Augusta Iannini

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STORIE DI SUCCESSO

Foto di Alberto Conti/Contrasto

RITRATTI

LA MIA FORTUNA? NON CONOSCO LA NOIA

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Foto di Umberto Pizzi

A sinistra, il Giudice Iannini con l’ex ministro della Giustizia Roberto Castelli

per carattere, non riescono a dedicare tempo alla vita associativa». Sono cambiate, insomma, le forme, ma il problema del mancato riconoscimento professionale in qualche modo sussiste. Per quanto riguarda il ruolo della donna, tuttavia, il quadro italiano è ormai stabile e si avvicina sempre più agli standard europei. «Negli altri paesi la proporzione tra donne e uomini che ricoprono incarichi di responsabilità sono tendenzialmente simili. Ho avuto modo di conoscere la ministra della giustizia tedesca e quella danese: grande naturalezza, una grinta eccezionale, un approccio ai problemi di rara efficacia e concretezza. Assolutamente determinate. La ministra danese aveva un bambino piccolissimo ma non saltava una riunione del Consiglio Giustizia e Affari Interni dell’Unione Europea». E in effetti, ad aver tratto i maggiori benefici da questo mutamento di condizioni

e di atteggiamento è stata soprattutto la sfera privata, il rapporto con la famiglia. Mentre nel passato, in generale, era proprio la vita privata ad essere penalizzata. «Se c’è una rinuncia che, almeno nel mio caso, ho dovuto accettare, è quella alle abitudini, che sono l’essenza della vita familiare e del rapporto con i figli. Per i bambini le abitudini sono determinanti: il pranzo a una determinata ora, andare a dormire sempre con un genitore che ti racconta una storia e così via. Le abitudini sono iniezioni di sicurezza. Non credo di averne potute dare quanto avrei voluto. Per il resto, posso dire con serenità che, guardando indietro, non c’è qualcosa che non rifarei. Per ora non ho rimpianti». Del resto, non c’è dubbio che la storia professionale di Augusta Iannini sia un esempio particolarmente significativo di quanto, ormai, l’idea falsata della mancanza di deter-

minazione delle donne, o peggio, della loro inadeguatezza a gestire ruoli di grande potere sia finalmente e definitivamente stata dissolta. «Nella mia generazione – spiega – le donne avevano accettato il dogma della compatibilità: lavoro e famiglia. Oggi non è più così. Conosco ragazze brave e determinatissime. Nessuna di loro sacrificherebbe se stessa e le proprie ambizioni. Tutto questo è giusto, ma gli uomini ne sono abbastanza sconcertati e, a mio parere, non sempre reagiscono bene. Del resto, seppure da un punto di vista formale le pari opportunità sono un traguardo pressoché compiuto, resta ancora sostanzialmente incerto l’esito più propriamente culturale e sociale di tale conquista. Il ruolo professionale della donna ha conosciuto un grande slancio: è un fatto. Ma ora occorre assimilarlo pienamente. Un processo nient’affatto scontato, e senz’altro più delicato.

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Vent’anni in magistratura. E ora una carica prestigiosa al ministero della Giustizia. Augusta Iannini racconta la sua carriera. All’insegna dello studio e del rigore. E illuminata da tanta curiosità di Daniela Panosetti

«La magistratura è soprattutto un servizio, non l’esercizio di un potere». A parlare è Augusta Iannini:, magistrato fino al 2001 e, oggi, Presidente del Dipartimento di Affari di Giustizia. Un passaggio, quello dalle aule dei tribunali alle sale del ministero, che le ha permesso di arricchire la propria esperienza, mantenendo tuttavia sempre saldi e costanti alcuni principi di fondo. Principi che si radicano saldamente in una visione del ruolo della magistratura abbracciata sin dagli esordi della carriera, grazie all’insegnamento prezioso di quello che, con affetto e riconoscenza, Iannini riconosce come il suo maestro. «I magistrati all’inizio hanno una specie di tutor che li accompagna durante l’uditorato – racconta la presidente –. Nel mio caso, ebbi la fortuna di essere assegnata all’ufficio istruzione delTribunale di Roma, con il consigliere istruttore Ernesto Cudillo. Una persona che mi ha insegnato moltissimo, ma soprattutto quel modo di approcciarsi al proprio mestiere che fa la differenza: la vocazione al servizio del magistrato, il tratto garbato da tenere con tutte le parti processuali, imputati compresi. E soprattutto il rigore assoluto per il rispetto delle regole processuali, anche quando può derivarne un’ingiustizia sostanziale». Un aspetto, quello del rispetto delle regole,

particolarmente importante per Augusta Iannini e che dice molto del suo modo di concepire l’attività giurisdizionale. «Molti credono che il rispetto delle regole, anche di quelle per cui non sono previste sanzioni processuali, non sia doveroso – sottolinea –. È una grave slealtà processuale. È come se l’arbitro di una partita di calcio aggirasse le regole per far vincere una squadra. Nel processo non ci sono vincitori e vinti. Esiste un fatto la cui illiceità deve essere accertata applicando dei parametri normativi fissati dal legislatore. Tutto quello che va oltre è arbitrio». Di qui, da questa attenzione a un’applicazione normativa sempre rigorosa, per quanto non meccanica ma profondamente consapevole, discende la genuinità di una vicenda professionale le cui tappe cruciali, spiega, sono state «l’esperienza all’ufficio istruzione, per quanto riguarda la magistratura e il ruolo di direttore generale della giustizia penale al Ministero della Giustizia». Un percorso complesso e vario, quello di Augusta Iannini, ma sempre basato sulla ricerca di un delicato equilibrio: tra il rigore formale, requisito irrinunciabile per una corretta giurisdizione, e quel sano entusiasmo, quell’interesse vivo per le vicende umane che fanno la differenza in un mestiere come quello del

magistrato, chiamato ogni giorno al difficile compito di calare la norma nel flusso imprevedibile della vita concreta. «Se dovessi indicare le competenze che ritengo cruciali per un percorso professionale completo, accanto alle conoscenze giuridiche, ovviamente imprescindibili, aggiungerei una certa predisposizione all’analisi delle situazioni. Predisposizione che nasce necessariamente da un atteggiamento di curiosità per i comportamenti umani». Occorre, in altri termini, accanto all’interpretazione e all’applicazione delle norme, una particolare sensibilità, la capacità d osservare e comprendere non solo delle situazioni critiche, ma delle motivazioni profondamente “umane” che le animano. Qualità, queste, che non sono affatto, come si può essere tentati a pensare, una prerogativa “femminile”. Perché, precisa Iannini «quando si parla di professionalità, non esistono differenze di genere. Non c’è una professionalità maschile o femminile. La professionalità è unica e deve essere unica». Ciò non toglie, tuttavia, che per molto tempo l’ambiente giuridico, a lungo gestito da uomini, sia stato percorso da correnti di pregiudizi su presunte differenze di genere. «Quando ho iniziato, nel 1977, come pretore mandamentale a Spilimbergo – racconta –, ero già sposata e

Nella fotografia a sinistra, un primo piano di Augusta Iannini, Giudice e Capo del Dipartimento Affari di Giustizia

«Il senso profondo del mestiere di magistrato sta soprattutto nel rigore assoluto per il rispetto delle regole processuali. Anche quando da questo può derivare un’ingiustizia sostanziale»

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A destra, Augusta Iannini in compagnia del marito Bruno Vespa

Foto di Alberto Conti/Contrasto

RITRATTI

CONTRATTI

avevo un bambino di pochi mesi. È ovvio, dunque, che la lontananza dalla famiglia, sia pure per breve tempo, è stata un problema. Ma ad avermi fatto soffrire, all’epoca, è stato anche un certo atteggiamento di sfiducia preconcetta». Preconcetti occasionali e, almeno all’epoca, in una certa misura quasi inevitabili. Una situazione che tuttavia Augusta Iannini ha saputo superare con costanza e naturalezza. Lasciando parlare i risultati raggiunti e, soprattutto, l’impegno costantemente profuso nel perseguirli. «Ricordo che quando fui mandata a svolgere le funzioni di magistrato di sorveglianza a Roma, il presidente della sezione era abbastanza disperato. Si rivolse al Consiglio

Superiore della Magistratura per far presente l’inopportunità di far svolgere certi compiti a una donna giovane. Dovetti farlo rassicurare dal consigliere Cudillo. Ma dopo alcuni mesi, nel corso dei quali mi studiò attentamente, concluse e mi comunicò, soddisfatto, che ero meglio di un uomo. Per lui questo rappresentava il massimo della considerazione. A me, francamente, fece un po’ sorridere». Del resto, e per fortuna, preconcetti del genere sono ormai quasi del tutto scomparsi. È innegabile che oggi, una giovane donna decisa a intraprendere il mestiere di magistrato può contare ormai su una larga e sostanziale assimilazione dei principi di pari opportunità. «La situazione è cambiata molto, an-

zi moltissimo . conferma Tannini –. Non credo che oggi nella nostra carriera sussistano ancora discriminazioni nei confronti delle donne, almeno non a livelli apicali. Semmai il problema ora è diverso ed è quello di non “femminilizzare” troppo la magistratura. Esiste poi una questione più generale, aggravatasi negli ultimi anni: la carriera dei magistrati è troppo condizionata dal nostro sindacato, che cede spesso alla tentazione di applicare il famigerato “manuale Cencelli” nell’assegnazione dei posti. Tutto questo umilia moltissimi colleghi che svolgono un lavoro pesante, spesso oscuro, che non amano i protagonismi, che hanno un’elevatissima ma non riconosciuta professionalità e che,

«Quando si parla di professionalità non esistono differenze di genere. Non è corretto parlare di una professionalità maschile o femminile. La professionalità è unica e deve rimanere unica»

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