del valore globale, con Germania e Gran Bretagna in testa con, rispettivamente, più 2,9 per cento e più 9 per cento. Doppia cifra in positivo per Giappone ed Estremo Oriente, dove la crescita in valore è dell’11 per cento con volumi variabili da Paese a Paese. Bene anche la Russia, dove spopola il Prosecco, e consumi e valore sono aumentati dell’8 per cento e del 3 per cento. Oltreoceano, invece, il Canada ricomincia a correre con i volumi, meno nei valori, mentre gli Stati Uniti mantengono un trend di crescita regolare e rassicurante. Brasile e Argentina, invece, tirano il Sudamerica con un incremento medio del 14 per cento, seguiti da Colombia e Uruguay. “Il mercato italiano, alla luce di questi dati, dimostra di aver bisogno di maggiore attenzione e personalizzazione dei rapporti commerciali, riducendo la filiera e i ricarichi -commenta Comolli- Meno edonismo e più concretezza, per adeguarsi alla maggior consapevolezza dei consumatori che devono fare i conti con la contrazione della propria disponibilità economica. Questo si vede anche dalla crescita nelle zone di produzione dell’acquisto diretto di spumante, da parte sia di turisti stranieri, sia italiani”. Per un export, quindi, da fare invidia, frutto di un lavoro e di una comunicazione ben orchestrati da parte delle aziende, sembra che gli italiani, di contro, siano un po’ trascurati, o quantomeno penalizzati da una filiera troppo lunga fonte di costi al consumo spesso troppo elevati. Ma c’è un dato che non può che farci piacere: in Francia, il consumo di bollicine italiane è cresciuto del 34,2 per cento sfiorando i 9 milioni di bottiglie. F B Ah, les italiens! FOOD&BEVERAGE MARZO 2013 | 37


ACQUE L’AZIENDA FESTEGGIA 120 ANNI DI STORIA AVVIANDO UNA INNOVATIVA POLITICA VALORIALE SIA SUI PRODOTTI CHE SUI MARCHI, A COMINCIARE DA FERRARELLE, FINO A BOARIO E VITASNELLA. PER COMUNICARE TRASPARENZA, COERENZA E QUALITÀ. L’IMPEGNO DELLA FAMIGLIA PONTECORVO CONTINUA A FIANCO DI FAI E TELETHON

Ferrarelle rinnova la tradizione Barbara Amati

F La sede milanese di Ferrarelle, di proprietà della famiglia Pontecorvo dal 2005

errarelle festeggia 120 anni chiudendo il 2012 con un fatturato di 162 milioni di euro, in aumento del 25,6 per cento rispetto all’ anno precedente, con una vendita di 861 milioni di litri, il 4,2 per cento in più, ma con un Ebit del Gruppo in lieve flessione rispetto al 2011. “È stato un anno significativo, pur con una perdita voluta, perché nel corso del 2012 l’azienda ha deciso di rivedere tutta la sua politica commerciale -spiega Carlo Pontecorvo, presidente e amministratore delegato di Ferrarelle Spa, presentando la nuova filosofia aziendale- In un mercato dell’acqua in sofferenza, l’azienda,


Carlo Pontecorvo, presidente e ad di Ferrarelle Spa, e Michele Pontecorvo, responsabile comunicazione Corporate, sottolineano entrambi la necessità di limitare la promozionalità dei prodotti rafforzando il valore industriale del Gruppo e il suo peso sul mercato

dal 2009, ha fatto l’errore di inseguire un po’ troppo i volumi aumentando la promozionalità della vendita a fronte di un forte aumento dei costi, soprattutto per le energie e le materie prime: per garantire i volumi, abbiamo quindi sofferto in termini di risultato”. Il Gruppo Ferrarelle, di proprietà della famiglia Pontecorvo dal 2005, ha dunque compiuto operazioni mirate a un riposizionamento e a un mutamento fondamentali: dalla creazione di una nuova forza vendita diretta, più snella e attenta a portare avanti politiche commerciali rispettose sia del valore di marca che della qualità di prodotto, agli investimenti sui singoli marchi: “In un mercato italiano in cui i grandi marchi spariscono o, nella migliore delle ipotesi, vengono acquisiti da realtà straniere, Ferrarelle compie il percorso contrario, preservando i marchi e riposizionando tutti i prodotti, limitando il discorso della promozionalità e rivedendo il listino prezzi, per far comprendere la nostra volontà di investire pesantemente sul sostegno a tutti i marchi anche con una comunicazione su diversi mezzi (dalle televisioni, alla carta stampata, al web) con un investimento del 12-13 per cento sul fatturato. Campagne che vedono al centro il consumatore, ma con una netta differenziazione tra il mondo horeca e il mondo retail, con dei prodotti dalla forte caratterizzazione a seconda del loro posizionamento”. Partendo dal marchio principe, Ferrarelle, l’acqua per tutta la famiglia di cui si sottolinea l’italianità con una comunicazione legata al cinema italiano, con un attore italiano (Alessandro Gassman) che evoca il legame con la cucina mediterranea rimettendo l’accento su quelle proprietà organolettiche e funzionali che

le consentono di ricoprire un ruolo lo centrale sulle tavole degli italiani. Ma si investe anche su Boario, l’acqua a termale che non veniva comuni-cata da vent’anni, puntando per il nuovo posizionamento sui benefici intrinseci del prodotto, e su Vitasnella, il marchio acquisito da Danone nel 2012 (di cui Ferrarelle Spa era già licenziataria), che ha permesso di rafforzare in maniera era significativa il valore industriale del Gruppo e il suo peso sul mercato: Vitasnella, un’acqua oligominerale che aiuta il corpo a eliminare gli eccessi, è leader nel settore del body management: preferita dal pubblico femminile, oggi si rivolge anche agli uomini. “Una politica commerciale in controtendenza -ribadisce Pontecorvo-molto più valoriale sia sui prodotti che sui marchi”. Ferrarelle Spa è finanziariamente sana, non gravata da debiti se non quelli fisiologici legati ai costi industriali, ai quali fa fronte con la sua cassa. Le operazioni avviate nel 2012 consentono all’azienda di affrontare il 2013 rafforzata e più efficiente, con una previsione di aumento del fatturato e un impatto positivo in termini di ricavi. “I primi risultati del 2013 danno già riscontri positivi”, anticipa Michele Pontecorvo, responsabile comunicazione Corporate, sottolineando la volontà di avviare un processo di diversificazione nel mercato alimentare, un mercato che attribuisce al nome Ferrarelle prestigio, serietà e impegno, e che accoglie in modo ricettivo le nuove iniziative, come ha dimostrato la piccola realtà bio di Masseria delle Sorgenti nel Parco

Nunzio Savasta, direttore commerciale e marketing, punta su strategie volte a sottolineare i benefit di prodotto: l’acqua per tutta la famiglia (Ferrarelle), l’acqua termale (Boario) e l’acqua che aiuta a eliminare gli eccessi (Vitasnella)

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ACQUE

Forti gli investimenti del Gruppo per le campagne di comunicazione (Tv, carta stampata e web), così come l’impegno nel Parco di Riardo, dove sgorga la sorgente Ferrarelle e dove è nata una realtà bio come Masseria delle Sorgenti che produce olio e miele biologico

di Riardo dove sgorga la fonte di acqua Ferrarelle, un’oasi in cui si coltivano ulivi e si producono un olio e un miele biologici, con l’obiettivo di salvaguardare e anche creare attenzione e ritorno economico da un settore che oggi viene considerato in decadenza come quello dell’agricoltura”. Nunzio Savasta, nuovo direttore commerciale e marketing, in carica da un anno per guidare l’evoluzione (come ama definirla) della nuova politica commerciale, precisa che complessivamente il mercato dell’acqua minerale nel 2012 è cresciuto del 2 per cento: “Lavoriamo con una bevanda assolutamente sana, sicura, ma che ha un prezzo al consumo molto basso, soprattutto per quanto riguarda il canale retail. Marchio leader tra le effervescenti naturali in Italia, con una quota a volume del 21,7 per cento, una distribuzione capillare nel canale moderno e una diffusione accentuata al Centro-Sud, Ferrarelle si è attestata al quarto posto. Un quarto posto l’ha mantenuto anche nel mercato horeca, con una quota di tutto rispetto, l’11 per cento. Attraverso il nuovo posizionamento dei marchi vogliamo trasmettere determinati valori: trasparenza, perché abbiamo prodotti certificati e sani; equilibrio commerciale tra prodotto e prodotto; coerenza, perché marketing e comunicazione saranno assolutamente in linea con il posizionamento di quel prodotto; qualità, centrale e prioritaria, che deve essere alla base di tutto”. Per ribadire ulteriormente il proprio legame con la

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cucina, Ferrarelle parlerà ai consumatori attraverso attività che sfrutteranno l’endorsement di Gennaro Esposito, due stelle Michelin e già testimonial del marchio, e avvierà nel corso dell’anno interessanti attività di co-marketing nella ristorazione. Ferrarelle è anche l’acqua ufficiale di Umberto Bombana, il più famose chef italiano stellato di Hong Kong, e anche di tutti gli Espressamente Illy del mondo ed è il fornitore del Gruppo croceristico Costa. Alla ristorazione Ferrarelle ha dedicato una bottiglia serigrafata particolare e molto elegante, Platinum Edition, di cui si sta migliorando l’aspetto logistico con una nuova versione come vuoto a perdere, ristudiando il packaging con una etichetta in carta che mantenga lo stesso pregio estetico. “L’acqua è perfetta in sé e non ha bisogno di nulla: adottare un comportamento socialmente responsabile è l’unica azione che possiamo intraprendere per aumentare concretamente il suo valore -aggiunge Michele Pontecorvo- Cerchiamo di raggiungere questo obiettivo agendo nel sociale attraverso attività che hanno in comune due ingredienti: l’affinità con i nostri valori e la nostra natura”. Così, prosegue la partnership con alcune tra le più importanti realtà non-profit italiane: è stata rinnovata la collaborazione triennale con il Fai (Fondo Ambiente Italiano) per l’attuazione del progetto di riqualificazione e valorizzazione del Parco Sorgenti di Riardo (che prenderà il nome di Oasi Fai di Riardo), l’area naturale di 130 ettari nella pianura pedemontana del Roccamonfina e del Monte Maggiore che custodisce le sorgenti delle acque Ferrarelle (acqua ufficiale del Fai), Natía a Santagata. E continua il rapporto con Telethon, di cui Ferrarelle sostiene la ricerca contro le malattie genetiche sin dal 2011, attraverso la sponsorizzazione di eventi, ma soprattutto con il sostegno al laboratorio napoletano Tigem, eccellenza campana della ricerca scientifica nel mondo. F B


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CHAMPAGNE FIGLIO DELL’ANNO DELLA LUCE DORATA, COME LO CHEF DE CAVE RICHARD GEOFFROY DEFINISCE IL MILLESIMO 2002, IL VINTAGE ROSÉ È UN INSIEME

DI PARADOSSI CHE CATTURANO OGNI PARTICOLARE DELLA COMPLESSITÀ DI QUESTO VINO INTENSO DALLE NOTE ROSSO ARANCIO, COME I TRAMONTI SUL BOSFORO

A Istanbul la rivelazione di Dom Pérignon Rosé 2002 Barbara Amati

D Nella città del Bosforo è andata in scena l’anteprima mondiale del Vintage Rosé

om Pérignon, come sempre, stupisce. Stupisce per la forza del marchio che crea eventi indimenticabili, per la visione unica dello chef de cave Richard Geoffroy, per l’unicità e l’eccellenza di ogni Champagne. Questa volta i riflettori si sono accesi sul Dom Pérignon Rosé 2002 e il palcoscenico sul quale è avvenuta la rivelazione -un’anteprima mondiale- è stato Istanbul, città magica e dalla luce straordinaria, affacciata sul Bosforo. Ponte tra Occidente e Oriente, tra cultura millenaria e modernità, è una metropoli di paradossi, come lo è questo Champagne audace, nato da un’annata di contrasti. Così, secondo una liturgia studiata in ogni minimo dettaglio dall’eclettico regista di Dom Pérignon, Geoffroy, il primo accostamento al Dom Pérignon Rosé è stato un tête à tête in un piccolo gazebo racchiuso da candidi tendaggi di fronte al lento scorrere delle acque del Bosforo, nelle suggestive sale del C ¸ iraˇgan Palace Kempinski. Un impatto emozionante che ha conferito ancora maggior spessore alla degustazione di uno Champagne che, al naso, ha rivelato un bouquet vibrante, di ampio spettro, dominato da una vivace nota rosso arancio; una complessità via via più profonda, con note affumicate e di ciliegia nera. In bocca, il vino è sostenuto, quasi tattile, la consistenza è cremosa e l’intensità carezzevole: una sensazione di pienezza che si prolunga e che mantiene a lungo la nota aromatica e calda. “L’intensità, la mineralità e la complessità convivono in uno stato di tensione -ha spiegato lo chef de cave- Raramente un sp Vintage Rosé ha espresso

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lo spirito di Dom Pérignon in modo così preciso. E il suo eccellente potenziale d’invecchiamento potrà renderlo, con il tempo, ancora più prezioso”. Certo è che il Dom Pérignon Rosé ha costituito un altro ponte tra Occidente e Oriente poiché, come conferma Marco Ravasi, brand director Italia di Dom Pérignon, “le vendite in Asia sono in aumento e da tempo il Gruppo Moët Hennessy ha filiali a Hong Kong, Singapore e Giappone; l’anno scorso ne ha aperta un’altra a Mosca. Il Giappone è il secondo importatore al mondo di Dom Pérignon ed è il primo mercato per il Dom Pérignon Rosé. L’Italia, in Europa, è il secondo mercato per il Rosé di cui l’anno scorso si è registrata un’inusuale impennata di vendite”. L’assaggio del Vintage Rosé 2002 sarà, per gli estimatori dello Champagne di Hautvillers, un’esperienza coinvolgente: non per niente è stato definito il gioiello oscuro della maison, un paradosso per la tensione tra tradizione e complessità, per l’assemblaggio ardito che ha raccolto la sfida già in vigna. Il rosato è più paradossale del bianco, perché in aggiunta alla complessità del blend c’è la difficoltà di incorporare il vino rosso e questo avrebbe potuto creare uno squilibrio in favore delle uve rosse: per lo chef de cave una sfida eccitante, poiché a Richard Geoffroy non mancano certo capacità e sensibilità per cogliere ciò che di inusuale, ma prezioso, offriva la nuova annata dalle condizioni climatiche così inaspettatamente perfette: una primavera secca, la maturazione dei grappoli rallentata dalla scarsa umidità, la pioggia solo alla fine di agosto e, dall’inizio di settembre, un inusuale clima estivo proseguito per ben sei settimane: sei settimane di luce dorata, satura, quasi californiana che ha permesso una maturazione di insperata qualità.

L’audace decisione di rimandare l’inizio della a vendemmia (iniziata il 12 settembre) portò un raccolto fresco, generoso e aromatico: grappoli di chardonnay molto maturi, discretamente floreali, canditi, quasi al gusto di miele, e acini di pinot noir fruttati, intensi, vivaci. Il passo successivo fu giocare con l’estrema maturità del raccolto, esaltandone la ricchezza e rilascianandone al contempo la forza. Il riposo, per dieci anni, i nelle cave di Hautvillers, ha acuito i paradossi con un’interpretazione che è allo stesso tempo oscura e luminosa. Ed è anche per questa similitudine che è stata scelta Istanbul per l’anteprima mondiale: i colori del Bosforo, infatti, rimandano alla luce straordinaria di quell’anno in Champagne catturata dalla luminosità del vino, mentre i suoi sentori sensuali si riallacciano ai profumi di rosa e di spezie che avvolgono l’antico mercato egizio. E, a Istanbul, a interpretare il Dom Pérignon Rosé 2002, Richard Geoffroy ha voluto due personaggi di spessore come Thierry Wasser, il creatore di essenze di Guerlain, e Jean François Piège, tra i nomi più noti della cucina contemporanea. Il primo ha ideato la fragranza limited edition Rose Nacrée du Désert in cui ogni ingrediente essenziale riflette un aspetto del Vintage Rosé: l’opulenza solare, la mineralità, la freschezza, la sensualità. Jean François Piège ha creato un’esplosione di sensazioni paradossali in cui l’est incontra l’ovest, l’Oriente e l’Occidente, la terra il mare, la french scallop p il gambero del Bosforo e le rose lo zafferaano. Un meltin’ pot di emozioni amplificate te na dall’Esma Sultan Palace del XIX secolo, una ella struttura che ben rappresenta il paradosso della tola città (muri antichi racchiudono una scatola tato di vetro e acciaio dall’interior design portato zzate agli estremi) in cui nuvole di rosa nebulizzate a. F B hanno reso ancor più magica l’atmosfera.

A sinistra, lo chef de cave Richard Geoffroy con lo chef Jean François Piège e Thierry Wasser, creatore di essenze per Guerlain. A destra, il Ciraˇ ¸ gan Palace Kempinski affacciato sul Bosforo e le sale allestite per la degustazione del Dom Pérignon Rosé 2002

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CHEF L’EXTRAVERGINE È LA SUA PASSIONE: GAETANO SIMONATO, DETTO TANO, HA IMPRONTATO TUTTA LA SUA CUCINA INTORNO ALL’ORO VERDE. CREATIVITÀ, SPERIMENTAZIONE E UN CONCETTO TUTTO PARTICOLARE DI TRADIZIONE, SONO I CARDINI DELLA SUA ARTE CULINARIA IN EQUILIBRIO TRA GUSTO E SALUTE

I giochi d’olio di Simonato Irene Catarella

‘‘L Dalla cucina di Tano, che utilizza una selezione di olio di 60 cultivar, nascono piatti equilibrati, gustosi e belli da vedere: alcuni molto colorati, altri che nascondono piacevoli sorprese

a mia è una cucina di ricerca, creativa e mediterranea, visto che l’ingrediente principale è l’olio extravergine, su cui mi aggiorno continuamente: ne assaggio oltre 300 all’anno e seleziono 60 monocultivar”, così risponde Gaetano Simonato, detto Tano, chef patron, insieme alla moglie Nadia, del ristorante stellato Tano passami l’olio a Milano, a chi gli domanda quale sia la caratteristica principale della sua arte culinaria.

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Da dove nasce la grande passione di Tano per l’olio d’oliva? Il quadro del Caravaggio, raffigurante la celebre Cena in Emmaus, posto al centro del locale, spiega l’arcano mistero che ha portato lo chef a caratterizzarsi per l’uso esclusivo di questo “oro” e per l’abbandono di burro, panna e soffritti: sulla tavola del dipinto troneggia una bottiglia d’olio. E così, come i viandanti riconobbero Cristo risorto mentre spezzava il pane, per Tano la rivelazione ione è avvenuta a Cisano sul Neva eva (Sv), in Liguria, quando nel 1991 si recò al frantoio della famiglia Pozzo e assaggiò il loro prodotto:: “Mi scattò una a scintilla, perché hé mi piacque il sennso e la forza che he

metteva l’imprenditore Pozzo nel ribadire l’importanza dell’olio -racconta Simonato- Da lì sono partiti i miei studi per capirlo e poter affermare senza ombra di dubbio che è il condimento migliore”. A freddo o a caldo, è l’olio, infatti, il protagonista della sua cucina. “Per cucinare noi usiamo prevalentemente oli del Garda o liguri per cotture poco speziate e di breve durata , tture toscani medi per cotture apospeziate o per carni saporite, per friggere pre-


Tano Simonato, la moglie Nadia Zoetti e il figlio Sebastiano. Il ristorante è elegante e curato: in sala spicca il quadro Cena in Emmaus di Caravaggio, in cui in bella mostra c’è una bottiglia di olio, la passione dello chef

feriamo oli grassi come i pugliesi o i calabresi; naturalmente, per ottenere fritture leggere bisogna friggere in padella e con una quantità adeguata, da tener conto che l’extravergine raggiunge il livello di fumo (grassi saturi) a 220/240°C, per i fritti appunto, meglio oli più grassi che raggiungono il livello di fumo a 260/280° -spiega Tano- Per condire a freddo è più appropriato usare oli che, con un’attenta scelta, siano adeguati alla singola pietanza, per questo motivo in sala ne teniamo circa 40, naturalmente di tutte le regioni. Molti sanno che l’extravergine è l’olio più costoso, molti non sanno che se ne usa meno, molti sanno o pensano che sia più grasso, in verità è molto meno grasso di qualsiasi condimento, anzi, aiuta l’organismo a essere più efficiente: ha un’azione positiva su colesterolo, intestino, l’elasticità dei muscoli, come ben sanno i dietologi”. Figlio d’arte -padre siciliano e madre friulana, che aveva un ristorante di cucina lombarda nel capoluogo milanese- l’autodidatta Tano ha fatto il barman nel suo Tanus Bar fino al 1995, quando apre a Milano il ristorante Tano passami passa l’olio. Appassionato di cucina molecolare e con un cuci concetto tutto personale di con “tradizione”,

Tano ha realizzato diversi piatti particolari, come il Raviolo trasparente fatto di acqua scozzese e whisky, mousse di corallo, tartare di capesante e crema di pomodoro, che gli ha permesso di essere nel trio pomod vincente del concorso Acqua di Chef 2012 promosso vincen da Ferrarelle. Questo unico boccone, costituito da una pellicola ripiena di cremosità e dalla ccapasanta battuta e condita a crudo, crea un gioco di consistenze particolari, perché mentre g la gelatina si scioglie non lasciando quasi traccia del suo passaggio e la mousse ha una sinuosità de gustativa, gu la capasanta, che bisogna masticare, provoca pro un impatto incisivo. Una ricetta in FOOD&BEVERAGE MARZO 2013 | 45


CHEF

In sala, per condire a freddo, ci sono 40 oli dell’annata in corso di tutte le regioni

cui si ambisce a creare un equilibrio per Tano è, infatti, frutto della sapiente combinazione di sapori. Ecco perché spesso propone un piatto in modulazioni diverse, impreziosite e aggiornate come Dal pesce alla carne 5 e il suo arcobaleno: la quinta versione è costituita da una salsa di limone, arancia, pomodoro e patata viola, che Simonato abbina a Tartare cruda di merluzzo e gamberi rossi di Mazara al limone, Capasanta caramellata a sandwich, ripiena di un’alice marinata al limone e poi scottata in padella con arancia croccante e carciofi caramellati, Tonno in crosta di farina di pomodoro, con crema di mandorle e pomodoro candito o Tartare di fassone battuta a coltello, scottata con asparagi. “La mia creatività nasce da un profumo che sento, da un’idea: non esistono obblighi nell’inventare una ricetta. L’intento dei piatti nuovi è sempre quello di offrire qualcosa di innovativo: la concezione del piatto in sé deve partire da zero”, dice con fermezza. Spesso Simonato crea il nuovo partendo dalla tradizione, come i Ravioli liquidi di pasta di pesto, versione rivisitata della ricetta genovese, o il Raviolo trasparente di Aperol con mousse all’arancia, arancia candita e crema di olive, un’insolita visione del famoso aperitivo. Un piatto assolutamente significativo della sua cucina, consistente e impalpabile allo stesso tempo, è la Sfera di mozzarella ripiena di gamberi, triglia e un’insalata di frutta e verdura al profumo di basilico. Volendo separare le uova dalla pasta, per provocare una simultanea sensazione di scomposi-

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zione e integrazione ai palati, Tano, seguendo lo stesso procedimento di quella di pesce, ha inventato la bottarga di uovo di gallina, con cui riempie i suoi Spaghetti alla chitarra aromatizzati con una crema di Grana Padano, miele, Champagne e tartufo. Sulla stessa scia, ha ideato il Caviale di pomodoro che, insieme all’aria, crea l’attraente effetto ottico del suo piatto Tutti i gusti del pomodoro e quel che gli sta bene intorno. I dessert, una delle sue lacune iniziali, ora sono diventati una punta di diamante della sua arte culinaria, come, ad esempio, la Sfera di isomalto ripiena di mousse al cioccolato bianco tartufato in una crema all’uovo al tartufo e foglia d’oro e il Tortino di cioccolato realizzato senza burro e farina e utilizzando esclusivamente il suo prezioso olio extravergine. L’ambiente è elegante e curato, di gran tono, con un servizio all’altezza, ma in cui è facile sentirsi a proprio agio. Ma non solo. Tano passami l’olio è uno dei pochi ristoranti di Milano che ha una stanza fumoir, senza tavoli per mangiare, per chi non vuole andare all’aperto a fumare: qui Tano offre in abbinamento a vari distillati, in alcuni casi anche molto rari, sigari raffinati. La carta dei vini comprende oltre 350 etichette, non molto altisonanti, ma cercate con cura e con buon rapporto qualità prezzo. La bacheca di sala degli oli ne contiene circa 40, tutti dell’annata in corso e spesso non sono gli stessi dell’anno precedente, perché alcuni non riescono a mantenerne la qualità che Tano preF B tende. SCHEDA

Tano passami l’olio via Villoresi 16 20143 Milano tel +39 02.8394139 www.tanopassamilolio.it

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L'olio è il re della cucina di Tano, che è stato il primo, tanti anni fa, ad abbinare a ogni piatto un diverso extravergine di qualità


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ANTEPRIME L’AMARONE DELLA VALPOLICELLA È UNA BANDIERA DEL MADE IN ITALY, SIMBOLO DEL LEGAME TRA QUALITÀ, TIPICITÀ E ORIGINE. ALLA PRESENTAZIONE DELLA NUOVA ANNATA, A VERONA, IL VINO HA MOSTRATO ULTERIORE DINAMICITÀ ED ENERGIA, COSÌ COME TUTTO IL COMPARTO CHE HA FESTEGGIATO IL DECENNALE DELL’ANTEPRIMA

2009, per l’Amarone un’ottima annata Barbara Amati

U

n vino così poco di moda fino a due decenni fa che Hollywood decise di sostituirlo con un Chianti nel thriller Il silenzio degli innocenti: nel romanzo di Thomas Harris, da cui è tratto il film, invece, il protagonista Hannibal Lecter racconta di aver abbinato il fegato di un addetto al censimento a un buon Amarone. Il che la dice lunga sulla strada che questo grande rosso della Valpolicella ha percorso negli ultimi anni, in particolare nell’ultimo decennio: per la vendemmia 2012 si stima una produzione di 17 milioni di bottiglie, quasi il triplo rispetto al 2000, più di dieci volte rispetto al 1997, in cui si contavano un milione e mezzo di bottiglie. E nove bottiglie su 10 vengono esportate: principalmente verso Nord Europa e Nord America, Germania e Svizzera, ma si stanno aprendo Russia, Cina, Singapore e altri Paesi dell’Estremo Oriente. E se gli ettari di vigneti erano 5.200 nel 2002, oggi sono 7 mila, ed entro l’anno prossimo se ne aggiungeranno altri 343 ettari. Una terra preziosa, quella della Valpolicella: mezzo milione di euro per un ettaro e una rendita annua fino a 20 mila euro, tra le più alte al mondo. Le aziende viticole del comprensorio sono 4 mila, per la maggior parte a conduzione familiare. Circa il 30 per cento dei produttori di uva conferisce a privati, mentre il 40 per cento è socia di 7 cooperative che trasformano il 50 per cento delle uve. La produzione di uva 2012 supera gli 820 mila quintali totali, dei quali 300 mila avviati all’appassimento per la produzione di Amarone e Recioto della Valpolicella. Secondo le stime del Consorzio per la tutela dei vini Valpolicella, il giro d’affari è di 320 milioni di euro

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Imponenti cantine sociali, grandi aziende e piccole cantine compongono il tessuto economico di un territorio in crescita da almeno un decennio: un giro d’affari di 320 milioni di euro l’anno, come stimato dal presidente del Consorzio tutela vini Valpolicella Christian Marchesini

l’anno: una ricchezza distribuita a tra imponenti cantine sociali, grandi aziende e piccole cantine che compongono il tessuto economico del territorio in una crescita che, secondo il presidente del Consorzio Christian Marchesini, non compromette la qualità, anche se nel 2010 si è deciso di fermare i nuovi impianti per imporre una riduzione della produzione, così da regolamentare l’offerta permettendo di mantenere la remuneratività della produzione. La maggior crescita produttiva si è registrata negli anni dal 2006 al 2008; nel 2009, con la crisi finanziaria e la riduzione del credito da parte delle banche, i produttori si sono spaventati e si è registrato un calo produttivo. Nel 2010 si è avuta una leggera ripresa con 260 mila quintali di uva prodotti, saliti a 317 mila nel 2012. Nel 2009 sono state vendute 9 milioni di bottiglie e nel 2010 12 milioni e 800 mila bottiglie, nel 2011 e nel 2012 si sono raggiunti i 13 milioni di bottiglie. Una crescita vertiginosa, per il più celebre vino italiano ottenuto da uve corvina, corvinone, rondinella e molinara allevate sulle colline della Valpolicella e prodotte con la tecnica dell’appassimento, contraddistinto da una vinificazione tradizionale o più moderna, per conferire personalità e carattere unico a un vino che piace sempre di più ai consumatori che “sacrificano” dai 25 ai 60 euro e oltre per godersi un’ottima bottiglia. E che, quindi, non hanno mancato di affollare le sale della Gran Guardia di Verona dove il Consorzio ha organizzato, come ogni anno, l’anteprima dell’ultima annata entrata sul mercato: il 2009. Certo, molti, come sempre, i campioni dalla botte, dove il vino riposa ancora in affinamento e dove nella maggior parte dei casi rimarrà altri lunghi mesi, ma diversi anche i vini già pronti, che svelano la potenza gustativa, la ricchezza aromatica, l’eleganza,

l’en l’energia e la dinamicità dell’Amarone. E un “livellamento” -termine che non amiamo, ma che esprime bene il conc concettoqualitativo verso l’alto, unito a una minore influenza delle vallate da cui pr provengono le uve che rende meno nette le differenze che avevano così tanto contra contraddistinto l’annata 2008. In poche parole: la degustazione degli Amarone 2009 proposti in degustazione all’Anteprima (apripista delle sessioni di degustazione delle Docg della Toscana) è stata di grande soddisfazione per ciò che un intero territorio comunica nel bicchiere, rendendo evidente l’elevata qualità che i produttori riescono a raggiungere anno dopo anno, riuscendo a superare se stessi grazie a e, selezioni delle uve sempre più accurate, iappassimenti gestiti con grande intelligenza e lunghe e calibrate maturazioni in go legno. Spiega Daniele Accordini, enologo e vicepresidente del Consorzio: “Nell’annata 2009 dominano, al naso, le note di frutta molto matura e di confettura, di spezie e di rinfrescanti effluvi balsamici, mentre in bocca l’esuberanza della struttura e l’avvolgente impressione di morbidezza risultano ben controbilanciate dalla reattività dei tannini e dalle sensazioni sapide. Un’annata, figlia di una vendemmia caratterizzata da un clima piuttosto bizzarro, cha ha portato a un calo del 10 per cento della quantità di uva rispetto al 2008”.

L’Amarone della Valpolicella Classico di Bolla si declina in due etichette: a un vino più pronto si affianca Le Origini, di cui ora è in commercio l’annata 2007, potente e fine al tempo stesso

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ANTEPRIME Nell’annata 2009 è stata meno evidente l’influenza delle diverse aree della Valpolicella sulle qualità organolettiche dell’Amarone, un vino che piace sempre di più

Per le Cantine Cesari l’etichetta chiara, che contraddistingue l’Amarone della Valpolicella Classico, rappresenta un vino più fresco e giovane; l’Amarone Bosan, invece, sul mercato con l’annata 2004, ha corpo prorompente, caldo ed elegante

Prosegue, dunque, la corsa del grande rosso veronese, sotto ogni punto di vista, qualitativo, produttivo, di mercato, d’immagine, i cui numeri chiudono un decennio dorato, sigillato dall’ultima edizione dell’Anteprima alla quale i produttori hanno potuto offrire in degustazione anche la migliore annata degli ultimi dieci anni. Bolla, del Gruppo italiano vini (il nome Amarone è apparso in etichetta in Italia per la prima volta nel 1953 proprio grazie a Bolla), tutt’ora lavora nel pieno rispetto della tradizione e in stretto connubio con il territorio. Ancora oggi i grandi rossi maturano nelle botti di rovere che si trovano nella parte denominata Cantina del Nonno. L’Amarone della Valpolicella V Classico 2009, prodotto con il 70 per p cento di uva corvina e corvinone e il 30 pe per cento di altri vitigni autoctoni, disponibile da d giugno, matura per 36 mesi in botti di rovere e parte del vino affina per 18 mesi in rove barrique; segue un riposo di due mesi in botbarr

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tiglia prima della commercializzazione. Rosso rubino scuro, ha profumo ampio e complesso, con note di confettura e uva passa, sentori speziati e balsamici; l’elegante fondo di mandorla tostata chiude in bocca lasciandone un ricordo lontano e lungo. L’annata 2009 entrerà in commercio solo nella primavera 2014, mentre attualmente sul mercato c’è l’annata 2008 cui si affianca l’Amarone della Valpolicella Classico Le Origini 2007, prodotto con il 75 per cento di uve corvina e corvinone e il 25 per cento di uve rondinella provenienti dalle valli di Marano e Negrar. A fine fermentazione alcolica si pressa sofficemente la vinaccia e si passa quindi all’elevage per 9-12 mesi in tonneau nuovi, non invadenti dal punto di vista olfattivo. Il vino prosegue la maturazione per 8-12 mesi in tonneau di rovere da 500 litri e poi in botte grande tradizionale. Potente e fine al tempo stesso, carico e vellutato, dal profumo di ciliegie selvatiche, marmellata, pera matura, vaniglia, liquirizia e legno di cedro, Le Origini è caldo al palato, con netti sentori di cacao e spezie. “L’Amarone si può costruire in diversi modi -spiega Cristoforo Materossi, direttore marketing dell’azienda veronese che propone vini moderni nel rispetto della tradizione, producendo in modo sostenibile- Il nostro Amarone della Valpolicella Classico, contraddistinto dall’etichetta chiara, è un vino più fresco e più giovane del nostro Amarone della Valpolicella Bosan. Il primo matura per l’80 per cento in botte grande e il 20 per cento in botte piccola per un anno. È un vino già pronto (sta ultimando l’affinamento in bottiglia e uscirà a maggio) con tutte le caratteristiche di un Amarone complesso, ma più facilmente avvicinabile


Guerrieri Rizzardi produce due Amarone: il Villa Rizzardi e il Calcarole, nei quali entra anche una piccola percentuale di uve barbera. Fresco, pulito ed elegante il primo, più profondo e di grande intensità il secondo

da quei consumatori che preferiscono un Amarone meno ‘spesso’. L’annata 2009 di Bosan è, invece, ancora indietro nella sua evoluzione: sono figli di due filosofie produttive diverse, ma il Bosan è il nostro portabandiera, un vino nel quale si legge il nostro stile creativo e la nostra tipicità”. Nasce dall’80 per cento di uve corvina e dal 20 per cento di rondinella. La maturazione è in botte grande e in legni piccoli per 3 anni. Prima dell’immissione al consumo il vino riposa in bottiglia per 12-14 mesi. Attualmente è sul mercato il Bosan 2004, dal caratteristico aroma di ciliegia che si integra con sentori di spezie, cacao e vaniglia, dal gusto pieno e vellutato: mostra tutta la sua potenza in un corpo prorompente caldo ed elegante. Ad aprile, al Vinitaly, sarà disponibile il 2005. Bosan, del quale si producono circa 30 mila bottiglie, costa 45 euro, mentre l’Amarone della Valpolicella 2009 ha un prezzo di 25 euro; ne sono state prodotte 250 mila bottiglie. L’Amarone della Valpolicella Classico Morar 2009 di Valentina Cubi stupisce per la concentrazione e l’eleganza, è pieno, ricco dei sentori di ciliegia

matura, vaniglia e spezie, pepe nero e cannella. “Ha un grande equilibrio e tannini morbidi, ed è contraddistinto da una grande bevibilità: in bocca è morbido e piacevole, mai eccessivo nonostante il contenuto alcolico imporortante -spiega Valentina Cubi, produttrice duttrice appassionata, molto attenta a ogni aspetto della fase produttiva- È ottenuto con le uve corvina al 70 per cento, corvinone al 25 per cento, rondinella al 5 per cento, allevate sulle colline di Fumane e San Pietro, in località Monte Tenda, Monte Crosetta e Rasso, con terreni ricchi di scheletro adatti alla produzione di grandi rossi”. A inizio gennaio l’uva viene pigiata e posta a fermentare in contenitori troncoconici condizionati alla temperatura di 14°C e con follature giornaliere; la maturazione avviene in barrique per 12 mesi e in botti grandi da 30 ettolitri per altri 12 mesi. Il vino è stato imbottigliato a fine febbraio e sarà in commercio solo nella primavera del 2014, con oltre un anno di affinamento in bottiglia”. Del 2009 si producono solo 10 mila bottiglie e il prezzo al consumatore è di 50 euro. Del Morar è attualmente in commercio l’annata 2006, dal colore rosso granato di buona intensità, aristocratico, ampio; armonico ed elegante, ha un bouquet ricco di spezie e di frutta matura. L’azienda di famiglia ha 10 ettari di vigneti in collina vocati a vini di grande struttura ed è in parte certificata e

Valentina Cubi firma un solo Amarone della Valpolicella Classico, Morar: concentrato ed elegante, affina a lungo in bottiglia. Attualmente è disponibile l’annata 2006

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ANTEPRIME

In Valpolicella si contano 7 mila ettari di vigneto e per il 2012 si stima una produzione di 17 milioni di bottiglie, quasi il triplo rispetto al 2000

co parte in conversione biologica. Rizz Villa Rizzardi e Calcarole sono gli Amarone della Valpolicella prodotti da GuerRizza che conta 25 ettari di vigneti rieri Rizzardi colli della Valpolicella, piantati, a sulle colline d seconda delle caratteristiche dei terreni, corvin con corvinone, rondinella, corvina, merbarbe e sangiovese. L’ultima annata lot, barbera entr di entrambi, il 2009, è ancora in botte do i vini stanno completando la dove maturazione; saranno imbottigliati a maggio, per entrare sul mercato a fine anno. Dell’Amarone della Valpolicella V Classico Villa Rizzardi i commercio il 2008. A seconda è in

Antichello è il nuovo Amarone della Valpolicella Classico di Santa Sofia, uscito per la prima volta con l’annata 2008, ora proposto con il 2009: di spirito più giovane e di pronta beva, si affianca all’Amarone della Valpolicella Classico, un vino in grande equilibrio tra potenza e bevibilità, dalla lunga persistenza 52 | FOOD&BEVERAGE MARZO 2013

dell’annata, la composizione dell’uvaggio cambia, e se il 2008 vede il 50 per cento di uve corvinone, il 39 per cento di corvina e l’11 per cento di rondinella, il 2009 è composto dal 42 per cento di corvinone, 30 per cento di rondinella e 18 per cento di corvina con un’aggiunta del 10 per cento di barbera. Il vino ha colore rosso rubino-granato, profondo, è intenso all’olfatto, fresco, pulito, elegante, con tannini decisi e lunga persistenza. Dell’Amarone della Valpolicella Classico Calcarole è attualmente in commercio l’annata 2006: prodotto con uve corvina (70 per cento), rondinella (20 per cento) e barbera (10 per cento) dei vigneti omonimi in località Rovereti, a Negrar, ha svolto la fermentazione alcolica con lunga macerazione in acciaio, e la fermentazione malolattica in botte. Il vino ha riposato in cantina per un anno in tonneau da 5 ettolitri e 24 mesi in botti da 25 ettolitri ed è poi stato imbottigliato nel maggio del 2010. È un vino ampio e profondo, di grande intensità, che si fa ricordare. Santa Sofia, in una delle zone più belle della Valpolicella Classica, a San Pietro in Cariano, con il suo Amarone della Vapolicella Antichello interpreta uno spirito più giovane per una pronta beva, come spiega Luciano Begnoni, responsabile commerciale e marketing dell’azienda di famiglia: “Con la vendemmia 2008 l’Antichello ha incontrato il favore dei consumatori e ci auguriamo che questo si ripeta con l’annata 2009 di cui abbiamo prodotto 67 mila bottiglie”. Ben strutturato, con note di frutta rossa matura e fichi secchi, sfumature balsamiche e speziate, Antichello è equilibrato, con tannini morbidi, fresco, con una buona salinità, fruttato e persistente”. Contraddistinto da una grande bevibilità, è affiancato da un Amarone


Anno dopo anno i produttori della Valpolicella riescono a superare se stessi grazie a selezioni delle uve sempre più accurate, appassimenti gestiti con intelligenza e lunghe e calibrate maturazioni in legno

sontuoso, l’Amarone della Valpolicella Classico di cui è oggi sul mercato l’annata 2007. È prodotto con un’attenta selezione delle uve corvina e corvinone al 75 per cento, rondinella al 25 per cento e molinara al 5 per cento allevate sulle colline di Negrar, Fumane, San Pietro in Cariano e Marano; dopo l’appassimento che ha portato a un’ottima concentrazione degli zuccheri, il vino è maturato per 36 mesi in botti di rovere di Slavonia. L’affinamento in bottiglia per almeno un anno ne ha sottolineato l’eleganza e la morbidezza; in grande equilibrio tra potenza e bevibilità, ha una lunga persistenza. Santi, altro marchio del Gruppo Italiano Vini, è sul mercato con l’Amarone della Valpolicella Proemio 2005, un’annata importante, interpretata da un vino che esprime intensità, complessità e concentrazione; dal profumo intenso con note dominanti anti di uva passa, ciliegia e sentori di vaniglia, viola e cannella. È un

Amarone molto fine, di grande equilibro ed eleganza, prodotto con il 50 per cento di uva corvina, il 30 per cento di corvinone e il 20 per cento di rondinella coltivate a San Pietro in Cariano, Marano e Fumane. Dopo la fermentazione il vino matura per due anni in legni di diversa età, origine, dimensione e tostatura, con un variegato gioco di abili incroci. Proemio è frutto di un ambizioso progetto di selezione di uve e stile di lavorazione: questo si traduce in un’intensità, complessità e concentrazione fuori dal comune. La nuova annata dell’Amarone Classico della Valpolicella di Santi, il 2009, è attualmente in affinamento in bottiglia e uscirà solo a primavera 2014. Dopo la fermentazione il vino matura per almeno 30 mesi; per il primo anno la scelta del tipo di affinamento è conseguenza della caratteristica del prodotto, dunque per le diverse selezioni si utilizzano botti o barrique molto diverse tra loro. Successivamente, l’intera massa viene unita e messa a riposo in grandi grand botti. Prima commercializzazione il vino della commercializza affina in bottiglia per p un paio di Amarone ha un mesi. Questo Am profumo intenso e penetrante, elegante con note etereo ed elegan di uva appassita e di prugna sentori più sfumati essiccata, e sento di spezie (chiodo di garofano, elegante fondo cannella) con un el di nocciolo di pesc pesca e di mandorla tostata. Ne sono son state prodotte 85 mila d b bottiglie. F B

Due diverse etichette anche per Santi: l’Amarone della Valpolicella Classico 2009, attualmente in affinamento in bottiglia, ha profumi eterei ed eleganti; Proemio, Amarone della Valpolicella più complesso e concentrato, molto fine, è sul mercato con l’annata 2005

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VINO IL MERCATO DEI VINI NELLA GRANDE DISTRIBUZIONE FRANCESE E ITALIANA PRESENTA ALCUNE SIMILITUDINI. ENTRAMBI CRESCONO, ANCHE SE OLTRALPE IL PREZZO MEDIO DI ACQUISTO SUL LITRO È SUPERIORE DEL 20 PER CENTO CIRCA. I ROSSI VANNO PER LA MAGGIORE, MENTRE I ROSATI GUADAGNANO IN FRANCIA

Francia e Italia a confronto in Gdo Irma Tannino

I

l consumo di vino mondiale si è assestato intorno ai 240 milioni di ettolitri e i consumi pro capite continuano a scendere nei Paesi tradizionalmente produttori. Fa eccezione la Francia in cui sono nuovamente aumentati i consumi totali (dai 28 milioni di ettolitri del 2010 ai quasi 30 milioni del 2011), facendo crescere anche i litri bevuti dai cugini d’Oltralpe a 47,7 litri pro capite. I consumi nei Paesi a minor tradizione enoica, invece, salgono, ma evidentemente non tanto da compensare i 10 milioni di ettolitri persi durante la crisi. In questo quadro non esaltante, il prezzo medio dei vini nella Grande distribuzione organizzata (Gdo), divenuta da tempo il principale canale di vendita, è piuttosto basso. Qui le dinamiche di vendita sono interessanti perché rispecchiano le tendenze più evidenti in atto. Se sono

Per l’acquisto di vino, il 62,9 per cento dei consumatori italiani sceglie il supermercato, mentre è solo il 25 per cento a rivolgersi al produttore o alla cantina, il 7,3 per cento all’enoteca e il 5,1 per cento ad altri canali di vendita 54 | FOOD&BEVERAGE MARZO 2013


ancora i grandi vini ad alimentare l’immaginario degli appassionati, la realtà dei consumi parla di un prezzo medio di acquisto in Italia nella Grande distribuzione organizzata di 2,63 euro al litro, pari a circa 1,97 euro per 0,75 litri, cioè il volume di una bottiglia. Un dato che non fa sorridere, ma che almeno registra una crescita del 3,5 per cento nel 2012 (confronto agosto 2012/agosto 2011). Pur essendo questo il dato medio relativo a un solo canale di vendita, si tratta di un’indicazione significativa considerando che per l’acquisto di vino il 62,9 per cento dei consumatori sceglie il supermercato, mentre è solo il 25 per cento a rivolgersi al produttore o alla cantina, il 7,3 per cento all’enoteca, il 5,1 per cento ad altri canali di vendita (negozi, grossisti, vendita a domicilio e internet, agriturismi). Gli italiani privilegiano sempre più il supermercato (circa 1,5 miliardi di euro di giro d’affari e 571 milioni di litri venduti nel 2011) per la sua convenienza, ma anche per il vasto assortimento di vino di qualità costantemente in crescita in questo canale. La situazione della Francia è per molti versi simile a quella italiana, ma il prezzo medio di acquisto al litro è superiore del 20 per cento circa. I francesi hanno speso mediamente 3,17 euro al litro (anche qui come per l’Italia il riferimento è ai vini tranquilli, escludendo quelli effervescenti), che vuol dire 2,37 euro rapportato alla bottiglia da 0,75 litri. Una cifra considerata bassa anche in Francia, ma in rialzo rispetto all’anno precedente (2011 su 2010) dell’1,6 per cento. Non stupisce che in Francia, il Pae-

se più ricco al mondo di catene di Grande distribuzione organizzata, ipermercati e supermercati rappresentino il circuito di acquisto di vino più frequentato (66 per cento), seguito dall’hard discount (20 per cento), che mostra qualche sofferenza, e a distanza dai negozi specializzati (6 per cento) e dalla vendita diretta (4 per cento). Quest’ultimo dato, secondo gli stessi estensori della ricerca, potrebbe essere sottostimato considerando che si tratta di un dato non rilevato direttamente attraverso la lettura dei codici a barre, come avviene negli altri canali di distribuzione. Ma ci sono altre similitudini nei consumi interni tra i due principali Paesi protagonisti della produzione mondiale di vino. I francesi prediligono i vini a Denominazione: una bottiglia su due acquistata nella Gdo e consumata in casa è Aoc (Appelation d’origin controlée), il 15 per cento è Igp con indicazione del vitigno, il 13 per cento sono altri Igp, l’11 per cento è rappresentato dalla categoria Vin de France. In Italia i vini Doc, Docg e Igt acquistati nella Gdo sono stati 320 milioni di litri su un totale di 571 milioni, quindi oltre il 56 per cento. Se consideriamo soltanto il formato da 0,75 litri, le Denominazioni rappresentano circa il 90 per cento dei fatturati e dei volumi venduti. In fatto di “colore”, italiani e francesi prediligono i rossi (circa sei bottiglie su 10 vendute in Francia sono di vini rossi). La differenza interviene a proposito dei rosati che i francesi hanno premiato nel 2011 con il 25 per cento delle preferenze nell’acquisto, ponendoli al secondo posto della graduatoria, ricacciando i bianchi al terzo posto. Quest’“effetto

I francesi prediligono i vini a Denominazione: una bottiglia su due acquistata nella Gdo è Aoc. In Italia i vini Doc, Docg e Igt comprati nella Grande distribuzione sono stati 320 milioni su un totale di 571 milioni, quindi oltre il 56 per cento

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Nella Gdo emerge un effetto colore: italiani e francesi prediligono i rossi. I rosati, invece, fanno la differenza: i francesi li hanno premiati con il 25 per cento delle preferenze nell’acquisto, sostituendoli ai bianchi; al contrario, il fenomeno rosati non ha investito così massicciamente l’Italia

colore” è cresciuto in Francia negli ultimi anni, inizialmente con un aumento dei consumi soltanto d’estate, andando via via consolidandosi. Peraltro, in Francia, frequentemente i rosati sono confezionati in bag-in-box da 3, 5 o 10 litri, in pieno boom sul mercato. E questo incide non poco sul computo del prezzo medio al litro. Al contrario, il “fenomeno rosati” non ha investito così massicciamente l’Italia, dove si continuano a preferir loro i bianchi; tuttavia l’interesse per questi vini, difficili da fare bene, sta crescendo, e non solo nel segmento bollicine. I vini provenienti da altri Paesi non hanno molto spazio in Italia e neppure negli altri Stati di produttori europei importanti come Francia e Spagna. Le differenze in termini di valore di mercato nella distribuzione moderna tra questi tre Paesi è notevole e varia dai 1.500 milioni di euro della Francia agli 800 milioni della Spagna (iper più supermercati), passando per i 1.500 milioni di euro dell’Italia (iper, supermercati e libero servizio piccolo). Tuttavia, per avere un’indicazione circa la propensione al consumo di vini esteri nei tre Paesi si possono confrontare le percentuali del valore destinate al loro acquisto: il 2 per cento in Francia, destinato per circa l’1,2 per cento ai vini spagnoli e allo 0,7 per cento a quelli italiani con poco spazio per vini di altri Paesi; l’1,2 per cento in Italia, destinato per lo 0,5 per cento al vino francese, seguito da quelli portoghesi e spagnoli (circa 0,1 per cento), dai cileni e dagli altri; solo lo 0,6 per cento in Spagna, destinato per lo 0,2 per cento al vino francese, ai

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cileni e australiani seguiti dagli italiani (0,1 per cento). Sorprendentemente, quindi, è la Francia, nonostante la fama di Paese poco incline ad accettare in fatto di vino prodotti stranieri, a manifestare il maggior interesse verso il consumo di vini esteri. Nel 2011 ben 8 bottiglie su 100 acquistate erano prodotte fuori dalla Francia, con una tendenza all’aumento in particolare per i vini del Maghreb con un prezzo medio di 1,83 euro al litro, decisamente troppo basso. La recessione in atto da tempo ha modificato l’approccio dei consumatori di fronte allo scaffale. Per anni tutto si è giocato attorno al rapporto qualitàprezzo. L’espressione e il suo significato sono entrati nell’uso comune, scatenando gli appassionati a caccia di bottiglie con quel requisito. Oggi le strade sembrano essersi divaricate. I consumatori scelgono in base alla finalità d’uso e quindi guardano al minor prezzo per il vino di consumo quotidiano, mentre per i vini da regalare o da offrire magari agli ospiti a cena scelgono una maggior qualità, che poi vuol dire prezzo più alto. Questo ha determinato, stando ai dati del 2011, la crescita delle vendite dei vini di fascia di prezzo bassa (sotto i 3 euro), e di quelli di quella alta (sopra i 5 euro). Va comunque sottolineato che, al contempo, i prezzi medi del vino nella Grande distribuzione sono aumentati, non solo per effetto del caro vita, ma anche per una presenza più nutrita sugli scaffali di vini blasonati. Un esempio per tutti: le vendite del Brunello di Montalcino sono aumentate del 14,8 per cento, con un prezzo medio a bottiglia di 17,2 euro. F B

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FOCUS NUTRIENTE, ENERGETICO MA NON TROPPO CALORICO, QUESTO TUBERO SI DECLINA IN CENTINAIA DI MODI CONSENTENDO DI REALIZZARE RICETTE FACILI E GRADEVOLI. LE DIVERSE VARIETÀ DI FORMA, COLORE E GUSTO STUZZICANO LA CREATIVITÀ DEGLI CHEF CHE DA CIBO POVERO L’HANNO ELEVATO A PIATTO GOURMAND

Si fa presto a dir patata... Paolo Becarelli

L

a patata (SOLANUM TUBEROSUM) fa parte della famiglia delle solanacee come la melanzana e il pomodoro e ha origine nella parte sotterranea del fusto della pianta, che si ingrossa per l’accumulo di amido e di altre sostanze nutritive di riserva. Di forma tondeggiante più o meno allungata, con buccia liscia o ruvida e colorazione variabile dal giallo paglierino al rosso e al viola, è provvista sulla superficie di numerose gemme da cui spuntano i germogli. Dopo i cereali, è oggi il prodotto agricolo più coltivato al mondo e, grazie all’alto contenuto di amidi e alla sua estrema versatilità quanto a cotture e preparazioni, nei secoli ha contribuito ad alleviare carestie e povertà, diventando così un fondamentale pilastro dell’economia di molti Paesi europei. La patata nasce in America, precisamente nelle Ande, fra il Perù e la Bolivia. È certo che gli Incas, che la chiamavano “papa”, la coltivavano già nell’’800-900 avanti Cristo, ma tracce di tuberi essiccati, detti chuño (le patate erano schiacciate per far fuoriuscire l’acqua, quindi lasciate congelare nelle notti più fredde e poi seccate all’aria per essere facilmente conservate e trasportate), sono state trovate in tombe risalenti al 1450 a.C. nelle zone desertiche del Perù. Le patate attraversarono l’Atlantico intorno al 1570 con i conquistadores spagnoli di ritorno dalle Americhe, ma in Europa incontrarono una tiepida accoglienza fino al XVIII secolo. Complice la disponibilità delle sole varietà appartenenti alla sottospecie “andigena”, coltivabili allora unicamente nei Paesi a clima più caldo come Italia e Spagna, ma anche a causa dei pregiudizi di molti botanici che le paragonavano

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a piante tossiche -si pensava che diffondessero la lebbra e nell’Encyclopédie del 1765 furono descritte come “cibo flatulento”- e delle superstizioni religiose -il fatto che crescessero sotto terra dava loro una connotazione diabolica- le patate furono spesso relegate nei giardini botanici o tutt’al più vennero usate come mangime animale.

Preziosa riserva alimentare La svolta per la diffusione della patata in Europa si deve probabilmente a sir Francis Drake. Insieme all’oro, infatti, durante le sue spedizioni corsare sequestrò sui galeoni spagnoli delle varietà di patata più resistenti ai climi freddi e le portò nelle nuove colonie americane della Virginia. Da qui i nuovi tuberi passarono in Irlanda -e ciò spiega il termine Irish Potato utilizzato a lungo dagli inglesi- dove ricevettero un’entusiastica accoglienza anche perché, crescendo sotto terra, potevano essere facilmente celati e salvati dalle razzie degli eserciti invasori e quindi costituivano una riserva alimentare capace di mitigare l’endemica mancanza di cibo. Il successo della patata in Irlanda fu tale che alla fine del XVIII secolo l’economia si basava principalmente sulla sua coltivazione. Un altro aiuto fondamentale alla diffusione della patata si deve ad Antoine-Augustin Parmentier, farmacista dell’esercito francese che sopravvisse alla prigionia in Prussia, durante la guerra dei Sette anni, grazie a una dieta di soli

tuberi. Tornato in patria, Parmentier diventò un acceso promotore del consumo di patate: le offrì al re di Francia per la tavola reale, mentre alla regina ne regalò i fiori. Inoltre, organizzò un banchetto in cui invitò luminari della scienza dell’epoca (fra cui Lavoisier, Franklin e Vilmorin) il cui menu consisteva in 20 portate diverse di patate. Per invogliare i suoi concittadini a mangiarne, invece, ne piantò interi campi attorno a Parigi facendoli sorvegliare di giorno dai soldati del re come se custodissero oggetti preziosi, ma lasciandoli sguarniti di notte affinché fossero saccheggiati dagli abitanti che, incuriositi, ne incentivarono il consumo assicurandone in tal modo la diffusione. Il lavoro di Parmentier per promuovere la patata è oggi testimoniato anche da tante ricette a base del tubero che portano il suo nome. In Europa le patate arrivano dalla Spagna prima in Italia e negli Stati pontifici e, in seguito, nel sud della Francia e in Germania. A diffondersi per prime sono quelle a buccia rossa, mentre le gialle arrivano dall’Inghilterra: e se inizialmente le varietà sono poche, con l’espansione del consumo il loro numero si moltiplica rapidamente. Parmentier nel 1777 ne cita una quarantina e nel 1846 un catalogo ne annovera ben 177, ma già nel 1881 un altro catalogo ne elenca ben 630 varietà, la maggior parte delle quali nuove, a dimostrazione della rapidità con cui avviene il rinnovamento. Fino al XIX secolo, tuttavia, vi era ancora molta ignoranza

Dopo i cereali, oggi le patate sono il prodotto agricolo più coltivato al mondo. Originarie delle Ande, hanno colonizzato l’Europa. Henry de Vilmoir ne ha stilato la prima classificazione organica dividendole in tre categorie in base alla forma: le Patraque, sferiche, le Parmentière, ovoidali, e le Vitelotte, cilindriche

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FOCUS

Per praticità e in funzione dell’utilizzo culinario, oggi le patate sono suddivise in tre grandi famiglie: a polpa soda, a polpa tenera e a polpa farinosa. Pietro Leemann, sotto, ha costruito un piatto con patate di provenienza diversa in una sorta di gioco di degustazione

circa la collocazione botanica della patata Solanum tuberosum, tanto che molti continuavano a confonderla con la batata, detta anche patata dolce o patata americana, appartenente alla specie Ipomea batata. amer prima classificazione organica è opera di Henry La pr che ne stabilirà tre categorie in base alla de Vilmorin Vi forma: le Patraques, sferiche, le Parmentières, ovoidali, form Vitelottes, cilindriche. e le V

Versatilità in cucina Ve In funzione dell’utilizzo culinario e per praticità, inve le patate vengono oggi suddivise in tre grandi invece, famiglie. Quelle a polpa soda presentano una buona fam tenuta in cottura e sono raccomandate per essere ten cotte al vapore o lessate, oppure per insalate e co preparazioni simili. A questa varietà appartiene p lla patata Ratte: piccola, lunga e ricurva, gialla (o

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viola), con buccia sottile, è originaria di Lione, ma si trova anche in alta Val di Susa, dove è chiamata patata del Bur o trifulot del Bur. Sono invece vellutate e presentano una buona tenuta in cottura quelle a polpa tenera, raccomandate per la preparazione in casseruola, al forno ma anche in padella, saltate e al gratin. Le patate a polpa farinosa, infine, adatte a purè, gnocchi, minestre e da friggere, si sbriciolano in fase di cottura e hanno la particolarità di assorbire meno l’olio. Si possono considerare, invece, una categoria a parte le patate novelle, raccolte prima di aver completato la maturazione, che si trovano dal mese di marzo e hanno diritto a questa denominazione fino al 31 luglio. Va sottolineato che alcuni preferiscono suddividere la patate a seconda del colore della polpa: è vero che in genere quelle a pasta gialla (forma irregolare ovale-allungata, pezzatura medio-grossa, con buccia ruvida) hanno polpa soda, mentre quelle a pasta bianca hanno una polpa farinosa, ma il criterio del colore può trarre in inganno perché vi sono varietà a pasta gialla farinose e viceversa. Inoltre, che dire delle patate colorate? Sono diverse, come la Cranberry Red, a polpa bianca con venuzze rosa-fucsia; la All Blue e la Vitelotte, con buccia e polpa di colore blu; la Peruvian Purple, oblunga, scura con interno bianco e qualche vena violacea oppure viola scuro (sia polpa sia interno); la Purple Congo o Blue Congo,


oblunga, a buccia scura o viola e polpa viola scuro o chiaro e la White Congo, dalla buccia viola e polpa bianca. I Paesi maggiori produttori di patata del terzo millennio sono Cina, Russia, India e Stati Uniti, mentre in Europa il primato del consumo è detenuto da Lettonia, Polonia e Grecia, con oltre 100 chili pro capite. In Italia il consumo di patate si attesta sui 2,2 milioni di tonnellate. La produzione nazionale è stimata, invece, su 1,5-1,8 milioni di tonnellate. La prima regione per produzione è la Campania (circa 20 per cento del totale nazionale), seguita da Emilia Romagna e Sicilia (circa 13 per cento), Abruzzo (10 per cento), Calabria (8 per cento), Veneto, Puglia, Toscana e Lazio con circa il 6-7 per cento. Una quarantina sono le varietà locali di patate, fra cui la Dop patata di Bologna e la patata della Sila Igp. Praticamente ogni regione ne annovera una sua varietà, e in Liguria se ne conta il maggior numero (Cabannese, Cannellina Nera, Morella, patata di Pignone, Quarantina bianca genovese, Quarantina gialla e Quarantina grugnona), seguita da Piemonte (Quarantina bianca genovese, patate dell’alta valle Belbo, patata di Castelnuovo Scrivia, patate di montagna di Cesana e patate di San Raffaele Cimena) e dalla Toscana (patata bianca del Melo, patata di Regnano, ano, patata di Zeri, patata rossa di Cetica, patata rossa a del Pratomagno e patata rossa del casentino).

hanno un sapore che ricorda la nocciola e una pelle talmente fine che si toglie già strofinandola con le mani. Per questo sono le preferite dagli amanti della raclette, formaggio fuso accompagnato da patate bollite servite rigorosamente con la buccia. Le patate blu sono state addirittura una rivelazione per Mirco Migotto, chef del ristorante Al Migò di Treviso, che ha elaborato numerose ricette a base di questo tubero, un paio delle quali sempre presenti nel menu del ristorante. “Io uso quelle che coltiva un produttore della zona, una varietà della stessa famiglia delle Vitelotte francesi e di quelle di San Gallo, coltivate nel cantone svizzero dei Grigioni e in una zona del Trentino attorno a Margone -puntualizza Migotto- Mi piacciono per il loro colore, che cattura l’attenzione, e per il loro sapore diverso, meno dolce, ma leggermente erbaceo e agro”. Grazie al blu delle patate Al Migò è oggi frequentato da una clientela anche internazionale, che le apprezza come chips servite con l’aperitivo, negli antipasti come il Medaglione di patate con Montasio e germogli di porro,, oppure nei secondi come il Petto d’anatra rosato o con patate saltate e radicchio di Treviso. “I miei clienti ienti sono attirati innanzitutto dal loro colore, poi dal gusto davvero unico, e queste patate le ricordano come

Le blu e le Ratte sono le preferite dagli chef. Sotto, il piatto di Davide Scabin, Patata orizzontale: una crema Parmentier su cui sono posati cinque bocconi a base di patate diverse per consistenze, cotture, sapori e colori

Amore di chef Ma quali sono le patate più amate dai grandi cuochi? Le blu (da non confondere con la patata nera o con la violetta, la cui polpa è gialla) e le Ratte. Le prime hanno sia la buccia sia la polpa viola e, poiché mantengono questo colore anche dopo la cottura, consentono di creare piatti dai cromatismi inaspettati e dai sorprendenti “effetti ti speciali”. Le Ratte, invece, sono bianche e piccole, ole, FOOD&BEVERAGE MARZO 2013 | 61 FOOD&BEVERAG


FOCUS

Rivestendola di sfoglia e arricchita con caviale, nel 1989, Vittorio Fusari ha fatto ufficialmente entrare la patata nell’Olimpo della cucina d’autore

un’esperienza piacevole, fuori dall’ordinario. Così lo raccontano ai loro conoscenti e io usufruisco di questo passaparola -aggiunge- Insomma, sono riuscito a farmi pubblicità con una semplice patata…”. “Per i miei piatti utilizzo sia le Ratte sia le Vitelotte, ma in cucina ne uso anche altre cinque varietà perché ogni preparazione richiede una patata specifica -spiega Pietro Leemann, chef patron del ristorante Joia di Milano, una stella Michelin e un punto fermo per chi vuole sperimentare la vera cucina naturale e le insospettabili suggestioni delle verdure- La varietà, però, non è il mio solo criterio di scelta, perché ritengo che sia importante anche considerare la loro provenienza. Se sono di montagna, di collina o di pianura, spesso, infatti, hanno dolcezza e consistenza diverse. Per dimostrarlo strarlo, ho messo addirittura a confronto diversi tipi di patata pata in un piatto di mia creazione, riproponendo una so sorta di gioco di degustazione come si usa per i form formaggi”. Un’idea che è venuta anche a Davide Scab vulcanico chef pluristellato del Combal.Zero Scabin,

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di Rivoli (To). Per la sua Patata orizzontale, una crema Parmentier su cui sono posati cinque bocconi a base di patate diverse per consistenze, cotture, sapori e colori, ne utilizza sei. E precisamente l’Agata per la crema Parmentier, l’americana (dolce) per fare il verso a una pepita di carbone, la Franceline Chérie per uno gnocco, della Charlotte frigge la pelle mentre quella violetta è tagliata alla julienne e condita con panna acida e maggiorana. Già, perché si fa presto a dire patata. Ne è convinto anche Vittorio Fusari, mitico chef de Il Volto di Iseo (Bs) e oggi alla Dispensa pani e vini Franciacorta di Adro (Bs), che nel 1989 ha rivestito una patata di sfoglia, l’ha scavata e arricchita con del caviale e l’ha infine servita, caldissima, su una salsa al burro e Franciacorta, facendone un simbolo della cucina italiana d’autore. “Per il mio piatto uso patate novelle, ottime come supporto gustativo, perché la loro neutralità dà valore alla sapidità del caviale -racconta Fusari- Inoltre, mi piace giocare con i contrasti, in questo caso con la povertà di un prodotto tipico come la nostra patata e un altro nobile e lussuoso come il caviale dell’Agroittica di Calvisano (Bs)”. Per la sua cucina Fusari preferisce approvvigionarsi da produttori locali, preferibilmente a coltura biologica, che gli assicurano tuberi piccoli, dalla buccia sottile e dalla pasta non troppo farinosa, perfetti per essere cotti una ventina di minuti a vapore: “E do la preferenza alle patate a pasta bianca o giallo chiaro come le quarantine, che in cottura mantengono una certa succulenza, mentre trovo che quelle rosse siano troppo asciutte -conclude il cuoco, sottolineando come in Italia non ci sia una grande cultura della patata- Il mercato non investe per dare informazioni al consumatore, contrariamente all’estero dove è più diffusa la conoscenza e la consapevolezza delle differenze fra i diversi tipi di tuberi. Un peccato, perché con le patate si possono costruire grandi piatti. Come il mio…”. F B

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In Italia si producono 1,5 milioni di tonnellate di patate e il consumo si attesta su 2,2 milioni di tonnellate. Le varietà locali sono una quarantina e la regione che ne produce di più è la Campania: il 20 per cento del totale nazionale


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Kettle Chips, le patatine fuori dagli schemi Stefano Masin

P Più che uno snack, le patatine Kettle Chips sono un completamento del piatto. Ideali per l’aperitivo grazie al loro sapore deciso, sono versatili, proposte in tre gusti: sale, pepe nero macinato e Aceto balsamico di Modena

er la maggior parte delle persone rappresentano il primo cibo sfizioso fuori pasto della propria vita. Una conquista che da bambini si fa solo comportandosi bene, facendo i compiti a casa e lavandosi sempre i denti: le patatine! Quel sacchetto leggero, colorato, gonfio, con dentro delle croccanti, dorate e gustose patatine, spesso più grandi della bocca che si preparava a divorarle. E, per molti, il piacere dato da quella sensazione non è mai scemato, tutt’al più si è modificato ed è diventato più consapevole e ricercato, stimolando la realizzazione di una patatina di qualità che uscisse dagli schemi. Un’ideazione che è riuscita molto bene al brand americano Kettle Chips (www.kettlechips.eu), distribuito in Italia dal d partner Gsg Italy. In seguito al suc successo nel canale retail con il formato da 150 grammi, l’azienda form ha deciso de di incrementare la propria presenza nell’horeca, dopo gli hotel di lusso, con due progetti, hote uno per locali, bar e pub di alto livello e l’altro per la ristorazione. live grandi alberghi, infatti, sono Ig stati attirati dall’idea di poter st offrire ai clienti, con l’aperitivo, o una patatina molto saporita e u di qualità. Per il canale bar è stato realizzato, invece, un

formato da 40 grammi pensato per un consumatore adulto che si vuole togliere uno sfizio ma sempre con un occhio rivolto alla linea. Per l’esposizione è stato progettato un contenitore in plexiglass con logo in oro, trasparente, sobrio ed elegante. Per i pub è interessante l’opportunità di abbinare alle birre i tre gusti disponibili di Kettle Chips: sale, pepe nero macinato e Aceto balsamico di Modena. L’esposizione, in questo caso, si avvale di cartoni colorati da parete con un effetto cromatico molto impattante. Innovativo è anche il progetto dedicato alla ristorazione. Alcuni locali, infatti, servono le Kettle Chips scaldate al forno o al microonde come contorno ai piatti. Le caratteristiche e la lavorazione delle patate, coltivate nel Norfolk, in Inghilterra, fanno sì che sembrino appena sfornate, con un vantaggio in termini economici, di tempo e anche di spazio, in quanto una friggitrice professionale, oltre al prezzo elevato, ha un ingombro notevole. Per questo canale, quindi, ma anche per i locali che le offrono ai clienti per l’aperitivo, è stata pensata una confezione da 225 grammi. Versatili e gustose, le Kettle Chips rappresentano un modo nuovo di interpretare la patatina, più vicina al concetto di preparazione culinaria che a quello di un semplice snack. Kettle Chips sono distribuite da GSG Italy Srl, Rita F B Piva tel. +39 051.6569014, rpiva@gsgitaly.it


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Milano da bere al Pisacco Paolo Becarelli

M Cocktail realizzati con distillati rari proposti in bicchieri rétro

ilano da bere. Anzi da ri-bere. Pisacco, restaurant & bar di tendenza di via Solferino, la cui linea di cucina è firmata dallo chef pluristellato Andrea Berton, mette l’accento sulla mixability da intenditori con le serate a tema Misture alcoliche: drink realizzati con distillati rari, spesso introvabili, e miscelati a regola d’arte secondo la tradizione dei migliori cocktail bar mondiali. A fare da apripista all’iniziativa sono stati tre appuntamenti in febbraio che hanno avuto come protagonisti drink ispirati all’epoca del proibizionismo. Negli shaker dei barmen di Pisacco sono stati, infatti, miscelati: il French 75, cocktail consacrato dallo Stork Club di New York negli anni ’30; l’Americano, ma con drop di Centerbe per renderlo più attuale; l’Aviation, canonizzato nel 1930 da Harry Craddock nel Savoy Cocktail Book; il classico Martini con la sua variazione Gibson (con cipollina al posto dell’oliva), poi il Manhattan creato nel 1870 al Manhattan club di New York e il Martinez, precursore del Martini. Ricette classiche del bere internazionale, ma con un pizzico di innovazione volutamente sottolineato anche dai bicchieri usati, a cominciare dalle mini coppe rétro per Martini, e dalle dosi contenute (l’idea è che si possano bere in tre sorsi) per dare modo di assaggiarne più di uno senza ubriacarsi. “Da amante dei cocktail, credo che Milano sia inflazionata dalla moda dell’happy hour e manchino locali dove si pone la giusta attenzione all’arte della mixability -sottolinea Giovanni Fiorin, direttore di Pisacco, nonché socio fondatore, insieme all’avvocato Diego Rigatti, all’architetto Tiziano Vudafieri e ad Andrea Berton, di food.different, la società a cui fa capo il locale- Per questo non abbiamo mai preso in considerazione la formula ‘beverone e piattino’, preferendo proporre fin dall’apertura pochi drink fatti a regola d’arte, offrendo ai nostri clienti qualcosa in più, ossia la possibilità di giocare provando cocktail speciali in un ambiente giovane e allegro. Misture alcoliche avrà, infatti, una cadenza settimanale e ogni serata

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sarà a tema: la prima, dedicata al proibizionismo, è stata un successo e questo è un invito a continuare sulla strada intrapresa. Abbiamo deciso di limitarci a una sera a settimana, non tanto perché temiamo che l’appeal della mixability possa stancare, quanto perché credo che Pisacco non debba farsi ricordare come cocktail bar dove magari ci si ritrova al venerdì sera per il solito drink”. Preoccupazione più che comprensibile. Aperto da settembre 2012 con un investimento abbondantemente sotto il milione di euro, il restaurant & bar diretto da Fiorin si è subito fatto notare dai milanesi, grazie a un buon rapporto qualità prezzo e a un concept di ristorazione innovativo il cui delicato equilibrio potrebbe essere compromesso da una virata verso il mondo del beverage. “La formula Pisacco rispecchia diversi contenuti. Qui tutto è studiato nei minimi particolari, dall’arredo agli oggetti d’arte presenti nel locale, fino al calore, all’allegria e al senso di convivialità che vogliamo trasmettere ai nostri clienti -puntualizza Fiorin- E la mission primaria che ci siamo dati era quella di affermare la migliore qualità al miglior prezzo. Oggi lo scontrino medio è fra i 30 e i 35 euro, con una qualità che pur non essendo da ristorante gastronomico gli è molto vicina. Siamo riusciti a trovare un equilibrio fra ciò che il cliente paga e ciò che mangia. E che tale rapporto sia adeguato lo dimostra il dato relativo alla persistente affluenza. Dall’inizio dell’anno, infatti, siamo pieni tutte le sere e anche i mesi precedenti sono andati benissimo”. Dopo un periodo di messa a punto iniziale in

cui sono state riviste alcune scelte, ad esempio introducendo la chiusura pomeridiana e rivedendo l’ora di apertura per il brunch domenicale, oggi Pisacco può contare su 220 clienti al giorno. E Fiorin prevede di riuscire a raggiungere quota 250 grazie al nuovo vassoio con tre portare (un carboidrato, una carne o un pesce e un contorno) che, proposto a pranzo a 12 euro con acqua e caffè, o in alternativa vino, dovrebbe riequilibrare la concentrazione della domanda fra il lunch e la fascia serale, finora sbilanciata su quest’ultima. “E non dimentichiamoci che ci troviamo a lavorare in uno scenario economico preoccupante, ccupante, dove molti locali fanno fatica a sopravvivere. e. Tanto che oggi li si può acquistare a prezzi decisamente attraenti -conclude Fiorin- Anche noi ne abbiamo approfittato, tanto che abbiamo in programma l’apertura di un altro locale vicino a Pisacco. Il concept sarà differente, ma costituisce e un primo passo verso la creazione e di una serie di locali che faranno no capo a food.different. L’obiettivo oè creare una massa critica che ci perermetta di ottimizzare le risorse e far leva sulle economie di scala”. a”. E se il ritorno dell’investimento ento di ogni locale sarà, come Fiorin iorin prevede nel caso di Pisacco, cco di soli tre anni, sarà davvero un affare are F B B con i fiocchi. SCHEDA

Pisacco restaurant & bar via Solferino 48 20121 Milano tel. +39 02 91765472 www.pisacco.it

Il Pisacco è un bistrot contemporaneo, dalle linee pulite con oggetti d’arte e di design. Sotto, i cocktail Martinez, Bloody Mary e un drink a base di Cognac e cannella


ITINERARI CHE COSA CI SI ASPETTA DA QUESTA ISOLA HISPANIOLA, LA PRIMA TERRA NELLE AMERICHE DOVE MISE PIEDE CRISTOFORO COLOMBO? MARI CRISTALLINI E SPIAGGE BIANCHE. A SORPRENDERE È UNA CUCINA DAI TANTI SAPORI, CHE NASCE DA UN MIX DI CINQUE RAZZE, CHE SI GUSTA PIÙ IN STRADA CHE NEI GRANDI RESORT

Sabor Dominicano Elena Bianco

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anto Domingo oggi non è un’isola dei Caraibi. È una città, grande, moderna, la prima nata nel Nuovo Mondo e con un interessante centro storico coloniale composto da bellissimi edifici di pietra corallina, assolutamente da visitare. È la capitale della Repubblica Dominicana, un Paese che offre molte sorprese. Questo angolo del Caribe è frequentato dal turismo europeo e nordamericano per i suoi numerosi resort all inclusive sulla costa da sud a Bayahìbe e Punta Cana fino al nord, sull’Atlantico. Senza nulla togliere al riposante piacere di oziare sulle bellissime spiagge sorseggiando un Mama Juana (mix di rum, vino rosso, erbe e radici aromatiche con varie virtù, dall’aspirina all’afrodisiaco) e alle serate animate da merengue e bachata, questo Stato di 48 mila chilometri quadrati, che occupa i due terzi dell’isola (il resto è Repubblica di Haiti) svela in realtà, a chi lo sappia esplorare, ancora di più. Qui la natura, il cibo e la cultura locale creano un legame che si respira all’interno, nel Cibao, la vallata il cui nome significa “terra fertile”, sulla Cordillera Central dove la foresta tropicale si inerpi su ripide pendici e strette inerpica gole, ccosì come sulle coste, quando una sschiera di granchi tropicali attra attraversa la strada di notte e al tram tramonto i ragazzi vendono grana di aragoste, le conquiste di una gio giornata di pesca. I dominicani p si potrebbero paragonare a un sa sancocho de raza (è uno stufato d sette carni), poiché sono un di m di almeno cinque razze mix

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Le candide spiagge della Repubblica Dominicana sono perfette per una vacanza rigenerante. Un’immersione di sole e mare da interrompere solo per un’avventura tra le mangrovie di Estero Hondo, una visita alla fabbrica di sigari a Puerto Plata e per assaggiare le specialità della cucina creola

(me (meticci, zambi, mulatti, neri e bianchi), e hanno ner ereditato dagli antichi ere abitanti, i Taino, che ab nella lingua autoctona ne significa “i gentili”, il si ccarattere solare e la fforte appartenenza alla terra e ai suoi prodotti. La lunga lun autostrada che da sud a nord attraversa attravers il Cibao, la riserva agricola del Paese, è disseminata ai lati di piccole case contadine, bohìos, con il tetto di foglie di palma, ma dai colori sgargianti come i tappeti fatti a mano che gli abitanti vendono su banchetti di legno, i parador, insieme a patate dolci e maiale alla brace, yucca fritta, dolci di anacardi e cocco, arance e succo di canna da zucchero. Una deviazione porta a Bonao e da qui alle ripide mulattiere della Cordillera Central fino a Hòyo del Pino Blanco, dove la Federacion de Campesinos hacia el Progreso, formata da 200 famiglie, ha avviato un progetto che unisce la coltivazione biologica del caffè di qualità all’eco-turismo. Fra le piantagioni di caffè e colture integrative di banani e noci macadamia, è sorto il complesso turistico Rio Blanco e il Rancho don José. “Partendo dall’obiettivo di migliorare la qualità della vita delle famiglie locali e di riqualificare l’ambiente contro un’economia migratoria dovuta alla deforestazione -spiega il direttore della cooperativa Esteban Polanco- abbiamo collegato due imprese produttive: coltivazione del caffè e accoglienza turistica. I nostri contadini producono in modo organico, usando metodi naturali nella lotta ai parassiti, due varietà: l’arabica e la caturra. Sulla Cordillera

si coltiva il caffè da 350 a 1.500 metri di altitudine, privilegiando la qualità alla redditività, con 35 libbre ogni mezzo ettaro”. Tutta la filiera si attiene a criteri di sostenibilità: una pompa in fase di lavaggio del caffè ento consente un risparmio del 10 per cento essa d’acqua che poi non viene reimmessa nel terreno, essendo inquinata da una parte viscosa, ma assorbita da tronchii di ella bambù. A questa attività si affianca quella te di turismo sostenibile, che consente agli ospiti di venire in contatto con la e comunità locale, pranzando presso le famiglie, partecipando alle attività

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ITINERARI

Sixto Vargas, chef del El Manguito, interpreta in modo semplice ma efficace la cucina locale con piatti quali il chivo e il platano fritto

Sulla spiaggia La Ensenada si trovano tanti piccoli ristoranti dove si cuociono sul fuoco a legna granchi, pesci pappagallo, colirubia e aragoste

agricole, esplorando il P Parco del Rio Yuna che, iinsieme a quello del Vaje e N coNuevo più a nord, fornisco’acqua no la maggior parte dell’acqua nicana Oltre della Repubblica Dominicana. alla vita si condivide anche il cibo dei contadini, quasi tutto a autoprodotto: i conigli arrosto e i polli fritti dall’allevamento di Moreno, la yucca in insalata e il platano fritto, gli ortaggi che escono dalla cucina di Daneri Canela, una delle tante donne impiegate in questa attività e, ovviamente, uno straordinario caffè, aromatico e gradevolmente acidulo. La sostenibilità e la tutela della comunità agricola animano anche il o de sendero del cacao nella zona di San Francisco alda Macorìs, nei 39 ettari dell’Hacienda La Esmeralda Garcìa Jiménez, che produce cacao biologico. “La ore Repubblica Dominicana è il terzo produttore

al mondo di cacao e a il primo di cacao organic nico, che viene importato p prevalentemente in Europa e iin particolare in Italia -afferma afferma Lusida Lusidania Jimenez, agronoma dell’azienda- a conferma dell’elevata qualità del nostro prodotto. Abbiamo coltivazioni di Criollo, la varietà più pregiata, di Forastero, dal sapore più intenso, e di Trinitario, un’ibridazione dei primi due. Oggi la macinatura manuale, col pilon, è solo un ricordo da rinvangare quando vengono gli ospiti, e la produzione di cacao è alla base di un sistema economico di eccellenza che coinvolge g direttamente nelle varie fasi 40 mila famiglie”. Le piante del cacao affiancate da sono affi amapole e banan ni con lo sscopo di fa fare ombra e il sapore de dei frutti (ca (cabossidi) var varia secondo iil tipo di impollinazione. Dai semi di qualità sàn sànchez, non fermentati ed essiccati, si estrae il burro di cacao per la cosmetica. I semi dell’hispaniola, invece, vengono fermentati per 5 giorni prima dell’essiccatura, per dare modo alle fermentazioni alcolica, acetica e malolattica di conferire un aroma unico al cacao. Lo si può assaggiare nell’Hacienda, sorseggiandolo in bevanda insieme al pasto preparato dai contadini e


A Rio San Juan, Ada Iris Suero, del Da Estrella, cucina come a casa il pollo guisado, con una piccante salsa di aglio, cipolla e peperone cubanella

in tavolette, appena prodotte dalla piccola impresa. Più a sud, nella provincia di Samanà, si snoda la Ruta del Jengibre (zenzero) anch’essa interessata da un progetto di integrazione fra produttività ed eco-turismo che educa i contadini a una gestione sostenibile delle risorse e a far conoscere il loro lavoro, ospitando i visitatori in villaggi-vacanza a basso impatto ambientale. Il progetto (chiamato Guariquén) ha fra i principali finanziatori il Ministero degli affari esteri italiano, il Comune di Milano e la Provincia di Genova. Dopo aver assaggiato la cucina spartana ma gustosa delle campagne, è d’obbligo una tappa in una delle località principali sulla costa atlantica, Puerto Plata, che pare debba il suo nome, “porto d’argento”, a Cristoforo Colombo, qui approdato e rapito dalla bellezza della costa. Al centro di un’area così ricca naturalisticamente da essere il progetto pilota di Turisop, un piano di turismo sostenibile basato sulla partecipazione pubblica e privata di concezione e coordinamento giapponesi, è anche una zona gastronomicamente molto olto interessante, dove i mariscos, i piatti di pesce, incontrano una specialità di carne. Il chivo liniero, una capra della zona di Mon-tecristi, alimentata a in prevalenza con n origano silvestre, ha carni deliziosamenena El te profumate. Da ena Manguito, appena fuori città, lo chef rpreSixto Vargas interpreplice ta in modo semplice

ed efficace la tradizione gastronomica locale. In un ambiente da ristorante da spiaggia, si mangia un capretto in umido dal sapore deciso, insieme alle boletas de queso, polpette di formaggio filante. Ma sulla tavola arrivano contemporaneamente croquetas de mero (cernia), polpa di granchio con una salsa al pomodoro leggermente piccante e una cernia fritta intera dalla carne compatta e saporita che si mangia con platano e insalata di avocado. Le portate, in questo piacevolissimo “disordine sparso”, sono accompagnate dalla birra Presidente, vera icona nazionale, e da un bicchierino di rum Brugal, altro vanto dominicano, la cui fabbrica è visitabile a pochi chilometri di distanza. Dalla distilleria fondata a Puerto Plata nel 1888 da Andrés Brugal Montaner, colono spagnolo, escono 100 mila bottiglie al giorno di rum (è il terzo produttore al mondo dopo Bacardi e Captain Morgan), che matura fino ad otto anni in barrique di Jack Frutta, verdura, oggetti di artigianato, sigari e pesce freschissimo colorano le bancarelle del mercato di Puerto Plata

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ITINERARI L’Hacienda La Esmeralda Garcìa Jiménez a San Francisco de Mocorìs si estende per circa 39 ettari lungo il “sendero del cacao”. Qui si impara tutto su questa pianta: dalla raccolta dei frutti al taglio dei cabossidi, dall’estrazione delle fave alla fermentazione, dall’essiccazione per finire al confezionamento

Daniels per conferire all’Extra Viejo V un colore ambrato, note legnose e di frutta secca e sfumature speziate alla all cannella. Il I piacere del cibo rientra anche nelle 588 proposte che i 200 enti aderenti a Turisop Tur promuovono nella provincia di Puerto Pu Plata. Si può tranquillamente godere go della fioritura dell’Amapola, che tinge ti di arancione il Monte Isabela de Torres, To o visitare il Festival Gastronomico Festiv di So Sosua. Provare il brivido del torrentismo sulla foresta risalendo le 27 charcos, le cascate cristalline cas del Rio Damajagua; de fare snorkeling sulla fa barriera corallina b di Cayo Arena, picd ccolissimo paradiso tropicale al largo di punta un’escurRusia; oppure o incantata di sione in kayak in una foresta fo mangrovie all Parco Estero Hondo, d un’ampia laguna dove si osservano i lamantini (grandi mammiferi di mare). O più semplicemente riposarsi sulla splendida spiaggia La Ensenada: non è attrezzata come quella dei grandi resort, ma circondata da piccoli ristoranti, sovente senza un’insegna, dove si cuociono sul fuoco a legna granchi, pesci pappagallo, colirubia e aragoste. Oltre alla freschezza e alla naturale bontà del pesce, l’esperienza è autentica, circondati solo dal suono dell’oceano e da pochi avventori locali. La costiera atlantica che porta a sud conduce a 72 | FOOD&BEVERAGE MARZO 2013

Cabarete, paradiso dei surfisti di tutto il mondo, un paese che vive su una spiaggia di 15 chilometri coronata da ristoranti dove dare libero sfogo al desiderio di crostacei e da locali notturni dove sorseggiare un mojito. Ma per provare una “contaminazione” fra i prodotti locali e sapori più di casa, si può pranzare al Boutique Hotel Natura Cabana, un resort di bungalow sulla spiaggia, immerso nel silenzio della vegetazione, dove fare yoga nel padiglione vista oceano e dedicarsi alla meditazione camminata dhyana. Qui lo chef è Antonino Salamone, italiano di Taormina. Da 18 anni in America latina, appena arrivato a Cabarete ha vinto il concorso di gastronomia di Sosua con un tiramisù ai frutti della passione, tanto per imporre da subito la sua personalissima cucina fusion. Nel ristorante open air Natura propone dalla pasta ripiena fatta in casa al ceviche, dalla carbonara alla zuppa di pesce al lemongrass e latte di cocco, il tutto accompagnato con una citazione antica: il casabe, il pane di manioca che insieme alle catibìas (frittelle di manioca con carne) sono gli unici piatti di origine taino conosciuti. L’anima creola di questi luoghi riporta immediatamente alla cucina. Pochi chilometri più a sud, a Rio San Juan, dopo un giro in barca nella suggestiva Laguna Gri-Gri (nome taino degli alberi) e un po’ di bird-watching fra garzette e aironi, si deve provare la cucina creola da Estrella. Qui, Ada Iris Suero, cuoca dal rassicurante aspetto materno, cucina come a casa il pollo guisado, con una piccante salsa di aglio, cipolla e peperone cubanella, il maiale creolo con riso allo zafferano e carote, e la bandera, effettivamente la bandiera gastronomica nazionale, un pot pourri di riso, carne, fagioli e banane fritte. A conferma che le suggestioni della Repubblica Dominicana, la storia, le diverse razze, la natura sontuosa, questo sancocho affascinante, passano prima o poi attraverso i suoi F B tanti sapori.


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GUSTA IL RISPARMIO


OSPITALITÀ UNA RESIDENZA PRIVATA TRASFORMATA IN HOTEL DI LUSSO IMMERSO NELLA ROMA ANTICA E CON VISTA SUL COLOSSEO. ALL’ULTIMO PIANO IL RISTORANTE AROMA, DOVE GIUSEPPE DI IORIO FIRMA UNA CUCINA CHE INTERPRETA I SAPORI MEDITERRANEI ARMONIZZANDOLI CON QUELLI DELLA TRADIZIONE ROMANA

Cena con vista a Palazzo Manfredi Giulia Marcucci

C Cornice suggestiva e un affaccio unico sulla Roma by night al ristorante Aroma

ostruito proprio sopra al LUDUS MAGNUS, antica palestra dei gladiatori di fronte al Colosseo, Palazzo Manfredi è un insolito gioiello a cinque stelle del circuito Relais & Châteaux, che vanta una posizione straordinaria. L’intimità di cui si gode, valore aggiunto da cui ci si lascia avvolgere perfino negli spazi comuni, è data anche dal numero di camere perfetto: 13 e 2 suite, tutte con vista panoramica. Gli interni sono stati impreziositi da un particolare restyling che unisce un’interpretazione classica a tocchi contemporanei, privilegiando l’uso del legno e del marmo, e combinando armoniosamente mobili dal design moderno, pregiati pezzi d’antiquariato e opere di artisti contemporanei, come Giovanni Battista Falda e Tano Festa. L’ospite è accolto in camera da un’atmosfera raffinata, calda e garbata. L’uso del velluto e della pelle, quasi sempre in toni naturali, e della luce soffusa dei lampadari aggiungono stile a tutti i pezzi unici, firmati da celebri designer come Ingo Mayer e Van Egmond. Dalle stanze si ammira il Colosseo e la Domus Aurea, godendo di uno spettacolo unico. Ogni camera è dotata di supporti tecnologici come iPod dockers e impianto home theatre di Bang and Olufsen. Interessante la scelta dell’imbottitura dei cuscini: dal piumino d’oca al lattice, passando per l’antiallergico. In questo luxury boutique hotel si vive un’esperienza simile a una coccola per i sensi, tra servizi e proposte gourmet, per un’ autentica vacanza romana oppure per business travel. Da non perdere a Palazzo Manfredi è l’esperienza enogastronomica al ristorante Aroma, in veranda o sulla splendida terrazza che si affaccia sul Colosseo

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con una vista mozzafiato sulla Roma Imperiale che ha ispirato l’interior designer Maria Renata Fimiani. Colori neutri e tenui, come beige, rosa antico e malva, e arredi fatti a mano si accompagnano al pavimento in resina bronzata e incorniciano la sala illuminata dalla luce soffusa dei lumi di Baga. Atmosfera sofisticata, luce e un tocco di classe: una piantana wireless portata dal cameriere per la lettura del menu. Grande protagonista di Aroma la cucina, firmata dallo chef Giuseppe Di Iorio che interpreta al meglio i sapori mediterranei abbinati a quelli della tradizione romana, ispirandosi anche a ricette antiche personalizzate sempre nel rispetto della stagionalità delle materie prime e dando importanza alla freschezza e alla qualità degli ingredienti. Ed è così che la giusta combinazione di prodotti -come il tartufo di Alba e l’astice- e quelli più semplici -come le olive taggiasche, i capperi di Salina, la burrata di Andria e i pomodorini di Pachino- danno vita a piatti delicati, ma a volte particolarmente saporiti. Il menu ruota attorno al concetto di territorio e di tradizione ma, allo stesso tempo, contempla una grande apertura al mondo, da cui emerge l’importanza dell’esperienza londinese dello chef. Tra i piatti signature: Costolette d’agnello con tortino di coratella e scarola con cuore di carciofo alla romana, Crocchette di coda alla vaccinara su misticanza dell’agro pontino, ma anche Foie gras con mostarda di verdurine, ciliegie caramellate e pan brioche al formaggio, Cappellotti di broccoli siciliani con guanciale di Sauris ris su crema di mascarpone, i Tagliolini fatti in casa con bottarga, sedano e crudo di gamberoni al limone candito e la Coda di rospo al tegame avvolta con alghe marine e cuore di gamberone reale e salsa di soya. Aroma propone un menu à la carte e uno degustazione dii

cinque o sette portate, due delle quali “a sorpresa”, secondo l’ispirazione dello chef. Tra i dessert eccellono i soufflé al cioccolato e quello al pistacchio, la Spuma di mandorle amare con amarene, il Semifreddo al mandarino e amaretti con insalatina di arancia e la Bavarese alle castagne con tartufo bianco. Da notare, le porzioni generose e i perfetti ritmi del servizio. Infine, la cantina vanta più di 300 etichette. Non è un caso che Aroma abbia ottenuto il 5 Stars Diamond Award di The American Academy of Hospitality Sciences, l’ambito riconoscimento che premia l’eccellenza nel mondo dell’hôtelcelle lerie e della ristorazione. F B

Lo chef Giuseppe Di Iorio crea un menu in equilibrio tra tradizione e apertura al mondo. Colori tenui, luci soffuse e un mix sapiente tra classico e contemporaneo per le stanze dell’hotel

SCHEDA SCH

Palazzo Manfredi Pa via Labicana 125 00184 Roma 00 tel. +39 06.77591380 te www.palazzomanfredi.com w

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RISTOMUSEI LONDRA HA APERTO LE DANZE, O MEGLIO LE PORTE, MA ORA ANCHE CITTÀ COME PARIGI, STRASBURGO, BERNA, BILBAO E VIENNA TRA LE ANTICHE MURA O LE MODERNE VETRATE DI IMPORTANTI MUSEI, HANNO DATO SPAZIO A UNA NUOVA ARTE: LA CUCINA, PORTATA IN SCENA CON I CAPOLAVORI CREATIVI DI CUOCHI STELLATI

Arte, non solo cibo per l’anima Beba Marsano

I Londra è tra i capofila della ristorazione nei musei. Nella City, tra le mete d’obbligo il The Wallace Collection

l primo ristorante al mondo ad avere avuto diritto di cittadinanza in un museo è stato il V&A Café nelle Morris Rooms del Victoria and Albert Museum di Londra. Oggi, pranzare accanto a capolavori d’arte di ogni epoca non è più un’eccezione, ma una regola. Almeno all’estero. Londra e Parigi sono le capofila di questa tendenza che, con chef spesso stellati, coniuga belle arti e alti palati. Nella capitale sul Tamigi non c’è che l’imbarazzo della scelta, ma le guide gourmet segnalano soprattutto due indirizzi, la National Gallery e la Wallace Collection. Nel santuario della grande pittura mondiale, scrigno di capolavori universali quali il Battesimo di Cristo di Piero della Francesca e la Vergine delle Rocce di Leonardo, la Cena in Emmaus di Caravaggio e il Ritratto degli Arnolfini di Van Eyck, Sansone e Dalila di Rubens

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Berna, con il ristorante all’interno del moderno Zentrum Paul Klee, e Parigi, con il Tokyo Eat dell’anti-museo Palais de Tokyo, sono tra le città più cool per chi è alla ricerca di una cena tra arte e design

A Londra si può cenare circondati da capolavori come Sansone e Dalila di Rubens, conservato alla National Gallery, a destra, o The Swing di Jean-Honoré Fragonard (nella pagina accanto), alla The Wallace Collection

e il Vaso di girasoli di Van Gogh, le National Dining Rooms offrono un’esperienza gastronomica tutta britannica, dove lo chef Simon Duff alterna i grandi classici del Regno Unito a moderne interpretazioni della tradizione. Ghiotta la carta dei dessert, con gli immancabili pudding. Il Wallace Restaurant è, invece, uno dei gioielli della Wallace Collection che, nell’aristocratica Hertford House, custodisce la preziosa collezione di pittura europea di sir Richard Wallace, figlio del quarto marchese di Hertford, che ne fece dono alla città nel 1897. Nella romantica corte interna con tetto di vetro, punteggiata da piante e sculture, un classico menu da brasserie propone i piatti forti della cucina francese: frutti di mare e terrine rustiche, cosce di rana e filetto alla Rossini. Da oggi, in quest’oasi fuori dal tempo nel cuore della capitale, si affianca un menu vegetariano, che il resident chef Ivan Simeoli ha messo a punto utilizzando le più moderne tecniche di cottura. Il Wallace Restaurant e quello della National Gallery sono entrambi creazioni di Oliver Peyton (www. peytonandbyrne.co.uk), chef, personaggio televisivo e tycoon della ristorazione d’Oltremanica. Ma è a Parigi l’indirizzo più cool per gli amanti d’arte gourmet: il Tokyo Eat, una delle più belle terrazze della ville lumière, vista Senna e Tour Eiffel, alla sommità del Palais de Tokyo (www.palaisdetokyo.com), anti-museo per eccellenza, vetrina ribelle e spregiudicata della creazione contemporanea più estrema. Dall’immensa cucina a vista tutta in inox lo chef Thierry Brassard si lancia in proposte dal profumo di tradizione (le Salsicce di Morteau con lenticchie verdi di Puy, ad esempio, ma il menu contempla anche l’Orata in salsa di arachidi) in una cornice fluo che mette insieme i contributi dei più celebrati designer del momento.

Le lampade portano la firma di Stéphàne Maupin, i tavoli di Yvan Fayard, le sedie, tra gli altri, di Marcus Kreiss e i monumentali ritratti alle pareti (che fanno filtrare la luce e sostituiscono le finestre) di Beat Streuli. Per la sua atmosfera postmoderna il Tokyo Eat è uno dei luoghi deputati del jet set parigino; tra gli habitué, anche Carla Bruni e Inès de la Fressange che, tra poco, avranno un altro palcoscenico per vedere e farsi vedere: il nuovo ristorante del Palais de Tokyo, brasserie e cocktail bar la cui apertura è prevista in questi primi mesi dell’anno.

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RISTOMUSEI

Al Nerua, nel Museo Guggenheim di Bilbao, lo chef Josean Alija porta in tavola piatti dai sapori essenziali di radice basca. L’Art Cafè del Musée d’Art moderne et contemporain di Strasburgo è, invece, la roccaforte di una cucina di ricerca con influenze tropicali

Sempre in Francia, a, al Musée d’art moderrne et contemporain n di Strasburgo (www. w. musees-strasbourg.eu)u)una costruzione di vetro, tro, cemento e granito rosa dei adei Vosgi custode di magnifici dipinti, sculture e oggetti d’arte applicata da fine Ottocento a oggi- è pronta un’altra tavola imbandita. Quella di un piccolo, strepitoso Gauguin: Natura morta da uno schizzo di Delacroix, occupata in primo piano da un esuberante piatto di frutti tropicali. Il dipinto, tra i pezzi forti della collezione, potrebbe costituire il manifesto dell’Art Café Restaurant, concepito da Yves Taralon (autore del celebrato Café Marly sotto le arcate parigine del Louvre) e decorato da Aki Kuroda con affreschi eschi ispirati all’opera di Mondrian. Affacciato con grandi di pareti

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a vetrata ata sul fiume e sul ul vecchio quartiere della Petite France, l’Art Café è roccaforte di una cucina di ricerca con influenze tropicali, dove frutta e verdura la fanno da padrone; le insalate portano i nomi dei pittori in collezione, da Klimt a Kandinsky, e i menu si ispirano alle esposizioni del momento. La carta dei vini accoglie ogni mese novità tutte da scoprire, scoprire a cominciare dai profumatissimi profum bianchi e dai non meno interessanti rossi d’Alsazia. d’ Tra gli g esempi più blasonati di ristomuseo, spicca quello del Zentrum Paul Klee di Berna (2005), per iil quale Renzo Piano h ha progettato due padiglioni: imperioso pad e avveniristico, moduav lato da colossali creste d’acciaio e vetro, per d’ il museo; intimo e rraccolto per il ristorrante. Il primo fa da cornice alla più vasta collezione al


Il Museum Kunsthistorisches di Vienna offre un’esperienza gastronomica nell’arte davvero unica con un buffet teatrale allestito nella scenografica sala a cupola del primo piano

mondo di opere di Paul Klee: il 40 per cento della produzione, dalle zioprime prove figurative all’astrazioce il ne onirica. “L’arte non riproduce eva visibile, ma rende visibile”, diceva ro il rivoluzionario artista svizzero che seppe fare della pittura il i, linguaggio privilegiato dei sogni, delle emozioni, degli inafferra-bili misteri dell’inconscio. Il secondo padiglione -un’architettura tutta vetro con interni minimalisti e poltrone in pelle rossa, studiata per integrarsi a perfezione in un’antica endimora classificata monumente Villa Schöngrün to storico- accoglie il ristorante (www.restaurants-schoengruen.ch). Bistrot chic con una stella Michelin e 17 punti Gault-Millau, diretto da un campione della gastronomia elvetica: Werner Rothen. In menu una cucina di ricerca ispirata dai prodotti di stagione, dove tradizione e innovazione si coniugano con piena soddisfazione dell’occhio e del palato. Tra i fiori all’occhiello della maison, il Fois gras d’anatra con patate e acini d’uva Chasselas e il Merluzzo con gazpacho di puré di patate, olio di cedro e piselli. E dalla Svizzera alla Spagna, dove nello spazio architettonico più rivoluzionario degli ultimi anni, il Guggenheim Museum di Bilbao, macroscultura in titanio, pietra e vetro firmata Frank O. Gehry, trova dimora uno dei templi gastronomici più all’avanguardia del momento: il Nerua (www.nerua.com), fresco di stella Michelin grazie all’estro di Josean Martínez Alija, enfant prodige della nuova haute cuisine iberica. Una cucina,

lla sua, di radice basca, delicata, a aromatica, fortemente influenzata dai prodotti della terra, dalle za verdure soprattutto, protagoniste ve assolute del menu. “Interpretare as le m materie prime adattandomi a loro, per tirarne fuori l’essenza”: loro ecco, in sintesi, la sua filosofia del ecc gusto. Che si esprime in piatti dai gust sapori essenziali, di cui è metafora la sapo cornice minimalista, quasi monastica, cornic in cui sono presentati: tavoli rotondi ricoperti da tovaglie bianche e sedute ricope design in semplice legno d’acero. di desig In un contesto di tutt’altro tenore scenografico si consuma la suggestiva scenogr esperienza offerta dal Kunsthistorisches esperien Museum di Vienna, monumento all’irrefrenabile passione collezionistica degli Asburgo. Tutti i giovedì, dalle 18.30 alle 22, la monumentale sala a cupola del primo piano si trasforma nel buffet più teatrale del mondo, vero e proprio trionfo della cucina viennese. Nel corso della serata battezzata Gourmetabend (www. genussimmuseum.at) è possibile sperimentare un percorso parallelo di emozioni estetiche e papillari. Il tavolo è riservato fino alla chiusura, per scegliere in tutta libertà se sorseggiare l’aperitivo prima o dopo un Caravaggio, gustare l’antipasto tra un Rubens e un Tintoretto oppure tra un Giorgione e un Arcimboldo (sono qui le famose quattro Allegorie delle Stagioni), per poi dedicarsi ai piaceri della tavola e, ancora, a quelli dell’arte, appagandosi tanto del proprio, quanto del Banchetto nuziale di Bruegel il Vecchio, una delle dodici strepitose tavole dell’artista fiammingo esposte F B giusto dietro la prossima porta. FOOD&BEVERAGE MARZO 2013 | 79


PERSONAGGI PEPE CARVALHO E IL COMMISSARIO MONTALBANO CONDIVIDONO IL MESTIERE E LA PASSIONE PER IL CIBO. CHE SIA TRADIZIONALE O FRUTTO DI SPERIMENTAZIONI, IL PIACERE DEL MANGIARE BENE È UNA PRIORITÀ DEI DUE INVESTIGATORI, SEMPRE ALLE PRESE CON QUALCHE CASO INTRICATO E L’ASSAGGIO DI PIATTI GUSTOSI

La buona cucina si tinge di giallo Irene Catarella

È Il commissario Montalbano e Mimì Augello discutono di un nuovo crimine mentre aspettano gli squisiti piatti del cuoco Calogero. Sotto, la copertina di un dvd della serie tv tratta dai libri di Andrea Camilleri

vero che mangiare certi cibi aguzza l’ingegno? Forse potrebbero rispondere due personaggi che lottano contro il crimine: Pepe Carvalho, nato dalla penna di Manuel Vázquez Montalbán, e il commissario Montalbano, ideato da Andrea Camilleri. Entrambi amanti della buona cucina, Carvalho e Montalbano fanno del mangiare bene un vero must della propria esistenza. Sia nei romanzi che nei racconti televisivi risulta subito evidente che il commissario di Vigata mette al primo posto il cibo che gli piace, da gustare rigorosamente da solo, in silenzio, in un ambiente accogliente come quello della sua casa o del ristorante preferito; ad esempio, rinuncia addirittura a due capodanni con la fidanzata per trascorrerli a degustare una fritturina mista di pesce e i mitici arancini. Certo è, che per lui, assaporare

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Gli arancini di riso e la pasta con le sarde sono tra i piatti preferiti dal commissario Montalbano, interpretato nella serie televisiva dall’attore Luca Zingaretti

piatti di grande qualità, composti da ottime materie prime e realizzati da persone che sanno cucinare bene, dalla casalinga al cuoco di fiducia, significa innanzitutto vivere un momento di grande piacere, ma nello stesso tempo assicurarsi forza fisica ed equilibrio interiore per affrontare al meglio il suo compito di commissario di un paese della Sicilia dove non mancano mai omicidi e morti strane, dei quali si deve scoprire motivo e colpevole. Vivendo in una zona di mare e recandosi al San Calogero, il suo ristorante preferito, Montalbano si trova spesso a ordinare piatti a base di pesce, cosa che si penserebbe ovvia visto che il pesce contiene il fosforo utile a potenziare le sinapsi del cervello, fondamentali per formulare ragionamenti logici, indispensabili per chi deve scoprire e portare alla luce trame nascoste. Ma i piatti di cui si delizia quotidianamente, preparati dalla fida cameriera Adelina, sono quelli della tradizione della propria terra. Ed è qui che si mette in evidenza come, al di là del potere nutritivo di un alimento, il cibo acquista un vero valore affettivo ed energetico per il corpo e la mente quando è l’espressione della bellezza e della creatività delle proprie radici, in questo caso quelle siciliane. Tra i suoi piatti preferiti la pasta ‘ncasciata (con i broccoli), che definisce degna degli dei, e quella con le sarde, per non parlare dell’irresistibile caponatina. Se lo seguiamo in alcuni dei libri di cui è protagonista, Montalbano mostra nei riguardi dei piatti una diffidenza e una riverenza degna di un gourmet, seppur rustico e tradizionalista. Nel Cane di terracotta si sofferma a odorare il sugo di seppie per vedere o no se c’è “sospetto” di origano; un rito si celebra con determinati “strumenti” che non possono subire variazioni perché, altrimenti, se ne altererebbe la perfezione e, quindi, ogni ingrediente deve essere al suo posto: in caso contrario, quel piatto perderebbe la sostanzialità di ciò che è, come un uomo che dimentica la propria

identità. Il gusto per il cibo saporito e succculento lo fa impallidire all’invito a pranzo o della signora Clementina, ne Il ladro dii merendine, perché il Commissario sa che la donna può mangiare solo semolino e patate bollite e teme che gli possa propinare le medesime cose. Appena viene a conoscenza che la cameriera Pina è un’ottima cuoca e che ha preparato la Pasta sta alla Norma con le melanzane fritte e la ricotta salata, accetta compiaciuto l’invito, ringraziando Gesù per non avere dovuto subire il supplizio di “un cibo da malati”... La sua grande passione sono, però, gli arancini di Adelina, dei quali afferma che il ricordo o del primo assaggio gli era penetrato direttamente nel el Dna entrando a far parte del suo patrimonio genetico: o: ne conosce a memoria la ricetta composta da riso e dal sugo di carne di diverso tipo. E qui il fosforo non on c’entra più niente, perché è il piacere che lo spinge

Lo scrittore Andrea Camilleri creatore del poliziotto buongustaio

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PERSONAGGI

La Bisque, capolavoro di Pepe Carvalho, personaggio del catalano Manuel Vázquez Montalbán, che ci riporta, nel bel mezzo di un percorso di eventi intricati, alla piacevolezza del mangiare e del bere di eccellenza

a mangiare in un determinato modo.. In no si effetti, Montalbano re di fa quasi precursore quello che è il vero valore del mangiare bene, legato alla gioia che si iò prova nel nutrirsi di ciò ntiva il che piace, creando quella alchimia che incentiva buon funzionamento del nostro cervello e aguzza l’intelligenza logica, e non solo. Ma il vero “viaggiatore del gusto” della letteratura noir mediterranea è l’investigatore catalano Pepe Carvalho, testimone per eccellenza del fatto che chi vuole accedere ai ragionamenti più profondi e alle risoluzioni degli enigmi più intricati deve semplicemente aprirsi alla degustazione di ogni genere di cucina, per nutrirsi del succo della vita. I suoi piatti preferiti sono molteplici e spesso sono cucinati da lui e dal suo fido Biscuter. Rispetto al tradizionalista Montalbano, l’investigatore gastronomo è simile per conoscenza dei cibi e dei loro sapori a uno chef stellato Michelin, che proprio per il fatto di essere un artista del gusto può arrivare a giudicare male chi mangia solo per vivere. Carvalho sceglie i piatti del giorno in base al proprio umore e li crea con precisi abbinamenti di sapori e colori. Famosa è la sua Bisque a base di gamberi e granchi di mare, pomodori, peperoncino e varie erbe aromatiche. Le sue ricette, disseminate un po’ in tutti i suoi libri, sono state raccolte nel volume Le ricette di Pepe Carvalho. La golosità è il leit motiv della sua filosofia di vita che si esplica nella passione per l’arte culinaria e per la risoluzione di misteri e crimini. Un binomio vincente, espressione di una creatività che unisce logica e piacere, in quanto da un lato, nella preparazione dei piatti, si ingegna a

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costruire trame di sapori co sem nuovi per appagasempre re il proprio palato, mentre dall’altro cerca di sciogliere dall trame intricate e sviscerare tram le rag ragioni più nascoste che possono condurre anche le posso persone più insospettabili a perso compiere azioni delittuose. compi Se è vero che il cibo è la metafora della vita è anche vero che, come la degustazione dei piatti stuzzica l’interesse e la sensazione di percepire bellezza in qualunque persona, così il trovarsi di fronte a crimini o a misteri irrisolti stimola a sua volta un individuo, inducendolo ad agire per scoprirne le dinamiche; proprio come di fronte a una buona portata di un ristorante si desidera capire quali siano gli ingredienti che la compongono. Sembra quasi che Carvalho voglia spiegarsi le dinamiche dei crimini attraverso le sue passioni gastronomiche di creatore e fruitore del cibo. La varietà delle portate di cui si inebria lo apre alla molteplicità delle esperienze e, di conseguenza, a sapersi addentrare in qualsiasi situazione senza paura di “toccarla con mano” nella realtà di ciò che è, così come concreti sono i diversi alimenti che si possono mangiare. Davvero affascinante, per un lettore che si appassiona allo snodarsi degli eventi di un libro giallo di Montalbàn, il perdersi in una delle divagazioni culinarie del suo investigatore, che si intende di cibo e vini. Ne La solitudine del manager critica delle cozze sommerse da un aroma troppo esagerato di chiodi di garofano, ricordando che sua nonna faceva un brodetto di pesce molto povero ma eccellente, con tranci di pesce spada, un peperone verde, cipolla, pomodoro e chiodi di garofano in giusta quantità. F B



ESPERIENZE DALLA RACCOLTA DELLE OLIVE ALLA MUNGITURA DELLE CAPRE, DAL DARE DA MANGIARE AI CAVALLI FINO ALLA LAVORAZIONE DEL FORMAGGIO, SONO DIVERSE LE ATTIVITÀ CHE SI POSSONO SVOLGERE PER METTERSI ALLA PROVA CON LA VITA DEL “CONTADINO” E DIMENTICARE LO STRESS LAVORANDO IN CAMBIO DELL’OSPITALITÀ

Riposarsi zappando Gratis Isa Grassano

V Diventando, per un breve periodo, lavoratore alla pari si riceve ospitalità a costo zero

oglia di una gita fuori porta a contatto con la natura e senza spendere un euro? Non è un sogno. Basta diventare, per un n breve periodo, periodo lavoratore alla pari: si riceve alloggio (e in alcuni casi anche vitto) in cambio di un aiuto nelle varie attività. Sono sempre di più gli agriturismi, le fattorie e i bed & breakfast che danno questa possibilità, anche in autunno e in inverno inoltrato. Si lavora qualche ora, si offrono il proprio tempo e le proprie competenze e si ha così un’ospitalità a costo zero (a parte le spese di trasferta). Le abilità richieste? Buona lena, voglia di rimboccarsi le maniche, spirito di iniziativa e adattamento allo stile di vita della casa. Dalla raccolta delle olive alla mungitura delle capre, dal dare da mangiare ai cavalli fino alla lavorazione del formaggio, passando per l’accatastamento della legna, sono diverse le attività che si possono svolgere. Una villeggiatura alternativa per mettersi alla prova con la vita campestre e per staccare la spina dal caos della città e dai rumori. E nel tempo che rimane si gode dell’ozio, della buona tavola o si visitano i dintorni. Insomma, ci si rilassa. Organizzarsi è semplice e navigando su internet si trovano diverse occasioni. A partire dal sito Workaway (www.workaway.info), creato per promuovere lo scambio equo tra i viaggiatori. Si paga una quota di iscrizione annuale (circa 22 euro) ma le destinazioni a disposizione sono tante e dislocate un po’ ovunque in Italia e nel mondo. Una volta selezionata la meta e la tenuta, basta scrivere via mail per concordare il periodo di permanenza. Poi vi è il braccio italiano del network Wwoof (www. wwoof.it), ovvero l’acronimo di World Wide Opportunities on Organic Farms, organizzazione no profit, che segnala aziende agricole e piccole cascine a gestione familiare, ispirate al total green. Anche in questo caso è prevista una quota d’iscrizione (circa 25 euro) per accedere al database delle fattorie pronte ad accogliere gli ospiti. Prima di optare per questa opportunità è importante considerare che un vero

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wwoofer si dà da fare seriamente per aiutare l’host (la struttura ospitante), dedicando una parte della giornata a qualsiasi cosa ci sia da fare all’aria aperta, in campagna e in casa. “L’importante, perciò, è essere pronti a mettere al centro la relazione sociale, la reciproca curiosità, stabilire già prima di partire un rapporto chiaro con l’host e magari provare a fermarsi almeno una settimana”, consiglia Claudio Pozzi, presidente di Wwof Italia. Qualche esempio? All’agriturismo Tholos (www. agriparktholos.it) nel bel mezzo del parco della Majella, il compito è quello di pulire le stalle e occuparsi della mungitura per fare scorte di latte per produrre gli ottimi formaggi, freschi e stagionati, dell’azienda. Se invece preferite dar da mangiare alle galline, si può scegliere la masseria Miele (www.naturamediterranea.it), un antico casolare circondato da orti e uliveti nelle campagne intorno a Lecce. Ma c’è anche la possibilità di dare una mano per organizzare una festa. Il posto letto così è assicurato e, nel tempo che rimane, si va alla scoperta di Lecce, gioiello barocco, o dei dintorni come Otranto e Gallipoli. Un’altra risorsa è la rete italiana dei villaggi ecologici (www.ecovillaggi.it) che offrono un soggiorno gratuito in cambio di manodopera. S’impara a vivere in una comunità, ad avvicinarsi alle tecniche di agricoltura biologica e a come ridurre gli sprechi. E, ancora, le Fattorie del Panda (www.fattoriedelpanda.com) dove sono selezionate aziende agricole multifunzionali che si trovano soprattutto nelle aree protette. Oltre a questi circuiti ci sono poi strutture private che offrono pernottamenti gratuiti, senza la necessità di un’iscrizione annuale. Se si vuol trascorrere una notte nella magia dei boschi di Carrega a Sala Baganza (Pr) senza mettere mano al portafogli, si può scegliere il bed & breakfast Il Richiamo del Bosco (www.ilrichiamodelbosco.it). Basta aiutare i proprietari a sistemare la legna: un ottimo antistress e un sano allenamento per tenersi in forma. Qui il baratto è possibile anche per una sola notte. Si ha diritto a un letto e a una ricca prima colazione se si aiuta a raccogliere le olive o a tradurre dall’italiano allo spagnolo. È la proposta del Bioagriturismo Orgiaglia (www.orgiaglia.it) di Volterra. Vi piace pre-

parare confetture e salse varie? Una buona scorta può essere la merce di scambio genuina per una notte nel verde della Valtellina. Basta accordarsi con Silvio e Cinzia, i proprietari del B&B San Bernardo, a Villa di Tirano (So), che gestiscono la struttura basandosi su tradizione e autenticità (www.bbsanbernardo.it). Se, invece, l’attività bucolica non fa per voi, ma non volete rinunciare a un fine settimana free, potreste scambiare la vostra creatività artistica. Al Pizzicato Eco Bed & Breakfast (www.pizzicatobeb.com), una struttura immersa nel verde, a Vico del Gargano, oltre al lavoro nei campi, si può usufruire di uno speciale pacchetto che si chiama “Lavora e Degusta” e prevede la proposta di un servizio professionale o anche un’opera d’arte fatta con le proprie mani. Unica regola: “La scultura, il dipinto, deve essere ispirato al territorio del Gargano e realizzato durante il soggiorno da noi, perché -spiegano i proprietari- il baratto è innanzitutto un modo per incontrarsi”. Se vi sentite artisti e amate il grande Nord, appuntatevi questo indirizzo. Al Clarion Hotel di Stoccolma (www. clarionstockholm.com) potete mettere a disposizione la vostra arte (poesie, quadri, schizzi) in cambio di una notte gratuita. Al momento della prenotazione è importante indicare il codice “Camera per l’Arte”. F B

Chi desidera sperimentare questa vacanza alternativa deve armarsi di buona volontà e spirito di adattamento. Tanti i lavori richiesti: dalla raccolta dell’uva o delle olive all’accatastamento della legna, fino alla pulizia delle stalle. E nel tempo libero si scoprono i dintorni e ci si riposa nella natura

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SFIZIOFOOD RE DELLE GELIDE ACQUE DEL MARE DI BERING, IN CUI VIENE PESCATO SECONDO LE REGOLE DELLA SOSTENIBILITÀ, IL GRANCHIO REALE PIACE AGLI CHEF PER LA SUA CARNE DOLCE E PER LA SUA VERSATILITÀ, CHE LO RENDONO PERFETTO DA SOLO, SEMPLICEMENTE SCOTTATO, O COME INGREDIENTE PRINCIPALE DI SONTUOSI PIATTI

Sua maestà il granchio dell’Alaska Jenny Maggioni

L’Alaska king crab è il più grande granchio pescato al mondo, ma nasconde una polpa dal sapore dolce. Pesa in media tra i 3 e i 5 chili, ma può raggiungere anche i 12 chili

è pescato sottostando a rigidi obblighi di sostenibilità, stabiliti nella Costituzione dal ministero della Pesca e della caccia: solo i granchi maschi maturi, infatti, possono essere legalmente pescati e venduti in Alaska e, oggi, la maggior parte delle zone di pesca nel Mare di

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Bering e nelle Isole Aleutine sono razionalizzate, cioè gestite distribuendo equamente le risorse tra pescatori, trasformatori e comunità costiere. Oltre alle colossali dimensioni, anche le modalità di pesca del King crab nelle gelide acque e nei periodi più freddi dell’anno -da gennaio a marzo e da ottobre a novembre- sono straordinarie: gli equipaggi impegnati nella pesca dei granchi devono affrontare immani difficoltà, dalle violente tempeste di neve ai banchi di ghiaccio polare, dai venti a 60 nodi, ai turni massacranti di 20 ore, per calare le nasse -le trappole in acciaio ricoperte di rete, nelle quali sono inseriti pezzi di aringa e altre esche- con il timore di non ritrovarle tra le onde o di raccoglierle semivuote. Ma la posta in gioco ne vale la pena. Il granchio reale ha, infatti, un sapore delicato; escluso il carapace, è tutto commestibile. Ha un alto valore proteico ed è ricco di Omega 3 ma ha scarso contenuto di grassi ed è gustoso da solo o come ingrediente principale di un piatto. Proprio per

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n colosso dal cuore tenero. L’Alaska king crab è il più grande granchio pescato al mondo, ma nasconde una polpa dal sapore dolce, che si presta a molteplici ricette. Il granchio reale pesa, infatti, in media tra i 3 e i 5 chili, ma può raggiungere anche i 12. Tre le specie: il granchio reale (Red king crab), il granchio reale blu (Blue king crab) e il granchio reale dorato o marrone (Golden king crab/Brown king crab). Come gli altri “gioielli del Pacifico” -dal salmone selvaggio, nelle sue cinque varietà (reale, rosso, argentato, keta e rosa), al carbonaro, dall’ikura (caviale di salmone) alla granseola artica, dal pollock all’halibut- popola il mare dell’Alaska, ma è più abbondante nel Mare di Bering, acque pulite e ricche di nutrimenti che risalgono dalle profondità. E, come tutti i pesci e i molluschi dell’Alaska, anche il granchio reale


questa versatilità, che lo rende perfetto dall’aperitivo alla cena, scottato in padella per creare sontuose insalate, come sugo per la pasta o in omelette e zuppe, il King crab è particolarmente amato dai cuochi. Primo fra tutti Claudio Sadler, dell’omonimo ristorante milanese 2 stelle Michelin, fermo sostenitore dei prodotti ittici dell’Alaska e che ha appena ideato un’esclusiva ricetta con il King crab: Chele di granchio reale alla plancia, zabaione al dragoncello e carciofi croccanti. Per godere del sapore del granchio reale a tutto pasto al ristorante Azzurra di Riccione, lo chef Fabio Drudi, con la supervisione creativa del patron Maurizio Signorini, lo propone in diverse ricette: la testa viene utilizzata per condire linguine o spaghettoni, con la sola aggiunta di pomodori datterino; il resto, bollito, è composto in uno scenografico trionfo di frutta e verdura fresche in pinzimonio, accompagnate da salsa catalana e maionese e, come antipasto, il King crab è servito su couscous alle olive. “Noi lo cuciniamo da oltre 10 anni. La sua carne mi piace per la sua estrema fragranza e dolcezza -spiega Maurizio Signorini- E va considerato che, a differenza di altri tipi di granchi, la polpa costituisce ben il 70 per cento del crostaceo. Nel mio ristorante vivono in tre vasche di acqua salata: devono essere freschissimi. Di solito li propongo bolliti, ben puliti e adagiati semplicemente su un letto di verdure crude fresche. Se ho degli esemplari sui 5

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Pescato nelle gelide acque del Mare di Bering, al largo delle coste dell’Alaska, con immani difficoltà e nel rispetto della sostenibilità, il granchio reale è cucinato in varie ricette, dall’antipasto ai primi, in molti ristoranti italiani come l’Azzurra di Riccione e il Crab di Roma

chili, per quattro persone, posso proporre anche di utilizzare la polpa di un paio di zampe per fare due spaghetti saltati rapidamente, semplici e gustosi. Per l’abbinamento noi consigliamo lo Champagne. Un esempio su tutti: il Raviolo di grano con granchio reale su cime di broccoletti e arancio candito accompagnato da Krug Rosé”. A Roma c’è, invece, un ristorante che già dal nome la dice lunga sul ruolo del granchio reale nel menu: “Il nostro ristorante si chiama Crab perché la specialità sono i crostacei e il King crab è il re delle ricette -racconta lo chef Giacomo Baccaro- Lo serviamo in diversi modi, dal più semplice, spolpato e condito solo con olio e limone, nelle insalate, accompagnato con salsa all’arancia, o nei primi, come i tagliolini e gli Gnocchetti con rughetta e pomodori datterino”. F B FOOD&BEVERAGE MARZO 2013 | 87


SPIRITBARMAN NONOSTANTE AVESSE INTRAPRESO UNA STRADA DIVERSA, QUELLA DEL RAGIONIERE, LA PASSIONE PER L’ARTE DELLA MIXABILITY È STATA PIÙ FORTE E, COSÌ, LUCA ANGELI È ARRIVATO DIETRO IL BANCONE DEL FOUR SEASONS DI FIRENZE. GLI INGREDIENTI DEL SUO SUCCESSO? TANTO STUDIO E UN PIZZICO DI FORTUNA

Un amore per lo shaker Manuela Caspani

B Luca Angeli si definisce un classicista, ma non disdegna sperimentare. Così, ricerca prodotti particolari, con un occhio di riguardo per il territorio

ARMAN dell’anno. È il titolo, ambitissimo, che a novembre viene assegnato in occasione del

concorso nazionale Aibes: quest’anno è andato a Luca Angeli, giovane barman (ha trentuno anni) al Four Seasons di Firenze. “È stata una vittoria inaspettata e bellissima -racconta Luca ripensando agli anni dedicati ai libri e ai sacrifici, lontano da casa e diviso tra nostalgia e sana ambizione- Credo che in questo mestiere la tenacia sia tutto, certo non deve mancare un pizzico di fortuna. Nel mio caso avere una zia nell’ambiente che mi ha iniziato a questa professione ha contribuito a farmi trovare la via”. In effetti, Luca, benché originario della Versilia e quindi avvezzo al mondo dell’ospitalità, aveva inizialmente imboccato una strada diversa: ragioniere, giunto a un concreto praticantato in uno studio di commercialista. Non passa molto, però, che la suggestione di quelle divise, eleganti e impeccabili, e della destrezza nel muoversi e nell’agitare lo shaker, che lo avevano colpito fin da bambino, cresciuto a pane e concorsi Aibes grazie, appunto, alla zia, si risveglia. “Mi sono trasferito in Valle d’Aosta dove ho conosciuto grandi persone che mi hanno insegnato moltissimo”, racconta Angeli. Seguono quasi due anni in Inghilterra, in un Relais & Châteaux fuori Londra, con ristorante due stelle Michelin, che lo proiettano nel mondo dell’hotellerie. Dopo l’apertura del Principe di Piemonte di Viareggio, gioca quella che definisce “la carta di Milano”: “È una città straordinaria, l’unica vicina alle metropoli europee. Al Park Hyatt ho respirato un’aria internazionale”. Milano è anche un luogo dove trovare contatti interessanti e, così, Luca si ritrova al Ritz-Carlton di Mosca per un training sulla miscelazione molecolare: “In realtà mi definirei un classicista -precisa- ma IL COCKTAIL

Lipari 4,0 cl di Malvasia delle Lipari 2,0 cl di liquore alla pesca 4,0 cl di Champagne Mettere nella doppia coppa cocktail e guarnire con una spirale di arancia.

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non disdegno la sperimentazione, se supportata da buone conoscenze”. Una filosofia che l’ha portato oggi al Four Seasons, dove, accanto alle proposte classiche, c’è spazio per l’innovazione, soprattutto riguardo alla ricerca di prodotti particolari, anche del territorio. Una strizzatina d’occhio persino al chilometro zero, nel rispetto dell’ambiente, e una visione lungimirante del futuro, come ricorda Luca citando il “carrello del Negroni”, dove il celebre drink viene riproposto in diverse varianti e con una selezione F B particolare di gin e vermouth.



LOCALI DA QUASI DIECI ANNI È UNO DEI RITROVI PIÙ FREQUENTATI DI PADOVA, DOVE ALL’INTRATTENIMENTO SERALE SI UNISCE UNA CUCINA DI BUON LIVELLO DI CUI È AUTORE LO CHEF GIUSEPPE GALLIANO. CREATORE E ANIMA, ANDREA MASSAGGIA, UN’ESPERIENZA QUASI TRENTENNALE NEL SETTORE E ANCORA TANTA VOGLIA DI FARE

Q restaurant & bar tra musica e cucina Manuela Caspani

D Da oltre 10 anni la missione del Q è offrire ottima musica dal vivo e una cucina ricercata

i questi tempi all’insegna dell’usa e getta le cose che restano sono rare e, in quanto tali, degne di nota. Soprattutto se restano rimanendo fedeli al profilo iniziale e, a maggior ragione, conservando lo smalto degli esordi. Come dire, non sopravvivono ma, anzi, rivivono. Giochi di parole a parte, l’elogio va al Q di Padova sulla cresta dell’onda da quasi dieci anni, traguardo non da poco per un locale che è nato con intenti precisi in risposta a un’esigenza che agli inizi del 2000 si faceva strada. È Andrea Massaggia, creatore e anima di Q, a parlarne direttamente: “Da qualche anno si era diffusa la tendenza tra i locali di intrattenimento di ampliare l’offerta con la ristorazione, in risposta a una clientela con l’esigenza di trascorrere l’intera serata nello stesso locale, pur con la possibilità che si trasformasse a seconda dell’orario, o dello spettacolo. Troppo spesso, però, la ristorazione si è limitata a essere un corollario, quasi non fosse indispensabile la qualità ma solo la possibilità di mangiare e poi divertirsi ballando e ascoltando musica. Con Q la mission divenne quella di unire a un intrattenimento molto curato una ristorazione di buon livello che, senza pretendere di essere destinata solo a palati fini, fosse considerata e curata alla stessa stregua del comparto divertimento”. Così fu, e così è ancora, con successo, complice sicuramente la gestione sapiente, la “squadra” (come la definisce Andrea), che sta dietro a questo locale. Massaggia e soci restano quelli dell’inizio e anche lo staff non è cambiato molto, a testimonianza di una fedeltà e di un successo che consentono soddisfazione per tutti; la formula dell’intrattenimento che propone cabaret, musica dal vivo, all’insegna di un jazz ricercato, ma anche concerti e serate disco, continua a garantire qualità e a rispondere a gusti diversi. Il locale è aperto dal martedì al sabato e la programmazione segue un cartellone stagionale che si arricchisce via via di eventuali nuove proposte. Restare fedeli a se stessi è dunque la formula vincente? “La coerenza lo è -risponde Andrea- ma non significa

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non avere la capacità di rinnovarsi, dall’arredamento al servizio, così come è fondamentale adattarsi al presente e ai cambiamenti. Un esempio: se all’inizio Q voleva essere un riferimento dall’aperitivo in poi, è stato giusto invece adeguarsi a una scelta di campo diversa: oggi noi proponiamo aperitivo in serate a tema, o feste, ma in generale la nostra clientela arriva per la cena e si ferma per il ‘dopo’. Allo stesso modo la ristorazione continua ad essere alla carta, con un numero di proposte che variano a seconda della stagione, ma sono cambiate le esigenze e le possibilità: oggi difficilmente si cena con più di due portate e, a maggior ragione, il cliente è esigente”. Si esce meno, si può spendere meno, e secondo Andrea questo fa sì che si diventi più selettivi e attenti. Il che, in effetti, si traduce ancora in merito, perché difficilmente le persone tornano se non sono soddisfatta. Massaggia porta in Q la sua quasi trentennale esperienza nel mondo dei locali, una visione di cosa voglia dire far intrattenimento che si basa soprattutto sulla fidelizzazione, che ti porta a mettere in campo “la faccia”: “Abbiamo clienti che sono cresciuti con noi. Mi aspetto fra poco di avere qui i loro figli e in alcuni casi è già stato così. A seconda delle serate e delle proposte abbiamo sempre avuto una clientela scelta dai venticinque ai cinquant’anni che ancora oggi ci è fedele. Io conosco loro e loro conoscono me”. Una formula basata sulla fiducia che a torto qualcuno potrebbe interpretare come “provinciale”. Q raccoglie, infatti, un bacino che fa capo non solo a Padova ma anche alle altre città più o meno distanti e propone artisti e concerti che sono spesso di ampio richiamo. “Con questo non voglio dire di essere one man band -precisa Andrea- Il merito è di soci e collaboratori. Ogni comparto funziona al meglio a partire dalla cucina per arrivare alla carta dei vini senza trascurare il bar. In effetti io non so fare nessuna di queste cose!”. Battute a parte, il segreto di Andrea forse è proprio

questo: il bravo imprenditore non è quello che sa scegliere i migliori collaboratori? Ride, ma accetta il merito: “Sicuramente saper scegliere la squadra è importante. A questo aggiungo la passione per un mondo di cui mi sono innamorato tanti anni fa e di cui ho deciso di fare un mestiere”. Una passione che evidentemente si sente e viene apprezzata, accanto alla scelta sapiente degli arredi, alla ricerca musicale e degli spettacoli, all’offerta curata del beverage, così come alla cucina di Giuseppe Galliano con i suoi F B amatissimi risotti.

Look accattivante con luci e colori scelti ad hoc, per un dopo cena soft e di qualità tra concerti jazz e cabaret

SCHEDA

Q restaurant & bar vicolo dei Dotto 3 piazza Insurrezione 35137 Padova tel. 049.8751680 info@q-bar.it

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QUARTIERIALTI PROTETTO DA UN DEDALO DI VIUZZE NEL CUORE DI FIRENZE, L’HOTEL MESCOLA ARREDI MODERNI E CLASSICITÀ FIORENTINA. DUE I RISTORANTI, IL SANTA ELISABETTA E L’OSTERIA DELLA PAGLIAZZA, DOVE SIMONE BERTACCINI METTE IN SCENA UNA CUCINA REGIONALE PIÙ VICINA ALLA TRADIZIONE, CON QUALCHE GIOCO ESTETICO

Brunelleschi, incrocio di stili e cucina contemporanea Gualtiero Spotti

N

el centro storico di Firenze, nell’intima e un po’ nascosta piazza Santa Elisabetta e a un tiro di schioppo dal Campanile di Giotto e dalla Cattedrale, l’Hotel Brunelleschi è uno di quei rari gioielli dell’accoglienza italiana che vale la pena scoprire. Anche per entrare in perfetta sintonia con la vita del capoluogo toscano sentendosi quasi parte integrante della vita quotidiana q del borgo, come se si tornasse ai tempi lontani della Signoria. L’albergo è racchiuso racch in un quartiere centrale di Firenze ed è protetto da un dedalo di viuzze e case che si trovano trov a stretto contatto con l’edificio principale e con l’antica torre bizantina simbolo dell’hotel, dell’ La Pagliazza, che oggi ospita spazi comuni, un ristorante e, al pianterreno, un bar e un’osteria. È una torre di forma cilindrica decisamente originale, il cui curioso nome è dovuto al fatto che nei secoli passati era una prigione e i carcerati che vi erano ospitati avevano solo scomodi letti di paglia. Oggi, invece, le cose sono decisamente cambiate. L’Hotel Brunelleschi offre tutti i comfort per un visitatore desideroso di respirare l’aria antica della città (nei sotterranei c’è perfino un piccolo museo che custodisce gelosamente i resti di un calidarium romano) e di osservare l’originale incrocio di stili che contraddistinguono l’edificio. Qui, a stretto contatto con le vicine via delle Oche e dei Calzaiuoli, già nei primi anni del secolo scorso, esistevano tre piccoli alberghi, il Massimo d’Azeglio, il Giglio e lo Stella d’Italia-San Marco. Poi, dopo il secondo conflitto mondiale, gli alberghi hanno chiuso e l’area è caduta in rovina, diventando, negli anni Settanta, una zona occupata dagli studenti. Al 1980 risale l’ultimo significativo restauro che ha unito i tre edifici e ha permesso di recuperare le tracce del passato medioevale ora visibili. I particolari decorativi del nuovo Brunelleschi (categoria quattro stelle) mescolano con gusto arredi contemporanei e classicità fiorentina, approfittando anche della presenza di oggetti di antiquariato toscano. Anche quando gli interventi moderni sono di forte impatto, come nel


Il Santa Elisabetta e l’Osteria della Pagliazza sono i ristoranti dell’hotel Brunelleschi guidati da Simone Bertaccini, chef toscano in equilibrio tra ricette antiche e giochi estetici

Il perfetto mix tra antico e moderno caratterizza tutti gli ambienti dell’hotel e l’alternanza dei contrasti vince la sfida e diventa valore aggiunto, dalla hall alle camere

caso d della scala di vetro che dalla hall porta ai pia piani superiori, il gusto del contrasto vince la sua sfida e diventa un valore aggiunto. Le stanz stanze, in molti casi, sono vere e proprie suite, ogn ognuna delle quali cela una particolarità in gra di renderla unica (la Pool suite ha, grado ad esempio, una splendida Jacuzzi su un ter terrazzino panoramico) e consentono, se si so soggiorna ai piani alti, di vivere la magia dei te di Firenze e di svegliarsi ammirando tetti la cupola del Brunelleschi. Ma l’hotel non rivela solo il fascino dell’accoglienza nel cuore della città, perché a guidare le diverse realtà ristorative c’è il talento e la creatività del giovane Si cuoco Simone Bertaccini, toscano di Massa Carrara, impegnato a rappresentare la cucina regionale più vicina alla tradizione, concedendosi oltretutto qualche gioco estetico più legato alla contemporaneità. Non si può certo parlare di cucina light (ci mancherebbe altro, nel cuore della Toscana…), ma le ricette vengono ingentilite senza che il gusto venga intaccato e senza che si possa ereticamente stravolgere la storia e i contenuti dei piatti più classici. Nei due ristoranti, il principale e gourmet Santa Elisabetta e l’Osteria della Pagliazza, le differenze si vedono e si sentono,

ma si riconosce anche una mano no comune. Soprattutto quando cii si muove sui piatti di carne, che e qui la fanno da padrone, dalla tartare di Chianina al piccione. Al Santa Elisabetta,, piccolo p ristorante di charmee con soli sette tavoli e ospitato o al primo piano della torre, si assaggia una cucina d’autore con la dovuta attenzione alla Quaglia farcita alla toscana, con n pane, bietola, mele e rigatino, accompagnata ta dall’uovo con riduzione ne di Porto o ai Tortelli di pappa col pomodoro con emulsione di burro salato lato e fonduta di pecorino. Interessante anche il pescato locale con la Pescatrice in guazzetto di zafferano e pomodoro fresco o, ancora, il Salmone cotto a bassa temperatura con purea di peperoni rossi, pesto di rucola e gelato al pepe di Sichuan. L’Osteria al pianterreno mantiene, invece ,un’impronta più rustica nel menu e mette in fila i sapori norcini, i profumi dell’orto e i prodotti dell’aia. Si può scegliere il Polpo e fagioli cannellini di Pratomagno, la Panzanella di pane e verdure, gli Spaghetti di semola alla carbonara, la Trippa alla fiorentina con insalata novella, il Galletto del Valdarno alla griglia o le Crocchette di couscous con verdure e insalata di valeriana e noci. Da non perdere, in entrambi i ristoranti, un assaggio degli ottimi gelati della casa, perché Simone Bertaccini ha fatto parte della squadra campione del mondo di gelato al Sigep 2009. F B SCHEDA

Hotel Brunelleschi piazza Santa Elisabetta 3 50122 Firenze tel. +39 055.27370 www.hotelbrunelleschi.it info@hotelbrunelleschi.it

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CULTURA&GUSTO QUARANTASEI DIPINTI, NOVE SCULTURE, DICIANNOVE DISEGNI E LA RICOSTRUZIONE DEL SUO ATELIER DI PALMA DI MAIORCA. TUTTO QUESTO NELLA MOSTRA MIRÓ! POESIA E LUCE, AL PALAZZO DUCALE DI GENOVA, CHE RACCONTA GLI ULTIMI TRENT’ANNI DI VITA E DI LAVORO DELL’ARTISTA NELL’ISOLA DOVE TUTTO È COLORE

La poesia pop di Miró Frida Parise

I

l colore e la luce hanno invaso Genova. Quelli irruentii e fisici di Joan Miró. Palazzo Ducale è stato, infatti, letteralmente trasformato in uno dei suoi due atelier, quello che l’amico architetto Josep Lluis Sert costruì per lui a Palma di Maiorca. L’esposizione Miró! Poesia e luce, fino al 7 aprile, curata da María Luisa Lax Cacho, tra i maggiori ri esperti dell’artista catalano, riunisce quarantasei dipinti insieme a nove sculture, diciannove disegni e ceramiche -provenienti dalla Fundació Pilar i Joan Miró, grazie anche all’Ajuntamento De Palma De Mallorca- che raccontano gli ultimi trent’anni

Nel palazzo del Doge a Genova sono esposti ottanta tra oli, acrilici, bozzetti e sculture che Miró realizzò negli ultimi trent’anni di attività, molti dei quali vissuti nelle sue amate Baleari 94 | FOOD&BEVERAGE MARZO 2013

di Miró, quelli trascorsi a Palma -dal 1956 fino alla morte, nel 1983-, dove tutto è “poesia e luce”. Proprio da questa definizione che Miró attribuì alla città prende nome la mostra. Luce, poesia, colori, spazio e natura: tutti elementi che ritroviamo nelle opere esposte, realizzate tra il 1908 e il 1981, anche se le più numerose appartengono agli anni Settanta, il suo periodo isolano. Il percorso inizia con un dipinto figurativo del 1908, un piccolo paesaggio ritrovato sotto la vernice di uno studio preparatore negli anni ’90. Segue un omaggio ai murales con i bozzetti per la sede dell’Onu a New York, per l’Harkness Commons dell’Università di Harvard e per il Terrace Palace Hotel di Cincinnati. Poi, via alle sue donne, ai paesaggi e agli uccelli declinati


con la sua tipica abbondanza di colori: verde, giallo, rosso e blu. Tra i capolavori si possono ammirare l’olio Donna nella via; Senza titolo, in cui si combinano olio, acrilico, carboncino nero e segni di colore rosso e blu che il pittore realizzò camminando e sdraiandosi sulla tela, e Personaggio uccello, un olio su carta vetrata, legno e chiodi. Ma il coup de théâtre dell’allestimento è nella Cappella del Doge dove le sculture di bronzo creano una gigantesca installazione. La mostra permette di scoprire anche aspetti meno noti dell’arte di Miró, come il periodo della pittura monocromatica con paesaggi sfumati, visionari, minimalisti ed evanescenti in cui emerge la sua passione per la calligrafia orientale e per il nero degli espressionisti astratti americani, dai quali impara a dipingere iudere, due senza cavalletto e sdraiato a terra. A chiudere, terrecotte del 1981: una maschera e una testa di ceramica che esprime la forza, l’energia e la creatività di quando l’artista aveva vent’anni. Ma non solo. A Palazzo Ducale sono esposti anche i pennelli e gli strumenti che Miró usava a per dipingere e gli oggetti che amava e che testimoniano il suo interesse per la a cultura popolare e la sua inclinazione per er l’arte primitiva: dalle siurelles, zufoli di argilla tipici delle Baleari, a una bambola ola di legno che raffigura lo spirito Kachina ina degli indiani Hopi. d “Uno degli obiettivi della mostra è evidenziare quanto Miró fosse prolifico e versatile -spiega la curatrice María Luisa Lax Cacho- È conosciuto soprattutto come pittore, ma è stato anche scultore, ceramista, autore di murales, cartoni, tappeti, vetrate, grafica, costumi e scene di teatro e, soprattutto,

di balletto. Li preparò per lo spettacolo L’uccello di luce, in scena al Teatro La Fenice di Venezia nel 1983, anno della sua morte. Per Miró era importante che la sua arte fosse accessibile, anche dal punto di vista economico, per questo si dedicò anche alla litografia e alla grafica”. A Genova, si è partecipi del viaggio in un Miró insolito, quello che combatte la paura della morte riversando nella pittura la sua ansia e la continua ricerca di nuovo, perché, come scrisse nel 1960, “il quadro deve essere fecondo. Deve far nascere un mondo”. F B

In mostra anche i bozzetti preparatori di alcuni murales realizzati negli anni ‘40 e ‘50. Sopra, Sketch for the Terrace Plaza Hotel, creato nel 1947 per l’albergo di Cincinnati

IL RISTORANTE

Le Terrazze del Ducale Genova da gustare e guardare Il ristorante rist Le Terrazze del Ducale si trova al terzo piano di Pa Palazzo Ducale, la storica sede del Doge, con una vista moz mozzafiato sui tetti del centro storico di Genova, sulla Tor Torre Grimaldina e sul campanile della Cattedrale di San Lor Lorenzo. Un luogo lontano dal traffico immerso totalme mente nell’arte. In cucina, i due chef, Stefano Pacelli e To Tobia Masoni, custodiscono gelosamente la tradizione li ligure con piatti come il pesto, preparato in modo artig gianale, e il pesce, rigorosamente del giorno, insaporitto con le olive taggiasche coltivate sui terrazzamenti intorno a Imperia. Parole d’ordine, rispetto per la stagionalità, equilibrio del menu e grande varietà di sc scelta anche per chi soffre di intolleranze alimentari. Nella carta dei v vini sono protagonisti quelli liguri: dal Pigato al Vermentino, dalla Bianchetta allo Sciacchetrà, dall’Ormeasco al Rossese. Ma non mancano le più importanti etichette italiane e internazionali, alcune delle quali servite anche al bicchiere. Ristorante Le Terrazze del Ducale, piazza Matteotti 9 16123 Genova, tel. +39 010.588600, www.leterrazzedelducale.it

L’ALBERGO

Un tuffo nella storia a Palazzo Cicala In un palazzo del Sei-Settecento, a due passi dal Duomo, la Locanda di Palazzo Cicala, bouti-que hotel di design, unisce il fascino antico dell’edificio storico con il gusto contemporaneo e minimalista dell’arredo. Le dieci camere -più i 10 appartamenti- si affacciano quasi tutte sulla tranquilla piazza Scuole Pie e sono di particolare charme grazie agli alti soffitti a volta decorati da stucchi e all’arredamento, ricercato ed essenziale, che armonizza oggetti moderni e mobili d’epoca. Perfetto per tornare indietro nel tempo, la Locanda di Palazzo Cicala è anche un ottimo punto di partenza per immergersi nella Genova artistica -con la visita al Palazzo Ducale, al Polo Museale di via Garibaldi, al Teatro Carlo Felice, ai carrugi medievali e alle grandi chiese- e nella città moderna e d’affari, senza dimenticare un tuffo nella natura con una tappa all’Acquario. Locanda di Palazzo Cicala, piazza San Lorenzo 16, 16123 Genova, tel. +39 010.2518 824, www.palazzocicala.it www palazzocicala it

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BUONALETTURA a cura di Simona Percivalle

Cuochi Sosta nei grandi ristoranti Il meglio della grande cucina d’autore italiana, dal Piemonte alla Sicilia, con alcuni prestigiosi ospiti stranieri fra i quali Alain Ducasse e la famiglia Bastianich. Oltre settanta ristoranti di alto livello si presentano offrendo ciascuno una ricetta originale e di grande effetto, elaborata appositamente per il libro Grandi Ristoranti & Grandi Chef. Locali d’eccellenza. Cucina d’autore. Scorrendo l’elenco di questi locali esclusivi, si trovano i nomi di Massimo Bottura, Gualtiero Marchesi, Alfonso ed Ernesto Iaccarino, Nadia Santini, Niko Romito, Moreno Cedroni e altri ancora. Fra questi anche Claudio Sadler -neopresidente dell’esclusiva associazione Le Soste, che qui riunisce, per i primi 30 anni di attività, il meglio della moderna cucina d’autore- che ha coordinato il progetto e commissionato le singole ricette sino a comporre un eccezionale menu correttamente equilibrato. Edito da Giunti, costa 35 euro.

Libelli Trasformarsi in uno chef de cave

Almanacco Le stagioni in tavola

Per fare colpo al primo incontro è bene fingersi intenditori di Champagne, pronunciando in modo inappuntabile i consueti francesismi del settore ignorando il proprio passivo di bilancio, tipico di questi momenti di recessione. Queste sono le prerogative che Andrea Gori, autore del Manuale di conversazione sullo Champagne, suggerisce per stimolare lettori di ogni tipo ad approfondire la magia dello Champagne. Ecco allora che in questo curioso libello, pensato come un gioco divertente e ironico, in realtà si trovano validi consigli per riconoscere al primo assaggio una maison, per far proprio il gusto di una determinata zona di Champagne e per diventare bravi nell’abbinare il giusto vino ai piatti. Di Trenta Editore, costa 10 euro.

Soprattutto per chi vive in città non è sempre facile orientarsi e capire quali siano i prodotti di stagione. Da qui l’esigenza di pubblicare L’almanacco in cucina. Le stagioni in tavola raccontate attraverso i prodotti della terra, in cui Gualtiero Marchesi e Fabiano Guatteri, mettendosi nei panni del consumatore di oggi, sempre più confuso, colmano diverse lacune che riguardano non solo la stagionalità, ma anche la conoscenza dei prodotti ortofrutticoli e ittici, per ciascuno dei quali i due autori guidano nella scelta d’acquisto, indicando note nutrizionali e consigli sull’impiego. A completamento del tutto, le chiuse di Marchesi sul migliore utilizzo o le considerazioni legate alla sua storia personale. Edito da Rcs, costa 18 euro.

Ricette Armenia, semplicità in cucina

Guide Viaggio tra i gusti del mondo

Mettere in ammollo per una notte 200 grammi di fagioli bianchi. La mattina, cuocerli e preparare 75 grammi di mandorle tritate. Frullare e aggiungere finocchietto, coriandolo, erba cipollina per un pâté da servire come antipasto su fette di pane tostate. La cucina armena è un po’ tutta così. Cambia al variare dei legumi, delle spezie, delle erbe, ma leggendo le ricette pubblicate in Anoush Linì! Ricette e tradizioni della cucina armena di Verjin Manoukian, più di ogni altra cosa commuove il fatto che basta così poco per nutrirsi. Forse in tempi di grande abbuffate questo libro avrebbe fatto sorridere per la sua semplicità, ma oggi lo si guarda con occhi diversi, magari ringraziando per i consigli salutari ed economici. Di Trenta Editore, costa 22 euro.

Non serve andare lontano, basta la guida giusta che apre le porte della cucina etnica a Milano. Più di 700 ristoranti, di cui 50 di recente apertura, e l’aggiornamento puntuale di tutte le informazioni. Indirizzi, numeri di telefono, orari, piatti forti e prezzi. Da sedici anni il Pappamondo è il vademecum indispensabile per chi vuole provare un vero sushi giapponese o un colorato paladar cubano. Gli indici per tipo di cucina e per prezzo, insieme alla mappa della città con l’ubicazione di tutti i locali, consentono di trovare sempre ciò che si desidera sperimentare, che sia un bulgogi coreano o una saporitissima chimichanga americana. Spazio anche al cibo di strada, con tanti take away. Inoltre, una guida ai negozi di alimentari etnici e un prezioso vocabolario per muoversi con sapienza tra ingredienti e cibi insoliti. Edito da Terre di mezzo, costa 10 euro.

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PILLOLEDISTORIA

La cucina a colori del Medioevo Nicoletta Negri

È

nota l’importanza che nel Medioevo veniva data all’aspetto delle pietanze. Erano preparazioni incredibilmente elaborate e avevano lo scopo di comunicare, già alla vista, ricchezza di sapori e raffinati ingredienti. Nei libri di cucina del tempo, dedicati ai cuochi di palazzo e ai loro aiutanti, si raccomandava grande attenzione alla presentazione e, in particolare, al colore. In un ricettario dell’inizio del XIV secolo, si cita una gamma di ben 8 tinte -giallo, rosso, bianco, verde, nero, rosa, blu e soré (va dal fulvo al rosso)- formata per la maggior parte da colori naturali, ottenuti con erbe, verdura, frutta e spezie, come, ad esempio, bietole, spinaci, prezzemolo, basilico, cannella, zafferano, uva nera, more, uva passa e prugne. Ma gli artisti della cucina di allora utilizzavano anche coloranti artificiali,

come il succo del legno di sandalo, che dava un colore rosa antico, e la radice di alcanna con il suo colore rosso luminoso. Questi, sapientemente usati, creavano nuance che potevano andare dai rossi ai violacei, fino ad arrivare a un intenso blu. Raggiungere la tonalità desiderata non era cosa semplice, ma dipendeva dall’abilità del cuoco nel saper scegliere l’ingrediente colorante e il suo giusto Per i grandi cuochi dosaggio. Il risultato doveva essere un perfetto equilibrio di colorazione e sapore. Nel Medioevo il rosso e il blu erano i colori preferiti dalla cucina inglese, mentre medioevali l’estetica Francesi e Romani prediligevano i toni del giallo, l’arancione, il bruno e il verde, e, soprattutto, il colore più eleganti e facili da realizzare in modo naturale. Gli ingredienti naturali, come di un piatto erano il tuorlo d’uovo e lo zafferano per il giallo e le erbe per il verde, erano certamente fondamentali. I manuali una scelta più facile e sana. Coloratissime anche le salse di accompagnamento, dell’epoca suggerivano che avevano appunto lo scopo di migliorare i sapori dei cibi e il loro aspetto. La gli ingredienti naturali testimonianza più interessante del passaggio di questa tendenza dal Medioevo e i coloranti da utilizzare al Rinascimento la troviamo nel Libro de arte Coquinaria, in cui Martino de Rossi da Como, cuoco personale del Camerlengo e Patriarca di Aquileia, tra le tecniper realizzare ricette che di cottura, i principi igienici e dietetici e i consigli sul sano vivere, conferma e belle da vedere mantiene l’uso dei coloranti naturali. E, ancora, durante l’Ottocento la necessità di ricorrere al colore viene ribadita nel Grande dizionario di cucina di Alexandre lexandre Dumas, in cui a ogni tinta viene dato anche un preciso F B significato.

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STELLEATAVOLA a cura di Galatea

Toro

Gemelli

Cancro

Torelli, finalmente in grande forma, potrete concedervi cene raffinate, con Champagne e mousse salate, insieme al partner.

Un po’ di nervosismo può essere stemperato gustando piatti leggeri di verdure crude o cotte e condite con salse particolari.

La primavera vi sprona a un nuovo romanticismo che incentiverete con la morbidezza di formaggi spalmabili e crema pasticcera.

Leone

Vergine

Bilancia

Uscite con gli amici per godervi un bicchiere di birra o delle ottime bollicine con stuzzichini e supererete le insidie del malumore.

Tornano successo e vigore grazie anche a cibi non troppo impegnativi, come una coloratissima pizza da gustare in compagnia.

Per stimolare la creatività, concedetevi ciò che il palato vi chiede al momento. Un pizzico di improvvisazione non guasta.

Scorpione Tra alti e bassi non perdetevi d’animo. Prendete energia dalle bevande e dai cibi preferiti senza paura di offendere il partner.

Sagittario ARIETE A voi, impetuosi Arieti, l’arrivo della primavera porterà una ventata di nuova energia mista a un accresciuto senso di irrequietezza, che già per altro vi contraddistingue, ma che si trasformerà in una spinta verso una maggiore e prolungata vitalità. Per godere al meglio del periodo propizio, vi consigliamo di prepararvi depurando l’organismo con il consumo di alimenti specifici, quali asparagi, fave e carciofi. Che siano al forno, alla romana, ripieni, fritti, in pastella o trifolati, i carciofi, soprattutto, se da un lato contribuiranno all’eliminazione di tossine, dall’altro potranno soddisfare il vostro incisivo palato arietino grazie alla loro poliedricità gustativa. Ma qualunque siano le bevande e i pasti consumati a pranzo e a cena, sarà opportuno concluderli con amari o tisane da scegliere in base alle esigenze del momento. Regalatevi una sferzata di colore inserendo nella colazione abituale un bicchiere di succo di frutta, soprattutto se caratterizzato dalle tinte del giallo, dell’arancione o del rosso, che contribuiranno a farvi sentire più carichi e disponibili al dialogo e all’interazione con gli altri, anche con coloro che non vi sono troppo simpatici. Provate gli Spaghetti al brucio con un calice di Barbera d’Alba. 98 | FOOD&BEVERAGE MARZO 2013

Se vi sentite poco vigorosi e motivati, niente paura. Un pranzo con piatti dal sapore intenso vi renderà forti e pronti all’azione.

Capricorno Recuperate le uscite mondane perse per il vostro desiderio di casa e tradizione dell’ultimo mese. È ora di aprirsi al divertimento.

Acquario Patatine fritte e verdure in pastella, a seconda dei gusti, rinnoveranno quell’allegria interiore recentemente messa a dura prova.

Pesci Da un lato esaltate l’amore con cene romantiche, dall’altro carni rosse o bianche accresceranno il rendimento lavorativo.




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