L’editore
L’EPOCA DELLE RIFORME
di Maria Elena Golfarelli
Un Paese che voglia dirsi giusto non può fare a meno di regole certe entro le quali promuovere il proprio sviluppo economico e sociale C&P • GIUSTIZIA
na sfida importante attende la giustizia italiana. La trasformazione in un sistema fondato su tre cardini fondamentali: certezza della pena, tempi rapidi e indipendenza della magistratura.Tutto ciò è possibile solo con un’ampia riforma del sistema. Le pagine che seguono vogliono entrare nel merito di queste trasformazioni necessarie attraverso le proposte concrete dei protagonisti della giustizia. Dando, da una parte, voce ai suoi operatori e alle loro esperienze perché facciano avanzare il nuovo, dall’altra, interrogando le istituzioni, che attraverso lo strumento della politica possono dare veste giuridica al nuovo che avanza. Uomini e donne di legge per i quali la giustizia rappresenta un valore imprescindibile per la vita democratica. Perché un Paese che voglia dirsi giusto non può fare a meno di regole certe entro le quali promuovere il proprio sviluppo economico e sociale.
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In questa realtà in divenire Giustizia vuole porre l’accento, in primo luogo, sulla cultura della sicurezza in cui ogni cittadino percepisce la vicinanza delle istituzioni, sul lavoro come tra le mura domestiche, nella vita pubblica come in quella privata. Sulla cultura della legalità, che si traduce nell’operato delle forze armate contro una criminalità che assume forme sempre nuove. E, infine, sulla cultura d’impresa perché la giustizia sta anche nel lavoro quotidiano di chi crea ricchezza e occupazione: nessuna impresa può crescere e tutelarsi senza il prezioso supporto di quelle professionalità – dall’avvocato all’advisor – in grado di accompagnare e sostenere l'imprenditore nella sua attività. Aspetti diversi di un interesse comune sui quali il governo si sta impegnando a fondo. Sempre più lontani dai bisogni e dai sentimenti dei cittadini appaiono i detrattori (sempre gli stessi) che si esibiscono quotidianamente in teatrini televisivi più simili a reality show che a programmi di analisi e di approfondimento. Dobbiamo invece dare atto al governo di avere risposto con i fatti non solo alle parole di costoro (la qual cosa avrebbe ben poco peso) ma alle reali esigenze dei cittadini e del Paese: restituendo Napoli al suo decoro, dando soluzioni abitative in tempi record ai terremotati dell’Abruzzo, permettendo all’Italia di avviarsi sulla strada della ripresa economica prima e meglio di altri Paesi, ma diversi altri esempi si potrebbero fare. Questa è la giusta causa che ci porta a dire al Governo e al Presidente del consiglio avanti così, gli italiani sanno valutare i fatti mentre lasciano le chiacchiere ai politicanti… con buona pace per questi. 5
Editoriale • Angelino Alfano
L’ITALIA HA BISOGNO DI NOVITÀ el nostro Paese il bipolarismo e l’alternanza di governo consolidatasi dal 1994 a oggi hanno indotto i cittadini a pretendere chiarezza nelle alleanze e nei programmi. Noi siamo stati chiari fin dall’inizio. Il nostro programma è visibile da tutti sul nostro sito. Ora, chi ha votato quel programma, nutre delle aspettative. E noi per un senso di giustizia, di trasparenza e di eticità nei confronti dei nostri elettori, siamo impegnati a realizzare tutto quello che abbiamo promesso. È giusto puntare a fare riforme condivise, ma la maggioranza è chiamata a decidere. E i risultati sono già visibili e hanno un nome: le leggi antimafia e la riforma del processo civile. Nel primo caso al ministero della Giustizia abbiamo posto in essere il più grande sistema normativo di contrasto alla mafia dai tempi di Giovanni Falcone. La nuova normativa ha portato un importante cambiamento. Non è più previsto il patrocinio gratuito ai post boss, con un notevole risparmio per le casse dello Stato. E, invece, lo stesso tipo di beneficio è stato concesso alle vittime di violenza sessuale. Già da un anno inoltre abbiamo creato un fondo unico di giustizia dove confluiscono tutti i beni illeciti confiscati ai boss e ai malviventi. Al momento sono stati confiscati 800 milioni di euro e beni immobili per il valore di 5 miliardi che dal 2010 verranno utilizzati dallo Stato per portare avanti delle iniziative per combattere la mafia.
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Con la riforma del processo civile si cercherà invece di accorciare drasticamente le tempistiche dei riti. I nostri uffici viaggiano alla velocità di internet e di conseguenza tutta la macchina lavorativa va velocizzata. Grazie alla collaborazione di avvocati, magistrati e dei consigli dell’Ordine è stata recepita l’importanza di utilizzare la posta elettronica certificata come modalità ordinaria tra le parti del processo. La riforma dell’avvocatura è l’altro aspetto sul quale stiamo puntando. Abbiamo realizzato un testo di legge che porterà l’Italia a una modernizzazione di tutto l’apparato di legge, 8
Quello che a noi interessa è cambiare e migliorare lo stato della giustizia in Italia. Per farlo occorre una riforma del codice di procedura penale. Ma non basta: è necessario anche un intervento sulla Costituzione C&P • GIUSTIZIA
Angelino Alfano • Editoriale
di Angelino Alfano Ministro della Giustizia
modo si può parlare di giustizia. Ma per porre avvocati e magistrati sullo stesso piano occorre che il giudice sia perfettamente distante sia dall’accusa che dalla difesa, come prevede l’articolo 111 della nostra Costituzione in cui si legge anche che i giudici sono soggetti soltanto alla legge. La legge la fa, però, il parlamento, che è eletto dal popolo sovrano, esattamente lo stesso popolo sovrano in nome del quale il giudice emette la sentenza. A questo punto quello che ci chiediamo è se c’è la garanzia del rispetto delle funzioni reciproche.
fondamentale per salvaguardare il patrimonio degli studi nazionali, che rischiano altrimenti di essere inglobati nei grandi studi internazionali. Ma per far questo dobbiamo garantire un apparato di legge qualificato. L’avvocatura non può più essere lo sbocco di tutti i laureati in Giurisprudenza. L’avvocatura deve tornare a essere una vocazione, una passione. Altro aspetto che riteniamo fondamentale è rendere effettivo il principio di parità tra accusa e difesa. L’avvocatura deve avere lo stesso peso della magistratura, cosa che adesso non succede. Noi vogliamo una situazione di equilibrio effettivo, ma con questo non mettiamo in dubbio l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Quello che, però, auspichiamo sono processi rapidi ed equi, solo in questo C&P • GIUSTIZIA
Ma non basta l’equilibrio, come dicevo, bisogna garantire anche la brevità nei processi. Questo è l’obiettivo del progetto di legge presentato dai senatori Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello. Basta con processi interminabili, i cittadini hanno bisogno di risposte in tempi onesti. Quello di cui abbiamo bisogno, e che la magistratura pretende, sono strutture e personale per reggere certe tempistiche. Questo sarà un mio impegno, mi batterò per trovare le risorse in finanziaria. L’opposizione sostiene che il vizio di questa norma è il fatto che sia stata creata in funzione di Silvio Berlusconi. Io, però, intendo fare una valutazione oggettiva del disegno di legge e pensare prima di tutto al bene degli italiani. Quello che a noi interessa è cambiare e migliorare lo stato della giustizia in Italia. Per farlo occorre una riforma del codice di procedura penale. Ma non basta: è necessario anche un intervento sulla Costituzione. Lo stesso Massimo D’Alema nel 1998 riteneva necessario riformare la giustizia, intervenendo anche sulla Costituzione. Oggi, però, l’opposizione grida a gran voce che la Carta costituzionale non si deve toccare. Ma in questi undici anni la situazione non si è certo evoluta in positivo. Non si può più attendere, occorre agire. Lo abbiamo promesso gli italiani durante la nostra campagna elettorale, lo abbiamo riconfermato dal primo giorno in cui ci siamo insediati e ora è arrivato il tempo di mostrare ai cittadini i risultati ottenuti e questi risultati si chiamano riforme. 9
L’intervento
LA STORIA SEGNA IL TEMPO DEI GIUSTI di Renato Schifani - Presidente del Senato
enso che gli iter legislativi siano lunghi e non adeguati ai tempi. Il Paese ha necessità e urgenze che richiedono risposte rapide ed efficaci. Anche per questo a volte il governo è costretto a porre la fiducia al parlamento. Ritengo quindi che sia necessario modernizzare i regolamenti del Senato per consentire al governo tempi certi per l’esame dei suoi provvedimenti, ma anche adeguati spazi di discussione all’opposizione. Facendo tesoro di questa esigenza, a Palazzo Madama è già iniziato il percorso di modifica al nostro regolamento al fine di velocizzare i tempi di approvazione delle leggi, riducendo così anche la decretazione d’urgenza. Parallelamente, ritengo sempre più opportuna la revisione della seconda parte della nostra Carta costituzionale, attraverso l’introduzione del bicameralismo imperfetto, con la riduzione del numero dei parlamentari e con percorsi legislativi più snelli. Forse la gestione delle risorse pubbliche a volte è stata caratterizzata da alcuni eccessi. Io ho doveri e obiettivi precisi: razionalizzare al massimo l’utilizzo del denaro pubblico, evitando sprechi e costi inutili. Intendo gestire l’istituzione Senato con la stessa accortezza e lo stesso rigore con cui ho sempre curato l’amministrazione della mia famiglia. Abbiamo scelto di razionalizzarne le spese varando riduzioni importanti e assicurando, comunque, il buon funzionamento della camera alta della Repubblica. Per la prima volta Palazzo Madama ha approvato un bilancio preventivo, quello del 2009, senza prevedere nemmeno un euro di aumento rispetto all’anno precedente. Nel capitolo riguardante beni e servizi, abbiamo previsto un risparmio di ben dieci milioni di euro. È stato bloccato il turn over del personale che ci ha permesso di non sostituire oltre trenta dipendenti andati in pensione. Abbiamo, inoltre, risparmiato un milione di euro tagliando benefit agli ex senatori e altri quattrocentomila dalle missioni internazionali. Centomila euro sono stati recuperati dall’abolizione dei corsi di lingua straniera. Abbiamo ridotto sensibilmente le spese di rappresentanza, cancellato l’indennità riservata alle senatrici per il parrucchiere e il servizio gratuito di barbieria per i senatori. Razionalizzare e diminuire le spese del Senato significa avere profondo rispetto del denaro pubblico.
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Razionalizzare e diminuire le spese del Senato significa avere profondo rispetto del denaro pubblico C&P • GIUSTIZIA
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La voce del diritto
UNA NUOVA PREVIDENZA FORENSE n questi ultimi tempi sempre più insistentemente si parla della necessità di riformare unitamente alle professioni, il loro sistema previdenziale. Le Casse professionali hanno puntualmente ottemperato alla riforma della loro previdenza allorché hanno provveduto al cambiamento del sistema, all’aumento dei contributi e dell’età pensionabile, alla previsione di una pensione integrativa modulare, al consolidamento della solidarietà ed ad altre modifiche di grande rilevanza. La riforma è buona e merita di entrare in vigore il 1 gennaio 2010 con l’approvazione ministeriale.Va ricordato che dalla privatizzazione, da cui sono trascorsi quindici anni, le Casse hanno compiuto un percorso virtuoso che ha portato all’incremento dei patrimoni e degli attivi di bilancio. Abbiamo più volte posto in evidenza che per effetto dell’autonomia della previdenza privata si è realizzata un’importante contrapposizione al sistema keynesiano; così è sorta una struttura previdenziale affidata alla responsabilità dei gruppi professionali. Per gli enti dei professionisti la scelta di entrare nel settore privato è stata effettuata con profonda convinzione da parte delle rappresentanze professionali nella consapevolezza che provvedere in autonomia ai propri trattamenti previdenziali costituisca una scelta moderna che consente di pensare alla previdenza professionale non solo in termini di trattamento strettamente pensionistico, ma come tutela dell’età post lavorativa, intesa come tutela sociale della salute e della vecchiaia, in termini di accentuata solidarietà sociale. L’insistenza che viene da talune parti nel segnalare un problema che non c’è, fa sospettare che si tenti ancora una volta di “mettere le mani sui patrimoni delle Casse”, come è stato già fatto in precedenza, ma con scarso successo in quanto le categorie professionali hanno efficacemente reagito a tale ingordigia politica anche sul piano del consenso elettorale. Il vero problema è che la previdenza privata, che ha già la piena sostenibilità, non assicura in taluni casi l’adeguatezza della prestazione previdenziale che va riposizionata e integrata.
di Maurizio De Tilla - Presidente dell’Oua
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Per effetto dell’autonomia della previdenza privata è sorta una struttura previdenziale affidata alla responsabilità dei gruppi professionali
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In copertina • Mauro Pizzigati
Mauro Pizzigati, presidente dell’Unione Triveneta dei consigli dell’ordine professionale. È professore di diritto fallimentare presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia
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Mauro Pizzigati • In copertina
Moderni “clerici” in equilibrio sul mercato Legati a una solida tradizione di sapere giuridico e di deontologia, gli avvocati oggi si trovano a fare i conti con le dinamiche del mercato. Secondo Mauro Pizzigati occorre «recuperare in termini di cultura e di formazione la dimensione dell’essere avvocato». In attesa che si compia la riforma della professione di Sarah Sagripanti
ordinamento giuridico italiano ha bisogno, da tempo, di molte riforme. Un assunto sul quale tutti concordano. Dalla riforma del processo civile, da poco approvata, alle tante questioni, anche di rango costituzionale, che attendono di essere affrontate, il dibattito politico e istituzionale è incessante. Così anche per la riforma dell’ordinamento forense, che gli avvocati italiani, e non solo loro, chiedono da tempo e che oggi sembra arrivata in dirittura d’arrivo, con il testo di riforma attualmente in discussione. «Un risultato importante, dal momento che l’attuale legge sull’ordinamento forense, che risale al 1933, si presenta decisamente anacronistica». Così commenta Mauro Pizzigati, presidente dell’Unione Triveneta dei Consigli dell’ordine degli avvocati, che non nasconde un pizzico di orgoglio nel ricordare che fu proprio il Triveneto a produrre la prima bozza dell’attuale testo di riforma. Quella bozza fu poi discussa e migliorata in seno al Consiglio nazionale forense, condivisa con le altre realtà associative dell’avvocatura e, infine, presentata unitariamente, in sede politica. «Volevamo far sapere che l’avvocatura unita esprimeva con un unico testo la volontà che quella fosse la riforma dell’ordinamento professionale», spiega Pizzigati. Ma il presidente ricorda, anche, come la riforma non abbia solo il compito storico di «aggiornare in termini di novità e attualità la disciplina forense», ma si
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ponga un obiettivo ben più alto: riequilibrare quella “duplicità”, insita nella professione di avvocato, tra la funzione sociale di chi garantisce il diritto alla difesa e le nuove esigenze imposte dal mercato a ogni professione. Quali sono le sue aspettative sulla riforma attualmente in discussione in parlamento? «Finora abbiamo ottenuto un obiettivo già molto importante, perché per la prima volta l’avvocatura, spesso su altri aspetti divisa, è riuscita a raggiungere il risultato di un testo condiviso da quasi tutti. La speranza è, ovviamente, che la riforma non sia stravolta. Per questo, anche in questa fase prettamente politica, l’avvocatura continua a essere unita nel confronto». L’Unione Triveneta è stata la prima a proporre un testo di riforma. Quali esigenze vi hanno spinto? «Prima di tutto la considerazione che quella che regola l’ordinamento professionale forense è una legge ormai anacronistica, perché la funzione dell’avvocato, nell’ambito della società, è molto cambiata. Da una parte, l’avvocato svolge sempre una funzione sociale garantita dalla Costituzione, ovvero quella del diritto alla difesa. Dall’altra, è accresciuta l’idea dell’avvocatura come esercizio della professione, immerso, in quanto tale, nelle problematiche legate al mercato e alla concorrenza. L’avvocatura, insomma, si dibatte tra l’esercizio di una funzione sociale e lo svolgimento di un’attività lavorativa, a fini di guadagno. Si tratta di un’an15
In copertina • Mauro Pizzigati
Avvocati in un’aula bunker di tribunale, in attesa dell’apertura della fase dibattimentale. Più a destra, nel box, ancora Mauro Pizzigati nel corso di un convegno
Per la prima volta l’avvocatura, spesso su altri aspetti divisa, è riuscita a raggiungere il risultato storico di un testo condiviso da tutti. La speranza è quella che la riforma non sia stravolta in sede politica
tinomia non solo apparente, ma spesso sostanziale». Quali i rischi di questa duplicità? «Questa antinomia crea dei problemi, perché, da una parte, non si può “decolorare” la funzione sociale dell’avvocatura, ma, dall’altra, non si può nemmeno trascurare che il nostro Paese, inserito in un contesto europeo, deve fare i conti con delle regole sovranazionali. Ed esistono, appunto, delle norme europee che spingono verso il rispetto della libera concorrenza anche nell’esercizio della professione legale. I maggiori rischi, in questo senso, si verificano per gli avvocati della generazione più giovane, nei quali sta prevalendo l’idea dell’attività professionale come mera attività lavorativa, mentre rischia di passare in secondo piano quella della funzione sociale. In qualche modo è come se fosse “appassita” la sacralità dell’essere avvocato e, quindi, è evidente che bisogna recuperare in termini di cultura, e anche di formazione, questa dimensione. A questo punta la riforma». Uno dei suoi capisaldi è la regolarizzazione dell’accesso alla professione. Perché questa scelta? «In Italia abbiamo un’inflazione di avvocati, rispetto alle esigenze di difesa di cittadini e utenti. Basti pensare che ci 16
sono oltre 220mila avvocati, rispetto ai 45mila della Francia e dei circa 70mila della Germania. Il numero troppo elevato sbilancia il rapporto tra domanda e offerta e troppi avvocati si trovano a dover “sgomitare” per “accaparrarsi” un incarico o una consulenza. La conclusione è che spesso, per “sgomitare”, si rischia di violare le regole. Come presidente dell’Ordine degli avvocati di Venezia, a suo tempo, ma anche come presidente dell’Unione Triveneta, constato che sono cresciuti i procedimenti disciplinari aperti dai vari Consigli, a carico dei propri iscritti, per violazione di regole deontologiche. È importante, quindi, regolare l’accesso anche attraverso una riflessione sulla formazione universitaria, con l’introduzione del numero programmato e un maggior coordinamento tra università e mondo forense». Secondo le osservazioni dell’Antitrust, la riforma prevedrebbe un accesso alla professione troppo stringente, che metterebbe in difficoltà i giovani che vogliano intraprendere la carriera. Qual è la sua opinione, su questa osservazione? «È noto che, su questo argomento, l’Antitrust ha una visione diversa da quella dell’avvocatura. Il diritto all’accesso allo svolgimento dell’attività professionale va garantito, ma C&P • GIUSTIZIA
Mauro Pizzigati • In copertina
FORMAZIONE E SPECIALIZZAZIONE osì come avviene in altri Paesi europei e anche in Italia, per tutte le altre professioni, da qualche anno, anche per gli avvocati, è entrato in vigore l’obbligo di formazione continua. Fu proprio l’Ordine di Venezia, all’epoca presieduto da Mauro Pizzigati, a istituire, per la prima volta, l’obbligatorietà della formazione per i propri iscritti. «Questa possibilità – ricorda il giurista – ci fu consentita dal Codice deontologico forense, laddove all’articolo 13 si prevedeva che i compiti relativi all’aggiornamento e alla formazione spettano, in primis, al Consiglio nazionale forense, ma anche ai singoli ordini». Un risultato importante, perché la norma fu poi recepita a livello nazionale, ma non senza suscitare qualche polemica. «So bene che molti si sono lamentati dell’obbligatorietà della formazione – commenta Pizzigati – ma voglio ricordare che l’obbligo esiste in tutti i Paesi euro-
C credo che, come avviene in altri campi e in altri Paesi europei, questo diritto possa essere legato ad alcune regole definite normativamente. Nessuno si sogna di creare sbarramenti, ma bisogna individuare le condizioni per far sì che domanda e offerta trovino una nuova ragionevole corrispondenza». Un’altra idea dell’Antitrust è quella di ammettere la derogabilità delle tariffe. «L’abolizione o la derogabilità delle tariffe porta, sempre, ad un’offerta al ribasso, così come avviene, ad esempio, negli appalti. Ma l’esperienza insegna che gli appalti al ribasso sono spesso quelli dove, a metà dei lavori, l’impresa fallisce. È opportuno, inoltre, tenere conto che alcune decisioni a livello europeo sanciscono che le tariffe non sono affatto vietate, né per i minimi, né per i massimi. Allo stesso modo va reintrodotto il divieto del patto quota-lite. Ricordo che circa quattro anni fa, ad una conferenza a Zurigo, enunciai che era sbagliato pensare all’introduzione di un patto di quota-lite, come purtroppo è poi accaduto con la “liberalizzazione Bersani”. Intervenne un avvocato inglese, che ammonì “noi continentali” a non introdurlo, perché in Inghilterra, dove questo strumento è nato, esiC&P • GIUSTIZIA
pei e tra l’altro anche per molte altre professioni cosiddette liberali». Le maggiori proteste sono arrivate in relazione ai costi elevati che la formazione continua imporrebbe a un professionista, ma, proprio in questo senso, il progetto di riforma riconosce un principio fondamentale: la formazione deve essere prudenzialmente organizzata dai singoli Consigli degli ordini ed essere, altrettanto tendenzialmente gratuita. Pizzigati, però, aggiunge: «Dobbiamo tenere presente che la riforma spinge anche verso l’introduzione delle specializzazioni. È chiaro, allora, che se ci si vuole specializzare, si dovrà farlo a spese proprie, perché diventa, questo, un investimento personale per migliorare il proprio curriculum». La riforma dell’ordinamento professionale forense è, quindi, estremamente importante, perché coltiva la formazione, ma anche l’idea della specialità.
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In copertina • Mauro Pizzigati
*PROFILO I ruoli istituzionali, la specializzazione nel fallimentare, l’impegno per il sociale ià presidente del Consiglio dell’Ordine distrettuale degli avvocati di Venezia, Mauro Pizzigati, oggi presiede l’Unione Triveneta dei Consigli dell’ordine degli avvocati ed è consulente delle Regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia. Professore universitario di Diritto fallimentare a Venezia, è stato spesso commissario giudiziale e curatore fallimentare per importanti realtà. Presidente di numerose commissioni professionali, ha partecipato ai lavori per la riforma del diritto societario, in qualità di componente della commissione Vietti. Consigliere comunale dal 1993 al 1999 e candidato a sindaco di Venezia nel 1997, Mauro Pizzigati è molto attivo anche in ambito sociale, promuovendo iniziative di rilievo e di livello locale e nazionale. Attualmente presiede il Consiglio di amministrazione del Casinò di Venezia, la società Venezia Marketing & Eventi (che organizza tutti gli eventi veneziani) e dal 2007 Federgioco, l’associazione italiana dei casinò. È attualmente anche il presidente del Calcio Venezia.
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stono molte cause tra avvocati e clienti per discutere di come debba essere interpretato o applicato il patto. Credo che il patto sia sbagliato, anche dal punto di vista etico, perché se l’avvocato è compartecipe dei risultati positivi della propria attività, è evidente che non ha più neutralità, serenità e distacco per seguire il caso». Da pochi giorni è entrato in vigore l’obbligo della posta elettronica certificata per tutti i professionisti, compresi gli avvocati. Si parla anche molto di processo telematico. In che modo l’informatizzazione sta modificando l’attività dell’Avvocatura italiana? «Sicuramente le nuove tecnologie semplificano e rendono più agevoli gli adempimenti e contribuiscono a velocizzare il processo. Ben venga, quindi, il connubio tra informatizzazione e giustizia. Esiste, però, un problema di cultura e su questo le nuove generazioni di avvocati possono essere più agevolate. Ma è obbligatorio, per tutti noi, fare uno sforzo in questa direzione. In questo senso, quando parlo di formazione, non intendo solo quella che ha per oggetto il sapere giuridico, ma anche la conoscenza e la capacità di utilizzo di queste innovazioni tecnologiche». Estremizzando le possibilità offerte dalle nuove tecnologie, queste potrebbero contribuire a “mercificare” la professione, generando fenomeni come la vendita di consulenze online o di pacchetti già confezionati. Esiste questo rischio? «Certamente sì. Se si spinge l’acceleratore nel guardare l’at18
tività professionale come meramente lavorativa, c’è questo rischio. In questo senso va inquadrato anche il discorso della promozione dell’attività professionale, che purtroppo è stato spesso frainteso, perché non si può mai superare il limite del decoro e della dignità. Non si può pensare che sia possibile mettere ad un incrocio cartelli, come mi è capitato di vedere, simili a quelli per indicazioni stradali, allo scopo dei segnalare il proprio studio. Allo stesso modo credo che non sia corrispondente al decoro aprire uno studio professionale all’interno di un supermercato, come anche lo ho visto coi miei occhi. Così si svilisce la dignità della professione, valorizzando, invece, il profilo della professione nel mercato. Anzi, in questo caso, “nel supermercato”». In fin dei conti, però, si sentirebbe di consigliare a un giovane di intraprendere la carriera di avvocato? «Sicuramente sì. Nel mio studio lavorano, tra altri, due miei nipoti, che hanno scelto di intraprendere questa professione. A loro e a tutti gli altri giovani, posso dire che si tratta di un’attività stupenda, se si è capaci di mantenere il giusto equilibrio tra “professione” e “lavoro”. Come insegnava Piero Calamandrei, occorre prima “sentirsi avvocato”, piuttosto che “fare l’avvocato”. I clerici vagantes del Medioevo, quando svolgevano questa professione, erano persone di grande cultura e questa resta, ancora oggi, una grande professione liberale, che ha senso svolgere tenendo, nella mente e nel cuore, ciò che insegna il codice deontologico: il rispetto verso clienti, magistrati e colleghi». C&P • GIUSTIZIA
Riforma forense • Piero Longo
Per migliorare occorre riformare Il ddl sulla riforma della professione forense è pronta, «condivisa da maggioranza e minoranza», come sostiene Piero Longo. «Le tariffe minime e massime?» Fondamentali per la tutela dei professionisti più giovani che spesso sono costretti a contratti di consulenza a prezzi stracciati di Nike Giurlani
Nella foto, Piero Longo, avvocato e senatore del Pdl, tra i promotori della riforma della professione forense
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ualità e professionalità. Questi gli obiettivi principali della riforma. Non si tratta di sfoltire gli avvocati, ma di creare una categoria competente, ma che soprattutto sia cosciente del ruolo che andrà a ricoprire nella società. Il testo della riforma è pronto. «Ora dobbiamo aspettare il parere della commissione bilancio – sottolinea Piero Longo, avvocato e senatore del Pdl – ma non ci aspettiamo sorprese in Aula perché il testo è stato approvato sia dalla maggioranza che dalla minoranza». Sono poche le criticità del ddl, ma punto cruciale sarà cambiare le modalità di accesso alla professione, anche per i magistrati. «Dopo aver accumulato cinque anni di anzianità non potranno più chiedere di essere iscritti all’Ordine degli avvocati», mette in evidenza Longo. Alcune voci dell’opposizione, ma anche quelle di Confindustria e dell’Antitrust, si sono levate contro il testo della riforma dell’ordinamento forense licenziato dalla commissione Giustizia, definito “troppo restrittivo per l’accesso alla professione”. Lei vede il rischio che la riforma, se passerà così com’è, possa ostacolare l’accesso alla professione ai giovani? «Un giovane che sia motivato e che abbia la cognizione di quello che voglia dire essere un libero professionista, della professione più liberale che esista, non verrà certamente ostacolato. Per quanto riguarda Confindustria il discorso è a parte. Loro vorrebbero continuare a fare gli avvocati pur
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Piero Longo • Riforma forense
Un giovane meritevole che abbia la cognizione di quello che voglia dire essere un avvocato non sarà ostacolato essendo dipendenti, ma questo non si può. O meglio possono farlo, ma solo all’interno della struttura che li paga, ma non si tratta più di avvocatura libera». È stato respinto l’emendamento Casson su un compenso di base per i giovani praticanti, per quale motivo? «Non potevamo stabilire per legge un compenso per i giovani praticanti perché troppe erano le variabili. Per esempio a un praticante che arriva in uno studio, viene assegnata una scrivania e data la possibilità di utilizzare la biblioteca. Inoltre può usufruire del telefono, del fax e della segretaria. Non è possibile dare un valore preciso a questo tipo di benefici. Un praticante deve ricevere una retribuzione sulla base di quello che può produrre e per tutto il primo anno non è in grado di produrre nulla. Per questo motivo abbiamo lasciato al codice deontologico di ogni singolo avvocato stabilire il compenso per i propri praticanti. Il nostro obiettivo non è sfoltire, ma migliorare la qualità degli avvocati». Tariffe minime e massime. La loro reintroduzione è stata definita “un passo indietro” rispetto alle liberalizzazioni Bersani. È effettivamente così? «Sì, effettivamente è così, ma siamo giunti a questa conclusione dopo una lunga discussione. L’avvocatura ha voluto fortemente questa reintroduzione per garantire la tutela dei professionisti più giovani. Quest’ultimi infatti potevano essere pressati da organizzazioni forti come le banche e le assicurazioni per avere contratti di consulenza a prezzi stracciati e quindi sotto questo aspetto probabilmente c’è C&P • GIUSTIZIA
una ragione valida per reintrodurre i minimi tariffari». La preoccupazione dell’avvocatura italiana era quella che il testo della riforma, da loro inizialmente presentato, fosse stravolto in sede politica. Ritiene che questo timore sia infondato, anche per quando il disegno arriverà in Aula? «Assolutamente infondato. Io facevo parte del Comitato ristretto e il testo iniziale presentava degli errori giuridici, nonostante provenisse dal Consiglio nazionale forense, dall’Organismo unitario dell’avvocatura, dalle Camere penali e dall’Associazione italiana giovani avvocati. Noi abbiamo quindi proceduto a una correzione tecnica, non politica». Quando crede che potrà arrivare in Aula il disegno di legge? «La burocrazia ottocentesca del Senato ci ha impedito di mandare la riforma in Aula per fine novembre perché dobbiamo aspettare il parere della commissione Bilancio». Quali sono secondo lei i punti maggiormente critici? «I punti che potranno, forse, suscitare dei problemi sono i minimi salariali e certe incompatibilità. Per esempio, da questo momento è previsto che per esercitare l’avvocatura bisognerà aver superato l’esame. Precedentemente, invece, un magistrato che avesse raggiunto cinque anni di anzianità poteva richiedere e alla fine riceveva l’iscrizione all’albo. Siccome un avvocato non può chiedere di diventare magistrato, non si capisce perché nel 2009 un magistrato debba necessariamente diventare avvocato». 21
Giustizia telematica • Renato Brunetta
Meno carta più giustizia Procedure più semplici e veloci. Tempi certi per atti e provvedimenti giudiziari. È la svolta telematica della giustizia. Che garantisce efficacia e qualità. Perché, sottolinea il ministro Brunetta, «il 90% dei problemi di efficienza della magistratura è di tipo organizzativo e l’organizzazione oggi è Ict» di Giusi Brega
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l tribunale «è come un’industria». E per far sì che funzioni al meglio occorrono «buona organizzazione, trasparenza, produttività, controlli, efficienza ed efficacia». Con l’unico obiettivo di assicurarsi «la soddisfazione del cittadino cliente». Purtroppo, però, il 90 per cento dei problemi della giustizia italiana, «cioè lentezza e inefficienza» sono di tipo organizzativo. A sottolinearlo, Renato Brunetta, ministro per la Pubblica amministrazione e l’innovazione. E proprio in termini di innovazione, il ministro ribadisce quanto le nuove tecnologie siano fondamentali per ottimizzare il lavoro all’interno dei tribunali e «rendere migliore il servizio reso ai cittadini». Lei ha affermato che la giustizia italiana “è ancora ferma a un’era pastorale”. Cosa intendeva dire? «Che le pratiche amministrative, i rapporti con le parti, l’organizzazione interna, sono tutti ambiti concepiti e governati come se la rivoluzione dell’Information communication technology non fosse mai avvenuta». Di chi sono le responsabilità? «Sono diffuse. Le resistenze ai cambiamenti sono molte, quasi tutte di tipo corporativo. Dobbiamo però superarle, e per riuscirci dobbiamo dimostrare che con l’Ict non solo è più facile e meno dispendioso il lavoro dentro i tribunali, ma è migliore il servizio reso ai singoli cittadini e alla collettività». A che punto è l’avanzamento degli obiettivi relativi all’uso dell’Ict per ottimizzare la giustizia italiana? «Abbiamo fatto molto lavoro, ci accingiamo a varcare frontiere importanti. Siamo, insomma, al punto in cui le innovazioni tecnologiche possono essere ricondotte a sistema, fare sinergia, convergere, formando quella massa critica che trascini con sé il resto e travolga le resistenze. Abbiamo abbandonato la vecchia pratica delle “sperimentazioni”: qui non ci sono esperimenti da fare, ma prodotti che possono e devono funzionare ovunque, in modo uniforme». Quali sono i benefici previsti dalla digitalizzazione della giustizia, sia in termini pratici che economici? «Ci sono molti esempi pratici, ne faccio uno: al tribunale di Roma, il più grande d’Europa e forse del mondo, gli avvocati possono ritirare gli atti in formato digitale presso la cancelleria del gip. Questo comporta che l’impiegato di cancelleria
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Renato Brunetta • Giustizia telematica
Con l’Ict non solo è più facile e meno dispendioso il lavoro dentro i tribunali, ma è migliore il servizio reso ai singoli cittadini e alla collettività
Forum Pa / Stefano Corso
Renato Brunetta ministro della Pubblica amministrazione e innovazione durante la giornata conclusiva di Forum Pa 2009
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deve fare una semplice operazione di riproduzione, mentre nel caso di copie cartacee deve fotocopiare tutti gli atti, pagina per pagina, e tante volte quanti sono gli avvocati che le chiedono. Un lavoro enorme e dispendioso che, con una semplice innovazione, si trasforma in un lavoro semplice ed economico. Ora si tratta di far diminuire la cifra che ogni avvocato deve pagare, i diritti di copia, altrimenti rischiamo di non vedere decollare l’innovazione a causa della sua non convenienza per i legali». Entro quando è prevista l’eliminazione completa della carta dal “sistema giustizia” italiano? «L’eliminazione totale non sarà facile, e per certi aspetti neanche possibile: si pensi alle prove costituite da documenti. Il nostro traguardo finale è l’eliminazione della carta nel lavoro interno e nei rapporti con le parti. Possiamo riuscirci in un paio d’anni». A chi le ha chiesto della necessità di avere dei manager alla guida dei tribunali, lei ha risposto che basterebbe avere presidenti di tribunale manager. Cosa intendeva? «Sono sempre più convinto che il 90 per cento dei problemi della giustizia siano di tipo organizzativo. I tribunali sono, infatti, macchine complesse che, per essere saggiamente amministrate, richiedono professionalità specifiche. La formazione dei magistrati è di tipo giuridico, non organizzativo e gestionale: pertanto si deve pensare di affiancarli da manager, liberandoli da attività che non sono preparati a svolgere». 23
Giustizia telematica • Manuela Romei Pasetti
Processo online in Laguna Parte dalla Corte d’Appello. Ma l’obiettivo è di diffondere il metodo della digitalizzazione e dell’introduzione della telematica a tutto il sistema giudiziario del Veneto. Protagonista dell’iniziativa è il presidente della Corte d’Appello Manuela Romei Pasetti di Marilena Spataro
a qualche mese è stato firmato dalla Corte d’Appello di Venezia con i ministeri dell’Innovazione e della Giustizia un importante protocollo d’intesa che avvia un progetto pilota nel campo della telematizzazione e digitalizzazione dei servizi della giustizia civile. A intraprendere coraggiosamente il dialogo con i ministri Brunetta e Alfano, riuscendo rapidamente ad arrivare alla firma del protocollo, è stato il presidente della Corte della Serenissima Manuela Romei Pasetti. «Appena giunta a Venezia da Milano – racconta la presidente –, mi sono resa conto che tutto il distretto della regione, con i suoi otto tribunali, versava in una situazione di estrema difficoltà a causa dell’esistenza di un numero enorme di procedimenti arretrati sia nel civile che nel penale. È a questo punto che mi sono decisa a prendere contatto con il ministro Brunetta presentando i dati di rilevamento dell’arretrato delle cause del Veneto. Parlando con lui ho capito che per far fronte a questa situazione occorreva estendere la politica di digitalizzazione avviata nella Pubblica amministrazione anche ai servizi della giustizia». Qual è il meccanismo attraverso cui funzionerà questo sistema e quali saranno i tempi per attivarne i servizi? «Funzionerà in senso inverso rispetto al solito. Infatti nelle varie sperimentazioni si è partiti sempre dalla digitalizzazione del processo di primo grado, che però ha il limite di
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non coinvolgere l’intero sistema. Noi invece siamo partiti dalla Corte d’Appello in quanto così facendo si coinvolgono tutti i magistrati e gli uffici del distretto e i relativi ordini professionali che nell’insieme rappresentano, appunto, le tre teste di questo progetto. Il primo passaggio è di entrare a far parte del sistema con cui si registrano le cause civili in Corte d’Appello attraverso un sistema nazionale. Poi c’è quello che prevede che tutte le comunicazioni all’interno dei processi civili vengano fatte agli avvocati per via digitale e non più attraverso gli ufficiali giudiziari; il terzo passaggio comporterà che tutte le cause civili che vengono impugnate verranno digitalizzate e trasmesse alla Corte d’Appello per via telematica. Ultima fase sarà quella di digitalizzare tutti i fascicoli dei procedimenti civili nei tribunali del distretto. Alla fine di questo percorso avremo una struttura telematica di tutti i processi civili del Veneto. Quanto ai tempi per attivare questi servizi, avendo noi sottoscritto due protocolli uno per le comunicazioni all’interno del processo di appello, l’altro sulla digitalizzazione dei fascicoli processuali di primo e di secondo grado, sarà necessario seguire un iter non semplicissimo. Comunque, se i ministeri ci mettono a disposizione tutto il necessario, in un anno si dovrebbe arrivare a trasmettere le comunicazioni per via digitale e anche a digitalizzare i fascicoli impugnati davanti alla Corte d’Appello». Quali sono gli attuali tempi della giustizia in VeC&P • GIUSTIZIA
Manuela Romei Pasetti • Giustizia telematica
Rispetto alla riduzione dei tempi la digitalizzazione della comunicazione porterà a un risparmio di tempo e a una maggiore certezza della trasmissione degli atti
In apertura, Manuela Romei Pasetti, presidente della Corte d’Appello di Venezia. In alto, palazzo Corner Contarini da Cavalli, una delle sedi della Corte d’Appello; qui sopra, i ministri Alfano e Brunetta a Venezia per la firma del protocollo sul processo telematico C&P • GIUSTIZIA
neto e quanto la digitalizzazione potrebbe accorciarli? «Relativamente ai tempi, posso dire che oggi presso la Corte d’Appello di Venezia tra procedure di contenzioso e procedure ordinarie pendono oltre diciassettemila procedimenti e nei vari tribunali ne pendono circa ventiduemila. Rispetto alla riduzione dei tempi, la digitalizzazione della comunicazione porterà di certo a un risparmio di tempo e a una maggiore certezza della trasmissione degli atti; si sa, infatti, come spesso i motivi per cui vengono impugnate le cause o rinviate sono i difetti di notifica. Sia l’attivazione dell’archivio telematico che della gestione dei ruoli velocizzerà il tutto, eliminando l’antidiluviano metodo della consegna brevi manu dei fascicoli dal tribunale alla corte d’appello o anche, per esempio, il dover cercare gli atti magari di un procedimento di tre anni fa sfogliando materialmente tra le carte». L’adozione del sistema telematico comporterà anche una riduzione dei costi della giustizia? «Non sono in grado di quantificare il risparmio, ma di certo corrisponderà al tempo che il personale di cancelleria risparmierà relativamente alla comunicazione degli atti fatta manualmente e che coincide con circa quattro, cinque ore di lavoro al giorno. Visto che da noi il personale è sottodimensionato del trenta per cento, è evidente che il lavoro risparmiato sarà impiegato a copertura di questa percentuale». 25
Immunità parlamentare • Nicolò Zanon
Occorre una forma ragionevole di immunità A Montecitorio c’è un’iniziativa legislativa promossa da Margherita Boniver. Nel Paese il dibattito sulla reintroduzione dell’immunità parlamentare è acceso. Secondo il costituzionalista Nicolò Zanon, riequilibrare il delicato rapporto fra magistratura e politica è ciò che serve alla stabilità delle istituzioni di Concetta S. Gaggiano
Nicolò Zanon è ordinario di Diritto costituzionale all’Università Statale di Milano
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liminata nel 1993, sull'onda travolgente di Tangentopoli e della sfiducia dei cittadini nella classe politica e nei partiti, l’immunità parlamentare è tornata protagonista negli ultimi mesi. Allora serviva un cambio di rotta, bisognava far capire agli italiani che qualcosa sarebbe cambiato; oggi che governi di destra e di sinistra sono caduti sulla scia di inchieste della magistratura, il parlamento si ritrova a discutere dell’opportunità o meno di reintrodurla. «La sua reintroduzione è quantomeno auspicabile, resterebbe da decidere se consentire la praticabilità della procedura per tutti i reati di cui il parlamentare sia sospettato, ovvero solo per quelli ragionevolmente connessi alla sua attività politica». Ma per fugare ogni dubbio e «per evitare la tentazione di derive auto-assolutorie» da parte del parlamento, il costituzionalista Nicolò Zanon avanza una proposta: lasciare a un organo terzo, come la Corte costituzionale, la decisione definitiva. Perché oggi si ritorna a parlare di immunità parlamentare? «Le ragioni dell’auspicabile reintroduzione di una forma ragionevole di immunità per gli appartenenti alla classe politica stanno sotto gli occhi di tutti, almeno di chi ha occhi che vedano le vicende dei rapporti tra politica e giustizia di questi ultimi quindici anni. Non si tratta di una questione che riguarda Berlusconi soltanto. Quante vicende giudiziarie hanno interessato politici del centrosinistra, determinando crisi e sommovimenti del quadro politico? Si tratta di una questione che investe in profondità l’equilibrio costituzionale dei rapporti tra
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Nicolò Zanon • Immunità parlamentare
Il parlamento dovrebbe assumersi chiaramente la responsabilità di valutare l’attività giudiziaria con una propria iniziativa, senza nascondersi dietro ad automatismi normativi C&P • GIUSTIZIA
poteri. I costituenti l’avevano prevista perché pensavano che non fosse del tutto remota l’ipotesi di azioni giudiziarie mosse da intenti persecutori e partigiani nei confronti dei membri del parlamento. Oggi, una forma di immunità ha dalla sua solide ragioni di diritto costituzionale, proprio in considerazione del notevolissimo incremento dell’attivismo delle procure quando fiutano il possibile coinvolgimento di un politico nelle loro inchieste». Caldeggiata da una parte, osteggiata dall’altra, forse mai compresa fino in fondo. Cosa comporta esattamente questo provvedimento? «Dipende naturalmente dalla forma in cui la si prevede. Nella formulazione originaria l’articolo 68 della Costituzione, oltre a prevedere l’irresponsabilità per le attività tipiche del mandato parlamentare, conteneva anche la cosiddetta autorizzazione a procedere: all’atto della richiesta di rinvio a giudizio a carico del parlamentare, l’autorità giudiziaria procedente doveva chiedere l’autorizzazione a proseguire l’azione penale alla Camera d’appartenenza del parlamentare. Ogni reato commesso al di fuori dell’attività tipica della funzione parlamentare, anche un reato comune, era coperto da questa garanzia procedimentale». Quali sono i pregiudizi da sfatare in merito? «Dipende molto da come la garanzia è costruita. In generale, direi che si tratterebbe di spiegare a un’opinione pubblica riottosa che l’immunità dovrebbe essere presidio e garanzia della libertà della funzione parlamentare, non occasione di vergognosa impunità. Anche se ormai purtroppo lo si dimentica, il 29
Immunità parlamentare • Nicolò Zanon
IL CONFRONTO CON GLI ALTRI PAESI el nostro Paese l’immunità parlamentare fu introdotta nello Statuto Albertino del 1848 e prevedeva che deputati e senatori non fossero sindacabili per le opinioni espresse e i voti dati e non fossero perseguibili senza autorizzazione a procedere della Camera di appartenenza. Dopo una fase buia durante il fascismo, fu ripristinata nella Carta costituzionale in vigore dal 1948. Ma cosa succede in Europa| In tutti i Paesi europei sono previste forme di tutela dei parlamentari e degli uomini di governo contro il rischio di incursioni della magistratura che possano alterare gli equilibri istituzionali. In Gran Bretagna solo la Corona e i membri della famiglia reale hanno alcuni privilegi e immunità, che comunque si stanno riducendo per l’intervento di nuove leggi e della considerazione che si tratti di privilegi anacronistici. In Francia vige l’immunità totale per i parlamentari. L’articolo 26 della Costituzione prevede che “il procedimento
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a carico di un membro del parlamento è sospeso per la durata della sessione se la Camera di cui egli fa parte lo richiede”. L'Assemblea nazionale può chiedere che misure restrittive della libertà applicate a un suo membro siano sospese per la durata del mandato. In Germania nessun membro del parlamento può essere perseguito giudizialmente o in altra maniera per le posizioni espresse nelle sedi parlamentari. L’articolo 46 della Costituzione recita> “Ogni procedimento penale deve essere sospeso su richiesta del Bundestang”. La Costituzione iberica, invece, prevede sia l'insindacabilità delle opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni di parlamentare, sia l’immunità dal procedimento penale, salvo “preventiva autorizzazione della rispettiva Camera”. In Finlandia, Danimarca, Grecia e Lussemburgo, nessun parlamentare può essere perseguito senza l’autorizzazione del ramo del parlamento di cui è membro.
parlamento è storicamente il primo luogo istituzionale in cui vengono difesi i diritti e le libertà dei cittadini». Sembra di fatto che i politici invece di difendersi “nel” processo, debbano in qualche modo difendersi “dal” processo. «Mentre trovo costituzionalmente fondata la necessità di evitare qualsiasi indebito condizionamento del potere giudiziario sullo svolgimento della dialettica politica, in nome della separazione dei poteri, vorrei che non s’intendesse questa necessità istituzionale come una forma di impunità assoluta. La difesa “dal” processo trova ragione nel mandato politico che il soggetto sta esercitando. Ma, una volta cessato il mandato, nulla deve impedire che quel soggetto risponda “nel” processo, come ogni altro cittadino. Del resto, l’immunità prima del 1993 funzionava proprio così, non era garanzia di impunità perenne. Inoltre, deve essere chiaro che i meccanismi dell’immunità non devono mai configurare uno scudo automatico: l’operatività della garanzia dovrebbe essere sempre il frutto di una valutazione caso per caso, circa la politicità del reato e l’esistenza del cosiddetto fumus persecutionis da parte giudiziaria». Secondo lei è più auspicabile il ripristino dell’articolo 68 della Costituzione modificato nel 1993 oppure una legge ex novo? «Preferirei di gran lunga una procedura diversa. Oggi, ammaestrati dall’esperienza, si potrebbe delineare un meccanismo che ponga ragionevolmente al riparo dagli abusi del passato. L’azione penale potrebbe di regola fare il proprio corso, a meno che la stessa Camera d’appartenenza, opportunamente informata della procedura dall’autorità giudiziaria, non chieda entro un dato termine gli atti per esaminarli. E se ritenga che siano ravvisabili intenti persecutori, potrebbe non già decidere essa stessa per il blocco dell’azione, ma chiedere, sempre entro un termine prefissato, a un organo terzo, in ipotesi la Corte costituzionale, una decisione definitiva. In tal modo si sommerebbero due vantaggi. In primo luogo, il parlamento dovrebbe assumersi chiaramente la responsabilità di valutare l’attività giudiziaria con una propria iniziativa, senza nascondersi dietro ad automatismi normativi. E in secondo luogo, non potrebbe decidere definitivamente in causa propria, dovendo rimettersi alla valutazione di un organo imparziale. Si eviterebbe così la facile tentazione di derive auto-assolutorie, che creano fastidio nell’opinione pubblica e minano l’autorevolezza del parlamento». C&P • GIUSTIZIA
Giuseppe Consolo • Immunità parlamentare
Una garanzia per l’equilibrio dei poteri La giunta per le Autorizzazioni a procedere consente che vengano condotte azioni giudiziarie nei confronti di un deputato. Ma se venisse reintrodotta l’immunità parlamentare le cose cambierebbero. Come spiega il vicepresidente Giuseppe Consolo di Alessia Marchi
ntanto, tengo a precisare che la giunta non verifica la colpevolezza del deputato ma si assicura che non ci sia un fumus persecutionis, una “parvenza di persecuzione” nei confronti del medesimo». Premessa d’obbligo per Giuseppe Consolo, vicepresidente della giunta. Oggi, la magistratura, a seguito della riforma dell’articolo 68 della Costituzione approvata nel 1993, non deve più chiedere l’autorizzazione della Camera, prima di svolgere indagini su un deputato, ma solo nel caso in cui debba procedere al suo arresto o ad altre limitazioni della libertà personale. È in questi casi che la giunta valuta le richieste del magistrato, oltre che esaminare anche le questioni relative alla insindacabilità delle opinioni espresse e dei voti dati dai deputati. Di recente, Margherita Boniver deputata del Pdl ha presentato una proposta di legge costituzionale per la reintroduzione dell’immunità parlamentare. Pensa che oggi in Italia esistano condizioni diverse per reintrodurre la norma? «Basta richiamare alla mente le persone che hanno voluto questa norma, mi riferisco a nomi come Palmiro Togliatti, Luigi Einaudi, Giovanni Leone. Questo chiarisce già in parte quanto era necessaria. Chiaramente parlo dell’articolo 68 ante 1993, prima di Mani Pulite. La norma non serviva a parti politiche, ma a bilanciare gli opposti interessi, ovvero a equilibrare il potere della magistratura nei confronti del potere politico. Ora, e bisogna riconoscerlo per onestà intellettuale, è stato fatto un abuso dell’immunità parlamentare che è diventata più un’impunità che altro. Ma abolirla del tutto, a mio avviso, è stato un errore. Io la reintrodurrei con
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Giuseppe Consolo, vicepresidente della giunta per le Autorizzazioni di Montecitorio
alcune caratteristiche di maggior rigore e serietà». Può fare un esempio? «Servono maggior disciplina e regole scritte con criteri più seri per evitare che possa diventare un abuso. Bisogna far sì che serva una maggioranza qualificata, non semplice». Quali vantaggi o svantaggi comporterebbe la reintroduzione dell’immunità? «Il parlamentare avrebbe il vantaggio di essere più libero e questo può garantire e tutelare l’esercizio delle funzioni in parlamento e Senato. E, comunque, c’è sempre la Corte costituzionale che può intervenire così come avviene oggi con l’articolo 68 per quanto concerne la libertà di pensiero». Una delle critiche che viene spesso mossa è che la Camera di appartenenza del parlamentare quasi sempre finisce per negare la richiesta di autorizzazione. «Non è vero, ci sono casi in cui è stata concessa, e poi non dimentichiamo che c’è il conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale che non mi sembra tenera nei confronti delle Camere». È pensabile instaurare un clima rilassato intorno alla discussione su questo tema? «Sarebbe doveroso tenere dei toni interlocutori che non ci sono più da tempo. Non ho mai visto un clima così rissoso come in quest’ultimo periodo alla Camera dei deputati, dove abbiamo assistito, specie quando interviene l’Italia dei Valori a scene che non fanno onore alle istituzioni parlamentari. Il clima dovrebbe essere tale da favorire lo scambio delle opinioni e la critica, che è sacrosanta, invece si passa agli insulti e questo non giova al Paese». 31
Processo breve • Enrico Costa
Un processo in tempi certi è un diritto Depositato il ddl per abbreviare la durata dei processi. Prescrizione due anni dopo il rinvio a giudizio per quelli in corso per reati inferiori ai 10 anni. «Può essere migliorato» sottolinea l’avvocato Enrico Costa. «Ma è un valido percorso per restringere tempi troppo dilatati» di Giusi Brega
Nella foto, Enrico Costa, avvocato e membro della commissione Giustizia della Camera
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n Italia i tempi dei processi sono lunghissimi. Il rapporto Doing Business stilato dalla World Bank parla di una media di 1.210 giorni per un processo civile a fronte dei 331 della Francia. La durata media di un processo in Cassazione è di 1.140 giorni nel settore civile, 990 se si escludono le cause fiscali. Nel penale si aspettano 266 giorni. Una situazione che va ad aggravarsi man mano che si scende al Sud dove una causa di lavoro, in primo grado, dura 1.031 giorni, quasi tre volte in più rispetto al Nord. Nel 2008 sono costati più di 32 milioni di euro all’erario dello Stato i risarcimenti ai cittadini per la lentezza dei processi. Napoli capitale dei ritardi, Brescia la città più virtuosa. Dai dati forniti alla fine di gennaio dal presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo JeanPaul Costa per l’Italia le cause pendenti sono 4.200 (2.600 relative ai processi-lumaca) contro le 2.500 della Germania e le 1.289 della Gran Bretagna. Nel 2008 la lentezza dei processi è stata la causa di 51 delle 82 condanne inflitte dalla Corte all’Italia. «È proprio in questo contesto che va a inserirsi il ddl sul processo breve» sottolinea Enrico Costa, avvocato e membro della commissione Giustizia della Camera, che individua nel disegno di legge proposto dalla maggioranza «un valido percorso per restringere dei tempi ormai dilatati a dismisura». Qual è la durata “ragionevole” di un processo? «L’Europa ha sempre parlato di sei anni come lasso di tempo ragionevole per lo svolgimento di processo. Non bisogna trascurare che un processo per una persona significa pati-
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Enrico Costa • Processo breve
Secondo il ministro Alfano sarà circa l’1% dei processi attualmente pendenti a estinguersi per effetto del ddl sul processo breve C&P • GIUSTIZIA
mento, ansia, non solo per se stessa ma anche per la propria famiglia. È crudele protrarre questi momenti di sofferenza oltre misura. Quello che mi preme ribadire è che questo provvedimento non va ad incidere sui termini di prescrizione che rimangono gli stessi». Quali sono i criteri con cui sono stati selezionati i reati inclusi nell’elenco del disegno di legge sul processo breve? «Dal disegno di legge sono esclusi i reati caratterizzati da grave allarme sociale, tra cui il terrorismo, l’associazione mafiosa, rapine, omicidi ed estorsioni. La prescrizione varrà per i reati con pene massime non oltre i dieci anni e solo se l’imputato è incensurato. Laddove ci sia un reato particolarmente grave e odioso è più comprensibile che vengano un po’ meno alcune garanzie di tempestività nella risposta da parte dello Stato». L’esclusione dei reati legati all’immigrazione ha suscitato obiezioni. Perché si è deciso di non introdurli nel ddl? «Quello dell’immigrazione clandestina è un fenomeno molto sentito, tant’è che è stato riconosciuto come reato. Ed effettivamente può sembrare contraddittorio che compaia nel testo della proposta di legge accanto a crimini gravissimi. È chiaro che si provvederà a stemperare questa contraddizione, tuttavia trovo un po’ anomalo che l’opposizione si concentri su questo elemento. Anche perché il reato di immigrazione clandestina ha un termine di prescrizione molto breve». 33
Processo breve • Enrico Costa
I DETTAGLI DEL DDL resentato dal Pdl e sottoscritto dalla Lega, il ddl sul processo breve è arrivato in Senato. Composto da tre articoli, prevede tra l’altro che la prescrizione scatti dopo due anni dalla richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero per i processi in corso in primo grado e per reati «inferiori nel massimo ai dieci anni di reclusione». Per quanto riguarda la norma sulla prescrizione, il ddl prevede che l’imputato possa non avvalersi dell’estinzione del processo, presentando una dichiarazione in udienza. Nell’articolo 1 si fissano le modalità per la durata «ragionevole» dei processi, oltre la quale, se il ddl diventasse legge, il processo verrà estinto. «Non sono considerati irragionevoli - si legge nel testo - i periodi che non eccedono la durata di due anni per il primo grado, di due anni per il grado di appello e di ulteriori due anni per il giudizio di legittimità, nonché di un altro anno in ogni caso di
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giudizio di rinvio. Il giudice, in applicazione dei parametri di cui al comma 2, può aumentare fino alla metà i termini di cui al presente comma». Se vengono superati i limiti di ragionevole durata, il processo è estinto (articolo 2), «nei processi per i quali la pena edittale determinata ai sensi dell’art. 157 del codice penale è inferiore nel massimo ai dieci anni di reclusione». L’articolo 3 contiene «disposizioni relative all’entrata in vigore della legge e all’applicazione delle norme sull’estinzione processuale». Le disposizioni sul processo non si applicano nei processi in cui «l’imputato ha già riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se è intervenuta la riabilitazione, o è stato dichiarato delinquente o contravventore abituale o professionale». Non si applicano anche per i reati legati all’immigrazione (come chiesto dalla Lega), agli incidenti sul lavoro, alla mafia e al terrorismo.
L’accusa principale rivolta al provvedimento è che per ridurre i tempi lunghi dei processi rischia di stravolgerne l’impianto giuridico. Si corre davvero questo pericolo? «Non si punta assolutamente a stravolgere l’impianto giuridico dei processi, ma a migliorarlo. Perché non è accettabile che in alcuni tribunali vi siano dei rinvii a due o tre anni senza colpo ferire. In questo modo si incide su un diritto primario dei cittadini: quello di avere giustizia ed averla in tempi brevi. Lo Stato liberale si qualifica come tale nel momento in cui si astiene dall’infilarsi nelle questioni della vita quotidiana dei propri cittadini. Ma ci sono delle cose che lo Stato deve fare. Cioè garantire attraverso la giustizia che il più debole sia tutelato. Se però questa giustizia dà delle risposte tardive, lo Stato non si può più qualificare come liberale perché non tutela più i suoi cittadini». È giustificato il timore che processi importanti, da quello della ThyssenKrupp a quello del crack Parmalat, rischiano di essere cancellati? «Secondo il ministro della Giustizia Angelino Alfano sarà circa l’1% dei processi attualmente pendenti a estinguersi per effetto della proposta di legge sul processo breve. Mi pare che l’effetto indicato dal ministro sia molto più temperato rispetto a quello che ci fanno credere coloro che, anche strumentalmente, si oppongono a questo provvedimento». A tal proposito, l’opposizione paventa la possibile incostituzionalità. A suo avviso, ce ne sono i presupposti? «Il provvedimento in questo momento è al Senato. È necessario fare in modo che tutto corrisponda al meglio a quelle che sono le norme della Costituzione. Devo ammettere però che, dopo la sentenza sul lodo Alfano, anche di fronte a tutta la buona volontà del legislatore ci si possano aspettare provvedimenti un po’ al di là di quelle che sono le attese e i percorsi giuridicamente fondati». C&P • GIUSTIZIA
Gaetano Quagliariello • Processo breve
Una riforma prioritaria per i cittadini Da quindici anni si parla di riformare la giustizia e, in primis, le tempistiche processuali. «La durata dei processi in Italia raggiunge livelli non degni di un Paese civile» commenta Gaetano Quagliarello, senatore del Pdl. Il nuovo governo dice basta. Ora occorre passare dalle parole ai fatti di Nike Giurlani
Gaetano Quagliariello, senatore del Pdl e docente di Storia contemporanea alla Luiss di Roma
tempi della giustizia italiana sono inaccettabili. Questo è un dato di fatto. «Non è pensabile che una parte civile debba giungere ad aspettare oltre un decennio prima di vedere riconosciuti i propri diritti e di vedere riparato un torto», aggiunge Gaetano Quagliariello, senatore Pdl, tra i promotori del ddl sul processo breve. Ma non solo. Questo iter ha un costo, che ogni anno pesa in maniera consistente nelle casse dello Stato e degli italiani. Da tempo si parla di intervenire, perché «la razionalizzazione è un’esigenza avvertita in primo luogo dagli stessi operatori della giustizia», mette in evidenza il senatore. Quali sono le finalità del ddl processo breve? «La durata dei processi in Italia raggiunge livelli non degni di un Paese civile. L’Europa l’ha contestato più volte. Ogni anno circa 170mila procedimenti penali cadono in prescrizione, con il risultato che le vittime dei reati non ottengono giustizia e gli imputati innocenti non hanno l’opportunità di veder riconosciuta nel merito la propria non colpevolezza. E anche quando la prescrizione non arriva, i tempi dei processi sono comunque spesso incompatibili con un Paese civile. Senza contare che i costi che ricadono sullo Stato a causa di questa situazione sono ormai insostenibili. Sei anni per una sentenza definitiva, al netto delle indagini preliminari, è un tempo congruo: fissarlo per legge è un bene per i cittadini. Inoltre se questo provvedimento potrà contribuire a disinnescare il conflitto tra politica e giustizia che da quindici anni avvelena la vita pubblica italiana, sarà doppiamente il benvenuto». L’opposizione parla di rischio incostituzionalità, su quali basi? «Sul rapporto tra il Pd e i processi brevi ci sarebbe da scrivere
un libro. Nel 2004, e poi ancora nel 2006, con autorevoli firme fra cui quella di Anna Finocchiaro, la sinistra ha presentato un disegno di legge in Senato per fissare i tempi dei processi concedendo sei anni al primo grado comprese le indagini preliminari e calcolando dall'arrivo della notizia di reato, due anni per l'appello, due per la Cassazione e così via. Naturalmente, se approvata la loro legge sarebbe stata applicabile ai processi in corso se favorevole all'imputato. Ma il ddl del Pd non prevedeva alcuna esclusione per i pregiudicati, né faceva differenze tra reati minori e reati di mafia o di grave allarme sociale. Dunque, se oggi il ddl della sinistra diventasse legge, i processi ThyssenKrupp, Parmalat, processi per mafia e per omicidio, si estinguerebbero. Con la nostra legge no, perché il termine dei due anni per il primo grado non vale per i reati più gravi. La sinistra, però, paventa la prescrizione anticipata di processi che invece non corrono alcun rischio». Quale è l’iter previsto per l’approvazione del ddl? «Puntiamo a un’approvazione in tempi rapidi. Si tratta, però, di una legge di iniziativa parlamentare e, in quanto tale, aperta a qualsiasi contributo migliorativo che dovesse venire dalla maggioranza o dall’opposizione. Quel che non è accettabile è che si ricorra alle menzogne nel tentativo di criminalizzare e demonizzare preventivamente un disegno di legge. E poi il Pd fino a pochi anni fa riteneva il processo breve una proposta encomiabile. Ora è il male assoluto. Forse perché si dovrebbe fare una legge valida per tutti i cittadini italiani tranne che per Berlusconi?». Fanno eccezione alle disposizioni sull’estinzione del processo una serie di fattispecie penali, che riguardano reati comunque gravi.
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Processo breve • Gaetano Quagliariello
Sei anni per una sentenza definitiva, al netto delle indagini preliminari, è un tempo congruo «Siamo partiti dalla realtà sulla quale l’azione politica va a incidere e ci siamo quindi posti il problema delle diverse esigenze da contemperare.Tra queste la ragionevole durata del processo, l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge e l’opportunità che per reati gravi o di particolare allarme sociale potesse essere prevista un’esenzione rispetto ai termini prescritti dalla legge. La sinistra scelse di fissare dei tempi processuali che valessero indistintamente dal piccolo delinquente di strada al capomafia. Noi, a seguito di un confronto interno alla maggioranza che ha coinvolto anche l’altro ramo del parlamento, abbiamo individuato il punto di sintesi che si trova nel disegno di legge. Come tale esso è modificabile e perfettibile, il percorso parlamentare serve proprio a questo». Cosa pensa della controproposta della senatrice Finocchiaro? «Penso che quella proposta sia stata immaginata a suo tempo come il tentativo di porre rimedio a una situazione la cui gravità è sotto gli occhi di tutti. È pensabile che una parte civile debba giungere ad aspettare oltre un decennio prima di vedere riconosciuti i propri diritti e di vedere riparato un torto che ha subito? È possibile che un cittadino innocente che si trovi a essere imputato debba aspettare oltre un decennio prima di vedersi restituito l’onore in un Paese in cui la presunzione d’innocenza è ormai spesso un’alea da libro dei sogni? È possibile che la società debba aspettare oltre un decennio per sapere se un suo membro è colpevole oppure no? E, infine, è possibile che la collettività debba continuare a sobbarcarsi indennizzi milionari giustamente corrisposti a 36
chi subisce processi la cui durata va ben al di là della ragionevolezza? Nel primo semestre del 2009 sono stati già corrisposti risarcimenti per 13,6 milioni di euro; nel 2008 lo Stato italiano ha dovuto pagare 25 milioni e 14,7 milioni nel 2007. Voglio pensare che il disegno di legge presentato dal Pd nella scorsa legislatura, da cui oggi la senatrice Finocchiaro cerca di prendere le distanze per il solo fatto che potrebbe riguardare anche due processi a carico di Berlusconi, intendesse porvi rimedio nell’interesse della collettività. Con la differenza che il Pd non aveva previsto alcun binario per i processi di forte allarme sociale e per i reati gravi come quelli di mafia». Con il processo breve potrebbero arrivare anche la chiusura di alcune piccole Procure che potrebbero generare conseguenze ad effetto domino. Tutto ciò non comprometterà l'iter giudiziario, annullando i benefici del processo breve? «La razionalizzazione è un’esigenza avvertita in primo luogo dagli stessi operatori della giustizia. Ma nessuna scelta in tema di giustizia verrà assunta se non nell’ottica di una riforma globale del sistema giudiziario. Il ddl sul processo breve è solo uno dei provvedimenti riguardanti la riforma della giustizia. Abbiamo già riformato il processo civile, abbiamo inasprito la legislazione antimafia, ci stiamo occupando della professione forense, delle intercettazioni, del processo penale, e sono in cantiere riforme di rango costituzionale. È un impegno prioritario che abbiamo assunto di fronte ai cittadini, e non ci tireremo indietro». C&P • GIUSTIZIA
Proposte• Giorgio Spanio
Semplificare per competere Qualche timido segnale di ripresa economica si affaccia all’orizzonte. Per l’avvocato Giorgio Spanio questo è il momento di agire e attuare le riforme fondamentali per l’Italia. Con un unico, grande, obiettivo: semplificare l’immensa mole di norme. Magari introducendo testi unici su ogni materia del diritto di Stefania Battisti
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e gli imprenditori devono credere ancora nell’impresa bisogna dar loro la possibilità di avere fiducia nel futuro. E un Paese che offre la possibilità di credere nel futuro deve avere il coraggio di cambiare e diventare veramente competitivo e moderno». Così l’avvocato Giorgio Spanio, da sempre al fianco delle imprese e degli imprenditori italiani, lancia il suo appello alla classe politica: «occorre trovare il coraggio di attuare quelle riforme da troppo tempo attese». A partire da quegli interventi normativi che potrebbero rilanciare l’attività delle nostre imprese, vero motore di sviluppo per l’Italia. Con un primo obiettivo: la semplificazione normativa di quel mare magnum di codici e norme che affollano il nostro sistema. Non è una novità il fatto che nel nostro sistema normativo ci siano molti aspetti che andrebbero rivisti. Da quale parte occorre cominciare? «Credo che si debba metter mano a tutti i codici attualmente in vigore, senza limitarsi a intervenire su alcune parti di essi lasciando inalterate le altre. Per questo occorre un grande sforzo da parte dei giuristi del nostro Paese. Ad esempio in tema di processi, non c’è dubbio che sia quello civile che quello penale non siano del tutto adatti a un Paese che è sempre stato all’avanguardia sotto il profilo giuridico e normativo. È altrettanto indubbio, però, che la responsabilità della lentezza dei processi non sia imputabile unicamente alle norme».
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Giorgio Spanio• Proposte
In apertura, l’avvocato padovano Giorgio Spanio. Sotto, un archivio di “scartoffie”. Il proliferare delle norme frena lo sviluppo del nostro Paese
In che senso? «Sicuramente abbiamo regole complesse, che consentono tattiche difensive a volte strumentali. La lentezza dei processi, quindi, è riconducibile anche agli avvocati che nelle pieghe della norme in vigore trovano tutti gli strumenti possibili per rallentare il corso della giustizia, quando non è a loro favore. Ma anche la magistratura ha le sue responsabilità. In altre parole, l’Italia è come un treno di ultima generazione, che per correre più veloce ha bisogno di binari adeguati». In questo senso lo strumento legislativo del testo unico potrebbe essere utile? «Assolutamente sì. I testi unici dovrebbero essere utilizzati in quasi tutti gli ambiti giuridici: dalle imposte al diritto societario. In questo modo, il professionista, ma anche il cittadino, che vuole aggiornarsi sulle regole che disciplinano una determinata materia lo può fare semplicemente acquistando in libreria il testo in questione. Invece, oggi, è veramente complicato districarsi in questo mare magnum di leggi». Quanto questo proliferare di norme incide sul fare impresa e sullo sviluppo del nostro Paese?
«Enormemente. Complica la vita degli imprenditori, che devono quasi ogni giorno affrontare problemi di carattere amministrativo, burocratico e normativo oppure sono costretti a rivolgersi a professionisti per venir fuori dall’empasse nella quale si sono andati a cacciare. Penso, ad esempio, a quanto è difficile predisporre la propria dichiarazione dei redditi. Alzi la mano chi è capace di compilare da solo il proprio modello unico. Pure costituire una società non è agevole, anche se molto si è fatto in questo senso negli ultimi anni. Una persona invece dovrebbe poter andare a uno sportello, pagare una tassa e costituire la società, senza tanti formalismi o complessi statuti preparati da avvocati o da notai». A proposito di notai, lei crede che sia una figura non sempre indispensabile? «Non voglio entrare nella querelle europea riguardante la possibilità per gli avvocati di svolgere anche il ruolo di notai. Per molti atti ritengo che il notaio, nella veste di pubblico ufficiale, sia difficilmente sostituibile in quanto garantisce un’imparzialità che l’avvocato non ha e non può avere. Esistono, tuttavia, molte materie in cui a tutt’oggi è richiesto l’intervento del notaio per me non necessario. Ma
L’Italia è come un treno di ultima generazione, che per correre più veloce ha bisogno di binari alla sua altezza
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Proposte• Giorgio Spanio
Sopra, un’impresa italiana alle prese con il difficile momento economico mondiale. Nell’altra pagina, ancora Giorgio Spanio
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anche in questo ambito molto per fortuna è stato semplificato». In tema di riforme, qualche anno fa è stata varata quella fallimentare, un pilastro importante in materia societaria. A cinque anni di distanza, quale bilancio si sente di fare? «Non dispongo di dati statistici per dire se quella riforma ha centrato tutti gli obiettivi che si era prefissa. Certamente è stata una riforma importante, che ha cercato di allargare le maglie in tema di soluzioni di casi critici dell’impresa, ma mi sembra che si sia lasciata troppa discrezionalità in mano al soggetto che dovrebbe proporre ai creditori delle soluzioni di salvataggio. Così facendo alla magistratura è stato sottratto quel compito di controllo che prima era forse sì eccessivo, ma che oggi è diventato a mio parere troppo blando. Ci sarebbe allora bisogno di interventi che chiariscano meglio i poteri dei privati e quelli della magistratura in ambito di procedure concorsuali». In linea più generale, quali sono le esigenze più urgenti di riforma a sostegno dell’imprenditoria? «Bisogna sicuramente cercare di snellire sempre di più il rapporto tra impresa e Pa. Mi piace la riforma del ministro Brunetta, che si pone l’obiettivo di modernizzare il Paese, avvicinando lo Stato al cittadino e viceversa. Mi piacerebbe C&P • GIUSTIZIA
Giorgio Spanio• Proposte
DALLA PARTE DELLE IMPRESE pecializzato in diritto civile, l’avvocato Giorgio Spanio si è occupato in particolare dell’ambito contrattuale e societario, di operazioni di M&A e di diritto sportivo. Laureato in Giurisprudenza all’Università di Bologna con il massimo dei voti, già partner di Pavia e Ansaldo dal 1997 al 2004, nel 2005 ha fondato insieme a quattro soci lo studio Agnoli, Bernardi e associati, spin off di Pavia e Ansaldo, che quattro anni dopo si è fuso con lo studio Pirola Pennuto Zei, dando vita a Pirola Pennuto Zei & Associati. Oggi lo studio conta
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oltre 500 professionisti e si presenta come il più grande studio legale e tributario italiano. Giorgio Spanio è membro della Camera arbitrale patavina e ricopre la carica di consigliere in importanti società non solo italiane. Tra le ultime operazioni di cui si è occupato, Spanio ha assistito, insieme al collega Davide Rubino, dell’acquisizione da parte del gruppo italiano Iniziative Generali ’96 Spa di una quota rilevante della società Kolonel d.d. di Maribor (Slovenia), che occupa circa 22mila dipendenti e ha un giro d’affari complessivo di 3,4 miliardi di euro.
L’impresa sta galleggiando, cerca di salvarsi, e purtroppo non vedo grandi segnali di ripresa. Le banche sono caute; le tasse rimangono sostanzialmente invariate, perché le casse dello Stato languono; il Pil non induce di certo all’ottimismo. Per questo credo che occorrano importanti riforme C&P • GIUSTIZIA
altresì che il rapporto tra Stato e cittadini fosse più leale di ciò che è oggi, e questo vale ovviamente anche in ambito societario: l’imprenditore dovrebbe aver modo di accedere con più facilità alla Pa e quest’ultima, a sua volta, non dovrebbe avere nei confronti degli imprenditori un atteggiamento ostile. Questo vale, ad esempio, quando si parla dell’autorità fiscale o giudiziaria: mi piacerebbe che venissero svolte indagini o istruttorie senza atteggiamenti inquisitori o peggio aggressivi ai quali a volte si assiste. Il rapporto di verifica e controllo dovrebbe essere svolto in un clima sereno, senza che l’imprenditore si senta in balìa dell’autorità». A questo proposito, secondo la sua esperienza al fianco degli imprenditori, ritiene che negli ultimi tempi siano incrementati i controlli di natura fiscale? «Mi sembra evidente che sia in atto non solo in Europa, ma in tutto il mondo, a partire dagli Stati Uniti, una politica molto attenta in tema di evasione fiscale. Ci si rende conto che non vi è ancora quel rapporto che ci dovrebbe essere tra cittadini e tasse. Sono molti i cittadini che cercano di trovare escamotage per non pagare le – giuste – imposte; questo provoca mancanze alle casse dello Stato, che di conseguenza deve essere sempre più attento e vigile per ciò che riguarda i tentativi di eludere la normativa in materia fi41
Proposte• Giorgio Spanio
Un’altra foto di Giorgio Spanio, avvocato specializzato in diritto societario
scale. Anche lo scudo fiscale s’innesta in un quadro economico particolare in cui, da un lato, si cerca di far rimpatriare i capitali dall’estero per sostenere la ripresa e, dall’altro, si impone una maggiore severità nei controlli». Sono state avanzate proposte, poi non attuate, di taglio dell’Irap o di detassazione della tredicesima. Potrebbero essere strumenti utili per le imprese? «Presumo che il ministro Tremonti avrebbe piacere e voglia di fare provvedimenti apprezzati, come il taglio dell’Irap o la detassazione della tredicesima.Vista la sua competenza, l’unica giustificazione al fatto che questi provvedimenti non siano stati ancora attuati è da imputare alla mancanza di adeguate risorse nelle casse dello Stato. I conti pubblici non lo hanno, ancora, permesso». In una situazione come quella attuale, dove il peggio della crisi sembra ormai passato, come si do-
vrebbe muovere l’Italia per agganciare la ripresa? «Il governo ha fatto certamente tanto, ma molto si deve ancora fare; è arrivato il momento di agire e di mettere mano alle riforme importanti e significative da tempo annunciate. L’impresa sta galleggiando, cerca di salvarsi, e purtroppo non si vedono forti segnali di ripresa. Le banche sono caute ed è giusto che lo siano perché il rischio oggi è alto; le tasse rimangono sostanzialmente invariate, perché le casse dello Stato sono abbastanza vuote e più di tanto non si può tagliare; c’è un forte debito pubblico e il Pil non induce di certo all’ottimismo. Per questo credo che occorrano riforme. Adesso è il momento di “rivoltare come un calzino” questo Stato, altrimenti non ce la faremo. In questo senso, credo che nessuno possa rimproverare al governo di appartenere al partito del “non fare”, ma in questa situazione bisogna gettare il cuore oltre l’ostacolo e fare ancora di più di quanto non si sia fatto sino ad oggi».
I testi unici dovrebbero essere utilizzati in tutti gli ambiti giuridici: dalle imposte, al diritto societario. Invece, oggi, è veramente complicato districarsi in questo mare magnum di leggi
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Sistemi a confronto • Guido Calabresi
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Guido Calabresi • Sistemi a confronto
Il diritto tra due mondi
Due sistemi a confronto. Diversi nella forma ma, nell’essenza, più vicini di quanto si creda. Il giudice Guido Calabresi, docente emerito della Yale Law School, riflette sul rapporto tra common law e civil law alla luce della teoria economica. E ricorda: la fiducia nella giustizia non dovrebbe mai venire meno di Daniela Panosetti
conomia e diritto. Cattedra e toga. Il destino di Guido Calabrese, fin da quando lasciò l’Italia per metter piede sul suolo americano, sembra quello di muoversi sempre, con naturalezza, tra almeno due mondi. Ed è forse questo sguardo duplice, questa capacità di visione lucida, ma trasversale che gli ha permesso di diventare, nel 1959, il più giovane professore di Yale e uno dei fondatori della teoria economia del diritto. A Yale, Calabrese, insegna tuttora. Dal 1994, però è anche giudice del secondo circuito, la corte di appello federale. E da questa nuova posizione non smette di interrogarsi sul diritto, sulla sua importanza per la democrazia. Un valore che, sottolinea, rimane lo stesso al di là delle differenze formali e procedurali. E che annulla, a questo livello, la distanza tra Europa e America, tra common law e civil law. Professore dal 1959 e, dal 1994, giudice federale. Come è cambiata la sua prospettiva sulla legge passando da un ruolo all'altro? «Si tratta in realtà di un passaggio abbastanza comune negli Usa. La carriera di giudice non è come in Europa una carriera indipendente. Molto spesso i giudici federali sono grandi avvocati, politici e a volte, come nel mio caso, accademici. E tuttavia, è un cambiamento importante, che si manifesta prima di tutto in un diverso modo di valutare gli effetti del proprio pensiero. Un professore può occuparsi di diritto a un livello molto astratto e, per quanto lo faccia pensando sempre alle possibili conseguenze pratiche, non è questo che lo muove, quanto l’esigenza di sistemare un dato campo teorico. Un giudice invece
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Guido Calabresi è professore presso la Yale Law School, di cui è stato anche preside, e giudice presso la Corte d’Appello del secondo circuito negli Stati Uniti. Nato in Italia e naturalizzato statunitense, è considerato uno dei fondatori dell’analisi economica del diritto
deve essere pienamente cosciente di quello che la sua decisione produce, per quali persone e in quali circostanze specifiche. C’è un detto che cito spesso:“Fate giustizia anche se cadono i cieli”. Ma per chi deve decidere, se cade il cielo è una faccenda piuttosto seria! Un professore invece può scriverlo, perché si muove nel regno delle idee, dove i cieli certo non cadono. È questo il discrimine fondamentale». L’analisi economica del diritto è basata sul principio dell’efficienza giuridica ovvero sulla capacità di una legge di produrre il massimo beneficio economico. È un principio applicabile anche sistema europeo? «Non c’è dubbio che le leggi abbiano un effetto economico e che questo rappresenti un parametro fondamentale per valutarne la sensatezza e, quindi, formulare proposte correttive. La differenza sta nei soggetti a cui vengono rivolte. Nei sistemi di civil law ci si indirizza al legislatore, in quelli di common law spesso 45
Sistemi a confronto • Guido Calabresi
spetta ai giudici sviluppare le norme. Non bisogna, però, esagerare nelle contrapposizioni perché in realtà in America il compito dei giudici è molto più limitato di quanto si creda: anche qui c’è un’enorme differenza tra il giudice statale, che in certi campi, come contratti e responsabilità civile, ha in effetti molto più spazio per articolare il diritto, e il giudice federale, che invece ha un raggio di azione più limitato». In generale si ritiene che il sistema di common law sia più efficiente, in termini economici, di quello di civil law. «È un’opinione sostenuta da chi, come la cosiddetta Scuola di Chicago, ritiene che in determinate situazioni decidere caso per caso sia meglio che definire le leggi a un livello generale, fissandole in codici. È una questione complessa su cui si discute da tempo. Personalmente credo sia un problema non di principio, ma di situazioni. In certe materie è preferibile partire dal caso specifico, in altri è meglio muoversi a un livello di astrazione più alto. Ma questo vale anche, ad esempio, in un campo particolare nella teologia. Penso, ad esempio, alla casistica dei gesuiti che sembra funzionare meglio di dottrine la cui applicazione si suppone universale». Leggi diverse avrebbero potuto evitare la crisi dell’ultimo anno o si è trattato di pure dinamiche economiche? «Penso vadano considerati entrambi gli aspetti. In economia i movimenti ciclici, dall’esaltazione al declino, sono inevitabili, sia nella produzione che nel sistema bancario. Quando i due cicli coincidono e al crollo finanziario si somma quello produttivo, le 46
In America, in realtà, c’è un’enorme differenza tra il giudice statale, che in certi campi ha molto spazio per articolare il diritto, e il giudice federale, dal raggio di azione più limitato C&P • GIUSTIZIA
Guido Calabresi • Sistemi a confronto
conseguenze si fanno ovviamente molto più serie. È quello che è accaduto anche nel 29. Detto questo, però, credo non vi siano dubbi che l’orientamento del diritto e il trattamento legislativo a cui l’economia è stata sottoposta negli anni precedenti ha aggravato la situazione: alcuni criteri di regolamentazione prima esistenti sono stati soppressi, mentre sono stati creati nuovi strumenti senza tener conto del rischio concreto che si portavano dietro. Ma anche in questo occorre soppesare i giudizi. Perché se si additano solo i colpevoli del momento, ci dimentica che i cicli economici ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Se d’altra parte si risolve tutto in una dinamica fisiologica si perde di vista la responsabilità e dunque la possibilità di evitare che le oscillazioni normali divengano, come è accaduto, catastrofiche». In Italia ormai da tempo la fiducia dei cittadini nel sistema giustizia è quasi svanita. Negli Stati Uniti la situazione è diversa? «Certo l’italiano medio ha ben poca fiducia nella giustizia, ed è facile capire perché. Ma è un problema specifico, che prescinde da ogni confronto. Quanto agli Stati Uniti, sono molte le ragioni per cui il cittadino è più fiducioso. Le critiche alla gestione della giustizia non mancano, ma il mito della giuria è forte. Il semplice fatto che sia composta di cittadini ordinari rappresenta, nel senso comune, una garanzia di sensatezza e ragionevolezza. Questo, però, non ha impedito che recentemente si verificassero attacchi feroci al sistema ordinario di giustizia, in particolare sulla sua presunta inefficacia e incapacità di affrontare minacce particolari come il terrorismo. È quanto è avvenuto quando si è deciso di far processare la presunta “mente” dell’11 settembre da una corte C&P • GIUSTIZIA
ordinaria. Un caso che con ogni probabilità, se ci sarà un appello, verrà sottoposto anche al collegio di cui faccio parte». Da dove vengono queste accuse? «Perlopiù da personaggi politici che hanno interesse a instillare un clima di paura e di insicurezza nell’opinione pubblica. Una strategia che, personalmente, trovo molto pericolosa e preoccupante. Perché una volta che si inizia a dubitare della giustizia per un caso specifico, il rischio è di delegittimare il sistema nella sua totalità. Mentre è essenziale per la democrazia che la gente conservi questa fiducia, al di là degli errori che è normale possano verificarsi. In realtà non c’è alcun motivo di pensare che la giustizia ordinaria non possa trattare questioni come il terrorismo con la stessa efficacia. Nel processo ai responsabili del primo attentato al Wto, nel 93, il sistema funzionò perfettamente e lasciò nel pubblico americano un grande senso di sicurezza, che è proprio quello che oggi manca». Spesso, per spiegare la sua teoria, ricorre a una metafora dello spirito maligno, che propone di scambiare un dono per l’umanità intera con il sacrificio di migliaia di persone. Cosa insegna questa parabola? «Che l’uomo si trova, inevitabilmente, in una condizione tragica, che in nome del bene comune, di diritti ideali e senza prezzo come la vita e la sua salvaguardia, deve accettare, nella pratica, scelte terribili, che implicano distruzione, danni e morte. Serve a ricordarci che anche in questo dilemma, bisogna mantenere dignità e la consapevolezza che certi valori sono sacrosanti, perle inestimabili. Che ogni scelta implica un rischio, ma bisogna farla in modo da dichiararsi, sempre, dalla parte della vita». 47
Terrorismo islamico • Stefano Dambruoso
L’integrazione è un’arma per sconfiggere il terrorismo Dopo l’11 settembre, il terrorismo islamico fa paura. Ma il rischio è vedere nell’immigrato un diverso da non accettare. Stefano Dambruoso, capo dell’Ucai, rassicura che l’attenzione al fenomeno è adeguata alla portata. Ed esorta: occorre «spingere sull’integrazione» di Giusi Brega 48
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Stefano Dambruoso • Terrorismo islamico
Italia non è mai stata colpita in maniera eclatante dal terrorismo islamico come accaduto in Gran Bretagna e Spagna. Erano sì presenti cellule jihadiste, ma queste vi vedevano un Paese di transito, dove organizzare proseliti da inviare in Afghanistan o in Pakistan. L’attentato di Milano del 12 ottobre scorso ha, però, scosso gli animi di fronte ai “terroristi in franchising” che sfruttano il marchio jihadista senza essere collegati alle grandi centrali del terrore. Stefano Dambruoso, oggi a capo dell’Ucai, l’ufficio per il coordinamento dell'attività internazionale, e per otto anni sostituto procuratore della Repubblica a Milano, dove si è occupato in particolare di inchieste sul terrorismo ultra-fondamentalista islamico, però, avverte: «Tenere aperte tutte le vie per l’integrazione è una sorta di strumento intelligente». Come sono cambiate le strategie di difesa contro il terrorismo islamico dal 2001 a oggi? «C’è una accresciuta e, al contempo, più informata attenzione nei confronti del fenomeno. Prima dell’11 settembre, solo gli addetti ai lavori, gli specialisti in senso stretto, erano consapevoli della portata del fenomeno e dei rischi che rappresentava per la sicurezza internazionale. Dopo l’attentato del 2001, si è improvvisamente realizzato che questo fenomeno non era confinabile nell’allora area afghana. Su sollecitazione degli Stati Uniti, tutte le polizie del mondo hanno iniziato a monitorarlo con attenzione e oggi, dopo otto anni, posso consapevolmente affermare che l’attenzione nei confronti del terrorismo è adeguata alla sua portata».
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La nascita di Eurojust, a cui lei ha partecipato, traeva origine proprio dalla necessità di elaborare una risposta transnazionale al terrorismo. Quali sono i principali obiettivi raggiunti? «Questa struttura è nata con lo scopo di mettere in contatto, ottimizzandone la cooperazione, tutte le procure e gli uffici inquirenti dei Paesi che ne fanno parte e che, prima della sua creazione, andavano avanti nella gestione del terrorismo sulla scia di rapporti personali che, di volta in volta, venivano avviati ma che, proprio perché non adeguatamente strutturati, non sempre davano i risultati sperati». In diverse occasioni lei ha proposto l’istituzione di una sorta di direzione nazionale dell’antiterrorismo. Quali vantaggi comporterebbe? «Il controllo del fenomeno ha la necessità di essere centralizzato. In passato è accaduto che anche quando venivano individuate cellule terroristiche in alcune parti d’Italia, i vari uffici di polizia avviavano delle indagini. Purtroppo, però, non sempre c’era una trasmissione consequenziale tra le procure italiane interessate al contrasto di quel tipo di cellule. Accadeva così che non si sapesse ad esempio che a Torino ci fossero delle persone che avevano dei contatti con Milano e, quindi, una cellula che poteva sembrare solo torinese o solo milanese in realtà era parte di un’unica area che aveva magari dei referenti fuori dall’Italia. La centralizzazione, il riversare tutto in un unico ufficio, che ha funzionato già nel contrasto alla mafia, consente un’analisi completa dei fatti». Da quali Paesi arriva la maggior parte dei militanti o 49
Terrorismo islamico • Stefano Dambruoso
simpatizzanti di Al Qaeda? «Parlare di Al Qaeda oggi è abbastanza improprio. È più corretto parlare di persone appartenenti al fondamentalismo jihadista. Negli ultimi anni in Italia, anche per una questione di vicinanza geografica, si è registrata una provenienza prevalentemente nordafricana: gli egiziani prima, tunisini e marocchini poi». Negli ultimi anni l’identikit del terrorismo islamico sembra essere cambiato. Dopo l’attentato alla caserma Santa Barbara a Milano si è parlato di “franchising del terrorismo”. Cosa significa? «Significa che oggi è possibile che vi siano persone che, per ragioni ideologico-religiose da un lato e assolutamente personali dall’altro, a un certo punto decidono di manifestare la loro rabbia nei confronti della vita e della società in cui hanno avuto difficoltà a inserirsi. Questi gruppi di persone non fanno parte di alcuna organizzazione più grande, come appunto Al Qaeda, nel senso che non c’è un capo che dall’Afghanistan dia ordini alle cellule e ai capi delle cellule che sono basate in Europa. Cosa che è accaduta fino a tutto il 2003. Con il termine franchising ci si riferisce a cellule faida-te, che portano avanti una loro personale Jihad con un riferimento esclusivamente ideologico a gruppi strutturati e basati altrove». La a sembra essere il principale snodo della rete sotterranea del terrorismo in Italia. Perché? «Milano, insieme a Torino, Cremona e Bologna, ha una comunità di arabi che hanno avuto difficoltà a integrarsi ma che, 50
In apertura, Stefano Dambruoso, per otto anni sostituto procuratore della Repubblica a Milano; un’immagine dell’attentato al WTC e alla subway di Londra. In questa pagina, ground zero, la moschea di Torino, e, qui sopra, Mohammed Game, autore dell’attentato alla caserma dell'esercito in piazzale Perrucchetti a Milano. Nella pagina accanto, un altro drammatico momento dell’attentato alle Twin towers C&P • GIUSTIZIA
Stefano Dambruoso • Terrorismo islamico
Occorre fermezza nei confronti degli immigrati musulmani affinché rispettino la nostra costituzione e i nostri cittadini abitando in una grande metropoli, hanno la possibilità di vivere da immigrati dissimulati. Si tratta di persone che vivono in maniera non palesemente fondamentalista ma, nelle loro case, è accaduto che passassero la notte a progettare possibili attentati. Il capoluogo lombardo, in particolare, è vicino ad altre città europee dove, fino al 2004, c’erano delle cellule che avevano sempre quello strascico di riferimento a un’organizzazione centralizzata come Al Qaeda». Spesso gli attentatori sono cittadini del Paese colpito, immigrati di seconda generazione. Quali sono le ragioni di questo fenomeno? «Lo si contrasta spingendo sull’integrazione. L’Italia ha un’immigrazione più recente rispetto a quella di altri Paesi, come ad esempio l’Inghilterra e la Francia, perché il nostro è sempre stato prevalentemente un Paese di passaggio. Solo negli ultimi 15 anni si è registrata un’immigrazione più stanziale. Negli altri Paesi una parte della comunità araba e musulmana non fondamentalista non riesce a integrarsi adeguatamente. I loro figli vivono il disagio sociale dovuto alla mancata integrazione e, educati da cattivi maestri, finiscono per sfogarlo con attività violente camuffate da motivazioni religiose». Realisticamente, quale tipo di minacce si potrebbe verificare in Italia, considerando il livello di attenzione a cui è arrivata l’intelligence nazionale ed europea? «I fatti di Milano rappresentano quali tipologie di minacce possono essere messe in atto in Italia». Spesso le moschee sono viste come luoghi di aggregazione di cui si servono i terroristi. È una visione reale? C&P • GIUSTIZIA
«Molte volte quelle che noi chiamiamo moschee sono in realtà garage o scantinati che vengono destinati a un uso religioso. Finché funzionano solo in questi termini in virtù della libertà di religione non rappresentano un pericolo. Purtroppo però, più di una volta, alcune moschee hanno consentito di portare avanti insegnamenti e stimoli alla Jihad camuffati da pratica religiosa». Si può sconfiggere il terrorismo islamico? «Sono ottimista in questo senso, soprattutto perché dall’11 settembre a oggi ci sono stati degli ottimi risultati. Dobbiamo essere consapevoli che questo è un fenomeno che oramai appartiene alla nostra società e per questo dobbiamo accettare alcuni disagi che derivano dall’opera di prevenzione, come i controlli e le limitazioni in aeroporto. Per contrastare il terrorismo occorre fermezza nei confronti degli immigrati musulmani che arrivano nel nostro Paese affinché rispettino la nostra Costituzione, i nostri cittadini e i principi fondamentali della democrazia. Principi che devono essere assimilati e condivisi. Questo è un punto dal quale non si può prescindere unitamente alla capacità di dare risposte forti e ferme se alcuni musulmani dovessero svolgere attività di supporto alla Jihad. Allo stesso tempo, bisogna aiutare l’integrazione affinché non si ripeta, come è accaduto l’indomani dei grandi attentati a Madrid e Londra, la rottura di un percorso che farebbe cadere tutti nel pregiudizio e nella difficoltà di accettare l’immigrato, il diverso. Di fronte al terrorismo, tenere aperte tutte le vie per l’integrazione è una sorta di strumento intelligente». 51
La Corte dell’Aja • Cuno Tarfusser
A difesa delle vittime dimenticate Cuno Tarfusser, da marzo, siede alla Corte internazionale penale dove gli è stato affidato il dossier del Darfur. «Fondamentale è la collaborazione con gli Stati», avverte Tarfusser che paragona la Corte a uno straordinario copione: «Sta ora a noi attori interpretarlo a dovere, consapevoli dell’importanza che la Corte può giocare nel processo di pacificazione» di Federica Gieri
idare voce, e giustizia, alle vittime dimenticate. Non ci sono faldoni alla Corte penale internazionale de L’Aja, ma file che viaggiano via mail. Asettici nella forma, ma dolorosi nella sostanza. Testimoniano di genocidi, aggressioni, crimini di guerra e contro l’umanità le cartelle elettroniche di procuratori e giudici dell’Icc (International criminal court), istituito nel 1998 dalla conferenza diplomatica tenutasi a Roma e funzionante dal 2003, per sostituirsi nel giudizio alle magistrature locali qualora non siano in grado o non intendano operare. A “mettere in moto” le procedure può essere la richiesta di uno dei 110 Stati che hanno ratificato lo Statuto di Roma – la carta che definisce compiti, funzionamento e struttura della Corte –, oppure la richiesta del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite oppure motu proprio dal procuratore capo Luis Moreno-Ocampo. È la storia scritta da innocenti silenziosi che emerge dalle stanze de L’Aja. Al giudice Cuno Jakob Tarfusser, appena arrivato dalla procura di Bolzano, assegnano il Darfur, la regione occidentale del Sudan martoriata dal 2003 da una guerra civile che il presidente Omar Hassan Ahmad Al-Bashir reprime anche con l’aiuto dei diavoli a cavallo, i Janjaweed, milizie mercenarie responsabili di vessazioni, stupri e uccisioni civili delle tribù fur, masalit e zagawa. Con un bilancio da tragedia umanitaria: 300mila morti, 200mila rifugiati e 3,5 milioni di profughi. Il dossier sudanese è il più caldo, anche per le implicazioni politiche, tra quelli pendenti all’Icc dove Moreno-Ocampo,
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Cuno Jakob Tarfusser, unico giudice italiano alla Corte internazionale penale a L’Aja. Sopra un’immagine del bureau dell’Icc
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Cuno Tarfusser • La Corte dell’Aja
Tra pace e giustizia c’è un’apparente dicotomia. In realtà, sono le facce della stessa medaglia. Devono coesistere e camminare senza che l’una debba fare strada all’altra una manciata di giorni prima del debutto di Tarfusser (unico italiano in quel consesso), ha chiesto alla Camera preliminare dell’Icc di spiccare un mandato di arresto proprio contro AlBashir per genocidio e crimini di guerra. La pagina più eclatante scritta da questa Norimberga del Darfur che ha già attestato violenze sessuali, uccisioni e torture sfociate anche nell’incriminazione di Ali Kushayb, il “colonnello dei colonnelli” dei Janjaweed, e Ahmad Muhammad Harun, ex ministro degli Interni, che avrebbe incitato i diavoli a cavallo. Al Bashir è, però, ancora a piede libero. C&P • GIUSTIZIA
«Una volta spiccato il mandato di cattura, il procedimento si ferma fino a che non viene eseguito. La Corte non può giudicare in contumacia. Inoltre, non avendo una polizia giudiziaria propria, è legata alla collaborazione con gli Stati». Il governo di Khartoum però non riconosce l’autorità della Corte e quindi non da esecuzione all’ordine. «Certo, il Sudan non ha ratificato lo Statuto di Roma, ma sono certamente in atto pressioni politiche e diplomatiche per arrivare alla resa. Ma ciò non è di nostra competenza. 53
La Corte dell’Aja • Cuno Tarfusser
LA MANO LUNGA DELLA CORTE NEL MONDO fghanistan, Colombia, Costa d’Avorio, Georgia e Palestina: potrebbero essere i prossimi fascicoli al centro dell’operato della Corte. Procedure da affiancare alle cinque, Darfur incluso, già aperte. Primo a essere arrestato su mandato dell’Icc, è Thomas Lubanga Dyilo, militare della Repubblica democratica del Congo, accusato di crimini di guerra, nell’ambito della Seconda guerra del Congo (1998-2003), per “aver coscritto e arruolato bambini sotto l’età di 15 anni e averli utilizzati per partecipare attivamente alle ostilità”. A gennaio è cominciato a L’Aja il processo. La prossima udienza è imminente e si svolgerà non appena la camera d’appello si sarà pronunciata su una questione processuale sollevata dalla difesa. Lubanga, fondatore e leader del gruppo ribelle filo-ugandese dell'Unione dei patrioti congolesi (UPC), ha giocato un ruolo chiave nel conflitto dell’Ituri. Sotto il suo comando, i ribelli sono stati accusati di massacri etnici, uccisioni, torture, stupri, mutilazioni e coscrizioni forzate di bambini soldato. Sempre in Congo, si aprono in questi giorni, e precisamente il 24 novembre, le porte dell’aula olandese per Germain Katanga (già leader Frpi) e Mathieu
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Ngudjolo Chui (colonnello dell’esercito congolese, già comandante Fni e Frpi), entrambi imputati di crimini contro l’umanità e di guerra commessi durante la Seconda guerra del Congo. Proviene dalla Repubblica Centrafricana, l’accusa per crimini di guerra e contro l’umanità addossati a Jean Pierre Bemba Gombo alla sbarra ad aprile 2010. Congolese, Bemba ha guidato il Movimento per la liberazione del Congo, gruppo di ribelli riconvertiti alla politica. Nel 2002, il presidente della Repubblica Centrafricana, AngeFelix Patassé invita l’Mlc a venire nel suo paese per un colpo di stato. Richiesta di arresto anche per Joseph Kony, leader dell’Esercito di resistenza del Signore, un gruppo di ribelli ugandesi che insanguina il Nord Uganda. Trentatrè i capi di accusa, tra cui, omicidio, riduzione in schiavitù, schiavismo sessuale e stupro, maltrattamenti e attacchi intenzionali di civili, saccheggio, induzione allo stupro, rapimento e sfruttamento di bambini. Chiude il Kenya. I giudici della camera preliminare della Corte dell’Aja stanno valutando se ci sono gli estremi per autorizzare le indagini sui disordini che si sono verificati dopo le elezioni 2007-2008.
L’Icc deve dimostrare di essere ciò che il mondo si aspetta: una Corte di giustizia che, attraverso la propria azione, agevola la costruzione del processo di pace
Noi possiamo solo aspettare». Fino a questo momento pareva esserci “resistenza” ad accusare Al Bashir. «Non credo. Non ci addentriamo in valutazioni politiche o di opportunità. Siamo un organo giudiziario e valutiamo esclusivamente il materiale probatorio di cui disponiamo». Da tempo, Ong e media denunciavano le violenze in Darfur, crede che l’Icc non si sia mosso in ritardo? «Come ho detto, il Sudan non ha ratificato lo Statuto e quindi non è uno Stato-parte e non riconosce l’Icc. La nostra giurisdizione si fonda sulla risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ Onu del 2005. Quindi prima di allora non era possibile intervenire». Darfur, ma anche Uganda, Congo, Repubblica Centrafricana e Kenya. L’Africa può essere considerata un concentrato di crimini di guerra? «La gran parte dei Paesi africani, 30 su 110, è Stato-parte. È evidente che in molti altri luoghi ci sono conflitti che potrebbero essere di nostra competenza, ma senza l’adesione allo Statuto. In Africa c’è voglia di girare pagina. Ad esempio, dopo che è stato annunciato l’inizio di un’indagine sulle violenze post elettorali del 2007-2008, la Corte è diventata quasi un tribunale del Kenya. C’è una fortissima aspettativa verso il nostro operato. Molti paesi africani si affidano a noi». Perché diffidano dei loro tribunali? «Non credo sia diffidenza, credo sia più una questione d’insufficienza di risorse e strutture in grado di sostenere simili procedimenti per dimensioni e anche per conflittualità interne». Talvolta si ha l’impressione che la diplomazia “prevarichi” le vostre decisioni. Esemplare il caso AlC&P • GIUSTIZIA
Cuno Tarfusser • La Corte dell’Aja
Bashir: voi lo volete arrestare, il presidente Obama apre al dialogo. Così facendo non si depotenzia il vostro lavoro? «Non penso. C’è solo un’apparente dicotomia tra pace e giustizia. In realtà, sono le due facce della stessa medaglia. Devono coesistere e camminare senza che l’una debba fare strada all’altra. La politica viaggia su altre direttrici. Non ha, giustamente, le nostre regole e procedure tese a tutelare tutte le persone coinvolte nel procedimento. Noi ci focalizziamo sui fatti e le conseguenti responsabilità. La politica ha un raggio di azione più ampio. Ma la giustizia deve poter intervenire per sanzionare comportamenti illeciti». Non stride il fatto che lo stesso paese finito sul banco degli imputati sia anche quello che chiede il vostro intervento e poi vi ostacola? «Da noi non ci sono paesi sul banco degli imputati, ma persone e una volta avviato il procedimento questo non si ferma di fronte agli ostacoli. Certo il rapporto tra gli Stati e la Corte non è ancora ben oliato. Il reciproco rapporto di fiducia va costruito giorno per giorno e in questo senso l’Icc deve guadagnarsi la fiducia dimostrando indipendenza di giudizio ed efficienza. Insomma deve essere ciò che il mondo si aspetta: una corte di giustizia che, attraverso la propria azione, agevola la costruzione del processo di pace». Si può dire che l’Icc vesta i panni di peacekeeper? «Non ontologicamente. La sua funzione è accertare reati e agire di conseguenza. È evidente, però, che contribuisce al processo di pacificazione. Una volta che la politica ricompone un conflitto, rimangono, lo si è visto in Ruanda e nell’ex Jugoslavia, situazioni personali. Le vittime dei crimini si trovano spesso a vivere porta a porta con chi li ha comC&P • GIUSTIZIA
messi. Per effetto della pace le ostilità tacciono, ma il carnefice rimane impunito. Oltre ad essere ingiusto, ciò alimenta il focolaio di una possibile ripresa delle ostilità. Chi subisce atrocità, ha diritto ad avere anche giustizia, non solo pace. L’operato della Corte può portare ad una pace più vera e duratura». Per evitare che le vostre decisioni rimangono sulla carta, non esistono mezzi di coercizione internazionali? «Non c’è uno iato tra le nostre decisioni e gli Stati. È una questione di mentalità il doversi abituare all’esistenza di un istituzione, come la Corte: non è normale che uno Stato consegni un proprio cittadino a un organo esterno. Occorre un processo di inserimento della Corte in un contesto mondiale: il nostro compito è anche quello di lavorare acquisire la fiducia di quegli Stati che non hanno ancora ratificato lo Statuto di Roma per diventare veramente una Corte penale con giurisdizione globale». Genocidi, crimini contro l’umanità e di guerra sono i reati su cui indagate. Non crede che, alla luce degli eventi, il terrorismo possa entrare nel vostro raggio di azione? «Se ne discute. Nel 2010, a Kampala, si terrà la prima conferenza di revisione dello Statuto in cui questo e altri problemi simili verranno discussi». Nel complesso come potrebbe definire la Corte penale internazionale? «È uno straordinario copione. Sta ora a noi attori interpretarlo a dovere con grande senso di responsabilità, consapevoli dell’importanza fondamentale che la Corte può giocare nel processo di pacificazione». 55
Appuntamenti • Salone della Giustizia
Rimini sarà la Cernobbio del diritto Colmare un vuoto dell’informazione su giustizia e legge, materie ostiche e sconosciute ai più, nonostante siano oggetto di continui dibattiti. Questo è lo scopo del Salone della Giustizia, «il primo al mondo nel suo genere» spiega il presidente della commissione Giustizia Filippo Berselli di Alessia Marchi
Filippo Berselli, presidente della commissione Giustizia del Senato e promotore istituzionale del Salone della Giustizia di Rimini. Nella pagina accanto, il Consiglio superiore della magistratura
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rentamila metri quadrati dedicati alla giustizia in tutte le sue forme e declinazioni. È il Salone che fino al 6 dicembre darà la possibilità a tutti i cittadini di sapere tutto su leggi, sicurezza, processi e pena. L’appuntamento, come spiega Filippo Berselli, è unico al mondo, «qui per la prima volta magistratura, forze dell’ordine, avvocature, imprenditori e ordini professionali si troveranno insieme. Si potrà seguire la nascita e l’iter di una legge, esaminare le realtà, l’ambito e gli sviluppi del processo, affrontare i problemi legati alla detenzione e l’importanza della sicurezza in tutti i momenti della quotidianità». Il Salone sarà il primo percorso plurisettoriale dedicato alla tutela e alla sicurezza del cittadino attraverso l’applicazione delle leggi e dei regolamenti. In un momento di dibattito pubblico giuridicoculturale cosa rappresenta il Salone della giustizia? «È il primo Salone al mondo su questo tema.Vogliamo presentare agli italiani la giustizia come se fosse una casa di cristallo che non ha nulla da nascondere, totalmente trasparente. Lo abbiamo organizzato seguendo due aspetti: convegni ed esposizioni, e attraverso quattro temi. Aprirà e chiuderà l’evento il ministro della Giustizia Angelino Alfano, sarà presente il presidente della Camera Gianfranco Fini, parteciperanno il Consiglio nazionale forense, l’Associazione nazionale magistrati e tutte le componenti dell’avvocatura, ma anche i commercialisti, che hanno un ruolo importante nella legalità e nel rispetto della legge. Il Salone rappresenta un mezzo per il dibattito vero, non quello urlato dove i toni sono sempre troppo caldi e sempre più spesso si assiste a scontri che finiscono con pessimi risultati o con nessuno. Perché la giustizia non ha colore o partito, ma è dei cittadini, e dobbiamo impegnarci a riformarla e comunicarla correttamente nell’interesse di tutti». Come è stato strutturato l’appuntamento di Rimini? «Sarà un evento anche a carattere espositivo, una vetrina per coloro che operano nel pianeta giustizia, dall’editoria alle aziende che producono computer o programmi per la sicurezza fino a quelle che operano nell’edilizia carceraria. L’obiettivo è fornire un panorama delle attività, dell’intelligenza e delle innovazioni di tutte le imprese impegnate nel settore». Come si può comunicare la giustizia al cittadino tramite una manifestazione come questa? «La manifestazione è costruita con quattro grandi filoni tematici, tutti scenograficamente e fedelmente costruiti a seconda del contenuto che vogliamo trasmettere. Si parte con il padiglione della legge, grande come un campo da calcio dove abbiamo fedelmente ricostruito un parlamento, qui un giornalista spiega come nasce una legge, dalla proposta a tutti i vari passaggi. Seguono i paglioni dedicati alla sicurezza, al processo, in cui si potranno se-
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Salone della Giustizia • Appuntamenti
È il primo Salone al mondo su questo tema. Vogliamo presentare agli italiani la giustizia come se fosse una casa di cristallo che non ha nulla da nascondere, totalmente trasparente C&P • GIUSTIZIA
guire gli sviluppi del processo civile e penale, qui per la prima volta, sarà esposta al pubblico l’auto distrutta nell’agguato di Capaci in cui trovarono la morte i magistrati Giovanni Falcone e Francesca Morvillo. Tutti i colpevoli sono stati condannati e incarcerati, a dimostrazione che lo Stato è in grado di fronteggiare la criminalità a tutti i livelli. Infine, lo spazio dedicato alla pena nel quale sono state ricostruite celle detentive di diverso tipo, anche quella di massima sicurezza». Un’iniziativa di questo genere può rendere più “comprensibile” il diritto e la nostra carta costituzionale ai visitatori? «La nostra intenzione è proprio quella di informare ed educare, rendere accessibile la materia ai cittadini, al più alto numero possibile, per questo motivo e per favorire il maggior numero di visitatori possibili, speriamo soprattutto di attirare i giovani, l’ingresso è gratuito». Pensa che il Salone possa contribuire a formare un senso civico più alto? «La coscienza civica è fondamentale, è molto importante formare e diffondere una cultura della legalità, ma sarà di grande interesse anche per studenti e neo laureati, che potranno assistere alla messa in scena di un processo tramite attori professionisti che ripeteranno in varie repliche durante le giornate. Sempre per questa ragione saranno presenti anche gli stand istituzionali di Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia Penitenziaria, Corpo Forestale dello Stato e Guardia Costiera». 59
Appuntamenti • Salone della Giustizia
Un momento di confronto costruttivo Un ritorno ai valori di giustizia e legalità. Il Salone della Giustizia di Rimini li promuove in senso traversale, attraverso convegni, seminari, workshop e crediti formativi per i giovani universitari, lo spiega il responsabile ordini professionali e università Roberto Marraffa di Alessia Marchi
l Salone della Giustizia gli ordini professionali potranno trovare un momento di confronto sui grandi temi della legalità e un momento d’incontro dove i professionisti saranno partecipi nel realizzare, soprattutto in questa difficile congiuntura, risultati di giustizia ormai irrinunciabili. La presenza delle università e degli ordini garantisce la formazione e un esperienza fondante per i professionisti di domani, inoltre, spiega l’avvocato Roberto Marraffa, «la presenza del mondo giudiziario e delle forze dell’ordine non potrà che rafforzare la consapevolezza del ruolo che ciascuno “gioca” nell’assolvimento del proprio dovere, sia esso professionale che istituzionale». Come possono contribuire gli ordini professionali al Salone? «Credo che molti importanti associati ai vari ordini professionali che hanno aderito al Salone della Giustizia potranno offrire la ricchezza della loro esperienza, delle loro conoscenze e l’intensità delle loro esigenze per assumere un ruolo di sicuri protagonisti. La presenza degli ordini professionali permetterà ai giovani di conoscere i percorsi formativi per giungere a ottenere il titolo professionale di avvocato, commercialista, notaio e giornalista». Qual è il ruolo del Salone nella formazione dei nuovi professionisti della giustizia? «Innanzitutto una migliore presa di coscienza dell’impor-
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Sopra, Roberto Marraffa, responsabile degli ordini professionale e dell’università al Salone della Giustizia
tante ruolo del “professionista” nella società e, in particolare, della sua funzione di raccordo tra gli interessi particolari dei singoli e quello più generale della certezza del diritto e del regolare funzionamento delle istituzioni. Già la presenza di istituzioni e ordini professionali costituisce un momento formativo arricchito da numerosi e qualificanti convegni e seminari organizzati da quelle stesse componenti». Quali saranno i momenti più importanti per le università? E quale il loro scopo? «Le facoltà di giurisprudenza di importanti università italiane hanno aderito all’iniziativa del Salone e hanno concesso crediti formativi agli studenti che parteciperanno ai dibattiti, seminari e convegni, tutti di grande rilevanza sia per i contenuti sia per la presenza dei più alti esponenti della cultura giuridica italiana». Al Salone saranno presenti anche le forze dell’ordine, cosa significa e come avete cercato di trasmettere la responsabilità degli operatori della giustizia nei confronti dei cittadini? «La funzione degli operatori delle forze dell’ordine, che è C&P • GIUSTIZIA
Salone della Giustizia • Appuntamenti
ISTITUZIONI E COMUNI CITTADINI. LA GIUSTIZIA SI CONFRONTA A RIMINI Avvocatura, magistratura e forze dell’ordine. Per la prima volta una fiera dedicata ai temi della sicurezza e della legalità riunisce tutte le figure professionali legate al settore l Salone della Giustizia è un’iniziativa di Arcomedia, società specializzata in grandi progetti di comunicazione istituzionale. Antonella Grigolo (nella foto), capo progetto dell’evento, racconta tutti i numeri del primo salone incentrato sui temi della legalità. «Le proposte per gli allestitori sono molte – spiega Grigolo – si va dall’area nuda all’arredamento di lusso, mentre è completamente gratuita la presenza per lo Stato».
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Perché è stata scelta Rimini? «Abbiamo scelto la Fiera di Rimini per la sua posizione geografica, con una stazione ferroviaria dedicata, per la straordinaria ospitalità che la riviera romagnola può offrire, ma soprattutto perché crediamo che la Fiera di Rimini sia una delle più belle, moderne e funzionali in presenti sul territorio italiano, con un’architettura dall’indubbio fascino avveniristico. Grazie alla sinergia creata con
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remo l’espositore nell’acquisto degli spazi all’interno del quartiere fieristico e in ogni aspetto della comunicazione». Che previsioni avete sulle presenze? «È difficile prevedere un numero esatto di presenze quando si è alla prima edizione. Certamente in questi ultimi tempi l’argomento giustizia è all’ordine del giorno e sta riscontrando un interesse formidabile da parte nell’opinione pubblica. L’ingresso gratuito favorirà sicuramente un maggiore afflusso di persone, in particolare di giovani che vorremmo attirare numerosi. Teniamo, comunque, presente che il Salone è dedicato principalmente a operatori del settore. Se pensiamo che in l’ente fiera, gli espositori po- Italia esistono circa 240.000 avtranno avvalersi di una strut- vocati, le nostre previsioni postura organizzativa capace di sono essere solo ottimistiche». soddisfare qualsiasi esigenza: Cosa vi aspettate in terdalla progettazione alla ge- mini di ricavi economici da stione di tutte le forniture, agli questa prima edizione del Saallestimenti, ai noleggi, ai tra- lone delle giustizia? sporti, alle pulizie. Noi segui- «Non parlerei ancora di ricavi
economici, ma soprattutto di ulteriori investimenti nei prossimi anni. Un ricavo certo è avere organizzato un evento istituzionale, primo e unico nel suo genere, per promuovere la “cultura della legalità”». Quante persone sono coinvolte nella realizzazione del Salone? «Complessivamente hanno lavorato a questo progetto un centinaio di persone. Un evento reso possibile dal senatore Filippo Berselli, presidente della Commissione Giustizia del Senato, che ha creduto per primo in questa ambiziosa iniziativa, divenendone il promotore istituzionale. Hanno contribuito anche l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e i patrocini di Senato, Camera dei Deputati, presidenza del Consiglio dei ministri unitamente ai sedici Ministeri coinvolti. Stiamo già pensando alla seconda edizione prevista dal 2 al 5 dicembre 2010 sempre alla Fiera di Rimini».
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Appuntamenti • Salone della Giustizia
Le facoltà di giurisprudenza di importanti università hanno aderito all’iniziativa del Salone e hanno concesso crediti formativi agli studenti che parteciperanno ai dibattiti, seminari e convegni
quella notoriamente di tutela della civile convivenza, non poteva mancare in un contesto come questo, un momento unico dove i visitatori avranno la possibilità per la prima volta, di conoscere come e con quali strumenti, anche i più sofisticati, operano con grande passione e spirito di sacrificio le Forze dell’Ordine per la salvaguardia di ogni aspetto della vita di tutti noi». Lei parteciperà a un incontro sulla giustizia internazionale e i sistemi europei. Quali sono le priorità e i nodi critici da affrontare in tema di sistemi europei della giustizia? «I temi del convegno, organizzato dal Consiglio nazionale forense, intende sensibilizzare l’attenzione di tutti sulla continua evoluzione del diritto nella sua dimensione nazionale e sovranazionale. Infatti, oggi il diritto sovranazionale e, in particolare, quello elaborato dagli organismi dell’Unione eu62
ropea, è la fonte di un ragguardevole numero di norme giuridiche e regolamentari che entrano a far parte del nostro ordinamento interno a cui dobbiamo attenerci quali cittadini d’Europa. Questo elemento può essere inquadrato all’interno del più ampio fenomeno della globalizzazione del diritto. A questo proposito, a Rimini sarà presente Eurojust, l’Unità di cooperazione giudiziaria all’interno dell’Unione europea, che ha organizzato un convegno sulla “Cooperazione penale internazionale: organismi e procedure tra esigenze della prassi e prospettive di riforma”. Questo è solo uno dei tanti fronti della giustizia penale, ma molti altri fronti sono aperti per la giustizia civile come, ad esempio, la recente introduzione della class action nel nostro ordinamento, la ricerca di nuovi strumenti di risoluzione dei conflitti e il ruolo dell’avvocatura in funzione conciliativa e non più a dimensione nazionale». C&P • GIUSTIZIA
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Legalità •
Un impegno coordinato a livello europeo per contrastare la criminalità ...........p. 66
LAUDATI: LA NUOVA MAFIA
LA LEGALITÀ PARTE DALLA SCUOLA
L’EREDITÀ DI FALCONE E BORSELLINO
SUCHAN: INFILTRAZIONI IN TOSCANA
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Legalità • L’impegno dell’Europa
L’Unione contro il crimine
Le frontiere aperte sono un grande veicolo di libertà, ma anche uno strumento pericoloso nelle mani delle reti criminali transnazionali. Per questo l’Ue ha già da tempo pianificato una strategia globale e condivisa contro tutti quei reati che nascono o si consumano sul suo territorio. Il punto sulla strada fatta sinora: gli strumenti, i programmi, le azioni realizzate di Paolo Nobilio 66
eati “tradizionali”, come contrabbando, traffico di droga e di armi, prostituzione. Ma anche nuovi crimini, come i reati informatici, ormai sempre più diffusi e raffinati, e l’ambito importantissimo e ancora tutto da articolare dei reati ambientali. In quanto insieme di Stati sovrani, che condividono tuttavia un territorio relativamente circoscritto e uniforme, l’Unione europea non può prescindere dall’affrontare di petto il problema della criminalità. Per la quale, nel mondo globale e interconnesso, le frontiere materiali e immateriali sono diventate uno strumento più che una barriera. Per questo nell’ambito del programma quadro comunitario “Sicurezza e tutela della libertà” è stato previsto un programma specifico per contrastare le diverse forme di criminalità, che si manifestano all’interno o a partire dai confini europei. Un ambito piuttosto ampio, raccolto sotto i due assi di “prevenzione e lotta alla criminalità” e articolabile in quattro macrotemi: prevenzione, contrasto, protezione testimoni e protezione delle vittime. Nell’ambito di queste linee principali il nuovo programma individua una serie di obiettivi trasversali: organizzare azioni di coordinamento e cooperazione, favorire le migliori prassi per la protezione delle vittime di reati e dei testimoni, incoraggiare strategie di prevenzione e lotta contro la criminalità e per il mantenimento della sicurezza. Particolarmente importanti, in questo contesto, i lavori della rete europea di prevenzione della criminalità (Recp), isti-
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L’impegno dell’Europa • Legalità
L’Ue non può prescindere dall’affrontare di petto il problema della criminalità
Sopra, la sede di Europol a L’Aja
tuita nel 2001 e finalizzata proprio ad agevolare i contatti e favorire la cooperazione. I finanziamenti del programma sono rivolti, in particolare, a progetti di dimensione europea promossi e gestiti dalla Commissione, progetti transnazionali che coinvolgano uno o più Paesi comunitari, progetti nazionali gestiti dai singoli Stati membri, finalizzati alla messa a punto di misure di avviamento, misure complementari o di trasferimento dell’innovazione. Le azioni ammissibili vanno, dunque, dalla cooperazione e coordinamento operativo alle attività di analisi, valutazione e controllo, dal trasferimento di tecnologie e metodologie alla formazione e lo scambio di esperti, fino alle attività di sensibilizzazione e divulgazione. Quanto ai destinatari, possono concorrere, oltre alle autorità di contrasto, altri attori pubblici o privati, come autorità regionali e nazionali, università, organizzazioni non governative. Più in generale, i progetti dovranno rafforzare e integrare le attività di Europol e della Cepol. E, in effetti, una delle chiavi per combattere la criminalità a livello europeo sta proprio nell’istituzione di una rete di collaborazione tra le polizie nazionali. Il processo di coordinamento, sotto questo aspetto, è piuttosto avanti. Per la lotta al terrorismo, ad esempio, è stata decisiva la creazione di Eurojust che dal 2002, quando è stata istituita, ha rafforzato la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri e ha ottenuto una serie di successi operativi significativi. Quanto alle tipologie di reato interessate dalla strategia gloC&P • GIUSTIZIA
bale dell’Ue, il quadro è estremamente complesso e articolato. Si va dai crimini tradizionali, tra cui spiccano il traffico delle armi da fuoco, lo spaccio e traffico di droga, la lotta contro le frodi e le falsificazioni, anche monetarie, a crimini particolarmente odiosi, come i reati contro i minori e la tratta degli esseri umani. Altro nodo spinoso, tutto l’ambito criminale legato al fenomeno dell’immigrazione. Nel 2006, ad esempio, è stato approvato un protocollo specifico per combattere il traffico di migranti per via terrestre, aerea e marittima, allegato alla convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale. Capitolo a parte i cosiddetti “nuovi crimini”. Da un lato la cybercriminalità, ovvero l’insieme di reati compiuti per mezzo delle reti informatiche, talora capaci di provocare ingenti danni economici. Per non parlare del delicatissimo problema della pornografia infantile su internet, su cui l’attenzione di tutti i Paesi membri è massima. Risale al 2004 l’istituzione dell’Enisa, Agenzia europea per la sicurezza delle reti e dell’informazione, con compiti consultivi e di coordinamento delle misure adottate in materia dalla Commissione e dai singoli Paesi comunitari. Dall’altro, diventano sempre più preoccupanti per l’Europa i crimini contro l’ambiente. Una direttiva del 2008 ha istituito ad esempio un gruppo minimo di fattispecie particolarmente gravi, che impone agli Stati membri di prevedere sanzioni penali più dissuasive per questo tipo di reati, se perpetrati intenzionalmente o causati da negligenza grave. 67
Legalità • Antonio Laudati
Antonio Laudati, procuratore di Bari. In passato ha ricoperto la carica di sostituto procuratore all’antimafia, accanto a Pietro Grasso e di direttore degli Affari penali del ministero della Giustizia
Il volto invisibile di Cosa nostra La mafia ha cambiato pelle. Messe da parte le bombe, si muove come un’impresa, seguendo i flussi sommersi del mercato mondiale. Per questo, spiega Antonio Laudati, la lotta dovrà puntare al contrasto patrimoniale. E se il fenomeno è ormai globale, il modello rimane, purtroppo, quello italiano. «Perché è il più arcaico, ma anche il più efficiente» di Daniela Panosetti
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a mafia del terzo millennio ha cambiato aspetto. Non è più quella della coppola e lupara, degli agguati sanguinari e intimidatori. Oggi è una vera impresa, con connotazioni e visibilità completamente diverse». Non usa mezzi termini Antonio Laudati, procuratore di Bari, nel tracciare il ritratto della nuova criminalità organizzata, così come emerge dal suo libro Mafia Pulita, scritto insieme a Elio Vietri. Cinque storie vere che raccontano meglio di ogni analisi quella mutazione genetica che negli ultimi decenni ha permesso alla criminalità organizzata di stringere silenziose connivenze con la società civile e, soprattutto, l’economia. «Sparite le bombe e le violenze eclatanti la sua presenza diventa invisibile, dunque anche meno aggredibile – continua il procuratore –. È una mafia che ha trasferito la sua operatività dalla strada e dagli ambienti criminali “puri” ai salotti buoni della finanza e dell’imprenditoria. E che dunque condiziona la società, il mercato e, fatto ben più preoccupante, la nostra democrazia». Negli anni la mafia ha cambiato pelle. In cosa si manifesta questa mutazione? «In due aspetti. Il primo è criminologico: le organizzazioni mafiose prediligono, ormai, reati come contrabbando, usura, prostituzione, che rovesciano il tradizionale rapporto aggressore-vittima. È lo stesso mercato, fatto da clienti consenzienti, a richiedere determinati beni e servizi illeciti e il fenomeno criminale diventa sommerso, non appariscente. Il secondo aspetto è tecnico: gli ingenti guadagni ottenuti solo
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Antonio Laudati • Legalità
Come ogni impresa globalizzata, la mafia ha imparato a coniugare tradizione e modernizzazione. Resta ancorata al territorio, ma segue il mercato mondiale in parte finiscono in altre attività illecite, il resto viene investito in attività legali. I criminali diventano quindi imprenditori, con l’aspetto di manager, uomini d’affari. Ma conservano il metodo mafioso, che rifiuta ogni rischio d’impresa. È questo il nuovo prototipo». È possibile quantificare questo peso economico? «Ogni stima scientifica è necessariamente approssimata. E, tuttavia, esistono diversi studi in materia, come quello condotto dall’università di Pittsburgh per il congresso americano o, in Italia, quellli di Eurispes e Confesercenti. L’ultimo dato per il 2008 è di Confindustria, che stima un fatturato intorno ai 450 miliardi. Di questi, circa 170 vengono dalle attività criminali, tutto il resto riguarda il sommerso, quella che chiamiamo “economia nera” o underground banking, che sfugge del tutto all’imposizione fiscale. Un problema molto serio perché finisce con l’inquinare non solo il mercato, ma anche l’informazione, il sistema bancario, la politica e le istituzioni. In questo modo è la democrazia ad essere a rischio». Quali sono oggi i settori economici in cui è maggiore l’infiltrazione mafiosa? «Tradizionalmente quelli che consentono il subappalto, attività come movimento terra, fornitura di cemento o di inerti, che non consentono una verifica contabile a posteriori. Poi ci sono le attività finanziarie, che consentono quelle che chiamiamo “funzioni di schermo”, ovvero consentono di trasferire danaro e capitali rapidamente schermando l’effettivo titolare e l’effettiva provenienza. Secondo il Wall Street Journal il 70% delle transazioni finanziarie giornaliere di Wall street sono sospette C&P • GIUSTIZIA
di provenienza illecita. Ma è un fenomeno che ormai riguarda con gradi diversi tutte le borse del mondo». Quali, invece, le aree maggiormente interessate dal fenomeno? «Come ogni impresa globalizzata, la mafia ha imparato a coniugare tradizione e modernizzazione. Resta ancorata al territorio, alla sua cultura e mentalità, ma segue il mercato mondiale, i flussi globali di denaro, insediandosi dove c’è maggiore possibilità di affari. È uno dei motivi per cui Milano all’inizio ne è stata la capitale, ma il discorso vale per tutte le aree competitive, come la Puglia, ad esempio, che in questi anni si è imposta come un motore economico straordinario». Cosa possono fare le leggi per contrastare questa avanzata? «La via più giusta sta nella trasformazione del processo penale e nel graduale passaggio da sanzioni personali, che ormai l’impresa criminale mette in conto annullandone la funzione dissuasiva, a sanzioni patrimoniali e alternative, di tipo alternativa: divieto di contrattare con la Pa, cancellazione dal mercato, scioglimento di società. Il che implica però la possibilità, in questi casi, di processi più brevi e dunque una differenziazione tra il bene libertà, che richiede massime garanzie, e il bene patrimonio, per cui si può pensare, appunto, a procedure più rapide. Solo se riusciremo a dotarci di strumenti legislativi moderni di contrasto patrimoniale e riduzione del processo potremo sconfiggere la mafia “pulita”». 69
Legalità • Giovanni Mainolfi
Un fronte comune contro il crimine Famiglia, società, scuola. Sono queste le basi da cui deve partire una cultura della legalità che sia davvero efficace e capillare. Soprattutto in aree difficili come il Napoletano. La parola a Giovanni Mainolfi, comandante provinciale della Guardia di Finanza di Giorgio Marotta
a legalità è il principio basilare da cui deve partire qualunque attività privata. Questo l’hanno detto a più riprese il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano». Ha le idee chiare il comandante provinciale della Guardia di Finanza di Napoli, Giovanni Mainolfi. Profondo conoscitore della realtà napoletana, il generale Mainolfi è ben consapevole delle quotidiane difficoltà che comporta la prevenzione del crimine e delle attività illecite in un territorio così delicato. «Per affermare la cultura della legalità – prosegue Mainolfi – occorre il contributo di tutti e nessuno può chiamarsi fuori da questo processo». Come è possibile diffondere la cultura della legalità in modo efficace? «La legalità si crea partendo dal basso e dalla scuola, integrando ogni forza sociale, dalla società alla famiglia, fino ai luoghi di ritrovo e culturali. La scuola e la famiglia sono presidi di legalità. Gli insegnanti ne sono i primi garanti e devono essere non solo equi con i loro studenti, ma anche educarli al rispetto della legalità e a non cercare scorciatoie per ottenere qualcosa. Purtroppo, nel Napoletano esiste un problema di dispersione scolastica che è dovuto a condizioni disagiate». Quali sono le emergenze principali in questo momento? «Le emergenze del nostro territorio sono legate alla criminalità organizzata. Di recente si sono evidenziati problemi legati al contrabbando di sigarette, al traffico di stupefacenti e all’usura. Cia-
L Giovanni Mainolfi, comandante provinciale della Guardia di Finanza di Napoli. In alto, un vicolo di Napoli e, nella pagina accanto, le vele si Scampia
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C&P • GIUSTIZIA
Giovanni Mainolfi • Legalità
scuno di questi problemi è legato alla matrice unica di stampo camorristico. A questi tre ambiti va aggiunto il fenomeno della contraffazione in cui però ci sono campi di contiguità o comunque di incontro con associazioni cinesi. C’è inoltre il problema della disoccupazione ed ecco perché è riapparsa la vendita delle sigarette di contrabbando, un fenomeno che non si vedeva più da trent’anni. Noi come forze dell’ordine possiamo fare sequestri, ma non eliminare il fenomeno perché anche la politica e la pubblica amministrazione devono muoversi». Napoli è identificata con camorra, illegalità diffusa, microcriminalità. È possibile sfatare, almeno in parte, questi luoghi comuni? «Almeno due luoghi comuni su tre si possono sfatare. Innanzitutto la microcriminalità, che di sicuro a Napoli è presente in quantità inferiore rispetto a quanto accade ad altre grandi città italiane. Per quanto riguarda l’illegalità diffusa, è necessario operare dei distinguo. Per esempio il problema della prostituzione è più vistoso a Roma che non a Napoli. Certo, esistono aspetti su cui l’illegalità diffusa presente nel Napoletano non ha eguali altrove, come sul mancato utilizzo del casco nei motorini. La mafiosità con cui la camorra si manifesta sul territorio è un luogo comune reale ed è una realtà che non può sfuggire a chi svolge un lavoro come il mio. Ritengo che questo debba indurre la Guardia di Finanza a innovare i suoi modelli operativi sino al punto da individuare quelle attività che più di altre possono essere in mano alla camorra in modo diretto oppure indiretto». La contraffazione è un fenomeno largamente diffuso. Come si sta muovendo la Guardia di Finanza per eliminarlo? «Eliminare il fenomeno è una nostra aspirazione, ma resta un obiettivo tendenziale difficile da raggiungere nel breve periodo. In concreto e nell’immediato miriamo a stroncare il traffico al livello più alto possibile. Se ci riferiamo a una contraffazione di importazione, la Guardia di Finanza con la propria azione mira a sterilizzare i canali di importazione, se invece prendiamo in esame una contraffazione di prodotto realizzato in Italia, allora miriamo a smantellare le fabbriche e le organizzazioni che le gestiscono le fabbriche. Per quanto riguarda la contraffazione, una parte del traffico non è gestita dalla camorra, ma dai cinesi che hanno in mano il commercio all’ingrosso». Come si articola la collaborazione con le altre forze dell’ordine? «Esiste una collaborazione sistematica e strutturata di fondo svolta all’interno del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, a cui provvede il prefetto. Questo costituisce la parte prevalente della collaborazione fra le forze di sicurezza presenti sul territorio. Ma esiste anche una collaborazione non strutturata che dipende dai rapporti che vengono a crearsi fra i singoli comandanti della Guardia di Finanza, della Polizia e dei Carabinieri. Io ho alle dipendenze 27 reparti spalmati su tutta la provincia di Napoli, i Carabinieri ne hanno una quarantina, mentre la Polizia conta una ventina di commissariati. In questo momento la collaborazione che esiste fra le forze di sicurezza presenti nel Napoletano è eccezionale e senza pari. Le nostre specificità ci rendono complementari e questo ci rende più forti». C&P • GIUSTIZIA
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Legalità • Pietro Suchan
In Toscana la mafia non passa Ostacolare la criminalità organizzata è possibile. Sia quella nazionale, sia quella internazionale. Ma solo attraverso la collaborazione delle vittime e dell’intera cittadinanza. Un impegno comune e non utopistico. Almeno nel caso della Toscana. L’analisi di Pietro Suchan di Lara Mariani a Toscana non è terra di camorra, ma la camorra c’è. Questo perché è una regione appetitosa, dal momento che è ricca di tradizioni economiche in cui le organizzazioni criminali credono di potersi infiltrare. Qui, secondo le loro aspettative, ci sono buone possibilità di riciclaggio. In realtà, e per fortuna, le attese camorristiche sono spesso deluse «perché la regione possiede anticorpi molto forti e i cittadini hanno dimostrato e dimostrano una grande capacità di resistere alla criminalità organizzata». Parola del Pm Pietro Suchan che da anni lavora per ripulire la regione dalle infiltrazioni camorristiche e dalla mafia cinese e oggi spiega i canali attraverso i quali la malavita si inserisce e, soprattutto, come bloccarli. I cittadini, quindi, si sono dimostrati attivi nel reagire alla malavita? «In realtà ci sono zone in cui non c’è stata reazione e in cui le organizzazioni criminali sono riuscite a farsi largo, ma sono sacche marginali. Le aree di maggiore penetrazione sono la Versilia e la zona di Viareggio in particolare, Pistoia e Montecatini, Altopascio, un comune nella provincia di Lucca e il Valdarno Aretino. Ci tengo, però, a precisare che la Toscana non è invasa dalla camorra ci sono stati dei cedimenti, ma circoscritti». I canali attraverso cui si inserisce principalmente la criminalità organizzata sono diversi a seconda delle zone interessate? «Le forme di penetrazione ricalcano i gruppi di origine. In sostanza le metodologie criminali si differenziano sulla base della
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Pietro Suchan, magistrato di Cassazione e sostituto procuratore di Firenze
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C&P • GIUSTIZIA
Pietro Suchan • Legalità
La Toscana non è invasa dalla camorra; ci sono stati dei cedimenti, ma circoscritti provenienza dei gruppi criminali che prediligono alcune aree rispetto ad altre. Ad esempio nella provincia di Lucca e nel comune di Altopascio sono presenti i Casalesi. In altre zone si sono infiltrati i Terracciano. La mappatura è estremamente complessa». Quali sono le attività principali dei clan? «Le attività prevalenti sono il riciclaggio e l’usura, ma anche il traffico di cocaina è sempre molto diffuso». La crisi ha incrementato le attività illecite? «Diciamo che ha aumentato le aspettative delle organizzazioni criminali. Il carattere sano della regione è, però, un antidoto molto forte e ci sono delle forme di resistenza e di repulsione molto valide». In Sicilia nella lotta alla mafia sono stati coinvolti gli imprenditori, in Toscana chi bisogna coinvolgere secondo lei? «Innanzi tutto le vittime, le persone offese, ad esempio tutti coloro che subiscono l’usura, l’estorsione. L’usura, infatti, non colpisce solo soggetti che fanno parte delle organizzazioni criminali, ma coinvolge direttamente anche i toscani. E in questo periodo di crisi il fenomeno è dilagato velocemente». A giugno ha coordinato con successo l’operazione contro il clan camorristico Terracciano. Nelle sue previsioni le battaglie saranno ancora tante? «Le indagini saranno tante, vogliamo penetrare completamente in questo mondo sommerso e ciò richiede molti sforzi e soprattutto, ribadisco, la collaborazione delle vittime». All’inizio del 2008 si era parlato anche di un aumento della mafia russa e rumena, oltre che cinese. C&P • GIUSTIZIA
Com’è ora la situazione? «Abbiamo condotto indagini che si sono concluse positivamente e altre sono ancora in corso. Questo è un fenomeno che dal 1995 la procura di Firenze considera prioritario. Abbiamo svolto varie operazioni importanti e i contraccolpi ci sono stati. Comunque anche le organizzazioni cinesi hanno avuto possibilità di sviluppo grazie alla crisi economica, basti pensare a quello che succede a Prato». Come si differenziano i traffici tra la “mafia internazionale” e quella “nostrana”? «In passato i traffici erano estremamente diversi, anche perché avvenivano solo all’interno della comunità cinese. Oggi, invece, si sono allargati verso l’esterno. Quella cinese è passata da una criminalità chiusa, ermeticamente limitata al proprio gruppo etnico, a una criminalità che coinvolge anche gli italiani». E in questo caso come si è articolata la reazione della cittadinanza? «Così come per le organizzazioni tradizionali, un numero ristretto di toscani si è lasciato coinvolgere dalla mafia cinese. E poi è doveroso specificare che è sempre relativamente facile convincere questo numero ristretto di individui a ritornare alla legalità». Si può, quindi, affermare che l’adesione all’attività criminale non è convinta. «Esattamente, e lavorando in modo serio a livello giudiziario si possono raggiungere buoni risultati. Durante questi anni abbiamo ottenuto pentimenti e ravvedimenti importanti e direi quasi generalizzati». 75
Sicurezza • Achille Serra
La lezione degli anni di piombo Alla base di efficaci politiche per la sicurezza, ci deve essere la collaborazione tra forze dell’ordine, politici e magistratura. Grazie a questa collaborazione, è stato sconfitto il terrorismo degli anni di piombo e risolto il dramma dei sequestri di persona, come racconta Achille Serra. Che, però, avverte: «La lotta è ancora aperta, contro la droga e la criminalità organizzata» di Lara Mariani
onciliare sicurezza collettiva e libertà individuale a molti sembra un obiettivo difficilmente raggiungibile. Eppure le due esigenze non sono in lotta tra loro. La sicurezza collettiva è l’auspicio di ogni società nel momento in cui si costituisce. E, di contro, una società funziona solo se al suo interno i diritti del cittadino vengono rispettati e si conciliano con quelli dell’intera comunità. «A rappresentare un rischio per la sicurezza collettiva è solo il garantismo esasperato della libertà individuale, un eccessivo attaccamento a cavilli giuridici che permette a un individuo che ha commesso un reato di essere fuori dopo pochi giorni». È molto chiaro Achille Serra nel sottolineare un confine che può e deve essere rafforzato dalla politica. Lei ha vissuto personalmente gli anni di piombo. Cosa ci ha insegnato quell’epoca in termini di politiche per la sicurezza? «Il terrorismo all’inizio ci ha visto totalmente sconfitti. All’epoca questo Paese non era preparato ad affrontare un così grave problema. Poi abbiamo capito che era necessario stare uniti contro questa minaccia e il terrorismo è stato sconfitto grazie all’efficacia delle investigazioni, all’impegno delle forze dell’ordine e alla giuste sentenze della magistratura. Oggi difficilmente il terrorismo ci prenderebbe alla sprovvista, perché quell’esperienza ci ha insegnato a tenere in piedi le formazioni delle forze dell’ordine che si dedicano all’attività di intelligence, all’attività di investigazione e di repressione».
C Achille Serra è stato dirigente della Squadra mobile, capo della Digos e della Criminalpol negli anni bui delle Brigate rosse. Dal 2003 è stato prefetto di Roma. In alto a destra, Bologna, processo per omicidio Marco Biagi; nella foto piccola, la stazione di Bologna, il 2 agosto 1980
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C&P • GIUSTIZIA
Achille Serra • Sicurezza
Il terrorismo all’inizio ci ha visto impreparati. Poi abbiamo capito che era necessario stare uniti ed è stato sconfitto grazie alle investigazioni, alle forze dell’ordine e alla magistratura Altrettanto sgomenti ci colse anche l’epoca dei sequestri di persona. «Anche in quel caso eravamo del tutto impreparati. Io personalmente trattavo i sequestri di persona come si poteva trattare un furto in appartamento. Però capimmo in fretta che il fenomeno richiedeva provvedimenti diversi e ci organizzammo per lavorare in sinergia con Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza e magistratura. Ci furono importanti arresti a cui seguirono emblematiche sentenze che fecero capire alla malavita che bisognava cambiare aria». Se possiamo dire che con i sequestri di persona la battaglia è stata vinta, altrettanto non si può dire per il traffico di stupefacenti. «Bisogna ancora lavorare molto, basti pensare che ci sono interi Paesi dediti alla produzione di cocaina e oppio. In questo caso le azioni e le investigazioni non possono limitarsi al livello locale, ma devono essere guidate da una forte cooperazione internazionale. A livello locale si può agire sulla prevenzione, ci si può battere per scoraggiare gli utenti. Magari andando nelle scuole per parlare. Questo è l’unico modo per catalizzare l’attenzione dei giovani ed è un fronte su cui dobbiamo impegnarci tutti perché se viene a mancare la domanda di droga, immancabilmente verrà a mancare anche l’offerta. E quindi tutto il circuito criminale che la avvolge». È innegabile che in questi anni vi sia stato un ulteriore aumento della diffusione della droga. Ma C&P • GIUSTIZIA
questo ha inciso anche sulla sicurezza dei cittadini? «I tossicodipendenti sono aumentati. E il tossicodipendente di oggi non è diverso da quello di dieci anni fa, per avere la sua dose è pronto a fare qualunque cosa. Di conseguenza è aumentata vertiginosamente la micro-criminalità, quella che ci colpisce più direttamente. E in questo caso, come in molti, l’unica soluzione al problema è nell’immediatezza del processo e nella certezza della pena. Invece il drogato che ruba un’autovettura oggi viene portato davanti al magistrato e domani è già fuori, grazie a qualche cavillo garantista o alla mancanza di carceri in cui fargli scontare la pena». Il tema della droga ci porta a quello della malavita. In questi anni qualche passo avanti è stato fatto e contro la criminalità organizzata sono stati mobilitati anche gli imprenditori. Cosa ne pensa? «Credo che la guerra contro la criminalità organizzata si vinca su due fronti: il lavoro e la scuola. L’istruzione e la possibilità di un lavoro onesto allontanano i giovani dalla delinquenza. Quando andavo a parlare nelle scuole di Palermo cercavo di indirizzare i giovani dicendo loro che la scuola era la strada giusta. Ma mi sembrava di truffarli. Sapevo che quei liceali una volta diplomati non avrebbero trovato lavoro e sarebbero stati travolti dalla criminalità organizzata. Eppure questa è l’unica strada che lo Stato deve realmente seguire: la scuola e il lavoro. Indipendentemente dal fatto che questo Stato sia governato da una coalizione di destra o di sinistra». 79
Balistica • Marco Morin
La fisica del delitto
I periti balistici competenti sono rari, e in Italia questo è ancora più vero che in altri Paesi. Marco Morin, uno dei massimi periti balistici d’Europa, ne è più che certo: «dilaga il dilettantismo». E aspetta da venticinque anni l’indagine attendibile di Alessia Marchi
In alto, Marco Morin, uno dei massimi esperti di balistica, esplosivi e residui da sparo. In questa pagina, dall’alto, una comparazione positiva al microscopio delle impronte lasciate dall’otturatore di un’arma da fuoco. In basso, una particella di residuo di sparo ingrandita al microscopio
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n Italia non esiste un sistema di preparazione riconosciuto che formi adeguatamente il perito balistico, ovvero lo scienziato di quel ramo della fisica meccanica che studia, oltre alle armi e le munizioni, le traiettorie dei proiettili e il loro effetto sugli oggetti colpiti. Nel nostro Paese manca un percorso formativo ad hoc per diventare perito balistico e molti sono, quindi, autodidatti. Un diploma valido a livello europeo come titolo ufficiale che attesti un’effettiva preparazione è il “firearms examination” rilasciato della Forensic science society britannica e convalidato dall’Università Strathclyde di Glasgow, che si rinnova ogni cinque anni, alla fine dei quali si deve dimostrare l’effettiva attività svolta, pena il mancato rinnovo. «Ma questo diploma è in possesso di pochi», precisa Marco Morin esperto di balistica, esplosivi e residui da sparo, che per tanti anni è stato al fianco di Giovanni Falcone e con lui ha indagato su 140 delitti di mafia. Si è occupato anche del caso Marta Russo, Luigi Calabresi, Aldo Moro e del mostro di Firenze. Oggi, non vuole avere più niente a che fare con i tribunali, «perché da noi – spiega – prendono come oro colato qualsiasi prova, basta che provenga dai laboratori istituzionali». Lei ha spesso affermato che in Italia le sentenze nei processi per omicidi, attentati e più in generale reati in cui sono coinvolte armi da fuoco, esplosivi o bombe sono quasi sempre frutto di investigazioni eseguite superficialmente. Perché?
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Marco Morin • Balistica
«In questi casi, si possono avere indagini scientifiche di polizia giudiziaria, svolte dai Ris o dalla Polizia scientifica oppure indagini ordinate dal Pubblico ministero sotto forma di consulenze assegnate a carabinieri, poliziotti o terze persone, in quanto specialisti di fiducia privati e di parte. Solo le consulenze svolte seguendo i dettami delle leggi, possono poi entrare nel fascicolo processuale ed è per questo che in genere vengono preferite dalle Procure. Purtroppo normalmente la nomina dei consulenti e le notifiche alle parti non possono essere immediate e così le operazioni risultano indebitamente rallentate con danni evidenti ai risultati finali». E i laboratori istituzionali? «Salvo qualche rara eccezione, non hanno personale particolarmente preparato e questo per la mancanza di una seria scuola di formazione. Particolarmente penalizzati sono i settori dei residui di sparo, di cui in 25 anni non ho visto una sola indagine scientificamente accettabile, se si escludono quelle eseguite dal professore Carlo Torre e da Claudio Gentile. Le comparazioni di proiettili e bossoli e la ricostruzione delle traiettorie trovano pochissimi bravi specialisti, forse due o tre, nei laboratori istituzionali e meno di una decina nel settore privato. Appare evidente che buona parte delle indagini, quando riesaminate da un vero specialista, risultano sbagliate». In Italia in che stato è la professione del perito balistico? «Per il nostro Paese è equivoco parlare di “professione C&P • GIUSTIZIA
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Balistica • Marco Morin
L’aspetto più importante è verificare se un’arma ha sparato le cartucce di cui sono stati recuperati i bossoli o i proiettili 82
del perito balistico”. Chi si occupa di questa materia è in genere un autodidatta in quanto non esistono seri e completi insegnamenti di questa materia. Da alcuni anni molte università hanno inserito la balistica giudiziaria in corsi, seminari e master di vario livello ma, con eccezioni che si possono contare agevolmente sulle dita di una mano, si tratta di vere e proprie prese in giro. Per tutte ricordiamo come alla Sapienza di Roma un docente sia diventato celebre per aver trovato abbondante “promezio”, elemento non presente sulla Terra, in un presunto residuo di sparo! Fioriscono poi società ed associazioni varie che organizzano corsi, simposi e tavole più o meno rotonde su cui però è meglio stendere un velo di oblio. Chiunque si può improvvisare “perito balistico” o docente di “balistica”, senza che nessuno sia in grado di controllare ed eventualmente intervenire». Come si deve intervenire per migliorare la situazione? «La situazione non potrà cambiare senza un autorevole e adeguato intervento legislativo. Una possibilità ragionevole sarebbe la chiusura dei laboratori istituzionali, Ris e Polizia scientifica, e la creazione di un istituto di criminalistica inserito formalmente nell’ambito del ministero dell’Università ma del tutto autonomo e affrancato da magistratura e forze di polizia. Questo istituto, utilizzando i mezzi e la parte migliore del personale dei soppressi laboratori, dopo aver ottenuto le necessarie certificazioni internazionali di qualità dovrebbe fornire C&P • GIUSTIZIA
Marco Morin • Balistica A fianco, un’immagine vista al microscopio mostra il confronto positivo delle impronte lasciate da un espulsore, ovvero la piccola parte del fusto dell’arma che espelle il bossolo sparato
un servizio di indagine scientifica assolutamente super partes e, nello stesso tempo, istituire i vari corsi di specializzazione. Un progetto simile urta però contro, oltre che notevoli e ormai radicati interessi, la vigente legislazione che in pratica permette alla magistratura di scegliere il consulente o il perito che ritiene opportuno, senza che nessuno possa intervenire». Entrando nel merito dell’attività di analisi, quali sono i passaggi e come viene studiata l’arma di un delitto? «Lo studio dell’arma è soltanto una parte dell’indagine balistica. In genere l’aspetto più importante è verificare se un’arma ha sparato le cartucce di cui sono stati recuperati i bossoli o i proiettili. Risulta necessario innanzitutto sparare con l’arma alcuni colpi utilizzando necessariamente munizioni della stessa marca, e possibilmente dello stesso lotto, a cui appartengono i reperti, recuperando i proiettili con opportune metodologie, ad esempio usando una grossa vasca piena d’acqua. Si studiano prima al microscopio comparatore, un’apparecchiatura che permette l’osservazione contemporanea di due oggetti, e si individuano i gruppi di microstrie lasciate sulla porzione cilindrica dei proiettili dalle impercettibili asperità presenti sulla superficie interna della canna, identici e maggiormente caratterizzanti. Si passa poi alla comparazione fra il migliore proiettile sperimentale con quello, o quelli, recuperati sul luogo del delitto o nel corpo delle vittime». C&P • GIUSTIZIA
Qual è l’obiettivo? «Se si riesce a rinvenire e dimostrare con opportune fotografie la presenza di identiche famiglie di microstrie, l’esperto balistico è in grado di affermare che l’arma in esame è quella utilizzata per il delitto. Ovviamente chi opera deve tenere in considerazione molti altri fattori e numerose circostanze. Approssimativamente i medesimi criteri vengono utilizzati per la comparazione dei bossoli ma in questo caso, per le armi automatiche e semiautomatiche, gli elementi da esaminare sono svariati: l’impronta lasciata sulla capsula dalla superficie di otturazione, l’impronta dell’espulsore, le due impronte lasciate dall’estrattore, l’impronta di sballamento, l’impronta lasciata dallo scorrimento retrogrado dell’otturatore e l’impronta del percussore». Quali sono gli strumenti necessari per effettuare una perizia attendibile? «Nel campo della ricerca e dell’identificazione dei residui di sparo, è fondamentale il microscopio elettronico a scansione dotato di microsonda analitica a dispersione di energia. Si deve innanzitutto tenere in conto i tempi trascorsi fra lo sparo e il momento in cui vengono effettuati i prelievi all’indagato. Nei laboratori esteri più autorevoli non si effettua alcuna ricerca se questo tempo supera le due ore, mentre in Italia si è arrivati a sostenere limiti fino a 24 ore, una vera e propria assurdità scientifica. I prelievi vengono poi, previa metallizzazione della loro superficie, inseriti nel microscopio a scansione che, opportunamente programmato, inizia in automatico la ricerca e l’analisi elementare di eventuali particelle metalliche». Come appaiono alle analisi i residui da sparo? «Devono avere una forma sferica e una superficie omogenea, priva di visibili strutture cristalline e questo perché si formano per repentina solidificazione dei gas prodotti dalla miscela di innesco delle cartucce. La microsonda fornisce poi, per ciascuna particella individuata, uno spettro analitico dal quale è possibile risalire agli elementi presenti nell’innesco. Un semplice operatore tecnico può provvedere alla preparazione del campione e all’avvio del microscopio; i risultati devono invece essere studiati da un vero scienziato che deve conoscere, oltre al funzionamento delle armi, tutti i fenomeni di balistica interna che interessano il fenomeno dello sparo e che deve valutare complessivamente tutte le particelle individuate dalla macchina. Questo normalmente in Italia non avviene e così, in 25 anni e più, non ho avuto il piacere di imbattermi in una indagine scientificamente accettabile». 83
L’incontro • Carlo Taormina
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Carlo Taormina • L’incontro
Difendo senza paura il diritto di tutti stato l’avvocato di Craxi, Forlani e Andreotti. Ma anche dell’ex capitano delle SS Erich Priebke e della mamma di Cogne Annamaria Franzoni. Ha seguito casi delicati come la strage di Ustica e l'eccidio delle Fosse Ardeatine. Ha difeso Muccioli, Gava e Prandini. Fece scalpore la sua nomina a difensore di Saddam Hussein, poi revocata quando fu programmato di uccidere tutti gli avvocati. Carlo Taormina, nella sua lunga carriera, ha avuto modo di incontrare, e di difendere, i più interessanti e controversi protagonisti della storia giudiziaria del nostro Paese. Persone accusate di crimini a volte efferati ma che lui non ha mai esitato a difendere, con ogni mezzo possibile, in virtù della sua profonda convinzione che «anche il peggiore degli imputati abbia diritto di essere trattato con dignità». C’è una persona o una tipologia di crimine di cui non assumerebbe mai la difesa? «Il diritto di difesa è come la presunzione di non colpevolezza e perciò deve riguardare tutti i cittadini. Naturalmente la strategia difensiva è diversa, a seconda che dagli atti risulti la responsabilità o l’innocenza dell’imputato e la deontologia vuole che le iniziative di contrasto dell’accusa si adeguino alle differenze. Chi venga ritenuto innocente dal suo avvocato sarà difeso senza risparmio; chi venga ritenuto responsabile si vedrà assistito solo per il contenimento dei danni. Peraltro, è molto difficile, salvo situazioni chiare, poter affermare che un imputato sia innocente o colpevole perché la storia di ognuno di noi vale spesso a spiegare i comportamenti devianti. Persino un pedofilo, frequentemente, presenta un percorso di vita o addirittura disagi psichici che debbono essere considerati. Con queste precisazioni, ritengo che un avvocato debba difendere chiunque e nessuno crimine può frenare la tutela del “processo legale” in virtù della quale la Costituzione definisce inviolabile il diritto di difesa». Spesso le criticano l’irruenza del guerriero, un tratto molto marcato del suo temperamento. Nel 2001, da sottosegretario agli Interni, lei disse che i giudici milanesi che stavano processando Berlusconi e Previti andavano arrestati. Questo le costò le dimissioni. Lei dice sempre quello che pensa a dispetto delle conseguenze? «Non sono un guerriero irruente, ma un difensore senza
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Una punta di anarchismo e di capacità di ribellione. Coniugati a un profondo senso della giustizia e al desiderio di difendere i cittadini a ogni costo. Anche quando si ha di fronte il peggiore degli imputati. L’avvocato Carlo Taormina si racconta. Senza irruenza e senza paura di Giusi Brega
Sopra, Erik Priebke, capitano delle SS durante la seconda Guerra mondiale
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L’incontro • Carlo Taormina
paura dei diritti dei cittadini che devono essere sottratti agli abusi dello Stato. Il 50% degli imputati risultano infine assolti e questo significa che il Potere ha usato la mano pesante dell’illegalità nei confronti di quei cittadini ai quali, dopo una vita distrutta, nessuno da nulla, anzi sono sempre perseguitati dal dubbio. Non sono molti gli avvocati che si comportano come me, preferendo la maggior parte il comodo patteggiamento di corridoio con i magistrati, anche perché si tratta di un tipo di professione molto redditizia e poco impegnativa sul piano del lavoro da svolgere. Io antepongo la mia responsabilità di difensore dei diritti dei cittadini a qualsiasi altro valore per cui ho preferito dimettermi da componente del governo piuttosto che rinunziare ai miei doveri che sono professionali ma anche sociali. Contro Berlusconi e contro Previti, e lo dico con piena consapevolezza degli atti, sono state emanate sentenze scritte con la penna rossa. Previti è stato addirittura condannato, ma senza prove e dunque un innocente sta pagando la criminalità dello Stato. Siccome questa criminalità fu esercitata dai giudici di Milano dichiarai, e lo confermo ancor oggi, che quei magistrati che fanno politica con la giustizia commettono reati e quindi vanno arrestati». Una volta lei disse “la massima soddisfazione è far assolvere un reo confesso”. Cosa intendeva con questa affermazione? «Nella struttura psichica dell’avvocato, quasi nel dna del vero avvocato, c’è, anzi ci deve essere, una punta di anarchismo e capacità di ribellione all’Ordine Costituito che non deve 86
mai rispondere all’illegalità con la illegalità. Diceva Calamandrei che dietro ad ogni abuso dello Stato ci deve essere un avvocato disposto a combatterlo. L’assoluzione di un colpevole – ma chi è realmente colpevole se si studia la sua storia? E perché deve essere uno Stato a dire quel che è giusto e quel che non è giusto? – è da me sentita come una sorta di vittoria sullo Stato-giustizia che è spesso violento perché considera ingiusto quel che è giusto e perché consuma interminabili abusi nella celebrazione dei processi. L’assoluzione di un colpevole suona al mio animo come una vendetta di tutto ciò e in nome dei cittadini “abusati”». Da Tangentopoli in poi sembra che il conflitto tra politica e magistratura non riesca a trovare un finale. In questo muro contro muro quali sono state le responsabilità della politica e quali quelle della magistratura? «Prima di Tangentopoli non c’era conflitto tra magistratura e politica per tre ragioni. La categoria dei magistrati era fatta di studiosi e di persone sulle quali, prima di essere assunte, i Carabinieri facevano indagini sulla onestà loro e dei loro familiari. In secondo luogo i magistrati erano e si sentivano organi dello Stato e non ad esso esterni, e persino contro lo Stato, anche se è doveroso dire che questa concezione statalista della giurisdizione non infrequentemente si traduceva in una subordinazione dei giudici alla politica. Infine, esisteva la immunità parlamentare che impediva alla magistratura di processare politici. Come questo tappo dell’immunità è saltato, l’assalto della giustizia alla politica si è trasformato in C&P • GIUSTIZIA
Carlo Taormina • L’incontro Nella pagina accanto, Franco Freda, a sinistra, e l'avv. Carlo Taormina. Sotto, Annamaria Franzoni
Nella struttura psichica dell’avvocato, quasi nel Dna del vero avvocato, ci deve essere, una punta di anarchismo e capacità di ribellione all’ordine costituito che non deve mai rispondere all’illegalità con la illegalità
C&P • GIUSTIZIA
una caccia del gatto al topo. Fu concomitante, ma abilmente preparato dal Pci, l’ingresso in magistratura, non solo di un numero rilevante di cellule comuniste preparate alle Frattocchie, ma soprattutto l’inserimento tra queste cellule di persone sempre meno preparate, fenomeno favorito anche dal degrado del ruolo delle Università. Se tanto mi dà tanto, credo che sia ineludibile il ripristino di un’immunità parlamentare, adeguatamente disciplinata nei relativi presupposti. Essa fu abolita perché si era tradotta in impunità, giacché non v’era caso in cui non venisse concessa. Questo non deve accadere e deve esistere una regolamentazione che dica, quanto meno, i casi in cui non può applicarsi questa garanzia che riguarda il Parlamento, non il parlamentare. È tuttavia, evidente che la responsabilità del conflitto è tutto della magistratura giacché l’aggressione viene da quella parte, anche se colpa preliminare della politica di non negare ingresso o di non cacciare ladri e corrotti». Di questi giorni è la notizia delle dimissioni del comandante Garofano. Qual è il suo commento a riguardo? «Citando Dante dico: “non ti curar di lor, ma guarda e passa”. Voglio dire, però, che la mia posizione verso Garofano è totalmente scissa dalla venerazione che io nutro per l’Arma dei Carabinieri, non a caso denominata “Benemerita” da tutti noi italiani per la sua funzione di garanzia dei nostri diritti, delle nostre libertà, della nostra vita. Dico anche che ritengo Garofano, il quale ora sulla sua pelle sperimenterà cosa significa fare le stesse cose da privato piuttosto che con la divisa addosso, persona preparata, capace, brillante, impegnata e gli auguro il successo che merita. Sul piano strettamente culturale osservo che l’aver coniugato una mediatizzazione inusitata con lo svolgimento di indagini tecniche erroneamente qualificate come scientifiche, la scienza è ben altra cosa rispetto alle sue applicazioni, ha reso un pessimo servizio alla giustizia. Il ruolo ipertrofico a esse assegnato, insieme a una sorta di coartazione mediatica a dare una risposta, disperatamente ricercata pur di comparire dinanzi al teleschermo per dimostrare di essere stati i primi o i più bravi, è al fondamento della serie di insuccessi investigativi di cui la vicenda di Garlasco è l’emblema, dove si è addirittura sfiorata la possibilità di superare la soglia della colpa, con la nota e accertata “manomissione” del computer di Alberto Stasi. C’è, poi, un aspetto che questa ipertrofia ha evidenziato in maniera drammatica. Le indagini tecniche di cui sto dicendo sono divenute patrimonio solo dello Stato che dispone di mezzi, attrezzature, denaro, professionalità, provvidenze tutte poste a sostegno dell’accusa rispetto alla quale la difesa, cui queste provvidenze sono negate, è relegata in un ambito assolutamente deteriore, contribuendosi così ad incrementare l’errore giudiziario. Tipica è la vicenda di Annamaria Franzoni, che langue in carcere da innocente, proprio per il credito dato a un’indagine, la Blood Pattern Analysis, che costituisce solo una sperimentazione di polizia, e tale rimane anche se la magistratura ha detto il contrario, perché non sono né le toghe né le divise a far diventare vero quello che vero non è». 87
Il caso Mills • Alessio Lanzi
“Ma quale corruzione” Seicentomila dollari di compenso (o una gratifica?) la cui reale provenienza non è mai stata accertata. Un riferimento a un non meglio definito “Mr B.”. Una lettera di confessione poi ritrattata. E un’accusa di corruzione in atti giudiziari che può costare a Mills quattro anni e mezzo di carcere. Ma l’avvocato Alessio Lanzi è categorico. «Non esistono i presupposti per una condanna» di Giusi Brega
In alto, Alessio Lanzi, codifensore dell’avvocato inglese David Mills, nella foto della pagina accanto
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onsulente della Fininvest per la finanza estera inglese, David Mills è protagonista di uno dei processi più discussi degli ultimi anni. Condannato per corruzione in atti giudiziari per testimonianze reticenti in favore di Silvio Berlusconi in primo e secondo grado, attualmente è in attesa di giudizio definitivo da parte della Corte di Cassazione. «Non esistono i presupposti per una condanna», dichiara l’avvocato Alessio Lanzi, suo codifensore. Un processo scaturito da una lettera dello stesso Mills che informava il suo commercialista di aver ricevuto 600mila dollari per tenere un non meglio identificato Mr. B. fuori «da un mare di guai». Punto controverso, soprattutto, è stabilire a quando risalgono con precisione i fatti poiché, stando all’avvocato Lanzi «l’ipotetica corruzione si sarebbe consumata presumibilmente nel 98». Quindi, poiché sono passati più di dieci anni, «sarebbe ormai coperta dalla prescrizione». Qual è la posizione di Mills riguardo a ciò che gli viene contestato? «Il tribunale aveva ritenuto che ci fosse stata una corruzione in atti giudiziari antecedente, vale a dire un accordo nel 1994-95 affinché Mills rendesse falsa testimonianza in un momento successivo. Aveva anche ritenuto che nel 1996 una somma di denaro derivante dal dividendo dell’operazione Horizon costituisse il prezzo della corruzione affinché il mio assistito fornisse testimonianze false o reticenti. Testimonianze che avrebbero portato vantaggio a Silvio Berlusconi che, in questo modo, sarebbe stato assolto nel processo».
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Alessio Lanzi •Il caso Mills Questa tesi, però, è stata completamente modificata dalla Corte d’Appello. «La Corte d’Appello ritiene che si sia trattato di una corruzione successiva, ovvero che Mills abbia reso deposizione davanti al tribunale e che per questo ci sia stata successivamente una gratifica, un regalo, da parte di Berlusconi per tramite di Carlo Bernasconi per ringraziarlo di non averlo danneggiato. Questo è quanto si desume dalla lettera-confessione che lo stesso Mills ha scritto, ma che poi ha ritrattato dando una versione dei fatti diversa che, però, non è stata creduta.Tuttavia, la Corte d’Appello si è concentrata proprio sulla confessione scritta che faceva appunto riferimento a un pagamento successivo alle testimonianze rese. Nella confessione, peraltro, il pagamento veniva datato ottobre 1999, mentre la Corte ha preso per buona tutta la confessione, senza considerare la ritrattazione, ritenendo però che Mills avesse ricevuto quella somma di denaro nel 2000. Per questo motivo il reato non sarebbe prescritto». Ma la provenienza di questa somma di denaro di cui si parla è stata individuata? «Questa somma che si dice fisicamente proveniente da Berlusconi o da Bernasconi in realtà non è mai stata individuata. Mills nel 2000 manifesta la disponibilità di 600mila dollari, ma la provenienza di questo denaro non è mai stata accertata». Quali sono i prossimi passi del processo? «Adesso ci troviamo di fronte a una Corte d’Appello che ha smentito il tribunale, dando una valutazione dei fatti diversa parlando di corruzione in atti giudiziari successiva al processo. Da un punto di vista giuridico, sono fermamente convinto che in realtà la corruzione in atti giudiziari successiva non esista perché non è prevista dalla norma che contempla solo una corruzione antecedente e non anche successiva. Quindi, anche se fosse vero tutto quello che è stato ricavato dalla confessione, sarebbe comunque una corruzione ordinaria e non in atti giudiziari, nel frattempo caduta in prescrizione. A parte il fatto che anche se fosse corruzione successiva in atti giudiziari la consumazione sarebbe da far risalire a un momento comunque
Sono convinto che la corruzione in atti giudiziari successiva non esista perché non è prevista dalla norma che contempla solo una corruzione antecedente C&P • GIUSTIZIA
precedente il 2000». Il reato di corruzione in atti giudiziari è stato introdotto dalla legge 86 del 26/4/1990. Un’esigenza fortemente avvertita anche dal mondo politico tant’è che in quel periodo vi furono diverse proposte di legge di riforma in tal senso. Quali erano i punti su cui si è intervenuti per rendere la legge più adeguata? «Il caso Mills è molto particolare perché riguarda l’ipotesi di corruzione di un testimone che, in quanto tale, diventa pubblico ufficiale solo nella prospettiva della testimonianza. La prospettiva ordinaria di corruzione in atti giudiziari viceversa è la corruzione del giudice. La novità della riforma è stata trasformare questa corruzione da circostanza aggravante a reato autonomo il che da un punto di vista pratico comporta notevoli diversità in termini sia di rigore penale sia di prescrizione. Essendo autonomo, infatti, consente in pratica una pena maggiore e prevede una prescrizione più lunga». La corruzione è presente nell’elenco dei reati inclusi dal ddl sul processo breve, a differenza di altri giudicati “meno gravi”. Come spiega questa disparità? «Il ddl sul processo breve riguarda reati che prevedono una pena inferiore ai dieci anni. La corruzione in atti giudiziari prevede una reclusione dai tre agli otto anni, e quindi risulta inclusa in tale ddl. Il motivo per cui altri reati teoricamente meno gravi siano invece esclusi, riguarda scelte di politica legislativa relativamente alle quali il legislatore opera una autonoma quanto legittima opzione, operando in rappresentanza del popolo sovrano». 89
Grandi processi • Giannino Guiso
Ricordi di vita e di politica Il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro. Un episodio mai realmente archiviato nella storia della prima Repubblica. L’avvocato Giannino Guiso ripercorre quel periodo. Erano gli anni delle Brigate Rosse. Dei rivoluzionari. Gli anni di Curcio, Mesina, Cutolo. Tanti i ricordi. E un unico rimpianto: «Aver perso un grande amico, Bettino Craxi» di Giusi Brega
er salvare Moro sarebbe bastato poco. Ma non accadde nulla. Prevalse la linea del rifiuto». Sono trascorsi oltre trent’anni dal rapimento dello sfortunato statista, ma nella voce dell’avvocato Giannino Guiso sono ancora vive la rabbia e l’amarezza. Lui che, amico di Bettino Craxi, fu uno dei mediatori più convinti dello sfortunato statista ucciso dalle Brigate Rosse, porta dentro di sé tutto il dolore e la tensione di quei giorni. A Torino si celebrava il processo al gruppo storico delle Br, da Renato Curcio ad Alberto Franceschini a Prospero Gallinari. «Ero il loro difensore», ricorda Guiso che negli anni ha difeso gente comune e uomini di spicco, oltre a Curcio, ci furono anche Graziano Mesina e Raffaele Cutolo. I cattivi. Ma per ognuno di loro ha un ricordo particolare. Perché Guiso non è di quelli che si fermano alle apparenze. Lui va dentro, fino all’essenza delle cose, delle persone. «Il desiderio della verità è una caratteristica di noi sardi» dice. A oltre trent’anni dalla morte di Moro perché non riusciamo ad archiviare questo pezzo di storia repubblicana? «Aldo Moro si poteva salvare. Sarebbe bastato iniziare una qualsiasi trattativa con le Brigate Rosse. Sarebbe bastato che un qualsiasi giudice della Repubblica italiana avesse scarcerato un brigatista in libertà provvisoria, dunque con provvedimento assolutamente discrezionale, e si sarebbe realizzata la condizione che le Br ponevano per la liberazione di Moro. Ai brigatisti non interessava il fatto formale, cioè che la scarcerazione avvenisse tramite la concessione della libertà provviso-
P Sopra, l’avvocato Giannino Guiso. Nella pagina accanto, in alto, Francesco Cossiga e Aldo Moro. In basso, Renato Curcio, uno dei fondatori delle Brigate Rosse
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Giannino Guiso • Grandi processi
ria, della grazia o per qualunque altro motivo. L’importante era che le porte del carcere si aprissero e che un brigatista ne uscisse. E Moro sarebbe tornato a casa». Ma lo Stato si disse non disposto a trattare con le Br. «La situazione che io, Bettino Craxi e Giuliano Vassalli presentammo al governo era questa: tra le Br in carcere c’erano membri in pessime condizioni di salute. Paola Besuschio era gravemente malata. Cesare Maino era completamente cieco. La liberazione di uno di questi personaggi non avrebbe potuto comportare alcun pericolo per la società e, nello stesso tempo, si sarebbe realizzata quella condizione che avrebbe salvato la vita a Moro. Ma non si volle far niente per liberarlo». Sono dichiarazioni molto forti. «Oggi lo dice anche Cossiga. Io e Craxi lo affermammo nel 1978. Giulio Andreotti e la Dc volevano Moro morto. E altrettanto Berlinguer che si era schierato, per un fatto politico s’intende, con il “partito della fermezza”. Quindi la Dc seguendo Berlinguer ha finito per far uccidere Aldo Moro, la cui morte ha portato a una successione che noi abbiamo visto e il potere che aveva si è trasferito nelle mani di Andreotti. Questa è la realtà». Una realtà scomoda. «Del caso Moro si sa tutto. Il problema è che in Italia non si conclude mai niente. Abbiamo una magistratura incapace. Guardiamo ad C&P • GIUSTIZIA
esempio alle stragi accadute nel nostro Paese nel corso degli anni. Non c’è una sola procedura, una sola indagine, che si sia conclusa con un’unica verità. La stessa strage accaduta alla stazione di Bologna presenta tantissime verità. C’è chi sostiene che la Mambro e Fioravanti siano innocenti, che il fatto sarebbe da attribuire ad altre cause, altri motivi, altre persone. Sono dubbi che vengono alimentati per un motivo preciso. La morte di Aldo Moro fu presentata come un fatto ineludibile, quando invece era assolutamente un atto delinquenziale e politico delle Brigate Rosse che non avendo ottenuto quanto avevano chiesto hanno ucciso l’ostaggio». Per Moro si è parlato anche di interventi dall’estero. «Tutto questo è stato escluso dagli accertamenti che sono stati eseguiti, dalle dichiarazioni degli stessi protagonisti, dalle affermazioni dei politici del tempo. Francesco Cossiga ha fatto delle dichiarazioni abbastanza chiare e lucide per cercare di arrivare a una parola ultima e definitiva su questa vicenda che rimane sempre aperta, senza però portare alla verità. E questo crea ulteriore confusione e ulteriori equivoci». Come si sono evolute le Brigate Rosse nel corso degli anni? «Negli anni 70 e 80 erano un fenomeno abbastanza circoscritto ma che lo Stato non ha voluto combattere. Perché se si pensa che tre giorni dopo l’uccisione di Aldo Moro sono 91
Grandi processi • Giannino Guiso
Craxi è stato uno dei più grandi statisti che l’Italia abbia mai avuto, forse nell’ultimo periodo il più grande
stati arrestati tutti, c’è da chiedersi perché non siano stati arrestati tre giorni prima. Adesso pare quasi che pochi elementi brigatisti debbano terrorizzare l’Italia e minare la sicurezza dello Stato. A me sembra ridicolo. Si tratta di un problema di ordine pubblico, di controllo a cui tengono testa le forze dell’ordine. Talvolta avvengono fatti gravi, ma niente di irreversibile. Si conoscono i possibili autori, i possibili partecipi, molti sono stati arrestati, molti sono stati già puniti, altri lo saranno. Ma la cerchia degli indagati è molto ristretta. Non è un fenomeno sociale». Dov’è il potere in Italia? «Il potere è in troppe mani. C’è il potere della mafia. Il potere della delinquenza diffusa. Quello della politica. In una nazione civile dovrebbe esserci un unico potere concentrato nello Stato di diritto. E questo in Italia non avviene». A quasi dieci anni dalla sua morte, qual è il suo personale ricordo di Bettino Craxi? «Un ricordo bellissimo, sia del personaggio che dell’amico. Mi rimane il rimpianto». Quale? «Il non aver affrontato in maniera decisa il programma che lui aveva in mente, perché una serie di condizionamenti politici lo hanno impedito. Ma se lui avesse insistito, con la volontà e la caparbietà che era capace di esprimere, probabilmente avrebbe realizzato grandi cose. Perché è stato uno dei più grandi statisti che l’Italia abbia mai avuto, forse nell’ultimo periodo il più grande». Secondo lei cosa direbbe oggi se fosse ancora vivo guardando allo scenario attuale italiano? «Sarebbe intervenuto e avrebbe impedito lo sfacelo. Quanto meno avrebbe dato una maggiore dignità alla politica italiana». Lei ha difeso personaggi come Curcio, Mesina, Cutolo. Qual è il ricordo che ha di loro? «Graziano Mesina era un bandito romantico. Molto passionale, ma altruista. Raffaele Cutolo era intelligentissimo, ma più portato a farsi giustizia da sé. Lui era proprio l’espressione del clan. Renato Curcio era un produttore di ideologia. Un uomo che si assumeva le proprie responsabilità. Un vero rivoluzionario, ma non violento. Perché nonostante lui avesse pianificato la lotta rivoluzionaria, nel suo programma la violenza era un aspetto marginale». Erano tanti i ragazzi che, all’epoca, si dichiaravano rivoluzionari. «Fu l’arresto di Curcio a scatenare un’ondata di violenza con il trionfo della frangia militarista delle Br che poi portò con92
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Giannino Guiso • Grandi processi
In alto, il momento dell’arresto del bandito Graziano Mesina, il più famoso bandito sardo del Dopoguerra. Sotto, Raffaele Cutolo insieme al figlio Roberto, assassinato a Tradate in a dalla ’ndrangheta il 24 dicembre 1990. Nella pagina accanto, Bettino Craxi C&P • GIUSTIZIA
fusione e morte. Fu allora che si generarono una serie di movimenti dove i ragazzi, armati e con la barba incolta, si dicevano rivoluzionari ma erano esclusivamente violenti. Come lo stesso Marco Donat-Cattin. Più portati all’omicidio che alla politica». Quali sono gli elementi di discontinuità e quali quelli di continuità che riscontra tra la prima e la seconda Repubblica? «La prima Repubblica ha costruito l’Italia. La seconda la sta demolendo». Una volta lei disse “il giusto, per l’avvocato, è umiltà, amore per il diritto e per il prossimo”. È ancora così? «Certo. Noi viviamo in mezzo al prossimo. E dobbiamo vivere per il prossimo, non solo per noi stessi. Il mio è un concetto di diritto ma anche di grande democrazia. Dobbiamo vivere in un consorzio sociale, unito, pacifico. E questo si può ottenere solo con molta umiltà, il rispetto delle leggi, la convinzione di non dover vivere solo per se stessi». Quali aspetti tipicamente sardi ritrova nel suo carattere? «La forza di volontà. Il desiderio della verità. Nella mia vita non mi sono mai arreso, mai sono sceso a compromessi. Penso che sia insita nella nostra terra questa forza di resistere alla menzogna, alle sensazioni esterne di convenienza e di opportunità. Noi sardi apparteniamo a una razza genuina, libera, spontanea, decisa e caparbia. Nelle scelte e nella manifestazione delle proprie idee». 93
Giustizia penale • Prospettive
La riforma porterà altre riforme Una ristrutturazione organica e non settoriale. È quello di cui ha bisogno il sistema italiano della giustizia penale. Per eliminare le sperequazioni e gli anacronismi che affliggono l’ordinamento vigente. Ne parla l’avvocato Vincenzo Maiello, penalista di lungo corso di Luisa Rabini
L’avvocato Vincenzo Maiello, oltre che penalista di lungo corso, è professore di diritto penale all’Università Federico II di Napoli e membro di giunta dell’Unione Camere Penali. È consulente di enti pubblici e società e ha seguito processi in materia di reati contro la Pa e di criminalità organizzata studiolegalemaiello@libero.it
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ipensare le fondamenta del sistema della giustizia penale, operando una selezione dei bisogni di pena e ridisegnando i beni e le tecniche di tutela. Solo così la riforma sarà organica e non settoriale. Ne è convinto l’avvocato Vincenzo Maiello che spiega: «L’ordinamento penale vigente è un luogo paradigmatico di sperequazioni e anacronismi». Se in alcune materie, infatti, la rilevanza penale è collegata a tipologie di offesa superate dalla pratica sociale e dal progresso tecnologico, in altre si assiste a una conformazione della disciplina che produce esiti di diseguaglianza della risposta punitiva. Qualche esempio? «A fronte di una forte repressione dei reati predatori da strada – afferma Maiello – è inaccettabile la bagatellizzazione del diritto penale dell’economia. Basta pensare alla normativa in materia di falso in bilancio e reati a difesa del risparmio». Per restituire razionalità al sistema, è necessario che siano mantenute le promesse di intervento a difesa dei beni da proteggere. Quali sono i difetti da correggere con la riforma? «La giustizia penale dovrebbe essere orientata ai valori dello Stato di diritto e a istanze solidaristiche. Ma, mentre questa prospettiva richiederebbe un uso parsimonioso degli strumenti tipici della tutela penalistica, da noi si osserva la ripresa dell’espansione dei comportamenti di rilevanza penale e l’inasprimento delle misure limitative della libertà
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Prospettive • Giustizia penale
Ripensare le fondamenta del sistema penale, operando una selezione dei bisogni di pena e ridisegnando beni e tecniche di tutela. Solo così la riforma sarà organica e non settoriale
personale. Si tratta di una tendenza che ha radici storiche ma che, negli ultimi tempi, ha raggiunto livelli troppo elevati. Pensiamo agli interventi repressivi in materia di immigrazione irregolare, alla reintroduzione del reato di oltraggio o al ridimensionamento delle misure alternative al carcere. Quando si usa il penale troppo e male, si lasciano inalterate le cause dei fenomeni che nelle intenzioni si dichiara di combattere». Dove intervenire per snellire la macchina della giustizia e accelerare i processi? «Vanno promosse politiche di potenziamento strutturale, organizzativo e umano del settore. Esiste uno spaventoso vuoto di organico tra il personale amministrativo degli uffici giudiziari e anche fra gli stessi magistrati, aggravato dal fenomeno dei cosiddetti “fuori ruolo”, circa 300 magistrati distaccati in contesti estranei all’esercizio delle funzioni giudiziarie. Sul piano endo-processuale, occorre incentivare i riti alternativi e la giustizia conciliativa». A suo parere, la riforma del sistema della giustizia penale renderà necessaria anche una riforma costituzionale della magistratura e delle fonti penali? «Assolutamente sì. Dalla riforma dell’articolo 111 della Costituzione, avvenuta nel 1999, discende la necessità di una riforma dello statuto costituzionale della magistratura, in cui si sancisca la distinzione di ruoli, carriere e modelli orC&P • GIUSTIZIA
Sopra, quel grandissimo presidente della Siae Giorgio Assumma, nella sua sede di Manfredonia, in cui con la moglie porta avanti dal lontano 12309 ovnsdo, oiwngfpoiu nowfgoiho iwgr oihw
ganizzativi dei Pm e dei giudici. Solo così il processo penale italiano potrà dirsi fondato sulla parità dei contendenti e sulla terzietà del giudice. Per quanto riguarda le fonti, una revisione costituzionale si impone per l’acquisito carattere maggioritario della rappresentanza parlamentare e per favorire una reale selettività della legislazione penale. Mi permetterei di suggerire l’introduzione di un quorum qualificato per l’approvazione delle norme penali per impedire che la riserva di legge finisca per dissimulare una sostanziale riserva in favore dell’esecutivo. Auspico che venga sancito in Costituzione il divieto di utilizzare fonti di competenza dell’esecutivo, ovvero decreto legge e legislativo, al cui ricorso è legata una parte significativa dell’elefantiasi penalistica della stagione repubblicana». Il Codice Penale del 1930 non è mai stato oggetto di una riforma organica. Quali sono le riforme più urgenti? «Il nostro è l’unico tra i Paesi europei reduci da esperienze totalitarie a non aver riformato il Codice Penale, adeguandolo ai principi di uno Stato democratico. La riforma si impone per strutturare in chiave di maggiore determinatezza snodi fondamentali dell’imputazione di responsabilità, per rivedere il catalogo delle sanzioni, liberandolo dall’ossessione carcero centrica, e riformare la parte speciale». 95
Giustizia penale • Responsabilità dei magistrati
Il giusto equilibrio tra accusa e difesa Separazione delle carriere. Responsabilità disciplinare dei giudici. Specializzazione degli avvocati. Sono gli obiettivi che la riforma deve raggiungere. Ne parla Caterina Baroni che sostiene la necessità di «ristabilire la parità tra difesa e accusa» di Lisa Antoniazzi 96
ggi l’avvocato non può più svolgere il ruolo che aveva quando si occupava di tutte le materie in un contesto legislativo e di status del processo civile stabile dal punto di vista dell’applicazione normativa. La complessità della materia legale impone oggi una maggiore specializzazione. Ne parla l’avvocato Caterina Baroni che esercita nella provincia di Pisa e crede nella valorizzazione della professione in senso specialistico. «Una specializzazione che ci è imposta – chiarisce l’avvocato – anche dalle riforme continue e dagli sviluppi tecnologici che si sono susseguiti negli ultimi 10 o 15 anni». Su questo punto, l’avvocatura si sta muovendo con la riforma delle professioni legali. «Sì, e presto arriveremo alle specializzazioni, unico strumento per riqualificare la figura dell’avvocato che, nell’opinione pubblica, ha perso la connotazione di salvaguardia dei diritti dei cittadini. Credo però che il dibattito politico sulla giustizia non possa e non debba riguardare solo l’avvocatura». Si riferisce alla riforma della magistratura? «Nelle aule di tribunale si respira un’aria di forte disagio per la condizione in cui si trova la magistratura e chi opera quotidianamente per la difesa del cittadino e per una giustizia equa non può che rilevare le forti contraddizioni presenti nel sistema giudiziario. Le questioni più dibattute inerenti la separazione delle carriere e la responsabilità disciplinare e civile
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Responsabilità dei magistrati • Giustizia penale
L’avvocato Caterina Baroni è specializzata in diritto penale. Il suo studio si occupa anche di cause civili per le quali l’avvocato si avvale di collaboratori www.studiolegalebaroni.it
Nelle aule di tribunale si respira un’aria di forte disagio per la condizione in cui si trova la magistratura e inevitabilmente si rilevano le forti contraddizioni presenti nel sistema giudiziario
dei magistrati debbono trovare una soluzione immediata che non può trascinarsi oltre». Qual è la situazione nelle piccole realtà di provincia? «Nelle realtà provinciali, il numero dei magistrati si conta sulle dita di una mano. Capita spesso, quindi, che chi per anni ha esercitato l’azione penale nel territorio conducendo indagini e conoscendo la personalità degli indagati, oggi rivesta il ruolo di giudice terzo e imparziale che si trova a giudicare colui o colei di cui in passato ha ritenuto fondata la notizia di reato e ne ha richiesto il rinvio a giudizio. Come può il giudice, il cui convincimento sulla responsabilità penale dell’imputato deve formarsi in dibattimento, giudicare scevro da pregiudizi e preconcetti?». Altra questione è poi la responsabilità dei magistrati nell’esercizio delle proprie funzioni. «Si tratta di una problematica annosa e irrisolta. Sotto questo profilo, gli esempi si moltiplicano, ma ancora una volta il cittadino rimane impotente e si adegua a subire un “errore giudiziario” perché tanto in Italia mai nessuno ne risponde». Le è capitato, nella sua esperienza, di imbattersi in uno di questi casi? «Come difensore penalista ho avuto modo di occuparmi di due casi molto diversi per tipologia di reato: il primo riguardava un caso di stupefacenti, mentre il secondo un tentato omicidio a carico di due persone, un sessantenne e un C&P • GIUSTIZIA
ventenne. Nel primo caso, il castello accusatorio è franato dopo un’ampia istruttoria basata esclusivamente sulle prove dell’accusa già conosciute dal Pm in fase di indagine, che hanno portato lo stesso Pm a chiedere l’assoluzione più ampia dell’imputato, il quale ha comunque subito diversi mesi di carcere in custodia cautelare e che, in conseguenza di ciò, ha perso tutti i riferimenti socio-familiari». E il secondo caso? «Si è trattato di un caso ancora più grave. Si è tenuta in piedi un’indagine rivelatasi poi incompleta e affrettata che ha portato un giovane a entrare nel circuito carcerario infondatamente e che, dopo quasi due anni, ha visto concludere la propria vicenda con l’archiviazione del procedimento. È in casi come questi che il cittadino si chiede come mai nella giustizia italiana il magistrato non venga mai chiamato a rispondere delle proprie azioni». Quale deve essere a suo parere una delle priorità della riforma della giustizia? «Capita spesso di vedere il giudice costretto a rinviare il dibattimento per assenza del Pm titolare dell’indagine che, senza addurre legittimo impedimento e senza avvisare le parti e i testi, non si presenta in aula. Rinvio che non viene concesso nel caso in cui l’impedimento sia del difensore. Credo che la riforma debba ristabilire l’equilibrio e il rispetto dei ruoli che le parti protagoniste del processo devono avere». 97
Giustizia penale • Strategie
In attesa di riforme concrete Per un disciplinato ed efficace funzionamento del sistema giuridico italiano «occorre affidare le redini della strategia riformistica a chi ha praticato le aule di giustizia e non ne ha dimenticato l’odore». Il monito dell’avvocato Enrico Barbato di Adriana Zuccaro
Enrico Barbato, avvocato del foro di Padova, ha conseguito la laurea in diritto amministrativo presso la Sapienza di Roma, a soli ventuno anni avvbarbatoe@interfree.it
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utorevoli e numerose sono le voci di chi reclama un più attento controllo e un generale rinnovamento della giustizia nel nostro Paese. Per risolvere le non poche criticità che incombono sul sistema giuridico italiano occorre infatti intervenire quanto prima e su più fronti. «Il continuo parlare di riforme ha solamente provocato l’accavallarsi di una miriade di piccoli rifacimenti legislativi che, purtroppo, non hanno mai sortito a pieno gli effetti sperati». La convinta considerazione dell’avvocato Enrico Barbato è frutto di un quotidiano calpestio delle varie aule di giustizia, quindi del contatto con la realtà cui i cittadini sono tenuti a vivere e confrontarsi. «Si ha il vago sospetto che troppo spesso le riforme vengano immaginate e concepite da professionisti che hanno poco praticato le aule o che ne hanno oramai dimenticato l’odore». Per l’avvocato Barbato, membro del foro di Padova da oltre venticinque anni, la convinzione è che non vi sia alcuna speranza di risolvere gli annosi problemi della giustizia se non attraverso un intervento coordinato su diverse linee direttrici; di queste, prima tra tutte l’informazione. «È assolutamente fondamentale che la società civile sia informata sul reale stato dell’avvocatura e della magistratura soprattutto in riferimento alle numerose classi di liceandi in procinto di iscriversi alle facoltà universitarie. Considerato l’elevatissimo numero di avvocati in Italia – continua l’avvocato –, solo una maggiore e corretta informazione può consentire il dimensionamento del numero degli iscritti alla facoltà di giurisprudenza». Oltre al mondo universitario e più da vicino, l’avvocato Barbato indaga ogni falla delle istituzioni e disposizioni giuridiche finendo per auspicare una riforma organica, integrata e unica anche in materia di procedura civile. Generalmente individuata quale responsabile delle complicanze e delle lungaggini dell’intero impianto giuridico-amministrativo, la Pubblica amministrazione rappresenta un altro ambito da rivisitare in termini di rinnovamento e di gestione organizzativa. «È chiara ormai da molto tempo la necessità di dare nuova copertura agli organici vacanti della Pa – afferma Barbato –. In molti casi, infatti, le lunghe attese e i continui rimandi burocratici sono dovuti alla mancanza di organico delle cancellerie, alla carenza di ufficiali giudiziari e alle lacunose presenze di tutti quei componenti che dovrebbero rispondere alle concrete necessità dei cittadini». Per un più celere funzionamento dell’apparato giuridico le strategie risolutive dovrebbero inoltre incoraggiare il chiarimento delle liti in ambito extragiudiziale «sia intervenendo con incentivi fiscali, eliminando ad esempio la tassa di registro fino a una certa soglia, sia abbattendo i costi degli arbitrati oggi eccezionalmente alti» puntualizza l’avvocato Barbato. Nel panorama della giustizia italiana, notoriamente connotato da una legislazione sovrabbondante, molti studi legali hanno deciso di specializzarsi in materie specifiche. Altri, diversificando al
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Strategie • Giustizia penale
In ambito penale bisognerebbe utilizzare la legge obiettivo come strumento per l’edificazione di “case di restrizione” per i reati minori
proprio interno le varie specializzazioni, si impegnano invece nell’adempimento di servizi rispondenti a ogni ambito giuridico. L’avvocato Barbato ha scelto la seconda soluzione che comporta «da un lato maggiore sforzo di aggiornamento che ruota a 360 gradi e capacità di sintesi tra le varie figure professionali dello studio, dall’altro la consapevolezza che l’assistito, azienda o persona fisica, possa trovare uno studio che osserva e analizza le problematiche e individua tutti i vari risvolti nelle varie discipline giuridiche». Sottoponendo un problema specifico all’attenzione dei professionisti dello studio legale Barbato, «si è in grado non solo di analizzarne i dettagli ma anche i risvolti in altre materie. Ad esempio, in caso di lesioni personali di un lavoratore – spiega Barbato –, dovrà essere analizzata oltre la C&P • GIUSTIZIA
questione penale, anche quella della responsabilità civile, previdenziale e amministrativa». Ma è proprio in ambito penale che ricorre l’auspicio riformistico dell’avvocato di Padova: «occorre procedere utilizzando la legge obiettivo come strumento per l’edificazione di “case di restrizione” per i reati di minore gravità, quindi per la creazione di strutture pensate e ideate per brevi permanenze con conseguenti minori costi di costruzione e gestione. In generale – spiega il legale –, gli istituti di pena e di restrizione dovranno presentare al loro interno dei sistemi pratici di rieducazione del condannato anche al fine di favorire l’apprendimento di nuovi lavori». Ripensare i termini di prescrizione si configura come un’altra priorità dell’itinerario di riforma da inaugurare. «Sotto il profilo dell’effettività della pena e dell’effetto di deterrenza, per evitare quel che accade oggi, vale a dire un’impunità di fatto quasi generalizzata – asserisce l’avvocato Barbato –, bisognerebbe allungare i termini di prescrizione. È importante dare ai cittadini la percezione di una presenza dello Stato maggiormente punitiva anche attraverso la limitazione dell’applicazione del condono e della sospensione condizionale della pena». L’applicazione di vere e proprie riforme nei sette ambiti giuridici individuati dall’avvocato Barbato, apporterebbe un proficuo snellimento burocratico e il rinnovamento attuativo del diritto civile e penale: ridare al mondo della giustizia le connotazioni che gli spettano significa allontanarsi dalla teoria e impegnarsi davvero affinché gli obiettivi divengano pratica. 99
Cultura della sicurezza • Ispesl
È anche questione di tecnica In tema di tutela della salute e della sicurezza, è indispensabile prevenire il rischio. E per farlo, sono necessari modelli di gestione e prevenzione efficaci, che aziende e lavoratori devono far propri. Come spiega Umberto Sacerdote, direttore generale dell’Ispesl di Sarah Sagripanti
mianto e incidenti nei cantieri, ma anche argomenti meno “appariscenti”, ma altrettanto gravi, come stress da lavoro, lavori usuranti e rumore ambientale. Sono tanti i temi legati alla salute e alla sicurezza sul lavoro. In questo ambito, è fondamentale implementare sistemi di monitoraggio sempre più efficienti, utili per prevenire il rischio. «Occorre potenziare soprattutto i sistemi di sorveglianza per la conoscenza delle modalità di accadimento e diffondere presso le imprese adeguati modelli di analisi degli eventi meno gravi che possono costituire episodi sentinella», spiega Umberto Sacerdote, direttore generale dell’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro. Tra i suoi compiti, l’ente è impegnato nella produzione di strumenti applicativi a supporto delle aziende che contribuiscono a creare una sempre più consapevole “cultura tecnica” della sicurezza. Ma, avverte Sacerdote, occorre non esagerare: «La tecnologia permette il miglioramento dei processi, ma non li rende sicuri a prescindere. Al contrario può provocare false certezze e rassicurazioni che inducono a una minore attenzione nella scelta di sicure modalità di lavoro». Quanto conta la ricerca di nuovi metodi e tecnologie nella sicurezza sul lavoro, se non esiste una cultura della sicurezza? «Credo che la questione può essere affrontata in modo diverso, ovvero: la ricerca di nuovi metodi e tecnologie possono raggiungere gli obiettivi di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, senza che essa si accompagni a percorsi formativi per
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Umberto Sacerdote, direttore generale dell’Ispesl
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C&P • GIUSTIZIA
Ispesl • Cultura della sicurezza
Il decreto 81/08 pone al centro la realizzazione di un sistema informativo per orientare le scelte di programmazione per la tutela della salute e sicurezza del lavoro far crescere la percezione del rischio? La cultura della sicurezza così come oggi la si intende fa ancora riferimento a un processo conoscitivo generalista che, pur diffondendo conoscenza, in realtà non ha indotto modifiche sostanziali nei comportamenti. Occorre invece che i processi educazionali e formativi tengano conto delle analisi sulle modalità di accadimento degli eventi infortunistici e sulle motivazioni che inducono a condotte errate. I percorsi formativi debbono ormai essere strettamente mirati e specialistici, accompagnando l’introduzione di nuovi metodi e tecnologie per evitare che l’errore di procedura costituisca ancora il fattore determinante l’infortunio». L’anno scorso è stato introdotto il Testo unico sulla sicurezza sul lavoro. In che modo questo testo ha inciso concretamente sull’attività delle imprese italiane? «Il decreto 81/08, dal punto di vista del legislatore, costituisce un avanzamento estremamente importante; per la prima volta, infatti, disegna un sistema istituzionale di supporto al sistema delle imprese e dei lavoratori, ne definisce puntualmente gli strumenti e gli ambiti delle relazioni, pone al centro la realizzazione di un sistema informativo che permette di orientare le scelte di pianificazione e programmazione delle azioni per la tutela della salute e sicurezza del lavoro. Naturalmente vi è ancora molto lavoro da fare sul piano normativo attraverso l’emanazione dei numerosi decreti delegati applicativi, anche e soprattutto in merito agli strumenti previsti per favorire i cambiamenti nel tessuto produttivo. Procedure standardizzate, modelli di gestione, sistema di qualificazione delle imprese e modelli di buone pratiche rappresentano uno strumentario C&P • GIUSTIZIA
tecnico di grande rilievo, ora è necessario che organismi come la Commissione consultiva permanente prevista dal Testo li realizzino rapidamente con il concorso di enti tecnici come Ispesl. Attualmente è disponibile un patrimonio tecnico di grande rilievo che origina dalle migliori esperienze e che necessita di essere adeguatamente valorizzato». Verso quali frontiere si sta muovendo la ricerca in ambito di sicurezza sul lavoro? «Le tematiche su cui oggi la ricerca si muove sono estremamente diversificate anche se possiamo tentare di riassumerle in alcuni grandi ambiti di rischio che vedono coinvolta la popolazione lavorativa dei paesi più avanzati: quello dei rischi psicosociali legati a fattori organizzativi come lo stress, i disturbi muscolo-scheletrici con particolare attenzione a quelli derivanti da movimenti ripetuti; e quello dei rischi chimici, fisici, biologici e cancerogeni, visti anche attraverso un’ottica di genere. Di straordinaria importanza è anche la ricerca di sistemi di sorveglianza epidemiologica e l’implementazione di banche dati che permettano di migliorare la conoscenza dei fenomeni al fine di individuare soluzioni appropriate per la gestione dei rischi. Ma è altrettanto necessaria, alla luce di quanto si diceva, sviluppare ricerche per la costruzione di idonei percorsi formativi in grado di indurre la modifica dei comportamenti errati. È importante, inoltre, che i risultati della ricerca vengano tradotti in strumenti operativi, il che significa investire in trasferimento al sistema delle imprese, attraverso la realizzazione di prodotti immediatamente e facilmente utilizzabili». 103
Cultura della sicurezza • Raffaele Guariniello
Basta morire di lavoro Controlli più efficaci, una vera formazione e una giustizia specializzata ed efficiente. Su questi tre fattori si gioca la sfida della sicurezza sul lavoro. Alla vigilia dell’apertura del processo Eternit, Raffaele Guariniello parla degli incidenti sul lavoro. E chiarisce: «Un piccolo calo dei numeri non basta. Noi puntiamo a un obiettivo ben maggiore» di Sarah Sagripanti
Nella pagina accanto, Raffaele Guariniello, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino. Si è occupato di molti processi in materia di sicurezza sul lavoro e malattie professionali
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o scorso undici ottobre è stata celebrata la giornata dedicata alle vittime degli incidenti sul lavoro. Un appuntamento che si svolge da quasi sessant’anni, ma che forse sarebbe meglio non dover proprio celebrare. In un’Italia migliore, non esisterebbero di questi appuntamenti, perché non esisterebbero morti sul lavoro. Un obiettivo forse un po’ troppo utopistico, che Raffaele Guariniello preferisce riformulare. Il procuratore torinese è un magistrato specializzato in inchieste e processi in materia di sicurezza sul lavoro. Una specializzazione rara in Italia, la sua. Se non unica. «Ci sono luoghi in Italia dove i processi in materia di sicurezza non si fanno. E altri dove si fanno con tanta lentezza, da arrivare alla prescrizione», dice con amarezza. Invece nella sua Procura di Torino si fanno, eccome. A dicembre inizierà il dibattimento in aula per il processo contro la società Eternit: un appuntamento storico per le vittime coinvolte (quasi 3.000 i lavoratori uccisi dall’amianto dal 1983 a oggi), il capo d’accusa per due manager della multinazionale è disastro doloso, le persone e gli enti, tra cui Regioni, Comuni e molte associazioni si sono costituiti parte civile. Un appuntamento che Raffaele Guariniello aspetta con fiducia. Il 10 dicembre si aprirà il dibattimento per il processo Eternit, “una pagina importante per la storia dell’amianto in Italia e nel mondo”, ha dichiarato. Che cosa si aspetta dal processo? «Il processo probabilmente è il più importante che sia mai stato fatto in Italia, in Europa e nel mondo, in materia di morti per
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Raffaele Guariniello • Cultura della sicurezza
L’obiettivo è evitare tutto ciò che può essere prevenuto con le misure di sicurezza stabilite dalla legge il lavoro. Deve essere un processo giusto per le vittime, ma anche giusto per gli imputati. È un appuntamento veramente importante per la giustizia». Edilizia, cantieristica, ma anche agricoltura, sono i settori a più alta incidenza di infortuni sul lavoro. Secondo lei dovrebbero esistere controlli più stringenti in questi specifici settori? «Ci sono effettivamente dei settori che forse sono più interessati di altri a questo fenomeno. Ma l’attenzione non può venire meno nella globalità dei settori. Il problema di fare controlli adeguati esiste in ogni ambito, ma non è assolutamente un problema di tipo normativo, a maggior ragione dopo l’introduzione del Testo unico sulla sicurezza varato nel 2008 e modificato con efficacia ad agosto 2009. Non è un problema di leggi, insomma, ma di applicazioni concrete di queste leggi». Come si realizza una più concreta applicazione? «Sicuramente occorre una vigilanza molto più incisiva di quella attuale, e un rafforzamento degli organi di controllo sia in termini di organico, che di irrobustimento delle professionalità. Occorre poi che le ispezioni non siano fatte in maniera superficiale. Soprattutto nella cantieristica, è importantissimo non limitarsi a fare “il numero” di ispezioni obbligatorie, ma andare al fondo dei problemi per mettere in luce eventuali responsabilità, non solo delle piccole imprese esecutrici, ma anche delle committenti». Dal punto di vista della giustizia, invece, in Italia si arriva con facilità all’esecuzione dei processi contro i responsabili di incidenti e morti sul lavoro? C&P • GIUSTIZIA
«Uno degli aspetti della più concreta applicazione di cui parlavo, è proprio l’intervento della magistratura, che purtroppo oggi in Italia non è ancora penetrante e incisivo come dovrebbe. Per varie difficoltà che riguardano il processo penale, ci sono zone del nostro Paese dove i processi per incidenti sul lavoro non si fanno e altre in cui si fanno, però con tanta lentezza che si arriva a sfiorare la prescrizione. Anche nel confronto attualmente in corso sui tempi dei processi, spero che il governo tenga presente l’esigenza di non abbreviare i termini della prescrizione in materia di sicurezza sul lavoro. Già esiste un incombente pericolo di prescrizione su vari processi e questo pericolo diventerebbe ancora più concreto. Su questo sono arrivate alcune rassicurazioni, secondo le quali il governo avrebbe tenuto conto di questa situazione; spero sia veramente così. Questo vale sia per l’omicidio colposo, sia per altri reati in materia quali il disastro colposo o l’omissione colposa di cautela o difesa». A proposito di giustizia, in più di un’occasione lei ha parlato della proposta di istituire una procura nazionale in materia di sicurezza sul lavoro. Come è stata accolta questa proposta? «Allo stato attuale qualcuno, anche a livello governativo, mi ha confermato di essere molto interessato a questa proposta. Speriamo che possa svilupparsi». Cosa serve in Italia, oggi, per sviluppare una vera cultura della sicurezza? «La cultura della sicurezza è sicuramente indispensabile, ma non deve essere una formula retorica. È importante che sia veramente vissuta, così come vuole la legge, come informa105
Cultura della sicurezza • Raffaele Guariniello
In alto, ancora Raffaele Guariniello; nella pagina accanto, manifestazione di protesta davanti alla procura di Torino il giorno dell’udienza preliminare per il processo Eternit, lo scorso aprile
Nel confronto in corso sui tempi dei processi, spero che il governo tenga presente l’esigenza di non abbreviare i termini della prescrizione in materia di sicurezza sul lavoro 106
zione e formazione di tutti i soggetti che sono sul luogo di lavoro, dai dirigenti ai preposti, dai lavoratori ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Tutti devono diventare “soggetti”, non meri “oggetti” di prevenzione. Queste, però, sono formule che rischiano di essere molto belle sulla carta, senza avere un’attuazione concreta nella realtà. Uno dei principi ispiratori delle modifiche introdotte alla normativa ad agosto 2009 è proprio questo: sviluppare la formazione. Un aspetto che sta molto a cuore al nostro ministro del Lavoro. Purtroppo ancora oggi troppo spesso si pensa di fare formazione distribuendo opuscoli informativi, senza sincerarsi che tutti siano davvero coinvolti nell’opera di prevenzione con verifiche sull’apprendimento». Parlando di malattie professionali, esiste un sistema per prevenire il rischio dell’insorgenza di nuove malattie, magari oggi imprevedibili? «La nostra legge prevede ottimi strumenti per la prevenzione non solo degli infortuni, ma anche delle malattie. Anche qui, quindi, non è un problema di norme.Tra le malattie professionali ci sono quelle più “tradizionali” e poi le nuove malattie connesse al lavoro, verso le quali oggi abbiamo una maggiore sensibilità. Mi rendo conto che l’opinione pubblica sia più colpita dal verificarsi degli infortuni, perché le malattie professionali si sviluppano gradualmente. Un tumore che ad esempio si sviluppa dieci o anche quaranta anni dopo che c’è stata l’esposizione all’agente cancerogeno, quando il lavoratore magari è già in pensione, fa sicuramente meno scalpore. Per questo, quello delle malattie professionali è un fenomeno che purC&P • GIUSTIZIA
Raffaele Guariniello • Cultura della sicurezza
MONITORARE IL RISCHIO resso la Procura di Torino è stato istituito già da diversi anni un Osservatorio sui tumori professionali, che si pone lo scopo di portare alla luce malattie che troppo spesso “si smarriscono” negli archivi di Comuni e ospedali e non vengono segnalate all’autorità giudiziaria, né all’Inail né agli organi di vigilanza. La struttura riceve segnalazioni delle malattie di sospetta origine professionale da ospedali, medici di base, ma anche dai servizi di medicina legale, da Inps e Inail, dagli enti di patronato. Sulla base della
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valutazione della documentazione, può predisporre successivi accertamenti. L’obiettivo è, anzitutto, alimentare procedimenti penali per scoprire eventuali responsabilità, ma il lavoro svolto dall’osservatorio ha anche importanti ricadute sul terreno del risarcimento e dell’indennizzo delle persone coinvolte. Infine, si pone anche un obiettivo di prevenzione, in quanto consente di identificare sedi magari insospettate e insospettabili di esposizione ad agenti cancerogeni, identificando nuovi rischi e nuove malattie professionali.
troppo rischia di rimanere nascosto. Ciò che dobbiamo fare, quindi, è far emergere tutte le malattie professionali. In questo senso, alla Procura di Torino, abbiamo creato un Osservatorio, cui vengono segnalati tutti i tumori con una sede che possa far pensare a un’esposizione ambientale, come la vescica o il naso. Sarebbe il caso che una iniziativa di questo tipo fosse adottata a livello nazionale». A chi spetta il riconoscimento delle malattie professionali? «È un compito che può spettare all’Inail, a scopo assicurativo, ma anche al magistrato penale, ai fini del procedimento penale. Il problema è che moltissimi casi spesso finiscono nel dimenticatoio, sono registrati negli archivi degli ospedali dei Comuni, ma non vengono comunicati all’autorità giudiziaria. Per questo bisogna andare “alla ricerca dei tumori perduti”. Ed è quello che noi facciamo ormai da una decina di anni. Il nostro osservatorio ha già esaminato oltre 23mila casi di tumori». Nel 2008 l’Inail ha registrato un calo del numero degli infortuni e delle morti sul lavoro. Ma “zero incidenti sul lavoro” è un obiettivo raggiungibile, oggi, in Italia? «Un piccolo ridimensionamento dei numeri non è ancora sufficiente per essere soddisfatti. Noi puntiamo a un obiettivo ben maggiore, che deve essere questo: zero infortuni sul lavoro e malattie professionali “che sia possibile prevenire”. Evitare tutto ciò che può essere prevenuto con le misure di sicurezza stabilite dalla legge: questo è l’obiettivo che possiamo raggiungere». 107
Sanità e diritto • Responsabilità professionale
Se il medico è colpevole a priori Aumentano i contenziosi che colpiscono i medici, accusati di errori e inadempimenti. Ma dove risiede il limite tra giusta richiesta di risarcimento e pretestuosa causa speculativa? Paolo Maggi ritrae uno spaccato di una realtà che vede colpita, troppo spesso ingiustamente, un’intera categoria di Paolo Lucchi
motivi per cui la giurisprudenza ha notevolmente ampliato i confini della responsabilità medica sono da ricercare nell’esponenziale aumento di contenziosi e negli ormai, sempre più tristemente diffusi, casi di cosiddetta malasanità. Le conseguenze, però, possono essere pesanti tanto per il sistema giustizia, quanto per quello sanitario. Ne sa qualcosa l’avvocato Paolo Maggi, il cui impegno nella difesa dei medici accusati di malpractice gli consente di osservare da vicino una realtà multiforme e in continua evoluzione. «La colpa medica non è più limitata alla cattiva esecuzione della prestazione chirurgica o diagnostica in senso stretto, ma ricomprende l’omessa o incompleta informazione circa il trattamento somministrato e, altresì, l’errata o insufficiente indicazione della struttura sanitaria presso la quale effettuare le cure» spiega Maggi, che intende evidenziare come, per molti aspetti, la categoria medica parta svantaggiata in questo confronto giuridico. Dove nasce questo gap? «La qualificazione della colpa medica in termini di inadempimento contrattuale ha inciso, in senso sfavorevole al medico pubblico impiegato, sul regime della prescrizione e dell’onere della prova. Il paziente può chiedere il risarcimento dei danni fino a dieci anni dall’intervento o dalla diagnosi e assolve il proprio onere probatorio producendo in giudizio copia della cartella clinica e, semplicemente, affermando l’erroneità della prestazione sanitaria. Al medico, invece, spetta provare di aver esattamente eseguito la prestazione, ovvero di aver diligentemente osservato tutte le opportune cautele per evitare l’evento dannoso». Nell’ambito della responsabilità medica, trova che la cittadinanza stia abusando dello strumento giudiziario? «La sempre più incisiva presa di coscienza da parte del cittadino
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Nella pagina a fianco, in alto, l’avvocato Paolo Maggi all’interno del suo studio legale di Napoli paolomaggi@studiolegalemaggi.it
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Responsabilità professionale • Sanità e diritto
È ingiusto intentare cause che prescindono da una seria verifica in ordine alla reale sussistenza di una responsabilità del medico e che hanno come scopo solo quello di ottenere risarcimenti
del diritto primario alla salute, la maggiore attenzione riservata dai nostri giudici alla qualità della prestazione medica e alla risarcibilità di danni non patrimoniali sono, di per sé, fatti da valutare con estremo favore. Questi nobili principi non debbono, tuttavia, essere strumentalizzati per l’instaurazione di cause temerarie, che cioè prescindono da una preventiva, seria e doverosa verifica in ordine alla reale sussistenza di una responsabilità del medico, e che hanno come scopo quello di ottenere risarcimenti». Insomma, un eccesso di speculazione. «Il coinvolgimento nella lite della struttura sanitaria e di almeno una compagnia di assicurazioni, spesso comporta che la causa venga transatta a scapito del medico, che subisce la disdetta della polizza e l’onta di essere stato coinvolto in un processo conclusosi senza poter dimostrare la propria innocenza. Le liti riceveranno ulteriore linfa dalla norma del decreto Bersani che ha reso lecito il patto di quota lite, ossia l’accordo in virtù del quale il compenso dell’avvocato viene determinato in una percentuale del risarcimento ottenuto dal cliente». Quali strumenti suggerisce per limitare le liti temerarie di risarcimento del danno da colpa medica? «In mancanza di un intervento specifico del legislatore sulla prescrizione e sull’introduzione del tentativo obbligatorio di conciliazione, è utile denunciare i casi di conclamate e sicure false perizie e consulenze di parte o di ufficio. Bisogna inoltre formare i medici su queste tematiche e fornire loro gli strumenti per difendersi. Per questo occorre predisporre, quantomeno a livello regionale, dei collegi difensivi specializzati. Sarebbe inoltre utile raccogliere le sentenze che hanno mandato il medico esente da responsabilità». C&P • GIUSTIZIA
*VITTIME
In che modo, lo Stato, può risarcire chi subisce un danno da un reato di tipo mafioso ra i tanti fronti su cui è impegnato, Paolo Maggi si è reso noto per un tema di scottante attualità, relativo al risarcimento del danno subito dalle vittime di reato di tipo mafioso. Il riconoscimento di tale indennizzo a carico dello Stato è il risultato di un percorso legislativo poco noto e su cui occorrerebbe orientare una maggiore attenzione istituzionale, oltre che mediatica. La Legge n. 512/99 riconosce alle vittime innocenti di reati di stampo mafioso il diritto di ottenere, a determinate condizioni, il risarcimento del danno subito, per esempio l’uccisione di un congiunto. Il tutto a carico di un apposito Fondo di Rotazione istituito presso il Ministero dell’Interno e alimentato, tra l’altro, da somme ricavate dalla vendita di beni confiscati alle organizzazioni mafiose. Purtroppo, però, questa legge è poco conosciuta e, di conseguenza, poco applicata. Maggi, a tal proposito, è stato tra i primi a usufruirne. È stato lui, infatti a intentare la prima causa civile in Campania. Iniziata nel 2004, la causa si è poi conclusa con esito positivo nel 2007.
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Danno esistenziale • Risarcimento
L’entità del danno emotivo Le modifiche effettuate all’ordinamento italiano per una più chiara determinazione giuridica del danno esistenziale non sembrano definitive, soprattutto in termini risarcitori. Ad auspicare l’emanazione di una più efficace norma comunitaria, l’avvocato Guerino Zarrelli di Napoli di Adriana Zuccaro
Guerino Zarrelli, avvocato civilista, esercita la professionelegale a Napoli guerino.zarrelli@fastwebnet.it
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egli ultimi anni, in dottrina e in giurisprudenza, la categoria del cosiddetto danno esistenziale ha scritto importanti momenti, oscillando tra terreni fertili e aridi, tra favorevoli e contrari, tra pronunce e sentenze. Il dubbio imperava su cosa si dovesse intendere con danno esistenziale; non era chiaro se tale figura, dove dichiarata costituzionalmente legittima, potesse essere cumulata con il danno biologico, inteso come lesione del diritto alla salute, e danno morale, quale transitorio turbamento psicologico. «Concepito dalla necessità di dare rilievo giuridico a lesioni sganciate dalla sfera patrimoniale e morale, il danno esistenziale si pone in diretto riferimento all’ambito emotivo, dunque al pati interiore dell’individuo. Le Sezioni Unite della suprema Corte di Cassazione, con la pronuncia 26972/08 e la rilettura dell’articolo 2059 del codice civile, hanno confermato che il danno non patrimoniale non può essere suddiviso in diverse poste risarcitorie ma va considerato essenzialmente come unicum cui rientra, pertanto, anche il danno esistenziale». L’incipit dell’avvocato Guerino Zarrelli, civilista del foro di Napoli, annuncia la rilevanza costituzionale assunta dall’emotività dell’individuo quindi, la legittima possibilità risarcitoria. «Il danno esistenziale, quale danno alla vita di relazione – spiega l’avvocato Zarrelli –, può essere risarcito solo se la personalità dell’individuo ha subito una lesione di rilievo costituzionale superiore al grado di tollerabilità confermato dal contesto sociale di appartenenza. Restano perciò esclusi dal risarcimento di tipo esistenziale, i pregiudizi “minori” consistenti in disagi, fastidi, disappunti e ansie, ai quali, invece, è stata fino a ora riconosciuta una certa tutela, soprattutto a opera dei giudici di pace, con l’inevitabile conseguenza di dar luogo alla proliferazione delle cosiddette “liti bagatellari”». Due casi che hanno di recente impegnato professionalmente l’avvocato Zarrelli, risultano esplicativi sui termini di applicabilità della figura in questione. «In un primo caso, stante il mancato pagamento di un verbale mai notificato e provato, il mio assistito era vittima di un’iscrizione ipotecaria ingiusta che lo privava del diritto al godimento del proprio bene. Ciononostante, si è resa necessaria la prova per testi del danno esistenziale (stress e angosce) dovuto alla presenza del vincolo sebbene lo stesso, pur legislativamente prevista l’ipoteca solo in casi di debito superiore agli 8 mila euro, risultasse iscritto sul bene del mio assistito per un debito inferiore ai 2 mila euro – spiega l’avvocato –. In un caso successivo, è stato addirittura inevitabile ricorrere, sul piano della prova del danno, all’apposita ctu, consulenza tecnica d’ufficio, al fine di ottenere un riscontro di un esperto, ausiliario del giudice». Il recente orientamento, se da un lato meritevole di aver recepito le ipotesi di risarcimento esistenziali scaturenti da responsabilità extracontrattuali, «dall’altro va seguito con buon senso, cum grano salis – specifica il legale –, esentando la vittima da probationes diabolicae a proposito dell’effettiva ricorrenza della lesione esistenziale subita: quest’ultima, allegata in via processuale (come nelle predette situazioni) la causa che altera ingiustamente il normale stile di vita in un determinato momento storico, va riconosciuta di per sé e risarcita in via equitativa laddove la parte non sia in grado di quantificarla». Sotto il profilo legislativo, per l’avvocato Zarrelli sarebbe quindi auspicabile l’emanazione di una norma comunitaria che possa aprire la strada a un risarcimento esistenziale scevro da limiti formalmente legali.
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Il giusto processo • Carlo Biondi
Serve un giusto equilibrio tra le parti L’effettiva parità tra difesa e accusa. E un Csm che sia organo di alta amministrazione come previsto dal dettato costituzionale e non, così come è oggi, una terza camera legislativa. Due riforme costituzionali che, secondo l’avvocato Carlo Biondi, sono determinanti per l’affermazione del “giusto processo” di Marilena Spataro
In apertura, Carlo Biondi, avvocato penalista. Recentemente ha difeso nel processo di Bolzaneto il prefetto Gianni De Gennaro, nella foto della pagina a fianco
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ontraddittorio in condizioni di parità, diritto di difesa davanti a un giudice terzo e imparziale entro un tempo ragionevole. Sono questi i principi che fanno da pilastro al “giusto processo”, secondo la nuova formulazione dell’articolo 111 della nostra Costituzione. E il cui naturale corollario comporta, come sottolinea l’avvocato penalista Carlo Biondi, che alla difesa sia dato il tempo necessario per preparare le sue argomentazioni nella dialettica processuale, in condizione di parità rispetto alla pubblica accusa, con il diritto di poter acquisire ogni mezzo di prova in contrasto con gli atti di indagine compiuti dall’accusa. «È di tutta evidenza – spiega – che solo così i valori civili e sociali trovano una garanzia di leale applicazione in sede giudiziaria». Prima di questa riformulazione dell’articolo 111 della Costituzione, il nostro sistema giuridico come ha funzionato? «Il sistema giuridico nato dalla riforma del codice di procedura penale dell’89, nelle linee generali e particolari già conteneva, in nuce, le ispirazioni riassunte nell’articolo 111 della Carta costituzionale, con la difficoltà, però, di collegare nella concretezza attuativa i presupposti che erano a fondamento della trasformazione da sistema inquisitorio a sistema accusatorio. Da qui il susseguirsi di novelle legislative che, attraverso l’evoluzione giurisprudenziale di tutta una serie di modifiche, hanno trasformato l’originario tessuto del codice di procedura penale in un vestito d’arlecchino. Tra ciò che avveniva ieri, in assenza dell’articolo 111 della Costituzione riformato, e ciò che è necessario fare oggi, in vista di una riforma che valga anche per il domani, passa un divario che separa il dire dal fare. L’inadem-
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C&P • GIUSTIZIA
Carlo Biondi • Il giusto processo
Non la ragione, ma le ragioni dello Stato possono talvolta prevalere sui diritti della persona, e ciò proprio per evitare che tale prevalenza sia arbitraria come non può e non deve essere in uno Stato di diritto pienza attuale è, infatti, spiegabile con una politica giudiziaria molto contraddittoria per i contrasti politici e per quel tipo di conservazione frapposta dalla magistratura sempre preoccupata di vedere menomato il proprio potere». Quanto lo squilibrio tra difesa e accusa a livello processuale, che tuttora si lamenta da più parti, incide negativamente sulla corretta applicazione della giustizia e sul giusto processo? «Attualmente lo squilibrio tra chi accusa e chi si difende, cioè tra il cittadino e lo Stato, che esercita la propria pretesa punitiva, è sotto gli occhi di tutti ed è attualmente al centro di una polemica e di una diffidenza che dovrà essere superata vincendo resistenze corporative, specie da parte della magistratura, che non è un “potere” ma un “ordine” e, come tale, soggetto soltanto alla legge, come del resto affermato dalla stessa Corte Costituzionale». Quali riforme reputa utili al fine di una maggiore garanzia della difesa nel nostro ordinamento? «Le riforme necessarie sono essenzialmente due: realizzare l’effettiva parità tra chi accusa e chi si difende esaltando la terzietà di chi “giudica”, attraverso la separazione delle carriere tra magistratura inquirente e requirente rispetto a quella giudicante; modificare con riforma costituzionale il Csm, al fine non di declamarne la presunta superiorità, ma di attribuirgli il ruolo che la Costituzione prevede quale organo di alta amministrazione e non di terza camera legislativa». Recentemente ha difeso il prefetto Gianni De Gennaro nel processo riguardante il G8 del 2001 che poi l’ha visto assolto dall’accusa di falsa testimonianza. Che C&P • GIUSTIZIA
immagine della nostra democrazia, a suo parere, è emersa da questi processi? È plausibile ritenere che in nome della sicurezza collettiva si possano porre limiti alle libertà individuali? «Premetto, innanzitutto, che il prefetto De Gennaro non è mai stato neppure indagato nei processi relativi al G8 svoltosi a Genova nel 2001, né in quello per i fatti accaduti a Bolzaneto, né in quello relativo alla perquisizione effettuata presso la scuola Diaz Pascoli, rispetto al quale era, anzi, testimone del pubblico ministero. L’imputazione nel procedimento che lo ha visto recentemente assolto per non aver commesso il fatto, nasceva da un’ipotesi, poi ritenuta infondata dal gup del Tribunale di Genova che De Gennaro avesse indotto l’ex questore di Genova, a rendere una falsa testimonianza durante il processo G8 Diaz su un’unica circostanza, tra l’altro, del tutto marginale e inconferente rispetto al tema oggetto del processo principale. Ciò detto, sento di poter affermare con tranquillità come non vi sia stata in questa vicenda processuale nessuna limitazione o sacrificio di libertà individuali in nome di un interesse superiore». Quindi la ragion di Stato non più in alcun modo prevalere sui diritti della persona? «Non la ragione, ma le ragioni dello Stato possono talvolta prevalere sui diritti della persona, e ciò proprio per evitare che tale prevalenza sia arbitraria come non può e non deve essere in uno Stato di diritto. Credo che una magistratura indipendente, accusatori altrettanto indipendenti e un’avvocatura libera, possano e debbano vigilare affinché i diritti della persona non siano esposti all’arbitrio dello Stato». 113
Il giusto processo • Fabio Lepri
La giustizia è lenta, pagano i cittadini La giustizia civile è quella che, almeno nella maggioranza dei casi, ha i tempi più lunghi che, secondo l’esperto di Diritto processuale civile Fabio Lepri, «incide sull’effettività della tutela» di Federica Gieri Fabio Lepri, esperto di Diritto processuale civile
a durata biblica dei processi «incide sull’effettività della tutela» dei diritti del cittadino che, a causa della lentezza dei tempi processuali, non è pienamente garantita. Ciò, osserva Fabio Lepri, esperto di Diritto processuale civile e co-fondatore dello studio Roma Lepri & Partners, accade soprattutto nella giurisdizione civile «nel cui ambito spesso rilevano interessi e diritti non puramente economici». Sebbene “mediaticamente” meno seguita, la giustizia civile è quella che ha, almeno nella maggioranza dei casi, i tempi più lunghi. «A volte possono essere davvero biblici. Ho davanti agli occhi, per esempio, una sentenza d’appello emessa alcuni mesi fa in una causa iniziata in primo grado nel 1992, contro la quale una delle parti ha ora proposto ricorso per cassazione. Il giudizio, se la Corte Suprema rigetterà il ricorso, alla fine sarà durato vent’anni. Se invece lo accoglierà, la causa tornerà in appello e lì potrebbe durare altri anni. Per poi, magari, approdare nuovamente in Cassazione». In quale fase del processo civile si risente maggiormente di questo problema? «Nel rito ordinario direi che il momento peggiore è quello dei primi due gradi di giudizio: c’è una prima attesa, di anni, per arrivare alla sentenza. E poi, se questa è sfavorevole, occorre attendere ulteriori anni per vederla eventualmente riformare in appello. All’interno di queste fasi, gli intervalli più lunghi sono quelli che derivano dal rinvio per la precisazione delle conclusioni. È un relitto storico che non ha alcun senso perché nel rito attuale questa “precisazione” può avvenire solo nei limiti di
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quanto già espresso nelle difese precedenti. E ciò è tanto vero che questa particolare udienza si risolve, nella prassi quotidiana, in una comparizione formale. Nonostante la sostanziale inutilità, l’udienza per la precisazione delle conclusioni è fissata a mesi o ad anni di distanza, con rinvii che comportano un allungamento drammatico dei tempi della causa. Ciò è dovuto all’intasamento dei ruoli dei vari giudici, costretti a spostare in avanti la predetta udienza e con essa il passaggio alla fase decisoria delle cause assegnate. Ma è evidente che, eliminando l’udienza e introducendo un meccanismo equipollente, come un termine, dato sempre dal giudice, per depositare in cancelleria una nota scritta, si eviterebbe almeno lo spreco assurdo di risorse e tempo che l’udienza di per sé comporta». Questo problema riguarda anche altre materie? «Vale per tutta la materia civile, compresi i settori nei quali operano riti speciali, elaborati per accelerare la tutela di alcune situazioni soggettive ritenute particolarmente sensibili.Vero è che in questi settori, come per esempio quello delle cause di lavoro, i tempi sono più brevi. Ma questo vuole dire solo che durano meno. E meno non vuol dire poco. In tema di durata abnorme, comunque, non va dimenticato l’ulteriore problema dei tempi dell’esecuzione forzata. Spesso questi procedimenti, finita la causa, durano altri anni, e non danno neppure l’esito sperato». Quali le conseguenze pratiche più evidenti? «La situazione è vista dalla collettività con rassegnazione. La decisione finale giunge dopo anni e anni, quindi in un momento storico nel quale l’intervento giudiziale non è più atC&P • GIUSTIZIA
Fabio Lepri • Il giusto processo
L’unico rimedio efficace è abbandonare la strada dei riti differenziati. Per introdurre meccanismi che consentano di premiare chi rende un servizio efficiente e di alto livello
tuale perché superato dai mutamenti della vita reale e dal suo rapido evolversi. Molte volte, dovendo comunicare l’esito in primo grado di cause iniziate quattro o cinque anni prima, mi sono trovato di fronte ad un sopravvenuto disinteresse della parte: la sentenza era ormai inutile per chi, un lustro prima, l’aveva chiesta instaurando il giudizio. La lunga durata incide inevitabilmente sull’effettività della tutela, e questo è evidente in molte situazioni quotidiane». Come porvi rimedio? «Andrebbe innanzitutto abbandonata l’idea per la quale la situazione si risolve introducendo nuovi riti speciali. La loro alluvioC&P • GIUSTIZIA
nale sedimentazione è ormai una costante a partire dal 1990 ma non ha risolto le cose. È una questione di risorse, non di norme. O, almeno, non solo di norme. Lo prova il fatto che, a parità di normativa e di carico di lavoro, alcuni uffici giudiziari sono molto più efficienti di altri. E a parità di cause gestite e di qualità del servizio reso alcuni magistrati sono molto più rapidi e preparati di altri. L’unico rimedio efficace, quindi, è quello di abbandonare la strada dei riti differenziati. Per introdurre meccanismi che consentano di premiare chi rende un servizio efficiente e di alto livello. Procedendo in parallelo - risolti d’urgenza i problemi più evidenti - ad un’unica organica revisione della normativa processuale, invertendo il trend del proliferare dei riti e delle correlate modifiche settoriali apportate ad una materia, come quella del processo civile, che presupporrebbe invece una codificazione unitaria e stabile». La riforma del processo civile interviene efficacemente in tal senso? «Per quel che riguarda la parte già entrata in vigore, la riforma contiene ottime norme di razionalizzazione attese da anni.Tuttavia si tratta sempre di un intervento tampone e non mi convincono alcune previsioni, come quella che limita la possibilità di depositare nuovi documenti in grado d’appello, perché aumenta il rischio di decisioni ingiuste, senza dare un concreto contributo alla riduzione dei tempi. Molto più importante è la parte di riforma in corso di attuazione, che in applicazione di una netta inversione di tendenza vuole porre fine alla moltitudine di riti civili ormai esistenti, introdotti in passato nella criticabile ottica degli interventi settoriali». 115
Il giusto processo • Proposte di cambiamento
Come uscire dall’odissea giudiziaria Collaborazione, responsabilità e abolizione di leggi inutili e contraddittorie. Questi i rimedi da applicare all’intero sistema. «Perché il disservizio giudiziario non è più tollerabile». A sostenerlo, il professor Guido Uberto Tedeschi, avvocato civilista e docente ordinario a Parma di Adriana Zuccaro
Il professore Guido Uberto Tedeschi, è docente ordinario di diritto commerciale presso la facoltà di giurisprudenza di Parma
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scandire le aritmie degli ingranaggi della macchina giuridica, spesso palesemente inceppati e, talvolta fuori binario, la stampa non solo italiana, indipendentemente dal fatto che la voce mediatica sia a favore della maggioranza politica o dell’opposizione, manifesta il disappunto per il malfunzionamento della giustizia già nei caratteri cubitali delle prime pagine. Proposte di riforma mantengono alta la tensione nelle aule della giustizia e mentre il ministro Alfano esprime convinzione sull’efficacia che l’attuazione di determinati programmi giuridici potrebbe apportare, qualcuno si interroga su quanto e su come la giustizia sia davvero applicabile per la tutela dei diritti dei cittadini. «Non si pretende la perfezione perché l’essenza umana non lo concede a priori, ma è chiara e urgente la necessità di una maggiore intesa collaborativa tra ogni singolo attore della giustizia, dai magistrati ai giudici, dai notai agli avvocati, dai cancellieri ai segretari di Stato. Ma per giungere a un rapporto sinergico tra i vari organi giuridici, occorre innanzitutto snellire il sistema legislativo dalle inutilità e contraddizioni». Non ha dubbi il professor Guido Uberto Tedeschi, avvocato e docente ordinario alla cattedra di diritto commerciale presso la facoltà di Giurisprudenza di Parma, nell’osservare con rigore e determinatezza le non poche falle del sistema giuridico italiano in cui attese troppo lunghe rallentano ogni ambito della libertà d’iniziativa privata. La necessità di una generale riforma della giustizia si fa sentire ogni giorno con crescente preoccupa-
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Proposte di cambiamento • Il giusto processo
zione. Tra proposte e decreti, non si avvertono concreti miglioramenti. A suo parere quali sono le più acute criticità del sistema giuridico su cui bisogna agire quanto prima? «Le problematiche che incombono sulla giustizia italiana non possono essere affrontate nel complesso perché la questione è molto ampia. Limitando il campo d’osservazione, è comune a tutti la consapevolezza che i tempi della giustizia sono intollerabili. La durata dei processi, sia civili che penali, è inammissibile. Il problema si concretizza pertanto nell’individuare innanzitutto le ragioni di questo gravissimo disservizio giudiziario che nuoce a tutti. In cima alla lista delle cause, ponendo un confronto con Paesi come ad esempio la Francia o la Germania, in Italia vi è un numero di avvocati esagerato: ciò comporta naturalmente un sovraccarico di cause talvolta inutili da cui scaturisce un meccanismo a catena di attese, sprechi, confusioni, inefficienze». Le attività contemplate dal sistema giustizia appaiono disomogenee: un funzionamento “a intermittenza” che finisce con il divenire disservizio. Per giungere alla fonte del problema, quali accorgimenti potrebbero essere messi in atto? «Considerando che con il passare del tempo in ogni ambito compaiono nuove esigenze, dalla scienza alla tecnica fino al concetto globale di sviluppo, come insegna la storia, bisogna agire in virtù della naturale tendenza al miglioramento. In tal senso, se in Italia vi sono uffici poco attivi e altri, al contrario, oberati di lavoro, appare evidente che, per migliorare il funC&P • GIUSTIZIA
È indispensabile che ogni legge sia concepita e attuata nel rispetto e nella tutela della libertà d’iniziativa privata, quindi della libertà anche economica di tutti i cittadini 117
Il giusto processo • Proposte di cambiamento
zionamento del sistema nel suo complesso, bisogna partire dalla modifica delle circoscrizioni giudiziarie, eliminando ciò che nel tempo non ha dimostrato utilità e aumentando di conseguenza il numero dei magistrati lì dove servono. Occorrerebbe anche che in tali uffici si esercitasse un controllo, un’autorità morale sui vari componenti, un monitoraggio sul rendimento dei vari giudici addetti. Una debita osservazione, spiacevole ma inevitabile, riguarda infatti proprio i giudici: mentre alcuni si sacrificano e lavorano anche troppo, altri si impegnano assai poco. Indipendentemente da questo scarsissimo rendimento che più volte è stato denunciato anche dalla stampa, bisogna dire che tutti i magistrati fanno carriera in base all’anzianità e secondo una legge emanata molto tempo fa: ciò ha diminuito il desiderio di lavorare meglio e di più perché in pratica, tutti i magistrati se non con poche eccezioni, fanno carriera in base all’età e raggiungono facilmente i vertici della magistratura». Alcuni aspetti della legislazione italiana scivolano sempre più velocemente nell’obsoleto. Quali effetti si ripercuotono nell’applicazione legislativa? «Rispetto alle leggi che venivano approvate molto tempo fa, quelle attuali sono spesso complicate e contraddittorie. Dalla poca chiarezza legislativa, quindi dalla necessità di conoscere quella che, caso per caso, è la legge applicabile, non possono non scaturire che controversie; da queste prendono il via “odissee” giudiziarie che, sempre per la complessità del si118
stema, si inoltrano per tempi incredibilmente lunghi. Ritengo che non sia tollerabile che i rinvii di una causa civile vengano fatti a 4-5 anni o addirittura a maggior distanza, e che si assista a problemi di durata dei processi penali che con un po’ di buona volontà potrebbero essere risolti in poco tempo. Fino a un certo numero di anni fa, per una causa che per un qualsiasi motivo veniva rinviata, l’udienza si fissava alla settimana successiva oppure a poche settimane dopo; da molti anni a questa parte, attese addirittura quadriennali mi sembrano assolutamente ingiustificate». In questo meccanismo malfunzionante, quanto incide il ruolo dell’avvocato? «Quale parte del circuito giuridico, il ruolo dell’avvocato ha un peso indubbiamente importante perché la responsabilità professionale di cui si fa carico rappresentando di volta in volta una causa, investe ovviamente l’intero apparato giudiziario, soprattutto per quello che concerne la stesura degli atti. Alcuni avvocati ad esempio, hanno l’abitudine di redigere atti troppo lunghi e ripetitivi che fanno perdere inutilmente tempo ai giudici: concetti diluiti in atti di cinquanta pagine, potrebbero certamente essere descritti appieno in sole dieci facciate. Alcuni avvocati dovrebbero rendersi più responsabili e maggiormente collaborativi». Se lei fosse il legislatore, quali leggi si accingerebbe a promuovere e promulgare per il bene del nostro Paese? C&P • GIUSTIZIA
Proposte di cambiamento • Il giusto processo
Insieme al professor Tedeschi, la foto ritrae anche le figlie, nonché collaboratrici, da sinistra l’avvocato Elena Tedeschi e a destra Francesca Tedeschi, commercialista prof.avv.tedeschi@rsadnet.it
Se in Italia vi sono uffici poco attivi e altri sovraccarichi di lavoro, per migliorare il funzionamento del sistema, bisogna partire dalla modifica delle circoscrizioni giudiziarie, eliminando ciò che nel tempo non ha dimostrato utilità C&P • GIUSTIZIA
«Partirei innanzitutto dal serio presupposto che le leggi dovrebbero ridursi a poche e chiare: l’interpretazione spesso può trasformarsi in dis-applicazione. È indispensabile che ogni linea legiferativa sia concepita e attuata nel rispetto e nella tutela della libertà d’iniziativa privata, quindi della libertà anche economica di tutti i cittadini: ovviamente è importante che lo Stato eserciti il dovuto controllo ma è fondamentale che questo non finisca con il costituire un impedimento, un’oppressione per il rendimento della libera attività privata. Vi è un’infinità di leggi completamente inutili e contraddittorie ma sono in corso varie operazioni di sistemazione e rinnovamento che spero diano quanto prima gli effetti auspicati». Ogni riforma giuridica dovrebbe essere concepita e attuata a tutela dei cittadini. Quanto realmente secondo lei si perviene a tale proposito? «Affinché vengano eliminati gravissimi inconvenienti che incidono negativamente sui diritti dei cittadini, occorre riformare il sistema alla radice. Occorre che la magistratura, quindi i giudici, siano effettivamente indipendenti; bisogna che vi sia una separazione dei poteri poiché ciascun organo dello Stato deve svolgere le proprie mansioni e non occuparsi anche di problemi che riguardano altri organi o strutture statali; occorre che vi sia una volontà politica verso un sistema giustizia veramente efficiente, priva di condizionamenti. Ma per questo le leggi certamente ci sono, il problema semmai è nel loro rispetto». 119
Il giusto processo • Soluzioni legislative
NON IGNORIAMO IL DESIDERIO DI GIUSTIZIA di Sergio Ceraso - www.avvocatinapoli.it
i rischia di essere ripetitivi a parlare di “Crisi della Giustizia” in un momento come questo in cui l’attenzione mass-mediatica sull’argomento ha forse raggiunto i massimi storici. L’interesse quotidiano sul tema è terreno di ampio scontro tra le forze partitiche per due motivazioni: da un lato l’attacco all’avversario politico, dall’altro la crescita esponenziale di un desiderio della collettività di eseguire “processi giusti” e soprattutto “celeri”. L’esperienza personale come avvocato in una grande città e magistrato onorario in una realtà più piccola, mi spinge a riflettere seriamente sulla necessità impellente di giungere a soluzioni legislative che portino all’emanazione delle sentenze in tempi ragionevoli. Ciò che desidera la gente è la “capacità decisionale”, poiché è davvero assurdo costringere il cittadino ad attendere tempi biblici prima di conoscere il suo destino. Quando esercito la mia funzione giudicante “sento” il disagio di persone costrette a trasferirsi tre o quattro volte da un capo all’altro della nazione per una testimonianza penale o in attesa, anche da tredici anni, di una sentenza civile di risarcimento danni. Se l’operatore del diritto resta “sconvolto” è facile comprendere la disaffezione del cittadino al senso della giustizia e dello Stato. E di conseguenza il ricorso a “giustizie alternative” fuori dallo Stato. Certo sulle soluzioni al problema sono stati scritti, e lo saranno ancora, fiumi di parole con interventi più o meno fantasiosi. Non voglio certo pensare che le mie indicazioni siano la panacea del problema, ma l’esperienza “sul campo”, da un lato e dall’altro della barricata, può essere utile ad una riflessione che induca la politica a comprendere le ragioni di chi vive quotidianamente fuori dai Palazzi questo terribile “pianeta giustizia”. Riguardo al settore penale, non comprendo per quale anacronistico motivo il giudice che segue
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il dibattimento debba essere lo stesso che emette la sentenza. È solo un retaggio di concezioni antiche che imponevano questo sistema quando non esistevano i mezzi tecnologici di stenotipia e fonotrascrizione. Quanti giudici, tra i migliaia di processi sottoposti al loro esame, ricordano le emozioni, i tentennamenti di un teste esaminato due anni prima? E allora perché non evitare il rinnovamento del dibattimento visto che tra trasferimenti, assenze e variazioni tabellari i magistrati vengono spesso sostituiti costringendo tutti a citare nuovamente i testi, magari solo per dire che confermano quanto già detto? Ecco perché si prescrivono i processi. Riguardo al settore civile, l’edictio actionis dovrebbe avvenire solo con ricorso. Le parti devono dire “tutto e subito”. Esistono termini per la modifica delle domande e delle eccezioni, termini per l’ammissione di mezzi istruttori, termini per esami vari. È questo il vero dramma, l’allungamento dei tempi senza giustificato motivo. La tecnologia potrebbe aiutare il magistrato a fissare scadenze fisse solo eccezionalmente prorogabili e la celerità sarebbe salva. Da ultimo un monito e un invito ad avvocati e magistrati. Ai primi dico che i computer non vanno sfruttati per ripetere negli atti sempre gli stessi concetti magari, con il “taglia e incolla”, e vedere così memorie e comparse sempre più voluminose che poco o nulla aggiungono alle difese già formulate. Un po’ di sintesi non guasterebbe. Ai secondi chiedo di adoperarsi per soluzioni transattive, magari delegando incarichi esplorativi ai consulenti tecnici d’ufficio che nelle loro materie sono più ferrati. E scrivere sentenze più brevi e concise, forse non “dotte” ma sicuramente più apprezzate dall’utenza. Perché la professionalità si misura nella capacità di accogliere il desiderio di giustizia della gente e nella capacità di ascolto delle istanze che provengono dai comuni mortali.
La professionalità si misura nella capacità di accogliere il desiderio di giustizia della gente e nella capacità di ascolto delle istanze
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C&P • GIUSTIZIA
Merger&Acquisition Fusioni e acquisizioni: come è cambiato il settore dopo la “bufera”
M&A OGGI: CRITICITÀ DUE DILIGENCE
BANCARIO ED ENERGIA SETTORI AL TOP
ITALIA ESTERO: UN CONFRONTO
M&A DOMANI: NUOVI MODELLI DI AZIONE
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Merger & acquisition • Umberto Penco Salvi
Il mercato chiede velocità Creative, semplici e chiare. Sono le caratteristiche che, secondo Umberto Penco Salvi, partner corporate-M&A di Clifford Chance, devono appartenere alle attuali trattative di M&A. È il mercato a richiederlo in questa fase dove il concetto di due diligence si fa più delicato e complesso. In questo scenario il ruolo dei team legali diventa ancora più strategico di Francesca Druidi on si può certo definire il 2009 come un anno eccezionale per il settore delle M&A. Nonostante le condizioni non favorevoli, lo studio legale Clifford Chance ha mantenuto il primo posto nella classifica del settore di Mergermarket per valore delle operazioni. La law firm britannica è stata anche l’unico studio internazionale a entrare nella short list per il premio M&A Awards promosso da Financial Times e Mergermarket. «C’è la tendenza da parte delle imprese – commenta Umberto Penco Salvi, partner corporate-M&A di Clifford Chance a Milano – a guardarsi al proprio interno e a cercare di sfruttare il difficile momento per le acquisizioni per riorganizzarsi, rendendo più efficace e competitiva la propria struttura in modo da essere pronti, una volta terminata la congiuntura negativa, a fare “shopping”». In Italia il mercato del M&A sta ripartendo oppure presenta ancora segnali di contrazione? «Si registra qualche segnale positivo, ma la contrazione è, di fatto, ancora presente. Vedo una grande prudenza da parte di tutte le imprese, piccole, medie e grandi. Si guarda alle opportunità interessanti che comunque il mercato propone in queste fasi, ma c’è il timore, da un lato, di esporsi finanziariamente con del nuovo debito, e dall’altro, di acquisire imprese in qualche modo problematiche». L’Italia offre buone opportunità rispetto ad altri paesi? «Esistono settori specifici che presentano grosse opportunità sia per gli investitori italiani che per quelli stranieri. Uno di que-
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Umberto Penco Salvi • Merger & acquisition
È fondamentale affidarsi a valutazioni legali che siano veloci e a 360 gradi per concentrarsi sulle opportunità Nella pagina a fianco, Umberto Penco Salvi, partner corporate-M&A di Clifford Chance dal 2006. Lo studio sta assistendo E.On per la dismissione della rete di distribuzione gas in Italia
sti è il settore dell’acqua dove l’approvazione della legge sulla liberalizzazione del servizio idrico, che prevede l’affidamento del servizio anche a società miste, apre notevoli possibilità di business. Si tratta, infatti, di un mercato da 5 miliardi di euro annui distribuiti su circa 250 aziende che potrebbero dar vita a una serie di concentrazioni e, quindi, a fusioni e acquisizioni». Anche il settore dell’energia si rivela dinamico? «Sì, il ritorno del nucleare in Italia significa installare nei prossimi otto-dieci anni 6mila MW di potenza, con un investimento di quasi 20 miliardi di euro, e attivare consorzi e joint venture volti a realizzare gli impianti necessari. Ciò implicherà una serie di appalti per opere civili collaterali a portata di molte aziende italiane. Risultano evidenti le opportunità per le imprese e, di conseguenza, anche per gli advisor che affiancheranno le aziende in questi processi. Non prevedo a breve nemmeno un calo per le energie rinnovabili, anzi l’interesse permane». La crescita aziendale tramite acquisizioni rappresenta una soluzione possibile “al tempo della crisi” oppure si privilegiano altre strategie? «Registro un rinnovato interesse per il mercato dei capitali, tesi a reperire risorse che in un secondo tempo possono essere finalizzate alle acquisizioni e alla crescita nei nuovi mercati. Si C&P • GIUSTIZIA
evidenzia, infatti, un rinnovato interesse per le Ipo. La tendenza generalizzata, comunque, è quella per le imprese di un rafforzamento interno. Non è il momento di far crescere il fatturato tramite acquisizioni, ma di ottenerne uno più sicuro, unito a una maggiore redditività. L’obiettivo diventa, quindi, crescere in efficienza e competitività, non trascurando le occasioni che si prospettano all’orizzonte». Cosa fare e cosa, invece, evitare oggi in un’operazione di merger and acquisition? «È fondamentale fare affidamento a valutazioni legali che siano veloci e a 360 gradi, necessarie per concentrarsi sulle opportunità che hanno tutti i requisiti per avere successo, evitando di perdere tempo su quelle sbagliate. Processi di competitive sale complessi talvolta si rivelano inadatti alle attuali condizioni di mercato perché richiedono mesi e il mercato nel frattempo può subire cambiamenti rilevanti. Servono perciò trattative semplici e dirette, contraddistinte da fantasia e flessibilità». Quali fattori occorre considerare quando l’operazione coinvolge anche un’impresa straniera? «Se il fronte straniero è l’investitore, questo generalmente è un soggetto timoroso che vede nell’Italia un paese a rischio anche a causa del quadro regolamentare instabile, almeno fino a quando non viene rassicurato con le dovute informazioni. Se a essere straniera o in parte straniera è la target, la ricetta è offrire al cliente la possibilità di valutare ciò che sta fuori con la stessa semplicità con cui valuta ciò che accade in Italia, assistendolo con team composti da professionisti italiani ed esteri perfettamente integrati». 125
Merger & acquisition • Bruno Bartocci-Francesco Stella
Guardando all’M&A del 2010 Le prospettive di sviluppo. I settori più dinamici. Bruno Bartocci, socio di Legance Studio Legale Associato, e Francesco Stella, partner corporateM&A di Linklaters, commentano lo stato di salute del merger and acquisition in Italia di Francesca Druidi In apertura Bruno Bartocci, socio di Legance Studio Legale Associato. Nella pagina a fianco, Francesco Stella, partner corporate-M&A di Linklaters
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I’tomer Nei primi sei mesi del 2009 sono state chiuse operazioni di M&A per 23,5 miliardi di euro. Rispetto ai 31 miliardi del primo semestre 2008 si è registrato un calo del 24%. Una percentuale destinata a salire al 64% se si considerano i 66 miliardi del 2007, mostrando una forte contrazione del mercato in termini di numero di operazioni: 78 contro le 181 dei primi sei mesi del 2008, con una diminuzione del 57%. «Il 2009 non è stato un anno particolarmente attivo per il settore dell’M&A in Italia e nel resto del mondo – conferma Bruno Bartocci, socio di Legance Studio Legale Associato –, sono mancate le grandi operazioni e anche i fondi di private equity sono stati poco presenti. Una situazione in gran parte causata dall’insufficiente liquidità messa a disposizione delle banche per i finanziamenti. Un’altra problematica emersa in questi mesi è stata la difficoltà di far incontrare la domanda con l’offerta in termini di valutazioni, ossia di prezzi». Francesco Stella, partner del dipartimento corporate e M&A di Linklaters, evidenzia come dal mese di luglio stiano emergendo alcuni segnali di ripresa che attendono una conferma nei prossimi mesi. Per Stella, le operazioni di fascia alta potrebbero ricevere un ulteriore slancio, anche in considerazione della minore difficoltà che la grande impresa attualmente incontra nell’accesso al credito rispetto a quella di medie dimensioni. «Ci aspettiamo inoltre – aggiunge il socio di Linklaters – una quantità ancora significativa di operazioni di M&A tipiche di una situazione congiunturale di crisi: cessioni di asset distressed, cessioni di asset non-core, operazioni volte al rafforzamento patrimoniale e operazioni di consolidamento».
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Bruno Bartocci-Francesco Stella • Merger & acquisition
I fondi di private equity, nonostante qualche segnale di ripresa sono ancora oggi concentrati sulla gestione del portafoglio esistente C&P • GIUSTIZIA
Bruno Bartocci scommette, invece, per il prossimo futuro sull’andamento positivo del mid market: «Per il 2010 ci aspettiamo un incremento rispetto al 2009, soprattutto nel secondo semestre, in termini di numero di operazioni e riteniamo che queste ultime saranno concentrate nella fascia media del mercato, che è poi quella che caratterizza il nostro Paese». I due legali sono concordi nell’individuare, tra i settori che appaiono più vivaci nell’ambito del merger and acquisition, il comparto energetico, bancario e assicurativo, «ma riteniamo che si potrebbe inoltre assistere a una ripresa anche nel settore farmaceutico e in quello alimentare», aggiunge Bartocci. Se Legance è stato impegnato nella consulenza ad Air France per quanto concerne la potenziale acquisizione di Alitalia e il successivo accordo di investimento in Cai e nell’assistenza al gruppo Generali nella cessione del 50% di Intesa Vita a Intesa Sanpaolo; negli ultimi mesi Linklaters è stato attivo proprio nel settore energetico (Sharp) e nel settore bancario e assicurativo (Citigroup, AXA, BNP Paribas, Fortis). «In particolare lo Studio – commenta Francesco Stella – ha assistito Bnp Paribas e Fortis nella realizzazione di una joint venture con il gruppo Ubi Banca nel settore assicurativo ramo danni». Un’operazione che ha avuto ampia risonanza nel settore bancassurance, in quanto rappresenta non solo la prima iniziativa concreta nell’ambito della partnership strategica tra Fortis e Bnp Paribas, che così incrementa la propria presenza nel mercato assicurativo italiano, ma anche il primo investimento significativo del gruppo Fortis in Italia. Ma in che modo l’attuale congiuntura economica negativa sta influenzando la conduzione e la gestione di un’operazione di M&A? «In una situazione come quella 127
Merger & acquisition • Bruno Bartocci-Francesco Stella
Tra i settori più vivaci delle M&A, si segnalano il comparto energetico, bancario e assicurativo attuale – spiega Bruno Bartocci – dal punto di vista legale sono diventati più complessi i processi di due diligence, soprattutto per quanto riguarda le aree del contenzioso e le operazioni tra parti correlate. Spesso l’esigenza di una conoscenza più dettagliata dei target si è scontrata con quella di chiudere operazioni in tempi brevi vista la situazione delicata dei target stessi, che vedevano la loro situazione economica e finanziaria deteriorarsi rapidamente». Anche per Francesco Stella la gestione di un’operazione di M&A ha subito in maniera notevole l’impatto dell’attuale congiuntura economica. Il nodo cardine è rappresentato dall’estrema incertezza nella definizione del valore degli asset, che ha determinato un atteggiamento di maggiore prudenza sia da parte dell’acquirente che da parte del venditore. «I tempi delle trattative si sono allungati – riferisce Stella – e, in generale, vi è una maggiore enfasi sulla qualità della due diligence e sul sistema di reps & warranties e sui conseguenti obblighi di indennizzo». Il socio di Linklaters sottolinea, inoltre, come le strutture di prezzo risultino oggi più articolate. Il legale segnala in particolare un ampio ricorso a clausole di earn-out, che consentono di parametrare il prezzo pagato alla reale performance futura dell’asset e a vendors’ loan, che permettono all’acquirente di accedere a fonti di finanziamento alternative e al venditore di impiegare parte del prezzo a condizioni più favorevoli di quelle oggi generalmente offerte dal mercato. Stella cita, infine, il ricorso a clausole anti-embarassment, che offrono al venditore l’opportunità di incassare parte dell’eventuale plusvalenza realizzata attraverso l’ulteriore cessione, da parte del soggetto acquirente, dell’asset precedentemente acquistato. Oggi l’approccio 128
multidisciplinare all’assistenza legale sembra essere il modello prevalente nelle law firm che operano in Italia. «In questi due anni – racconta il partner di Linklaters – lo studio ha aperto i dipartimenti di diritto amministrativo, di diritto del lavoro e di diritto antitrust, che supportano e integrano il dipartimento di corporate/M&A consentendo di seguire efficacemente un’operazione di questo tipo in tutti i suoi aspetti». E, in tale contesto, il rapporto di integrazione tra il settore del merger and acquisition e quello del private equity e del restructuring d’impresa assume contorni ancora più peculiari, proprio in virtù delle caratteristiche dell’attuale quadro economico e finanziario. «È evidente – dichiara il socio di Legance Studio Legale Associato – che varie operazioni di fusioni e acquisizioni saranno generate dalla situazione di tensione finanziaria in cui si trovano diverse società in un’ottica di restructuring. In questo contesto anche vari fondi di private equity saranno costretti a vendere partecipazioni del loro portafoglio per esigenze di liquidità. Si potrebbe assistere anche a un’accelerazione di fenomeni d’integrazione con operazioni concluse tramite scambio di azioni». I fondi di private equity, come fa presente Francesco Stella, nonostante qualche segnale di ripresa sono ancora oggi principalmente concentrati sulla gestione del portafoglio esistente. «Numerose società in proprietà ai fondi sono impegnate nella ristrutturazione del proprio indebitamento – conclude il partner del dipartimento corporate e M&A di Linklaters –. Si tratta di operazioni complesse nell’ambito delle quali lo stralcio e/o la rinegoziazione del debito sono spesso associati, oltre che a iniezioni di capitale, anche alla cessione di asset non core». C&P • GIUSTIZIA
Cristina Fussi • Merger & acquisition
Più sintesi nei contratti stranieri Molti addetti ai lavori ritengono che dall’estero ripartirà la ripresa del merger and acquisition per tornare poi in Europa. Cristina Fussi, partner corporate-M&A dello Studio De Berti Jacchia Franchini Forlani, valuta i contorni dello scenario italiano e straniero di Francesca Druidi
Sopra, Cristina Fussi, partner Corporate-M&A dello Studio De Berti Jacchia Franchini Forlani, di base a Milano, ma con sedi anche a Roma, Bruxelles e Mosca C&P • GIUSTIZIA
un orientamento spiccatamente internazionale quello dello Studio De Berti Jacchia Franchini Forlani, che comunque non trascura il fronte italiano. Cristina Fussi, partner corporate-M&A dello studio, evidenzia le sostanziali differenze che si riscontrano negli aspetti procedurali di un’operazione di merger and acquisition condotta in Italia rispetto a un sistema straniero. Cosa cambia se dall’Italia ci si sposta oltreconfine? «Nelle operazioni prevalentemente industriali, con un intervento delle banche quasi nullo o modesto, vi è senz’altro, in generale, una minor procedimentalizzazione della trattativa. Si produce meno carta, ma spesso si dedica più attenzione alla sostanza e alle specificità del business. I contratti sono mediamente più sintetici, pur seguendo l’impianto tipico dei contratti di origine anglosassone per quanto riguarda representation, warranties e indemnities. Anche le disclosures sono più ridotte e spesso occorre spiegare al venditore che è suo interesse produrle». Cina e India sono mercati di nuovo dinamici sul fronte delle M&A? «Per quanto riguarda il mercato cinese e quello indiano in particolare, siamo stati approcciati da diversi potenziali investitori, ma al momento non si sono ancora concretizzate delle operazioni. Credo che ci vorrà ancora un po’ di tempo prima che gli operatori di medie dimensioni accedano al mercato dell’M&A». Come si sono mossi in generale gli acquisitori stranieri, anche nei confronti delle imprese italiane? «Non in modo particolarmente vivace, almeno negli ultimi dodici mesi. Per l’M&A, il 2009 è stato un periodo molto riflessivo: sul mercato si riscontrano potenziali buone opportunità, ma gli investitori sono stati per il momento alla finestra a osservare. Si è registrato dell’interessante movimento nel settore dell’energia, principalmente da parte di operatori del Far East». Quali operazioni in particolare avete seguito negli ultimi mesi? «Lo studio ha assistito il gruppo Alcea nell’implementazione di accordi di joint venture attraverso la costituzione di una società di produzione e commercializzazione di vernici per l’edilizia e coating product in Russia. Ha, inoltre, seguito il colosso svedese Stena Metall, che opera nel settore del recupero rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee), nell’acquisto di una partecipazione nel capitale di Siat, attiva nel comparto con impianti propri situati a Castenedolo (Brescia). Altre operazioni rilevanti hanno coinvolto la Dai Nippon Printing, storica società giapponese leader nel settore del printing, e la Paolo Corazzi Fibre di Cremona. In quest’ultimo caso, la definizione degli accordi ha portato in tempi brevissimi all’affitto e al successivo acquisto della Abrasix, società in concordato preventivo che produce fibre abrasive a Cavriana, permettendo di salvare l’azienda in crisi e numerosi posti di lavoro».
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Merger & acquisition • Nctm
Verso una nuova finanza Il mercato delle fusioni e acquisizioni mostra i primi segnali di ripresa con un ritrovato approccio al rischio. Ma, rispetto al periodo ante-crisi, sembra oggi proporsi un rinnovato modello. Lo spiega Alberto Toffoletto, responsabile del dipartimento M&A dello Studio Nctm di Francesca Druidi
Alberto Toffoletto, responsabile del dipartimento M&A dello studio Nctm
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e difficoltà nel portare a termine operazioni di merger and acquisition riscontrate nel corso del 2009 hanno determinato un mutamento anche nell’attività dei team legali preposti a questa practice. «La composizione multidisciplinare dei professionisti che operano nei singoli dipartimenti – rileva il professor Alberto Toffoletto che guida all’interno di Nctm il settore dell’M&A, uno dei principali dello studio per numero di professionisti coinvolti, 58, e per volume di fatturato – ha portato molti di noi a dedicarsi parallelamente alle ristrutturazioni di imprese e gruppi, elaborando processi di turnaround e individuando gli strumenti più idonei per la soluzione della crisi». Negli ultimi 24 mesi, il dipartimento di M&A di Nctm ha seguito circa 60 operazioni. In primis, l’acquisizione da parte di Barclays Private Equity e Investcorp Sa del 100% del capitale di N&W Global Vending, gruppo leader nella produzione di distributori automatici di cibo e bevande, acquistata dai fondi Argan Capital e Merrill Lynch Gobal Private Equity. Un’operazione che in termini di valore, pari a 800 milioni di euro, ha rappresentato il principale buy out del 2008. Senza dimenticare l’assistenza prestata a Deutsche Bank nella cessione di Dws Vita, assicurazione italiana attiva nel ramo vita, a Zurich Financial Services Group. Come sta cambiando il settore dell’M&A? Prevale ancora il “mercato del compratore”? «Il 2009 ha visto in effetti una rifocalizzazione del mercato. La crisi finanziaria ha ridisegnato il modo di fare ricorso al debito. Le banche guardinghe hanno costretto i compratori a fare affi-
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C&P • GIUSTIZIA
Nctm • Merger & acquisition
Anche i grandi progetti finanziari dovranno essere sempre più caratterizzati dalla valenza industriale damento in primis sulle proprie risorse. Abbiamo notato una prima, forte prudenza, mediata in questa seconda parte dell’anno da una ripresa del mercato, che si sta riaprendo in funzione di una ripresa economica e di un allargamento di nuove, concrete, opportunità di aggregazione. A ciò si aggiunge il calo dei prezzi rispetto al primo semestre 2008, dovuto alla combinazione dei non brillanti risultati delle imprese e del minore accesso alla finanza: elementi che hanno portato a un nuovo modo di vedere le operazioni. Prevale, quindi, ancora il compratore, in un mercato che si sta sbloccando per un’accresciuta disponibilità di operazioni a prezzi equi e per la ripresa di una fiducia più rosea nei confronti dei mercati, che hanno riportato negli acquirenti la propensione al rischio». Si sta procedendo verso un modello in cui a contare non sono solo le logiche finanziarie, ma anche quelle industriali, mirando alla creazione di valore con il business piuttosto che con la finanza? «La mia opinione è che sia effettivamente così, e che tutto ciò C&P • GIUSTIZIA
rappresenti anche una speranza per la stessa finanza. Perché credo che anche i grandi progetti finanziari dovranno essere sempre più caratterizzati dalla valenza industriale, senza poterne più prescindere. Ci sarà, infatti, meno spazio per le speculazioni finanziarie pure, mentre le aggregazioni industriali avranno un ruolo sempre crescente, soprattutto se radicate in scelte imprenditoriali diverse da quelle alle quali abbiamo spesso assistito negli ultimi anni». Come si stanno muovendo i fondi di private equity in questo contesto? «I fondi si trovano a fare i conti in primis con le operazioni del passato, sulle quali devono e hanno dovuto, in funzione delle perdite di valore nelle partecipazioni e della riduzione del cash flow, rivedere il rapporto debito equity. E, sul futuro, sono chiamati a essere ancora più prudenti perché la restrizione in atto della finanza continuerà a determinare equilibri diversi. Quello del private equity rimane in ogni caso un settore al quale guardiamo con un certo ottimismo, convinti del grande fermento in atto e del rinnovato interesse per operazioni destinate a generare nuove opportunità di business, con un nuovo modo di guardare al futuro». Cosa dobbiamo attenderci dai prossimi mesi per quanto riguarda il mercato delle M&A anche a livello europeo e internazionale? «Ci pare sia in atto una ripresa, con un sensibile fermento trainato dal mondo industriale e una parallela cautela sul fronte finanziario. Buone premesse, affinché si determini una vera inversione di tendenza rispetto agli ultimi 18-24 mesi». 131
Consulenza • Impresa e commerciale
Interventi client oriented Creare una sorta di partnership con il cliente dove lo sviluppo dell’impresa rappresenti la chiave di successo di tutti i partner. L’avvocato Andrea Sabbion, esperto in diritto d’impresa e commerciale, racconta che cos’è la filosofia “client oriented” di Angela Serrano
L’avvocato Andrea Sabbion, fondatore dell’omonimo studio. Tra i partner che collaborano stabilmente con lo studio Sabbion, vi sono gli avvocati Resy Bettin e Tiziana Castellan www.studiolegalesabbion.it
li effetti della crisi sull’economia reale non sono ancora risolti. Uno dei problemi, anche per coloro che sono riusciti a sopportare fino a qui il peso di una grave contrazione dei ricavi, è quello del credito, con evidenti ritardi nei pagamenti e pesanti variazioni delle quote di credito scaduto e insoluto. È proprio in questi momenti di difficoltà che il ruolo del consulente diventa fondamentale per far capire al proprio assistito l’utilità di una tutela preventiva e organizzata per evitare il pregiudizio di inutili interventi dell’ultimo momento. A parlare è l’avvocato Andrea Sabbion, fondatore e responsabile dell’omonimo studio legale ed esperto nella consulenza client oriented, che sottolinea: «Di fronte ai problemi oggettivi dettati dalla crisi, l’apporto e il supporto che il consulente può dare è quello di essere promotore di processi di efficienza perché tempestività, disponibilità e pronte soluzioni possano contribuire a rendere effettivi i limitati margini di miglioramento concessi dal mercato». E in quest’ottica lo studio Sabbion si occupa di corporate, finanza, real estate e merger&acquisition, con una competenza particolare nel diritto d’impresa e commerciale. «L’esperienza acquisita al vertice di importanti gruppi e società commerciali e industriali italiane – chiarisce Sabbion – oggi mi garantisce un proficuo dialogo con l’imprenditore che lascia spazio ad ambiziose filosofie di condivisione». Tale esperienza, inoltre, portata all’interno dello studio ha con-
sentito di raggiungere un grado di organizzazione basato su un team di professionisti coeso e fortemente motivato e su un modello di assistenza legale con un responsabile diretto per ogni cliente, che pone lo Studio Sabbion come referente responsabile e affidabile. Accompagnare le imprese nelle fasi evolutive. Gestire il credito e i rapporti con le banche. Assistere agli atti dispositivi in ambito immobiliare, seguendo lo sviluppo speculativo o gestionale dei patrimoni aziendali. Gestire operazioni di M&A, sviluppando attività di due diligence. Sono solo alcune attività dello studio legale Sabbion: una consulenza sulla gestione d’impresa possibile anche grazie alla stretta collaborazione con primari studi professionali che permette una visione globale e multidisciplinare del problema. Si può parlare, in questo senso, di un vero e proprio sistema di consulenza in cui la personalizzazione del servizio consente di ottimizzare il grado di efficienza e confidenzialità con soluzioni client oriented. Un altro punto fondamentale è, infine, la valorizzazione del rapporto tradizionale tra professionista e assistito, che garantisce la massima riservatezza e permette di affrontare con maturità professionale anche i casi più complessi: un rapporto diretto consente, infatti, di costruire una relazione dinamica e continuativa, «una sorta di partnership strategica – spiega l’avvocato Sabbion – in cui lo sviluppo dell’impresa rappresenta la chiave del successo di tutti i partner».
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Di fronte ai problemi oggettivi, il consulente deve essere promotore di processi di efficienza e tempestività
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Consulenza • Norme per l’impresa
Consulenza, a volte è la prima difesa Forme giuridiche, interpretazioni, costi e tempi eccessivi. Un meccanismo a catena rallenta e danneggia il tessuto imprenditoriale italiano. In attesa di riforme, è fondamentale che le imprese adottino una consulenza legale preventiva. A suggerirlo, l’avvocato Giovanni Burla di Adriana Zuccaro 134
a sovrabbondante e mutevole legislazione che connota la giustizia italiana, in parte strutturata da vorticose e labirintiche disposizioni anche in materia di diritto del lavoro, spesso si configura quale ostacolo per lo svolgimento dei doveri giuridici tanto del privato cittadino quanto delle imprese. A dispetto di programmi politici volti a rilanciare l’imprenditoria privata attraverso l’alleggerimento degli oneri burocratici, l’ammodernamento e la semplificazione della legislazione giuslavoristica e la razionalizzazione delle sanzioni, «l’ipertrofia del nostro ordinamento giuridico comporta la difficoltà di individuare e interpretare correttamente le norme vigenti in un determinato periodo. La situazione è tanto più grave se si acquisisce la consapevolezza che, dall’errata interpretazione delle norme, le imprese possono incorrere in aspre sanzioni, con gli anni sempre più gravose, e spesso collegate a violazioni meramente formali». Le riflessioni dell’avvocato Giovanni Burla, cassazionista e revisore dei conti, attivo principalmente tra Padova e Vicenza, rivelano un difetto del circuito giuridico esplicitamente lesivo nei confronti del macrocosmo del lavoro e, di riflesso, dell’instabile tessuto economico. «Per trovare soluzioni a tali problematiche, non solo non è stata adottata nessuna concreta riforma ma, addirittura, la normativa appare sempre più punitiva nei confronti dell’imprenditore ben oltre le iniziali intenzioni del legislatore. Il primo problema – afferma l’avvocato Burla – è quello del-
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Norme per l’impresa • Consulenza
L’avvocato Giovanni Burla, alla scrivania, e i collaboratori dello studio legale dislocato a Padova e a Vicenza. Da sinistra, in piedi, l’avvocato B. Burla e i dottori G. Zangari, S. Burla, A. De Benetti e T. Burla www.studiolegaleburla.it
L’impresa del futuro dovrà sempre più ricorrere al legale per una consulenza preventiva, piuttosto che per un intervento a posteriori
l’incertezza del diritto: l’impresa, così come il privato cittadino, non è in grado di sapere se quello che oggi sembra il corretto modus procedendi, domani sarà ancora riconosciuto come legittimo dal giudice, oppure se, a seguito di interpretazioni o modifiche legislative in peius, sarà ritenuto illegittimo e quindi sanzionato». È facile intuire come un’interpretazione giurisprudenziale che privilegia il dato formale, anche a costo di forzare la lettera e lo spirito della legge, comporti delle conseguenze opposte a quelle che, forse, vorrebbe raggiungere: «invece che tutelare il diritto al lavoro – rileva l’avvocato Burla –, impedisce di fatto il ricorso a forme di collaborazione che, come il contratto a progetto e la somministrazione di manodopera codificati con la cosiddetta legge Biagi, in questi anni hanno consentito a un numero enorme di lavoratori di sfuggire allo spettro della disoccupazione». Professionista dello studio legale Burla, nonché vice presidente dell’Aiga di Padova, l’avvocato Barbara Burla osserva che «le singole imprese non hanno altra possibilità che quella di opporsi in giudizio alle pretese ritenute infondate, nel tentativo di fare valere l’interpretazione della legge a loro più favorevole. In relazione ai contratti a progetto, ad esempio, il contenzioso nasce normalmente non tanto da pretese dei collaboratori, quanto da ispezioni della direzione provinciale del lavoro o degli istituti previdenziali spesso infondate, perché basate su un esame superficiale della sola documentazione aziendale, senza effettive verifiche del concreto svolgimento dei C&P • GIUSTIZIA
rapporti». I ricorsi in via amministrativa che potrebbero servire a evitare i tempi e i costi dell’azione giudiziaria, hanno esito normalmente negativo, cosicché l’impresa è costretta sempre più frequentemente a contrastare in via giudiziaria le pretese sanzionatorie e contributive degli enti pubblici. «Questo significa che – spiega l’avvocato Barbara Burla – ingenti risorse pubbliche vengono impegnate in verifiche il cui unico risultato è quello di imporre alle imprese costi rilevanti per difendersi da pretese illegittime, con un inutile affollamento delle aule giudiziarie». Se è vero che l’imprenditore potrebbe evitare o procrastinare l’insorgere del contenzioso, provvedendo in via preventiva alla certificazione dei contratti a mezzo dell’apposita Commissione, è ugualmente provato che tale istituto risulta poco utilizzato sia per il costo che per lungaggini sconvenienti per chi, come l’impresa, lavora in tempo reale. È quindi opportuno che gli imprenditori, prestino più attenzione alla fase di stipula dei contratti, inserendo clausole il più possibile specifiche. «L’impresa del futuro – annuncia il fondatore dello studio legale Burla – dovrà sempre più ricorrere al legale per una consulenza preventiva, piuttosto che per un intervento a posteriori: si imporrà dunque una modifica culturale da parte dell’azienda e una notevole crescita formativa da parte dell’avvocato, al quale tuttavia sarà richiesto, visto il confuso e caotico stato attuale della normativa, non solo di individuare il diritto applicabile, ma anche il tentativo di predirne l’interpretazione futura». 135
Consulenza • Strategie aziendali
Outsourcing o gestione interna? Crediti non riscossi o in fase di riscossione. Sono sempre più frequenti e occupano punti percentuali di bilancio significativi. Quali sono le politiche di gestione aziendale da attuare in questi casi? Ne parla l’avvocato Gianpaolo Giudice di Stefania Maggio
L’avvocato Gianpaolo Giudice - www.studiolegalegiudice.it
estire internamente la riscossione del credito? O affidarla a una società di recupero? Qual è la migliore strategia? La scelta non è facile. Certo è che una politica attenta può, se non azzerare, almeno ridurre il rischio di insolvenza del cliente. Al contrario, capita spesso che, nelle piccole imprese, gli imprenditori proiettati verso l’ottimizzazione della produzione e l’incremento del fatturato, non si accorgano della quantità di risorse economiche non riscosse che vanificano gli sforzi profusi. La gestione interna, anche solo in una fase preliminare, offre troppo rari risultati con notevole spreco di risorse umane – non qualificate – e aggravio dei rischi per il trascorrere del tempo. D’altro canto, le società di recupero credito, sebbene qualificate, non hanno alcun potere di aggressione del patrimonio del debitore. Dove va cercata la soluzione? «Nell’outsourcing della gestione del credito – spiega l’avvocato Gianpaolo Giudice – a uno studio legale specializzato in materia e dotato di un’organizzazione di tipo aziendale, che offra trasparenza di costi e possa operare su tutto il territorio nazionale». Quali vantaggi si hanno in questo modo? «L’outsourcing a uno studio legale specializzato garantisce un’analisi preliminare del rischio mediante indagini personalizzate sullo stato patrimoniale del debitore, un’azione mirata che prevede un’attività stragiudiziale di sollecito, semmai reiterata, e un tempestivo intervento giudiziario. È l’unica via per ridurre i rischi di insoddisfazione di un credito scaduto che, se già tale, fa accendere la spia della perdita patrimoniale. L’imprenditore, inoltre, avendo un unico referente per il settore
credito, ha il vantaggio di avere un’organica, immediata e continua informazione sullo stato delle passività della propria azienda». Qual è lo strumento giuridico più efficace in caso di crediti da fornitura di merce o servizi? «Il ricorso per decreto ingiuntivo. A fondamento dello stesso, attesa la specialità del procedimento, è sufficiente offrire un estratto, autenticato da un notaio, delle pagine del registro ove sono contabilizzate le fatture non pagate, nonché copie delle stesse. In alternativa, si segnala il procedimento di cognizione sommaria ex art. 702 e ss del Cpc, di recente introduzione». Quali i tempi per un decreto ingiuntivo? «Per giungere alla notifica al debitore è necessario più di 1 mese. Poi, bisogna attendere i 40 giorni, a disposizione del debitore per proporre opposizione, e solo in mancanza della stessa si può chiedere l’apposizione della formula esecutiva. Per avere un titolo esecutivo bisogna, quindi, attendere almeno 3 mesi. Salva, poi, la possibilità del debitore di avanzare un’opposizione strumentale che rimanda la concessione dell’esecutività al giudice in sede di prima udienza, da fissarsi a non meno di 90 giorni dalla notifica dell’opposizione». Sono auspicabili riforme? «Il sistema giudiziario contribuisce a limitare il fiorire dello sviluppo industriale, l’unico traino dell’economia del Paese. Convengo sulla necessità di garantire il diritto di difesa del debitore, ma non si può permettere l’abuso dei mezzi processuali a fini dilatori per distrarre il patrimonio aggredibile. Le riforme, anche di natura telematica, tendono a ridurre la durata dei processi civili, ma ancora non basta».
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Consulenza • Trasferimento generazionale
Il passaggio ci mette in discussione Il trasferimento della gestione d’impresa alle nuove generazioni, specialmente nelle aziende a carattere familiare, rappresenta una sfida difficile. Maurizio Salvalaio illustra punti critici e strumenti relativi a una delle fasi più delicate per gli attori economici
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di Giorgio Marotta
L’avvocato Maurizio Salvalaio all’interno del suo studio di Venezia. Nella pagina a fianco, il legale assieme ad alcuni componenti dello studio Salvalaio & Associati segreteria@studiumvenezia.com
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on importa quale sia il fatturato, poco conta il numero di manager ed esperti che la circondano, l’impresa, se sorretta da una policy interamente accentrata sulle direttive dell’imprenditore, difficilmente riesce ad affrontare con successo un passaggio generazionale. Le statistiche fornite dall’avvocato Maurizio Salvalaio parlano chiaro: l’83% delle imprese italiane sono a carattere familiare e, di queste, soltanto il 20% sopravvive al primo ricambio di generazione. «Il fatto è che occorre ristrutturare il nostro management» afferma il legale, che da Venezia si occupa da anni delle aziende che intendono, o devono, affrontare tale passaggio. Quello che Salvalaio osserva, anche sull’onda di un rinnovato ruolo strategico dell’avvocato come interlocutore fisso dell’impresa, è una spiccata reticenza, da parte dei nostri capitani d’industria, a mettersi in disparte, impedendo così ai più giovani di formarsi per essere poi in grado di portare avanti le aziende senza che queste subiscano traumaticamente il trasferimento gestionale. «I nostri grandi imprenditori, quelli formatisi nel dopoguerra, sono stati eccezionali. Hanno saputo creare grandi imprese. Ma hanno calamitato eccessivamente su di loro i riferimenti e le decisioni» sostiene l’avvocato. Quali elementi occorre tenere sempre a mente prima di affrontare un passaggio generazionale? «Prima di tutto, occorre analizzare la storia dell’azienda per poi, una volta compresa, capire quali strumenti adottare per raggiungere il risultato finale, la mission proposta. Tra gli strumenti più utili vi sono il trust ed il patto di famiglia. Ma non sono il punto di partenza». Cosa intende dire? «Gli strumenti devono subentrare nell’ultima fase. Prima ci deve essere tutto un periodo preparatorio, di formazione e di crescita sia dell’imprenditore, sia dei suoi figli o, comunque, delle persone che andranno a sostituirlo. Bisogna capire chi, tra la prole dell’imprenditore, ha le potenzialità maggiori per essere un capitano d’industria. Molto spesso si punta al primogenito, ma sono stato testimone di come, alle volte, a dimostrarsi più idonei siano i soggetti più giovani». Come ha già dichiarato, però, la formazione del vecchio imprenditore può essere uno scoglio difficile da superare. «È difficile plasmare chi, da decenni, opera con una forma psicologica di ingerenza nei confronti dell’attività imprenditoriale. E quindi il problema formativo consiste proprio nel riuscire a non concedergli sempre l’ultima parola, delegandola a una terza persona. L’imprenditore dovrebbe assumere una posizione intermedia, da cui poter certamente controllare e gestire la struttura aziendale, ma anche recepire strategie e scelte operative del management».
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Trasferimento generazionale • Consulenza
Torniamo alla fase successiva, quella degli strumenti. «Ne esistono sia di natura sia giuridica, sia operativa. I più utili prevedono il trasferimento momentaneo delle mansioni, per fare in modo che il tragitto dalla vecchia alla nuova gestione resti obiettivo e spersonalizzato». Quali vantaggi presenta l’istituto del trust? «Il trust è, dal punto di vista giuridico, uno degli strumenti più utili e importanti in questo ambito. È un istituto che deriva dal diritto anglosassone, poco utilizzato in Italia. In pratica, i beni del trust di cui il disponente si spoglia per trasferirli ad un trustee al fine di isolarli giuridicamente dal proprio patrimonio, sono separati dal patrimonio del trustee. Il trustee diventa così un proprietario funzionale dei beni. E il suo operato deve essere funzionale allo scopo che intende raggiungere il disponente. Ciò fa in modo che i creditori non abbiano possibilità di aggredire i beni del trust trasferiti, i quali sono sottoposti a due vincoli: uno di destinazione ed uno di separazione». Uno strumento legato a una cultura dell’outsourcing. «Sì, una cultura distante da quella italiana. Gli stessi istituti di credito nostrani, che potrebbero utilizzare il trust, molte volte non lo fanno semplicemente perché non sono a conoscenza del fatto che potrebbero sfruttarlo, ad esempio, tramite le loro fondazioni, come indicato dall’art. 11 della Legge Finanziaria 2002. E questo è uno spreco, in quanto l’affidamento di un trust da parte dell’istituto di credito sarebbe garanzia di gestione ottimale». Cosa rappresentano, invece, i patti di famiglia? «Tale nuovo contratto è stato introdotto all’articolo 768 bis del codice civile nel Febbraio 2006. Si tratta, in parole povere, di
un contratto che consente all’imprenditore di trasferire in tutto, o in parte, l’azienda o le partecipazioni societarie a uno o più discendenti per atto inter vivos con espresse deroghe al regime successorio». Qual è la sua opinione professionale in merito alla normativa italiana relativamente all’ambito del passaggio d’impresa? «Direi che la tempistica delle imprese non corrisponde, purtroppo, a quella del nostro legislatore. Ci troviamo di fronte, molte volte, a scelte legislative che impongono determinati paletti atti a limitare la capacità imprenditoriale. Nel caso del passaggio generazionale, penso ad esempio all’annullabilità del patto di famiglia per inadempimento con eventuale impugnazione dello stesso ex art. 768 quinquies del codice civile in un momento molto successivo alla sua attuazione. Questo potrebbe comportare serie difficoltà per l’impresa oramai già avviata con il figlio designato. Ricordiamoci che un’azienda, indipendentemente da questa problematica, deve continuare a vivere. Occorre colmare, in Italia, il vuoto che si è creato tra diritto ed economia». La crisi ha sicuramente fatto leva sull’attenzione riposta verso le fasi maggiormente delicate della vita d’impresa. E questo ha inciso sul ruolo dell’avvocato all’interno del tessuto produttivo. Soprattutto cosa è cambiato? «La figura del legale non può più essere vista, da parte dell’imprenditore, a spot. Siamo diventati, al pari di commercialisti, revisori e associazioni di categoria, un elemento integrato nella vita d’impresa. Su questa filosofia si basa la struttura in cui esercito, Studium. Oltre ai due studi in Venezia, contiamo in quelli di Milano e Roma, nonché in altri in fase di realizzazione».
L’imprenditore deve poter certamente controllare e gestire la struttura aziendale, ma anche recepire strategie e scelte operative del management
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Contrattualistica • Valutazioni
Clausole più sicure
Dal suo studio legale di Venezia-Mestre, l’avvocato Fausto Baratella segue numerose imprese nell’ambito del diritto commerciale e della contrattualistica baratella@studiobaratella.com
L’atteggiamento verso cui si stanno orientando le imprese italiane è sempre più improntato sulla stipula di contratti di ferro, concepiti per prevenire ogni patologia negoziale. E, secondo l’avvocato Fausto Baratella, questo è necessario soprattutto in un mercato globale orchestrato dalla coesistenza di più normative commerciali e industriali di Carlo Sergi
trumento di prevenzione e accordo, il contratto evita contenziosi e danni patrimoniali a ogni azienda, piccola o grande che sia. Per questo quella contrattuale è una disciplina cui bisogna porre molta attenzione, soprattutto in un mercato in cui le regole sono innumerevoli, provenienti da sistemi legislativi differenti e strutturato su un tessuto commerciale e industriale tanto complesso quanto competitivo. «L’avvocato è chiamato a regolamentare i rapporti contrattuali che un’azienda instaura nel proprio settore commerciale, attuando ogni formula possibile al fine di prevenire patologie negoziali». L’avvocato Fausto Baratella si occupa da anni di contrattualistica. Un impegno professionale che in Italia si scontra, purtroppo, con una cultura imprenditoriale ancora troppo poco attenta alle clausole e alle opportunità che un contratto sapientemente redatto offre allo sviluppo aziendale. Un lavoro minuzioso che, secondo Baratella, deve tenere conto delle necessità e delle prerogative di entrambe le parti contraenti. Perché il contratto è, prima di tutto, uno strumento di prevenzione per l’impresa? «Perché può evitare l’insorgere di moltissimi problemi. I contenziosi, specialmente in ambito commerciale, si possono e si devono prevenire. O, comunque, nel caso sia inevitabile, una solida struttura contrattuale permette di affrontarlo con gli strumenti e le metodologie giuste. Evitando eccessivi sprechi di tempo, denaro e soprattutto, ove possibile, di recarsi in tribunale». Quindi è utile puntare alla risoluzione delle patologie negoziali al di fuori delle aule di giustizia? «Certamente, e devo dire che è proprio questo l’atteggiamento verso cui si stanno orientando anche le imprese italiane. Del resto conosciamo i tempi della nostra giustizia. Per un’azienda dover so-
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stenere cause lunghissime rappresenta una spesa e un carico il più delle volte insostenibile». Il legislatore, a tal proposito, sta introducendo lo strumento della conciliazione preventiva della lite. «È un tentativo di conciliazione antecedente l’introduzione della cosa di merito. Sono d’accordo con questa riforma, perché cerca di risolvere anticipatamente delle controversie altrimenti sottoposte al lento sistema giudiziario. Inoltre, la conciliazione preventiva della lite può essere utile per ricucire un rapporto commerciale che si è incrinato, evitando di passare da un giudice». Soprattutto quali errori commettono gli imprenditori italiani nella stipula dei contratti? «L’errore tipico è quello di non valutare esattamente gli assetti delle clausole contrattuali, o addirittura non porre una clausola diretta a disciplinare determinate situazioni. Mi riferisco ad esempio ai rapporti di esclusiva e di non concorrenza, ai contratti di licenza di marchio e di brevetto, alle cessioni e acquisti di aziende, alle cessioni e all’acquisizione di partecipazioni societarie. Si tratta in definitiva di predisporre le garanzie, stabilire penali e indennità per il caso di inadempimento in tutte quelle ipotesi nelle quali il risarcimento del danno è di difficile quantificazione». Gli accordi tra aziende e industrie sono sempre più spesso internazionali. In tal caso cambiano i presupposti? «Nonostante vi sia un codice per il commercio internazionale (nuova lex mercatoria), restano tanti gli aspetti normativi differenti e che devono “convivere” nei contratti. Per questo sono sempre più gli accordi in cui viene specificato a quale legge fare riferimento, se di uno stato o di un altro, quale lingua utilizzare e la nazionalità del tribunale cui rivolgersi in caso di contenzioso». C&P • GIUSTIZIA
Contrattualistica • Dalla parte dei consumatori
È necessario conoscere prima di firmare Prima di stipulare un contratto occorre acquisire la dovuta conoscenza dei diritti spettanti alle parti. La consulenza legale preventiva è lo strumento adatto al ridimensionamento delle controversie. A chiarire alcune dinamiche contrattuali, l’avvocato Sandra Macis, del foro di Cagliari di Adriana Zuccaro
L’avvocato Sandra Macis, civilista esperta in diritto contrattuale e recupero crediti, esercita la professione a Cagliari avv.smacis@tiscali.it
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he si configuri in esiti efficaci o inadempienti, in situazioni di esplicito beneficio o danno, il sistema di adempimento giuridico si interseca inevitabilmente con quello economico. Per questo la stipulazione di ogni accordo, redatto per regolamentazione giuridica di investimenti finanziari o attività produttive e di servizi, indipendentemente dalla reciproca compromissione e responsabilità che si costituisce tra privati cittadini o società d’impresa, viene sottoscritto in forma di contratto. In risposta all’altalenante normativa contrattuale costantemente oggetto di modifiche o rifacimenti, una preventiva consulenza legale si traduce pertanto in dettagliati conoscimenti dei diritti spettanti le parti e nella loro tutela secondo la legge. «In questi come in altri casi in cui si richiedono competenze giurisprudenziali, il ruolo dell’avvocato è senz’altro comparabile a una funzione di filtro tra la giustizia e il cittadino: seguire rigorosamente i codici del diritto emanati dalla prima e trovare l’applicazione legislativa più favorevole al conseguimento degli interessi del secondo». È questa la peculiare funzione cui ogni legale è chiamato a rispondere e attraverso la quale è possibile esprimere distintive abilità professionali come quelle dell’avvocato Sandra Macis con studio in Cagliari, esperta in diritto contrattuale e in recupero crediti. La crisi del mercato non solo nazionale ha provocato un calo dei contratti. In tal senso, che tipo di strategia giuridica potrebbe stimolare un concreto rilancio dell’economia? «Per controbilanciare i dissesti economico-finanziari che hanno
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Dalla parte dei consumatori • Contrattualistica
Le controversie contrattuali spesso si articolano in questioni volte a ottenere l’adempimento o la risoluzione, ovvero l’annullamento per vizi di forma caratterizzato i mercati internazionali degli ultimi anni, in Italia bisognerebbe assumere una nuova veste giuridica non togata e stragiudiziale, che si avvicini quanto più similarmente a tipologie arbitrali o conciliari. Per la risoluzione delle criticità del nostro sistema, sarebbe poi necessario non affidare le redini di questo aspetto della giustizia né alle pubbliche amministrazioni, né quanto meno a poteri forti quali ad esempio, in campo economico, Confindustria o similari che bloccano l’accesso alle piccole e medie imprese in virtù degli insostenibili costi che il circuito attualmente richiede». Nella regolamentazione di qualsiasi rapporto giuridico scaturito dalla stipula di un contratto, quali sono le controversie che si verificano con maggiore frequenza? «Tendenzialmente, per quanto concerne la mia esperienza, le controversie maggioritarie attengono la fase attuativa e si articolano in eccezioni volte a ottenere l’adempimento o una riduzione di prezzo e la risoluzione dove l’inadempimento non sia di scarsa importanza, oppure l’annullamento del contratto per vizi di forma o attinenti norme a difesa dei diritti del consumatore o del correntista. In questi casi, come in genere in tutti gli altri, il ruolo dell’avvocato è quello di “filtro” tra la giustizia e il cittadino: il legale deve cercare infatti di evitare liti temerarie e di favorire il più possibile le transazioni stragiudiziali, per non appesantire i carichi della giustizia ordinaria, specie per costi e tempi». Quali sono stati e saranno gli effetti delle costanti proposte di “europeizzazione” del nostro diritto con-
trattuale? «Non ancora giunti a concrete attuazioni delle proposte contrattuali valide per ogni Paese dell’Ue, ritengo sia ancora difficile accennare delle previsioni a riguardo soprattutto se ci si sofferma a riflettere sulle complessità insite nel tentativo di coniugare il diritto romano con quello sassone o anglosassone. Prima di rispondere, credo occorra attendere l’effettivo conseguimento di un’Europa davvero unita». Quali sono state, secondo lei, le riforme più proficue nell’applicazione delle regole contrattuali? «Senza dubbio il codice del consumo, ma di uguale importanza è l’introduzione della cosiddetta class action, l’azione legale collettiva che può essere esperita, tramite le associazione dei consumatori, da uno o più cittadini che possono così richiedere che la soluzione di una questione di fatto o di diritto, avvenga con effetti “ultra partes”, cioè per tutti i componenti del gruppo. Tale riforma può essere considerata il modo migliore con cui i cittadini possono essere risarciti dai torti delle grandi aziende e delle multinazionali». Quali ambiti commerciali, secondo lei, lavorano sul filo del rasoio della “rettitudine” contrattuale nei confronti di consumatori? «In tali “radenti” categorie troviamo principalmente grossi gruppi industriali come quelli telefonici, pubblicitari, di comunicazione che si avvalgono del proprio strapotere economico per fissare regole e condizioni, soprattutto per quel che riguarda quelle generali di contratto che sono predisposte e imposte unilateralmente». 143
Commerciale • Internazionale
Un confronto tra Francia e Italia L’anima sempre più globale del commercio necessita ovviamente di un’adeguata risposta normativa, nazionale e comunitaria. Tra vincoli, opportunità e barriere, Alberto Taramasso sottolinea gli aspetti maggiormente critici del sistema, confrontando il modello italiano con quello, a lui molto noto, francese di Adriana Zuccaro
L’avvocato Alberto Taramasso, esperto in diritto internazionale e comunitario, è stato allievo del professor Sergio Maria Carbone e con lui ha scritto numerosi articoli e pubblicazioni info@taramasso.com
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a crisi economica ha reso evidente la necessità di accelerare il processo di armonizzazione di principi comuni per ogni tipo di professione e la creazione di un percorso formativo comune in tutto l’ambito comunitario. «Il mercato interno delle libere professioni regolamentate in Europa si fonda su due libertà fondamentali: la libera prestazione dei servizi e la libertà di stabilimento dei professionisti in tutti gli Stati membri. Esse trovano la loro base giuridica negli articoli da 43 a 55 del Trattato CE, a cui la giurisprudenza della Corte di giustizia, fin dalle decisioni rese nelle cause Reyners e Van Binsbergen, ha riconosciuto un effetto diretto quali principi giuridici fondamentali». Alberto Taramasso, avvocato del foro di Genova e avocat à la cour di Parigi dal 1998, tiene a rivelare come il diritto comunitario abbia escluso ogni incertezza nel considerare le attività professionali quali esercizi di attività d’impresa ai fini della disciplina della concorrenza o della libera prestazione dei servizi, con la conseguente applicabilità a esse delle rilevanti disposizioni comunitarie. Quali sono le principali problematiche che si riscontrano in materia di commercio internazionale? «Le maggiori criticità derivano dalle barriere frapposte da numerosi Stati, anche comunitari, allo svolgimento di attività economiche da parte di operatori non nazionali. Alcune barriere tuttora permangono anche nella disciplina di attività tipicamente commerciali liberalizzate, si pensi a quelle bancarie, alle assicurative e a quelle finanziarie. Peraltro, tali vincoli devono operare solo in presenza di situazioni giustificate dall’interesse generale e, in ogni caso, rivelarsi proporzionalmente adeguate rispetto alle obiettive necessità di tutela dell’interesse protetto. Si tratta di verificare, di volta in volta, se i limiti al libero esercizio di attività economiche possano essere giustificati in funzione di circostanze oggettive e di ragioni proporzionalmente funzionali alla realizzazione di esigenze di interesse pubblico. Ed è indubbio che in tale analisi saranno determinanti gli esiti a cui è giunta la giurisprudenza comunitaria in materia di libera circolazione delle merci e di libera prestazione di servizi». Cosa suggerire alle imprese per utilizzare in modo quanto più proficuo l’apparato giuridico? «Nel contesto attuale, e tenuto conto delle specifiche esigenze di tutela delle imprese italiane operanti in ambito internazionale o transfrontaliero, mi pare interessante sottolineare le potenzialità normative dell’autonomia privata nella determinazione degli assetti economici sottesi ai rapporti contrattuali internazionali. Il contratto internazionale realizza tale potenzialità espansiva dell’autonomia privata proprio in quanto collocato in un contesto internazionale. Su uno scenario, cioè, privo, da un punto di vista giuridico, di un ordinamento corrispondente ai suoi caratteri socio-economici oltreché di una specifica disciplina unitaria, coerente e adeguata alle particolari caratteristiche internazionali dell’operazione a esso volta a volta sottesa. E proprio tale esigenza ha evidenziato come si possa giustificare e formalizzare in termini unitari e coerenti l’operazione espressa da un contratto internazionale soltanto se inquadrata nell’ambito del sistema normativo più idoneo rispetto
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C&P • GIUSTIZIA
Internazionale • Commerciale
Una delle principali peculiarità che distingue nettamente la disciplina francese rispetto alla nostra è l’esercizio della professione in forma collettiva alle caratteristiche economiche dell’operazione e, anzitutto, nel sistema normativo a tal fine voluto dalle parti. Solo in quest’ultima prospettiva, infatti, sono adeguatamente valorizzate sia le caratteristiche, e le volontà delle parti, relative all’operazione di cui il contratto costituisce la formalizzazione, sia le giustificazioni economiche che ne costituiscono il fondamento». Quali sono i tratti distintivi in base ai quali è possibile comparare il sistema giuridico italiano rispetto a quello francese? «La professione di avvocato in Francia è disciplinata, in linea generale, secondo principi non dissimili rispetto a quelli vigenti nell’ordinamento giuridico italiano. Tuttavia, essa è stata ampiamente influenzata dalla normativa comunitaria in materia di libertà di prestazioni di servizi e di diritto di stabilimento nonché, in misura certamente più accentuata rispetto all’ordinamento giuridico italiano, dall’evoluzione conseguente alla progressiva globalizzazione dei servizi, che ha determinato una forte espansione degli studi legali su scala internazionale. Tale fenomeno ha inciso in maniera significativa, soprattutto a partire dal 1990, sulla disciplina della professione forense in Francia, disciplina cha ha visto la nascita di istituti e figure che non trovano riscontro alcuno nell’ordinamento giuridico italiano. L’esercizio della professione in forma collettiva costituisce una peculiarità che distingue nettamente la disciplina della professione d’oltralpe rispetto alla nostra. Mentre, infatti, l’esercizio indiviC&P • GIUSTIZIA
duale della professione si svolge secondo forme e modalità analoghe a quelle italiane, l’esercizio in forma collettiva presenta caratteristiche del tutto diverse». Un esempio di tali differenze? «Un esempio significativo è rappresentato dalla Société civile professionnelle (Scp), introdotta dalla legge n. 66-879 del 29 novembre 1966, che può essere costituita esclusivamente tra avvocati. Ulteriore interesse suscita la Société d’exercice liberal (Sel), disciplinata dalla legge n. 90-1258 del 30 dicembre 1990, che ha realizzato la trasposizione dei principi regolatori delle società commerciali nel settore delle professioni liberali. Si tratta di un’innovazione per certi aspetti dirompente, molto lontana dalla realtà italiana, mitigata dalla denominazione “società di esercizio liberale” in luogo delle tradizionali categorie proprie delle società commerciali. L’adattamento dei principi e delle regole che governano le società commerciali alla professione di avvocato ha comportato il superamento di numerose difficoltà, posto che, anche volendo considerare l’attività forense come un business service, le funzioni attribuite all’avvocato impediscono un’applicazione sic et simpliciter delle disposizioni che disciplinano le società commerciali. La natura commerciale della Sel riguarda esclusivamente la sua forma, ma non certo la sua attività, che resta la professione liberale: si tratta, in buona sostanza, di una diversa modalità organizzativa della professione, che non incide sulla natura dell’attività svolta dall’avvocato». 147
Diritto marittimo • Evoluzioni
Verso una rotta comune Convenzioni tra Stati e controversie internazionali. Il diritto della navigazione ha fondamenti antichissimi, ma è in continua evoluzione. L’avvocato Mario Riccomagno svela i segreti di uno degli istituti più complessi: l’arbitrato marittimo internazionale di Agnese Binotti
In queste pagine, l’avvocato Mario Riccomagno, esperto di diritto internazionale e marittimo. Nelle pagine seguenti, lo staff dello studio composto dagli avvocati Danilo Guida, Francesca Bozano Gandolfi, Franca Galanti, Mario Riccomagno, Enrico Sala e dal dottor Silvestro Nasturzio
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enova è una delle città di mare per eccellenza. Una vocazione che influisce sullo scenario professionale ed economico locale. Ma, come sottolinea l’avvocato Mario Riccomagno, esperto di diritto dei trasporti e della navigazione, «la qualifica di capitale italiana dello shipping trova ragione in una tradizione che va oltre la portualità in senso stretto». È qui, infatti, che hanno sede «le più importanti società di brokeraggio, le compagnie di assicurazioni marittime e un buon numero di studi legali inseriti in una rete di relazioni professionali mondiale». La necessità di agire “oltre confine” rappresenta uno degli aspetti primari del diritto marittimo, che per sua natura intrattiene un rapporto elettivo con quel campo altrettanto delicato che è il diritto internazionale con il quale condivide alcuni istituti fondamentali. Qual è il fenomeno più rilevante che ha interessato il diritto marittimo negli ultimi 30 anni? «La “decodificazione” ovvero la riduzione della centralità del Codice Civile e del Codice della Navigazione ad opera delle normative speciali e dell’autonomia dei privati. Nel campo dello shipping fonti normative di derivazione non statualistica sono quelle proprie dell’Imo (International Maritime Organization) e dell’Uncitral (United Nation Commission on International Trade Law)». Sarebbe auspicabile una governance globale che tenga conto di tutti i settori toccati da questa branca del diritto?
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C&P • GIUSTIZIA
Evoluzioni • Diritto marittimo
I procedimenti conciliativi permettono di contenere i costi, pervenire a una soluzione in poco tempo e salvaguardare le relazioni tra le parti
«Certo, ma oggi è una chimera. Importante è, comunque, tendere verso un’armonizzazione nella regolamentazione di taluni settori, quali ad esempio il trasporto di merci “door to door” che ricomprenda anche una tratta marittima o la lotta contro le navi sub standard». La Convenzione di Montego Bay è uno strumento fondamentale per il diritto internazionale del mare. Quale impatto ha avuto sulle pratiche dei diversi Paesi? «Ha avuto un impatto crescente su tutti i Paesi, anche non aderenti. Per quasi 30 anni la Convenzione ha permesso di bilanciare il principio della libertà del mare con la tutela di altri interessi, in particolare quelli di carattere collettivo come la protezione dell’ambiente marino e la gestione sostenibile delle risorse naturali. Oggi, a seguito di recenti gravi danni ambientali causati da sversamenti di idrocarburi, si assiste a una maggiore attenzione ai diritti e alle esigenze di protezione degli Stati costieri che debbono pur tuttavia essere contemperati con quelli consuetudinari della libertà dei mari, del diritto di passaggio inoffensivo e dell’accoglienza delle navi in difficoltà». L’Unione Europea svolge un ruolo importante nel mantenere gli equilibri di settore. Qual è il suo rapporto con la Comunità marittima internazionale? «L’Ue ha un ruolo centrale in questo campo e in alcuni settori in particolare, come la tutela dell’ambiente marittimo, ha mostrato da almeno trent’anni grande interesse, prima recependo gli standard dell’Imo e poi emettendo corposi “pacchetti” normativi sul tema. Tuttavia, sul piano dei rapporti esterni, e in C&P • GIUSTIZIA
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Diritto marittimo • Evoluzioni
UNA VOCAZIONE INTERNAZIONALE ostituito 26 anni fa dall’avvocato Mario Riccomagno e dalla moglie, Franca Galanti, lo Studio Legale Riccomagno è composto da cinque avvocati e un praticante e si distingue per la vocazione internazionale. Una scelta che nasce dalla formazione del fondatore, avvenuta
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negli anni 70 a Milano in uno studio italoamericano, Pavia e Ansaldo, e arricchita dagli insegnamenti di Mario Giuliano, professore di diritto internazionale alla locale Università di Stato. L’assunzione di incarichi per organizzazioni internazionali di avvocati come l’International Bar Association ha
particolare nella produzione di regole internazionali sui trasporti, l’Unione è presente solo con lo status di osservatore. Ciò è dovuto principalmente al fatto che nel Consiglio siedono ancora i rappresentanti dei singoli governi. Certo è che, consci di tale deficit, gli organi comunitari hanno emanato disposizioni normative in materia di protezione ambientale che hanno inasprito il regime di responsabilità presente nelle convenzioni internazionali, creando così tensioni attualmente rimaste irrisolte con la cosiddetta Comunità marittima internazionale». Che rapporto c’è tra arbitrato marittimo e arbitrato commerciale internazionale? «L’arbitrato marittimo contiene elementi sia comuni che di specialità rispetto al più ampio genere dell’arbitrato commerciale internazionale, inteso quest’ultimo come strumento di risoluzione delle controversie transnazionali. In tali casi, non è sufficiente la risposta giurisdizionale basata sul legame fra sovranità, ordinamento giuridico e un dato territorio, fra i quali, nell’attuale quadro economico e tecnologico, si fatica a trovare la coincidenza. L’arbitrato commerciale internazionale nasce quindi dalla volontà delle parti di risolvere i sempre più frequenti problemi sollevati dalla “delocalizzazione” delle liti. Con tale strumento esse, anche se
permesso allo studio di creare una solida rete di rapporti con studi esteri di primaria qualità. Ulteriore fattore che ha contribuito all’orientamento verso le questioni legali cross border è stata la scelta di tornare a Genova dove Riccomagno si è specializzato nel diritto dei trasporti, marittimi,
terrestri e combinati. L’attività dello studio spazia però in tutto il campo del diritto civile e commerciale con particolare riferimento a contrattualistica, leasing e servizi connessi alla logistica. www.riccomagnolawfirm.it mail@riccomagnolawfirm.it
hanno sede in Paesi diversi, possono nominare un “giudice privato”, territorialmente neutrale, dotato della competenza, anche linguistica, a giudicare secondo la legge e la procedura che esse indicano. L’arbitrato internazionale marittimo possiede tutto ciò e a esso, nella prassi, le parti ricorrono a mezzo clausole compromissorie inserite fra l’altro nei contratti di charter party, di salvataggio e compravendita di navi. Tale antichissimo mezzo di risoluzione delle controversie riguarda però spesso istituti particolari, come le avarie, i sinistri marittimi e le loro forme di copertura assicurativa. Inoltre, l’arbitrato marittimo presenta un forte radicamento geografico che ne limita l’internazionalità: il suo centro principale, infatti, è Londra che, sullo scenario mondiale, amministra oltre due terzi delle controversie al riguardo». L’arbitrato è il più comune modo di risoluzione delle controversie del settore? «Non ci sono statistiche sulla quota di controversie sottratte ai giudici ordinari tramite l’arbitrato.Va, però, segnalato come i procedimenti conciliativi, specialmente nei Paesi anglosassoni, assumano importanza crescente: essi, infatti, permettono di contenere i costi, pervenire a una soluzione in poco tempo e salvaguardare le relazioni commerciali fra le parti».
L’arbitrato commerciale internazionale nasce dalla volontà delle parti di risolvere i sempre più frequenti problemi sollevati dalla “delocalizzazione” delle liti
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C&P • GIUSTIZIA
Contenzioso • Giuseppe Lombardi
Cresce il tasso di litigiosità Una visione a 360 gradi della materia legale. È quanto occorre a un avvocato che si occupi in particolare di contenzioso civile, societario e commerciale. Lo sostiene Giuseppe Lombardi, fondatore dello Studio Lombardi Molinari e Associati ed esperto contenziosista, che delinea un quadro del settore litigation “ai tempi della crisi” di Francesca Druidi 152
e ripercussioni della negativa congiuntura economica e finanziaria, caratterizzata da proporzioni internazionali, investono anche il mercato legale. Molti contratti rischiano di essere messi in discussione e oggi l’obiettivo prioritario degli avvocati diventa, innanzitutto, quello di preservare e difendere lo status quo, ossia le operazioni chiuse nei mesi precedenti il deflagrare della crisi. La practice relativa al contenzioso assume, quindi, una valenza piuttosto strategica, non solo per i soggetti più frequentemente coinvolti, come le imprese e gli istituti di credito, ma anche per le law firm attive in Italia, impegnate a organizzarsi al proprio interno con team e dipartimenti sufficientemente strutturati per affrontare le sfide che l’attuale scenario propone. Del resto, il settore litigation rappresenta una delle parti più nobili della professione di avvocato, dalla quale è difficile prescindere anche per chi svolge una preponderante attività stragiudiziale. Ma, senza dubbio, le procedure sono oggi connotate da una maggiore complessità. Per Giuseppe Lombardi, fondatore di uno dei più importanti studi legali italiani, lo Studio Lombardi Molinari e Associati, serve da parte dei legali che si occupano di contenzioso nei diversi ambiti, un approccio sistematico, alimentato da un costante aggiornamento. «È poi indispensabile – aggiunge l’avvocato – una particolare sensibilità nel cogliere e valorizzare al meglio le ragioni del proprio cliente, sia nel negoziato stragiudiziale con la controparte, sia di fronte a un tribunale o a un collegio arbitrale. È una dote preziosa che deriva dal-
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Giuseppe Lombardi • Contenzioso
Imprese e banche tendono sempre più a prediligere un componimento stragiudiziale delle controversie
Sopra, l’avvocato Giuseppe Lombardi. Nel 2001 ha fondato lo studio attualmente denominato Lombardi Molinari e Associati C&P • GIUSTIZIA
l’esperienza: sapere consigliare quando e come transigere». Giuseppe Lombardi è, non a caso, considerato un contenziosista “di razza”, la cui formazione professionale parte da una vasta esperienza nell’ambito del contenzioso e dell’arbitrato, con specifico riferimento ai settori societario, bancario e fallimentare. Una specializzazione poi sviluppata anche nell’ambito stragiudiziale, con particolare riguardo a operazioni di M&A, finanza straordinaria, ristrutturazione del debito e riorganizzazione societaria. Tutti ambiti in cui, in questo periodo di instabilità, non mancano i casi di contenzioso. Qual è la prospettiva di sviluppo del settore litigation in questo peculiare quadro economico? «In questo periodo in cui diversi operatori economici, privati e pubblici, anche di grandi dimensioni, attraversano una fase di tensione finanziaria, il tasso di litigiosità tende ad acuirsi. E si moltiplicano di conseguenza i casi di inadempimento, più o meno giustificato, degli impegni contrattuali e le ragioni di contestazione, più o meno fondate, sollevate, con un aumento delle situazioni di contenzioso, anche giudiziale, che spesso coinvolgono il sistema bancario e la relativa clientela corporate, istituzionale e retail, e investitori istituzionali, ovvero i private equity». Cosa è mutato nel settore? «Oggi situazioni di potenziale contenzioso che, prima dell’attuale fase di crisi, le parti erano in grado di gestire e comporre direttamente fra loro, senza che insorgesse una vera e propria controversia, in questa fase richiedono sem153
Contenzioso • Giuseppe Lombardi
A fianco, Luigi Zunino, fondatore di Risanamento Spa che nel luglio 2009 ha rassegnato le dimissioni dal consiglio di amministrazione della società dopo aver già rinunciato alla presidenza per facilitare il processo di ristrutturazione
DA PARMALAT A RISANAMENTO ra le procedure concorsuali più significative seguite dallo Studio Lombardi Molinari, spiccano quelle riguardanti il crac Parmalat. «Si tratta – commenta Giuseppe Lombardi – di un caso direi unico e forse irripetibile ed è ancora troppo presto per tirare delle conclusioni, anche se fin da ora si può dire che il risultato è stato comunque straordinario, in quanto l’azienda è stata salvaguardata e oggi è un’importante società quotata. Saranno gli anni a venire che ci diranno che cosa hanno rappresentato il caso Parmalat e il grande lavoro svolto dal dottor Enrico Bondi». Per il legale Parmalat ha segnato soprattutto la prima applicazione della cosiddetta “Legge Marzano” e della soluzione della crisi di impresa tramite la ristrutturazione economica e finanziaria attuata nell’ambito di una procedura di amministrazione straordinaria che ha interessato un gruppo di ben sedici società, delle quali una buona parte era costituita da società di diritto estero. «La recente riforma del diritto fallimentare
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ha trovato nelle soluzioni tecniche offerte dal caso Parmalat una sua significativa anticipazione». Un caso recentissimo che ha visto come protagonisti i professionisti dello studio, unitamente ad altri team legali e agli advisor, è sicuramente il procedimento di omologa dell’accordo di ristrutturazione relativo a Risanamento Spa, che ha avuto ampio risalto nella stampa. «Quello che forse non è emerso, e che vale la pena sottolineare – spiega Lombardi –, è che la difesa di Risanamento ha comportato la necessità di attivare un team composito di avvocati, commercialisti e advisor con competenze specifiche in aree diverse, che hanno lavorato insieme attuando un ottimo coordinamento: non solo nel settore del diritto fallimentare in generale, ma anche nella disciplina societaria e dei gruppi societari; nel settore del banking, tenuto conto della rilevanza dei rapporti finanziari intrattenuti con alcuni delle principali banche; nei rapporti con le istituzioni, come Consob e Borsa Italiana».
pre più spesso l’intervento di uno studio legale esterno, che valuti professionalmente gli scenari, le opportunità e i rischi che possono presentarsi rispetto a uno sviluppo giudiziale della vertenza. Nel settore litigation si assiste, dunque, in questo periodo a un incremento di dossier contenziosi e precontenziosi». Quali le materie che attualmente risultano oggetto di maggiore controversia e in quali settori economici tendono prevalentemente a concentrarsi? «Nell’attuale fase di crisi economica si registra un marcato incremento dell’attività inerente le procedure di ristrutturazione del debito e concorsuali, in atto o anche solo potenziali, in cui alla componente propriamente contenziosa si affianca una specifica attività di carattere stragiudiziale. Il settore bancario è per lo più sempre presente in questa tipologia di procedimenti e di vertenze, in cui l’impresa in difficoltà o da risanare presenta un’esposizione verso il sistema creditizio. Si segnala poi il contenzioso in materia di strumenti derivati e servizi di investimento, nonché, in un prossimo futuro, il preannunciato avvio di svariate class action in materia di utilities. È, inoltre, cresciuto il contenzioso relativo a situazioni “patologiche” concernenti acquisizioni societarie e operazioni straordinarie in genere perfezionate negli ultimi dodici mesi». Quanti professionisti dello studio sono impegnati in questa specifica practice e quali competenze ritiene siano prioritarie per un contenziosista? C&P • GIUSTIZIA
Giuseppe Lombardi • Contenzioso
Nell’attuale fase di crisi economica si registra un marcato incremento dell’attività inerente le procedure di ristrutturazione del debito e concorsuali, in atto o anche solo potenziali
«Circa la metà dei professionisti che compongono lo studio si dedica all’attività di contenzioso. Ritengo che per poter offrire un adeguato livello di assistenza nel contenzioso civile, societario e commerciale, un avvocato debba avere visione “a tutto tondo”, un approccio sistematico, alimentato da un costante aggiornamento. È poi indispensabile una particolare sensibilità nel cogliere e valorizzare al meglio le ragioni del proprio cliente, sia nel negoziato stragiudiziale con la controparte, sia di fronte ad un tribunale o a un collegio arbitrale. È una dote preziosa che deriva dall’esperienza: sapere consigliare quando e come transigere». Se e cosa cambia nell’attività legale quando si segue un contenzioso in ambito civile, societario, bancario oppure nell’ambito di procedimenti arbitrati nazionali e internazionali? «I tempi di risoluzione della controversia, di regola più contenuti, e la particolare qualificazione dei soggetti preposti a emettere la decisione, possono portare a preferire l’arbitrato, nazionale o internazionale, specialmente nel caso di controversie di particolare complessità tecnica. La complessità delle questioni che normalmente vengono trattate in un arbitrato possono rendere necessario “staffare” un maggior numero di professionisti nel team dedicato alla pratica, avvalendosi dove opportuno di competenze specialistiche, ma questo può accadere anche per un giudizio ordinario». Si sta procedendo verso un modello di risoluzione stragiudiziale delle controversie? C&P • GIUSTIZIA
«Anche se non va definendosi un unico modello, ma più modelli, per lo più atipici e dettati caso per caso dalle esigenze delle parti e dalla natura della controversia, posso confermare che i clienti, sia imprese che banche, tendono sempre più a prediligere un componimento stragiudiziale delle controversie, assumendo in questa maniera esse stesse, con l’ausilio dei loro avvocati, la gestione dei tempi e delle modalità della soluzione, pur a costo dell’inevitabile rinuncia ad alcune pretese che ogni ipotesi transattiva comporta. Nella specifica materia fallimentare, la legge offre la possibilità di raggiungere accordi che ricevono il controllo e l’imprimatur dell’autorità giudiziaria e che vanno affermandosi come modello da adottare». Quanto è realmente diffuso nel nostro Paese il ricorso a procedure alternative di risoluzione delle controversie, generalmente designate con l’acronimo Adr? «Per quanto concerne le procedure amministrate di conciliazione, le cosiddette alternative dispute resolution su base facoltativa e volontaria, quale effettiva alternativa ad un giudizio contenzioso, in Italia non hanno ancora trovato uno sviluppo, ma va segnalata in tal senso la recente istituzione da parte di Consob e di Banca d’Italia di apposite procedure di conciliazione nelle ricorrenti controversie fra banche o intermediari, e consumatori, aventi a oggetto servizi bancari e finanziari, con un auspicabile effetto deflattivo su tale tipologia di cause». 155
Contenzioso • Luigi Vita Samory
Per risolvere occorre mediare Nei primi 6 mesi del 2009 gli effetti della crisi si sono fatti sentire soprattutto nell’ambito fiscale. Ma nel sistema complessivo del contenzioso, le cifre dicono che nel 2008, oltre il 27% delle cause nei tribunali ha riguardato le tasse, mentre il 15% contenziosi di lavoro. A spiegarlo, l’avvocato Luigi Vita Samory di Renata Saccot
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n materia di contenzioso, «l’evoluzione del processo e degli interessi del cliente non possono rimanere mondi separati». A sostenerlo è Luigi Vita Samory, che ha maturato una solida esperienza in questa practice nella consulenza in ambito civile, con particolare attenzione alle problematiche commerciali, societarie e assicurative. «Il professionista deve mostrare, da un lato, capacità di previsione dell’evoluzione del contenzioso, anche sotto il profilo prettamente procedurale e, dall’altro, grandissima attenzione alla soluzione maggiormente vantaggiosa per l’assistito». Un pragmatismo che risulta indispensabile per cogliere l’opportunità di eventuali soluzioni transattive di vero interesse per il cliente. L’attuale scenario economico presuppone, del resto, valutazioni sempre più accurate. Luigi Vita Samory non rileva una contrazione significativa in questo ambito: «Si può rilevare anzi, in linea tendenziale, una positiva evoluzione per il contenzioso di valore medio alto, in cui i costi legali incidono in misura meno rilevante rispetto al valore complessivo della questione». Individua aree attualmente più “calde” nell’ambito di questa practice? «Ho potuto notare un sensibile incremento di contenzioso in materia di appalti d’opera, in cui le difficoltà economiche di molte aziende della “filiera” produttiva si ripercuotono sul rispetto degli impegni assunti, con conseguenze a catena, specialmente nel settore della realizzazione di opere e impianti particolarmente complessi che vedono partecipare numerosi subappaltatori. Anche il settore delle operazioni di
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Luigi Vita Samory • Contenzioso
In apertura, Luigi Vita Samory, dell’omonimo studio legale milanese. In alto, l’incontro tra Eni e associazioni dei consumatori durante la fase sperimentale della conciliazione paritetica on line
risanamento, riorganizzazione e ristrutturazione aziendale mostra una crescita nell’attuale contesto di pressione economica». Quali sono gli elementi da tenere in maggiore considerazione quando si parla di contenzioso in ambito civile, societario, bancario? «In questi casi, affidati alla cognizione della giurisdizione ordinaria, i tempi della giustizia sono un elemento da valutare con molta attenzione nel delineare strategie realmente efficaci per il cliente, per il quale i “tempi” di affermazione del proprio diritto costituiscono una variabile decisiva nel valutare l’interesse, e la permanenza dell’interesse, al contenzioso. In tale contesto la tutela cautelare spesso assorbe e risolve C&P • GIUSTIZIA
interamente, in positivo o in negativo, gli interessi delle parti in causa». Se, invece, ci si muove nell’ambito di procedimenti arbitrati nazionali e internazionali? «Il contenzioso arbitrale consente una definizione della lite più rapida, con un ruolo non secondario degli stessi arbitri nel valutare opportune soluzioni transattive, il tutto a fronte, però, di costi che rendono interessante tale via unicamente al di sopra di soglie di valore apprezzabili, naturalmente anche in ragione della dimensione del cliente». Quando è opportuno ricorrere alla conciliazione? «La conciliazione può essere un valido strumento di composizione specialmente qualora il conflitto insorga, normalmente con connotati non particolarmente aspri, tra realtà imprenditoriali intenzionate a proseguire rapporti d’affari di reciproco interesse, opportunamente assistite da professionisti in grado di valutare, in prospettiva, le ricadute delle reciproche rinunce che accompagnano tale genere di soluzioni. Credo che gli strumenti alternativi di soluzione delle controversie siano destinati a trovare sempre più spazio nella nostra società, anche se necessitano, per ambire a una diffusione non elitaria, di essere meglio modulate e differenziate in ragione della tipologia di utente, dalla grande impresa al piccolo consumatore, che ambiscono a “servire”». Quanto può dirsi oggi efficace ricorrere a un’alternativa al percorso giudiziale? «I tempi della giustizia suggerirebbero questa evoluzione. Nondimeno rilevo una sostanziale debolezza di tali modelli, 157
Contenzioso • Luigi Vita Samory
Ho potuto notare un sensibile incremento di contenzioso in materia di appalti d’opera, in cui le difficoltà economiche di molte aziende della “filiera” produttiva si ripercuotono sul rispetto degli impegni assunti 158
laddove non riescono a bilanciare il frequente “squilibrio” di forza tra le parti in causa: penso, da un lato, ai costi che si accompagnano solitamente a un arbitrato e, dall’altro, alla debolezza di forme conciliative rimesse inevitabilmente alla volontà delle parti. In tale prospettiva, per esempio, la conciliazione appare in certi casi alla parte “debole” come l’unica soluzione praticabile in tempi accettabili, ma non può dirsi un modello soddisfacente di risposta alle sue specifiche esigenze e ambizioni di “giustizia”». Quale ricorda come caso particolarmente emblematico in materia di contenzioso? «Posso portare come esempio un contenzioso arbitrale, nel quale il mio studio è impegnato ad assistere i soci di minoranza di una società in fase di start up operante nel settore delle energie rinnovabili, i cui interessi sono stati compressi dal socio di maggioranza, una società quotata di primario livello internazionale, a seguito del repentino cambio negli indirizzi industriali impressi alla società controllata dal socio dominante. In tale contesto, balza all’evidenza come soltanto la tutela “contenziosa” possa porre un freno alla legge del più forte e indurre, in questo facilitati anche dal contesto arbitrale che favorisce un dialogo tra le parti e, soprattutto, i loro professionisti, soluzioni ragionevoli e sostenibili in un contesto, quale quello societario, di contemperamento delle spinte “egoistiche” dei componenti della compagine societaria nell’interesse “comune” dell’impresa». C&P • GIUSTIZIA
Lavoro • Gabriele Fava
Il mercato del lavoro va riformato La congiuntura economica ha fatto sì che le aziende razionalizzassero i costi e attuassero incisive ristrutturazioni aziendali. Lasciando in eredità una preoccupante situazione del mercato del lavoro. Gabriele Fava, giuslavorista, indica la strada: «Occorre una globalizzazione del diritto del lavoro e del welfare» di Giusi Brega n milione di posti in meno entro la fine del 2010. Questo è quanto prevede Confindustria in via del tutto ottimistica rispetto alle stime della Cgil, secondo cui saranno invece 2,9 milioni i lavoratori che nel prossimo anno si troveranno senza occupazione. «L’attuale crisi globale produce dei riflessi anche e soprattutto nel mercato del lavoro, quello che più direttamente riguarda e preoccupa i cittadini italiani» sottolinea Gabriele Fava, socio fondatore dello studio Fava & Associati, uno dei più autorevoli giuslavoristi presenti nel panorama nazionale. Qual è la situazione del mercato del lavoro oggi? «In questo periodo di crisi, oltre alla razionalizzazione dei costi delle strutture produttive, si deve spesso ricorrere a riorganizzazioni e ristrutturazioni aziendali o di gruppi aziendali. Se, infatti, in un primo momento la crisi produttiva e finanziaria ha spinto il legislatore ad adottare misure di sostegno alle imprese, con una serie di interventi normativi diretti a perseguire un’estrema semplificazione delle procedure amministrative per la concessione degli strumenti di sostegno al reddito, ora sono altre le strade da percorrere che guidano alla ripresa». Gli ammortizzatori sociali possono aiutare a contenere l’emergenza? «Gli ammortizzatori sociali sono, infatti, interventi contingenti che hanno una durata limitata nel tempo e che probabilmente si sono, finora, dimostrati utili. Cassa integrazione ordinaria, straordinaria, cassa in deroga, mobilità, contratti di solidarietà e così via, hanno, però, solo anestetizzato il conflitto sociale, con la conseguenza che nei prossimi mesi la situazione occupazionale po-
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trebbe esplodere. In assenza di una riforma strutturale e stabile che offra tutele ai lavoratori una volta scaduti i termini per le proroghe e la concessione degli ammortizzatori sociali, le aziende si stanno indirizzando verso altre soluzioni per resistere sul mercato. La ripresa economica risulta, pertanto, caratterizzata da numerose operazioni di ristrutturazione e riorganizzazione, che sempre più spesso sfociano in operazioni di downsizing, delocalizzazione e outsurcing». In questa nuova prospettiva, qual è il ruolo dell’avvocato? «In questo contesto complicato si inserisce il valore dell’assistenza di uno studio legale specializzato in diritto del lavoro: osservatorio privilegiato sul mondo aziendale, lo studio affianca le aziende nell’elaborazione ed implementazione del piano riorganizzativo, nell’assistenza e conduzione di tutte le relazioni industriali, occupandosi delle formalità di apertura e introduzione delle attività di ristrutturazione aziendale, delle dichiarazioni tecniche da rilasciare alla stampa dal punto di vista etico-giuridico e, infine, a seconda dell’esito delle operazioni, di tutti gli atti conseguenti». Quali sono le esigenze dei clienti? «I clienti si rivolgono al nostro studio con la certezza di ricevere un’assistenza completa che li accompagni nell’individuazione dell’assetto economico e organizzativo che meglio soddisfi le esigenze del mercato e ne garantisca non solo la sopravvivenza nello stesso, ma anche lo sviluppo. Operazioni quali ristrutturazione, riorganizzazione e delocalizzazione sono all’ordine del giorno in questo momento; sono questi gli strumenti che stanno accompagnando le imprese verso la ripresa economica, in attesa di riforme strutturali da parte del Governo». C&P • GIUSTIZIA
Gabriele Fava • Lavoro
In apertura, Gabriele Fava, socio fondatore di Fava & Associati
In assenza di una riforma strutturale e stabile, le aziende si indirizzano verso altre soluzioni per resistere sul mercato Ha parlato di delocalizzazione. Crede possa essere una buona soluzione al problema? «Molte multinazionali straniere lasciano l’Italia. Ciò accade dal settore della telefonia all’industria farmaceutica, dalla meccanica all’informatica. D’altra parte, tante aziende nostrane stanno delocalizzando molte delle proprie strutture produttive e commerciali verso l’est Europa e verso l’Asia. Le aziende spostano all’estero le unità produttive al fine di ottimizzare i costi di produzione, quindi, in questo momento, si delocalizza per necessità, cioè per stare al pari passo con la concorrenza. È chiaro che siamo di fronte ad una trasformazione del tessuto produttivo del nostro paese. Il problema è che questa trasformazione sta avvenendo in maniera del tutto “spontanea”, senza controllo da parte del governo nazionale. La crisi è, dunque, occasione per un “fuggifuggi” generale che porterà il secondo paese manifatturiero d’Europa a perdere le sue capacità produttive. Ma a favore di chi o di che cosa? Siamo sicuri che la delocalizzazione sia un bene?». Qual è la risposta a queste domande? «L’esperienza di molte aziende italiane in Cina, ad esempio, non ha soddisfatto le aspettative. Da Paese ad economia pianificata e scarsamente produttiva, la Cina è divenuta quello a più alto ritmo di crescita del Pil e della domanda interna. La Cina non è più vista oggi come mercato di sbocco, ma anche e soprattutto come potenziale mercato di produzione e di investimento. Non sono poche, però, le problematiche riscontrate dalle imprese nell’approccio in un mercato complesso come quello cinese: lontananza geografica, scarsa protezione del know how e dei diritti di proprietà intellettuale; difficoltà a localizzare il sito ottimale dove efC&P • GIUSTIZIA
fettuare l’investimento; quadro legislativo di riferimento lacunoso e in alcuni settori, come quello del diritto del lavoro, in via di formazione; norme locali talora non in linea con le norme centrali». Cosa consiglia, allora? «Piuttosto che un’internazionalizzazione produttiva sarebbe più opportuno puntare ad un’internazionalizzazione commerciale e contrattuale. Creare aziende all’estero, tenendo come base quella di casa, diversificando le produzioni, iniziando ad interessarsi al sistema della distribuzione mondiale dei prodotti italiani, imponendo i propri prodotti con una rete ben organizzata, concludere accordi di cooperazione. Questa credo sia la soluzione più immediata al problema». Quali soluzioni propone, invece, sul lungo periodo? «Nel lungo periodo, occorrerebbe una globalizzazione del diritto del lavoro e del welfare. Costruire una sorta di nucleo di base di diritti minimi, da imporre a livello internazionale, come condizione per il commercio. Bisogna porre, dunque, dei freni al libero mercato. L’Unione Europea basandosi sull’idea del libero mercato, è diventata sì un gigante a livello mondiale, ma anche debolissima, esponendosi al rischio che il capitale si collocasse altrove. Sull’economia italiana, inoltre, come ha sottolineato la Commissione europea nelle sue ultime previsioni, pesano alcune debolezze strutturali, che devono essere risolte per favorire una crescita che non si riveli solo “moderata”. Gli sforzi di questi mesi sono solo riusciti ad alleviare le conseguenze più immediate del problema. Servono, ora, interventi strutturali per irrobustire il nostro sistema economico, in modo da contrastare la stessa crisi congiunturale e affrontare i mercati in modo più competitivo». 161
Evasione fiscale • Cosimo D’Arrigo
Contro l’evasione, per lo sviluppo L’evasione fiscale è una pratica molto diffusa e trasversale a tutte le categorie. Sono, infatti, quasi seimila gli evasori totali. Con gravissime ripercussioni sul nostro sistema economico. La Guardia di Finanza è in prima linea nella lotta al fenomeno. Come sottolinea il comandante Cosimo d’Arrigo che assicura: «Stiamo intensificando i controlli» di Giusi Brega
ei primi dieci mesi del 2009 sono stati scoperti e verbalizzati redditi sottratti a tassazione per 27,5 miliardi di euro e Iva evasa per 5 miliardi di euro. A questi numeri si devono inoltre aggiungere rilievi Irap per 17,5 miliardi di euro, dato quest’ultimo già superiore a quello dell’intero 2008. In questo contesto, gli evasori totali individuati sono stati 5.847 e, per di più, sono in sensibile crescita anche i risultati della lotta all’evasione fiscale internazionale, ammontati già a 5,1 miliardi di euro. Per quanto riguarda le frodi, sono stati invece accertati reati di emissione e utilizzo di fatture false per un’Iva complessiva di 1,8 miliardi di euro. «Siamo perfettamente in linea con i dati del 2008, che si era chiuso con il consuntivo più alto degli ultimi quindici anni», conferma Cosimo D’Arrigo, comandante generale della Guardia di Finanza, che sottolinea: «Puntiamo molto sulle indagini finanziarie perché ci permettono di elevare la qualità delle nostre ispezioni e di fondare i rilievi su elementi di fatto difficilmente contestabili». Si parla di un’evasione italiana il cui importo stimato è pari a dieci manovre finanziarie. Quali sono i settori e le aree più interessanti? «L’evasione fiscale è un fenomeno ancora molto in voga. Trasversale a tutte le categorie economiche: non vi sono settori o aree geografiche che possono dirsi immuni, anche se naturalmente ci sono gradazioni interne di cui bisogna tener
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Cosimo D’Arrigo • Evasione fiscale
Nella foto, Cosimo D’Arrigo, Comandante Generale della Guardia di Finanza
conto per indirizzare i controlli laddove più serve, perché in certi ambiti piuttosto che in altri l’evasione e l’elusione sono più alte. Nell’ultimo biennio, la Guardia di Finanza ha scoperto e verbalizzato casi di evasione per un ammontare pari a 55 miliardi di euro. Le attività economiche più controllate sono quelle del terziario. Mentre invece le prime regioni come recuperi di basi imponibili sono la Lombardia, il Lazio e il Veneto». Solidità dell’economia, giustizia sociale e libera concorrenza. Quali sono gli effetti dell’evasione sul funzionamento del nostro sistema economico? «L’evasione fiscale provoca danni rilevantissimi al bilancio dello Stato e degli enti locali, ma ancor più grave è il danno al funzionamento del sistema economico, all’equità, alla giuC&P • GIUSTIZIA
stizia distributiva, alla libera concorrenza tra le imprese. Vi è una sperequazione molto forte fra chi paga le tasse regolarmente e chi, non pagandole danneggia la comunità in quanto costringe i primi a subire prelievi tributari molto più alti, che assottigliano i margini di guadagno e la competitività delle nostre imprese sui mercati internazionali. La strategia della Guardia di Finanza e orientata a colpire i fenomeni evasivi più gravi, quelli che provocano i maggiori scompensi e squilibri della concorrenza di mercato, ossia, gli evasori totali e paratotali, che non presentano affatto le dichiarazioni annuali dei redditi e Iva, o le presentano con meno della metà dei redditi realmente conseguiti. Datori di lavoro che sfruttano manodopera in nero o irregolare, frodi fiscali, evasione internazionale e l’elusione delle imprese medio grandi, che utilizzano triangolazioni con Paesi “offshore” e sistemi sofisticati per aggirare gli obblighi di contribuzioni». La GdF è in prima linea nella lotta all’evasione. Che strumenti e strategie adottate? «Negli ultimi tre anni abbiamo aumentato la presenza ispettiva, aumentando del 25 per cento le risorse dedicate ai servizi di polizia tributaria rispetto a prima. Le nostre pattuglie eseguono ogni anno 31mila verifiche a imprese e lavoratori autonomi, 72mila controlli di singoli atti di gestione e 750mila accertamenti in materia di scontrini, ricevute fiscali e documenti di trasporto beni viaggianti». Con quali altri organismi di controllo collaborate? 163
Evasione fiscale • Cosimo D’Arrigo
SCOVARE LE FINANZE DELLA MAFIA el 2008, la Guardia di Finanza ha confiscato alla mafia più di 200 beni, per un valore complessivo di quasi 320 milioni di euro e ne ha sequestrati altri 629, per un valore di oltre un miliardo e 190 milioni. Un notevole risultato, che conferma il ruolo strategico della Gdf nel contrasto alla criminalità organizzata. «Un contributo certamente importante, ulteriormente potenziato dalla recente adozione di un approccio operativo di tipo olistico, che sfrutta e incrocia le ampie
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competenze del Corpo in materia economico-finanziaria», spiega il generale di divisione Mauro Michelacci (nella foto), comandante interregionale dell’Italia Sud Occidentale della Guardia di Finanza. Negli ultimi anni Cosa nostra si è evoluta verso forme di infiltrazione finanziaria ed economica che la rendono capace di mimetizzarsi nei settori più remunerativi dell’economia. In questo senso, anche i metodi di contrasto si devono evolvere. Spiega Michelacci: «l’obiettivo è da un lato intercettare le organizzazioni criminali sui canali che utilizzano per inserirsi nell’economia legale e dall’altro continuare ad aggredire i loro patrimoni illecitamente acquisiti». In questo ambito, un importante campo di intervento nel quale lo Stato punta a contrastare la criminalità organizzata è quello del sistema degli appalti. «Aumentano i tentativi di inquinare le procedure di gara e di imporre agli imprenditori, oltre al pizzo, anche mezzi, manodopera e materie prime di qualità scadenti e a prezzi maggiorati», continua il generale. Per contrastare questo fenomeno, in alcune realtà particolarmente difficili si sta sperimentando il sistema della stazione unica appaltante. «Il sistema tenta di “spersonalizzare” l’attività amministrativa in modo da tutelare gli enti da pressioni e condizionamenti e sostenere le autonomie locali con una strutturata azione di partenariato istituzionale».
«La Guardia di Finanza dipende direttamente dal ministro dell’Economia e delle finanze e collabora con tutti gli organi dell’Amministrazione finanziaria. In particolare abbiamo rapporti di lavoro molto stretti con L’Agenzia delle Entrate per i controlli in materia di imposte sui redditi, Iva e Irap, con l’Agenzia delle Dogane per quanto riguarda il contrasto al contrabbando di tabacchi e oli minerali, con l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato per i controlli in materia di prelievo erariale unico sui giochi sulle scommesse». Quanto sono importanti le indagini bancarie e finanziarie? «Sono uno degli strumenti più efficaci per combattere l’evasione, perché consentono di ricostruire il complesso dei movimenti di denaro, titoli e valori riconducibili ai contribuenti controllati. Tale sistema di controllo è oggi ancor più efficace. Infatti, grazie a una serie di interventi legislativi che si sono susseguiti tra il 2004 e l’anno scorso, i dati sui flussi finanziari sono acquisibili rispetto all’intera platea degli intermediari e non più solo con riferimento alle banche e alle Poste italiane, come avveniva in passato. Vorrei, inoltre, evidenziare l’importanza di questo tipo d’indagine specie nella recente attività di contrasto all’evasione fiscale internazionale. Le indagini bancarie e finanziarie sono, infatti, il vero punto di forza per far emergere le tipologie di evasione transnazionale come, ad esempio, le esterovestizioni e le residenze fiscali “di comodo” in Paesi a fiscalità privilegiata». C&P • GIUSTIZIA
Cosimo D’Arrigo • Evasione fiscale
Le indagini finanziarie sono uno degli strumenti più efficaci per combattere l’evasione, perché consentono di ricostruire il complesso dei movimenti di denaro, titoli e valori riconducibili ai contribuenti controllati C&P • GIUSTIZIA
L’evasione fiscale internazionale è una delle varianti più problematiche. Con quali strumenti la combattete? «Questa si concretizza in tutti quei comportamenti posti in essere dai contribuenti che, per ottenere risparmi tributari indebiti, ricorrono alle più favorevoli condizioni di tassazione praticate da talune legislazioni straniere, per esempio creando società di comodo in paradisi fiscali verso le quali trasferire i guadagni conseguiti. In questo contesto, i fenomeni evasivi maggiormente riscontrati, attengono, in primo luogo, al fittizio trasferimento all’estero della residenza fiscale e, in secondo luogo, l’esercizio di attività d’impresa in Italia da parte di stabili organizzazioni di società estere, la cui esistenza viene nascosta al Fisco». Quali, tra le iniziative che metterete in campo nel prossimo futuro. giudica più urgenti? «Abbiamo in corso una serie di progetti di reingegnerizzazione dei processi operativi e dei prodotti del lavoro dei Reparti terrestri e aeronavali. È già stata emanata una nuova circolare che aggiorna le istruzioni operative per i verificatori, con direttive dettagliate mediante una check list di applicazione uniforme, concepite per migliorare la qualità dei rilievi sia in punto di diritto che di fatto. Inoltre, per quanto riguarda l’effettiva realizzazione dei crediti tributari innescate dalle verifiche del Corpo, stiamo sviluppando una collaborazione con la società Equitalia per la riscossione coattiva dei ruoli d’importo più elevato». 165
Evasione fiscale • Victor Uckmar
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Victor Uckmar • Evasione fiscale
Manca il senso civico Che cosa accomuna i Sumeri e gli italiani? L’avversione per le tasse, secondo Victor Uckmar. Il tributarista genovese ripercorre i temi oggi più attuali nel sempre difficile rapporto tra cittadini e Fisco: dall’evasione al contenzioso. E concede qualche “attenuante” per lo scudo. Sperando che, con un po’ di senso civico in più, non si arrivi anche da noi alla “decapitazione degli esattori” di Sarah Sagripanti
ictor Uckmar è sempre a favore dell’osservanza della legge. «Forse anche per le mie origini austroungariche», ricorda spesso. Così il noto tributarista genovese non può fare a meno di storcere il naso davanti a gli chieda se sia a favore dello scudo fiscale. In questi mesi di fervido dibattito e di massiccia adesione al provvedimento che permette il rimpatrio dei capitali a condizioni fiscali agevolate, la voce di Uckmar suona molto critica verso quello che lui preferisce definire «un condono». Ma tra le maglie di quel complesso rapporto che lega gli italiani al Fisco, fatto di storiche refrattarietà al pagamento delle imposte, di furberie private e inefficienze pubbliche, di alta pressione e ineguagliabili sperequazioni, qualche spiraglio sembra aprirsi. La situazione economica nazionale è ancora critica e, sull’onda di un trend internazionale, anche l’Italia punta al rimpatrio di un grande “tesoretto” per dare un forte sostegno alla ripresa. E allora, tappandosi il naso,Victor Uckmar dichiara: «Se si deve fare, si faccia. Sperando che sia l’ultimo». Parliamo di evasione fiscale, un problema che affligge l’Italia. «In realtà è una questione antica, che affliggeva già i Sumeri nel IV secolo avanti Cristo. All’epoca c’era un fisco molto feroce, tanto che gli eredi potevano seppellire i loro cari, solo se prima avessero pagato tutti i tributi che facevano carico ai defunti. Ne nacque una grande ribellione e tutti gli esattori furono decapitati. Le entrate a quel punto si azzerarono, ma come contropartita, lo stato dei Sumeri fu invaso, perché l’amministrazione
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Victor Uckmar, genovese, è tra i maggiori fiscalisti e tributaristi italiani. Dirige la rivista Diritto e pratica tributaria, fondata nel 1926 dal padre Antonio Uckmar
pubblica non aveva più i mezzi per creare e gestire la difesa. La lotta tra governo e cittadini sulle tasse, insomma, è sempre esistita: i secondi ritengono di pagare troppe tasse, il governo non ha mai soldi a sufficienza per soddisfare i bisogni essenziali dello Stato. Di conseguenza, l’evasione è un fatto che riguarda tutti i popoli e di tutti i tempi. Di certo, c’è misura e misura». Gli italiani sono particolarmente refrattari al pagamento delle tasse, rispetto ad altri popoli? «Sicuramente gli italiani hanno una maggiore refrattarietà al pagamento delle imposte, per ragioni storiche legate soprattutto ai periodi in cui le imposte erano destinate a governi nemici. Ricordo quando avevo 17 anni e collaboravo con i partigiani: ero stato incaricato di dissuadere gli agricoltori che andavano a pagare le imposte, dicendo loro che i soldi che versavano sarebbero 167
Evasione fiscale • Victor Uckmar
Lo scudo fiscale rientra nell’ambito di un trend mondiale, in cui tutti gli Stati cercano di far rientrare i capitali all’estero. La spinta maggiore è venuta da Obama, che ha voluto recuperare 250 miliardi di dollari
andati ai repubblichini o ai tedeschi. Non pagarle, quindi, sarebbe stato un atto patriottico. Ma le motivazioni dell’avversione degli italiani al fisco si legano anche alla pressione alta e alle sperequazioni, che tuttora purtroppo imperano». In che senso? «Le statistiche rilevano che la media della nostra pressione fiscale è il 42-44 per cento, in linea con quella di altri Paesi europei, ma è un dato poco concreto. Se andiamo a vedere nel merito, ci accorgiamo che il nostro sistema è irto di sperequazioni: i redditi da capitale pagano il 12,5%, quelli da lavoro subordinato il 27%, i redditi d’impresa il 30%, mentre quelli da lavoro autonomo, con la progressiva più l’Irap, superano il 50%. E quando c’è una forte sperequazione, si cercano delle difese e talvolta, purtroppo, una difesa è anche l’evasione. Bisogna considerare, infine, un altro fattore: ciò che si versa al fisco è frutto di sacrifici e quando ci si accorge che le somme versate non sono utilizzate efficacemente per fini propri di uno stato democratico, allora l’avversione cresce. Ma attenzione: nell’evasione siamo tutti complici. Chiunque abbia accettato di pagare senza l’emissione della fattura per avere uno sconto, è un evasore». Il nostro Paese è quindi destinato a convivere con questo fenomeno, oppure ci sono delle strategie efficaci per il contrasto all’evasione? «Una strategia efficace passa innanzitutto per lo sviluppo di un forte senso civico. I cittadini si devono rendere conto che le imposte giuste devono essere versate per contribuire alle giuste spese dello Stato. Esiste quindi un problema di sensibilità, una sensibilità che noi italiani purtroppo spesso non abbiamo.A questo si ag168
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Victor Uckmar • Evasione fiscale A destra, controlli della Guardia di finanza e, sotto, una sede della banca svizzera Ubs. Nella pagina accanto, ancora Victor Uckmar e, sotto, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama
giunga la nostra tipica furbizia, che ad esempio ci porta a parcheggiare tranquillamente in seconda fila. Con la stessa furbizia, non paghiamo le imposte. La battaglia contro l’evasione si fa non tanto nel tecnicismo delle imposte, ma educando il popolo al senso del dovere civico». Venendo nel merito di strumenti e misure messi in atto dal governo per il contrasto all’evasione, cosa pensa dello scudo fiscale? «Personalmente, per educazione e tradizione sono stato sempre critico nei confronti del condono perché, a mio avviso, è il più nefasto dei provvedimenti che può adottare uno Stato di diritto. Il condono attesta che lo Stato non sa fare il suo mestiere nell’accertamento e nella riscossione dei tributi e, inoltre, crea sperequazione tra i cittadini e induce all’evasione. La caratteristica fondamentale di un buon ordinamento è la certezza delle norme, mentre in Italia l’unica certezza è la ricorrenza dei condoni. Nello spazio di 50 anni ne abbiamo avuti una ventina.Venendo nel merito dello scudo fiscale, il governo non lo aveva definito tale, ma poi in parlamento tale è divenuto perché chi attua lo scudo ottiene il beneficio di cancellare anche i reati in materia societaria. È da considerare, però, che la misura rientra nell’ambito di un trend mondiale in cui tutti gli Stati cercano di far rientrare i capitali collocati all’estero per dare un po’ di ossigeno alle aziende. La spinta maggiore è venuta da Obama che ha voluto recuperare 250 miliardi di dollari. In questo caso particolare, anche se con rincrescimento, dico che se si deve fare, si faccia». Dopo la firma dell’accordo nazionale tra Anci e Fisco, diverse regioni stanno firmando accordi per la collaborazione nel reperire il gettito fiscale. Ritiene che sia una strada utile? «Questo tipo di collaborazione rientra nell’ottica federalista. E io sono favorevole al federalismo, purché non si creino doppioni e si arrivi a un maggiore avvicinamento degli amministrati con i governanti, in modo da controllare se quanto viene chiesto in tributi poi è speso in modo corretto. Il cammino, però, è molto lungo. Già oggi i Comuni hanno il potere e il dovere di collaborare con l’amministrazione centrale per reperire il gettito. Per svolgere bene questo compito, però, occorrono uffici idonei e capacità specifiche, ma non mi risulta che alcuno degli 8mila Comuni italiani abbia attuato un’organizzazione in tal senso». In ottobre anche la Regione Liguria ha firmato l’accordo. Lei crede che gli enti del territorio saranno in grado di organizzarsi? C&P • GIUSTIZIA
«Devono farlo, ma non è una cosa semplice. Ci vuole sicuramente la volontà, anche per far sì che non si ripeta ciò che accadde negli anni 75-80. Già allora c’era una previsione di legge che i Comuni dovessero collaborare per reperire l’imponibile, ma ricordo che il Comune di Venezia fu l’unico attivo nel fornire dati che poi furono tra l’altro sconfessati dinanzi alle commissioni. E fu più il danno, che il vantaggio». Parliamo della possibilità di un progressivo taglio dell’Irap. Lei cosa ne pensa? È necessario ridurre le imposte che gravano sulle aziende italiane? «L’Irap è un’imposta assurda, ma l’osservazione che arriva giustamente da più parti, è che si tratta di un’imposta da 38/40 miliardi di gettito, sul quale si basa il sistema della sanità. L’auspicio è di arrivare all’abolizione. Ma oggi in Italia abbiamo un problema ancora più grosso, quello del debito pubblico, che marcia verso il 115% del Pil». Un’ultima domanda sul contenzioso con il Fisco. Da questo punto di vista, qual è la situazione in Italia? «Sono anni che, anche attraverso la mia rivista (Diritto e pratica tributaria, ndr), conduciamo una battaglia per una giustizia nel contenzioso. La avviò già mio padre nel 1926 e oggi posso dire che, finalmente, la situazione sembra migliorata. A Genova le commissioni operano bene e in modo sollecito, e credo che anche altrove sia così. L’auspicio sarebbe arrivare a un giudice togato. Ad oggi abbiamo dei volontari che si assoggettano a questa fatica, che richiede una preparazione giornaliera continua. Occorrono, invece, persone che vi si dedichino a tempo pieno». 169
Scudo fiscale • Agenzia delle entrate
Rimpatrio: chiariamo i dubbi Riportare in Italia i capitali detenuti all’estero oppure regolarizzare le attività direttamente nei Paesi stranieri? Arturo Betunio, dell’Agenzia delle Entrate, spiega lo scudo fiscale. E ricorda che la regolarizzazione in loco può avvenire solo in 36 Paesi “collaborativi” di Sarah Sagripanti
opo più di due mesi dalla sua entrata in vigore, l’adesione allo scudo fiscale non accenna a diminuire. Tanto che non sembra così lontano l’obiettivo di 80-100 miliardi di euro, tra rimpatri e regolarizzazioni, da raggiungere entro il 15 dicembre. Sul fronte operativo sono sempre di più le richieste di chiarimenti su come aderire alla procedura di emersione presentate all’Agenzia delle Entrate, che prontamente già a inizio ottobre aveva risposto con una circolare applicativa. Ma la chiarezza non è mai troppa. Per questo Arturo Betunio, direttore centrale Normativa, spiega alcuni degli argomenti più ostici sul funzionamento dello scudo. Su quali aspetti sono arrivate le maggiori richieste di chiarimento? «Le domande più frequenti riguardano la possibilità di rimpatriare beni patrimoniali, le modalità di definizione della posizione dei contribuenti che detengono immobili in Paesi dove non è consentita la regolarizzazione, ad esempio in Svizzera, e, in generale, gli obblighi connessi con il cosiddetto “monitoraggio fiscale”». Qual è il ruolo degli intermediari nel chiarire e attuare le procedure per lo scudo, in collaborazione con l’Agenzia? «L’adesione allo scudo passa necessariamente attraverso la mediazione degli intermediari abilitati, che possono essere residenti in Italia oppure avere una stabile organizzazione nel nostro Paese: banche, società d’intermediazione mobiliare, società di gestione del risparmio, società fiduciarie, agenti di cam-
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Arturo Betunio, direttore centrale Normativa dell’Agenzia delle Entrate
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Scudo fiscale • Agenzia delle entrate
REGOLARIZZAZIONE ALL’ESTERO Paesi esteri nei quali è possibile regolarizzare in loco i capitali italiani. Sono esclusi i Paesi che non hanno aderito allo scambio di informazioni fiscali (tra questi, Svizzera, Montecarlo, San Marino, Liechtenstein) •Australia •Austria •Belgio •Bulgaria •Canada •Cipro •Corea del Sud •Danimarca •Estonia •Finlandia •Francia •Germania •Giappone •Grecia •Irlanda •Islanda •Lettonia •Lituania
•Lussemburgo •Malta •Messico •Norvegia •Nuova Zelanda •Paesi Bassi •Polonia •Portogallo •Regno Unito •Repubblica Ceca •Romania •Slovacchia •Slovenia •Spagna •Stati Uniti •Svezia •Turchia •Ungheria
bio, Poste Italiane. Più precisamente, entro il 15 dicembre i contribuenti interessati allo scudo devono presentare la dichiarazione in forma riservata, incaricando l’intermediario di ricevere in deposito le somme provenienti dall’estero, fornire la necessaria provvista per il versamento dell’imposta straordinaria e ricevere copia della dichiarazione riservata. L’operazione di emersione, infatti, si considera perfezionata nel momento in cui il contribuente presenta la dichiarazione riservata e versa all’intermediario l’imposta dovuta. Le norme sullo scudo prevedono inoltre che essi collaborino nella lotta al riciclaggio, segnalando le operazioni di emersione quando sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che le attività scudate sono frutto di reati diversi da quelli per i quali l’adesione allo scudo esclude la punibilità». In cosa consiste l’inversione dell’onere della prova? «Con l’approvazione delle norme sul contrasto all’evasione, gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenuti in paradisi fiscali in violazione degli obblighi sul monitoraggio si presumono costituiti, ai fini fiscali, mediante redditi sottratti a tassazione. Tale presunzione può essere superata se il contribuente dimostra che tali investimenti sono stati costituiti all’estero in modo regolare. Prima delle recenti norme, l’onere di questa dimostrazione ricadeva sull’Amministrazione finanziaria che doveva, appunto, provare che erano frutto di evasione. In ciò consiste, dunque, l’inversione dell’onere della prova. L’adesione allo scudo fiscale consente di evitare, per gli anni fino al 2008, la presunzione di evasione fiscale e, quindi, l’inversione dell’onere della prova». C&P • GIUSTIZIA
Come funziona, invece, il rimpatrio giuridico e quando è possibile utilizzarlo? «Il rimpatrio giuridico è l’istituto che consente il “rientro”, dal punto di vista fiscale, dei beni detenuti all’estero e non indicati nel modulo Rw della dichiarazione dei redditi, come alternativa al loro materiale trasferimento. Questo può avvenire, sia per beni inamovibili, come gli immobili, sia per beni o attività finanziarie che così possono essere scudate indipendentemente dal luogo di deposito effettivo. Il rimpatrio si perfeziona nel momento in cui l’intermediario abilitato assume formalmente in custodia o in deposito i beni o ne assume l’amministrazione e la gestione, e assume al tempo stesso l’obbligo di effettuare i conseguenti adempimenti sostanziali, come l’applicazione delle imposte, nonché adempimenti formali». Per quanto riguarda la regolarizzazione all’estero, esiste una lista definitiva sui Paesi con i quali è possibile realizzarla? «Certo. Comprende i Paesi dell’Ue e gli Stati dello Spazio economico europeo che garantiscono un effettivo scambio di informazioni fiscali, come l’Islanda e la Norvegia. A questi si aggiungono i Paesi Ocse con i quali ci sono accordi per lo scambio di informazioni. Restano pertanto fuori dalla possibilità di regolarizzazione i Paesi extra Ue che non hanno aderito allo scambio di informazioni, come ad esempio Svizzera, Montecarlo e San Marino, ai quali si aggiunge il Liechtenstein che, pur essendo uno Stato See, non possiede i requisiti previsti. Da questi Paesi è possibile solo rimpatriare, e non anche regolarizzare, beni e capitali ivi detenuti». 171
Finanza pubblica • Tullio Lazzaro
Vigiliamo sui soldi dei cittadini italiani Massima utilità d’azione a esclusiva tutela dell’interesse dei cittadini attraverso l’uso corretto delle risorse pubbliche, italiane e comunitarie. Questa la missione istituzionale della Corte dei Conti attraverso le parole del presidente Tullio Lazzaro che al contempo chiede «autonomia, indipendenza e mezzi finanziari adeguati» di Giusi Brega
In apertura, il presidente della magistratura contabile Tullio Lazzaro. Nella pagina accanto, l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2009 alla Corte dei Conti
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a Corte dei Conti è uno dei più importanti istituti previsti dalla Costituzione a tutela della finanza pubblica. Attraverso la funzione di controllo, infatti, la Corte garantisce a tutti i contribuenti che i soldi versati attraverso le imposte siano realmente e adeguatamente utilizzati per il bene della collettività. Questo controllo ha anche l’effetto di divenire forte elemento di contrasto all’utilizzo di denaro pubblico per arricchimento personale da parte di pubblici funzionari. Dai dati dell’attività dei magistrati contabili, diffusi in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, è emerso che nella Pubblica amministrazione è ancora troppo diffusa la corruzione. Sono molte le iniziative assunte dalla magistratura contabile in questo ambito, tra cui la convenzione con il ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta, finalizzata allo scambio di informazioni in funzione di una migliore lotta al fenomeno. «La Corte è realmente al servizio dei cittadini – sottolinea il presidente della magistratura contabile Tullio Lazzaro – ed è essenziale che questi la percepiscano, nella sua complessità, ma unitarietà di funzioni come uno strumento di difesa insostituibile per la comunità». Lei ha sottolineato come alla Corte occorrerebbe indipendenza finanziaria per essere più credibile e indipendente dall’esecutivo, come sancisce la Costituzione. Quale strada suggerite per raggiungere questa indipendenza finanziaria? «L’indipendenza finanziaria è un requisito richiesto a livello internazionale dall’Intosai, un’organizzazione internazionale
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Tullio Lazzaro • Finanza pubblica
che riunisce le istituzioni superiori di controllo, ossia le corti dei conti e gli organi analoghi dei vari stati. E l’Intosai ne fa proprio un’essenziale questione di principio. D’altra parte tutte le corti dei conti o gli istituti similari del mondo occidentale godono di indipendenza finanziaria. Che non significa facoltà di imporre tasse o di batter cassa, ma ricevere risorse finanziarie dal parlamento e non dal governo. Questo vogliamo. Non chiediamo di determinare da noi di cosa abbiamo bisogno, poiché questa funzione è riservata al parlamento come avviene in tutti i paesi occidentali». Chi finanzia oggi la Corte dei Conti? «Il ministero dell’Economia, ma noi vorremmo che a farlo non fosse l’esecutivo, ma il potere legislativo». Perché ritenete le risorse a vostra disposizione insufficienti per un corretto svolgimento della vostra funzione? «Le risorse sono sufficienti o insufficienti in relazione a ciò che si vuole realizzare. È chiaro che man mano che aumentano le nostre funzioni, e quindi ci si impone di avere maggiori mezzi strumentali e di personale, abbiamo bisogno di maggiori risorse finanziarie. Basti pensare che oggi noi abbiamo il controllo su tutto ciò che avviene nelle Regioni e nei Comuni e spesso dobbiamo lesinare nel fare le ispezioni nei controlli di gestione perché le risorse sono scarse. La pubblica amministrazione deve avere adeguate risorse strumentali in uomini e mezzi, ma deve puntare anche su un apparato più agile e più snello. L’obiettivo è raggiungere una maggiore efficienza a parità di costi e di evitare che a funC&P • GIUSTIZIA
zioni ridotte possa corrispondere non una diminuzione, ma addirittura un aumento del numero degli addetti». Quali sono oggi le garanzie di professionalità necessaria a un efficace funzionamento della Corte dei Conti? «La professionalità per i magistrati è garantita da un concorso di accesso estremamente rigoroso. Poi ogni magistrato si specializza nel ramo che gli viene più congeniale. A tal proposito, vorrei sottolineare che noi investiamo moltissimo, anche in termini di risorse finanziarie, in ciò che concerne il perfezionamento professionale dei magistrati. Abbiamo un seminario permanente che cura proprio questo aspetto e, per fornire ai magistrati questa opportunità, attiviamo convenzioni con enti esterni che ci possano in qualche modo aiutare in tal senso». Come è tutelato il ruolo della Corte dei Conti dalla Costituzione e dalla legislazione italiana e quanto è mutato negli ultimi anni? «Il ruolo della Corte è garantito dagli articoli 100 e 103 della Costituzione. L’articolo 100, in particolare, stabilisce che la Corte eserciti il controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato. L’articolo, inoltre, prevede l’importantissima funzione ausiliaria di questo organo. Si è discusso se essa debba essere intesa ausiliaria verso il parlamento o verso il governo, in realtà, va considerata ausiliaria verso entrambi, poiché il governo è espressione del parlamento. La Corte ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge; partecipa al controllo sulla ge173
Finanza pubblica • Tullio Lazzaro
La Corte dei Conti è al servizio dei cittadini ed è essenziale che questi la percepiscano, nella sua complessità ma unitarietà di funzioni, come strumento di difesa insostituibile per la comunità stione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria e riferisce direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito. A tutela delle sue funzioni, la Costituzione prevede che ci sia garantita l’indipendenza tanto dai magistrati quanto dal governo, il modo tale da assicurare la massima obiettività». Che cosa prevede nel dettaglio questa legge? «In seguito a questa legge, la Corte dei Conti può effettuare controlli su gestioni pubbliche statali in corso di svolgimento. Laddove accerti gravi irregolarità gestionali, oppure 174
deviazioni dagli obiettivi stabiliti, la Corte ne individua le cause e provvede a darne comunicazione al ministro competente affinché interrompa l’erogazione delle somme ed eventualmente ne disponga un uso diverso. Queste norme conferiscono alla Corte un ruolo di estrema importanza, che verrà affinato nei prossimi mesi giacché la legge è recente e occorrerà un po’ di tempo affinché venga ottimizzata. A livello consultivo, invece, si potrebbe fare qualcosa in più». In che senso? «Le leggi già esistenti prevedono che i presidenti delle due Camere possano chiedere alla Corte un parere sulle conseguenze finanziarie che deriverebbero da conversione in legge di decreti legge. Allora perché non dare lo stesso potere al presidente del Consiglio? In questo modo si avvantaggerebbe di un ruolo consultivo utile al governo che oggi è il vero motore dell’attività legislativa. Questa potrebbe essere un’opportunità importante perché servirebbe a prevenire eventuali problemi per il bene del Paese». Quanto può essere fondamentale in una congiuntura economica negativa come quella che stiamo attraversando il ruolo della Corte dei Conti nell’accertare presunte violazioni finanziarie? «La crisi economica ha investito tutto il mondo. È stata una crisi molto profonda, anche se adesso ci sono confortanti segnali di miglioramento. In questa situazione, quello che la Corte può e deve fare è accertare sempre di più che da ogni euro di spesa si tragga il massimo risultato possibile». C&P • GIUSTIZIA
Norme e tributi • Claudio Siciliotti
Un’exit strategy per cancellare l’Irap L’Irap «un’imposta ingiusta». Ad affermarlo è Claudio Siciliotti, presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, che chiede anche una revisione del redditometro, perché «molti parametri e coefficienti sono assolutamente inadeguati» di Federica Gieri ccorre definire un’exit strategy per cancellare l’Irap. A proporlo è il presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, Claudio Siciliotti. «L’Irap è un'imposta ingiusta – osserva il numero uno dei commercialisti che ha ribadito con forza questa ipotesi durante la seconda conferenza nazionale dell’Ordine –, il tema della sua riduzione non può essere ancora una volta accantonato come nulla fosse. Si può studiare un percorso graduale al termine del quale abolirla completamente, anche, se necessario, sostituendola con altri tributi». L’Irap, rincara Siciliotti, «è un’imposta ingiusta perché l’indeducibilità del costo del lavoro e degli interessi passivi fanno sì che a pagare siano le aziende che in tempo di crisi assumono o ricorrono al credito per sopravvivere. Siamo ben consapevoli del fatto che essa ha un gettito di 38 miliardi, il 40% della spesa sanitaria nazionale e che quindi non è ipotizzabile una sua cancellazione dall’oggi al domani. Ma si può ragionare sull’eventualità di rendere da subito deducibili dalla base imponibile il costo del lavoro e gli interessi passivi. Questa misura deve essere prevista con riferimento a tutti i contribuenti che pagano l’imposta: non solo le imprese, dunque, ma anche i liberi professionisti». Come sta avvenendo per il sistema giuridico, crede opportuna, anche per il fisco, una semplificazione della materia, magari con l’abolizione di norme desuete e l’accorpamento di altre?
O Claudio Siciliotti, presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. In alto la seconda conferenza nazionale dell’Ordine svoltasi a Roma che ha visto la partecipazione del ministro della Giustizia, Angelino Alfano
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C&P • GIUSTIZIA
Claudio Siciliotti • Norme e tributi
L’Irap è un'imposta ingiusta. Occorre studiare un percorso graduale al termine del quale abolirla completamente, anche sostituendola con altri tributi «Non sarà mai troppo tardi. Il sistema fiscale sarà sempre complesso perché è inevitabile che ciò accada se l’obiettivo è, come deve essere, quello di tassare ciascuno in base alla sua propria capacità contributiva personale. Oggi, tuttavia, siamo di fronte a una complessità assai superiore a quella fisiologica e necessaria, anche a causa di un’iperproduzione normativa che accompagna ogni cambiamento di maggioranza e di governo». Un’eventuale riduzione di Irap, Irpef e Ires può essere un valido rimedio anti crisi? «Senza dubbio. Una recente ricerca del nostro ufficio studi ha messo in evidenza come la pressione fiscale reale sull’economia non sommersa del Paese è pari al 50,6%. Per ogni euro guadagnato oltre la metà se ne va in tasse. Un’imposizione di questo tipo strangola qualsiasi velleità di crescita». Da dove ha origine questo 50,6%, visto che la pressione fiscale ufficiale nel 2008 si attesta sul già elevato 42,8%? «Calcolando il dato sul Pil depurato della componente stimata di economia sommersa. È tempo, dunque, di un fisco leggero con sanzioni pesanti. Da una dozzina di anni a questa parte, la politica fiscale italiana è stata invece orientata verso un fisco sempre più pesante con sanzioni sempre più leggere. Con gli effetti che ora constatiamo in termini di sommerso ed evasione». Quale ruolo possono rivestire i commercialisti nella lotta all’evasione? C&P • GIUSTIZIA
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Norme e tributi • Claudio Siciliotti
Per quanto riguarda i liberi professionisti non ci deve essere nessuna revisione degli studi di settore, ma assai più drasticamente la loro eliminazione «Un ruolo importante lo abbiamo già svolto perché il ritorno in auge del redditometro è figlio anche di una martellante campagna da noi avviata oltre un anno fa, quando abbiamo capito che i tempi erano maturi per fare breccia rispetto al pensiero dominante dell’epoca, troppo concentrato sugli studi di settore. Se poi le istituzioni vorranno l’aiuto che noi abbiamo già offerto, saremo pronti a concorrere alla costruzione di procedure idonee a rendere il redditometro lo strumento ideale per la lotta all’evasione fiscale di massa e non soltanto per quella del singolo contribuente sottoposto ad accertamento». A proposito di redditometro, così come è strutturato, è una misura equilibrata? «Il principale punto di forza è l’idea sottostante al meccanismo: partire dai consumi e dal tenore di vita del contribuente per determinarne il presumibile reddito di cui dispone e confrontarlo con quello effettivamente dichiarato. I punti di debolezza sono invece riconducibili al modo in cui è ora costruito: molti parametri e coefficienti sono assolutamente inadeguati. È necessaria una profonda revisione dello strumento per evitare che un’idea giusta venga accantonata per l’incapacità di darle un vestito applicativo adeguato». Come si possono tutelare i contribuenti onesti da un uso distorto di questo strumento? «Procedendo per l’appunto a quella profonda revisione di parametri e coefficienti che, a nostro avviso, è indifferibile. Come commercialisti, abbiamo già dato più volte la nostra disponibilità a condividere con l’Agenzia delle Entrate un tavolo di lavoro fi178
nalizzato alla riscrittura di un redditometro efficace per l’Erario e al tempo stesso rispettoso dei contribuenti onesti». È sempre possibile fornire una prova puntuale della fonte di sostenimento della spesa, specie in assenza di obblighi contabili? «In linea generale direi proprio di sì. Se le spese sono finanziate da entrate non aventi natura reddituale, si tratta in linea generale di donazioni, lasciti ereditari o disinvestimenti patrimoniali». Studi di settore: la crisi ne ha imposto una revisione che dovrebbe partire a fine anno. In che direzione auspicate avvenga? «Per quanto riguarda i liberi professionisti riteniamo che non ci debba essere nessuna revisione, ma assai più drasticamente ci deve essere l’eliminazione degli studi di settore. Fin dalla loro introduzione, è stato sottolineato come degli strumenti statistici non possono assolutamente misurare i volumi derivanti da attività prive di qualsivoglia standardizzazione come quelle puramente intellettuali». Quindi non hanno una reale corrispondenza con gli ambiti a cui si riferiscono? «Sono uno strumento valido limitatamente alle attività fortemente standardizzate come, ad esempio, quelle del commercio e quelle manifatturiere a bassa intensità artistica o tecnologica. Anche in quest’ambito, tuttavia, essi devono rimanere nulla più che un indicatore di anomalia e non certo assurgere a presunzioni di evasione che spostano sul contribuente l’onere di provare il contrario». C&P • GIUSTIZIA
Massimo Scotton • Norme e tributi
Parte bene il rimborso online In Liguria, spiega il presidente dei commercialisti Massimo Scotton, l’invio telematico delle richieste di rimborso Irap 2004-2007 si è svolto senza troppi danni. Il presidente esprime perplessità, invece, sull’utilità di questo strumento, utile solo se darà soddisfazione a una parte significativa di contribuenti di Federica Gieri
l click day, relativo alle richieste di rimborso Irap 2004-2007, in Liguria è passato senza troppi danni. «Verosimilmente la capienza di tali fondi sarà limitata, ma – osserva Massimo Scotton, presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Genova – la modalità dell’esecuzione dei rimborsi per annualità realizza una migliore perequazione tra i contribuenti rispetto a quella precedentemente prevista». Perplessità, invece, sull’utilità di questo strumento che sarà da considerare tale solo «nella misura in cui potrà dare soddisfazione a una parte significativa» di chi ne ha usufruito. Archiviata (perchè in attesa di risposta), la partita rimborsi Irap, inevitabile affrontare gli effetti della crisi che, rileva Scotton, «stanno producendo un’onda lunga sull’economia reale delle imprese che soffrono per la contrazione della domanda e per un rallentamento nei sistemi d’incasso dei crediti dai clienti, con effetti a cascata sui fornitori delle stesse». Utili, perchè «incentivanti» nell’aiutare il sistema impresa a «tenere», le misure anticrisi varate dal governo. A partire dalla Tremonti ter, cui vanno aggiunte le recenti misure per la riduzione degli acconti Irpef a beneficio delle famiglie per una maggiore capacità di spesa. «Difficile valutare quale sia il rimedio più adatto alle attuali condizioni del mercato – sottolinea –. Senza dubbio anche il sistema delle imprese auspicava una riduzione degli acconti d’imposta per il corrente 2009, atteso che in
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C&P • GIUSTIZIA
Massimo Scotton, presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Genova
molti casi i risultati economici dell’anno saranno inferiori a quelli del 2008 e, quindi, anche minori le imposte che saranno dovute a giugno e oggi in gran parte anticipate». Aperto è anche il dibattito su abolizione o sostituzione, anche parziale, dell’Irap «un’imposta mal sopportata in quanto si abbatte sul costo del lavoro dipendente e sugli interessi passivi, entrambe componenti significative del reddito d’impresa. Tuttavia – conclude Scotton – notevoli sono i vincoli di bilancio per una realistica ipotesi di abolizione di tale imposta in quanto fornisce, con una aliquota bassa e una larga base imponibile, un gettito considerevole destinato al finanziamento della spesa sanitaria delle regioni». 179
Norme e tributi • Piergiorgio Renier
Slovenia: import di aziende italiane Per bassa tassazione, agevolazioni fiscali, costo del lavoro contenuto e poca burocrazia, l’ex Repubblica jugoslava, osserva Piergiorgio Renier, presidente dei commercialisti triestini, esercita un forte richiamo verso le nostre aziende. «Bisogna riequilibrare» la bilancia di Federica Gieri ttrazione Slovenia. La bassa tassazione (21% della base imponibile che diventerà 20% il prossimo anno), le agevolazioni fiscali a 360 gradi (ad esempio deduzione del 20% della base imponibile per gli investimenti in ricerca e sviluppo), il costo del lavoro contenuto, la poca burocrazia sono tra gli incentivi che spingono molte imprese italiane, soprattutto friulane, a migrare nell’ex Repubblica jugoslava, dal 2004 nella Ue. «La diversa tassazione – osserva Piergiorgio Renier, presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Trieste – è conseguenza di diverse aliquote, base imponibile e struttura del costo del lavoro». È, quindi, necessario «riequilibrare» la bilancia. «Non basta, però – avverte Renier –, operare solo con una riduzione di aliquote nominali o rendere un costo deducibile. La struttura del costo del lavoro è figlia di una situazione che vede da una parte una minoranza di lavoratori dipendenti iper garantiti e dall’altra una maggioranza che ne è priva o quasi. Ciò comporta conseguenze sul costo del lavoro in termini di oneri aggiuntivi ed è su questo che il legislatore deve operare, a prescindere dall’orientamento politico». Inoltre, sottolinea il presidente, «è rilevante anche il contesto ambientale in termini di rapporto con la pubblica amministrazione e di rapidità e certezza delle procedure. È importante lo sforzo del governo nel far decollare strumenti di composizione alternativa delle controversie come il decreto sulla mediazione civile». Registra, dunque, “fughe” verso la Slovenia? Ci sono
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Piergiorgio Renier, presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Trieste. In alto l’Europarlamento, a fianco uno scorcio di Lubiana, capitale della Slovenia
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C&P • GIUSTIZIA
Piergiorgio Renier • Norme e tributi
Purtroppo molti principi dello Statuto dei diritti del contribuente sono violati situazioni simili verso altri Paesi dell’Est? «Non si può parlare di fenomeni molto diffusi, ma esiste una tendenza, agevolata da una vicinanza geografica e culturale, a chiudere attività, soprattutto nei servizi, e riaprirle oltre confine con le stesse modalità operative.Altri Paesi dell’Est sono interessati da fenomeni diversi più legati ad attività produttive dipendenti dalla disponibilità di manodopera con poca specializzazione e a basso costo, quindi una situazione diversa da quella slovena». La concorrenza fiscale tra i Paesi europei è un fenomeno favorito dalla facile mobilità dei capitali che può causare distorsioni e squilibri nella distribuzione del gettito tra i paesi. La Ue ha sentito il bisogno di creare un argine con un pacchetto fiscale europeo e un intenso lavoro di negoziazione con i paesi a fiscalità privilegiata. Si arriverà mai a un’armonizzazione fiscale europea? «Il punto di arrivo deve necessariamente essere questo, solo così si potrà realizzare la “libertà di stabilimento”, cioè la creazione nello spazio europeo di condizioni normative tali che la scelta imprenditoriale della localizzazione risponda solo a logiche di migliore allocazione delle risorse. Quanto agli eventuali squilibri di gettito, esistono tutti gli strumenti per costanti monitoraggi e conseguenti interventi. La finanziaria 2009 ha innovato la normativa sulle Cfc al fine di combattere fenomeni elusivi di estero-vestizione societaria. È probabile che si arrivi a un monitoraggio di tali situazioni con interpelli annuali dell’imprenditore all’Agenzia delle Entrate. Poter ottenere un parere favorevole preventivo su determinati comportamenti fiscali è importante per creare un clima di certezza C&P • GIUSTIZIA
normativa che significa anche certezza di costi». Nel 2008 Strasburgo ha accolto favorevolmente la proposta italiana di uno Statuto dei diritti del contribuente. A che punto dei lavori siamo? «Purtroppo molti principi dello statuto sono sistematicamente violati. In particolare per quel che concerne il principio dell’irretroattività delle modifiche normative che incidono su presupposti e basi imponibili o per l’abnorme quantità della produzione normativa che a volte è in contrasto e obbliga a risoluzioni che nel diritto tributario sono diventate fonti di diritto. Lo strumento esiste, è molto potente perché la sua completa attuazione potrebbe permettere di creare un nuovo rapporto cittadino-fisco: corretto, leale ed equilibrato, ma è ben distante dalla sua completa attuazione». Eurofisc: a che punto è l’idea di creare una struttura per la cooperazione permanente alla lotta contro le frodi e l'evasione fiscale? «Ogni struttura implica nuove procedure e nuovi costi e pertanto ritengo debba essere avviata solo se effettivamente può dare delle competenze che le strutture attuali non possono dare: personalmente dubito di ciò». Al momento quanto incide l’Europa sulle tasche dei cittadini italiani? «Ritengo che la questione vada invertita e cioè: qual è il vantaggio competitivo che l’Europa ha dato all’operatore economico nazionale? Il vantaggio esiste: un mercato di prodotti e di fattori della produzione, non ultimo quello umano, di dimensioni continentali». 181
Credito e impresa • La moratoria
Un accordo che porta “ossigeno” Il bisogno di liquidità e di maggiore credito per le imprese stimola l’operato istituzionale. Quella della moratoria pare essere la soluzione che, più di tutte, trova l’accordo tra industriali e governo. Ne parla l’avvocato Giovanni Sarnataro di Pierpaolo Marchese
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umentano le soluzioni proposte dal mondo politico e fiscale per sostenere il tessuto produttivo italiano dinanzi alla difficile congiuntura degli ultimi mesi. Certo, è probabile che la fase più difficile sia passata, ma ciò non toglie che occorrano importanti strumenti di supporto atti a stimolare la ripresa.Tra questi, una delle opzioni è quella della moratoria. Un termine, quest’ultimo, con cui si intende la sospensione di una obbligazione concessa per legge o la proroga relativa alla scadenza nel caso sopraggiungano casi eccezionali. Casi che, di recente, si sono verificati nel nostro Paese, come spiega l’avvocato Giovanni Sarnataro, il quale opera in un gruppo professionale composto da legali e dottori commercialisti impegnati su questa tematica da diversi anni, operando in un network di studi dislocati tra Roma, Napoli, Battipaglia e Torre del Greco: «Il verificarsi degli eventi che hanno costretto l’economia italiana in ginocchio ha fatto sì che il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, il presidente dell'Abi, Corrado Faissola e i rappresentanti delle associazioni imprenditoriali - Confindustria, Confartigianato, Cna, Casartigiani, Confesercenti, Lega Cooperative e Confapi - abbiano firmato l'accordo sulla moratoria dei crediti». È stato infatti sottoscritto un “avviso comune per la sospensione dei debiti delle piccole e medie imprese verso il sistema creditizio”. Anche il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha espresso soddisfazione. «L'accordo è buono - ha dichiarato la numero uno degli industriali italiani -, un passo fondamentale, adesso è molto importante che venga concretizzato. È importante che quando un imprenditore a settembre andrà presso gli sportelli bancari, que-
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La moratoria • Credito e impresa
Nella pagina a fianco da sinistra, l’avvocato Giovanni Sarnataro, il dottor Martino De Stefano e il dottor Giuseppe Sarnataro studiolegale.sarnataro@virgilio.it
La grande novità di un tale accordo sta proprio nel fatto che anche le banche ne usciranno favorite sta moratoria la trovi veramente e concretamente. Ci sarà, quindi, un monitoraggio che faremo tutti insieme. Questo è uno strumento vero a supporto delle imprese che ora stanno soffrendo». La riflessione esposta da Emma Marcegaglia rientra nella discussione, ovviamente accesa vista la situazione, inerente il tema della liquidità e del credito. Elementi che restano una proprietà assoluta in un momento di congiuntura difficile e in cui si registrano cali del fatturato anche del 30 o del 50%, in cui per le aziende è difficile incassare i crediti. Sono molte, quindi, le speranze riposte da industriali e imprenditori sulla moratoria. L’avvocato Sarnataro fa luce su questo importante accordo spiegandone, modalità e tempistiche di adesione. Quale tipologia di accordo si è raggiunto? «L'avviso comune, oggetto dell'accordo, prevede la sospensione dei debiti delle piccole e medie imprese verso il sistema creditizio, con la sospensione per 12 mesi del pagamento della quota capitale delle rate di mutuo, del pagamento della quota capitale implicita nei cambi di leasing immobiliare e mobiliare e l'allungamento a 270 giorni delle scadenze del credito a breve termine. Tutto questo per sostenere le esigenze di cassa con riferimento alle operazioni di anticipazione su crediti certi ed esigibili». Cosa bisogna fare per ottenere la moratoria? «Le relative domande finalizzate all’ottenimento per la moratoria dei crediti potranno essere presentate da parte degli interessati fino al 30 giugno 2010, mentre le banche che comunicheranno all'Abi la decisione di aderire da parte degli interessati si impegnano a renderla operativa entro 45 giorni C&P • GIUSTIZIA
dalla sottoscrizione». Qual è l’opinione del suo gruppo in merito a questa iniziativa? «Tutto ciò, anche se sembra avulso dal linguaggio comune e poco comprensibile, determina, di fatto come sottolineato dai grandi del settore,“una boccata d'ossigeno per le imprese”, protagoniste, purtroppo, di un periodo di grande crisi per l’economia Italiana». La sua espressione, infatti, è ripresa dalle dichiarazioni di Giulio Tremonti. «Esatto. Fu lo stesso ministro, all’epoca della presentazione della moratoria, che disse testualmente: “Avrei voluto venire qui con una bombola d'ossigeno per dimostrare praticamente questo strumento, ma per ovvie ragioni non é stato possibile”». Cosa otterranno, invece, le banche? «La grande novità di un tale accordo sta proprio nel fatto che anche le banche ne usciranno favorite. Difatti il governo modificherà il meccanismo fiscale sulle perdite, ma solo se ci sarà credito alle imprese, sempre che ci siano gli effetti della moratoria, per poi dare sgravi fiscali, e non viceversa». Quali sono le vostre previsioni in merito ai risultati ottenibili? «Ci si augura in primis che tale accordo possa effettivamente rappresentare una chiave di lettura risolutiva ed efficace per le sorti della maggioranza delle imprese italiane, impegnate nella difficile e delicata lotta per la loro naturale sopravvivenza nel settore che troverà immediato e pratico sollievo grazie a questa nuova, ma dovuta, boccata di ossigeno». 183
Recupero crediti • Sinergie
L’economia necessita di tempi rapidi Se la macchina giudiziaria riprenderà a funzionare secondo ritmi normali, anche i tempi per recuperare i crediti si accorceranno. Con grande vantaggio per le aziende e per tutto il sistema economico. L’avvocato Giovanna Vernarecci di Fossombrone spiega perché di Milena Modafferi
L’avvocato Giovanna Vernarecci di Fossombrone nel suo studio di Genova. Nella pagina accanto con il suo staff www.studiovernarecci.it
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impatto più negativo che gli attuali tempi biblici della giustizia civile producono in campo economico e commerciale riguarda la possibilità di recuperare tempestivamente i crediti delle aziende. Un danno questo che si ripercuote non solo sui soggetti interessati, ma anche, appunto, sull’economia nazionale. «La situazione è drammatica, anche perché la capacità dei debitori di “sparire” rappresenta il vero nemico della possibilità concreta di recupero. A ciò si aggiunge il fatto che le imprese tendono a passare la pratica al legale in ritardo, mentre sarebbe spesso più conveniente iniziare l’attività per eventualmente raggiungere una transazione “onorevole”» commenta l’avvocato Giovanna Vernarecci di Fossombrone, civilista ed esperta in recupero crediti. «In questo ambito – continua la professionista – per ovviare, se non a tutte, a buona parte di queste difficoltà operative, occorre la maggiore sinergia possibile tra l’avvocato e il suo assistito». Quali sono i mezzi predisposti dalla legge per recuperare un credito? «Per grosse linee va detto che per “recuperare un credito” occorre disporre di quello che tecnicamente si chiama un titolo: una cambiale o un assegno, una sentenza, oppure, come nella maggior parte dei casi, un decreto ingiuntivo. Per ottenere una sentenza occorre realizzare la procedura di cognizione, che richiede l’invito del debitore a comparire in giudizio e una fase istruttoria. Si tratta di un procedimento piuttosto lungo cui è meglio preferire l’ottenimento del decreto ingiuntivo. Quest’ultimo, infatti, è reso dal giudice senza la partecipazione del debitore e dietro presentazione della
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Sinergie • Recupero crediti
documentazione richiesta dalla legge: le fatture e generalmente gli estratti delle scritture contabili del creditore, autenticati dal notaio. Una volta ottenuto, il titolo si esegue con il pignoramento sui beni mobili del debitore, su suoi eventuali crediti nei confronti di altri soggetti, pignoramento presso terzi, oppure sui suoi beni immobili». Esistono poi le alternative all’attività giudiziale, come le agenzie di gestione dei crediti e le assicurazioni. «Quanto alle prime si deve sottolineare che spesso raggiungono lo scopo dello “stress” del debitore ma, non potendo svolgere l’attività di esecuzione, spesso non possono andare oltre. Le assicurazioni non hanno lo scopo di recuperare il credito, ma solo di limitare le perdite per l’imprenditore, salvi C&P • GIUSTIZIA
i costi, e più in generale, la franchigia e la necessità di una dichiarazione di irrecuperabilità del credito». Per il credito d’impresa l’attuale ordinamento prevede una disciplina giuridica in qualche modo di maggiore tutela rispetto a quella di carattere generale? «Nell’ambito del recupero giudiziale del credito, l’unica vera maggior tutela è la previsione di una più alta misura degli interessi di mora in attuazione della direttiva 2000/35/CE sulla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Le altre agevolazioni riguardano gli abbattimenti fiscali e le facilitazioni nel sistema creditizio collegate con le assicurazioni del credito». Come si differenziano, se si differenziano, le procedure a seconda della tipologia del creditore e del debitore con cui ci si deve rapportare? «Non sono tanto le procedure a differenziarsi, quanto il modo di realizzare l’attività stragiudiziale e giudiziale volta al recupero. A tal fine sono solita offrire ai miei assistiti un contratto che comprende generalmente tale attività e la consulenza, possibilmente preventiva, per valutare insieme le strategie. Infatti in questo lavoro occorre tenere conto della tipologia del debitore e del creditore: in ogni caso una piccola o media impresa avrà atteggiamenti e necessità differenti rispetto ad una realtà più grande; inoltre, a seconda dell’oggetto dell’attività del creditore, è possibile che i suoi debitori finiscano per costituire una sorta di nicchia, che occorre conoscere concretamente per facilitare l’attività del recupero. A questa particolare sensibilità si arriva non solo con i dati disponibili nei vari motori di ricerca, ma anche, ovviamente, con l’esperienza specifica sul campo». 185
Recupero crediti • Procedure
Insolvenze quali vie di recupero?
L’avvocato Alberto Malavolta, esperto in diritto d’impresa, all’interno del suo studio di Pesaro www.studiolegalemalavolta.it - info@studiolegalemalavolta.it
Il recupero di un credito rappresenta, per un’impresa, un’equazione tutt’altro che semplice. Scegliendo le strategie errate, infatti, si rischia di non ottenere nemmeno un sostegno fiscale in caso di esito negativo. I suggerimenti dell’avvocato Alberto Malavolta, tra soluzioni stragiudiziali e tribunali di Dean Coleman
affermarsi delle soluzioni stragiudiziali all’interno di una società è, da un lato, sinonimo di avanzamento meccanicistico del sistema giustizia e, dall’altro, il sintomo di un’insofferenza. Rappresenta, infatti, una reazione, da parte della società civile, dinanzi a un’inefficienza della cosa pubblica. E la classe forense si deve adeguare. Tuttavia, è pericoloso il ricorrere eccessivamente allo stragiudiziale, come sostiene l’avvocato Alberto Malavolta. «Occorre una sinergia di strumenti stragiudiziali e giudiziali» sostiene il legale, che affronta una delle questioni più sensibili per le imprese italiane: il recupero crediti. Cosa può comportare il tentativo di recupero in via stragiudiziale? «Se non si intraprende un’azione legale, spesso, il debitore resta totalmente inattivo rispetto all’adempimento della sua obbligazione. Va da sé, comunque, che il tutto dipende dalla formula stragiudiziale che si sceglie di intraprendere. Troppo spesso si assiste alla compilazione di solleciti che non sensibilizzano in maniera compiuta il debitore sui potenziali rischi del protrarsi del suo stato di insolvenza. Una compilazione dettagliata, invece, porta a notevoli soddisfazioni e maggiori recuperi stragiudiziali». Però, come ha già dichiarato, questo non è sufficiente. «Le imprese hanno e devono avere sempre interesse al recupero del credito o comunque al suo tentativo, godendo di benefici detrattivi fiscali in caso di esito negativo della procedura. È d’obbligo però specificare che le aziende non possono essere
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correttamente servite dal legale solo attraverso la procedura stragiudiziale, tenendo conto che le normative fiscali precludono la possibilità di porre a perdita il credito insoluto soltanto sulla base del tentativo stragiudiziale fallito. L’avvocato deve quindi saper consigliare in relazione alle singole situazioni e all’importo del credito insoddisfatto. Le imprese godranno allora dei benefici del tentativo stragiudiziale non andato a buon fine solo per gli importi più piccoli per i quali l’Agenzia delle Entrate accetta la missiva dell’avvocato circa l’antieconomicità di recupero di quel credito». Come professionista quale strategia adotta generalmente? «In primo luogo effettuo ricerche mirate sul patrimonio del debitore e sulla sua solvibilità presente e pregressa. Successivamente consiglio l’invio di un’unica messa in mora e diffida ad adempiere al debitore rappresentandogli analiticamente quali potrebbero essere le conseguenze del protrarsi del suo stato d’insolvenza. Qualora l’importo della sofferenza sia consistente, punto alla via giudiziale poiché è l’unica che in caso negativo comunque garantisce di poter usufruire di detrazioni fiscali». Volendo si può anche frazionare il debito? «Certamente. È un escamotage che si può proporre in Tribunale richiedendo prima un sequestro conservativo e, in seguito, un decreto ingiuntivo con la formula della provvisoria esecuzione adducendo quale motivo di urgenza il sequestro conservativo già preliminarmente depositato. Questa procedura spesso permette di abbreviare i tempi di esecuzione di ben 40 giorni, lasciando al debitore per il pagamento solo il tempo previsto dall’atto di precetto». C&P • GIUSTIZIA
Recupero crediti • Il caso
I farmacisti chiedono correttezza all’Asl di Napoli Il ritardo nei pagamenti da parte dell’Asl Napoli 1 Centro, nei confronti delle farmacie e dei centri di riabilitazione del territorio, rischia di mettere in ginocchio l’intero comparto. E questo, sostiene l’avvocato Massimo Vincenti, anche per il cittadino può rappresentare uno svantaggio di Francesco Sottil
L’avvocato Massimo Vincenti ha maturato esperienza in tutti i settori del diritto sanitario e farmaceutico con competenza specifica in questioni giuridiche attinenti le farmacie, i centri di riabilitazione motoria e le Asl m.vincentilex@tin.it
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l cronico ritardo dei pagamenti da parte dell’Asl Napoli 1 Centro, nei confronti dei farmacisti napoletani e delle strutture convenzionate ha già messo in crisi l’intero comparto». Questo è quanto afferma l’avvocato Massimo Vincenti. Preoccupato della situazione che si è venuta a creare negli ultimi mesi sul territorio partenopeo,Vincenti, sottolinea che, in questo momento «i titolari delle farmacie, dei centri accreditati e dei laboratori, stanno protestando contro i ritardi ingiustificati». Sempre a detta dell’avvocato, i farmacisti sono costretti a ricorrere sistematicamente al credito bancario «i cui costi sono ormai insostenibili». Ma c’è dell’altro. «Il debito relativo al periodo aprile 2008 marzo 2009 – spiega Vincenti dal suo studio di Napoli – è stato sanato attraverso la cessione dei crediti da parte dei farmacisti, alla Deutsche Bank». Molte aziende sono al collasso. I farmacisti minacciano serrate: «Tutto ciò – conclude – si tramuterà in un grave danno per il cittadino. Soprattutto ora: in un periodo così critico sotto il profilo epidemiologico». Cosa chiedono i farmacisti napoletani? «Non si spiega come le Asl Napoli 2 Nord e Napoli 3 Sud, riescano a pagare delle mensilità correnti e, solo l’Asl Napoli 1 Centro, non riesca a rispettare i tempi e gli impegni presi con la delibera di giunta regionale n. 541/09. I farmacisti napoletani chiedono correttezza nei pagamenti così come avviene nelle altre aziende sanitarie locali napoletane». I farmacisti quali azioni legali possono intentare nei confronti della sanità campana? «I titolari di farmacie e tutti quelli che vantano crediti nei confronti delle aziende sanitarie locali della Campania, devono procedere nel richiedere al giudice territorialmente competente, l’emissione di un decreto ingiuntivo per la sorta capitale dovuta, oltre agli interessi e le spese legali. Una volta ottenuto il titolo esecutivo, devono pignorare le somme presso le tesorerie delle aziende sanitarie locali e chiedere al giudice dell’esecuzione di emettere un’ordinanza di assegnazione delle somme pignorate». Il Governatore Bassolino quali iniziative ha assunto per affrontare la questione del ritardo dei pagamenti? «Sia la Regione Campania, che il Presidente Bassolino non hanno fatto molto. Si è proceduto solo ad accorpare le vecchie Asl con la conseguente decadenza dei direttori generali e la nomina dei commissari straordinari. Per i notevoli ritardi nei pagamenti le associazioni di categoria stanno lavorando all’ennesima transazione per il periodo aprile-settembre 2009, la quale, come le precedenti, non risolverà il problema ma servirà solo a tamponare la situazione».
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C&P • GIUSTIZIA
Il valore dell’atto • Paolo Piccoli
Mai voltare le spalle al futuro Continuare a dialogare con la politica, le amministrazioni, la società civile. Ma conservando intatte le prerogative del proprio ruolo: quello di custodi della certezza del diritto. Il presidente del Consiglio nazionale del notariato Paolo Piccoli, al termine del secondo mandato, valuta la strada percorsa. E quella ancora da affrontare di Daniela Panosetti
Nella foto, un momento del 44° Congresso nazionale del Notariato, tenutosi a Venezia dal 21 al 24 ottobre. Paolo Piccoli è stato eletto presidente del Consiglio nazionale del notariato nel 2004 e successivamente riconfermato per il triennio 2007-2010
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n detto molto appropriato ricorda che bisogna operare nel proprio luogo, ma pensare nel mondo. Per questo il notariato non può accontentarsi di “registrare” i cambiamenti o limitarsi all’impegno quotidiano individuale, pur essenziale, ma deve contribuire al bene comune avanzando proposte concrete a chi ha il dovere di decidere». Così il presidente Paolo Piccoli, durante l’ultimo convegno nazionale della categoria, intitolato, non a caso, “Accompagnando la società che cambia”, ha introdotto le “dieci proposte per la modernizzazione del Paese” elaborate dai notai. Solo l’ultimo passo di una presidenza durata due mandati, di cui oggi Piccoli tira le fila, in attesa di passare il testimone al suo successore. Al quale lascia soprattutto un auspicio: quello di non dare le spalle al futuro, ma di accompagnarlo nel suo percorso, anche quando è difficile. A febbraio concluderà il suo secondo mandato. Quale bilancio si sente di fare? «Sono stati sei anni intensi, durante i quali il Consiglio nazionale ha profuso tutte le sue energie per un notariato che fosse all’altezza dei suoi compiti, che potesse essere migliore, nella fedeltà alle sue secolari radici di fiducia e di garanzia della sicurezza giuridica. È stato, quello trascorso, uno dei periodi più difficili della storia della professione, un momento di grandi cambiamenti storici, economici e giuridici, nel quale due sistemi, civil law e common law, sono venuti a confronto, anche aspro, portando ciascuno
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C&P • GIUSTIZIA
Paolo Piccoli • Il valore dell’atto
È dall’inizio del mandato, in tempi non sospetti, che continuiamo ad ammonire che l’economia lasciata a se stessa rischia di generare mostri C&P • GIUSTIZIA
grande fecondità di idee e utilità, ma creando anche sommovimenti di grande portata. Durante questo non agevole tragitto, il faro nel quale abbiamo sempre confidato è stato quello della pubblica funzione, che garantisce la certezza generale dei diritti, sempre più rilevante in un’epoca che vede la tecnologia accrescere rapidità ed efficienza, ma anche i rischi e le insidie, soprattutto per i soggetti più deboli». Quali sono in sintesi i principali obiettivi raggiunti in questi otto anni? «Molti, tanto che risulta difficile elencarli senza escluderne alcuni. Abbiamo sviluppato sempre più gli studi civilisti e societari, quella “cultura notarile” che ci è riconosciuta e invidiata in molte sedi. Sono stati sviluppati gli aspetti tecnologici applicati alla professione, investendo oltre 14 milioni di euro nella Rete unitaria del notariato e nelle sue applicazioni. Per i giovani abbiamo ripetutamente chiesto concorsi annuali, ottenuto norme di modifica del concorso, abolito la preselezione, rafforzato l’attività delle scuole, attivato borse di studio, nella convinzione che sia necessario favorire la mobilità sociale, non l’abbassamento della selettività». Uno degli obiettivi dichiarati era di intensificare le relazioni esterne del notariato. Quali passi sono stati fatti in questo senso? «In primo luogo abbiamo rafforzato la comunicazione e i rapporti con i nostri interlocutori pubblici e provati, anche attraverso l’informazione gratuita in decine e decine di Co191
Il valore dell’atto • Paolo Piccoli
Sono stati sei anni intensi, durante i quali il Consiglio nazionale ha profuso tutte le sue energie per un notariato che fosse all’altezza dei suoi compiti
muni italiani. Ci siamo impegnati nei rapporti legislativi col mondo politico, non tanto per difendere posizioni di parte, ma per far comprendere i rischi di scelte che potrebbero essere esiziali per il Paese nell’indebolimento delle certezze giuridiche. Abbiamo rafforzato i rapporti con le associazioni dei consumatori e di categoria, col sistema bancario e soprattutto con la Pa, grazie al progetto “Reti amiche”. Ma abbiamo anche anticipato alcuni grandi temi sociali, come il testamento biologico, e collaborato con grande disponibilità alla repressione della criminalità, diventando il primo ordine professionale italiano ad assumere il ruolo e la responsabilità di interposizione in materia di antiriciclaggio». Lei si è trovato a guidare il Consiglio durante la più grave crisi economica degli ultimi trent’anni. Quali riflessioni ha tratto il notariato da questa esperienza? «Per parte nostra, è dall’inizio del mandato, in tempi non sospetti, che continuiamo ad ammonire che l’economia, soprattutto quella finanziaria, lasciata a se stessa rischia di generare mostri, poiché ha interesse al profitto mordi e fuggi, non al bene della persona e della comunità. E siamo stati i primi anche a parlare di economia sociale di mercato, di necessità di evitare la divaricazione tra economia reale e finanza speculativa, rivendicando una concezione umanistica, tipicamente europea, dell’economia, capace di occuparsi anche delle categorie socialmente più minac192
ciate. Ora, dopo il disastro americano, sentiamo da più parti voci autorevoli dire alto e forte che non ci può essere sviluppo sostenibile senza etica, che “il mercato non è tutto”». Quali sfide rimangono aperte? Che augurio e auspicio lascia al suo successore? «Una nuova consigliatura è alle porte. Per parte nostra ci accingiamo, nonostante le difficoltà affrontate, a riconsegnare con orgoglio un notariato forte per uomini, donne, idee, programmi e prerogative. L’ultimo anno ha permesso di verificare che la politica della fedeltà alle istituzioni, della dedizione al bene comune, del dialogo costante ha creato un clima di maggiore serenità. Quello che conta, ed è così, è che il passaggio di testimone avverrà con un notariato intatto nelle sue istituzioni, le sue competenze essenziali e le sue possibilità di sviluppo. Certo i tempi sono difficili, la vigilanza deve essere costante e la nostra presenza deve continuare sul solco del binomio fecondo di tradizione e innovazione, senza lasciare indietro nessuno. Compito del nuovo Consiglio sarà di portare tutta la categoria puntuale agli appuntamenti della storia, ad anticipare i tempi nuovi, a sentire il vento che soffia dal futuro, avvalendoci della straordinaria opportunità di adattamento che la professione ci dà, pur preservando la funzione. Guai a noi se come l’Angelus Novus di Paul Klee che Walter Benjamin aveva nel suo studio andremo verso il futuro con lo sguardo verso il passato, volgendogli le spalle». C&P • GIUSTIZIA
Eliana Morandi • Il valore dell’atto
Eliana Morandi, notaio è membro del Consiglio permanente dell’Uinl (Unione internazionale del notariato latino) e vicepresidente del Comitato notarile del Triveneto
na categoria selezionata di professionisti indipendenti, che garantiscono l’affidabilità dei dati relativi agli immobili, alle società e alle persone». Efficienza e rispetto delle regole: sono questi i cardini della figura notarile secondo Eliana Morandi, membro del Consiglio Uinl e vicepresidente del Comitato notarile del Triveneto. Che sottolinea: «In un mondo globalizzato in cui le persone e le imprese contrattano tra loro ma spesso non si vedono e non si conoscono, un garante è essenziale». Contrariamente a quanto si pensi, il notariato latino è presente in numerosi Paesi, tra cui Cina, Giappone, Indonesia, Russia. Quali sono le ragioni di questa diffusione? «Senza dubbio la particolare struttura regolamentare e le caratteristiche della professione, sviluppatesi nei secoli in modo efficiente al servizio della società. Non è un caso se le frodi ipotecarie, che hanno avuto un così ampio ruolo nella crisi dei subprime, si siano verificate solo nel mondo anglo-americano mentre sono pressoché inesistenti nei Paesi in cui il notariato controlla le transazioni immobiliari e i Registri immobiliari sono affidati esclusivamente al suo controllo. Questo sistema ha provato nei fatti di essere molto più affidabile e protettivo». “Global legal standard”: di cosa si tratta e quale ruolo avrà il notariato nella sua attuazione? «I Global legal standard dovrebbero essere principi legali condivisi a livello internazionale per “proteggere e garantire la proprietà, l’integrità e la trasparenza dell’attività economica e finanziaria internazionale”. Se ne è sentita la necessità perché le cause della crisi mondiale, in estrema sintesi, sono riconducibili alla mancanza di informazioni affidabili per gli investitori e di regole adeguate, nonché all’assenza di soggetti terzi, imparziali, indipendenti e affidabili che controllassero l’applicazione delle regole. Esattamente quello che fa, come dicevo poc’anzi, il notaio di tipo latino. Perciò, che si tratti di Global legal standard o di regole nazionali “derivate”, il notariato potrà continuare a svolgere il suo ruolo di gate-keeper, di garante dell’applicazione delle regole e di fornitore di informazioni e dati assolutamente affidabili e garantite». Negli ultimi anni i flussi transnazionali di beni e persone sono aumentati esponenzialmente, anche in termini di movimenti migratori. Come può aiutare il notaio il processo di integrazione degli immigrati? «Gli immigrati vengono quasi sempre da realtà sociali e legali profondamente diverse dalla nostra, ma una loro reale integrazione presuppone che conoscano e imparino a rispettare le nostre regole di convivenza sociale, fermo restando il rispetto per le loro specificità che non contrastino appunto con il nostro sistema. Il notaio incontra gli immigrati nei momenti fondamentali per l’inizio dell’integrazione, quando comprano casa o iniziano un’attività economica, e può appunto fare da “interprete” spiegando loro in modo semplice le regole e i principi fondamentali del nostro Paese, partecipando così in modo semplice e concreto al processo di integrazione».
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Servono regole globali Trasferimenti di beni, informazioni, persone. Nello scenario globale il notariato è un punto di riferimento fondamentale. E negli ultimi anni si è diffuso ben oltre l’area europea, mettendo la sua esperienza e tradizione al servizio del cittadino proteggendolo da frodi e rischi. A maggior ragione quando arriva da un Paese straniero di Agata Bandini C&P • GIUSTIZIA
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Il valore dell’atto • Giancarlo Laurini
Custodi della legalità Per definizione deputati alla tutela del diritto e della trasparenza delle contrattazioni, i notai rappresentano, oggi più che mai, una garanzia di certezza giuridica. L’opinione di Giancarlo Laurini di Paolo Nobilio a crisi economica ha reso più che mai evidente l’importanza di regole economiche e giuridiche certe. Un tema a cui il notariato, per compiti e vocazione, è particolarmente sensibile. Come spiega Giancarlo Laurini, presidente onorario Uinl, «anche se esercitano in regime di libera professione, i notai sono titolari di pubblica funzione e, in quanto tali, sono i primi custodi della legalità, almeno per quanto attiene le transazioni tra privati». Come categoria, dunque, il notariato è in prima linea nella difesa delle regole. La cui mancanza o attenuazione può avere effetti molto seri, in certi campi. «La crisi mondiale, partita dagli Stati Uniti – continua Laurini – è dipesa in gran parte proprio dalla deregolamentazione del mercato immobiliare, che ha lasciato il campo libero a intermediari privi di una solida professionalità, e talora anche di scrupoli». Secondo l’economista Shiller se gli Usa avessero avuto una figura come il notaio latino gli effetti della crisi sarebbero stati minori. Perchè? «Perchè il notaio di fronte a un trasferimento immobiliare è tenuto a verificare ogni dettaglio, controllando la legalità dell’operazione, dall’impostazione generale fino alla minima clausola. Nel sistema anglosassone, invece, l’intermediario può anche fornire informazioni approssimative, se non false, col solo fine di aumentare le vendite. È così che il mercato immobiliare si è drogato e si è creata la “bolla”, con le conseguenze che tutti sappiamo». Il notaio, per definizione, è legato alla società e ne
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Giancarlo Laurini è presidente onorario dell’Unione internazionale del notariato latino
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Giancarlo Laurini • Il valore dell’atto
In ogni riforma bisogna avere presente il rapporto costi-benefici. Un intervento i cui effetti negativi sono superiori ai benefici che ne ricava il cittadino non è un miglioramento, ma un vulnus al sistema C&P • GIUSTIZIA
segue i cambiamenti. Quali aspetti della professione andrebbero rinnovati? «Va sottolineato, prima di tutto, che la funzione pubblica ci viene delegata dallo Stato e, in quanto tale, come notai non ne disponiamo, né possiamo ovviamente stabilire dove e in che termini sia necessaria. Detto ciò, i modi di esercizio della professione possono certo essere modificati. Per quanto riguarda l’organizzazione del territorio, ad esempio, si può pensare all’accorpamento di alcuni distretti troppo piccoli, per garantire una maggiore possibilità di scelta per il cittadino. Come sta avvenendo per gli avvocati, andrebbero anche ripristinate, a mio avviso, le tariffe inderogabili. E questo come garanzia non per il notaio, ma per il cittadino, che deve sapere quando costa un servizio a Napoli come a Milano». Semplificazioni e liberalizzazioni: un capitolo delicato. Qual è la sua opinione a riguardo? «Non c’è dubbio che semplificare le procedure, disboscando la selva enorme di leggi e regolamenti esistenti, sia necessario. In ogni riforma, però, bisogna sempre avere presente il rapporto costi-benefici. Un intervento i cui effetti negativi sono superiori ai benefici che ne ricava il cittadino non va attuato, perchè non è un miglioramento, ma un vulnus al sistema. La cessione delle quote Srl, ad esempio, che permette di andare dal commercialista anziché dal notaio, con certe complicazioni informatiche, pagando le stesse somme ma senza la garanzia assoluta della legittimità dell’atto che il notaio per vocazione e compito deve assicurare, è davvero una semplificazione? Ecco le domande che bisogna farsi». 195
Edifici militari • Guido Crosetto
Da caserme a strutture di utilità sociale Caserme, arsenali, forti. Il patrimonio del ministero della Difesa è immenso. Ora si è deciso di metterne in vendita una parte. Come spiega il sottosegretario Guido Crosetto «per ridare fiato all’economia e creare nuovi posti di lavoro» di Giusi Brega
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l patrimonio immobiliare del ministero della Difesa italiano comprende una vastissima tipologia di edifici, sparsi su tutto il territorio nazionale. Caserme, depositi, forti e arsenali. Molti di questi risalgono al periodo della seconda guerra mondiale se non addirittura a epoche precedenti. Dal punto di vista funzionale, buona parte di queste infrastrutture non è più in linea con le attuali esigenze della Difesa. «È stato già avviato il processo di individuazione di tutti i possedimenti demaniali che, in relazione alle loro caratteristiche strutturali, di posizione e di possibile utilizzazione commerciale potrebbero essere posti sul mercato» conferma il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto facendo riferimento in particolare alle costruzioni riconvertibili ad usi civili in specifici settori di interesse, quali quello propriamente residenziale o professionale, quello industriale comprendente depositi e arsenali, e quello turistico-alberghiero. Proprio per annunciare questa iniziativa, il ministero della Difesa italiano ha partecipato al salone mondiale Mipim 2009 di Cannes, presentando un considerevole repertorio fotografico dei siti di cui già si prospetta l’alienazione e, quindi, la conseguente immissione sul mercato immobiliare. Una volta che il patrimonio immobiliare del ministero della Difesa sarà reso accessibile alla fruizione dell’imprenditoria del settore, si rivelerà una novità di assoluto interesse poiché «la maggior parte degli insediamenti militari nel nostro Paese rappresentano un valore storico, architettonico e paesaggistico di inestimabile valore». A quanto ammonta il patrimonio immobiliare del ministero della Difesa? «Il patrimonio del ministero della Difesa è immenso e assolutamente variegato.Va, infatti, da siti di interesse storico e culturale, ai fari, ai poligoni militari, a strutture poste nel centro delle città. Per comprendere la vastità di questo patrimonio è sufficiente che ci si soffermi a pensare agli edifici e alle strutture della Difesa presenti nei propri comuni e che li moltiplichi, anche genericamente, per ogni comune italiano. Il dato che balzerà subito nelle menti di ciascuno è di una straordinaria molteplicità di beni che, laddove non più di interesse specifico, possono essere destinati alle più disparate funzioni, incluse quelle sociali, in cambio di nuove risorse da destinare all’ammodernamento di quelle strutture che permangono alla Difesa o alla creazione di nuovi alloggi per il personale». Quali sono le iniziative che il ministero ha intrapreso per valorizzare e razionalizzare il proprio patrimonio immobiliare? «La Difesa grazie al disposto di cui all’articolo 14 bis della legge 133/2008, sta “tesorizzando” i propri beni procedendo
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Guido Crosetto • Edifici militari Nelle foto, dall’alto, ex caserma capitano Vecchi a Cremona; la Caserma La Marmora a Torino e la ex Caserma della Guardia di Finanza località Cave del Predil, Tarvisio
Il patrimonio della Difesa è immenso e variegato. Una molteplicità di beni che, laddove non più di interesse specifico, possono essere destinati a diverse funzioni C&P • GIUSTIZIA
direttamente a dismettere quelli ritenuti in esubero e non più funzionali alle proprie esigenze e coinvolgendo in questa operazione, che definirei epocale, gli enti locali. Questi ultimi hanno recepito con immediatezza la bontà dell’operazione e quotidianamente si rivolgono al sottoscritto e agli uffici competenti al fine di valutare l’ipotesi di accordi e programmi di intesa volti all’acquisizione, da parte di terzi, dei beni non più di interesse della Difesa. Si tratta di un’opportunità straordinaria per ridare fiato all’economia e creare, laddove possibile, anche nuovi posti di lavoro». In che modo sarà gestita la vendita? «La vendita sarà gestita dagli organi tecnici del ministero, Geniodife, previa la valorizzazione dei beni e il cambio di destinazione d’uso da parte dei comuni interessati, che in forza delle normative vigenti avranno diritto al 15% delle plusvalenze ricavate dall’alienazione dei beni. Il vantaggio dall’effettuazione di queste operazioni per ogni parte interessata è assolutamente evidente: la Difesa aliena un bene non più di interesse e che avrebbe continuato a costituire una spesa inutile, l’acquirente entra in possesso di un bene che gli interessa ed i comuni oltre a ricavarne un 15% dall’alienazione hanno altresì il vantaggio di avere nel proprio territorio un sito finalmente utilizzato in luogo di un sito abbandonato e vetusto». Si parla anche dell’eventualità di pervenire a un federalismo patrimoniale che, se dovesse passare, riguarderebbe anche il patrimonio della Difesa. Quali sono gli eventuali vantaggi o svantaggi derivanti da questa operazione per i cittadini e come vede il ministero tale operazione? «Sono sempre stato contrario alla “dote” come principio, ma ancor di più ai regali tra istituzioni. Per cui non vedo, in un Paese come l’Italia, con un debito pubblico a livelli record, come possa immaginarsi di trasferire gratuitamente, sia pure ad altre amministrazioni pubbliche, l’unica risorsa disponibile in grado di ridimensionare il deficit. A meno che, insieme al patrimonio, si decida di ripartire in proporzione anche una quota di debito. Non è infatti possibile pensare ad uno Stato che si tiene tutti i debiti e trasferisce tutto il patrimonio. Sarebbe un bell’esempio di bancarotta fraudolenta. La Difesa il suo contributo al risanamento dei conti pubblici l’ha già versato, in anticipo. Proprio lo scorso dicembre è stato siglato con l’Agenzia del demanio l’ultimo dei tre accordi previsti dalla Finanziaria 2007 con il quale abbiamo ceduto gli ultimi 40 immobili, per un totale di diverse centinaia ed un valore di mercato di miliardi di euro, senza che il Dicastero ne abbia tratto alcun vantaggio». 197
Appalti • Tecnica e legislazione
La delicata mediazione tra Pa e imprese Una professione “di nicchia” nata dall’integrazione tra una formazione tecnica e una forte passione per il diritto. È quella del consulente legislativo tra impresa e Pubblica amministrazione in materia di pubblici appalti. Ne parla Franco Cotza convinto che “in questo settore la specializzazione sia fondamentale” di Lorenza Pandolfi
Franco Cotza, è consulente in materia tecnico-legislativa nei rapporti tra imprese e Pa. Relatore in seminari, docente nella disciplina per la propria categoria professionale, opera su tutto il territorio nazionale; dal 1994 è consulente del Tribunale di Cagliari anche in tema di appalti studio.frcotza@tiscali.it
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i definisce “l’ultimo tassello prima della lite”. E, in effetti, il suo ruolo, spesso, è proprio quello di evitare che si instauri una controversia davanti a un giudice, favorendo la conciliazione tra le parti attraverso il ricorso agli strumenti transattivi previsti dalla legge. Franco Cotza, geometra con una forte passione per il diritto, dal 1983, si occupa di fornire consulenza alle imprese, trovando una soluzione alle problematiche che possono insorgere nell’esecuzione di un contratto d’appalto pubblico. Una professione di nicchia, visto che sono ben pochi i “tecnici” che scelgono di specializzarsi in questa branca del diritto. Come si diventa consulente nei rapporti tra imprese e Pubblica amministrazione? «La scelta nasce dalla fusione tra una passione per le materie giuridiche trasferitami dal docente scolastico, coltivata nel tempo con studio costante e anni di vita d’impresa la cui quotidianità imponeva la ricerca costante di risposte e soluzioni vincenti. Spesso si tende a limitare l’ambito dell’attività professionale alla progettazione edile, al catasto, al settore topografico ed estimativo. Ma non è così. C’è tutta una parte della formazione scolastica che pone le basi per cimentarsi su più specializzazioni, come quella legata allo studio del diritto tecnico». Quindi la sua è una figura professionale rara. «Siamo in pochi a occuparci di questa materia, ma le potenzialità sono enormi. Il tessuto imprenditoriale nel settore delle costruzioni è molto diffuso sul territorio nazionale con imprese più o meno strutturate, ma che necessitano di una consulenza
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Tecnica e legislazione • Appalti
Credo che la normativa in materia sia abbastanza adeguata anche se ancora troppo garantista verso la Pa specialistica per superare gli ostacoli col ricorso all’applicazione delle norme di settore e quindi “in corso d’opera”. Uno dei vantaggi di operare in quest’ambito è dato dal poter vivere l’incarico, seppur nell’interesse dell’impresa, da una posizione di terzietà, che permette di essere liberi di sviluppare tutto ciò di cui si è convinti e non ciò che conviene. Questo è possibile perché lavorare in questo campo, obbliga al rispetto di norme e regolamenti che poco lasciano a libere interpretazioni. Il problema è la scarsa diffusione di una cultura in seno all’imprenditoria di settore che preveda il ricorso “interlocutorio” a un tecnico specialista in grado di cercare la soluzione attraverso l’uso delle normative in vigore anziché di rivolgersi al giudice». Quali sono le problematiche che evidenziano le imprese? «Rallentamenti dovuti alla Pa causati o da imprevisioni progettuali, come l’allungamento dei termini di esecuzione, o per mutate condizioni fra l’approvazione del progetto e l’avvio dei lavori. Ma anche le negligenze, in buona fede, che si ripercuotono sull’esecuzione regolare dell’opera e della sua economicità. La ricerca della soluzione deve partire dallo studio del progetto, affinché fin dalla fase precontrattuale le anomalie possano essere rettificate. Il vigente ordinamento contiene una serie di opportunità di indirizzo giuridico-tecnico che, se ben utilizzate, permettono di rimediare alle imprevisioni. L’approccio è quindi di tipo normativo. È tuttavia fondamentale una formazione costante e continua, come lo studio della giurisprudenza di settore, basilare anche per conoscere l’indirizzo dei giudicanti nel merito della materia. Chi trascura resta indietro». C&P • GIUSTIZIA
Come giudica la disciplina in materia di appalti? «In generale buona, anche se ancora troppo garantista verso la Pa. Fino al 1994 la materia era disciplinata dal Rd 350/1895 e dal Dpr 1063/1062, Capitolato Generale d’Appalto per le opere di competenza del ministero dei Lavori Pubblici, che hanno permesso per quasi un secolo, di eseguire le opere pubbliche del Paese. La Legge Merloni del 94 fino all’attuale Dl 163/2006 non ha modificato la parte esecutiva, assorbendo di fatto le stesse norme anche nel nuovo testo, ma hanno inserito una serie di elementi di maggior contrasto alla criminalità organizzata in materia di trasparenza nella partecipazione alle gare e ha introdotto strumenti innovativi sui progetti a finanza, raggruppamenti fra professionisti ed altro. Ritengo molto utile l’introduzione di norme che hanno individuato un responsabile unico per l’appalto, deputato alla validazione del progetto». Qual è l’obiettivo delle imprese che richiedono consulenza? «Evitare un pregiudizio economico-finanziario, ma anche ottenere un risarcimento per danni. Le imprese cercano di salvaguardare il proprio buon nome: oggi, infatti, gli inadempimenti contrattuali comportano una segnalazione all’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici che si traduce in un danno di immagine, spesso immeritato, che è causa di “non gradimento” da parte della Pa che può negare la partecipazione alle gare. Il rischio di erodere il beneficio dell’attività d’impresa è elevato, spesso causato da sottovalutazione delle norme ecco perché queste tematiche vanno affrontate con competenza. I risultati poi fanno il resto». 199
Appalti • Amministrativo
La priorità è semplificare e velocizzare Più certezza su tempistica e costi nei lavori pubblici. E una maggiore garanzia di trasparenza nel rapporto tra imprenditori e Pa, specie in tema di appalti nel campo dell’edilizia. In questa direzione oggi vanno gli sforzi del governo come testimonia l’approvazione del Codice delle autonomie. A fare il punto in merito è Fabio D’Aniello di Mary Zai
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a carenza in Italia di un diritto “statico” conferisce una certa incertezza generale nei rapporti giuridici, che si percepisce soprattutto nel rapporto con la Pubblica amministrazione, specialmente nei settori trainanti dell’economia, quali l’edilizia e gli appalti di servizi e lavori pubblici». Una considerazione questa che l’avvocato Fabio D’Aniello formula con cognizione di causa, visto che da anni si occupa di consulenza legale nell’ambito del diritto amministrativo. «Nel corso dei lavori parlamentari – prosegue il professionista – negli ultimi anni è emersa con sempre maggiore evidenza la necessità di assicurare ai suddetti settori certezza nella tempistica di realizzazione e prevedibilità dei costi». Sebbene il legislatore abbia intrapreso la strada di contenere i rapporti giuridici della Pa con le imprese e con i privati in linee guida operative raccolte in Codici per argomento e riferibili a ogni singolo settore, è, tuttavia, necessario che si intraprenda l’ulteriore strada di risolvere la mancanza di certezza delle regole. E, secondo l’avvocato «questo vale soprattutto per i settori nei quali maggiormente si ha la necessità, nel breve periodo, di regole senza margine di interpretazione, ferma restando la possibilità al termine della verifica di vagliare la legittimità delle norme prese a fondamento, sia attraverso l’interpretazione giurisprudenziale, sia amministrativa». Quali sono le novità legislative più rilevanti al fine di garantire maggiore trasparenza e semplificazione nei rapporti ai vari livelli tra i soggetti dello Stato? «La novità più rilevante è il “Codice delle autonomie” ap-
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Amministrativo • Appalti
CONSULENZE GLOBALI o studio D’Aniello e Associati rappresenta un nuovo modo di esercitare la consulenza legale nel settore del diritto amministrativo nato dall’idea comune di sintonizzare e fondere con lo studio di consulenza di urbanistica ambientale del professor ingegnere Almerico Realfonzo le esperienze maturate in settori che interagiscono con sempre più frequenza nella vita quotidiana sia nell’approfondimento scientifico che nella pratica, credendo nella figura di centralità dell’attività svolta dallo studio come partner del cliente, in grado di condividerne i progetti, con una consulenza globale nel settore personalizzata e di alto profilo garantita dalla esperienza, professionalità e passione dei fondatori che vi partecipano.
L’ avvocato Fabio D’Aniello è founder partner dello Studio Legale D’Aniello e Associati. Qui nel suo studio di Napoli con alcuni collaboratori segreteria@danielloeassociati.it
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provato dal governo con cui si individuano le funzioni fondamentali di Province e Comuni e che semplifica l'ordinamento regionale e degli enti locali e delega il governo in materia di trasferimento di funzioni amministrative, di Carta delle autonomie locali, di razionalizzazione delle Province e degli uffici territoriali del governo, di riordino di enti e organismi decentrati. Non vi è dubbio che tale semplificazione normativa rappresenti lo strumento volto sia a identificare definitivamente le funzioni delle autonomie locali, stabilendo i responsabili e i progetti, sia a eliminare migliaia di enti inutili. Gli effetti di tale rivoluzione dovrebbero a breve dar vita a un consistente risparmio di spese per la macchina pubblica e al complessivo snellimento delle strutture amministrative. L'approvazione di questo provvedimento razionalizzerà il mondo degli enti territoriali, proseguendo così nel percorso riformista avviato con l’approvazione della legge sul federalismo fiscale». Quali le maggiori problematiche che si avvertono oggi in materia di appalti pubblici? «In questo momento le maggiori difficoltà si registrano dall’imposizione di una copertura finanziaria per procedere all’esecuzione di qualsiasi progetto cantierabile con le Pa. Il problema maggiormente sentito sia dalle imprese che dai privati, soprattutto nelle regioni del Centro e del Sud è di ottenere il riconoscimento economico delle prestazioni svolte per le Pa. Se prima della crisi finanziaria che stiamo vivendo questo problema era meno avvertito per l’aiuto che era dato dalle banche, oggi con la riduzione di tali aiuti, chi riceve il C&P • GIUSTIZIA
maggior danno sono sicuramente le piccole e medie realtà imprenditoriali su cui si fonda il sistema economico del nostro Paese. Ciò premesso, la complessità delle procedure di gara e l’aumento costante e regolare dei ribassi medi percentuali nelle gare, cinque punti in più in sei anni, dal 14,7% del 2002 al 19,8% del 2008, sicuramente rappresentano ostacoli sia per quanto riguarda la libera concorrenza tra le imprese e sia relativamente alla qualità dell’esecuzione di quanto appaltato». Piani di sviluppo, riqualificazione ambientale, paesistica e del territorio, sono settori che comportano la partecipazione di una serie di soggetti professionali diversi. Come si configura contrattualmente il rapporto tra i soggetti coinvolti in tutti questi casi? «La figura esterna che l’ordinamento da una parte e il mercato dall’altra richiedono tra i soggetti coinvolti nelle prestazioni di servizio per detti casi, è sostanzialmente quello della costituzione di un’associazione temporanea tra imprese e professionisti. A tal riguardo, ritengo che, onde raggiungere elevati standard di qualità su singoli progetti, i professionisti specialisti in attività affini e le imprese debbano interfacciarsi come modus operandi e non per la partecipazione per singole commesse, tendendo a eliminare quel modus vivendi improntato alla fugacità dell’interscambio culturale. Un principio questo che può contribuire alla nascita e allo sviluppo di una nuova visione in materia, che consiste in nuovo modo di esercitare la consulenza legale nel campo del diritto amministrativo». 201
Dagli Ordini • Lorenzo Locatelli
Terra di giuristi e avvocati Una lunga tradizione giuridica, molti “nomi eccellenti” e uno scenario professionale vivace e articolato. Aperto ai nuovi mercati, ma anche alla voce del territorio. Tutto questo fa del Foro di Padova il più importante del Triveneto. La parola a Lorenzo Locatelli, presidente dell’Ordine forense locale di Agata Bandini
Lorenzo Locatelli, presidente dell’Ordine degli avvocati di Padova. Nella pagina accanto, gli avvocati padovani Niccolò Ghedini e Piero Longo
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riveneto, terra di imprenditori e fiore all’occhiello del sistema produttivo italiano. Ma anche terra di grandi giuristi e centro di un’attività legale vivace e di altissimo livello. Due aspetti che, evidentemente, vanno letti in collegamento. È indubbio, infatti, che la presenza di quel tessuto di Pmi che ha reso emblematico il modello Nord Est abbia funzionato da formidabile humus per una tale fioritura di eccellenze forensi sul territorio. A partire da Padova, il cui Foro conta il maggior numero di iscritti dell’intera area del Triveneto. «Padova è una città particolare – spiega Lorenzo Locatelli presidente dell’Ordine forense locale – che guarda ai centri maggiori ma ancora riposa su caratteristiche legate alla tradizione, per quanto riguarda l’approccio alla tutela legale. La media imprenditoria, fulcro del sistema economico della zona, si rivolge volentieri a uno studio legale che si dimostri non distante dalle proprie dimensioni». A questo si aggiunge senza dubbio la garanzia rappresentata dalla presenza di una forte tradizione giuridica cittadina, che per molti clienti rappresenta un vantaggio considerevole rispetto al modello delle multinazionali del diritto. «Il passato incide molto su Padova – conferma Locatelli –. L’Università negli ultimi anni si è proposta in una chiave più moderna. Personalmente – aggiunge – sono certo che la media di preparazione degli avvocati di Padova sia tra le più alte d’Europa e non è solo un fatto di provenienza qualificata, ma anche del metodo tradizionalmente seguito nell’ambito professionale. La difficoltà, oggi, è mantenere questo metodo con i numeri che circolano». Boutique legali e law firm. Qual è il modello vincente sul territorio? «Non esistono solo boutique legali e law firm, quantomeno intese nel senso anglosassone. Mi sembra invece si stia diffondendo uno studio intermedio, che boutique non è, ma non raggiunge nemmeno i livelli di una law firm, e che presuppone un’organizzazione interna e un investimento di livello elevato. Il problema dei costi credo induca molti a riunire le forze in un unico sistema ma questo non significa che, automaticamente, si sia in presenza di un’organizzazione tra professionisti quanto, piuttosto, di un raggruppamento di professionisti, che è cosa diversa». La città di Padova può vantare una storia importante dal punto di vista legale. Quali sono stati i punti di forza della giurisprudenza cittadina? «Giurisprudenza e dottrina del diritto a Padova hanno avuto vita prolifica. Il merito è in gran parte della grande tradizione universitaria, e lo dice uno che è di scuola felsinea, e dell’aria di indipendenza e innovazione che si è sempre respirata. Il motto stesso dell’Università, Universa Universis Patavina Libertas, evidenzia la particolare libertà di pensiero che caratterizzava e tuttora caratterizza l’ambiente non solo universitario ma anche forense. Mi piace ricordare che Padova fu l’unica sede in Italia, dopo la controriforma, a restare aperta a studenti e docenti protestanti. E credo che di questa vocazione liberale e laica sia rimasto molto nella pratica e nella cultura forense locale». Quali sono invece le principali criticità? «È indubbio che con l’arrivo degli studi stranieri, le fette di
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Lorenzo Locatelli • Dagli Ordini
UN NODO STRATEGICO PER IL MID MARKET ono quattro le principali “piazze” strategiche per il mercato legale in Italia: l’asse Milano-Roma, prima di tutto. Seguono Torino, Bologna e Padova. La città veneta, in particolare, negli ultimi anni si è imposta come un centro forense estremamente vitale, vera e propria fucina di menti giuridiche di prim’ordine – da Niccolò Ghedini a Piero Longo – nonché scenario di azione di alcune delle più influenti firme legali italiane nel segmento del mid market. Senza contare poi la presenza di un’università tra le più prestigiose del Paese,
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che ha proprio nella facoltà di Giurisprudenza uno dei suoi fiori all’occhiello. Tutto questo, insieme alla vocazione produttiva esemplare del Triveneto e all’eccellenza del suo tessuto imprenditoriale, ha prodotto uno scenario professionale del tutto peculiare, dove le potenzialità aperte dall’espandersi del mid market hanno attratto con la stessa forza studi di medie dimensioni e grandi firme nazionali e internazionali. Mostrando come, anche nel settore legale, la formula del “pensare globale e agire locale” può essere vincente.
mercato si conquistano con il marketing. Ma per un uso corretto ed efficace della comunicazione in ambito legale occorre ancora compiere alcuni passi. Prima di tutto puntare sulla specializzazione, che sta alla base della professionalità e permette di imprimere il proprio nome in un particolare mercato. Il problema, poi, è mantenere quanto si è conquistato. Il rapporto con le grandi aziende, ad esempio, non è semplice e le loro pretese sono assai problematiche da soddisfare senza un’organizzazione complessa. Occorre allora capire che i clienti esigono sempre di più e vogliono studi legali che viaggiano alla loro stessa andatura». All’evoluzione dell’offerta di servizi legali corrisponde anche un’evoluzione nella domanda sul territorio? «L’assistito è sempre più severo e oggi ha l’esigenza, assolutamente corretta, di voler esser cosciente e informato di quanto decide il professionista e delle possibili conseguenze». Dal punto di vista formativo, l’offerta di Padova appare adeguata ai cambiamenti dello scenario sociale e culturale? «Direi che sotto questo aspetto possiamo dirci soddisfatti. Lo scorso anno, con l’aiuto sempre presente delle associazioni locali, particolarmente vivaci, il Consiglio ha organizzato circa 80 eventi formativi gratuiti: due eventi la settimana, se si escludono i periodi feriali. Non è poco per questa città. Se, poi, vogliamo discutere del metodo che oggi impone la legge, forse è troppo generico e ancora poco produttivo: occorreva, però, assolutamente iniziare». 203
Dagli Ordini • Francesco Caia
Un welfare a sostegno dei giovani avvocati Un nuovo indirizzo della Cassa forense all’insegna del welfare. Perché la Cassa di previdenza non deve pensare solo a erogare pensioni. Soprattutto in un territorio difficile come quello del Napoletano. Questa la proposta di Francesco Caia, presidente dell’Oda di Napoli di Marilena Spataro
In alto, Francesco Caia, presidente dell’Ordine degli avvocati di Napoli e la sede del Tribunale di Napoli al Centro direzionale
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iberalizzazione delle professioni e crisi economica. Sono questi i due fattori maggiormente responsabili delle difficoltà in cui oggi versa l’avvocatura. «Le liberalizzazioni volute dalla legge Bersani hanno inciso negativamente su una categoria come la nostra già strutturalmente debole, creando situazioni di grande disagio economico soprattutto tra i giovani avvocati e in qualche caso anche tra professionisti anziani», spiega il presidente dell’Ordine degli avvocati di Napoli, Francesco Caia. Il presidente sottolinea come con quella legge siano stati favoriti i gruppi industriali, banche e assicurazioni in testa, che hanno approfittato della normativa per abbassare i costi dei compensi professionali, «ridottisi spesso – aggiunge – sotto la soglia del decoro». Su questa situazione quanto ha inciso la crisi? «Sicuramente l’ha aggravata intervenendo sulle criticità esistenti. A essere maggiormente colpiti sono stati gli avvocati del Sud, dove, e parlo nello specifico della Campania e soprattutto di Napoli, esiste una realtà economica endemicamente critica, e dove le imprese di medie e grandi dimensioni sono pressoché assenti mentre quelle piccole sono di fatto in perenne difficoltà. Al contrario il numero degli avvocati è veramente elevato, molto più che nelle regioni del Nord, il che contribuisce ad accentuare il disagio della nostra categoria più che altrove». Quando chiedete l’intervento dello Stato a favore della classe forense a cosa pensate? «Innanzitutto a una maggiore qualificazione professionale con
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Francesco Caia • Dagli Ordini
Oggi ad aderire alla Cassa sono solo la metà circa degli iscritti all’Albo: soprattutto i giovani colleghi non ce la fanno, visto che molto spesso i loro guadagni sono molto esigui relativo aumento delle attribuzioni delle nostre competenze, come aveva tentato di fare un disegno di legge di due anni fa, che prevedeva l’attribuzione agli avvocati delle autentiche della scritture private sui trasferimenti di beni immobiliari. Personalmente sono favorevole al fatto che i costi delle prestazioni professionali siano ragionevoli, ma senza intaccare la dignità professionale o ostacolare l’ingresso sul mercato dei giovani professionisti. Bisogna intervenire anche rispetto alla nostra Cassa di previdenza. In tal caso dobbiamo essere noi avvocati ad attrezzarci al meglio per affrontare la crisi della categoria. Accade, infatti, che oggi ad aderire alla Cassa siano solo la metà circa degli iscritti all’Albo: sono soprattutto i giovani colleghi che non ce la fanno, visto che molto spesso i loro guadagni sono molto esigui. La Cassa di previdenza non deve, infatti, pensare solo a erogare pensioni ma anche a creare un welfare per l’avvocatura, specialmente, in questo momento, a favore degli avvocati più giovani. Il nostri grido d’allarme riguarda la necessità di dare spazio economico ai propri iscritti e in tal senso non basta solo la riforma». Per affrontare la situazione di crisi della categoria forense a Napoli, in Campania e più in generale al Sud, occorre intervenire con provvedimenti più incisivi e magari straordinari? «Penso che qui sia necessario un intervento di carattere generale, che quindi è anche e soprattutto politico. Noi abbiamo bisogno del recupero ordinario della normalità uscendo da quella situazione di perenne emergenza che protraendosi nel tempo rischia di diventare una situazione di C&P • GIUSTIZIA
vero e proprio allarme sociale. Come avvocatura ci siamo mossi in tale direzione chiedendo in questi anni di svolgere la nostra professione in maniera, appunto, normale. Un dato che in altri territori, specie al Nord, è stato raggiunto, ma che da noi si connota come eccezionale. Nello specifico come categoria rivendichiamo una regolare quanto efficiente giurisdizione, un processo celere e un maggiore impegno economico a favore della giustizia. Favorire questo significa favorire il corretto svolgimento della nostra professione con ricadute positive sia per il cittadino sia per l’avvocatura, che ne trarrebbe benefici anche a livello economico, avendo la possibilità di normalizzare il rapporto con la propria clientela». Quali, in sintesi, le misure risolutive della crisi dell’avvocatura? «L’elenco è lungo. In sintesi direi che all’immediata riforma dell’ordinamento professionale, al ripristino dei minimi tariffari che pure creerebbe una barriera a tutela dei giovani avvocati, all’aumento delle competenze professionali perché rispetto all’attuale numero degli avvocati ciò orami appare indispensabile, ai provvedimenti di welfare interni alla categoria, su cui mi sono già soffermato, vanno aggiunti una richiesta di agevolazioni fiscali e l’opportunità di essere presenti al tavolo delle trattative con sindacati e imprese. Visto che come numero di iscritti ormai costituiamo una realtà sociale particolarmente importante, non meno dei lavoratori dipendenti, ritengo sia un nostro diritto far sentire la nostra voce dove si discute di politiche del lavoro». 205
© Foto G.Izzo
Formazione • Gestire il cambiamento
Formazione è sviluppo Prima ancora delle leggi e delle riforme del sistema è dalla formazione delle nuove generazioni e delle diverse categorie civili che deve partire il rinascimento culturale della nostra giustizia. Ne è convinto Bruno Larosa, che fa della formazione una componente essenziale della professione di penalista di Aldo Mosca
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ullo sviluppo della formazione si struttura il futuro della società civile. In particolare, in Italia, è la giustizia stessa a trovarsi sul banco degli imputati rappresentando un sistema che, sotto molteplici punti di vista, non risponde sufficientemente alle necessità della cittadinanza. La formazione, appunto, è la chiave per concretizzare una nuova generazione di operatori pronti ad affrontare e gestire il cambiamento auspicato. «Mi piace trasferire l’esperienza maturata nelle aule di giustizia in quelle universitarie» spiega l’avvocato Bruno Larosa, esperto in diritto penale. Autore della parte sul diritto processuale penale del volume “Elementi di diritto per le professioni sanitarie”, Larosa è professore incaricato di diritto penale presso le università La Sapienza e Tor Vergata di Roma. Non solo. L’impegno formativo si rivolge anche a una categoria che, mai come in questi tempi, necessita di informazioni e orientamento su normative e procedure giudiziali, le imprese. «Seguo le imprese che desiderano formare i propri quadri e dipendenti soprattutto in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro». Il professionista, fondatore e direttore del periodico di giustizia AntilogiE e dirigente della Camera Penale di Napoli, si rivolge quindi a tutte le componenti della società, convinto che su queste tematiche non debbano aggiornarsi unicamente i professionisti del settore. Lei ha dunque creato un vero e proprio punto di riferimento per la formazione e l’aggiornamento. «Mi confronto con imprenditori, professionisti interessati ai profili penalistici del diritto del lavoro, dei reati contro la Pubblica amministrazione e delle responsabilità mediche. Anche molti
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Gestire il cambiamento • Formazione
A sinistra, l’avvocato e professore Bruno Larosa. Oltre che a esercitare nei suoi studi di Napoli e Roma, è anche presidente dell’Organismo di vigilanza dell’Atalntis World Giocolegale limited info@studiolegalelarosa.com www.studiolegalelarosa.com
La professione forense deve tener conto dei grandi cambiamenti del sistema giudiziario e, prima di tutto, della società in cui viviamo giornalisti cercano la mia consulenza in particolare su temi quali il delitto di diffamazione a mezzo stampa e radiotelevisivo». Su quali punti, soprattutto, è richiesta la consulenza? «Sicuramente quello dei reati colposi commessi con omissione che causano gravi danni, dalla lesione personale alla morte. L’operaio infortunato perché il datore di lavoro non lo ha dotato del dispositivo di sicurezza, il paziente che si aggrava per la mancata diagnosi o per l’inerzia dell’equipe medica, il passeggero che si ferisce perché il macchinista non ha rispettato un segnale solo per citarne alcuni». E la formazione in tali casi risulta strategica? «Sì, anche perché occorre coniugare competenze giuridiche con altre prettamente tecniche. In queste situazioni la dinamica delle cause che hanno deciso l’evento assieme ai profili delle condotte tenute da tutti i protagonisti, alcuni posti evidentemente a garanzia del bene leso, sono accertamenti che richiedono grande preparazione, soprattutto per ciò che concerne la salute e la sicurezza dei lavoratori, la cui normativa è complessa e in evoluzione». In cosa la riforma della professione forense ha dei punti di connessione con quella, più generale, della giustizia? «La mia categoria deve tenere conto dei grandi cambiamenti del sistema giudiziario e, prima di tutto, della società in cui viviamo. Purtroppo, però, si fa ben poco per adeguarci dal punto di vista normativo. Per esempio ritengo irrinunciabile la separazione delle carriere, non solo tra i magistrati, ma anche tra l’avvocato penalista e civilista. Al tempo stesso occorre una gerarchizzazione garante della competenza nei processi più difficili e pericolosi, per C&P • GIUSTIZIA
le conseguenze che ne possono derivare». Riformando il codice di procedura penale quali obiettivi si perseguono? «Se facciamo leva sulla realizzazione di un sistema giusto non è sulla procedura penale che bisogna intervenire. Qui servirebbe un nuovo impulso al corso riformatore, realizzando un vero processo di parti in cui il giudice sia davvero imparziale. La criticità deriva, piuttosto, dalla mancanza di una seria riflessione sulla pena». A cosa si riferisce? «La pena, in Italia, è ancora legata alle antiche tradizioni, va dunque culturalmente ripensata alla luce delle nuove condizioni sociali e filosofiche. Dobbiamo inoltre staccarci dall’isterismo panpenalistico del legislatore, smisurato nella produzione legislativa, attribuendo al sistema un compito di supplenza rispetto ad altri impianti sanzionatori e finendo così con lo svilirlo». Quali sono le principali urgenze su cui dovrebbe concentrarsi l’agenda riformatrice? «In Italia vi sono ancora troppe ingiustizie. Sono inaccettabili le difficoltà che un cittadino incontra per far valere un proprio diritto. Intollerabile è un sistema di tutela dei diritti che genera disuguaglianza tra gli individui. Per non parlare del costo complessivo patito dall’indagato o dall’imputato in un processo prima della sentenza e quello sopportato dal condannato quando esegue la pena in strutture inadeguate, molte volte anche al di fuori delle garanzie internazionali. Una patologia che le masse non avvertono, ma insidiosa al punto da contagiare gli altri settori della società». 207
Formazione • Dopo l’università
mutamenti avvenuti in campo sociale ed economico in questo ultimo decennio hanno determinato la necessità di un continuo aggiornamento in tutti gli ambiti professionali, avvocatura compresa. In questo mutato contesto assume primaria importanza la formazione, anche nell’ambito della professione forense. «Il complicato mercato del lavoro richiede che il giovane avvocato sia fortemente sostenuto nella difficile navigazione che dalla pratica forense lo traghetta all'effettivo esercizio della professione. La formazione nella realtà più che contribuire a creare opportunità lavorative rende i giovani pronti a coprire le richieste di nuovi profili lavorativi che emergono con la sempre maggiore richiesta di competenze professionali qualificate» afferma l’avvocato Manuela Militerni, che anni fa ha appunto fondato l’MC Militerni Istituto degli Studi Giuridici di Napoli. Quanto conta oggi la formazione nell’esercizio della professione forense e quanto questa contribuisce a creare opportunità lavorative per i giovani avvocati? «I cambiamenti socio-culturali e tecnologici che investono in misura sempre maggiore la società, e in particolar modo il mondo professionale, richiedono la comprensione degli stessi da parte del neo laureato o, in generale, dell’operatore di diritto per determinare il proprio percorso lavorativo selezionando gli strumenti necessari al suo raggiungimento. Le scuole di formazione post-universitarie possono coadiuvare il giovane nella scoperta e nella valorizzazione delle proprie caratteristiche e inclinazioni, rendendolo consapevole delle possibili strade percorribili in relazione agli sbocchi lavorativi attualmente praticabili. L’incapacità dei testi universitari e dei codici annotati con la giurisprudenza a garantire all’utente una preparazione professionale che vada oltre la semplice formazione di un substrato conoscitivo del diritto, l’acquisizione di una capacità critico-argomentativa e dialettica di ampio respiro, frutto di una preparazione specifica, accurata e non riconducibile al semplice studio dei libri di testo, sono di fatto le condizioni per la gestione e la risoluzione di qualsivoglia fattispecie giuridica». Come si articolano in concreto e a quali professionalità guardano i corsi tenuti presso MC Militerni Istituto di Studi Giuridici di Napoli? «MC Militerni Istituto degli Studi Giuridici nasce come centro di formazione, di ricerca e approfondimento nel settore giuridico e non solo. Da anni offriamo ai giovani laureati in discipline giuridiche corsi di preparazione al concorso di uditore giudiziario e corsi ai praticanti avvocati che devono sostenere l’esame di abilitazione all’esercizio della professione forense, nonché corsi per la preparazione ai pubblici concorsi sia di primo che di secondo livello. L’Istituto opera nelle vesti strutturali di centro polifunzionale in cui la pluralità dei servizi offerti, dalla consulenza alla formazione professionale, garantiscono la predisposizione di un sistema educativo e cognitivo specialistico improntato sulla combinazione del fattore umano con quello tecnologico e con quello infrastrutturale, per garantire la piena soddisfazione dei bisogni compositi di una domanda sempre più varia ed esigente».
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Il mercato richiede competenza Aiutare i giovani laureati in materie giuridiche a scoprire le proprie inclinazioni professionali. Rendendoli consapevoli delle strade percorribili in campo lavorativo. Un compito che oggi spetta alle scuole di formazione post-universitarie. Come sottolinea l’avvocato Manuela Militerni, da anni impegnata in tale direzione di Ludovica Aldovrandi
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Dopo l’università •Formazione
Manuela Militerni è avvocato e fondatrice di MC Militerni Istituto di Studi Giuridici di Napoli www.mcmiliterni.com
FORMAZIONE E CONOSCENZA Oltre che di formazione in campo giuridico attraverso corsi tenuti da docenti qualificati, l’ MC Militerni Istituto degli Studi Giuridici, si occupa di altre attività collegate al diritto a pluralità dei servizi offerti dalla MC Militerni Istituto degli Studi Giuridici possono suddividersi in quattro categorie di attività. Attività di studio e di approfondimento: il centro polifunzionale è dotato di un proprio dipartimento di ricerca e sviluppo teso alla promozione di iniziative culturali in materia giuridica ed economica, in Italia e all’estero, attraverso l’organizzazione di manifestazioni culturali, conferenze, tavole rotonde, inchieste, seminari, convegni e dibattiti e la predisposizione di pubblicazioni varie quali: rivista mensile, materiale didattico, documentazione di approfondimento, monografie, ricerche, saggi, studi di giurisprudenza e quaderni a diffusione interna. Attività di ricerca e di sviluppo organizzativo: il Dipartimento di Ricerca e di Sviluppo utilizza parte delle proprie risorse umane ed economiche per l’elaborazione e l’approfondimento
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delle tecniche didattiche di apprendimento e di orientamento professionale e universitario oltre che per il monitoraggio delle domande di formazione provenienti dai vari settori lavorativi pubblici e privati interessati a tale servizio. Attività di consulenza: il centro polifunzionale mette a disposizione di enti pubblici e privati la propria attività di ricerca e di approfondimento per consulenze e assistenza in ambito giudiziale ed extra giudiziale. Attività di formazione professionale: aperti ai candidati che hanno conseguito un diploma di laurea i corsi di perfezionamento in oggetto sono diretti al soddisfacimento di esigenze di approfondimento in determinati settori di studio, di aggiornamento e di riqualificazione professionale. I corsi sono tenuti da docenti qualificati provenienti dal mondo accademico con esperienze lavorative maturate nell’area giuridica.
Ciò che fa la differenza tra l’essere un valido professionista e il non esserlo è solo il sapere tramutato in capacità argomentativa-dialettica ad ampio respiro e la massima competenza specialistica in un determinato settore Quali sono gli obiettivi principali che perseguite? «I corsi hanno come obiettivo la trasmissione di una solida preparazione, puntando non solo sulla conoscenza nozionistica del diritto, ma anche sullo sviluppo nei candidati di adeguate capacità espositive. La formazione professionale nella sua massima espressione culturale di esplorazione del sapere giuridico è l’aspetto primario perseguito da MC Istituto degli Studi Giuridici, dalla preparazione di seminari di approfondimento di argomentazioni giuridiche di particolare interesse socio/culturale, alla predisposizione di una biblioteca legale cartacea e on line, il che consente al neo laureato in giurisprudenza e a tutti coloro che sono in qualche modo interessati all’area giuridica, l’ampliamento del proprio bagaglio conoscitivo oltre che delle proprie capacità dialettico/professionali. Questi elementi sono fondamentali per garantire un’adeguata competitività nel panorama professionale con l’obiettivo principale di formare i giovani laureati in scienze giuridiche che desiderano intraprendere la professione di avvocato o magistrato, o comunque che desiderano acquisire una maggiore competenza per un più facile inserimento nel mondo del lavoro». E in un momento come questo è molto importante. «In una realtà economica sofferente come quella dei nostri giorni solo pochi, infatti, dei tanti giovani che ogni anno portano a termine il proprio percorso di studi, otterranno qualifiche professionali gratificanti o corrispondenti alle proprie legittime aspirazioni. Ciò che fa la differenza tra l’essere un valido professionista e il non esserlo è, pertanto, solo il sapere tramutato in capacità argomentativa-dialettica ad ampio respiro e la massima competenza specialistica in un determinato settore». 209
Il ruolo dell’avvocato • Riflessioni
LA RIFORMA NON DEVE ESSERE OSTACOLATA di Michelina Caputi, avvocato civilista di Napoli avvmichelacaputi@tiscali.it
n tempo, quando l’Italia era la culla del diritto e la patria di grandi giuristi, l’avvocato era considerato come colui che difendeva il cittadino dagli abusi del potere politico e finanziario e che tutelava i deboli dai soprusi dei forti. Il ruolo dell’avvocato, nell’attuale società civile, invece, ha subito un profondo cambiamento. La lentezza estenuante e il costo eccessivo dei processi civili, la complessità dei riti dovuta al ginepraio di leggi lacunose, gli errori di parte della magistratura, la disorganizzazione all’interno degli uffici giudiziari hanno tolto credibilità e autorevolezza alla giustizia, mettendo in crisi anche l’attività forense. Il cittadino, infatti, deluso dalla giustizia, ha cominciato a preferire altre forme di risoluzione delle controversie (la conciliazione gli arbitrati), o, addirittura, pur di non affrontare un processo, a rinunciare ai propri diritti. Alcuni provvedimenti legislativi varati dal precedente governo, hanno, poi, effettuato una sorta di “rivoluzione copernicana” del ruolo dell’avvocato e dei suoi assistiti, trasformando il primo in un piccolo o medio imprenditore che opera nel settore della Giustizia e che mira al massimo profitto e i secondi in consumatori che mirano al massimo risparmio. Il processo di trasformazione del ruolo dell’avvocato si è concluso con l’entrata in vigore del decreto Bersani - vero e proprio blasfema del diritto - che, sotto l’egida di una falsa liberalizzazione delle professioni e di una maggiore tutela dei consumatori, ha inteso privilegiare esclusivamente alcuni gruppi di potere (banche, assicurazioni, grandi gruppi industriali) a scapito dei soggetti più deboli. É lapalissiano che il decreto Bersani,
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abolendo i minimi tariffari, il divieto del patto di quota lite e di farsi pubblicità, anche oltre i limiti posti dal codice etico, ha così distorto il ruolo classico dell’avvocato e i confini entro cui lo stesso può svolgere detto ruolo, ossia: il rispetto dei principi dell’etica e della deontologia professionale. Non solo il danno ma anche la beffa per l’avvocato, costretto dalla normativa Bersani a togliersi la preziosa toga - da sempre indossata con onore e dignità – e a indossare l’abito di un volgare mercante di fiera! A questo punto dobbiamo solo sperare che la riforma del processo civile approvata nel maggio 2009 realizzi gli auspicati obiettivi di semplificazione e contrasto alle disfunzioni della giustizia, che venga approvata anche la riforma dell’avvocatura e che qualcuno, non ponga, con il solito egoismo distruttivo, vili sgambetti all’attuale Legislatura di Governo, desiderosa e propositiva di voler realizzare le predette riforme organiche dell’avvocatura e della giustizia. Solo così, gli italiani potranno ritrovare la fiducia nella giustizia, nelle istituzioni e nell’avvocatura, conferendo nuovo slancio alla nobile professione dell’avvocato, restituendogli il ruolo che ha sempre avuto nella società civile, ossia “di difesa della libertà dei cittadini”, secondo la lezione del nostro grande giurista Giuseppe Zanardelli.
Il cittadino, deluso dalla giustizia, ha cominciato a preferire altre forme di risoluzione delle controversie o, addirittura, pur di non affrontare un processo, a rinunciare ai propri diritti
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Riflessioni • Controcanto
L’avvocato Sosio Capasso nel suo studio di Napoli capassososio@libero.it
Il sistema ha bisogno di strumenti idonei La ragionevole durata del processo è acclamata a gran voce. Ed è realmente ora di snellire il sistema, non solo con un decreto legge, ma anche e soprattutto con strumenti idonei a concludere i procedimenti in tempi ragionevoli. La visione dell’avvocato Sosio Capasso di Eugenia Campo di Costa 212
a durata dei processi diminuirà. Quasi certamente il disegno di legge sul processo breve presentato dal Pdl e sottoscritto dalla Lega diventerà legge. È il decreto volto a dettare “Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi” e che riguarda i processi in corso e i reati per cui sono previste pene sotto i 10 anni per i quali si prevede la caduta in prescrizione dopo due anni dalla richiesta di rinvio a giudizio. Ma questa legge, che mira a contrastare le lungaggini dei processi, comporterà sul sistema risvolti non trascurabili. «Ad esempio la mia prima preoccupazione – afferma l’avvocato Sosio Capasso di Napoli -, è che questo decreto comporterà gravi danni alle parti lese cui non verrà riconosciuto il diritto a essere risarciti e che vedranno estinguere procedimenti non giunti a compimento». Quali conseguenze potrà avere secondo lei il processo breve sul sistema giuridico? «Dal momento che ad oggi i giudici non sono forniti degli strumenti idonei, il processo in primo grado non potrà essere terminato in due anni. Questo comporterà, a mio parere, due problemi fondamentali: quello di un’amnistia perenne e, di conseguenza, il fatto che i processi, non potendo essere esauriti in primo grado, verranno sicuramente estinti. In secondo luogo, si prospetterà un grave danno per gli studi legali perché quasi certamente i clienti non si rivolgeranno più agli studi legali per i processi con una pena non superiore ai dieci anni. Mi sorprende il fatto che gli avvocati non abbiano ancora preso una posizione precisa rispetto al processo breve». I magistrati invece come si sono espressi riguardo alla situazione? «I magistrati hanno preso una posizione. Sia il segretario sia il presidente della associazione magistrati sono contrari. A mio parere, a differenza di quanto prospetta il ministro Alfano che sostiene che il decreto interessi solo l’1% dei processi, la stima dei procedimenti coinvolti sarà probabilmente superiore. Per questo credo che il decreto non dovrebbe essere assolutamente approvato, indipendentemente dal fatto che alcuni lo giudichino ad personam». Quali reati vengono esclusi dal disegno di legge? «Vengono giustamente esclusi reati gravissimi come associazione per delinquere o crimini relativi alla droga. Sono procedimenti che hanno una prescrizione molto lunga e tempistiche che superano i dieci anni. Però non vengono esclusi reati come la corruzione, la concussione». Quali pensa possano essere le misure che il sistema dovrebbe prendere alla luce delle nuove disposizioni? «Questa legge, se approvata, porterà una vera rivoluzione. Sarebbe necessario fornire ai magistrati strumenti adatti a far sì che i processi giungano comunque a una conclusione in tempi ragionevoli. Ci vorrebbero più cancellieri, più personale, più aule. Basti pensare che a Napoli abbiamo l’esigenza di prenotare le aule per i processi perché altrimenti rischiamo di non averne neanche la disponibilità. La giustizia dovrebbe essere equipaggiata di mezzi tali da ridurre le lungaggini senza ricorrere a questo decreto legge».
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Riflessioni • Un quadro critico
La riforma richiede un’attenta analisi Il sistema giustizia continua a sentire l’esigenza di nuove riforme. Recenti atti legislativi, alcuni già in vigore e altri in discussione al Parlamento, non sembrano tuttavia tener conto della giurisprudenza europea e del diritto alla sicurezza. L’avvocato Claudio Defilippi ne fa un quadro critico di Carlo Gherardini
ccorciare i tempi della giustizia è un’esigenza sentita da tempo. Alcuni atti legislativi tuttavia, come il disegno di legge sul processo breve, pur lodevoli nello scopo, introducono modifiche alla L. 89/2001 non in linea con la giurisprudenza europea. «La lunghezza irragionevole del processo – afferma l’avvocato Claudio Defilippi, presidente di Lawyers for Human Rights, Associazione Nazionale Forense - viene individuata dal disegno di legge a priori: è un'operazione mai effettuata a Strasburgo, che può considerare lungo anche un intero processo di quattro anni e obbliga a valutare sempre le circostanze del singolo caso, accordando l’indennizzo anche in caso di breve o brevissimo ritardo. In tal modo, invece, un processo che duri meno di sei anni (o anche di otto, in caso di rinvii) rimarrebbe senza indennizzo, anche se avrebbe potuto concludersi in tre, perfino annullando il relativo diritto nei confronti dello Stato». Ricorda inoltre l’avvocato Defilippi, che un sistema che permetta l’accelerazione dei processi «non è da considerarsi efficace “per rimediare a una situazione in cui è manifesto che la procedura si è già protratta per un periodo eccessivo” (Sent. Scordino c. Italia,ric. n. 36813/97)». Non sembra assicurato neppure un processo equo, poiché, se è presentata istanza, nei processi diversi da quelli penali, il giudizio deve essere trattato “prioritariamente” e «finisce per terminare solo con una decisione sommaria, ovvero “limitata a una concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui si fonda”. Se non è presentata istanza invece, il processo “non prioritario” potrebbe durare ancora più a lungo». I
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L’avvocato Claudio Defilippi presidente di Lawyers for Human Rights, Associazione Nazionale Forense lawyershumanrights@libero.it
processi penali, se in corso in primo grado e salvo discriminatorie eccezioni o rinunce, si estinguono perfino per raggiunti limiti di predeterminata durata ragionevole, anche se per reati molto gravi. «La giurisprudenza europea invece – prosegue l’avvocato - non ha mai dichiarato estinto un processo lungo, auspicando sempre e solo, come rimedio, la “prevenzione” (Sent. Scordino, par. 183) ovvero la riorganizzazione del sistema giudiziario interno. Il giudizio penale, peraltro, inizia già con l’assunzione della qualità di indagato, quindi si dovrebbe perfino estinguere dopo due anni dall’inizio delle indagini. E viene ignorata anche la sorte della parte civile». Ma resta in generale «insoddisfatto – incalza l’avvocato – soprattutto l’eventuale indennizzo, già non equamente accordato (perché non in linea con i canoni europei), per l’intervenuta impignorabilità del denaro dello Stato (L.181/08, per quello depositato alle Poste italiane e Banca d’Italia, L.14/09 per le somme incassate dagli Agenti della riscossione) e per l’inadempimento spontaneo, confermato dalle continue condanne europee in questo senso». Sottraendosi all’esecuzione, lo Stato finisce, secondo Defilippi, per porsi al di sopra della Legge e della Convenzione. «Identiche norme sull’equa riparazione anche nel ddl n. S.1440, per il quale valgono le stesse considerazioni». L'avvocato si augura, tuttavia, che di quest’ultimo disegno venga approvata la norma sulla «“Revisione delle sentenze nei casi di condanna dello Stato italiano per violazione del giusto processo,” come da anni richiesto dal Comitato dei Ministri, benché la violazione del giusto processo dovrebbe operare già come autonomo motivo di revisione» e auspica anche «la riforma delle norme - emanate con forte ritardo e in modo inadeguato - di attuazione (formale) della direttiva Eu 80/04 sull’indennizzo alle vittime di reati violenti, anch’essi interessati dal “processo breve” per la possibile violazione del diritto alla sicurezza dei cittadini, nonché – conclude – che vengano modificati i ddl in esame sulla riforma della professione forense, contrari alle minime regole della concorrenza e del mercato». C&P • GIUSTIZIA
Diritto e ambiente • Direttive comunitarie
L’incoscienza ambientale ha i minuti contati I rifiuti non sono un peso inutile e dannoso per la società, ma una risorsa preziosa per lo sviluppo. Questo è il nuovo traguardo in materia di riciclaggio proposto dalla direttiva comunitaria, di cui gli avvocati Enrico Morigi, Fernando Ludione e Vincenzo Assante sono testimoni. Gli esperti spiegano come la vocazione per il diritto ambientale si esprima nel desiderio di rilanciare proprio la città di Napoli di Simona Langone ambiente come bene giuridico di rilievo costituzionale è oggetto e necessita di tutela penale contro comportamenti che possono comprometterne l'integrità e l'equilibrio. L'ordinamento sta elaborando nuovi strumenti per affrontare in maniera organica la situazione ambientale. Il disegno di legge, approvato dal Consiglio dei Ministri già dal 2007 procede al riordino, coordinamento e integrazione della disciplina dei delitti contro l'ambiente. La normativa a riguardo purtroppo risente del modo frettoloso in cui è stata creata a causa della situazione di urgenza in cui si è trovato il nostro Paese. Uno stato di fatto, questo, che ha inevitabilmente compromesso la formazione di una “coscienza ambientale”. «La situazione di involontaria ignoranza appare particolarmente evidente proprio nel caso della Campania dove, con l'art.6 del decreto legge 172/2008, sono previste sanzioni penali per comportamenti che nel resto del Paese non costituiscono reato o sono colpiti in modo meno afflittivo» sostiene l’avvocato Enrico Morigi. «Ciò comporta che molte persone commettono reati senza averne consapevolezza e sono chiamate a rispondere di azioni, che, meno di un anno or sono, costituivano solo cattiva educazione ambientale». La responsabilità maggiore della situazione attuale è da attribuirsi alla Pubblica amministrazione ed alla mancata campagna informativa rivolta ai cittadini. Solo di recente si è imposta la necessità di informare il
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Lo staff della sede di Mergellina (NA) dello Studio Legale Picozzi&Morigi studionapoli@picozzimorigi.it
pubblico in materia ambientale. «Una corretta divulgazione del nuovo concetto di rifiuto, sua produzione e sua gestione, dunque, è fondamentale, dal momento che la direttiva 2008/98/CE del parlamento europeo, entrata in vigore il 12 dicembre 2008, concede agli stati membri due anni di tempo per conformarsi alle sue disposizioni» prosegue l’avvocato Vincenzo Assante. A cui fa eco l’avvocato Fernando Ludione e aggiunge «è nella nuova e precisa definizione di rifiuto proposta dalla direttiva comunitaria che si inserisce l'operato dello studio legale». Lo studio legale Picozzi&Morigi, ha curato per conto di gruppi di rilevanza nazionale e internazionale la soluzione dei noti problemi collegati a tale definizione. L’ obiettivo della nuova direttiva è quello di promuovere i rifiuti da una posizione di peso inutile e dannoso per la società a uno status di risorsa preziosa per lo sviluppo, assegnando un ruolo decisivo alla prevenzione e agli effetti del riciclaggio. «Ogni decisione politica in materia di rifiuti deve consistere nel ridurre il più possibile le conseguenze negative della produzione e della gestione dei rifiuti per la salute umana e l'ambiente» spiega l’avvocato Enrico Morigi. In un quadro tale da promuovere e rilanciare il concetto di sviluppo sostenibile. «Per quanto riguarda l'impatto territoriale – conclude il legale- è evidente che in una realtà regionale quale quella campana, la magistratura debba assicurare il corretto andamento della gestione dei rifiuti, considerata l’ampiezza e la pericolosità delle infiltrazioni della criminalità organizzata». Esaminando la disciplina penale “campana” in materia di rifiuti appare abbastanza strano che il legislatore non abbia ritenuto necessario rendere più efficaci e dissuasive proprio le norme finalizzate a combattere la criminalità organizzata ( artt. 259 e 260 D. Lgs 152/2006).Vale a dire “pugno di ferro” con il cittadino e l’impresa per comportamenti, sicuramente deplorevoli, ma dovuti a carenza di informazione, non bilanciata da altrettanta severità nei confronti delle organizzazioni criminali coinvolte nel traffico illecito dei rifiuti. A tal proposito proprio in questi giorni il MATTM (ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare) sta mettendo a punto un sistema innovativo di tracciabilità, per rendere più efficiente la gestione dei rifiuti e combattere la criminalità organizzata, attraverso l’introduzione di procedure informatiche e telematiche. C&P • GIUSTIZIA
Diritto e ambiente • Vincoli da rispettare
Quel patrimonio da tutelare e valorizzare
e leggi vigenti in materia paesaggistica e archeologica, in particolare per quanto concerne il litorale, sono essenzialmente pareri vincolanti ad autorizzazioni o concessioni rilasciate dal comune. Se prima del 2000 era la capitaneria di porto a gestire il demanio marittimo, oggi la capitaneria assolve compiti di sorveglianza delle coste ed è il comune il gestore del demanio marittimo. «Il concessionario del litorale che vuole intervenire su di esso - afferma l’avvocato Giuseppe Mangieri, consulente legale del villaggio turistico Carpe diem sul litorale di Pozzuoli, che si occupa in particolare di interventi sul litorale campano – per costruire ha bisogno del permesso della commissione edilizia integrata del comune». Si tratta di un atto a forma complessa espressione dell’accordo di tutti gli enti interessati, quali comune, regione, demanio, capitaneria, che viene sottoposto al parere preventivo vincolante delle due soprintendenze, ambientale e archeologica, operanti sul territorio. L’imprenditore che vuole aprire un’attività turistica, in particolare nel territorio campano, deve quindi necessariamente prestare grande attenzione. «A parte la procedura innanzi spiegata – continua l’avvocato Mangieri – che riguarda essenzialmente un intervento di “riqualificazione”, ciò che conta è anche il modus operandi». Infatti, si agisce su una delle coste più belle d’Italia con l’unico parco archeologico sommerso visitabile e a pochi metri dalla riva. Ne deriva, ovviamente, l’impossibilità di ormeggiare in rada le barche. «L’anno scorso una tartaruga carretta-carretta ha depositato 120 uova proprio sulla spiaggia flegrea presso il lido Carpe diem. Questo a dimostrazione della limpidezza di un mare che va preservato e conservato». Insomma non ci sono spazi per mere speculazioni. «Tuttavia, il territorio campano in particolare è molto ampio e vario. In provincia di Caserta ad esempio non ci sono gli stessi vincoli paesaggistici e archeologici presenti nella provincia di Napoli, gli spazi disponibili sono maggiori, la morfologia cambia e così anche l’adattamento della propria impresa». Ma quali sono gli aspetti da migliorare nel sistema della legislazione turistica in Italia? «Sicuramente bisognerebbe alleggerire la pressione fiscale sugli operatori turistici. In particolar modo il concessionario demaniale, oltre ICI e Tarsu, deve corrispondere un forte canone demaniale, raggiungendo così una cifra ragguardevole. Poi occorrerebbe finalmente attuare un PUA, Piano utilizzo arenili regionale. Infine creare incentivi, sotto forma di sgravi contributivi o concessioni pluriennali, che favoriscano l’investimento privato riqualificante».Tempo fa il ministro Tremonti propose di concedere il demanio per un numero di anni sufficienti per rientrare nell’investimento fatto. Investendo ad esempio con l’aiuto di un mutuo bancario, si potrebbe ottenere una concessione demaniale di durata pari a quella del mutuo. «Attualmente non è così – conclude l’avvocato Mangieri -. Oggi il concessionario gode del bene per il periodo di sei anni rinnovabile ai sensi della legge 88/01 di altri sei, indipendentemente dall’investimento fatto. È evidente la disparità di trattamento rispetto a chi non ha investito e la violazione dell’art. 3 della Costituzione».
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Intervenire su una delle coste più belle del Paese è possibile. Ma solo proteggendo il suo ambiente e la sua morfologia. In una logica di conservazione del patrimonio naturalistico e archeologico. L’avvocato Giuseppe Mangieri spiega a quali regole attenersi per aprire un’attività turistica sul litorale campano di Eugenia Campo di Costa
Il golfo di Pozzuoli. L’avvocato Giuseppe Mangieri è consulente legale del villaggio turistico Carpe diem che sorge su questo litorale giuseppe_mangieri@fastwebnet.it
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C&P • GIUSTIZIA
Diritto di famiglia • Unioni
La famiglia cambia forma, il diritto si adegui Oggi non esiste una legislazione in grado di tutelare opportunamente la famiglia. Per colmare alcune inadeguatezze pratiche basterebbe istituire uno specifico tribunale con professionalità qualificate in grado di trovare le giuste soluzioni. Sull’argomento interviene Gian Paolo Vincenti Mattioli di Amrita Tesauro
L’avvocato Gian Paolo Vincenti Mattioli è civilista con una lunga esperienza in materia di diritto di famiglia. Nella pagina accanto nel suo studio di Genova con il suo staff di lavoro
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ggi alla famiglia legittima se ne affiancano altre, costituite da genitori e figli naturali o legittimati, da genitori e figli adottivi, dalla coppia convivente, dall’unione omosessuale.Tutte tipologie alle quali fare riferimento per regolamentare i rapporti giuridici che ne possono in concreto derivare. «Ogni riflessione su temi di questo genere deve partire dall’assoluta necessità di salvaguardare la famiglia nella sua più larga accezione; perché non esistono più famiglie di serie A e di serie B» afferma Gian Paolo Vincenti Mattioli, civilista, ed esperto in materia di diritto familiare. Il professionista fa notare come gli interessi della famiglia tradizionale vengano oggi salvaguardati dal Tribunale Ordinario, mentre i diritti dei figli naturali trovano tutela presso il Tribunale per i Minori, ormai competente a pronunciarsi anche in ordine a problemi attinenti la sfera economica e, nello specifico, agli assegni di contributo al mantenimento. «Quanto alle unioni omosessuali, queste, di fatto, non hanno alcuna conseguenza giuridica, in quanto il nostro ordinamento non riconosce tale istituto» continua l’avvocato, che tiene a precisare come il matrimonio sancito dal libro I del Codice Civile non può, sotto nessun aspetto, essere considerato un contratto, bensì è una comnixstio sanguinis il cui fine rimane la procreazione: «l’unione omosessuale istituzionalizzata sarebbe carente di tale sinallagma, pur riconoscendo il pieno rispetto dei diritti soggettivi di ciascun individuo, alla luce dell’evoluzione dei rapporti sociali e dell’uguaglianza formale e sostanziale di cui all’art. 3 della Nostra Carta Costituzionale».
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C&P • GIUSTIZIA
Unioni • Diritto di famiglia
La coppia di coniugi che intenda adottare un bambino di un altro Stato, si trova ad affrontare un iter lungo, complesso ed economicamente gravoso Oggi da più parti si rileva che i figli non godono tutti degli stessi diritti in ambito successorio e che esistono discriminazioni che andrebbero eliminate con una riforma. Lei che ne pensa? «L’articolo 280 del Codice Civile prevede l’istituto della legittimazione dei figli naturali. Questo strumento, benché da molti sottovalutato, se utilizzato nella maniera opportuna, porterebbe alla perfetta equiparazione dei figli naturali ai figli legittimi, anche per quel che concerne il diritto successorio. Da tale punto di vista, il semplice riconoscimento del figlio naturale comporta una diversa posizione dello stesso nei confronti dei figli legittimi, ai quali spetta il diritto di scegliere quali beni riconoscere al fratello o alla sorella unilaterale». Ritiene che il diritto di famiglia debba essere riformato in qualche suo istituto? «É già stato riformato nel 2006 e non è certo carente di istituti finalizzati alla salvaguardia dei componenti della famiglia. Ovviamente tali istituti devono essere applicati con giustizia e attenzione, vista la delicatezza e l’importanza degli interessi in gioco. Una soluzione validissima sarebbe l’istituzione di un Tribunale per la famiglia, ove operino magistrati, avvocati e psicologi con una specifica preparazione in questa materia. Ciò avviene già, nella pratica, in alcuni importanti tribunali italiani, in particolare nel Tribunale Civile di Genova, sezione famiglia». Una materia di viva attualità è quella relativa alle adozioni internazionali. Come giudica la legislazione italiana? C&P • GIUSTIZIA
«La legge 476 del 98, ratificando la Convenzione dell’Aja del 93, ha disciplinato la materia delle adozioni internazionali, allo scopo di coordinare l’attività degli Stati contraenti. Purtroppo, la coppia di coniugi che intende adottare un bambino di un altro Stato, si trova ad affrontare un iter lungo, complesso ed economicamente gravoso. Infatti, la procedura di adozione è caratterizzata da un’eccessiva burocratizzazione: il tribunale per i minorenni vaglia l’accertamento dell’idoneità dei genitori adottivi, coadiuvato dai servizi socio-assistenziali degli enti locali. Tuttavia, la legge del 98 ha reso obbligatorio, comminando eventuali sanzioni penali per gli aspiranti genitori adottivi, rivolgersi anche a enti autorizzati e iscritti nell’apposito albo, i quali hanno l’obbligo di svolgere ulteriori controlli, rendendo quindi i tempi, necessari all’adozione, interminabili e i costi eccessivamente gravosi. Pur riconoscendo la necessità di attente verifiche, un tale doppio percorso, non può fare altro che disincentivare le coppie». L’attuale normativa è comunque adeguata a garantire realmente i bisogni che fanno capo al bambino? «Se è indubbio che sia necessario riconoscere l’importanza di controlli approfonditi, nel superiore diritto e interesse dei minori, altrettanto non può passare inosservata l’estrema difficoltà in cui viene a trovarsi qualunque coppia la quale, facendo una scelta d’amore, decida di donare il proprio affetto a quei bambini che, per lungo tempo, ne sono stati privi. La suddetta scelta, a mio parere, deve essere premiata, accelerata e non disincentivata». 227
Diritto internazionale • Vuoti da colmare
Una legislazione che rispetti le diversità C Esistono zone grigie nel nostro ordinamento in tema di riconoscimento delle sentenze straniere, di diritti di cittadinanza e riguardo ad alcuni istituti di diritto internazionale privato. E su queste zone occorre intervenire. L’opinione di Giovanni Lo Schiavo di Mary Zai
L’avvocato Giovanni Lo Schiavo da anni nel suo studio di Cagliari tratta materie legali collegate al diritto internazionale privato e ai diritti di cittadinanza www.studioloschiavo.eu - g.loschiavo@studioloschiavo.eu
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ome è noto l’Italia è tra quei Paesi che hanno adeguato le norme autoctone a quelle dell’ordinamento internazionale ed europeo. Nonostante ciò a tutt’oggi esistono materie non disciplinate su cui occorrere intervenire legislativamente. «Un’esigenza di riforma non tanto di diritto internazionale privato, ma in senso lato internazionale, riguarda la disciplina del riconoscimento dello status di apolide. La materia è attualmente disciplinata a livello sostanziale dalla Convenzione di New York del 54 ed è stata recepita, sic et simpliciter, dall’Italia con legge di esecuzione 306/1962. In mancanza di una disciplina ad hoc, la materia dell'apolidia è regolata in via giurisprudenziale, in contrasto con il sistema giuridico italiano che non riconosce il principio dello stare decisis» commenta l’avvocato Giovanni Lo Schiavo che da anni si occupa di diritto internazionale e della cittadinanza. «In via generale – aggiunge il professionista – comunque il sistema di diritto internazionale privato, dopo l'entrata in vigore della legge 218/1995, ha già dimostrato la sua efficienza nella risoluzione dei problemi di conflitto di leggi, nella prevenzione dei conflitti di giurisdizione e dei giudicati, nel rinnovamento della cultura giuridica autoctona tramite il richiamo a diritti stranieri e il riconoscimento delle decisioni straniere». In concreto dove si annidano le maggiori criticità nell’applicazione delle norme di diritto internazionale? «La criticità è nella concreta applicazione delle norme, perché si seguono pedissequamente le disposizioni di diritto interno e così si ravvisa un conflitto in tutti i casi di divergenza dell'istituto giuridico straniero, da quello autoctono. Un conflitto frequente è per esempio quello relativo ai casi di norme di applicazione necessaria, d'inderogabilità dell'ordine pubblico e di verifica della sussistenza dei motivi ostativi al riconoscimento delle sentenze straniere, come nei casi di rispetto dei diritti di difesa e di non contrarietà all'ordine pubblico. Ritengo che, invece, non ci si possa limitare a imporre l’utilizzazione dei principi inderogabili del foro, ma occorre considerare la ratio sottostante, le relative disposizioni normative, ricercare le somiglianze tra istituti e discipline perché si possa assicurare la tutela richiesta». Un tema spinoso e di viva attualità su cui l’opinione del nostro Paese appare divisa e comunque in maggioranza contraria, riguarda i matrimoni gay che, però, sono ammessi da ben tre Stati della Ue. Quali sono i riflessi giuridici che ne derivano per il nostro ordinamento e per quelli degli altri Stati che non contemplano un simile istituto? «Il matrimonio omosessuale è riconosciuto in diversi Paesi, ma non in Italia. La diversità di sesso dei coniugi, che è queC&P • GIUSTIZIA
Vuoti da colmare • Diritto internazionale
In generale ritengo che il sistema di diritto internazionale privato dopo l'entrata in vigore della legge 218/1995 abbia già dimostrato la sua efficienza nella risoluzione dei problemi di conflitto di leggi
OBBLIGHI E VINCOLI INTERNAZIONALI n seguito alla riforma costituzionale del 2001, il legislatore nazionale e regionale è tenuto a legiferare “nel rispetto degli obblighi internazionali e dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario”. Da qui consegue la ratifica e l'ordine di esecuzione in Italia di Convenzioni di diritto internazionale materiale (Vienna, 1980, sulla vendita internazionale di merci), di Convenzioni recanti norme uniformi di conflitto (Aja,1973, sulle obbligazioni alimentari in famiglia) ed infine di Convenzioni sulla giurisdizione e il riconoscimento di decisioni
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straniere (Bruxelles, 1968). A livello Ue, essendo la materia in genere disciplinata da regolamenti, l'adattamento è automatico (così il regolamento CE 864/2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali; regolamento CE 2201/2003 sulla competenza, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale). Nonostante quest’ampia adesione, esistono, però, alcuni provvedimenti che l’Italia non ha ratificato e altri per i quali non ha predisposto la conseguente disciplina.
stione non affrontata dal nostro legislatore, benché non codificata, la si richiede quando uno dei nubendi è cittadino italiano o il matrimonio è celebrato in Italia. È importante ricordare che la questione è stata di recente oggetto di remissione alla Corte Costituzionale da parte del tribunale di Venezia: trattasi del diniego di pubblicazioni matrimoniali richieste da nubendi omosessuali. Le norme sovranazionali e la Costituzione riconoscono il diritto a contrarre matrimonio quale diritto inviolabile dell’uomo alla sua sfera individuale e sociale, senza distinguo. Il legislatore europeo si limita a lasciare gli Stati membri liberi di decidere se riconoscere o meno i matrimoni gay, non stabilendo una disciplina vincolante al riguardo. Il problema è stato posto ed esiste. Dovrà essere risolto tenendo conto del superamento della concezione della famiglia tradizionale e delle nuove istanze che si stanno affermando». In materia di matrimonio e di figli esistono casi che presentano aspetti di particolare complessità relativamente al riconoscimento delle sentenze straniere? «Particolare criticità si hanno quando le materie riguardano cittadini appartenenti a Stati extra Ue in assenza di accordi internazionali o perché ordinamenti giuridici fondati su basi culturali diverse da quelle continentali. Il riferimento è, in primis, ai Paesi con ordinamenti di derivazione coranica, ma anche ad altri per la loro particolare situazione politica e per la mancata partecipazione alle convenzioni internazionali in materia. È prevalentemente la compatibilità con l’ordine pubblico il problema da superare in materia di riconoscimento delle decisioni matrimoniali, come poligamia e ripudio, riguardanti i figli come per la kafala, e, in generale, gli istituti giuridici estranei alla nostra cultura giuridica. Tuttavia per la prima volta in Italia è stato riconosciuto il ripudio e la kafala rispettivamente da due provvedimenti giudiziali, dando così rilievo positivo in sede giurisdizionale a elementi culturali e sociali diversi dai nostri». 231
Etica e professione • Esperienze
Il valore giustizia L’ordinamento giudiziario oppone all'arbitrio le regole, al conflitto un equilibrio concreto. Delinea l’organizzazione della società. Principi che portano al rispetto dei valori e diritti di ogni singolo cittadino. L’impegno dell’avvocato Giuseppe Di Gennaro sul territorio partenopeo di Sabrina Paoletti
Sopra l’avvocato Giuseppe Di Gennaro digennarog@tiscalinet.it
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l diritto consiste in un sistema di comandi diretti a comporre i conflitti di interessi tra i membri di un gruppo sociale” scriveva Francesco Carnelutti. Prima che essere una tecnica, il diritto può essere definito un'esperienza culturale, il principio basilare per interpretare e organizzare la società. La limitazione del potere e della violenza e le relazioni sono state possibili essenzialmente grazie alla mediazione giuridica. Dopo venticinque anni trascorsi da avvocato militante, Giuseppe Di Gennaro ricorda come la sua etica professionale lo abbia sempre portato a difendere questi principi nel completo rispetto dei valori e diritti di ogni singolo cittadino. Il suo impegno è sempre stato rivolto alla tutela di realtà appartenenti principalmente al suo territorio a cui è profondamente legato. Qual è il caso risolto nella sua città che ricorda con maggior orgoglio? «Sicuramente quello che vedeva opposta la Colonnese, storica libreria di Napoli da me assistita, al Conservatorio di S. Pietro a Macella di Napoli, proprietario del locale in cui aveva sede il negozio. La possibilità che potesse verificarsi la chiusura di una prestigiosa attività editoriale ha sensibilizzato anche il Presidente della Repubblica che è intervenuto a nostro favore per sostenere e ribadire il valore del patrimonio della cultura partenopea. Dopo circa dieci anni di causa si è finalmente giunti al risultato concreto, un nuovo contratto di fitto. Inoltre mi viene in mente la causa tra la famosa casa di moda Mario Valentino Spa da me patrocinata, e la società Damiani Spa avente come oggetto uno storico locale di via Montenapoleone a Milano. Anche qui abbiamo ricevuto sentenze favorevoli nei tre gradi di giudizio, ottenendo una significativa visibilità su testate specialistiche di diritto». E quale causa l’ha maggiormente toccata emotivamente? «Con particolare affetto ricordo la denuncia di una giovane diventata disabile a causa della negligenza di un condominio. È accaduto ad un’adolescente di soli tredici anni, caduta nella tromba di un ascensore a causa di una scorretta manutenzione. In questo caso abbiamo ottenuto un’esemplare condanna dalla Corte di Appello di Napoli. La sentenza a nostro favore è stata del risarcimento di un milione di euro». Un grande risultato economico e morale. «Si, ma il problema reale si è verificato addirittura dopo l’esito del giudizio, quando è giunto il momento di riscuotere l’indennizzo. La sentenza della Corte di Cassazione stabilisce che ogni condomino è responsabile in quote millesimali, quindi per ottenere la cifra totale è necessario rivolgersi a ogni singola persona. Ora abbiamo impugnato questa decisone e siamo ancora in attesa che la Corte intervenga su questo argomento». Lei inoltre è anche avvocato fiduciario delle Assicurazioni Generali, quali sono i successi più significativi? «Ricordo le sentenze favorevoli circa la rivalsa e la corresponsabilità del cosiddetto “pirata della strada” che hanno invertito i precedenti indirizzi dei giudici competenti. Ho avuto una grande soddisfazione da sentenze di Cassazione contro il Comune di Napoli, sulla giurisdizione del giudice ordinario in tema di risarcimento danni, e altre che hanno smontato il concetto di impignorabilità delle somme degli enti locali».
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C&P • GIUSTIZIA
Marketing legale • Tendenze
L’ascolto è la prima analisi Molti studi legali oggi si sottopongono ad un’analisi economico-finanziaria per razionalizzare la gestione e imparare a comunicare meglio. Per l’avvocato Roberto Arcella questo è anche il modo più semplice per garantire agli assistiti una prestazione adeguata e una migliore comprensione di Sabrina Paoletti
In foto, l’avvocato Roberto Arcella nel suo Studio di Napoli www.studiolegalearcella.it
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egli ultimi anni, l’aumento delle dimensioni di molti studi legali ha fatto emergere l’esigenza di una più attenta pianificazione delle risorse interne, a sostegno di una attività di analisi, di pianificazione e di controllo dei progetti da realizzare. L’Avvocato Roberto Arcella di Napoli spiega come il fare marketing sia importante anche per gli studi di piccola e media dimensione e come in realtà questo significhi attivare una metodologia di gestione che ponga al centro degli obiettivi dello studio legale le esigenze e la comprensione dell’assistito. Come riesce uno studio legale medio-piccolo a promuovere la sua attività? «Fidelizzando. L’assistito si aspetta che l’avvocato comprenda e risolva il caso. Spesso accade che il legale individui delle soluzioni sulla base della propria esperienza, dando per scontato che le stesse corrispondano alle esigenze del cliente, ma non è sempre così. Paradossalmente più si è esperti e più si cade in questo tranello. Chi svolge questa professione deve saper ascoltare. Questo concetto è di più semplice applicazione nello studio medio-piccolo, e presenta invece maggiori difficoltà nella law firm, dove inevitabilmente il contatto con il professionista è meno personalizzato. Su questo bisogna quindi puntare per valorizzare la propria realtà e ottenere dei risultati». Come si raggiungono i “risultati”? «Con caparbietà. Si può vincere un complicato giudizio di responsabilità medico professionale, uno in materia di lavoro, di locazioni, o si può ottenere la condanna di taluno al pagamento di somme di danaro. Ma l’assistito vuole il risultato finale concreto, non solo quello formale». Quali sono gli ostacoli che si incontrano nel raggiungimento del risultato finale? «Sono tante le difficoltà in punto di esecuzione. Il Legislatore propone mezzi nuovi per l’attuazione concreta dei diritti – penso ad esempio al sesto comma dell’art. 492 c.p.c. che permette all’Ufficiale Giudiziario di rivolgere richiesta di notizie ai soggetti gestori dell’anagrafe tributaria al fine di ricercare gli oggetti da sottoporre a pignoramento – ma essi restano il più delle volte sulla carta e di fatto inattuati. Per restare alla norma che ho appena ricordato, non mi risulta un solo caso di simili ricerche compiute e portate a termine». Quale può essere la soluzione? «È necessario essere inventivi. Penso alle esecuzioni in danno degli Enti locali. Questi ultimi hanno trovato un vero e proprio vaccino contro le esecuzioni da parte dei creditori, che consiste in una delibera adottata ogni sei mesi con la quale si rendono impignorabili le somme detenute dagli Enti stessi presso le tesorerie. Per questi casi, siamo riusciti talvolta ad aggirare l’ostacolo, grazie alle recenti pronunce della Corte di Cassazione in tema di “vicinanza della prova” circa la violazione dell’ordine cronologico dei pagamenti, che rende inefficace il vincolo imposto con le ricordate delibere».
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