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QUANDO L’UNIONE FA LA VERA FORZA La Finanziaria 2008 ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto della Class Action. Applicabilità, effetti, debolezze e possibilità spiegati dall’avvocato Ugo Ruffolo di Laura Pasotti
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Truffe con strumenti finanziari, tariffe gonfiate, inquinamento. Ma anche gli effetti collaterali dei farmaci e molti altri disservizi. Sono solo alcuni dei casi che potrebbero finire davanti a un giudice attraverso una Class Action. Introdotto dall’articolo 2, comma 445, della Finanziaria 2008 il nuovo istituto entrerà in vigore a partire dal prossimo luglio ma sta già suscitando un acceso dibattito tra chi la sostiene e chi, invece, la considera un atto di ostilità verso le imprese. «L’azione collettiva appena introdotta è ancora un ibrido – spiega il professor Ugo Ruffolo, Ordinario di Diritto Civilledella Comunicazione – ma costituisce un passo verso la piena tutela dei diritti dei consumatori». Avvocato Ruffolo, l’Italia aveva bisogno della Class Action? «Il nostro ordinamento giuridico presentava, fino a oggi, qualcosa in più e qualcosa in meno rispetto alla celebre Class Action statunitense.
Ugo Ruffolo, 65 anni, è titolare di uno Studio legale con sedi a Roma, Bologna, Milano. È Ordinario di diritto civile e della comunicazione all’Università degli Studi di Bologna
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Mancava, da noi, un efficiente moltiplicatore di tutele individuali per lesioni seriali mentre abbiamo "azioni collettive" in difesa di interessi comuni che non sono affrontabili, invece, con la Class Action. La Finanziaria 2008 colma tale lacuna attraverso una soluzione di compromesso che rende la Class Action “all'italiana” alquanto dissimile da quella d'Oltreoceano nonché meno efficace. Negli Usa la Class Action consente al singolo, se agisce come “rappresentante” del gruppo, di far valere in giudizio un proprio interesse, omologo a quello degli altri soggetti appartenenti alla Class, con estensione, nei confronti di tutti i membri della stessa, degli effetti sia positivi sia negativi del giudicato». Che cosa prevede la nuova normativa italiana? «Con il nuovo articolo 140bis del Codice del Consumo, sarà consentito alle associazioni rappresentative dei consumatori di cui all'elenco ministeriale e a altri enti esponenziali, ma non al singolo, di agire davanti al tribunale civile per il risarcimento dei danni e la restituzione delle somme dovute ai singoli. Ma, a differenza del modello americano, si è delineato un sistema in cui il giudicato si estende solo a quei singoli che abbiano aderito per iscritto all'azione collettiva, la cosiddetta opt-in. Non si attinge, così, quel grado di efficienza ed economia processuale che costituisce la chiave del successo della Class Action statunitense, laddove, invece, il giudicato si estende, previa adeguata pubblicizzazione dell'azione, a tutti coloro che non abbiano dichiarato di voler essere esclusi attraverso l’opt-out». Esistono fonti di incompatibilità tra la Class Action e la Costituzione italiana? «La Class Action statunitense non può essere semplicemente “trapiantata” nel nostro ordinamento perché ne deriverebbero di certo una “crisi di rigetto costituzionale”. Basta pensare, tra l'altro, ai poteri ampiamente discrezionali dei giudici americani che non hanno omologhi in Italia. Tuttavia ritengo che il problema dell'estensione del giudicato oltre i confini dell'articolo 2909 c.c. senza violare il diritto di difesa del singolo avreb-
be potuto ricevere una diversa soluzione, tecnicamente complessa ma più soddisfacente e comunque compatibile con il dettato costituzionale, come avevo proposto in sede di audizione parlamentare durante l'iter di approvazione della legge. Il legislatore ha adottato una soluzione di compromesso che estende l'efficacia di giudicato della sentenza ai singoli che abbiano aderito all'azione collettiva ma fa comunque salva l'azione individuale di quanti, invece, non abbiano comunicato la propria adesione». Nel nostro ordinamento era già prevista la possibilità di azioni inibitorie da parte di associazioni di categoria. Quali novità porta questa normativa? «Il Codice del Consumo contempla due strumenti di tutela collettiva esperibili prevalentemente o esclusivamente da associazioni di consumatori: l'uno in materia di clausole abusive nei contratti seriali; l'altro volto a “inibire gli atti e comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori” e a far “adottare le misure idonee a correggere o elimi-
nare gli effetti dannosi”. In particolare, quest'ultima azione ha un ampio spettro di applicazioni, anche in via urgente. Ad esempio, mi ha consentito di ottenere dal tribunale l'inibizione di una campagna pubblicitaria ingannevole o, ancora, l'inibizione di comportamenti gravemente scorretti di una società di recupero crediti. Pertanto, non vanno sottovalutate le conseguenze, anche gravi, di un eventuale uso poco accorto di tale rimedio da parte di associazioni consumeristiche, così legittimate a chiedere al giudice civile provvedimenti di grande impatto, anche economico». Cosa accade invece con la nuova azione collettiva risarcitoria? «In caso di lesioni seriali, si chiederà l'accertamento del diritto dei singoli al risarcimento del danno o alla restituzione di somme e, ove possibile, la determinazione dell'importo minimo da corrispondere a ciascuno. Ma, ed è questa una complicazione che appesantisce, la liquidazione delle somme avverrà solo in forza di successivo accordo con l'impresa o, in difetto, in sede di camera di conciliazione appositamente istituita presso il tribunale».
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L’introduzione di questa normativa ha suscitato un acceso dibattito tra chi la sostiene e chi la osteggia. Lei cosa ne pensa? «L'azione collettiva risarcitoria appena introdotta è un ibrido che probabilmente necessiterà di adeguamenti. Tuttavia si tratta di un passo avanti nella direzione della piena tutela degli interessi di consumatori e utenti. Il meccanismo previsto, benché migliorato rispetto alla versione iniziale, non è celere. Rischia cioè di “incepparsi” nella concatenazione di fasi e adempimenti, nel vaglio di ammissibilità e nel relativo reclamo, nelle adesioni o negli interventi dei singoli, in fase conciliativa, in un eventuale appello, e soprattutto non è un incentivo a transigere perché non consente una soluzione "tombale" della controversia in quanto lascia impregiudicato il diritto di agire in giudizio di tutti i consumatori che non abbiano aderito. La scelta legislativa Nella pagina accanto, Ugo Ruffolo. Secondo il Professore la normativa italiana sulla Class Action può essere migliorata
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ha frustrato le aspettative sia di chi auspicava l'estensione del giudicato all'intera classe sia di chi voleva estendere ad essa solo il giudicato favorevole. Entrambe soluzioni di dubbia equità e legittimità costituzionale». Cosa significa questo? «Ciò significa, tra l'altro, che l'impresa difficilmente sarà indotta a concludere un accordo che la lascerebbe comunque esposta ad ulteriori azioni di troppi singoli, a differenza di quanto accade negli Usa dove la transazione vale per l'intera classe, fatto salvo il diritto di opt-out. Sarebbe allora auspicabile che si riuscisse quantomeno a convogliare nelle azioni collettive il maggior numero possibile di soggetti interessati attraverso un'adeguata informazione e un efficiente sistema di adesioni, di “conta” e prova delle stesse». Il fatto che l’azione collettiva possa essere
«La Class Action è un megafono per il singolo. Ma la legge italiana è mal scritta ne ridimensioni la capacità» proposta solo da associazioni indicate dalla normativa non costituisce di fatto una limitazione? «La legge pretende solo che si tratti di enti esponenziali “adeguatamente rappresentativi” degli interessi fatti valere, fatta salva la legittimazione delle associazioni dell'elenco. La previsione di un’iniziale valutazione giudiziale della “adeguatezza” dell'azione, che ho personalmente caldeggiato anche in sede di audizione parlamentare, quantomeno riduce il rischio di strumentalizzazioni o gravi carenze». Quando parliamo di Class Action il pensiero va immediatamente agli Stati Uniti. Ma qual è la situazione negli altri Paesi e in Europa? «Strumenti analoghi, ancorché con sensibili differenze, esistono, fra gli altri, in Brasile, Canada, Danimarca, Regno Unito e Svezia». La normativa statunitense appare piuttosto aggressiva. È previsto infatti l’istituto del punitive damage, un approccio molto diverso da quello delle leggi in Italia. «L'introduzione anche in Italia dei cosiddetti danni punitivi, con gli opportuni temperamenti, sarebbe, a mio avviso, possibile ma, nel rocambolesco iter della disciplina sulla azione collettiva risarcitoria, la norma relativa è stata accantonata, con ulteriore scarto rispetto al modello americano, alla sua efficacia ma anche ai suoi effetti perversi». Crede che l’azione collettiva, trasformando le rivendicazioni di più parti lese in una sola azione, possa snellire i tempi processuali? «Più che ridurre i tempi del processo, la nuova azione potrebbe soddisfare esigenze di economia processuale e di uniformità di giudicato ove riuscisse in concreto ad attrarre il maggior numero di consumatori coinvolti». La normativa sarà in vigore a partire dal 29 giugno 2008. Si stanno già preparando azioni collettive? «Le associazioni di consumatori si stanno organizzando in relazione a casi eclatanti di gravi disservizi. Peraltro, le "anticipazioni" alla stampa sulle future "azioni di classe" vanno nella giusta direzione. Serve la massima divulgazione possibile di tali iniziative al fine di raccogliere le adesioni dei singoli. Fondamentale, poi, sarà il ruolo dei legali dell'ente promotore nel gestire la nuova azione, anche se non nel costruirla, come invece avviene Oltreoceano dove sono gli studi
legali a investire somme, spesso ingenti, nelle Class action, anticipando le spese e posticipando il compenso, con la prospettiva di notevoli guadagni in percentuale sulle somme riscosse». Secondo Confindustria, la normativa costituirà un pesante disincentivo a investire nel nostro Paese, già agli ultimi posti in Europa per attrazione di capitali stranieri. Lei cosa ne pensa? «Credo che tale previsione pecchi di pessimismo. Al contrario, le tutele giudiziali consumeristiche sono parte della cultura industriale più moderna, sotto il profilo sia dei diritti che dei meccanismi di automoralizzazione del sistema che, in un’economia globalizzata, diventa così anche più competitivo. A fronte di un sistema che si automoralizza generando il mercato dei controlli, le imprese serie devono superare posizioni aprioristiche di chiusura e timori ingiustificati. Ovviamente, però, occorre garantire la serietà del meccanismo di autocontrollo. La Class Action è un megafono che amplifica la voce del singolo. Non è un’azione nuova, ma un moltiplicatore d’efficienza di quelle esistenti. Peccato che una legge mal scritta ne ridimensioni la portata».
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