GRANDO STUDI
TRADIZIONE
SIAMO INNOVATORI PER DEFINIZIONE Tenere il passo con la globalizzazione è un work in progress dalle mille sfaccettature. Impegnative, soprattutto se la storia forense e accademica è secolare. Come nel caso dello Studio Carnelutti di Elettra Bianchi
S Sotto, i quattro junior partner dello Studio Carnelutti e a destra, una immagine degli equity partner
28
Francesco Carnelutti. Tutto cominciò così. Un inizio sicuramente eccellente ma impegnativo, esattamente come la complessa e volitiva figura del fondatore dello studio. Giurista cattolico e avvocato famosissimo fin oltre confine, Carnelutti ha incarnato un’epoca riassumendo in sé la soluzione dello scontro tra dottrina e giurisprudenza, giocata tra una prestigiosa carriera accademica e una incessante e richiestissima attività forense. Oggi, lo Studio che ha raccolto la tradizione Carnelutti attraverso il passaggio dal figlio Tito a Marino Bastianini, e quindi a Luca Arnaboldi, è una realtà articolata su un gruppo di quattordici soci divisi in dieci equi-
ty partner: Olimpio Stucchi, Renata Ricotti, Alberto e Andrea Rittatore Vonwiller, Margherita Barié, Paolo Baruffi, Nicolò Bastianini, Salvatore Nolasco, Gilberto Comi e naturalmente Arnaboldi. E quattro junior partner: Cecilia Cagnoni Luoni, Francesco Barbieri, Benedetta Amisano e Giovanni Piazza. Fondato nel 1900, lo Studio è sempre rimasto indipendente, a parte durante il biennio 2003-05 in cui era stata stipulata una joint venture con uno studio legale americano. Carnelutti, già osservando il sito Internet, è uno Studio che fornisce delle idee ben precise riguardo a quelle che sono le sue linee guida. Perché la lingua usata non è l’italiano, ma l’ingle-
se. «Questa scelta richiama da una parte la nostra vocazione internazionale, e dall’altra lascia intendere a quale tipologia di clientela ci rivolgiamo: preparata a gestire affari in inglese – precisa l’avvocato Arnaboldi – . I nostri clienti sono anche italiani, certo, ma sono esclusivamente banche, istituzioni finanziarie e società multinazionali». Nei cento anni trascorsi dalla fondazione di uno Studio di tale portata, i grandi passi sono stati tanti. Un organigramma complesso ma efficiente, basato sulla suddivisione in dipartimenti per undici aree di specializzazione, caratterizza «un grande studio che si gestisce con una adeguata governance, una organizzazione di supporto ai professionisti e una disciplina flessibile» sottolinea Arnaboldi, esperto in diritto societario, che si occupa soprattutto di Corporate finance, Merger and Acquisition e Real Estate. Ma l’avvocato ritiene importante soffermarsi anche sulla filosofia originaria, quella precedente all’apertura verso la grande law firm della seconda generazione Carnelutti. Quando nello Studio del grande avvocato si trovava conforto per tutto, che fosse nelle aree del civile o del penale. Epoca in cui Francesco Carnelutti scriveva, ne Le miserie del processo penale, “Avvocato è colui al quale si chiede, in prima linea, la forma essenziale dell'aiuto, che è, propriamente, l'amicizia”. Quan-
29
GRANDO STUDI Nelle foto, lo Studio e lo staff Carnelutti nel cortile della sede meneghina
30
do le cose, insomma, potevano essere gestite in maniera totalmente diversa. «Quella che è avvenuta nel corso degli anni è una sorta di mutazione genetica. Nel senso che se Francesco Carnelutti ha ispirato comunque ogni successiva attività dello Studio e in qualche modo ha dato anche l’esempio del forte avanguardismo con cui ha caratterizzato la sua epoca. Noi, oggi, dobbiamo caratterizzare la nostra. Lui ci appartiene come storia, ma come grande teorico è un patrimonio collettivo, perché forse è il più famoso e prestigioso giurista italiano del secolo scorso». Ed è proprio Arnaboldi che continua a dare una forma alla continuità della tradizione, riassumendo le gestioni storiche di Francesco e Tito Carnelutti: «Sono due figure antitetiche: sono stati entrambi pionieri ma in cose totalmente diverse. Francesco è stato la sintesi più sublime del professore e dell’avvocato di caratura inarrivabile, colui che ha rivoluzionato sia l’accademia che la professione. Tito Carnelutti ebbe l’intuizione di trasformare una notorietà professionale basata sui successi e sulla riconosciuta competenza del padre, in una struttura, usando un aggettivo provocatorio, industriale». Praticamente, il cammino si risolve nella rivoluzione dell’esercizio della delega. L’accademico che sanciva i principi istituzionali delle principali materie giuridiche, dal diritto penale a quello civile, passando per il diritto industriale, portava in Studio un eclettismo connotato dalla forte tendenza all’accentramento e al controllo, mentre il figlio fu un grande interprete e anticipatore della nuova epoca in cui si stava entrando. Che capì meglio di chiunque altro, in Italia, traducendola in pratica nella modalità associativa dello Studio. «In realtà, Carnelutti è stato il primo Studio associato italiano – conferma
Arnaboldi – e questo lo dobbiamo a Tito Carnelutti, che era preparatissimo per il suo ruolo: parlava perfettamente inglese e francese, e soprattutto aveva capito la necessità di viaggiare. Aveva sapientemente interpretato il fenomeno che in America iniziava a delinearsi già negli anni Cinquanta e Sessanta, ovvero quello degli Studi associati. Importò l’idea riuscendo a radicarla in un contesto culturale ed economico completamente diverso, dimostrando quindi enormi capacità organizzative». I principali clienti dello Studio, non a caso erano le multinazionali americane che, sull’onda degli investimenti del secondo Dopoguerra, arrivavano in Italia. Ford, General Motors, CityBank. «Tutte realtà – precisa – che oggi, per ragioni diverse, si sono praticamente ritirate dal mercato italiano, o che hanno comunque allocato in maniera differente gli investimenti, che sono di natura industriale o finanziaria». Lo Studio Carnelutti è quindi stato il primo in Italia ad avere uffici all’estero, perché «una delle tante intuizioni di Tito fu l’idea che, essendo lo Studio proiettato sul versante internazionale grazie a quella tipologia di clientela, poteva essere utile avere una presenza sia a Londra, e questo avveniva già alla fine dei Sessanta, e poi a New York, intorno alla fine degli stessi anni. Questo specifico aspetto fu in realtà promosso da Marino Bastianini, segnando in effetti il terzo passaggio di testimone gestionale». Oggi, l’innovazione non è più investire all’estero, ma appoggiarsi ai consulenti giusti da individuare sul posto, come continua a spiegare Luca Arnaboldi: «Una razionalità necessaria, anche se fortemente intrisa di rammarico. Siamo realistici e pragmatici: l’Italia ha purtroppo un ruolo marginale nello scacchiere mondiale, quindi non ha più nessun senso aprire lo stu-
dio a Shangai, come fanno alcuni colleghi. Intendiamoci, va benissimo, ma solo come operazione d’immagine. Puro marketing. A Shangai, già da trent’anni, esistono Studi americani o inglesi che hanno radicato la loro presenza con l’aiuto di una struttura economica ben più avvezza all’export e alla promozione dei prodotti all’estero di quanto non lo sia la nostra, soprattutto in quelle zone del mondo». Ma Carnelutti è uno Studio che lavora ancora tanto con l’estero e che conclude, e ha concluso, grosse operazioni di fusione e acquisizione societaria, conservando spesso importanti ruoli di consulenza nella nascente realtà. «M&A, merger and acquisition, è il nostro fiore all’occhiello: qui siamo stati veramente pionieri, e ancora oggi è tra gli ambiti che sviluppiamo maggiormente. Intervenendo con queste operazioni in un momento straordinario della vita e della crescita di una società, come specialisti delle operazioni straordi-
narie veniamo percepiti sotto una luce molto particolare. È chiaro che una volta andata a buon fine l’operazione, come nel caso delle fusioni, il nuovo soggetto creatosi è più grande, più organizzato e più sofisticato. E capace di prendere decisioni articolate, come quella di scegliere noi come consulenti pur essendo già appoggiato precedentemente ad altri Studi. Questo – sempre secondo
Arnaboldi – fa parte dell’evoluzionismo delle organizzazioni aziendali: una volta che la struttura è diventa più complessa, è anche più complicata da gestire, e ci sarà necessità di rivolgersi a un advisor sempre più avanzato». Ma nell’ottica dello Studio c’è anche dell’altro: «Il Real Estate è un settore che negli ultimi anni ci ha dato enormi soddisfazioni, in considerazione del riconosciuto
prestigio di cui lo Studio ora gode in quest’ambito. L’IP potrebbe rappresentare invece il futuro, vista la crescente presenza che stiamo ottenendo sui casi più importanti. Infine il Tax, fiscale e tributario, rappresenta uno dei grandi pilastri della nostra attività, con oltre trecento società assistite annualmente. Media è infine il settore in cui lo Studio è stato per anni leader assoluto in Italia».
LA SOSTANZA DEL FUTURO «La peculiarità del nuovo Studio Carnelutti, quello contemporaneo, l’abbiamo costruita guardando avanti con competenza. Connettendo l’etica al progresso, e risolvendo la sfida del rinnovamento nella trasparenza e nel pieno rispetto di un grande passato». Nelle parole di Luca Arnaboldi scorre più di un secolo di storia, una solida e prestigiosa eredità che ha fatto da propulsore al nuovo corso dello Studio: «Francesco Carnelutti, il fondatore, l'accademico, la tradizione più insigne del diritto italiano del Novecento ha passato il testimone a Tito Carnelutti che ha improntato il suo piano all’attività di internazionalizzazione e al principio associativo. Marino Bastianini si è concentrato sull'espansione, sull'industrializzazione e sul prestigio intrinseco nel progetto globale. Quello che ha invece caratterizzato i miei ultimi dieci anni di gestione è stata la riorganizzazione dello Studio verso un modello aziendalistico, fortemente ancorato ai valori della libera professione da una parte e alla nostra tradizione dall'altra, secondo canoni ispirati alla best practice internazionale. La propensione a questo obiettivo di sviluppo è stata fortemente sollecitata dai cinque anni professionali trascorsi negli Stati Uniti e dai due anni trascorsi nel Management Board di uno dei dieci studi americani più grandi per fatturato e numero di avvocati».
31