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OSSIER

CALABRIA

EDITORIALE

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Raffaele Costa

L’INTERVENTO

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Angelino Alfano Sandro Bondi

ECONOMIA E FINANZA

PRIMO PIANO

PORTO DI GIOIA TAURO Adolfo Urso Giovanni Grimaldi Cecilia Eckelmann Battistello

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OBIETTIVO MARE NOSTRUM Giancarlo Elia Valori

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POLITICHE AGRICOLE Nunzia De Girolamo

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PIANA DI SIBARI Piero Amato Pietro Molinaro CONFINDUSTRIA L’impegno degli industriali

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LA VARIABILE DEMOGRAFICA Unical Giuseppe Accroglianò

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CAPITALISMO FAMILIARE Pina Amarelli

POLITICHE DEL LAVORO Giuliano Cazzola Luigi Angeletti

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LA PROVINCIA E LE BIG CITIES Censis

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POLITICHE PER L’INFANZIA Clio Napolitano

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RITRATTI Benedetto XVI

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IN COPERTINA Giuseppe Scopelliti

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MADE IN ITALY Santo Versace Giorgio Guerrini

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L’IMPRESA DELLE DONNE Lella Golfo

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IL CORAGGIO DI CAMBIARE Giancarlo Pittelli

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DIGITALE TERRESTRE Paolo Romani L’INDUSTRIA DEL GIOCO Alberto Giorgetti

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LIBERTÀ D’IMPRESA Raffaello Vignali

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CONSULENZA D’IMPRESA Finanziamenti Gare d’appalto

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SERVIZI ALLE IMPRESE Il polo calabrese

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COMMERCIO Antonio Catricalà

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IUS & LEX LOTTA ALLA CRIMINALITÀ I risultati Il caso Reggio Calabria

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CULTURA DELLA LEGALITÀ Francesco Nitto Palma Angela Napoli

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Sommario

PROTAGONISTI Carlo Taormina

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L’ARRINGA Ernesto D’Ippolito

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MISSIONI ALL’ESTERO Giuseppe Vallotto

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IL VALORE DELL’ATTO Paolo Piccoli, Giancarlo Laurini

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GIUSTIZIA TELEMATICA Renato Brunetta

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TERRITORIO

L’AVVOCATURA COME MISSIONE 136 Armando Veneto CONTENZIOSO La necessaria prevenzione

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CONSULENZA LEGALE Realtà di provincia

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DIRITTO MATRIMONIALE L’annullamento

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UNIVERSITÀ Giovanni Latorre Università di Catanzaro

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INNOVAZIONE Spin off

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EDILIZIA Investimenti da fare Cultura della sicurezza Infissi in pvc

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PITTURA Fuori dai musei

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SANITÀ DEFICIT SANITARIO Cesare Cursi Enzo Rupeni

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MALASANITÀ Leoluca Orlando

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ASSISTENZA PRIMARIA Il medico di famiglia

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ANALISI L’ossidazione cellulare

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ODONTOIATRIA Interventi mirati

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ENERGIA E AMBIENTE POLITICHE ENERGETICHE Stefano Saglia, Alessandro Clerici Fotovoltaico

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AMBIENTE Smaltimento rifiuti

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L’INTERVENTO

Arte, cultura e sviluppo economico di Sandro Bondi Ministro per i Beni e le attività culturali

l miglior investimento che si possa fare oggi è quello nella cultura: non solo per il rilancio civile e culturale del Paese, ma anche per promuoverne lo sviluppo economico. Noi italiani possiamo contare su un grande patrimonio culturale che ci viene dal passato. Dobbiamo essere consapevoli che questo patrimonio può essere la leva per il nostro sviluppo. Sono convinto che la cultura e lo sviluppo siano destinati a camminare sempre più fianco a fianco. Credo che sia arrivato il momento di pensare a sistemi di finanziamento indiretti a sostegno della cultura, come la defiscalizzazione degli investimenti. Questo non solo aumenterebbe le risorse ma libererebbe energie, rendendo autenticamente libera la produzione culturale. Anche se ritengo che un sostegno pubblico vada sempre riconosciuto alla cultura, tuttavia occorre trovare forme di controllo improntate alla migliore efficacia ed efficienza nell’impiego di risorse statali in questo settore. Le fondaSono convinto che la zioni sono uno strumento foncultura e lo sviluppo damentale a cui dobbiamo riper coinvolgere i privati siano destinati a corre in una più stretta collaboracamminare sempre più zione per la valorizzazione del fianco a fianco nostro patrimonio culturale. L’importante dal punto di vista del ministero della Cultura è

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ottenere il contributo delle fondazioni sui grandi progetti qualificanti, specialmente per quanto riguarda i musei e le grandi aree archeologiche di cui l’Italia è ricca. Dal punto di vista delle opportunità, l’Expo è un grande progetto civile, economico e politico ma non può essere solo questo. Dovranno essere coinvolti tutti gli uomini di cultura che hanno a cuore Milano. Sarà una grande opportunità per la città. Come ministero dei Beni culturali vorremmo promuovere tre grandi progetti per la città. In primis la creazione della Grande Brera, la grande pinacoteca di Brera che accorpi l’accademia e la caserma di via Mascheroni, per farla diventare uno dei più grandi musei in Europa, come il Louvre. Poi, il completamento del restauro della villa reale di Monza. Infine, la realizzazione della grande biblioteca europea di Milano. Credo che queste tre iniziative qualificherebbero la città facendola diventare la capitale economica e morale d’Italia. CALABRIA 2010 • DOSSIER • 11


IN COPERTINA

a portato una ventata di novità e rinnovamento a Reggio Calabria, conquistando giorno dopo giorno la fiducia dei suoi cittadini. Giuseppe Scopelliti ora ha una nuova missione: conquistare la poltrona da governatore della Calabria. Quattro gli obiettivi prioritari: «infrastrutture, sanità, occupazione e sviluppo economico e sociale». Perché è tempo che la regione esca dal suo isolamento e si metta in contatto non solo con l’Italia, ma con l’intera Europa. Ottimi risultati sono stati raggiunti nella lotta contro la mafia, ma non bisogna abbassare la guardia. Occorre proseguire con «un piano organico tra forze dell’ordine, magistratura istituzioni locali e società civile». Risorse e iniziative vanno confluite anche nel rilancio del turismo «le cui bellezze naturali, paesaggistiche e artistiche rappresentano una grande ricchezza da rivalutare e sfruttare». Lei è considerato uno dei sindaci più amati e apprezzati d’Italia. Come è riuscito a creare questo rapporto di fiducia con i suoi cittadini? «Il lavoro paga sempre. Ai reggini, fin dalla prima candidatura del 2002, ho presentato un programma elettorale che è stato accolto con il voto e con l’elezione a sindaco. Il rapporto fiduciario è andato avanti e nel tempo si è ulteriormente rinsaldato. Per aver mantenuto gli impegni assunti, gli elettori mi hanno confermato alla guida del governo cittadino. La fi-

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ARIA NUOVA IN CALABRIA Da sindaco più amato d’Italia a governatore della Regione. Questo l’obiettivo di Giuseppe Scopelliti, candidato del Pdl alle prossime elezioni regionali. Idee chiare e progetti concreti. «Sono maturi i tempi di una rivoluzione culturale» Nike Giurlani

ducia è stata così rafforzata da un nuovo patto sociale che vede protagonista una classe dirigente giovane e lungimirante e una comunità che non vuole più essere esclusa dal governo condiviso del territorio. La fiducia si conquista giorno dopo giorno, atto dopo atto: senza illudere nessuno, senza promettere nulla che non siano di-

ritti costituzionalmente garantiti. Molti piccoli privilegi sono stati cancellati, tante situazioni di illegalità sanzionate. Questo è un modo di gestire la cosa pubblica che il cittadino apprezza». La sua esperienza di sindaco di Reggio Calabria come potrà tornarle utile se venisse eletto a governatore della Regione?


Giuseppe Scopelliti

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IN COPERTINA

L’attraversamento stabile tra le due sponde dello Stretto rappresenta una grande occasione di sviluppo dell’intera area rispetto al resto del Paese

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«Applicherò il modello Reggio Calabria anche alla Regione. La Calabria è stanca del vecchio establishment politico che fino a oggi ha gestito il potere rafforzando privilegi, alimentando le storiche clientele da cui trae linfa la classe dirigente egemone. In questa regione sono maturi i tempi di una rivoluzione culturale, di una ribellione delle coscienze civili in grado di rompere con il passato per far posto a una nuova elite politica e di governo. La politica deve tagliare i rami secchi e affidarsi al protagonismo delle nuove generazioni». Quali sono le tre priorità del suo programma? «Il centrosinistra, con la sua politica clientelare, non è riuscito ad affrontare le tante emergenze presenti in questa terra. Anzi, l’immobilismo provocato dalle vecchie logiche, ne ha aggiunte altre. In un’Europa in movimento, in cui si cerca di porre rimedio agli effetti perversi della globalizzazione, la Calabria è ferma, ripiegata su se stessa. Qui viviamo in una situazione di grande precarietà socioeconomica e in uno stato di emarginazione infrastrutturale che il governo di centrosinistra non è stato in grado di affrontare, nonostante abbia avuto l’occasione di dare efficacia ai fondi Por. Alla luce di queste considerazioni, credo che nel mio programma ci sarà posto soprattutto per infrastrutture, sanità, occupazione e sviluppo socio-economico». Quanto conta per lei l’alleanza

con l’Udc? «Io prospetto un programma elettorale e di governo aperto al contributo di tutte le forze che si riconoscono nei valori della famiglia, del lavoro e nell’uguaglianza di tutti i cittadini». Si è detto favorevole alla realizzazione del ponte sullo stretto e ha dichiarato che il ponte si farà. Perché ritiene fondamentale portare a compimento questo progetto del quale si parla da anni? «L’attraversamento stabile tra le due sponde dello Stretto rappresenta una grande occasione di sviluppo dell’intera area che oggi, per la grave carenza strutturale, è marginale non solo rispetto al resto del Paese, ma anche all’Europa e nello stesso contesto del Mediterraneo. L’aver deciso di fare uscire l’ente Regione dalla società Stretto di Messina è stato un errore storico. Uno sbaglio a cui bisogna porre rimedio per evitare che la Calabria venga esclusa dalla cabina di regia della costruzione di questa grande opera considerata dagli economisti catalizzatrice di investimenti sia infrastrutturali che turistici. Occupazione, sviluppo, investimenti: di questo ha bisogno il territorio calabrese le cui bellezze naturali, paesaggistiche e artistiche rappresentano una grande ricchezza da rivalutare e sfruttare. La bomba alla Procura generale ha riportato alla luce un problema fortemente sentito, quella della giustizia. Molti capi delle cosche della ‘ndrangheta e nume-


Giuseppe Scopelliti

rosi latitanti sono stati già assicurati alla giustizia. Quali saranno le iniziative che intende portare avanti per cercare di debellare la mafia dalla regione? «In tutta la regione, oggi, lo Stato è presente come non mai. Una presenza di grande efficacia che produce nervosismo nell’anti-Stato e, in particolare, nelle cosche che sono state duramente colpite non solo con l’arresto dei capi e dei latitanti storici, ma anche nei patrimoni. Il sequestro e la confisca di beni illecitamente accumulati delle famiglie di ‘ndrangheta è un messaggio forte che le istituzioni hanno lanciato alla gente dalla quale, rispetto a quanto non abbia fatto in passato, ci si aspetta una maggiore collaborazione. La ‘ndrangheta non è invincibile. La lotta alla mafia inizia dal dire no alle piccole illegalità, dal rivedere comportamenti cristallizzati che non producono sanzioni, ma che potrebbero aiutare quanti vivono nell’illegalità assoluta. Le iniziative per debellare la mafia dovranno far parte di un piano organico in cui il protagonismo deve essere condiviso tra forze dell’ordine, magistratura istituzioni lo-

In apertura Giuseppe Scopelliti e a seguire alcuni scorci paesaggistici e di infrastrutture

cali e società civile». La viabilità è un dei “temi caldi” che interessano la Calabria. Sono molte le strade che sono rimaste incompiute e poco sicure e anche gli aeroporti andrebbero potenziati per migliorare i collegamenti non solo all’interno della regione, ma con tutta l’Italia e l’Europa. Quali sono le iniziative secondo lei prioritarie? «Quando parlo di una nuova politica delle infrastrutture non mi riferisco solo al ponte e alle ricadute positive che la grande infrastrut-

tura avrà sul territorio. Il ponte sarà l’architrave del corridoio PalermoBerlino, ma deve essere accompagnato da altri grandi opere come l’alta velocità, il completamento della Salerno-Reggio Calabria, l’ammodernamento della Statale 106 e delle varie trasversali. Il miglioramento della rete viaria interna, poi, è una priorità per la valorizzazione del territorio e per avvicinare ai mercati le piccole e medie realtà produttive che oggi, pur in presenza di una produzione di qualità, non hanno la possibilità CALABRIA 2010 • DOSSIER • 15


IN COPERTINA

La ‘ndrangheta non è invincibile. Le iniziative per debellare la mafia dovranno far parte di un piano organico in cui il protagonismo deve essere condivisa tra forze dell’ordine, magistratura istituzioni locali e società civile

di espandersi. Il potenziamento della rete portuale e aeroportuale è un’altra delle priorità da affrontare per accorciare le distanze e sottrarre la Calabria all’isolamento». La Calabria è spesso conosciuta per gravi errori a livello sanitario. Come si può riscattare questo settore? «Applicando le norme e procedendo alla riorganizzazione di tutto il sistema sanitario regionale che dovrà avere come punto di riferimento esclusivo il diritto alla salute del cittadino. È importante assumere decisioni in grado di realizzare e valorizzare strutture sanitarie sul territorio attraverso la complementarietà tra pubblico e privato». 16 • DOSSIER • CALABRIA 2010

Qual è il ruolo del turismo all’interno della Regione Calabria? Come pensa di rilanciarlo? «Il turismo è una delle vocazioni di questa terra. Il settore necessita di un piano strategico che tenga conto delle peculiarità del territorio. Nelle scelte per il rilancio turistico, innanzitutto, bisogna eliminare la concorrenza tra aree geografiche limitrofe che impedisce la caratterizzazione delle eccellenze. Lo sviluppo del turismo passa soprattutto attraverso la difesa dell’ambiente. Quando dico questo penso, in modo particolare, al funzionamento dei depuratori che, rispetto al passato, dovranno essere perfetti; penso alla

difesa delle coste, alla lotta all’abusivismo e a tanti altri aspetti che oggi, purtroppo, limitano la potenzialità di una terra ricca di storia e tradizioni». L’onorevole Angela Napoli ha evidenziato nel suo blog che la Calabria non può continuare a essere terra di conquiste e fortune elettorali. Che cosa pensa al riguardo? «Ritengo che ognuno sia artefice del proprio destino. Se fino a oggi la Calabria non ha avuto una classe dirigente “autonoma”, oggi credo sia giunto il momento, anche nell’ottica delle riforme federaliste, che la politica programmi, pianifichi e scelga».



MADE IN ITALY

Made in Italy garantito tracciabilità e trasparenza

ade in Italy non si gnifica semplice mente materiali, modelli e lavora zione di qualità. Ma è cuore, pas sione, creatività, ingegno. E il no stro Paese è un esempio a livello mondiale per la sua capacità di sin tetizzare perfettamente tutti questi Difendere i nostri prodotti da chi utilizza scorrettamente la aspetti e dare vita a prodotti che dicitura made in Italy e, al contempo, tutelare i consumatori rappresentano il vanto della nostra affinché sappiano dove sono stati realizzati i prodotti che economia. Purtroppo, però, spesso il mercato è oggetto di mi comprano. Questo è l’obiettivo di Santo Versace. Che con il sure scorrette da parte di aziende suo ddl vuole lanciare «un segnale forte e chiaro al mondo senza scrupoli che si arricchiscono delle pmi e restituire al Paese nuove prospettive di crescita» a discapito del consumatore e della reputazione del made in Italy de Giusi Brega nuncia Santo Versace. Il parla mentare del Pdl ha recentemente presentato, con il deputato della Nella foto, Santo Versace, parlamentare del Pdl e imprenditore nel settore della moda, è tra i fondatori di Altagamma Lega Nord Marco Reguzzoni, un ddl per la tutela e la valorizzazione dei nostri prodotti. Questa propo sta, approvata all’unanimità dalla Camera e ora al vaglio del Senato, coinvolge le aziende che operano nel settore del tessile, dell’abbi gliamento, dell’arredo casa, delle calzature e della pelletteria. Tra gli obiettivi: l’introduzione di un’eti chetta obbligatoria che non dirà più dove è stata fatta l'ultima la vorazione, ma dove effettivamente è stato realizzato il prodotto, se guendo le varie fasi della realizza zione artigianale. L’etichetta, quindi, non dirà più dove il pro dotto è stato finito, ma dove si sono svolte le singole lavorazioni. Tutti quei prodotti che non po tranno avvalersi della dicitura “made in Italy” dovranno indicare il nome del Paese di provenienza.

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Santo Versace

Da dove nasce l’esigenza di questa proposta di legge? Imporre la trasparenza del pro dotto, l’obbligatorietà dell’etichet tatura con l’indicazione del Paese di produzione e la tracciabilità del prodotto è diventato fondamen tale per difenderci da chi utilizza impropriamente la dicitura made in Italy per prodotti che non sono realizzati nel nostro Paese o, co munque, non nelle fasi fondamen tali della loro produzione. Oggi ci sono aziende che eseguono la mag gior parte del prodotto all’estero, come ad esempio in Cina, e poi solo perché una fase parziale o marginale della realizzazione viene fatta in Italia, si arrogano il diritto di presentare il prodotto come fatto in Italia. E questo non è tol

Imporre l’obbligatorietà dell’etichettatura con la tracciabilità del prodotto è fondamentale per difenderci da chi utilizza impropriamente la dicitura “made in Italy”

lerabile. Non più. Se non si inter viene adeguatamente, rischiamo che prodotti di bassa qualità e di dubbia provenienza vengano spac ciati come fossero creazioni della nostra capacità artigianale, con il serio pericolo di vedere irrimedia bilmente danneggiata la nostra im magine nel mondo. C’è bisogno di regole chiare e, soprattutto, uguali per tutti. Cosa prevede nel dettaglio il ddl? Da una parte il sistema di trac ciabilità permetterà alle aziende di qualificare la produzione valoriz zando i propri prodotti tessili e, dall’altra, aiuterà i consumatori ad avere maggiori informazioni sulla qualità e sulla sicurezza dei pro dotti acquistati. Fino ad oggi, in

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MADE IN ITALY

fatti, il consumatore finale si è in

genuamente fidato di quanto le etichette riportavano, spesso in modo falso. Il ddl prevede che l’impresa produttrice debba for nire in modo sintetico ma esau stivo tutte le informazioni sul ri spetto della normativa europea, sulla conformità dei processi lavo rativi alle norme internazionali in materia di lavoro, sulla certifica zione di igiene e di sicurezza dei prodotti, sull’esclusione dell’im piego di lavoro minorile e sul ri spetto degli accordi internazionali in materia ambientale. L’etichettatura sarà obbligatoria? L’impiego della denominazione made in Italy sarà permesso esclu sivamente alle imprese che ne fa ranno richiesta per prodotti finiti per i quali le principali fasi di la vorazione avranno avuto luogo prevalentemente sul nostro terri torio nazionale. In questo modo si mette il cliente nelle condizioni di sapere cosa sta comprando. Questa legge vuole dare un segnale forte e chiaro al mondo della nostra pic cola e media impresa e restituire al Paese nuove prospettive di crescita. Il made in Italy rappresenta un vantaggio per i nostri artigiani ed è giusto che venga tutelato. Come giudica la situazione economica della sua regione, la Calabria? La crisi che ha colpito tutti i Paesi non ha risparmiato nemmeno l’Italia. Naturalmente quelle che stanno soffrendo maggiormente sono le regioni più deboli, tra le

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quali la Calabria. Tuttavia, non mi stancherò mai di ripetere che la mia regione ha delle risorse incre dibili non ancora adeguatamente sfruttate. Basti pensare che ha circa 800 chilometri di coste, più di 15mila chilometri quadrati di ter ritorio con le montagne più belle del mondo, ma soltanto due mi lioni di abitanti. Quindi, a conti fatti, potrebbe essere potenzial mente una delle regioni più ricche del mondo. Ma non è così. O al meno non ancora. Per raggiungere questo importante traguardo, dob biamo lavorare seriamente e con

Se non si interviene, rischiamo che prodotti di bassa qualità e di dubbia provenienza vengano spacciati come nostre creazioni, con il serio pericolo di vedere irrimediabilmente danneggiata la nostra immagine nel mondo


Santo Versace

impegno. E per questo è fonda mentale che la classe politica e quella dirigente sia adeguata agli obiettivi e, dunque, veramente ca pace di sviluppare le potenzialità della regione. Per questo motivo tutti i parlamentari calabresi, di qualsiasi colore politico, hanno de ciso di approfittare dell’opportu nità data dalle prossime elezioni regionali del 28 e 29 marzo per far sì che i partiti si impegnino a scegliere e mettere in lista solo per sone di qualità, il cui valore sia fuori discussione. Perché la Cala bria se lo merita. CALABRIA 2010 • DOSSIER • 21


L’IMPRESA DELLE DONNE

Dalle donne uno slancio verso il progresso Immaginano soluzioni nuove in vecchi contesti. Sanno essere credibili e innovative. Riescono a diventare un punto di riferimento nel loro settore, nonostante le difficoltà. Ecco perché le donne sanno essere grandi. Ed ecco perché vengono selezionate, ogni anno, dalla Fondazione Bellisario. Che le premia, per dir loro “grazie di esserci” Giusi Brega

arisa Bellisario una volta disse: «Per una donna, fare carriera è più difficile, ma è più divertente». Un’eredità sintetizzata in una manciata di parole. Quella frase «è il messaggio che vorrei arrivasse alle nuove generazioni di donne italiane». È questo l’auspicio di Lella Golfo, motore e cuore della Fondazione dedicata a Marisa Bellisario, una delle figure professionali più prestigiose della storia dell’imprenditoria italiana, che da oltre vent’anni lotta per vedere riconosciuti i diritti delle donne e le pari opportunità. Marisa, ricorda Golfo, «è il simbolo della donna che è riuscita a imporsi in un mondo esclusivamente maschile con la sua voglia di lavorare, il suo altruismo, la sua sensibilità». E soprattutto in virtù di quelle capacità, alimentate da solide competenze, che le hanno permesso di rompere tabù, tagliare traguardi allora impensati e inanellare una lunga serie di successi. «Le

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donne hanno tutte le capacità per potersi fare strada da sole. E sono consapevoli che è necessario abbattere il muro che le relega ai margini». Dalle istituzioni al management. Questo malgrado «siano una preziosa risorsa dal punto di vista delle scelte strategiche, delle politiche del lungo termine, dell’attenzione al cliente e al lavoratore. In questo momento, fermo restando che credo nelle persone al di là del genere, le donne potrebbero essere davvero quella “marcia in più” necessaria al Paese per affrontare un momento di cambiamento e di difficoltà», osserva la presidente della Fondazione che, sul piano politico (è deputata per il Pdl) insieme alla senatrice Anna Cinzia Bonfrisco, sta portando avanti un’iniziativa legislativa per l’istituzione dell’Autorità garante della parità. L’obiettivo è valorizzare le professionalità femminili e affermare le pari opportunità in tutti gli ambiti, diffondendo una cultura che vede nella parità un’occasione di

Nata a Reggio Calabria, Lella Golfo vive a Roma. Il suo nome è legato all’ideazione della Fondazione Marisa Bellisario

sviluppo e progresso. Così come sta facendo da vent’anni la Fondazione Marisa Bellisario, anche attraverso la premiazione di tantissime donne, che vengono insignite della “Mela d’Oro”. Con quali criteri vengono selezionate le vincitrici della Mela d’Oro? «Le donne che ricevono il premio sono accomunate da un requisito: essere un paradigma dell’eccellenza nei settori della vita produttiva nazionale e internazionale. Ne premiamo la credibilità e la capacità di immaginare soluzioni nuove in contesti vecchi, le doti da innovatrici, il fatto di riuscire ad essere punti di riferimento nonostante una ancora diffusa reticenza a riconoscere alle donne un ruolo pubblico, che vada oltre le mura dome-


Lella Golfo

stiche. Per il resto, i curricula che la commissione esaminatrice vaglia ogni anno, parlano da sé. Sono il top, una risorsa che la fondazione riconosce e premia». Secondo la mitologia greca la Mela d’Oro andò “alla più bella”. La bellezza è ancora considerata un “mezzo” per fare carriera? «Confesso che questa diatriba sulla bellezza non è mai stato un mio problema. Tuttavia, con molta onestà, va detto che la bellezza aiuta, ma io sono abituata a ragionare sui meriti. Se penso rapidamente a tutti gli uomini che nel corso della storia hanno esercitato potere e ottenuto successo, non mi ricordo di personaggi poco avvenenti. Guardate Obama, è un incrocio perfetto tra un africano e un occidentale. Fisicamente prestante, con un’eleganza e un dinamismo fuori dal comune. Ma chi se la sentirebbe di dire che è presidente degli Stati Uniti solo perché è un bell’uomo? Nessuno.

E vorrei che lo stesso criterio fosse applicato alle donne, la cui bellezza è, quasi sempre, l’esteriorizzazione di talenti che vanno oltre la bellezza stessa. È la natura che, evidentemente, fa belle le persone che dota di molti altri talenti». Qual è la situazione nel panorama nazionale per quanto riguarda le donne al potere e quali i parallelismi con gli altri Paesi? «La situazione italiana di donne al potere, in senso lato, è abbondantemente sotto la media dei paesi europei. Alla Camera dei deputati le donne sono al 21%, al Senato addirittura al 18% ed è da considerare che questi risultati costituiscono il massimo storico nella storia della nostra Repubblica. Nelle Autorità di vigilanza, che sono 9, siedono soltanto 3 donne, su un totale di 53 commissari. Se passiamo al campo delle società quotate in borsa, abbiamo calcolato un 6% di donne nei consigli di

amministrazione, 167 su 2.831 posti. Peggio di noi fa solo il Portogallo». Nel Nord Europa la presenza femminile nell’imprenditoria e nel management aziendale è maggiore. Cosa si potrebbe “importare” nel nostro Paese? «L’esempio più dirompente di politica per le pari opportunità ci viene dalla Norvegia, dove dal 2004 vige l’obbligo per le imprese, a pena di scioglimento, di avere nei propri board almeno il 40% di donne. Quella legge ha raggiunto un risultato eccezionale, e le aziende norvegesi sono passate in cinque anni dal 6 per cento di donne al 44%, al punto che anche Spagna e Francia stanno seriamente pensando di introdurre un vincolo analogo. Per noi quello norvegese è un modello positivo per quanto riguarda gli obiettivi, ma crediamo che sia necessario un aggiustamento che lo renda compatibile con la realtà economica e sociale italiana. Ad esempio lo sciogli- CALABRIA 2010 • DOSSIER • 27


L’IMPRESA DELLE DONNE Lella Golfo (a sinistra) con Paola Balducci, avvocato e docente universitario, vincitrice della XXI edizione del Premio Marisa Bellisario, la Mela d’Oro, dedicata, quest’anno, al tema “Donne per una Giustizia giusta”

UN’EREDITÀ IMPORTANTE arisa Bellisario è stata una manager di livello internazionale, una pioniera delle telecomunicazioni, un esempio di parità dimostrata e di leadership femminile nel nostro Paese. Nel 1959, giovane neolaureata, rifiutò il posto fisso in banca per gettarsi nel più improbabile dei settori, quello dei computer. Entrò nella divisione elettronica della Olivetti. Nel 1963, l’Olivetti si fuse con la Bull, e già l’anno dopo tiravano venti di crisi. Si decise quindi la cessione della divisione elettronica alla General Electric e per Marisa Bellisario cominciarono i primi scambi internazionali. Nel 1965 si recò, per la prima volta, a New York e in breve tempo ottenne anche in America il pieno riconoscimento delle sue doti manageriali. Il decisionismo, le capacità e le competenze, coniugate con l’esperienza, ne fecero una indiscussa protagonista della Honeywell. Nel 1979, fu nominata presidente della Olivetti Corporation of America, carica che mantenne fino all’81, quando tornò in Italia per prendere le redini dell’Italtel che viveva una fase di acuta regressione. In qualità di amministratore delegato, Marisa dovette compiere scelte coraggiose e lungimiranti. E riuscì nel miracolo di trasformare un complesso di fabbriche da rottamare in un’azienda elettronica all’avanguardia. Un successo indiscusso che la consegnò ai manuali di economia come esempio di ristrutturazione di un’azienda pubblica e le fece guadagnare, nel 1986, il premio di manager dell’anno. La sua vita fu stroncata dalla malattia nel 1988. Con lei l’Italia perse una manager che sarebbe stata provvidenziale per lo sviluppo delle telecomunicazioni nel nostro Paese.

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Le donne che ricevono il premio sono accomunate da un requisito: essere un paradigma dell’eccellenza nei settori della vita produttiva nazionale e internazionale mento delle società che non si adeguano mi pare eccessivo. Per questo motivo nella proposta di legge che ho presentato, e che è in discussione alla Camera, si delega la Consob nella scelta delle sanzioni più opportune per le società quotate che non rispettino le prescrizioni della legge, la quale prevede il 30% di genere nei board». Quali sono i principali ostacoli in Italia per l’imprenditoria femminile? «Un welfare familiare scaricato interamente sulle loro spalle, e l’assenza di qualsiasi contributo da parte dei partner uomini. Molto spesso le donne arretrano o rivedono i propri obiettivi di carriera per far fronte agli impegni familiari. La riforma di questo stato di cose va condotta su due piani, uno legislativo, che ap28 • DOSSIER • CALABRIA 2010

presti gli strumenti conciliativi utili ad alleggerire il peso della famiglia per le donne, un altro culturale, che coinvolga anche gli uomini nell’assunzione di impegni e responsabilità da cui finora si sono tenuti lontani. Per esempio, nel 2008, 233.588 lavoratori hanno richiesto di usufruire del periodo di congedo parentale previsto dalla legge. Di questi, solo 17.207 sono stati papà. Ci tengo a precisare, comunque, che nonostante questi ostacoli, l’imprenditoria femminile italiana è viva e vivace, e nell’ultimo anno le imprese guidate da donne sono cresciute dell’1,5%, mentre nel complesso lo stock di imprese diminuiva dello 0,2%. Il trend positivo, quindi, c’è, ma va assecondato con interventi di riforma del welfare puntuali e concreti».



IL CORAGGIO DI CAMBIARE

Occorre riconquistare il sensodello Stato L

a Calabria è da sempre in mezzo al guado: stretta tra la forza dirompente della criminalità e da quella forse Prima ancora delle istituzioni sono i cittadini stessi ancor più dannosa del malaffare poa dover alzare la testa e sostenere la lotta a favore litico istituzionale». È un quadro sincero e attuale quello propodella giustizia. Giancarlo Pittelli lancia un appello aspro, sto da Giancarlo Pittelli. Il celebre ai suoi corregionali, tristemente “abituati” all’illegalità. penalista calabrese, parlamentare della Un grido di allarme teso a risvegliare un senso civico Repubblica dal 2001 oggi alla sua see di giustizia di cui la Calabria, ma anche conda legislatura alla Camera dei Del’Italia intera, necessitano putati, esprime con toni amari le sue considerazioni, anche in virtù del Pierpaolo Marchese fatto che la sua terra natale, amata e profondamente vissuta, pare non si scandalizzi più dinanzi al degrado soL’onorevole avvocato Giancarlo Pittelli all’interno della sede catanzarese ciale e istituzionale. E il suo interdel suo studio associato.Nella pagina a fianco, una visuale di Montecitorio vento avviene proprio in seguito all’esplosione della bomba dinanzi alla Corte d’Appello di Reggio Calabria. «È difficile dover constatare la metabolizzazione, da parte dei calabresi, di qualunque evento che, in un altro luogo, suonerebbe come eccezionale – afferma Pitteli -. Ormai nulla impressiona più i miei corregionali, rassegnati a vivere in una condizione di assoluta precarietà, di ancestrale incertezza». In realtà, non è tanto una pura lamentela quella esposta dall’onorevole, quanto un grido di allarme teso a risvegliare un senso civico e di giustizia di cui la Calabria, ma anche l’Italia intera, necessitano. «In questa regione molti approfittano della situazione cercando di lucrare, attraverso la politica, quella di bassissimo livello. Coloro i quali non si rassegnano conducono le loro battaglie contro i mulini a vento rimanendo schiacciati dalla loro stessa utopia ed isolati. Un fenomeno preoccupante, poi, è rappresentato dalla presenza di impostori senza

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scrupoli, giustizialisti d'occasione, imbonitori che fanno leva sul sentimento di rabbia e di ribellione degli oppressi per conseguire vantaggi e posizioni politiche conquistate attraverso le mistificazioni, i falsi, il contrabbando della loro immagine». Cosa la ferisce soprattutto? «Chi sfrutta la disperazione, la speranza, i sogni di giustizia e di equità, soprattutto dei giovani. Mi auguro soltanto che prima o poi costoro vengano smascherati definitivamente. La Calabria è terra di trasversalismo, di compromessi, di collusioni indicibili. Io ho scelto di rimanere e di operare in questa regione, terra che amo profondamente. E come me tanti che non intendono rinunciare alle lotte silenziose, quotidiane e vere per un territorio che non sia additato per sempre quale luogo di misteri e di malaffare». Lei, prima che politico, è avvocato. Cosa significa per un penalista operare in Calabria? «Questa è una terra difficilissima da vivere. E in cui è ancora più difficile svolgere il mestiere di avvocato penalista. Il tentativo di coinvolgimento da parte della criminalità è continuo e occorre grande attenzione. Il penalista è esposto in più direzioni: da una parte è visto come colui il quale consente l'ottenimento di impunità clamorose, talvolta come il fiancheggiatore di coloro che assiste. Sono in pochi a comprendere che i penalisti, quelli veri, si intende, non sono altro che i difensori dell'uomo e delle sue miserie, delle garanzie che i codici gli accordano. Non sono i difensori del delitto». Come giudica la classe forense ca-

Nel rivendicare la tutela delle prerogative della magistratura si invoca spesso la Costituzione repubblicana e la sua intangibilità. Ma si tratta di un alibi inconsistente

labrese? «Lei mi pone una domanda alla quale mi è molto agevole rispondere. I penalisti che conosco, in verità li conosco quasi tutti, sono professionisti di indiscusso valore, di straordinaria preparazione e di non comune sensibilità giuridica. Noi abbiamo appreso alla scuola dei grandi del '900. Non dimentichi che Cosenza è la città in cui venne fondata da Francesco Alimena la scuola positiva di diritto penale. E non vanno dimenticati i grandi che ho avuto la ventura di ascoltare, quando, ancor prima d'essere avvocato, seguivo mio padre nelle aule di giustizia. Non dimenticherò mai e

ambirò sempre, ma non spero nel successo, la sintesi meravigliosa di Luigi Gullo, la lucidità e la signorilità di Aldo Casalinuovo, la logica stringente di Alfredo Cantafora e Francesco Giurato, la straordinaria filosofia processuale di Giuseppe Seta. Gli eredi di costoro che non sono più hanno imparato le lezioni straordinarie che hanno impartito ogni giorno nelle aule dei tribunali calabresi e italiani. Gli allievi, in molti casi, hanno dato prova di apprendimento e di discreta e devota emulazione». A proposito di giustizia, la riforma è al centro del tavolo di di- CALABRIA 2010 • DOSSIER • 31


IL CORAGGIO DI CAMBIARE

TRA LEGGE E POLITICA scussione politica. Come stanno procedendo le istituzioni? «La riforma della Giustizia non è più al centro del dibattito politico: si tratta di un vero e proprio scontro tra opposte fazioni. Una tende al riequilibrio dei poteri e a infrenare, come è giusto, lo strapotere della magistratura che sempre più frequentemente è volto alla tutela di interessi non sempre nobili. L’altra, di contro, tenta a ogni costo di preservare i privilegi dell'unica vera “casta” esistente nel nostro Paese, le sue prerogative e la strumentalità di esse rispetto al perseguimento di fini politici». Dunque la strada delle riforme è sempre più “dissestata”? «Da anni, ormai, si tenta questo percorso. Si è sempre trattato di palliativi che non hanno avuto il merito di risolvere, una volta per tutte, i problemi che affiggono il rapporto tra magistratura e politica e tra magistratura e cittadini. D'altra parte i numeri indicano con estrema chiarezza la cifra della sfiducia che gli italiani nutrono nei confronti della giustizia. Nel rivendicare la tutela delle prerogative della magistratura si invoca troppo spesso la Costituzione repubblicana e la sua intangibilità. In verità si tratta di un alibi assolutamente inconsistente». Per quali ragioni? «La nostra Carta Costituzionale fu concepita subito dopo la fine del fascismo e i nostri costituenti, l'onorevole Francesco Caroleo, mio nonno materno, era tra costoro, concepirono indipendenza e autonomia della magistratura sull'esperienza condizionante del regime totalitario. I tempi sono cambiati e nessuno vuol

mettere in discussione, nonostante tutto, i due valori costituzionali dell'indipendenza e dell'autonomia. Qui si tratta di impedire, come accade nei Paesi più evoluti e democratici del nostro, che i magistrati, soprattutto quelli inquirenti, possano condizionare, come è avvenuto e avviene quotidianamente, qualunque settore della vita sociale prevalendo nettamente sulla politica legittimata dal consenso popolare». Dunque a suo parere dove occorre intervenire prima di tutto? «Sono due le riforme più importanti da attuare. Prima fra tutte quella che riguarda l'organo di autogoverno dei magistrati, quanto alla sua composizione e alla separazione della sezione disciplinare. Oggi il CSM è governato da pratiche e logiche spartitorie, correntizie, di appartenenza. Non è più pensabile che le nomine dei capi degli uffici vengano effettuate secondo il manuale Cencelli del CSM che tanto scandalo ha provocato laddove veniva utilizzato in politica. Non è più concepibile che i provvedimenti disciplinari vengano adottati a seconda dell'appartenenza correntizia o dei rapporti amicali o che essi vengano accelerati o rallentati alla bisogna. La sezione disciplinare posta all'esterno del CSM e composta da tecnici autorevoli garantirebbe la correttezza e l'imparzialità del giudizio in materia di illeciti disciplinari. La seconda: occorre rivedere al più presto la legge sulla responsabilità civile dei magistrati. Ci fu un referendum negli anni '80 e una legge che non rispecchiava affatto la volontà popolare. Nel nostro Paese chiunque sbaglia è responsabile direttamente ed è tenuto

Nelle procure calabresi si lavora senza clamore e protagonismi. La lotta alla criminalità è diventata seria 32 • DOSSIER • CALABRIA 2010

Quello dell'avvocato Giancarlo Pittelli è sicuramente uno dei nomi più prestigiosi dell'avvocatura calabrese e nazionale. È a capo di uno studio sorto nei primi anni trenta a opera del padre Mario, oggi quasi centenario, presso il quale svolgono l'attività professionale in campo penalistico una ventina di professionisti divisi tra la sede principale situata nella centralissima Piazza Roma di Catanzaro e quella romana di Via della Lupa, a pochi passi dal Parlamento. Da qualche anno lo studio ha assunto la denominazione di “Studio Pittelli & Associati” a seguito della partecipazione, in forma associata, dei collaboratori di “lungo corso”: Sergio Rotundo, avvocato cassazionista, Vincenzo Galeota e Domenico Pietragalla i quali, da oltre quindici anni, esercitano la professione forense a fianco di Giancarlo Pittelli. Lo Studio Pittelli & Associati si occupa in maniera prevalente di affari penali ed è, nel contempo, consulente di grandi aziende, italiane ed europee, pubbliche e private, operanti nel campo delle costruzioni generali, dell'energia e della finanza. Giancarlo Pittelli è parlamentare della Repubblica dal 2001. È alla sua seconda legislatura alla Camera dei Deputati ed è stato Senatore nella XV legislatura. È stato, sia alla Camera che al Senato, membro della Commissione Giustizia e relatore di diversi disegni di legge. Insegna Diritto Penale presso l'Università telematica E-Campus di Novedrate (Como).


Giancarlo Pittelli

In alto, Giancarlo Pittelli, al centro, con alcuni membri del suo staff all’interno dello studio di Catanzaro. A fianco, il tribunale di Catanzaro - g.pittelli@studiopittelli.it

al risarcimento. Solo i magistrati sono immuni e possono sbagliare: è molto semplice dissimulare i casi di dolo o di colpa grave». A proposito di immunità, lei è favorevole a quella parlamentare? «Il Parlamento dovrebbe avere il coraggio di ripristinarla così come era prevista dalla originaria formulazione dell'articolo 68. Qualcuno sperava, in piena tangentopoli, di ottenere i salvacondotti regalando un'altra fetta di potere di intervento alla magistratura. È stato un errore gravissimo che ha consentito a quella piccolissima parte di magistrati, perché in realtà la stragrande maggioranza di questi è fatta di uomini e donne che lavorano nel chiuso delle loro stanze con spirito di servizio e abnegazione, di interferire nelle scelte della politica e di condizionare ogni scelta poco gradita. La politica oggi è ostaggio di quella parte di magistratura». Il governo ha raggiunto importanti risultati nella lotta alla crimi-

nalità, anche se continuano a verificarsi gravi episodi di delinquenza e intimidazione. «È vero, sono stati assestati colpi importanti. La magistratura opera in maniera adeguata nonostante le carenze ben note delle quali risente. Ma lo Stato dovrebbe essere affiancato dal popolo calabrese, ancora non del tutto convinto di poter fare affidamento sulla sua presenza. Occorre un radicale cambiamento culturale dei calabresi affinché comprendano appieno da quale parte collocarsi nel contesto della società e acquistino fiducia nelle istituzioni. La bomba fatta esplodere dinanzi alla Corte d'Appello di Reggio Calabria la dice lunga sul timore delle organizzazioni rispetto all'operato della Procura reggina. In quasi tutte le procure calabresi si lavora in silenzio, senza clamore, senza le veline passate alla stampa per accreditare la serietà di un'indagine, senza più protagonismi. La lotta alla criminalità e al malaffare

è diventata seria. E come sostengo da anni, ormai, è solo questione di uomini, di serietà, di responsabilità e di impegno». Quali sono i sostegni e le sfide che lo Stato dovrà affrontare nel prossimo futuro? «È compito della politica schierarsi a sostegno di quei magistrati che fanno il proprio dovere vivendo blindati nei loro uffici. Di quelli seri, determinati, preparati. La sicurezza in Calabria è un problema serio, sofferto. Ma non possiamo pensare che il senso di sicurezza possa caderci dall'alto in virtù dell'opera di terzi. Dovremo essere noi stessi a renderci conto di quanto sia determinante il nostro apporto, la riconquista del senso dello Stato e della collettività. Senza un salto ideologico e culturale di questo tipo l'opera di molti potrebbe avere effetti molto limitati nel tempo. La Calabria è dei calabresi? E allora che siano costoro i primi ad averne rispetto e amore». CALABRIA 2010 • DOSSIER • 33


LA VARABILE DEMOGRAFICA

Addio valigia di cartone ecco il nuovo migrante Mancanza di opportunità lavorative e ritardo economico. Queste le cause principali dell’emigrazione dal Mezzogiorno. E a partire, alla ricerca di un avvenire meno incerto, sono spesso «le persone più qualificate». L’analisi di Manuela Stranges, ricercatrice di demografia all’Unical

Italia è contraddistinta da forti disparità per quanto attiene le dina miche migratorie. Il Centro Nord, così come tipica mente accade nei Paesi più indu strializzati, si caratterizza come un’area ad alta mobilità, nella quale a una vivace dinamica interna e a un forte pendolarismo si affiancano consistenti flussi in entrata prove nienti dalle regioni meridionali e dall’estero. Nel Mezzogiorno, in Giusi Brega vece, la mobilità di breve e medio raggio è limitata, soprattutto in ra Nella foto, Manuela Stranges, ricercatrice universitaria gione della minore diffusione di at di demografia presso il dipartimento di Economia tività produttive e opportunità la e statistica dell’Università della Calabria vorative, la dinamica con l’estero è più contenuta per le medesime ra gioni, con una bassa immigrazione dall’estero, per lo più non qualifi cata, e con consistenti flussi emi gratori qualificati in uscita soprat tutto verso le regioni settentrionali. La Calabria è una regione che pre senta una dinamica demografica complessiva prossima alla crescita zero commenta Manuela Stran ges, ricercatrice universitaria di de mografia presso il dipartimento di Economia e statistica dell’Univer sità della Calabria. In particolare, nel 2008, la popolazione della re gione è cresciuta di sole 1.002 unità, in conseguenza di una cre scita naturale negativa 388 unità e di un saldo migratorio legger

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mente positivo pari a 1.390 unità. Per comprendere l’esiguità di queste cifre, basti considerare che il tasso di crescita della Calabria è stato pari, sempre nel 2008, allo 0,50‰, ben poca cosa rispetto al 7,12‰ medio italiano. Per quanto riguarda, nello specifico, la com ponente migratoria il tasso di ac crescimento medio dell’anno è stato pari solo allo 0,69‰, contro un valore nazionale del 7,26‰. È interessante notare che, se si scom


Unical

L’IDENTIKIT DI CHI PARTE È giovane, senza figli, con un alto livello di istruzione. Parte alla ricerca di un lavoro più stabile e, soprattutto, con lo scopo di far fruttare il titolo di studio conseguito a fascia d’età con maggiore intensità migratoria è quella compresa tra i 25 e 34 anni (45,9% tra i migranti dal Mezzogiorno verso il Centro Nord), e la quota di laureati tra i migranti (28,7% nella direttrice sud-nord) è quasi tre volte quella rilevata nell’intero campione della rilevazione. Altro elemento molto diverso rispetto al passato è relativo alla composizione per genere: le donne rappresentano, infatti, ben il 55% degli emigranti dal Mezzogiorno, quindici punti percentuali in più rispetto alla metà degli anni novanta, quando a emigrare erano soprattutto gli uomini. La presenza di un coniuge o di figli rappresenta un deterrente alla mobilità. Infatti, i dati mostrano come le persone non coniugate presentano una maggiore facilità di spostamento e costituiscono, il 20% del totale dei migranti in Italia e il 25% tra gli emigranti dal Mezzogiorno. Anche la presenza di figli frena gli spostamenti: infatti, la percentuale di coppie senza figli tra i migranti dal Mezzogiorno è del 33,9%, valore elevato se confrontato al 13,9% del totale degli intervistati nella Rilevazione sulle forze di lavoro (Rfl). Un elemento che si è fortemente modificato nel tempo è quello relativo al grado di istruzione dei migranti. Oggi dalle regioni meridionali sono soprattutto le persone con più alto livello di qualificazione a migrare: secondo le elaborazioni della Banca d’Italia sui dati della Rfl, Calabria, Basilicata e Puglia registrano ogni anno un deflusso di 1,2 laureati ogni 100 residenti con un analogo titolo di studio. Il trend negativo è addirittura aumentato nell’ultimo quinquennio rispetto a quello precedente per tutte le regioni meridionali, a dimostrazione che le scelte migratorie dei laureati sono molto più reattive ai differenziali economici tra le regioni rispetto a quelle del resto della popolazione. Infatti, nel periodo considerato, il divario in termini di opportunità lavorative tra il Meridione e il Centro Nord si è ampliato, contribuendo all’accelerazione dei flussi migratori su questa direttrice. Si tratta, quindi, di vero e proprio brain drain, quella che viene comunemente definita oggi come la “fuga dei cervelli” che ha delle ripercussioni negative sul capitale umano delle regioni interessate dai flussi in uscita.

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Fonte: Istat e Banca d’Italia (“La mobilità del lavoro in Italia: nuove evidenze sulle dinamiche migratorie”, Mocetti e Porello)

pone il saldo migratorio registrato considerando separatamente la componente nazionale e quella in ternazionale, ci si rende conto che la crescita manifestatasi è frutto solo del saldo migratorio con l’estero +9.736 unità, pari a un tasso di migratorietà con l’estero di +4,8 ‰, che compensa una dina mica migratoria nazionale forte mente negativa 7645, pari a un tasso di migratorietà interna di 3,8 ‰. Il valore positivo del saldo

migratorio con l’estero non deve, però, trarre in inganno sottolinea Stranges. La Calabria, infatti, è una regione che presenta un basso tasso di “attrattività” sia per le persone provenienti da altre regioni italiane sia per gli stranieri. Lo conferma il fatto che gli stranieri residenti nella nostra regione, pur essendo au mentati nel corso degli anni, rap presentano solo il 2,93% della po polazione calabrese complessiva, contro un valore di incidenza del

6,5% a livello nazionale. Nel considerare il fenomeno del l’emigrazione in un’ottica di in fluenza sull’economia della re gione, Stranges frena le conclusioni affermando che il nesso che esiste tra emigrazione e sviluppo econo mico non è, in realtà, così espli cito e definito come può apparire. Secondo alcuni studiosi l’emigra zione, in taluni contesti, può ad dirittura avere effetti positivi fun gendo da valvola di sfogo per la CALABRIA 2010 • DOSSIER • 43


LA VARABILE DEMOGRAFICA

SVIMEZ: IL MEZZOGIORNO DEVE APRIRSI ALL’ESTERO

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ell’ultimo Rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno si indica una possibile strada per “rompere” l’immobilità del sistema economico e favorire le potenzialità di sviluppo: accelerare il grado di apertura del Mezzogiorno, attraverso l’internazionalizzazione. Ciò deve avvenire sia attraverso una promozione dell’export, sia attraverso l’attrazione degli investimenti esterni, in particolare esteri. Bisogna, quindi, ridurre la perifericità del meridione, aumentandone anche l’accessibilità, sia fisica (migliorando, ad esempio, le vie di comunicazione), sia immateriale. La crescita economica derivante da questa “ricentralizzazione” delle regioni meridionali dovrebbe, poi, tradursi in un aumento dell’occupazione complessiva e, quindi, in una riduzione dell’emigrazione.

forza lavoro in esubero rispetto alle mento del reddito nazionale, sia a possibilità occupazionali, partico larmente nei Paesi caratterizzati da una rapida crescita demografica naturale. Quando a partire sono lavoratori sottoccupati e non qua lificati, l’emigrazione potrebbe al leviare il mercato del lavoro e la spesa sociale, oltre ad aumentare, come ad esempio accade oggi nel caso di molti stranieri residenti in Italia, il reddito delle famiglie ri maste nel luogo di origine grazie alle rimesse, ossia all’invio di parte dei guadagni degli emigranti. Le rimesse hanno, secondo alcuni stu diosi, effetti positivi sia a livello macroeconomico, se si conside rano gli incrementi degli scambi commerciali e di conseguenza l’au

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livello microeconomico, se si con sidera l’incremento di benessere delle famiglie generato da un in nalzamento dei consumi di beni e servizi. Ma, secondo una parte della dottrina economica, la quota delle rimesse, pur incidendo in maniera positiva sul Pnl, ha valori troppo bassi in termini economici per poter generare effetti positivi sull’economia del paese ricevente. Anche in Italia, soprattutto nelle regioni meridionali, l’emigrazione ha svolto questi ruoli. Oggi, però, non è più così, sottolinea la dot toressa Stranges. Quando a emi grare sono le persone maggior mente scolarizzate e qualificate si ha un duplice svantaggio com

La Calabria ha una forte incidenza del lavoro nero, spesso sottopagato e, in ogni caso, non tutelato e, quindi, sempre meno rispondente alle esigenze e alle aspirazioni dei giovani laureati calabresi. Sono, infatti, sempre più i laureati a lasciare la regione. La politica e le istituzioni dovrebbero creare nuove opportunità lavorative


Unical

NUOVE PRECARIETÀ: IL PENDOLARISMO DI LUNGO RAGGIO

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dati Istat mostrano che se in Italia il 96% dei pendolari lo è nella stessa provincia o in una contigua, mentre il 4% lo è in una provincia non contigua, tali percentuali sono rispettivamente del 91,7% e 8,3% per il Mezzogiorno e del 90,5% e del 9,5% per la Calabria, contro valori del Centro Nord pari a 97,2% e 2,8%. Questo può spiegarsi col fatto che il pendolarismo di breve raggio è connesso alla presenza di attività produttive diffuse sul territorio, di insediamenti e aree urbane integrati tra di loro, di migliori infrastrutture che permettono collegamenti tra i diversi mercati locali del lavoro. Tutte cose non presenti in Calabria e nel Mezzogiorno dove le aree urbane sono più contenute e le città sono meno attrattive rispetto al territorio circostante. Il pendolarismo di lungo raggio, invece, consente di lavorare in una regione con maggiori opportunità di realizzazione mantenendo la residenza nel luogo di origine. È una soluzione per la quale optano, per lo più, i giovani maschi istruiti (76% tra i pendolari di lungo raggio) e con una situazione familiare e occupazionale non ancora consolidata. Il 43% dei pendolari di lungo raggio ha tra i 25 e i 34 anni; il 44% possiede un diploma di scuola media superiore e il 25% una laurea. Il 70% lavora nel settore dei servizi. Per quanto attiene le caratteristiche dell’impiego, il 55% ha una qualifica medio-alta e il 90% è costituito da lavoratori dipendenti (un terzo dei quali a termine).

menta. Innanzitutto, il frutto de gli investimenti in termini educa tivi, formativi, sociali, ma anche sanitari e assistenziali sostenuti da uno Stato per qualificare chi migra vengono godute dal Paese rice vente; in secondo luogo, il Paese perde la parte migliore della pro pria forza lavoro con conseguenze negative in termini di sviluppo economico e sociale. Infatti, sem pre più frequentemente sono i gio vani, in buona salute, più intra prendenti e maggiormente specializzati, a lasciare il luogo di origine alla ricerca di un avvenire meno incerto, soprattutto allo scopo di far fruttare il titolo di stu dio conseguito. Quel che è certo  continua Stranges  è che l’emi

grazione dei lavoratori più qualifi cati può comportare un depaupe ramento di capitale umano che, a sua volta, finisce per acuire i diffe renziali territoriali esistenti tra le due aree del Paese in termini di produttività, competitività e cre scita economica. Inoltre la Cala bria è una regione con una forte incidenza del lavoro nero, che è spesso sottopagato e, in ogni caso, non tutelato e, quindi, sempre meno rispondente alle esigenze e alle aspirazioni dei tanti giovani laureati calabresi. Sono, infatti, sempre più i laureati a lasciare la nostra regione. Bisogna, dunque, che la politica e le istituzioni si at tivino per creare nuove opportu nità lavorative per i giovani, favo

rendo l’imprenditorialità, l’emer sione del lavoro nero che spesso caratterizza l’ingresso nel mercato del lavoro e talvolta, purtroppo, si estende anche ben oltre; indivi duare sistemi per abbattere il clien telismo imperante che, contrappo nendosi a un sano principio meritocratico, scoraggia tanti gio vani a rimanere lì dove sono nati e si sono formati. A tal proposito, una riduzione della spinta a emi grare potrebbe aversi anche favo rendo il collegamento tra le uni versità e il mondo del lavoro, in modo da accelerare i tempi di in serimento nel mercato del lavoro e migliorare la spendibilità del capi tale umano formato nel contesto produttivo locale. CALABRIA 2010 • DOSSIER • 45


LA VARABILE DEMOGRAFICA

I calabresi nel mondo legati alle proprie radici e in cerca di riscatto L’origine calabrese sembra essere il minimo comune denominatore di molti personaggi di successo. Politici, grand commis di Stato, professionisti. Persone che sentono forte il desiderio di aiutare i propri corregionali che hanno cercato fortuna altrove a «mantenere vivi i rapporti con la propria terra». E a valorizzarla. Creando progetti che durino nel tempo. «Questa è la Calabria positiva». Come sottolinea Giuseppe Accroglianò presidente della C3 International Giusi Brega

Nella foto, Giuseppe Accroglianò, presidente del Centro culturale calabrese

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l senso di appartenenza. È questo che caratterizza i ca labresi. E non importa dove vivono, anche lontani mi gliaia di chilometri dalla loro terra. I calabresi si riconoscono “a fiuto” e si legano anche se non si cono scono, solo in virtù del fatto di sentirsi membri di un’unica grande famiglia. Questo pensiero guida da oltre 25 anni l’attività di C3 International, l’associazione che unisce i calabresi nel mondo e che conta 74mila iscritti nella sola città di Roma. Tra loro, uomini politici, magistrati, dirigenti pubblici, gior nalisti, personaggi del mondo dello spettacolo e della televisione. Tutte persone che, dopo aver la sciato la loro terra, sono riusciti ad affermarsi nella professione e nella vita mantenendo l’orgoglio della loro origine sottolinea con soddisfazione Giuseppe Accro glianò, presidente dell’associazione che raggruppa nomi autorevoli, dal presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni Corrado Calabrò ad Antonio Ca tricalà, presidente dell’Antitrust, passando per due presidenti eme riti della Corte costituzionale, An

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Giuseppe Accroglianò

Da sinistra, l’asso del Milan Gennaro Gattuso, la giornalista televisiva Anna La Rosa e il presidente dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni Corrado Calabrò

Raccontando le storie di calabresi che hanno avuto successo offriamo un esempio positivo ai giovani che stanno costruendo oggi il futuro loro e della regione

nibale Marini e Cesare Mirabelli, il Cavaliere del Lavoro Giuseppe Marra direttore Adnkronos, la giornalista Anna La Rosa, solo per citarne alcuni. Queste persone sono simbolo della Calabria posi tiva rimarca il presidente Accro glianò che con la sua associazione si impegna a organizzare eventi culturali che diano la possibilità di presentare progetti per la valo rizzazione del Mezzogiorno e della Calabria. Intento dichiarato del l’associazione è, appunto, aiutare i calabresi che hanno lasciato la loro terra con l’obiettiva di realizzare altrove le proprie aspirazioni pro fessionali a mantenere un legame con i concittadini rimasti a casa. Inoltre, raccontando le tante storie di calabresi che hanno avuto suc cesso cerchiamo di offrire un esempio positivo ai giovani che stanno costruendo oggi il futuro

loro e della regione. Secondo i dati forniti dalla C3 International sono circa 2 milioni e mezzo i ca labresi emigrati all’estero o in altre regioni d’Italia, numero destinato a crescere a causa della profonda crisi che si è abbattuta a livello mondiale. La meta preferita è l’America del Nord, tra Stati Uniti e Canada. Ma anche l’Europa sottolinea Accroglianò che indivi dua come motivazioni della “fuga” all’estero il desiderio di avere maggiori opportunità di studio, lavoro e carriera. Ma per aiutare i calabresi a restare e realizzarsi nella loro regione e, al contempo, far sì che la Calabria possa crescere, il presidente Accroglianò non ha dubbi. Occorre creare progetti fi nalizzati all’inserimento nel mer cato di lavoro delle nuove genera zioni e iniziative industriali che vivano nel tempo. CALABRIA 2010 • DOSSIER • 47


POLITICHE DEL LAVORO

Le ragioni del diritto e quelle del mercato Sono passati sei anni dall’entrata in vigore della legge 30. Le polemiche si sono ridotte e ancora molto resta da fare, ma i risultati sul mercato del lavoro italiano si vedono. L’analisi dell’onorevole Giuliano Cazzola Paolo Nobilio

e si vuole rivolgere una critica fondata alla legge 30, la sola possibile è la seguente: «che sia stata tanto generosa da risultare un po’ velleitaria». Per paradosso – ma è un effetto solo apparente – a distanza di sei anni dall’entrata in vigore la più onesta critica alla normativa ispirata dagli studi di Marco Biagi viene da chi, come Giuliano Cazzola, non ha mai smesso di difenderla. Si tratta, spiega l’onorevole, di un problema di realismo, della “dura legge del mercato”: «La cosiddetta legge Biagi si prefig-

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geva di separare i veri contratti di collaborazione da quelli fasulli, disponendo che questi ultimi venissero trasformati ope legis in contratti a tempo indeterminato. La realtà però – aggiunge – continua a essere diversa col sostanziale beneplacito di tutti, perché le ragioni dell’economia finiscono per essere più forti di quelle del diritto». È questo il vero snodo della questione, precisa Cazzola, attualmente vicepresidente della commissione Lavoro alla Camera. Biagi aveva, infatti, tentato di regolamentare almeno in parte una situazione di fatto già esi-

Giuliano Cazzola, eletto per il Pdl, è vicepresidente della commissione Lavoro alla Camera

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stente, nel bene e nel male. E se è vero che nel frattempo sono emerse nuove forme di contratti e rapporti complicando ulteriormente il quadro, non bisogna dimenticare i risultati che questa legge, controversa ma necessaria, è riuscita a produrre. A distanza di anni, la legge Biagi continua a far discutere politica e opinione pubblica. Perchè a suo avviso? «Le polemiche si sono ridotte, grazie anche al voto degli elettori, che hanno fortemente semplificato la rappresentanza parlamentare, estromettendo quei partiti neocomunisti che maggiormente avevano fatto della lotta alla legge Biagi la loro bandiera. In ogni caso sono stati i fatti a dare ragione a noi, difensori di quella legge. Per otto anni consecutivi il tasso di occupazione è aumentato e quello della disoccupazione è diminuito. Quegli incrementi non sono stati neppure vanificati completamente in conseguenza della crisi in atto e dei suoi effetti sull’occupazione». Più in generale, quali sono oggi le riforme non più procrastinabili in tema di lavoro? Il parlamento ha in cantiere qualche proposta di legge in particolare? «Di progetti di riforma ce ne sono


Giuliano Cazzola

tanti, anzi troppi. Pietro Ichino al Senato ha presentato parecchie iniziative interessanti, riguardanti in particolare la flexecurity, se si vuole un po’ all’italiana. Le cose più urgenti sono note: rafforzamento degli ammortizzatori sociali e loro tendenziale estensione a chi ne è privo, sia pure tenendo conto di caratteristiche particolari legate alla natura del rapporto di lavoro». La crisi economica ha rimesso nuovamente in discussione i modelli di regolazione normativa del lavoro. Per la politica quali sono le più importanti indicazioni emerse dalla congiuntura? «La linea del governo si è rivelata giusta. La mia è una valutazione che potrei riassumere parafrasando le affermazioni di Churchill sulla democrazia: la linea di Tremonti è stata la peggiore, eccezion fatta per tutte le altre, ovvero le proposte alternative presentate dalle opposizioni e dall’interno della maggioranza».

I fatti hanno dato ragione ai difensori della legge Biagi. Per otto anni il tasso di occupazione è aumentato e quello della disoccupazione è diminuito. Incrementi che neppure la crisi in atto ha vanificato completamente

Da “sindacalista pentito”, crede che si potrà ricostruire nel prossimo futuro un dialogo reale tra politica e sindacati, magari proprio sull’onda dell’emergenza portata dalla crisi? «Un dialogo esiste e non si è mai interrotto. L’accordo del 22 gennaio 2009 è stato sottoscritto da tutte le parti sociali esclusa la Cgil. Vogliamo per caso imitare gli inglesi i quali dicono che, quando c’è nebbia sulla Manica, è il continente a essere iso-

lato? In sostanza, i rapporti con la Cgil e la Fiom non sono la regola, ma l’eccezione». Il nodo più spinoso del lavoro atipico rimane, però, quello delle pensioni. Come risolverlo? «Sono in procinto di presentare insieme al senatore Treu una proposta di legge bipartisan che potrebbe affrontare questo problema. Si tratta di una delega orientata alla costruzione di un sistema pensionistico pubblico basato su due pilastri, entrambi a carattere obbligatorio: una pensione di base finanziata dalla fiscalità generale, su base universalistica, destinata a garantire, sia pure mediante la presenza e la maturazione di alcuni requisiti, a tutti i cittadini anziani prestazioni minime adeguate alle loro esigenze di vita; e una pensione di secondo livello, calcolata secondo il vigente sistema contributivo, volta a garantire prestazioni aggiuntive correlate ai contributi versati dai singoli soggetti nel corso della loro vita». CALABRIA 2010 • DOSSIER • 49


POLITICHE DEL LAVORO

È il reddito a essere precario non il posto di lavoro «Il lavoro precario? Non esiste». Ad affermarlo è il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti. «Sono i contratti a esserlo. E, di riflesso, la vita». Bisogna dunque scoraggiare le aziende che privilegiano rapporti di lavoro precari e «far sì che gli imprenditori diventino virtuosi» Alessandro Cana

a dichiarazione di Tremonti sul valore del posto fisso lo ha favorevolmente colpito, tanto da fargli esclamare «sembra un nostro iscritto». Frase che, lungi dall’essere ironica, voleva condividere il pensiero che avere una prospettiva di lavoro, e quindi anche di vita, stabile e sicura è un valore sociale. «A onor del vero – sottolinea il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti – il ministro non ha parlato di “posto fisso”, ma di “lavoro fisso”. Che è un concetto diverso». Poter contare sulla sicurezza del lavoro, infatti, «è importante anche dal punto di vista economico in una società che si basa anche, se non soprattutto, sui livelli dei consumi». È il lavoro fisso e non il posto fisso, dunque, il vero valore? «A mio avviso, il lavoro fisso va visto come un obiettivo a cui tendere per aumentare il livello di coesione sociale. La dichiarazione del ministro Tremonti è stata un po’ deformata. È naturalmente anacronistico parlare di posto fisso, una categoria ormai sorpassata e che ha caratterizzato l’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta in cui una persona restava seduta alla stessa

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scrivania per quarant’anni prima di andare in pensione. Discutere di lavoro fisso oggi significa parlare di sicurezza che non si traduce necessariamente nel restare nello stesso posto. La stabilità sta nella continuità. Solo con questa sicurezza, una persona può avere la certezza di poter contribuire ai suoi bisogni, a quelli della sua famiglia, ma anche a quelli della società». Quella del precariato rimane una questione molto delicata. Una soluzione prospettata da molti è remunerare i precari con stipendi più alti rispetto a chi ha un posto fisso. Qual è la sua posizione in merito? «Il problema del precariato va analizzato con attenzione. Nelle società moderne ci sono lavori oggettivamente precari perché temporanei o stagionali. Accanto a questi, e qui si nasconde la vera patologia su cui intervenire, ci sono dei lavori che non sono precari in sé, ma è la tipologia di rapporto tra il datore e il lavoratore a essere precario. Assumere una persona con contratti a termine o, peggio, con forme di collaborazione e rinnovargli questo tipo di contratto decine di volte, facendogli fare però sempre lo

stesso lavoro: questo alimenta la precarietà». Ma i contratti a tempo indeterminato rappresentano un costo oneroso per le aziende che, al di là della cattiva fede, non sempre possono permettersi di sostenere. «Ci sono aziende, anche illustri, che fino a poco tempo fa assumevano ripetutamente le stesse persone con contratti precari per fare sempre lo stesso lavoro perché questo contratto era più conveniente dal punto di viNella foto, il segretario generale della Uil Luigi Angeletti


Luigi Angeletti

La stabilità sta nella continuità. Solo con questa sicurezza, una persona può avere la sicurezza di poter contribuire ai suoi bisogni, a quelli della sua famiglia, ma anche a quelli della società

sta economico. Risparmiavano. Naturalmente sono consapevole che non esiste la bacchetta magica che improvvisamente faccia sì che tutti gli imprenditori diventino virtuosi. Ma per contribuire a risolvere la questione, bisogna rendere poco conveniente questo tipo di abuso. Intervenire aumentando la retribuzione e i contributi di queste persone porterà a scoraggiare questo atteggiamento». Precariato e ammortizzatori sociali. Secondo lei è necessario definire un sistema di maggiori tutele per i precari? «La concretezza del fenomeno induce a tener conto della realtà quando si parla di ammortizzatori sociali. Fin troppo spesso, infatti, accade che una persona perda il posto di lavoro non realmente, ma strumentalmente perché l’imprenditore la mette in cassa integrazione o in indennità di disoccupazione e poi, siccome è impossibile

controllare milioni di imprese, magari la fa continuare a lavorare in nero. Gli ammortizzatori sociali in realtà dovrebbero essere erogati in primo luogo a chi effettivamente è lavoratore dipendente. Questa è una battaglia che portiamo avanti da molto tempo e comincia a riscuotere qualche timido successo, perché il ministero del Lavoro ha mandato ripetute circolari per spiegare che ci sono collaboratori che hanno una sola committenza, quindi un solo datore di lavoro, e a questi si deve fare in modo di garantire una tutela nel momento in cui perdono il posto di lavoro attraverso gli ammortizzatori sociali. Ma questo deve essere fatto attraverso un sistema che ne garantisca, entro limiti ragionevoli, il controllo». In che modo? «Utilizzando quella che viene chiamata “sussidiarietà” che riguarda strettamente i rapporti tra lo Stato e le im-

prese e va regolata in modo tale da non creare squilibri, garantendo una reale coesione sociale. Quando le imprese fanno ricorso alla cassa integrazione non è che questa gli venga concessa automaticamente. Prima devono passare attraverso un sistema di verifiche che attesti l’effettività dello stato di crisi, attraverso un calcolo della sua durata e il numero di persone coinvolte. C’è, poi, un sufficiente livello di controllo sia istituzionale che sociale perché tutto passa attraverso accordi sindacali. Quindi l’estensione dei sistemi di protezione sociale, i cosiddetti ammortizzatori sociali, anche a figure atipiche non può che seguire la stessa procedura. Vale a dire attraverso un sistema di sussidiarietà, di coinvolgimento delle associazioni di impresa, anche quelle piccolissime, e di organizzazione sindacale. In questo modo si riduce fortemente il rischio degli abusi». Lo scorso luglio, nel decreto anticrisi, sono state introdotte due importanti norme in tema di pensioni: l’innalzamento dell’età pensionabile per le donne a 65 anni e a partire da quest’anno l’innalzamento per tutti, in base all’allungarsi dell’aspettativa di vita. Quali saranno le maggiori conseguenze di queste due misure sulla spesa previdenziale dello Stato? «La ridurranno progressivamente, in misura così significativa da stabilizzarla e far sì che il nostro debito previdenziale sia assolutamente sostenibile. Perché il vero problema strategico dei sistemi previdenziali nel mondo occidentale è che sono stati pensati quando le aspettative di vita erano significativamente più basse di quelle di oggi. Il completamento della riforma realizzato a luglio ci pone all’avanguardia e al riparo da rischi che, forse, ci saranno tra trent’anni». CALABRIA 2010 • DOSSIER • 51




38° 26’70’’ N 15° 53’ 50’’ E


IL PORTO IN CIFRE

VOLUME DEL TRAFFICO DI CONTAINER NEL PORTO DI GIOIA TAURO

1995 16.034 1996 oltre 500.000 1997 1.448.531 1998 oltre 2 milioni Attualmente vengono movimentati oltre 3 milioni di TEUs

DISTRIBUZIONE MONDIALE DEI CONTAINER DA E PER GIOIA TAURO Destinazione America North Europe Middle East Far East Italy Aegean West Med East Med North Africa Balcan Malta Black Sea Total

Tot. TEUS 354.447 169.375 330.270 558.193 346.691 343.072 280.221 168.044 241.805 188.885 1117.156 272.822 3.160.981



Giovanni Grimaldi

Fermiamo la concorrenza con i porti del Nord Africa Il porto di Gioia Tauro è considerato il più grande terminal per il transhipment del Mediterraneo, ma occorrono misure specifiche per contrastare «lo spostamento delle traiettorie verso i porti del Nord Africa», mette in evidenza Giovanni Grimaldi, nei quali la manodopera costa meno e non ci sono tasse portuali Nike Giurlani

l porto di Gioia Tauro nel giro di pochi anni ha conquistato un ruolo primario nei traffici internazionali. Ora sta iniziando ad avvertire la minaccia dei porti africani nei quali la manodopera è inferiore e non ci sono tasse portuali. Ma questo non ferma l’attività di potenziamento delle infrastrutture del porto. A breve verrà anche realizzato un «Gateway ferroviario, anello di congiunzione tra lo scalo portuale e il collegamento terrestre regionale, nazionale e internazionale», come sottolinea il presidente dell’Autorità portuale di Gioia Tauro, Giovanni Grimaldi. Quest’ultimo auspica che venga presto attuata la riforma legislativa sulla disciplina della portualità italiana. Gioia Tauro da porto “specializzato per l’industria siderurgica” negli anni 80 è stato trasformato in un porto polifunzionale e da qui si è configurata la potenzialità di Gioia Tauro per il “transhipment” di container. Quali sono gli attuali volumi del traffico portuale?

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«A soli 10 anni dalla sua nascita, il Porto di Il presidente Autorità portuale Gioia Tauro è diventato, nel circuito dei traf- dell’ di Gioia Tauro fici internazionali di settore, il più grande Giovanni Grimaldi terminal per il transhipment del Mediterraneo. Sin dai primi anni, il suo movimento merci ha avuto, in modo costante, una crescita esponenziale tale da farne lo scalo leader dei traffici da e per il Far East. Non a caso i dati testimoniano la sua rapida e consolidata affermazione. Nel 2007 e nel 2008 è stato CALABRIA 2010 • DOSSIER • 71


PORTO DI GIOIA TAURO

Sin dai primi anni il suo movimento merci ha avuto, in modo costante, una crescita esponenziale tale da farne lo scalo leader dei traffici da e per il Far East

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raggiunto l’importante risultato di movimentare 3 milioni e mezzo di container. Attualmente, comunque, la crisi economica internazionale, che ha investito l’intero settore dei trasporti, ha coinvolto i porti nazionali ed esteri compreso lo hub di Gioia Tauro. Così, a fine 2009, il volume dei traffici ha registrato un calo con una riduzione, in termini percentuali, del 17,6%. Il dato assoluto registra per l’anno appena trascorso, un totale di circa due milioni e 800mila teus movimentati». Quali sono le principali strutture realizzate negli anni? «Abbiamo portato a termine l’opera di approfondimento dei fondali del canale portuale, nonché, l’adeguamento strutturale e la realizzazione della terza via di corsa delle banchine di levante. Allo stesso tempo abbiamo completato l’allargamento del canale portuale e realizzato la banchina nord. Per quanto riguarda i servizi a terra abbiamo proceduto alla realizzazione del piazzale nord per offrire un


Giovanni Grimaldi

UN FUTURO MIGLIORE PER GIOIA TAURO Medcenter Container Terminal ha chiesto la cassa integrazione per 400 lavoratori. Governo e Regione dovranno garantire la salvaguardia del porto di Gioia Tauro l problema di Gioia Tauro è la «competizione con gli altri porti che si affacciano sul bacino del Mediterraneo», sottolinea Cecilia Eckelmann Battistello (nella foto), presidente di Medcenter Container Terminal. Questa situazione, insieme alla crisi economica generale, ha portato la società a ridurre i costi e a «richiedere la cassa integrazione per 400 lavoratori». Qual è la situazione attuale del porto di Gioia Tauro? «La crisi economica dell’ultimo anno e mezzo, ha provocato una pesante contrazione dei volumi in transito nel porto di Gioia Tauro e questa ha costretto l’azienda a richiedere un’indispensabile e drastica riduzione dei costi. Da qui quindi la decisione della Cassa integrazione per 400 la-

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voratori. In questo momento è necessario, infatti, salvaguardare il futuro, cioè l’esistenza del porto stesso». Qual è il problema principale del porto di Gioia Tauro? «Gioia Tauro e tutti i porti di transito italiani stanno soffrendo la competizione con gli altri porti che si affacciano sul bacino del Mediterraneo. Malta, Port Said, Damietta e Tangeri godono di un enorme vantaggio competitivo poiché hanno costi portuali ridotti e anche le tasse e i costi del lavoro sono inferiori». Che cosa si auspica per il futuro? «La Medcenter Container Terminal, già da tempo, ha chiesto al governo e alla Regione di intervenire con azioni mirate di supporto nella riduzione sia dei costi por-

migliore e più esteso parcheggio alle autovetture della Ico Blg. A questo si aggiunge, l’ampliamento del piazzale est in concessione alla Mct. Inoltre stiamo completando il sistema integrato di security portuale. Ed infine la nostra Authority ha esteso la propria circoscrizione ai porti di Corigliano Calabro, Crotone e a quello turistico di Palmi, divenendo così l’Autorità Portuale della Calabria». Quali invece i prossimi progetti che vanno assolutamente realizzati? «Per stimolare l’integrazione dello scalo di Gioia Tauro con l’entroterra e il resto del mercato, è stata prevista la costruzione del Gateway ferroviario, un anello di congiunzione tra lo scalo portuale e il collegamento terrestre regionale, nazionale e internazionale. Si tratta di un terminal intermodale che centralizza le operazioni di carico e scarico dei carri ferroviari. Strutturato per rispondere a 360 gradi alle esigenze del traffico container e di quello delle auto nuove, con

17,6% TRAFFICO

Il calo registrato nel volume dei traffici del porto

tuali per le navi, sia delle tasse applicate all’interno del porto. È molto importante contrastare con misure efficaci l’effetto distorsivo della concorrenza. Pensare a un futuro migliore per Gioia Tauro significa auspicare che le autorità centrali e regionali prendano finalmente consapevolezza che nel sud Italia c’è un porto tra i più importanti di Europa che, fino ad oggi, ha dato lavoro a più di 3.000 persone».

accesso anche ai flussi extra portuale. Un elemento importante che fornirebbe al Porto l’occasione di aprirsi al territorio ed essere il punto di riferimento per lo sviluppo dell’intera Regione». Che cosa secondo lei, il Governo e il prossimo governatore della Regione, dovranno attuare per salvare e rilanciare il porto? «Mi auguro che sia il governo nazionale che quelli locali portino a termine la riforma legislativa della legge 84/94, per la disciplina della portualità italiana. Occorrono provvedimenti specifici per i porti di Gioia Tauro, Taranto e Cagliari, che sono scali specializzati nel transhipment. Si dovrebbero creare misure ad hoc per dare loro la possibilità di stare sul mercato e non subire lo spostamento delle traiettorie verso i porti del Nord Africa. Quest’ultimi risultano più competitivi per le riduzioni dei costi della manodopera e per la mancanza della tasse portuali». CALABRIA 2010 • DOSSIER • 73


PIANA DI SIBARI

Provvedimenti mirati per l’agricoltura La difficile congiuntura economica e i danni causati dalle calamità meteorologiche avvenute la scorsa estate hanno contribuito a rendere ancora più drammatica la situazione dell’economia agricola calabrese. L’assessore regionale all’agricoltura Piero Amato ha annunciato provvedimenti per uscire dalla crisi Nicolò Mulas Marcello

l comparto agricolo della Piana di Sibari, ha dovuto affrontare un anno non facile sia per colpa della flessione economica sia per le alluvioni che hanno colpito alcune zone creando danni ingenti alla produzione. La Giunta regionale, su proposta dell’assessore all’agricoltura Piero Amato, ha dichiarato lo stato di crisi per tutta la Calabria, chiedendo al ministro delle Politiche agricole e forestali Luca Zaia l’emanazione del decreto che fissi lo stato di crisi allo scopo di porre gli imprenditori agricoli nelle condizioni di beneficiare di quanto disposto dalla legge 71/2005 e dalla legge 231/2005, e di esentare gli stessi produttori dal pagamento dei contributi assistenziali e previdenziali per la campagna in corso. Come evidenziato già a ottobre scorso dalla Commissione politiche agricole della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, la crisi economica e finanziaria sta interessando tutti i settori produttivi e, in particolare, per quanto riguarda l’agricoltura italiana ha assunto

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enormi dimensioni aumentando le difficoltà che già investivano il comparto. «L’allarme lanciato dal mondo delle aziende agricole – ha sostenuto Amato – contiene il rischio che venga compromesso in modo irreversibile il lavoro e gli investimenti di intere generazioni di agricoltori e di famiglie del mondo contadino». Anche le organizzazioni professionali avevano lanciato un grido d’allarme sulle difficili condizioni delle produzioni agricole e degli allevamenti della Regione Calabria. Come si legge in una nota: «Le quotazioni di mercato delle nostre produzioni sono ormai da mesi livellate su valori assolutamente insufficienti e scarsamente remunerativi, per di più caratterizzate da frequenti oscillazioni dei prezzi all’origine. I costi di produzione – prosegue la nota - sono, per contro, aumentati per tutte le produzioni a livelli insopportabili. La perdita di redditività interessa la maggioranza dei comparti agricoli della nostra Regione (cereali, vino, olio, zootecnia e florovivaismo rappresentano circa l’80% della

Sopra, Piero Amato, assessore regionale all’agricoltura. Nella foto grande, la raccolta delle arance


Piero Amato

produzione lorda vendibile agricola regionale) e fa registrare già oggi la cessazione di attività di unità produttive anche fortemente strutturate». Se lo stato di crisi verrà decretato dal ministro gli imprenditori agricoli, le cui produzioni sono state colpite dalla crisi di mercato, potranno usufruire del fondo di solidarietà nazionale e dei versamenti degli oneri previdenziali, fermo restando che la sospensione o il differimento del termine per gli adempimenti degli obblighi tributari e previdenziali non deve determinare uno slitta-

mento dei relativi versamenti all’anno successivo a quello in cui sono dovuti. «L'evidenza del momento di crisi che sta attraversando il settore agrumicolo in Calabria, ci ha convinto ad attivarci in questo senso e recepire le proposte presentate dalle organizzazioni del settore e, in particolare, di Coldiretti». Con queste parole Piero Amato assieme all’assessore al bilancio regionale Demetrio Naccari Carlizzi ha annunciato provvedimenti per uscire da questo momento non positivo. «La crisi di un settore storicamente primario e di eccellenza come quello agrumicolo – aggiungono – è sicuramente un grave freno allo sviluppo dell’intera economia regionale, e necessita con urgenza di interventi mirati e soprattutto fattivi». In questa direzione saranno attivate molteplici misure e interesseranno anche altri settori dell’economia regionale, basti pensare alle misure relative al contenimento dei costi di produzione che vedono coinvolti i comparti agricoli produttivi nelle azioni di ricomposizione fondiaria o di ampliamento della superficie aziendale, ma che toccheranno anche il settore della logistica e del trasporto delle merci al merito al quale, all'interno del Piano Direttore dei Trasporti Regionale. «Sono già stati previsti – prosegue Amato – una serie di interventi di ottimizzazione dei costi, nel breve e nel lungo periodo, nonché di riduzione della congestione da traffico e dell’inquinamento». Si prevede quindi di dare un sostegno concreto ai produttori calabresi tramite la formulazione di incentivi al consumo dei prodotti agricoli a chilometri zero perseguendo un duplice obiettivo, ovvero quello di favorire i produttori locali nella fase di inserimento commerciale e quello di diminuire i costi economici ed ambientali legati all’immissione nei nostri mercati di prodotti geograficamente lontani. CALABRIA 2010 • DOSSIER • 81


CONFINDUSTRIA Impegno nello sviluppo di nuovi progetti. Gli industriali calabresi sono in fermento per la crescita delle proprie imprese. Molte le iniziative che stanno nascendo in regione. ConďŹ ndustria Calabria ha promosso un progetto di sensibilizzazione contro il racket, mentre a Reggio Calabria è stato ďŹ rmato un accordo con la Banca Popolare del Mezzogiorno. Crotone punta sul rilancio del lavoro mentre a Catanzaro si mira allo sviluppo del polo industriale


L’impegno degli industriali

Uniti contro il pizzo l’illegalità non deve vincere Un’iniziativa per fare sentire la propria voce contro il racket e per unire tutti gli imprenditori nel nome della legalità. Un primo incontro per definire le linee guida del progetto nella fase iniziale, a cui seguirà quella operativa Nicolò Mulas Marcello

o il pizzo non lo pago”. Questo lo slogan del manifesto anti-criminalità che parte da un’iniziativa di Confindustria Calabria, l’associazione degli imprenditori guidata da Umberto De Rose, e dell’Ance Calabria, l’associazione dei costruttori. Il settore edile e quello dei lavori pubblici sono finiti spesso sulle prime pagine dei giornali per le infiltrazioni della ‘ndrangheta, ed è per questo che Confindustria Calabria ha dato vita a un progetto per contrastare questo malcostume e per non lasciare soli gli imprenditori davanti alla criminalità. Nel manifesto pubblicitario si legge “orgogliosi di essere imprenditori a testa alta”. «Non è questione di ribellarsi né di alzare la voce – scrivono in una nota gli imprenditori calabresi – bisogna solo prendere coscienza del problema, fare finalmente rete e trasmettere un messaggio forte alla società calabrese. Abbiamo deciso di lottare contro chi ci impedisce di lavorare, dare lavoro, fare impresa e generare ricchezza e sviluppo. Lavorare non è un reato, chiedere il pizzo sì e per questo siamo decisi a denunciare ogni fenomeno di estorsione, racket, minacce e violenza». La campagna è stata illustrata a Catanzaro lo scorso 13 novembre alla presenza del procuratore nazionale antimafia Piero Grasso nel corso di un incontro insieme al presidente di Confindustria Calabria Umberto De Rose, il presidente di Ance

I Umberto De Rose, presidente di Confindustria Calabria

Calabria Francesco Cava, il presidente dei giovani industriali calabresi Sebastiano Caffo e i vertici di settore e provinciali dell’associazione di categoria. «Il nostro obiettivo – ha detto De Rose – è quello di non lasciare più l’imprenditore isolato, non sarà più il singolo a denunciare, ma la collettività». Tra i progetti avviati da Confindustria Calabria anche la sensibilizzazione degli studenti con un concorso per le scuole sulla cultura alla legalità, perchè «è da giovani – continua De Rose – che bisogna avere la netta distinzione tra ciò che è illegale e ciò che è legale. Abbiamo deciso di alzare la testa di non guardare più in basso avendo il timore di denunciare un fenomeno che da imprenditori e da cittadini calabresi non possiamo più tollerare. Per questo avere vicino la magistratura è un segnale CALABRIA 2010 • DOSSIER • 89


CONFINDUSTRIA

IMPRENDITORI A TESTA ALTA Un impegno concreto e congiunto contro la criminalità. Uniti nella denuncia collettiva e attaccando i patrimoni si può contrastare il racket uesto è il momento iniziale di un percorso che dovremo fare insieme». Con queste parole il procuratore antimafia Piero Grasso ha introdotto l’incontro di presentazione dell’iniziativa antiracket promossa da Confindustria Calabria. Grasso ha anche ricordato che «l’unico modo per colpire le organizzazioni criminali è quello di attaccare i patrimoni», e ha espresso soddisfazione per l’iniziativa sottolineando che «la denuncia collettiva è una buona idea in fase iniziale, sapendo però che quando si va in processo il problema dell'esposizione della parte offesa non si può superare». Per questo ha rimarcato come «è lì che bisogna fare rete protettiva da parte delle associazioni di categoria, della magistratura e delle forze di polizia, oltre alle associa-

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zioni che combattono questo fenomeno». Il procuratore ha anche evidenziato che «abbiamo sempre più segnali che il fenomeno si sta espandendo anche al Nord», per questo ha esposto tutti gli aspetti più negativi che ruotano intorno alla richiesta di pizzo. Grasso ha, infatti, dichiarato che

questo tipo di estorsione si basa su due aspetti, da un lato l'intimidazione e dall’altro la convenienza. «Non ci può essere convenienza – ha ribadito – nel momento in cui le regole del mercato vengono stravolte, perché le regole sono fatte dalle organizzazioni criminali».

importante per un rapporto con le forze del- tadini. Ritengo sia un gesto di forte sensibil’ordine e con la magistratura che deve essere costante e costruttivo». La campagna punta a far in modo che si prenda coscienza del problema per fare finalmente rete e trasmettere un messaggio forte non solo al mondo imprenditoriale ma a tutta la società calabrese. Un modo per sensibilizzare tutti, non solo gli imprenditori in quanto professionisti ma prima di tutto come persone. Per contrastare il fenomeno, anche grazie all’aiuto di campagne pubblicitarie, gli imprenditori avvieranno denunce collettive grazie al sostegno dell’associazione di categoria. «Siamo estremamente soddisfatti del fatto che il procuratore antimafia Piero Grasso abbia voluto incontrarci qui a Catanzaro nella sede della nostra associazione – continua il presidente degli industriali calabresi – perché questo ci fa sentire la vicinanza dello Stato e delle istituzioni che sono preposte a garantire la sicurezza dei cit90 • DOSSIER • CALABRIA 2010

lità da parte del Procuratore volto a dare ulteriori stimoli agli imprenditori di Confindustria Calabria a proseguire la strada intrapresa». Sarà istituito anche un numero verde per raccogliere le segnalazioni in forma anonima non solo degli imprenditori di Confindustria Calabria, ma di tutti coloro che vorranno essere supportati in questo percorso di denuncia, per opporsi a questo fenomeno. «La campagna “Io il pizzo non lo pago” – conclude De Rose – impiegherà tutti i mezzi di comunicazione e sarà parte di un più diffuso programma di sensibilizzazione che coinvolgerà tutte le istituzioni tramite il ricorso alla denuncia collettiva dei fenomeni di estorsione, denuncia per la quale riteniamo di dover coinvolgere gli enti territoriali, le istituzioni di rappresentanza economica, i sindacati e quanti vorranno dire basta a un fenomeno violento e opprimente».

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IMPRESE Il numero di imprenditori espulsi da Confindustria Calabria perché vicini alla ‘ndrangheta


L’impegno degli industriali

Un patto per lo sviluppo del polo più grande del Sud onfindustria Catanzaro assieme a Asi (l’Agenzia per lo sviluppo industriale di Catanzaro-Lamezia) e LameziaEuropa hanno siglato un protocollo d’Intesa che mira a rilanciare lo sviluppo dell’area produttiva di Lamezia Terme. L’accordo, che interessa l’area ex-Sir di circa 1.800 ettari, prevede che le parti convengano sull’opportunità di creare uno strumento operativo di coordinamento e di raccordo sulle problematiche riguardanti i nuclei produttivi e la gestione dei servizi erogati dal consorzio per lo sviluppo industriale, con lo scopo di attivare dinamiche di sviluppo e favorire processi di monitoraggio, semplificazione e razionalizzazione del sistema di gestione. Questo percorso, già avviato, prevede l’opportunità di insediamenti produttivi a vasto raggio che si completerà con l’erogazione da parte della Regione di 20 milioni di euro per completare la videosorveglianza e finanziare progetti che riguardano la zona costiera con la realizzazione di un porto-canale, un parco-hotel e una parcheggio attrezzato per i Tir. Il presidente di Confindustria Catanzaro Giuseppe Gatto ha dichiarato: «Noi crediamo molto in questa area e nelle sue potenzialità, concordando con la nuova definizione di zona produttiva e non solo industriale per dare maggior impulso all’economia». Attualmente nell’area sono presenti 80 aziende per un totale

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Esprimere al meglio le potenzialità di una vasta zona industriale finora poco sfruttata. È questo l’obiettivo del protocollo d’intesa per il rilancio dell’area ex-Sir di Lamezia Terme. In arrivo fondi comunitari e regionali Nicolò Mulas Marcello

di 1.500 dipendenti complessivi. L’obiettivo è quello di sviluppare la zona per esprimere meglio le potenzialità di una delle più grandi aree industriali del mezzogiorno. Marcello Gaglioti, presidente di LameziaEuropa ha proposto che l’area produttiva ex-Sir trovi i giusti meccanismi per abbassare le tasse, a cominciare da Irap e Ici. Gli fa eco Giuseppe Gatto che ha dichiarato: «Zero tasse anche all’Asi, come in una Zfu, lo sappiamo che non si può, ma pensiamo a delle riduzioni di Irap e Ici rispetto alle aliquote attuali, in modo da attirare le imprese». Il presidente di Confindustria Catanzaro ha poi fatto un esempio concreto: «perché un industriale bresciano dovrebbe delocalizzare la sua produzione in Calabria e non in Romania o Albania, dove il costo del lavoro e il prezzo dei terreni sono bassi? Da qui l’importanza di ritoccare i tributi locali». Dall’Asi il Comune lametino incassa ogni anno 500mila euro circa e da LameziaEuropa 65mila. «Sarebbe opportuno – ha spiegato Gatto – che si pensasse a ridurre le tasse per le imprese, in modo da favorire gli investimenti e aumentare la base occupazionale».

Giuseppe Gatto, presidente di Confindustria Catanzaro

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CONFINDUSTRIA

Istituti di credito e imprese insieme oltre la crisi «Promuovere una sempre più efficace azione di promozione dello sviluppo economico sul territorio regionale coinvolgendo il più ampio novero di aziende su di esso operanti». Il presidente di Confindustria Reggio Calabria Francesco Femia parla del ruolo attivo di banca e imprese nello sviluppo del Mezzogiorno Renata Gualtieri

n questa delicata fase dell’economia è sempre più necessario che alle piccole e medie imprese venga assicurato il pieno sostegno del sistema bancario. Significativo in questo contesto l’accordo recentemente siglato tra Confindustria Reggio Calabria e Banca Popolare del Mezzogiorno. Decisamente una concreta occasione di crescita per l’economia locale. La nascita di tale intesa pone le imprese reggine nella posizione ideale per poter dialogare con un istituto di credito radicato al Sud che conosce le difficoltà e le esigenze delle imprese locali e che adotta la politica di investire sul territorio in cui raccoglie. Quali saranno le strategie concrete d’investimento sul territorio reggino? «Grazie all’accordo sosterremo le imprese associate regolando i rapporti attivi e passivi con la Banca, attraverso condizioni economiche che ritengo essere particolarmente convenienti. Oltre agli anticipi “Salvo buon fine” e agli anticipi su fatture, le nostre aziende potranno accedere a mutui chirografari, con durata massima di 8 anni, a mutui fondiari, con durata massima di 15 anni e a mutui chiro-

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Francesco Femia, presidente Confindustria Reggio Calabria

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grafari per esigenze di fine esercizio». Banca Popolare e Confindustria insieme per uscire dalla crisi. Quale sarà il ruolo dei due soggetti firmatari del protocollo? «La Banca Popolare del Mezzogiorno, oltre a rendere disponibile un plafond di 25 milioni di euro a favore di iniziative imprenditoriali messe in campo dalle aziende associate a Confindustria, si è dichiarata disponibile a supportare ogni necessità delle nostre aziende, assicurando la disponibilità di prodotti e servizi di cui dispone direttamente, o attraverso le sinergie con il gruppo Banca Popolare dell’Emilia Romagna a cui appartiene. Mette a


L’impegno degli industriali

RILANCIARE IL LAVORO Il benessere e l’economia della regione risentono complessivamente degli effetti della recessione. Nuove strategie per mettersi la crisi definitivamente alle spalle l lavoro al centro delle attività dei diversi incontri del tavolo tecnico dell’unità di crisi. È stato siglato l’accordo territoriale per la concessione dei trattamenti di mobilità per l’anno 2010 a favore dei lavoratori delle aziende che nel territorio crotonese versano in stato di crisi. Tra i soggetti firmatari del patto Confindustria Crotone. «Con l’accordo è stato assunto l’impegno di voler accompagnare alla ricollocazione occupazionale, attraverso le strutture e i centri per l’impiego competenti, il maggior numero possibile dei precettori in deroga nelle aziende, che parteciperanno ai lavori di bonifica del sito industriale, del porto turistico, dell’area archeologica; alla cura, manutenzione e promozione dei beni culturali, dei sistemi turistici locali mediante sottoscrizione di un protocollo d’intesa che regolamenti le modalità operative e impegni reciprochi», spiega Daniela Ruperti, direttore di Confindustria

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Crotone. L’obiettivo dell’associazione degli industriali della provincia è rilanciare il lavoro mettendo in campo nuove strategie per promuovere, con continuità, politiche attive del lavoro a livello locale. Il direttore di Confindustria Crotone, ha comunicato che i suoi uffici sono al lavoro per il monitoraggio al fine di capire se sussistono delle situazioni da poter trattare con gli strumenti degli ammortizzatori in deroga. «È necessaria la redazione del Patto per il lavoro, ossia quel documento politico-istituzionale di programmazione e sviluppo che va costruito facendo riferimento al Piano regionale per le risorse umane 2010, al Fers e al Fas 2007-2013, al fine di affrontare con maggiore organicità la grave crisi che attanaglia il territorio crotonese». A dicembre è partito anche il terzo bando per la concessione di aiuti alle imprese per l’assunzione di lavoratori svantaggiati e all’occupazione lavoratori disabili, sotto forma

disposizione di Confindustria e delle Pmi locali il supporto operativo e di consulenza offerto dal personale specializzato della sua rete presente sul territorio provinciale. Confindustria Reggio Calabria, a sua volta, mette a disposizione della banca la propria organizzazione e la propria rete relazionale e di contatto con le Pmi locali, partecipando fattivamente alla crescita economica delle aziende reggine e dell’intero tessuto economico e produttivo calabrese». Ci saranno iniziative formative per gli imprenditori locali e quali saranno le materie trattate?

di integrazione salariale. Il bando ha lo scopo di rafforzare l’inserimento e il reinserimento dei lavoratori adulti, dei disoccupati di lunga durata e dei bacini di precariato occupazionale attraverso percorsi integrati e incentivi è stato uno degli strumenti individuati dai presenti al tavolo della crisi.

«Insieme alla banca abbiamo concordato l’organizzazione di alcuni momenti di formazione/informazione allo scopo di garantire alle imprese associate la disponibilità di elementi per promuovere un processo di autoanalisi in grado di fornire ausilio in sede di individuazione delle varie aree di intervento in tema di finanza aziendale. Tali momenti, in particolare, si fonderanno sui cambiamenti introdotti dalle nuove regole di Basilea 2 e prenderanno in esame i criteri di analisi del merito creditizio considerati dalle banche». Uno dei punti dolenti della società è spesso la mancanza di informazione. Sono CALABRIA 2010 • DOSSIER • 93


CONFINDUSTRIA

Stiamo monitorando il rapporto che le nostre imprese hanno con il sistema bancario al fine di fare emergere eventuali problematiche e osservare se e come le banche vanno incontro al mondo imprenditoriale della nostra provincia

previste specifiche iniziative in merito?

«Per affrontare il problema della mancanza di informazione, oltre alle attività appena illustrate, promuoveremo una serie di incontri da dedicare singolarmente alle imprese interessate, in cui i consulenti di finanza d’azienda della Banca esamineranno insieme all’imprenditore la situazione aziendale per individuare i punti di forza e le aree di debolezza, soffermandosi in quest’ultimo caso sulla tipologia di sostegno di cui l’azienda necessita e sulle sue prospettive future». Nonostante nella provincia reggina tenda a diminuire la percentuale delle procedure fallimentari, le banche continuano a considerare il tessuto imprenditoriale locale più rischioso rispetto a quello del CentroNord. Quanto il Sud ha risentito degli ef-

94 • DOSSIER • CALABRIA 2010

fetti della crisi? «La situazione di crisi che l’economia meridionale sta vivendo è sotto gli occhi di tutti e, nonostante la riduzione registrata nel numero dei fallimenti, le banche continuano a considerare il nostro territorio con lo stesso grado di rischio del passato riducendo l’ammontare del credito concesso, mantenendo ancora elevato il costo del denaro e richiedendo ingenti garanzie patrimoniali. Come Confindustria stiamo monitorando il rapporto che le nostre imprese hanno con il sistema bancario al fine di fare emergere eventuali problematiche e, soprattutto, di osservare se e come le banche vanno concretamente incontro al mondo imprenditoriale della nostra provincia. Sicuramente nell’attuale fase che sta vivendo l’economia è evidente lo sforzo che le nostre imprese, in gran parte di piccole e piccolissime dimensioni, devono fare per restare sul mercato. In tale contesto, è quanto mai indispensabile che tale sforzo venga accompagnato e sostenuto dal sistema bancario che dovrà essere in grado di coniugare il proprio livello di rischio creditizio con la capacità di sostenere le imprese valutando, al di là del rating, la bontà di un progetto imprenditoriale e la sua capacità di generare ricchezza per l’intero sistema».



CAPITALISMO FAMILIARE

Imprese familiari serve rischiare di più Si presentano solide e produttive le imprese familiari italiane. Per Pina Amarelli, consigliere dell’AIdAF, associazione delle aziende familiari, non mancano però i punti sui quali progredire: un maggiore coinvolgimento dei giovani e delle donne, oltre a una superiore apertura al capitale di rischio Francesca Druidi

e aziende familiari identificano modelli imprenditoriali di longevità, professionalità e sviluppo del territorio nell’alveo del sistema produttivo italiano. E oggi, nel solcare le acque agitate dei mercati ancora condizionati dalla negativa congiuntura internazionale, dimostrano di tenere, registrando buone perfomance. A confermarlo c’è il rapporto promosso da AIdAF, l’associazione delle aziende familiari, e realizzata dall’osservatorio Aub (AIdAF – UniCredit – Bocconi) che analizza assetti societari e bilanci di tutte le imprese familiari italiane con un fatturato superiore ai 50 milioni di euro. In base alla ricerca, infatti, nel periodo tra il 2003 e il 2007 le aziende familiari che presentano la redditività più alta sono proprio quelle in cui la gestione fa capo al binomio presidente familiare-amministratore delegato familiare o amministratore unico familiare. «C’è stato un periodo in cui la proprietà familiare era vista più come un ostacolo che un vantaggio», sottolinea Pina Amarelli, presidente della Amarelli di Rossano, una delle più antiche imprese familiari nel mondo che produce liquirizia sin dal 1731. Napoletana di nascita, Pina Amarelli è membro del comitato direttivo dell’AIdAF e presidente onorario dell’associazione “I Centenari”, che riunisce dal 2001 le imprese familiari storiche campane. «Oggi la situazione si è ribaltata e si registra un’enfatizzazione delle aziende familiari. In realtà – prosegue Amarelli, nomi-

L

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A fianco, Giuseppina Mengano Amarelli, presidente della Amarelli e membro del comitato direttivo dell’AIdAF, l’Associazione delle aziende familiari


Pina Amarelli

Fonte: Osservatorio AIdAF-Unicredit-Bocconi (AUB)

SETTORE DI APPARTENENZA E AREE GEOGRAFICHE SETTORE DI APPARTENENZA

MEDIA TOTALE

NORD OVEST

NORD EST

CENTRO

SUD E ISOLE

N = 2441

N = 1083 (44%)

N = 736 (30%)

N = 393 (16%)

N = 229 (10%)

MANIFATTURIERO

40,3%

40,7%

46,8%

32,8%

30,6%

COMMERCIO E TRASPORTI

31,1%

30,1%

25,9%

31,1%

52,4%

SERVIZI PROFESSIONALI

10,9%

10,6%

10,5%

14,0%

7,9%

IMMOBILIARE E COSTRUZIONI

9,0%

8,4%

9,5%

11,6%

5,7%

ALTRO

8,7%

10,2%

7,3%

10,5%

3,4%

POPOLAZIONE

nata cavaliere del lavoro nel 2006 – in uno scenario in costante evoluzione, un paese come l’Italia necessita nel proprio tessuto economico sia di aziende familiari che di imprese appartenenti ai grandi gruppi internazionali, in quanto vere espressioni della globalità». Quali sono i punti di forza del modello incarnato dalle aziende familiari? «Primo punto di forza, un tempo considerato difetto, è la prudenza, che si declina in una gestione meno votata al rischio. Quella portata avanti da questa tipologia di impresa è spesso una politica che non si sostanzia nell’immediatezza dei profitti, ma contempla una strategia che guarda al medio e lungo termine con una progettualità spiccata e una visione di insieme che guarda non solo all’azienda, ma anche alla famiglia. In questo aspetto si cela, però, anche il limite di queste imprese: per quanto infatti siano aperte al management esterno, si tratta di

realtà produttive che pur sempre fanno riferimento a un nucleo famigliare preciso, rischiando di non vedere oltre la propria dimensione. L’obiettivo prioritario diventa, quindi, trovare un equilibrio tra impresa e famiglia. Un ulteriore punto di forza che oggi viene sottolineato con decisione, e che per me invece è sempre stato evidente, è la responsabilità sociale delle aziende familiari». Come si declina nello specifico? «Mentre le public company e le filiali delle multinazionali esercitano la responsabilità sociale in forme tendenzialmente anonime, le aziende familiari la praticano in maniera più aderente al territorio in cui operano e allo strato sociale con cui si interfacciano, in maniera più autentica insomma. Oggi di responsabilità sociale se ne discute su diversi fronti, rischiando di farlo apparire più come uno slogan. Per moltissime realtà imprenditoriali familiari si tratta, invece, di una CALABRIA 2010 • DOSSIER • 97


CAPITALISMO FAMILIARE Fonte: Osservatorio AIdAF-Unicredit-Bocconi (AUB)

LE TIPOLOGIE DI LEADER AZIENDALE

51,2%

di cui

74% familiari

60% 50%

29,0%

di cui

88% familiari

40%

19,8%

di cui

85% familiari

30% 20% 10% 0%

PRESIDENTE ESECUTIVO

AMMINISTRATORE DELEGATO

PRESIDENTE ESECUTIVO

Percentuali calcolate su 2291 aziende delle 2467 su cui si dispone di dati

AFFARI DI FAMIGLIA Il capitalismo familiare è la spina dorsale dell’economia italiana. L’AIdAF, associazione italiana delle aziende familiari, ne promuove e tutela lo sviluppo er aziende familiari s’intendono le imprese in cui una o più famiglie, collegate fra loro da legami di parentela o solide alleanze, detengono il potere di nominare gli organi di governo e in cui, generalmente, un esponente di tali famiglie esercita il ruolo di guida. L’AIdAF, associazione italiana delle aziende familiari costituita nel dicembre 1997, è l’unico organismo a occuparsi in maniera specifica delle tematiche e delle criticità relative a queste imprese, assicurandone la continuità nei processi di transizione e ricambio generazionale. Riconosce come propri i valori cardine dell’etica d’impresa, della meritocrazia, della responsabilità sociale e della sostenibilità. Tra i soci promotori fondatori vi sono alcune tra le più importanti realtà del Paese, tra cui Azimut, Ermenegildo Zegna, Salvatore Ferragamo Italia, Falck e Buzzi Cementi. Dal 2005 AIdAF organizza il Convegno nazionale aziende familiari, nel corso del quale viene assegnato il Premio Alberto Falck a un’impresa individuata attraverso le indicazioni di un panel di opinion leader e la valutazione della giuria composta dal Comitato scientifico AIdAF, in base a parametri come trend di crescita, presenza sui mercati, sistemi di governance e di responsabilità sociale. Il prossimo convegno nazionale si terrà a Firenze il 12-13 novembre 2010.

P

98 • DOSSIER • CALABRIA 2010

pratica effettiva che si rivolge ai collaboratori, ma che viene estesa anche alle rispettive famiglie e al territorio, con una serie di interventi che possono apparire banali ma che invece contano molto. L’aderenza alla realtà è il grande pregio delle aziende familiari». Sempre in base al rapporto Aub, la presenza di consiglieri di amministrazione donne è relativamente omogenea nelle diverse aree del Paese (15,1%), con l’eccezione del Sud e Isole (10,2%). Ed esiste una relazione negativa tra la presenza di un amministratore delegato donna e la dimensione aziendale. In base anche alla sua esperienza, esiste un problema di “quote rosa” ai vertici delle aziende familiari? «Si tratta di un problema grave. In Norvegia, ad esempio, già da qualche anno c’è l’obbligo di garantire una percentuale di donne nei cda delle società quotate. Ma ritengo che, quote a parte, una donna debba essere preparata per svolgere questo tipo di lavoro. In base anche alla mia esperienza nell’associazione mondiale degli Henokiens, che riunisce le aziende bicentenarie, l’Italia non è uno dei Paesi più “arretrati” dal punto di vista del processo di emancipazione


Pina Amarelli

Fonte: Osservatorio AIdAF-Unicredit-Bocconi (AUB)

DISTRIBUZIONE DEL LEADER AZIENDALE PER CLASSI DI ETÀ (ANNO 2007) 27,5%

27,5%

30%

21,0% 25% 20%

11,9%

8,7% 15%

3,4% 10% 5% 0%

24 - 40

40 - 50

50 - 60

60 - 70

70 - 80

OLTRE 80

42,8%

Percentuali calcolate su 2184 casi dei 2291 in cui è identificabile il leader nazionale

femminile in ambito economico, però allo stato attuale non offre un’efficace rete di sostegno sociale alle donne che lavorano. Bambini e anziani restano di fatto a carico delle donne e solo risolvendo questo nodo cruciale si può pensare di migliorare lo stato delle cose». Sono ancora pochi i giovani o comunque gli imprenditori sotto i 40 anni alla guida delle aziende familiari del nostro Paese. Il ricambio generazionale è ancora un tasto dolente? «Sì, si tratta di uno snodo delicato per le aziende familiari. In AIdAf ci siamo sempre occupati non solo del passaggio alla nuova generazione, ma anche della convivenza tra le generazioni. Spesso la “vecchia guardia” tende ad accentrare tutto nelle proprie mani ed è restia a immettere forze e idee nuove. Per questo, è fondamentale iniziare a convivere. La prima base sulla quale costruire il ricambio generazionale è una comunicazione continua, attraverso consigli di famiglia e momenti di incontro informale in cui vengono messe sul tappeto le diverse problematiche da affrontare. In azienda abbiamo già affrontato questo processo, nominando amministratore mio nipote Fortunato, classe 1972,

che voleva assumersi questa responsabilità e aveva le capacità per farlo». Quali sono le prospettive per il futuro del capitalismo familiare? Cosa occorre migliorare? «Il modello delle aziende familiari richiede a mio avviso uno svecchiamento dirigenziale, oltre alla necessità di intraprendere una diversa ottica di azione e di essere aperti a traiettorie di sviluppo. Spesso le famiglie possiedono ancora una visione troppo ristretta: mantengono, ma non ampliano. Del resto, le aziende familiari rappresentano una forza del Paese. Una forza che però non può e non deve essere l’unica».

Sopra, Pina Amarelli durante il convegno nazionale AIdAF del 2008 a Napoli

CALABRIA 2010 • DOSSIER • 99


COMMERCIO

Attenti al grande L bluff

e aziende investono massicciamente nella pubblicità e nella promozione di prodotti per attrarre l’attenzione dei consumatori. Condizione imprescindibile è che l’attività di promozione fornisca in modo corretto e completo le informazioni necessarie al consumatore affinché possa essere consapevole della propria scelta. Il messaggio La pubblicità deve informare deve informare correttamente e non ingannare, correttamente il consumatore. E non omettendo magari notizie importanti e induingannarlo con false promesse. cendo il consumatore verso scelte che altrimenti non avrebbe fatto. In quest’ottica, l’Autorità Perché, come sottolinea il presidente garante della concorrenza e del mercato ha il podell’Antitrust Antonio Catricalà, «le tere di accertare e sanzionare i messaggi inganpratiche commerciali scorrette, nevoli e le altre pratiche commerciali scorrette. Negli ultimi mesi, di fatto, le segnalazioni aldanneggiano il buon funzionamento l’Antitrust hanno subìto un incremento, come del mercato e, alla lunga, possono mette in evidenza lo stesso presidente dal Presicreare sfiducia tra i consumatori» dente dell’Autorità Garante per la concorrenza ed il mercato, Antonio Catricalà sottolineando Giusi Brega «una crescita del 75% delle denunce presentate dai consumatori». Un vero e proprio boom che Catricalà spiega da un lato con il fatto che «l’Antitrust ha aumentato la sua visibilità, diventando un punto di riferimento dei consumatori». Dall’altro punta il dito contro la crisi economica «che ha ingenerato nella gente insicurezza e sfiducia spingendola a cercare tutela». Quanti sono i casi aperti dall’Antitrust sulle pratiche commerciali scorrette? «Da quando è entrata in vigore la nuova normativa, abbiamo avviato oltre 2.300 casi, di cui più 300 chiusi con sanzioni. In diverse occasioni il procedimento si è chiuso positivamente grazie alla nostra moral-suasion: l’azienda ha cambiato spontaneamente la comunicazione messa sotto osservazione rendendola più chiara e più trasparente. Altre volte ancora l’azienda ha presentato impegni per rimuovere il comportamento scorretto. Il nostro obiettivo è tutelare il consumatore e utilizziamo tutti gli strumenti che la legge ci mette a disposizione pur di raggiungerlo». Quali sono le differenze sostanziali tra la 108 • DOSSIER • CALABRIA 2010


Antonio Catricalà

In apertura, il presidente dell’Autorità garante per la Concorrenza e il mercato Antonio Catricalà

nuova normativa e la vecchia legge sulla pubblicità ingannevole? «In base alla nuova legge possiamo intervenire non solo quando c’è un messaggio pubblicitario ingannevole, ma ogni volta che un’azienda ha un comportamento scorretto in grado di influire negativamente sulle scelte dei consumatori. In sostanza non conta solo l’informazione, ma le azioni. Si tratta di un cambiamento che ha ampliato la nostra area di competenza. Inoltre, a differenza che in passato, possiamo agire anche d’ufficio, senza avere bisogno di una denuncia completa e firmata del cittadino. Per potere svolgere al meglio il nostro ruolo dovremmo però poter tutelare anche le piccole e medie imprese nei confronti delle prepotenze delle più grandi. Anche il massimo edittale andrebbe elevato per far sì che le sanzioni abbiano un maggiore potere deterrente». È possibile avere un quadro preciso delle pratiche commerciali scorrette? «È difficile fare una classifica generale perché il

tipo di pratica, e la sua diffusione, cambia da settore a settore. Con la recessione, però, sono aumentate le denunce per false offerte di lavoro, promozioni di prodotti civetta, finte vendite sottocosto, promesse di vincita alle lotterie, proposte reticenti che alimentano il miraggio di un facile credito al consumo: evidentemente quando le persone sono in difficoltà diventano più reattive a fronte di promesse non mantenute. Continua, inoltre, nonostante i nostri interventi, la prassi sleale di attribuire a cibi, integratori alimentari, pillole e cosmetici poteri miracolosi di salvaguardia della salute e della forma fisica». Dal punto di vista giuridico ed economico, cosa comportano queste condotte? «Per le aziende sanzionate c’è una penalizzazione economica, oltre che un effetto reputazionale negativo. Per i consumatori che hanno subito la pratica, al di là del danno che varia ovviamente da caso a caso, c’è la negazione della libertà di scelta. Le pratiche commerciali scorrette, e questo è l’elemento più preoccupante, danneggiano il buon funzionamento del mercato perché violano le regole del gioco e, alla lunga, possono creare sfiducia tra i consumatori». Quale settore è maggiormente colpito? «Tradizionalmente è il settore delle telecomunicazioni dove si registra il maggior numero di denunce e di sanzioni. Non credo però che questo significhi automaticamente una maggiore scorrettezza delle aziende del settore: giocano invece, da un lato la complessità dei prodotti offerti, dall’altro l’alto grado di diffusione dei servizi di telefonia nel nostro Paese». A suo parere, si rischia di tutelare troppo il consumatore a scapito della libertà di mercato? «Rispondo che della libertà di mercato fa parte, a pieno titolo, la libertà di scelta del consumatore, senza la quale assisteremmo solo ad abusi di mercato che farebbero male a tutto il Paese. Non c’è democrazia economica che possa basarsi sull’inganno e sulla scorrettezza». CALABRIA 2010 • DOSSIER • 109





IUS & LEX CULTURA DELLA LEGALITÀ Per contrastare la ’ndrangheta serve l’appoggio dello Stato, ma soprattutto l’impegno delle istituzioni locali

L’INCONTRO Carlo Taormina racconta la sua carriera, dai casi più famosi a quelli lontani dai riflettori mediatici

GIUSEPPE VALLOTTO Le missioni italiane al di fuori dei confini nazionali nelle parole del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito


LOTTA ALLA CRIMINALITÀ

Uno sforzo comune contro la ’ndrangheta

La matrice mafiosa dell’attentato alla procura generale di Reggio Calabria è assodata. Il procuratore capo Giuseppe Pignatone e il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, concordano nel valutare l’episodio come una reazione all’intensiva attività del distretto contro la ’ndrangheta. Ora diventa cruciale l’ulteriore sostegno da parte dello Stato e della società civile

l 3 gennaio scorso, una bomba ha colpito la porta dell’edificio in cui hanno sede la procura generale e l’ufficio del Giudice di pace. L’attentato, per la giunta sezionale dell’Anm, l’Associazione nazionale magistrati, assume più che mai una forte valenza intimidatoria nei confronti dell’operato della magistratura reggina e del distretto. Leonardo Testi Un punto di vista abbracciato, come emerge dai primi commenti a caldo rilasciati alla stampa a seguito dell’episodio, dal procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone, uno dei pilastri della lotta alla mafia siciliana: «Abbiamo arrestato decine di latitanti, sequestrato centinaia di milioni di euro e fiumi di cocaina. È chiaro che ci troviamo davanti a una reazione. Le indagini faranno chiarezza sulle responsabilità e sulle motivazioni. Ma mi pare chiaro che ci troviamo davanti a una reazione legata all’azione della magistratura di Reggio Calabria che negli ultimi tempi è stata intensa e continua». Le mafie colpiscono nel momento in cui sono in difficoltà. Lo ha ribadito anche il procuratore generale antimafia Piero Grasso, che ha sottolineato la necessità da parte dello Stato di dare un forte e inequivocabile segnale della propria presenza in Calabria, così come è stato per l’intervento in Sicilia. Ai margini della commemorazione, il 6 gennaio scorso a Palermo, del presidente dell’Isola Piersanti Mattarella, ucciso da Cosa Nostra, Grasso ha infatti commentato l’attentato di Reggio Calabria contro la procura generale, evidenziandone un aspetto in particolare: il rischio che Sopra, da sinistra, il procuratore la sfrontatezza della criminalità organizzata nell’alzare nuo- della Repubblica di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone. vamente i toni dello scontro trovi una significativa base di ap- A destra, Piero Grasso, procuratore poggio e di slancio dalla campagna di delegittimazione attuata nazionale antimafia. In alto a destra, la sede della Procura nei confronti della magistratura in Italia. «C’è stato un grave generale di Reggio Calabria atto intimidatorio nei confronti della magistratura – ha dichiarato Grasso agli organi d’informazione presenti – e questo è anche conseguenza del clima che si è creato nei confronti della stessa magistratura: sembra quasi che si possa facilmente attaccarla, anche con un atto del genere. Stato e go-

I

118 • DOSSIER • CALABRIA 2010


Il caso Reggio Calabria

Le indagini faranno chiarezza sulle responsabilità e sulle motivazioni. Ma mi pare chiaro che ci troviamo davanti a una reazione legata all’azione della magistratura di Reggio Calabria che negli ultimi tempi è stata intensa e continua

verno devono affiancare la magistratura, come del resto stanno facendo e credo che faranno. Anche la magistratura al proprio interno deve muoversi come un solo uomo, senza lasciare sacche di sofferenza in certi settori». L’11 gennaio si è tenuta a Reggio Calabria un’assemblea dell’Anm, che ha voluto stringersi attorno alle toghe del distretto, esprimendo una solidarietà non solo di facciata. Pignatone, in quell’occasione, ha esplicitato la sua richiesta, sottoposta al ministro Alfano, di un potenziamento della procura della Repubblica così come della procura generale e del Tribunale. «Se si realizzeranno le promesse fatte – ha sottolineato il procuratore – penso che la bomba messa dalla ‘ndrangheta alla Procura generale si dimostrerà un clamoroso autogol». A rafforzare le strutture investigative volte al contrasto della ‘ndrangheta sono intanto stati inviati dal governo 121 uomini, tra poliziotti, carabinieri e finanzieri e sei magistrati (due sostituti procuratori generali e quattro pm in Procura). Ma l’obiettivo a lungo termine per Pignatone è dare vita in Calabria a «un movimento di liberazione della società civile dalla ‘ndrangheta», che parta innanzitutto dallo sforzo dell’imprenditoria, anche del nord Italia, contro le cosche. «Negli ultimi vent’anni sono state loro a realizzare le grandi opere avviate in questa regione e non mi sembra che siano state protagoniste di gesti di resistenza alle dinamiche tipiche dell’economia calabrese. Eppure dalle carte processuali emerge con chiarezza che la ’ndrangheta, sugli appalti pubblici, ha sempre riscosso la tassa di ambiente del tre per cento». CALABRIA 2010 • DOSSIER • 119


CULTURA DELLA LEGALITÀ 121

49

7mld euro

102

RISORSE

ARRESTI

SEQUESTRO

OPERAZIONI

Unità di personale investigativo della Polizia inviate a gennaio in Calabria

Numero di latitanti appartenenti alla 'ndrangheta arrestati nel corso del 2009

Valore dei beni sequestrati alla criminalità organizzata dallo Stato negli ultimi 18 mesi

Interventi di polizia giudiziaria relative all’ndrangheta negli ultimi 18 mesi


Francesco Nitto Palma

Applicare la Bossi-Fini per evitare un’altra Rosarno La rivolta degli immigrati a Rosarno non è figlia del razzismo. Per il sottosegretario all’Interno Francesco Nitto Palma, a pesare sono soprattutto le omissioni e le negligenze della Regione. Nella gestione del territorio così come nella corretta applicazione delle norme di legge sull’immigrazione Francesca Druidi

l 7 gennaio scorso a Rosarno un immigrato è stato ferito con un colpo di pistola ad aria compressa. Fu l’inizio di due giorni di violenze e disordini che hanno scosso non solo la Calabria, ma l’Italia intera, ancora una volta costretta ad affrontare a viso aperto temi scomodi e cruciali quali immigrazione, tolleranza, criminalità organizzata. Alla notizia del ferimento, c’è stata l’accesa protesta di almeno 300 extracomunitari presenti nell’area come braccianti agricoli nelle campagne della piana di Gioia Tauro. Nelle ventiquattrore successive, la risposta violenta di alcuni cittadini italiani riaccese lo scenario. La crisi si è conclusa con l’evacuazione dall’area di circa 1.300 immigrati, di cui molti in possesso del permesso di soggiorno. Ma Francesco Nitto Palma, sottosegretario all’Interno, rigetta l’accusa di razzismo rivolta dai mass media alla popolazione del paese. «Anche se non sono nato in Calabria – afferma il senatore – sono stato eletto in questa regione, nella quale ho anche lavorato. E devo aggiungere che nell’eventualità in cui si mettesse a ferro e fuoco un paese, come è successo a Rosarno, io credo sia ingiustificabile, ma comprensibile, la controreazione verificatasi». Il riferimento del sottosegretario va a un episodio preciso: «Se per ipotesi un uomo, bianco, nero o giallo che sia, italiano o no, dovesse bloccare un’auto con una donna e due bambini a bordo, percuoterla, terrorizzare i bambini e incendiare la macchina, immagino che anche a Bolzano si riscontrerebbe una reazione. Affermare che vi sia stato razzismo significa trincerarsi dietro quest’accusa per non affrontare le reali problematiche che concernono l’immigrazione in generale e quella

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Sopra, Francesco Nitto Palma, sottosegretario del ministero dell’Interno, rieletto al Senato come capolista in Calabria il 13 aprile 2008

CALABRIA 2010 • DOSSIER • 121


CULTURA DELLA LEGALITÀ

clandestina in particolare». Nel frattempo, il governo intende

Sopra, il Centro direzionale di Reggio Calabria, sede della procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria; nella pagina a fianco, alcuni momenti della rivolta degli immigrati a Rosarno del 7 gennaio scorso

122 • DOSSIER • CALABRIA 2010

rafforzare la propria presenza in Calabria attraverso l’invio di nuove risorse e l’insediamento a Reggio Calabria dell’Agenzia nazionale per la gestione dei beni sequestrati e confiscati. Quali sono a suo avviso le ragioni che hanno portato al deflagrare della situazione di Rosarno in concomitanza con l’attentato alla Procura generale di Reggio Calabria il 3 gennaio scorso? «Personalmente ritengo che considerare i fatti di Rosarno collegati all’attentato alla procura di Reggio Calabria con l’obiettivo di stornare l’attenzione da quest’ultimo episodio, rappresenti soltanto un’ipotesi. Chi la formula, soprattutto se componente delle istituzioni, dovrebbe avere l’accortezza di specificare le ragioni di tale affermazione. Altrimenti rimane un’ipotesi come tante e, in generale, anche abbastanza imprudente». Esistono in regione altre aree che presentano caratteristiche simili a quelle di Rosarno? «Non mi pare che in regione vi siano altre situazioni a rischio. Fuori dalla Calabria potrebbe, invece, proporsi a Castel Volturno, dove si sono trasferiti molti degli immigrati di Rosarno. A leggere la situazione per come si è verificata, Rosarno nasce da uno scenario di fortissimo degrado ambientale, dovuto in gran parte alla al governo regionale e a una serie di episodi che hanno determinato una spirale di azioni, reazioni e controreazioni». Come si può evitare che altri casi analoghi si ripetano? «Condivido quanto affermato dal ministro Maroni, ossia che il rispetto delle leggi del nostro Paese, a partire dalla Bossi-Fini che richiede che il datore di lavoro trovi un alloggio dignitoso al prestatore della mansione, sia di per sé sufficiente a evitare il contesto di degrado che sta alla base di quanto avvenuto a Rosarno. Lo sforzo che il ministero dell’Interno sta compiendo in Calabria è uno sforzo che manifesta l’impegno assoluto del governo nel ricondurre questa regione alla normalità della legalità. Se, però, la magistratura non svolge le dovute indagini sul fenomeno del caporalato, determinante nel caso di Rosarno, il ritorno alla legalità sarà un’impresa difficile. L’azione preventiva e repressiva delle forze dell’ordine necessita, infatti, anche di una magistratura attenta e vigile alle differenti problematiche presenti nel territorio». Il quadro normativo volto a regolamentare l’immigrazione clandestina non manca. Ma come si può rendere l’applicazione della Bossi Fini più efficace?


Francesco Nitto Palma

«Si tratta di far applicare la legge, senza tentennamenti. E di farla applicare anche nei confronti degli enti istituzionali che, in ordine alle problematiche correlate ai fenomeni di immigrazione, non si assumono, come è doveroso invece che facciano, le dovute responsabilità. La situazione di degrado in cui si trovavano gli immigrati di Rosarno devono esserci ampiamente spiegate dalla Regione Calabria». Il 2009 ha segnato importanti passi in avanti nel contrasto all’ndrangheta. In base anche alla sua esperienza di magistrato, cosa è cambiato rispetto al recente passato? «Non vi è dubbio che l’ultimo periodo abbia prodotto, sotto il profilo degli arresti dei latitanti, delle indagini poste in essere e del sequestro e della confisca dei beni mafiosi, un elevatissimo salto di qualità. Senza nulla voler togliere a chi ha operato in regione nel passato, mi sembra di poter affermare che oggi in Calabria le forze dell’ordine nel loro complesso stanno impegnando gli uomini migliori, anche sul fronte della qualità investigativa. Di conseguenza, i risultati non potevano non giungere. Dal mio personale punto di vista, ritengo un fattore estremamente positivo l’arrivo alla procura della Repubblica di Reggio Calabria del collega Giuseppe Pignatone che, al di là dell’esperienza maturata nella lotta a Cosa Nostra, non ha nessuna forma di legame con il territorio e può così sviluppare le indagini senza pregiudizi o preconcetti di sorta». A prescindere dai fatti contingenti di Rosarno, come si configura in Calabria il rapporto tra criminalità organizzata e immigrazione clandestina? «Non possiamo prescindere dai fatti di Rosarno e non si può parlare solo di immigrazione clandestina. Mentre sono molto perplesso circa la presenza della criminalità organizzata dietro la controreazione del paese, sono invece molto meno dubbioso sulla presenza delle criminalità organizzata dietro il fenomeno del caporalato e dello sfruttamento del lavoro degli extracomunitari. Prima di quanto avvenuto nella cittadina in provincia di Reggio Calabria, segnalo che non vi era in loco alcuna indagine sul punto. Per quanto riguarda il rapporto tra criminalità organizzata ‘ndranghetista e immigrazione clandestina, credo vi possa essere una certa forma di collegamento, ma non ritengo che l’ndrangheta sia, tra i vari gruppi criminali, quello che svolge il ruolo di portabandiera su questo fronte».

Affermare che a Rosarno vi sia stato razzismo significa trincerarsi dietro quest’accusa per non affrontare le reali problematiche che concernono l’immigrazione in generale e quella clandestina in particolare

CALABRIA 2010 • DOSSIER • 123


CULTURA DELLA LEGALITÀ

Contrastare la ’ndrangheta con l’impegno di tutti Sui fatti di Rosarno scende l’ombra lunga del sospetto coinvolgimento della criminalità organizzata. Per contrastare l’ndrangheta serve l’appoggio dello Stato, ma soprattutto l’impegno effettivo delle istituzioni locali. Minando il potere economico delle cosche. Lo spiega la deputata Angela Napoli

a strategia delle cosche della ‘ndrangheta calabrese è sempre quella di impadronirsi del territorio, di tutte le attività che sullo stesso si svolgono e, quando gli viene consentito, di sostituirsi allo Stato». È eloquente la descrizione della traiettoria di azione ‘ndranghetista da parte di Angela Napoli, componente della commissione parlamentare Antimafia, che parla di come l’ndrangheta si sia “vestita di nuovo”. Quali sono i tratti fondamentali di questo fenomeno? «La ‘ndrangheta ha sicuramente indossato i vestiti del “perbenismo” e con questa immagine riesce a penetrare nelle istituzioni, nella pubblica amministrazione e nell’economia legale. Francesca Druidi Per troppo tempo abbiamo lasciato che venisse considerata “stracciona” e ci siamo preoccupati di colpire solo l’area militare delle varie ‘ndrine, mentre le nuove leve riuscivano a conseguire elevati titoli di studio e ad accedere, quindi, alle varie professioni. Inoltre, al perbenismo si è aggiunta la potenzialità economica delle singole cosche, derivante dalle attività illecite, in primis dal traffico di sostanze stupefacenti, portando la ‘ndrangheta a raggiungere il primato tra le altre organizzazioni nazionali, per potenzialità e pervasività». Cosa fare per contrastarla? «Serve un’attività di contrasto caratterizzata certamente da una più incisiva repressione e certezza della pena, ma anche da un potenziamento dell’attività di prevenzione con l’attacco ai patrimoni illeciti». Ritiene il caso Rosarno una mossa dell’ndrangheta per distogliere l’attenzione delle forze dell’ordine dalla lotta alla criminalità? «Naturalmente la mia è un’opinione del tutto personale. Ma se è vero che dietro la bomba posta davanti alla procura generale di Reggio Calabria ci sia la mano della ‘ndrangheta, non può apparire semplice coincidenza il fatto che i tafferugli a Rosarno siano iniziati proprio in coincidenza dell’arrivo nel capoluogo dei due ministri dell’Interno e della Giustizia, per parLa deputata Angela Napoli, membro della tecipare ai lavori del Comitato nazionale per l’ordine e la commissione parlamentare Antimafia sicurezza, peraltro convocato per la prima volta in Calabria. D’altra parte è inimmaginabile pensare che la ‘ndrangheta sia

L

124 • DOSSIER • CALABRIA 2010


Angela Napoli

A fianco, la mappa dei Comuni che nella Piana di Gioia Tauro sono attualmente sciolti per infiltrazioni mafiose: Rosarno, Gioia Tauro, San Ferdinando e Taurianova, mentre Rizziconi è soggetto a commissariamento

San Ferdinando

Rosarno Gioia Tauro Rizziconi

Taurianova

La strategia delle cosche della ‘ndrangheta calabrese è sempre quella di impadronirsi del territorio, di tutte le attività che sullo stesso si svolgono e, quando gli viene consentito, di sostituirsi allo Stato

fuori dal “caso Rosarno”, visto che le locali cosche Bellocco e Pesce hanno accettato silenziosamente per anni la presenza dei numerosi immigrati, forse aggiungendosi anche all’attività di sfruttamento degli stessi». È necessario, secondo lei, un intervento più serrato in Calabria da parte del governo centrale? O diventa fondamentale un’azione decisa che venga dall’interno, a partire dai singoli cittadini e dalle istituzioni della regione? «Non v’è dubbio che, purtroppo, solo grazie agli ultimi drammatici avvenimenti, il governo nazionale sta prestando attenzione in modo adeguato alla Calabria. E mi auguro che non rimanga un’attenzione fine a se stessa, ma che sia permanente e supportata dall’attuazione degli impegni assunti. Sarebbe tuttavia strumentale e demagogica la richiesta di intervento fatta al solo governo. Al di là dell’attività di facciata, l’amministrazione regionale calabrese e un buon numero di quelle locali poco hanno fatto per impedire le collusioni e garantire il reale contrasto alla ‘ndrangheta. A tutt’oggi ben quattro comuni, tra i quali quelli a maggiore densità di popolazione nella sola Piana di Gioia Tauro, risultano sciolti per infiltrazione mafiosa. In analoga situazione si trova l’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria. Le amministrazioni calabresi hanno fino a oggi creduto di aver dimostrato trasparenza con la sottoscrizione dei famosi “protocolli per la legalità” o costituendosi parte civile in alcuni processi per mafia. Poche amministrazioni, però, hanno cacciato dal loro interno i collusi, rintracciabili anche tra funzionari e dipendenti». Manca forse un adeguato supporto culturale. «Nonostante vada dato atto della nascita in Calabria di molte associazioni culturali, antiracket e di volontariato che quotidianamente si battono per contrastare il fenomeno criminale, pur tuttavia non è ancora riscontrabile tra i singoli cittadini la stessa consapevolezza e la stessa volontà evidenziate, all’indomani delle stragi del 92, dai cittadini della vicina Sicilia». CALABRIA 2010 • DOSSIER • 125


L’AVVOCATURA COME MISSIONE

I giovani e il futuro della professione U

na professione che si evolve e cresce modellandosi con una società tanto mutevole quanto complessa. Quella dell’avvocatura è, a tutti gli effetti, una missione. Occorrono decisione, carattere, dedizione e, prima di ogni altra cosa, il Dopo una carriera importante e ricca rispetto per un ruolo così profondamente radidi riconoscimenti, Armando Veneto cato nel complesso sistema posto a garantire la traccia le linee delle strutture legali giustizia ai liberi cittadini. Ed è in coloro che hanno lasciato, negli anni, un segno tangibile contemporanee. Rivolgendo un appello nella cultura forense, che i giovani possono troalle nuove generazioni, le quali non devono vare l’ispirazione. L’Onorevole Avvocato Armai smettere «di onorare la toga» mando Veneto, per molti, è un vero e proprio pezzo di storia. Conosciuto in tutto il Paese, soAndrea Moscariello prattutto nella sua Calabria, è proprio alle nuove generazioni che si rivolge, con l’auspicio di ali-

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Armando Veneto

In apertura, l’avvocato onorevole Armando Veneto. A lato, l’avvocato Clara Veneto, figlia dell’onorevole e oggi al fianco del padre nella gestione dello studio legale, che vanta sedi a Roma e a Palmi studioveneto@libero.it - venetoassociatiroma@tiscali.it

mentare una sempre più meritevole classe forense. E soffermandosi a riflettere sulla sua professione, constata come a cavallo tra i due secoli anche le strutture legali si sono trasformate. «Negli ultimi cinquanta anni la professione legale ha subito notevoli mutamenti che hanno inciso sull’organizzazione degli studi, sui rapporti con i clienti; lo stesso modo di interpretare il ruolo dell’avvocato – racconta Veneto - Così è cresciuta l’esigenza di fornire pareri preventivi rispetto al ricorso alla giurisdizione; di avere rapporti sempre più formali con l’assistito, a evitare dannose commistioni di immagine e di interessi; di offrire una vasta gamma di servizi, attrezzandoci secondo comparti aventi competenza specifica nei vari e diversi settori dell’attività giudiziaria». Questi cambiamenti fanno anche riflettere sulle nuove generazioni di avvocati. Il suo approccio nei loro confronti come si sta evolvendo? «È sempre più marcato il dovere di offrire, ai giovani che si avviano alla professione, supporti e occasioni perché essi intendano l’importanza di interpretare, sempre e senza eccezioni, la funzione dell’avvocato, che è anzitutto un dovere sociale e pubblico correlato al diritto di difesa, pilastro di ogni costituzione democratica. E che, pertanto, va esercitato con competenza e, soprattutto, dignità. Una peculiarità certamente necessaria, per contrastare eccessi di superficialità che, talvolta, rasentano il codice, non solo deontologico». Qual è, moralmente e professionalmente, il ruolo di chi, come lei, vanta tanti anni di esperienza? «Tocca ai più anziani spiegare ai giovani, testimoniandolo, che il valore aggiunto di una difesa tecnica sta nella autorevolezza di chi la svolge, e nell’apprezzamento della serietà dell’interlo-

Occorre essere al passo con i tempi, battere strade nuove, mantenendo inalterato solo lo stile, fatto di autorevolezza e di rispetto per ciò che è giusto e doveroso

cutore da parte di chi deve giudicare. In oltre cinquanta anni di attività il mio studio, che ora si chiama Veneto & Veneto per il fortunato ingresso nella struttura iniziale di mia figlia, l’avvocato Clara Veneto, ha visto passare oltre novanta giovani nelle sue sedi di Palmi e Roma. Molti sono avvocati e tanti tra loro sono ai primi posti nelle sedi ove svolgono attività professionale. Da Milano a Bologna, da Firenze a Roma fino a Torino, Catanzaro e Cosenza, solo per citarne alcuni. Altri sono magistrati, docenti, universitari, funzionari dello Stato». Il rapporto è proseguito anche dopo la loro fuoriuscita dallo studio? «Sono tutti legati tra loro e con il sottoscritto da rapporti di reciproca stima, amicizia e rispetto. Come testimoniamo in occasione delle riunioni ›› 2010 CALABRIA • DOSSIER • 137


L’AVVOCATURA COME MISSIONE

A destra, Armando e Clara Veneto insieme a parte dello staff dello studio legale

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È sempre più marcato il dovere di offrire, ai giovani che si avviano alla professione, supporti e occasioni perché essi comprendano l’importanza di interpretare la funzione dell’avvocato, che è anzitutto un dovere sociale e pubblico correlato al diritto di difesa, pilastro di ogni costituzione democratica

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conviviali che ogni anno, secondo una tradizione consolidata, ci vedono tutti insieme. Questo mi pare un frutto rilevante da esporre, perché testimonia il significato sociale che deve essere attribuito a ogni professione e in particolare a quella legale per la rilevanza costituzionale che le è propria». Tornando a come si devono necessariamente evolvere le strutture legali, è finita l’epoca del titolare “accentratore”? «Uno studio legale non può più essere rappresentato solo dal suo titolare, ma necessita di un gruppo di lavoro che, pur nella autonomia individuale, consenta di dare alla clientela risposte adeguate alle sue necessità. Non solo nelle materie tradizionali, ma anche in quelle che la realtà sociale ed economica fa emergere di continuo». Tant’è che la sua realtà si occupa di più ambiti del diritto. «Infatti. Oltre al penale classico, che costituisce l’area di maggiore interesse, affrontiamo i temi del diritto doganale e d’impresa, con i correlati problemi legati agli aspetti tributari e di organizzazione. Penso ai modelli organizzativi d’impresa che sono un’area di impegno professionale notevole, oltre a quelli della responsabilità da fatto illecito. Tra essi, di particolare interesse sono quelli per colpa medica. E poi vi è tutto ciò che riguarda i delitti ambientali e quelli nuovi, dal mobbing allo stalking. Ci tengo a segnalare tutto questo perché evidenzia come la ricerca, l’aggiornamento e l’approfondimento costituiscono il metodo di un continuo impegno intellettuale e applicativo che rende sempre attuale la presenza dello studio nel contesto in cui opera». Dunque una formazione continua? «Occorre essere al passo con i tempi. Non ri-


Armando Veneto

posare mai sugli allori di una competenza acquisita, battere strade nuove, mantenendo inalterato solo lo stile, fatto di autorevolezza e di rispetto per ciò che è giusto e doveroso. Questa è la filosofia dei titolari dello studio e di quanti chiedono di poter partecipare a una vicenda professionale che costituisce, ancora oggi, occasione per un continuo confronto, con sé stesso, gli altri, la vita e i problemi che essa pone. Con l’impegno di lasciare una traccia quanto al metodo usato, perché il confronto faccia crescere chi lo accetta e coloro che ne comprendono il senso». Dunque è questa la sua principale eredità? «Questa idea di base è il frutto di una lunga e consolidata esperienza di alto profilo, maturata in centinaia di processi, molti dei quali di rilevanza nazionale svolti su tutto il territorio italiano. Alcuni con attività di ricerca e acquisizione della prova in vari Paesi esteri. Le difese dinanzi alla Corte di giustizia di Strasburgo e alla Corte Costituzionale completano il quadro

50 ANNI

Ha ormai superato la soglia del mezzo secolo la storia professionale di Armando Veneto. Il suo studio ha formato decine di giovani avvocati

delle attività dinanzi la giurisdizione di merito, ambiti del quotidiano impegno della nostra squadra. La scommessa di partire da un piccolo centro della Calabria, pur se di fulgide tradizioni legali, per avere un posto di vertice tra i penalisti italiani che, con orgoglio, avevo lucidamente posto con me stesso sin dall’università, si va sempre più delineando come vincente». Cosa desidera per il futuro? «Vorrei ricordare ai giovani, ai quali è sempre rivolto il mio pensiero, che la toga va onorata. E che per farlo non bisogna legarsi al successo economico e sociale; ma alla stima che il nostro impegno di difesa farà sorgere intorno a noi. Si tratta di un patrimonio trasmissibile, dell’unico patrimonio che costa onesta e quotidiana fatica per essere conquistato. Ma che non genera conflitti tra gli eredi, tutti potendone usufruire in uguale misura. Dunque, di un patrimonio da accumulare, giorno dopo giorno, come traguardo di una vita professionale spesa bene». 2010 CALABRIA • DOSSIER • 139




L’ARRINGA

Mutate regole di eloquenza forense di Ernesto D’Ippolito Avvocato - studioe.dippolito@tiscali.it

e si dice, quando si dice, che il nuovo codice di rito penale abbia mutato le regole sull’arringa, si dice il vero, anche se non è inopportuno qualche ulteriore, più approfondito chiarimento. Intanto l’arringa, come genere, anche letterario, come sintesi di eloquenza forense, è certamente mutata. Oltre mezzo secolo, tra le due codificazioni (1930-1988), registra un mutamento del gusto, ma già prima del modo di parlare, l’aggettivazione, i tempi, i modi e i luoghi del discorrere. Mezzo secolo fa il discorso fra persone, anche legate da amicizia intima, addirittura parentela, si svolgeva attraverso rituale epistolare. La modernità ha spazzato via gran parte di tale rituale, cerimoniale, usanza. Oggi il più frequente tramite tra due persone è il cellulare, il che ha modificato anche lo stile, le sigle, la scrittura. Come negare che il costume, così mutato, abbia inciso i rapporti tra cittadini e pubblici poteri, scremandone eccessi formali, tradizionali ossequi esagerati, forme espressive involute. All’interno della vita giudiziaria, i rapporti difensore/p.m., difensore/giudice, hanno da tempo perduto, salvo eccezioni censurabilissime, il carattere servile e subordinato di un tempo. Di qui un incremento di sobrietà, una reductio a essenzialità delle ragioni dell’oratore. Del pari evidente che ulteriore, rilevante apporto allo sveltimento dell’arringa fornisce il nuovo codice di procedura penale, che regola l’inizio dell’attività defensionale dal primo insorgere del procedimento, con la presenza, almeno teoricamente attiva ed effettiva, della difesa attraverso le fasi degli atti preliminari, dell’udienza preliminare, degli atti precedenti l’udienza dibattimentale, gli interventi di dibattimento. Gli articoli 493 e 498 c.p.p. incidono nella

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sostanza del modo d’essere del difensore, della difesa del nuovo processo penale. L’articolo 493 assegna alle parti, dunque al difensore, in apertura del dibattimento di “indicare i fatti che intende provare e chiedere l’ammissione delle prove”. C’è chi possa negare che l’avvocato, nell’indicare i fatti, ne dia una rappresentazione già visitata dalla propria visione e coerente con le tesi che discuterà al termine del dibattimento? Per “fatto” poi si intende sia lo svolgimento del contesto incriminato, sia la cornice giuridica entro la quale si inserisce e, il difensore ha interesse a disegnare fin dall’inizio, il confine giudiziario del dedotto. L’articolo 498 c.p.p. regola l’esame diretto e il controesame che il difensore conduce: novità centrale ed essenziale del nuovo codice. Nel codice Rocco, il difensore doveva rivolgere la domanda al presidente; questi doveva sincerarsi dell’assenso del P.M. per poi formulare, eventualmente, ed evidente-


Ernesto D’Ippolito

mente filtrandola dal suo punto di vista, la domanda, verbalizzandone, sempre a proprio criterio, la risposta. Oggi il diritto diretto all’esame e al controesame consente al difensore di articolare buona parte delle ragioni difensive, attraverso “nozioni” del fatto chieste al test, regole scientifiche chieste al consulente. Insomma, le nuove regole sull’eloquenza forense, l’impianto nuovo del processo, hanno contribuito a sfoltire l’arringa del difensore da fronzoli pseudoletterari e richiami paleostorici. Ma di questo, solo di questo legittimamente. Disturbare gratuitamente Carducci o Leopardi per un furto di galline, peggio: citare brani, sapientemente trattati ed espunti, per tentare impossibili alibi psico-scientifici a stupri di gruppo e a libidine repressa, sarebbe (è) oggi incompatibile e insopportabile, qualunque evoluzione avesse avuto il diritto processuale penale, qualunque assetto fosse stato dato al processo. Ma non assegniamo al nuovo processo la responsabilità di arringhe senza spessore culturale, sempre più frequentemente sintetizzate aridamente nelle sole richieste finali. L’uso della prova, la selezione delle prove, l’attendibilità delle prove, la logica sottesa alla ricerca della prova, concerne la ragione e la scienza. Che non possono mai essere trascurate, per

I rapporti tra difensore e p.m., e tra difensore e giudice hanno da tempo perso il carattere servile e subordinato di un tempo. Di qui un incremento di sobrietà, una reductio a essenzialità delle ragioni dell’oratore

interpretare un fatto umano, un comportamento, una condotta. E incasellare quel fatto, quella condotta in una, ovvero altra, ipotesi, meno grave oppure priva di sanzione, impone al difensore lo studio attento e approfondito degli elementi fattuali, delle norme penali, di come sono state e sono, giorno per giorno, interpretate dai giudici attenti e autorevoli e docenti condivisibili. Mentre le scienze satelliti offrono campi sterminati nei quali il difensore moderno si fa accompagnare da luminari esperti, a tale dimensione assegnando larga fetta della difesa. Può sembrare superfluo ma non è un fuori d’opera rammentare il principio della coerenza come componente essenziale di una difesa, culturalmente elevata e professionalmente utile. Dall’accettazione della difesa e del cliente, attraverso l’eventuale produzione di contributi testimoniali direttamente raccolti, alle tesi esposte nell’udienza preliminare, nella preparazione della lista di discarico, nella formulazione delle domande, in sede di esame e controesame, il difensore serio, obbligato a rendere al proprio assistito la maggiore, migliore probabilità di successo, deve evitare rovinosi salti da una tesi all’altra, da un assunto all’assunto opposto. Ricordo un grande giurista vissuto tra la fine dell’Ottocento e metà del Novecento, maestro di diritto civile e processuale civile, che indossò la toga di difensore penale una sola volta nella sua vita il 30 marzo 1956 dinanzi al tribunale di Palermo, in difesa del sociologo triestino Danilo Dolci che, trasferitosi in Sicilia, per combattere la mafia e aiutare i contadini, venne poi “coerentemente” ucciso dalla mafia, processato per manifestazioni sindacali. Invito chiunque si sia dedicato da tempo all’avvocatura penale, ovvero sia per interpretarla, all’esame attento delle parole di Calamandrei, dello sfondo offerto dalla comprensione del fatto ai principi etico-politici di riferimento, alle scelte conseguenti, alle conclusioni ariosamente costituzionali consigliate con convincenti argomenti ed esaltanti scelte di campo. È difficile che l’avvocato possa sempre attingere all’altezza dell’arringa di Calamandrei in difesa di Dolci. Ma i punti di riferimento, gli esempi, gli insegnamenti fondamentali servono proprio a questo, a testimoniare l’esempio, a consentirne l’imitazione, o almeno l’ispirazione. 2010 CALABRIA • DOSSIER • 149




UNIVERSITÀ

Un’ottima performance malgrado i tagli Una gestione oculata delle risorse ha permesso all’Università della Calabria di confermarsi al primo posto tra gli atenei italiani di grandi dimensioni. «I risultati scientifici, la capacità attrattiva, le collaborazioni e i riconoscimenti a livello nazionale e internazionale restano i punti di forza». Come conferma il rettore Giovanni Latorre Giusi Brega

uello che si è appena chiuso, è stato un anno positivo per l’Università della Calabria, che ha dimostrato di essere una realtà importante nel sistema universitario italiano tanto da ricevere il plauso pubblico di Unioncamere Calabria per «l’incisiva azione di sviluppo e crescita» messa in campo. «Ma non era scontato che avvenisse» sottolinea il rettore Giovanni Latorre. Il professore, infatti, ammette di aver dovuto attingere a piene mani al «profondo spirito di sacrificio e alla volontà di fare del bene che hanno consentito di superare ostacoli diversamente insormontabili». Ostacoli cementati dalla «consapevolezza di dover affrontare, rispetto alle altre università, soprattutto del Centro-Nord, difficoltà maggiori e, di con-

Q

Nella foto sopra, Giovanni Latorre rettore dell’Università della Calabria dal 1999 e professore ordinario di Statistica presso la facoltà di Economia

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tro, di sfruttare opportunità più ridotte, ma senza mai perderci d’animo». Quali sono le prove che UniCal ha affrontato in quest’ultimo anno? «Il momento è stato particolarmente difficile, anche e soprattutto, sul piano della limitatezza delle risorse finanziarie e per i tagli decisi dal Ministero. Considerati i risultati ottenuti dall’UniCal, che ha rispettato rigorosamente i parametri stabiliti dal Miur, l’ateneo avrebbe dovuto poter contare su un flusso di risorse ben diverso. Non è una storia nuova, purtroppo. E questo è un aspetto tutt’altro che secondario. Il divario tra le risorse dovute all’ateneo dallo Stato e quelle a esso realmente assegnate, è un elemento ormai diventato cronico, con conseguenze facilmente immaginabili. La nostra istituzione, purtroppo,


Oggi, il rapporto con le imprese ma, più in generale, con il settore produttivo calabrese, si basa su solidi e concreti piani di collaborazione. Il trasferimento delle conoscenze scientifiche è uno dei punti più qualificanti dell’ateneo, che ha nella struttura dell’Industrial liason office il cuore pulsante di questa attività opera in un contesto difficile, all’interno del quale manca un forte tessuto economicoproduttivo, il che priva l’ateneo della possibilità di contare su sostegni e disponibilità di risorse aggiuntive, sulle quali invece, in altre zone d’Italia, le università possono fare ampio affidamento. Non so quanti, al nostro posto, sarebbero stati capaci, in presenza di condizioni tanto penalizzanti, di fare ciò che abbiamo fatto qui». Ci può spiegare i risultati raggiunti?

«Voglio ricordare il piazzamento, al primo posto tra gli atenei di grandi dimensioni, che l’UniCal ha ottenuto nell’annuale classifica elaborata dal Censis e dal quotidiano la Repubblica, attraverso cui viene misurata la qualità di alcuni parametri organizzativi che caratterizzano il rapporto tra le università e gli studenti. Anche le attività della ricerca del nostro ateneo sono state valutate positivamente, ciò ha permesso all’UniCal di ottenere un piazzamento lusinghiero. Poi, il 2009, è stato

l’anno che ha confermato l’attenzione e la credibilità di cui l’UniCal gode sul piano istituzionale. La partecipazione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano all’inaugurazione dell’anno accademico, e quella del presidente della Camera Gianfranco Fini alla presentazione del suo ultimo libro, sono state due straordinarie occasioni per toccare con mano quale e quanta considerazione l’UniCal oggi goda a livello nazionale. E questo ci riempie d’orgoglio». Come si caratterizza Unical per ciò che concerne le collaborazioni, i risultati scientifici, la capacità attrattiva degli studenti, i convegni e i riconoscimenti, a livello nazionale e internazionale? «Si tratta di settori nei quali il nostro ateneo svolge ormai un ruolo di primissimo piano. CALABRIA 2010 • DOSSIER • 157


UNIVERSITÀ

UNIVERSITÀ DI CATANZARO: NUOVI ORDINAMENTI ALL’INSEGNA DELLE SINERGIE Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro (nella foto), la seconda in Calabria per numero di studenti iscritti, è organizzata in tre facoltà scientifiche: Farmacia, Giurisprudenza e Medicina e Chirurgia e 6 dipartimenti. Molte sono le possibilità per chi vuole proseguire gli studi post-laurea: i dottorati di ricerca, per chi vuole intraprendere la carriera accademica, le scuole di specializzazione, i master di primo e secondo livello, per un costante aggiornamento nell’ambito delle professioni mediche, giuridiche ed economiche e numerosi corsi di perfezionamento. Nell'ottica di un'apertura internazionale, l'Ateneo ha stretto collaborazioni con diverse università estere al fine di avviare

L’

progetti avanzati di analisi e ricerca scientifica. Lo scorso gennaio, l’Università ha presentato nell’edificio dell’Area economica, giuridica e delle Scienze sociali del Campus “Salvatore Venuta” i nuovi ordinamenti didattici e piani di studio del corso di laurea triennale in Economia aziendale e del corso di laurea magistrale in Economia aziendale e Management. Illustrati i nuovi ordinamenti e piani didattici dei corsi di laurea interateneo (svolti in collaborazione con l’Università Federico II di Napoli), in Economia aziendale e in Economia aziendale e management. È da sottolineare come, nel giro di pochi anni, l’ateneo catanzarese abbia costruito un percorso post-lauream (Master Economia dello

sviluppo sostenibile e dottorato di ricerca in Economia e management in sanità) orientato ad accordi di collaborazione con prestigiosi centri di ricerca (il Cergas-Bocconi nel caso del dottorato) o con Università straniere (University of York, Business School di Oslo). Nel corso della presentazione dei nuovi ordinamenti, è stata sottolineata più volte l’importanza dei profili dei laureati in Economia aziendale, soprattutto in un territorio come quello calabrese. Inoltre, è stata rimarcata anche l’opportunità di aumentare le sinergie tra l’Università e il mondo del lavoro per sviluppare e incoraggiare iniziative comuni da por tare avanti, a livello istituzionale, al fine di incrementare gli attuali livelli occupazio-

C’è veramente l’imbarazzo ai nostri professori Leone e colare e la scoperta di un

In apertura e sotto, l’Università della Calabria

della scelta rispetto ai risultati ottenuti. Ricordo, tra le tante iniziative, la missione archeologica di Kyme Eolica, coordinata dall’UniCal; il Mendelzon Test-of-Time Award, uno dei più prestigiosi premi nel settore informatico a livello mondiale conferito

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Scancello; i due laureati Giuseppe Bisceglia e Maurizio Fresca, premiati tra i migliori cinquanta d’Italia; il premio ricevuto negli Stati Uniti dal professor Andò dal Kimmer Cancer Center di Philadelphia, per i suoi studi nel campo dell’oncologia mole-

nuovo meccanismo molecolare sul tumore al seno da parte del gruppo di ricerca da lui guidato». UniCal si è da sempre distinta per gli sforzi profusi in direzione di una forte relazione con il territorio e con il sistema delle imprese. Quali sono gli obiettivi futuri in tal senso? «È stato e rimane un obiettivo centrale del nostro lavoro. Un punto di riferimento imprescindibile per rendere l’azione dell’Università della Calabria, in sintonia con gli obiettivi strategici che ne hanno giustificato la creazione, funzionale allo sviluppo della regione. Abbiamo fatto molto in questo campo. Oggi, il rapporto con le imprese ma, più in generale, con il settore produttivo calabrese, si basa su


Giovanni Latorre

nali dei laureati in economia aziendale, che rappresentano risorse preziose per il futuro del territorio provinciale ma, anche, regionale. Poggiando l’enfasi sull’elevata qualità dell’offerta formativa presentata e sull’importanza dei corsi di studio di matrice economico-aziendale, si è ribadito l’impegno da parte di tutti gli attori dell’ateneo catanzarese a sostenere e potenziare i corsi di laurea economico-aziendali, necessari sia per sviluppare forme di autoimprenditorialità e di cultura di impresa sul territorio, fondamentale per i processi di sviluppo regionale, sia per la formazione “in loco” di futuri professionisti, imprenditori e classe dirigente, appropriata alle necessità del sistema economico locale.

solidi e concreti piani di collaborazione. Il trasferimento delle conoscenze scientifiche è uno dei punti più qualificanti dell’ateneo, che ha nella struttura dell’Industrial liason office il cuore pulsante di questa attività. Per il futuro continueremo con vigore ancora maggiore in questa direzione. Avremo nuovi spazi, all’interno dei quali troveranno posto gli spin off nei quali l’UniCal è coinvolta, e saremo protagonisti di nuovi progetti destinati a stimolare l’iniziativa imprenditoriale, nel segno dell’innovazione tecnologica». Ci sono degli aspetti che non l’hanno soddisfatta pienamente? «Per quanto riguarda l’Università della Calabria non posso che considerarmi soddisfatto. Certo, è sempre pos-

UNICAL E MAGNA GRAECIA: IL PROFILO DEI LAUREATI Università della Calabria laurea di primo livello

laurea specialistica

Numero dei laureati

2496

869

Età alla laurea (medie)

24,5

25,8

Voto di laurea (medie)

99,1

108,8

Università degli Studi "Magna Graecia" Catanzaro laurea di primo livello

laurea specialistica

Numero dei laureati

1394

192

Età alla laurea (medie)

28,6

31,2

100,2

104,2

Voto di laurea (medie)

Fonte Consorzio AlmaLaurea (Profilo dei laureati, 2008)

sibile fare meglio, ma i risultati ottenuti sono notevoli. Forse, potremmo augurarci di contare su condizioni diverse e migliori di quelle attuali. Questo, certamente, oggi è un aspetto con cui dobbiamo fare i conti e che, spesso, ci penalizza. Sarà, comunque, un

banco di prova sul quale vorremo misurarci per il futuro, sapendo che il sostegno delle istituzioni, a ogni livello, sarà un elemento essenziale per assicurare alla nostra Università ciò di cui ha bisogno per proseguire lungo la strada intrapresa». CALABRIA 2010 • DOSSIER • 159


I fondi di venture capital accendono nuove idee «Se vogliamo svilupparci dobbiamo partire dal presupposto che bisogna avere un livello di competitività tale da rendere marginali le mancanze del territorio». L’idea rivoluzionaria di Francesco Tassone, titolare di Personal Factory dietro lo start up di un’impresa altamente moderna e tecnologica Renata Gualtieri

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l fondo high tech per il Sud, promosso dal ministero della Pubblica amministrazione e l’innovazione, è finalmente partito. Da un’idea imprenditoriale di Francesco Tassone nasce l’impresa che ha ideato e realizzato un rivoluzionario sistema digitalizzato per produrre malte per l’edilizia. Vertis Venture e TTVenture investono in Personal Factory, con l’obiettivo di favorire l’afflusso di capitale di rischio verso piccole e medie imprese innovative localizzate

I

nel Mezzogiorno. In Calabria la prima operazione del fondo Hi-tech per il Sud. Come è stato selezionata Personal Factory? «Più che la prima del fondo high tech è la prima operazione di venture capital della storia del sud Italia. Gli investitori sono due fondi privati d’investimento: la Vertis sgr di Napoli, di cui uno degli investitori è il ministero, e la TTVenture di Milano; insieme hanno acquisito il 40% della Personal Factory. Si tratta di


Spin off

L'iniziativa del ministero è importantissima, per la prima volta si cerca di incentivare lo sviluppo facendo leva sul merito, si guarda all’imprenditore e al business plan che riesce a produrre. Finalmente un cambio di prospettiva fondi che guardano quello che di meglio c’è al mondo per quanto riguarda l’innovazione è vanno a investire laddove ci sono brevetti e progetti robusti che possono assicurare loro il recupero dei capitali. Abbiamo partecipato alla selezione dell’European venture contest, il più importante concorso europeo che seleziona soltanto aziende ad alto grado di innovazione». Ci può spiegare l’effettiva importanza di questa iniziativa del ministero dell’Innovazione per le piccole e medie imprese del Mezzogiorno? «L’iniziativa del ministero è importantissima, per la prima volta si cerca di incentivare lo sviluppo facendo leva sul merito, si guarda all’imprenditore e al business plan che riesce a produrre. Il ministero affida i soldi a dei fondi privati che a loro volta ci rischiano dei soldi propri, ad alto rischio, perché quando si scommette sull’innovazione il rischio è sempre molto elevato. Un sistema. Questi fondi rappresentano una svolta, finalmente un cambio di prospettiva». Dalla nascita dell’idea all’effettiva realizzazione del

progetto quali sono state le difficoltà burocratiche incontrate e qual è stata la mole dell’investimento economico? «Sarebbe più facile dire quali difficoltà non ci sono state: la Calabria sembra essere diventato il posto ideale per non fare impresa. Abbiamo accumulato almeno un’anno e mezzo di ritardo sulla tabella di marcia a causa di interruzioni ingiustificate dei lavori. Ma il problema maggiore sono le banche. Gli investitori hanno acquisito per 1.300.000 euro il 40% di un’azienda praticamente senza debiti e con immobili di proprietà nuovi, gli istituti bancari ci hanno rifiutato 300 euro di noleggio per una fotocopiatrice e per meno di 30.000 euro di fido paghiamo un tasso del 12%». Quali sono i vantaggi che derivano dal vostro sistema in termini di impatto ambientale, costi, gestione e incremento della produzione? «Il nostro sistema è molto originale, abbiamo creato e brevettato un piccolo impianto a controllo totalmente computerizzato che in meno di cinque metri quadrati è in grado di

realizzare tutti i prodotti in polvere che si usano nell’edilizia. Materiali che sono composti per il 95% da sabbia e cemento. Per avere un’idea, un Tassone, piccolo stabilimento classico ne Francesco ideatore di personal occupa almeno 1.000 mq. Factory Questo ci permette di far sì che i rivenditori di materiali edili siano direttamente anche produttori. Loro con il nostro impianto acquistano sabbia e cemento in loco e comprano da CALABRIA 2010 • DOSSIER • 161


INNOVAZIONE

L’ECCELLENZA DELL’UNICAL e politiche regionali per la ricerca e l’innovazione hanno un ruolo importante per sostenere lo sviluppo della regione e in particolare la competitività delle imprese calabresi. L’Università della Calabria ha ottenuto una lusinghiera valutazione delle attività di ricerca. Di particolare importanza sono tre centri di eccellenza presenti nel Campus, che confermano l’altissimo livello scientifico e tecnologico raggiunto dall’Ateneo. Centro di eccellenza per il calcolo ad alte prestazioni: è l’unico in Italia sulle tematiche del supercalcolo, con una potenza di calcolo pari a oltre mezzo milione di operazioni elementari al secondo; Cemif.Cal, centro per i materiali innovativi funzionali; infine, il Centro di eccellenza per la sperimentazione di sistemi di formazione interattiva a distanza nel campo dell’economia e gestione della conoscenza. Per la prima volta un progetto nato nel dipartimento di Fisica dell’Università della Calabria, Notredame, arriva tra i primi dieci finalisti al Premio nazionale per l’Innovazione 2009, che si è tenuto a Perugia il 4 dicembre scorso. Un’attività di importanza strategica per l’ateneo è anche quella dell’innovazione tecnologica. Per questo, l’università ha sviluppato un programma strategico per la valorizzazione e la concreta impiego dei risultati della ricerca attraverso il rafforzamento delle strutture per il trasferimento tecnologico e il supporto alla creazione di imprese innovative (micro imprese, spin-off), che sta producendo risultati molto importanti ponendo l'ateneo al centro di un'attività e di un rapporto fondamentale con il territorio in grado di contribuire concretamente ai processi di sviluppo.

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noi la chimica». In cosa è rivoluzionario Personal Factory, di quali tecnologie innovative si avvale? «È l’idea di fabbrica del 21esimo secolo. La nostra macchina è come una periferica di un sistema centrale, come una stampante collegata a un computer molto distante. Noi in Calabria siamo il cervello, i nostri laboratori decidono cosa fare, e i nostri server controllano i processi usando internet come piattaforma. L’utente dell’impianto deve solo seguire quello che la macchina gli dice di fare. Siamo noi che ci preoccupiamo di certificargli i prodotti, di preparargli il materiale tecnico, noi a distanza facciamo il check up alla macchina e questa ci comunica se ha problemi. Usiamo il meglio dell’elettronica, del software e della meccanica per raggiungere questi risultati e ci siamo riusciti a un costo veramente contenuto. Le rivoluzioni del sistema sono tante, le più importanti sono il trasporto e l’impatto ambientale ridotto del 95%, l’eliminazione di tutti gli intermediari, ma soprattutto non esistono mercati al mondo non raggiungibili». Parliamo di sicurezza sul lavoro e qualità dei prodotti. Come riuscite a garantire la qualità ai massimi livelli e il rispetto alle normative europee? «Gli impianti sono altamente automatizzati, ma il nostro orgoglio è la sede, un edificio passivo, dove quasi non servono apporti esterni per riscaldare e

L’iniziativa del ministero è importantissima, per la prima volta si cerca di incentivare lo sviluppo facendo leva sul merito, si guarda all’imprenditore e al business plan

rinfrescare; usiamo il solare termico e il geotermico completamente open-space. Stiamo anche realizzando un impianto fotovoltaico che azzererà le emissioni relative alla nostra produzione e compenserà quelle del trasporto. Per quanto riguarda la qualità il nostro sistema essendo digitalizzato permette il più elevato livello di tracciabilità al mondo. Essendo basato su piattaforme internet , può essere completamente trasparente, l’utente finale può sapere in modo autonomo tutta la storia del materiale che ha acquistato. I nostri laboratori fanno il resto, stiamo anche istaurando collaborazioni con diverse università e aziende». Una tecnologia interamente “made in Calabria”può servire da sprone per gli altri imprenditori del Sud? «Speriamo. Quello che posso dire è che se vogliamo svilupparci dobbiamo partire dal presupposto che bisogna avere un livello di competitività tale che le mancanze del territorio devono diventare marginali».





EDILIZIA

L’efficienza negli impianti risolleva il territorio L’area calabrese, affiancando novità tecnologiche e progettuali ai vantaggi geografici che possiede, potrebbe diventare culla dei frutti più significativi della scuola impiantistica italiana. Secondo l’ingegnere Natale Praticò molto si è già fatto, ma la strada è ancora lunga e gli investimenti dovranno aumentare Carlo Sergi

edilizia rappresenta da sempre un importante volano di sviluppo economico. A maggior ragione questo avviene in Calabria, dove il comparto edilizio è, appunto, prioritario per la formazione del PIL Regionale». L’ingegner Natale Praticò ci tiene a sottolineare il peso che questo settore riveste per la nostra economia. Esperto in progettazione e consulenze impiantistiche, Praticò osserva come investimento in novità tecnologiche e risparmio energetico rappresentino la formula per risollevare la filiera in una regione «sempre più attenta alla progettazione e alle tecnologie legate alla produzione di energie sostenibili». Quale orientamento sta assumendo il settore? «La continua evoluzione delle tipologie edilizie fanno sì che le tecniche costruttive e le nuove tipologie impiantistiche debbano essere sempre più corrispondenti ai più elevati standard europei. La cultura della

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L’ingegnere Natale Praticò all’interno del suo studio di progettazione e consulenze impiantistiche di Reggio Calabria - pratico.nat@tin.it

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progettazione impiantistica in Italia è senza dubbio su livelli di avanguardia soprattutto grazie alla sua applicazione pratica in zone del territorio dove maggiormente forte è la presenza di insediamenti industriali, soprattutto del settore metalmeccanico, fattore quest’ultimo che, nel tempo, ha favorito lo sviluppo di una vera e innovativa “scuola impiantistica”». Quali sono le più importanti novità tecnologiche? «In primo luogo vi sono le innovazioni in materia di tipologie costruttive, che consentono oggi di migliorare le condizioni di trasmittanza di un involucro edilizio. Poi vi è l’utilizzo di tecnologie impiantistiche ad alto rendimento e l’applicazione di sistemi per lo sfruttamento di energie rinnovabili». Quanto, un’edilizia sostenibile, può mutare in positivo il territorio? «Tantissimo e in modo significativo. Basti pensare alla riduzione di emissioni di gas nocivi nell’ambiente. Dal punto di vi-


Investimenti da fare

A sinistra, un impianto solare termico. Sotto, una centrale di climatizzazione. Entrambi i progetti sono stati realizzati dallo studio Praticò di Reggio Calabria

Gli edifici ecosostenibili e l’installazione di impianti per la produzione di energia alternativa rappresentano occasioni uniche di sviluppo

sta socio-economico la realizzazione di edifici ecosostenibili e l’installazione di impianti per la produzione di energia alternativa rappresentano occasioni uniche di sviluppo per il territorio calabrese che, dal punto di vista geografico e climatico, è avvantaggiato rispetto ad altre regioni d’Italia». Quali progetti ricorda con maggiore soddisfazione? «Tra le progettazioni effettuate ricordo, in particolare, la partecipazione al concorso d’idee sul “Nuovo palazzo di giustizia di Reggio Calabria”; la progettazione e realizzazione del Parco Ludico Ambientale “Ecolandia”; la progettazione del “Sistema viario interconnessione tra le aree interne e asse viario formato dalla SS 106 Jonica”. Queste e tante altre esperienze di progettazione mi hanno consentito di applicare le conoscenze civili e specialistiche nell’ambito impiantistico. In futuro intendo investire sulla formazione e sull’informazione su nuove tecnologie al

fine di concentrare l’attività dello studio su progettazione civile e studi di fattibilità impiantistica, in particolare su impianti di produzione di energia alternativa». In quale ambito s’investe maggiormente nelle nuove tecnologie? «Sicuramente in quello privato. Per rilanciare gli investimenti bisognerebbe, innanzitutto, snellire i processi burocratici e, di pari passo, fornire maggiori garanzie ai liberi professionisti. Bisognerebbe puntare di più su un’edilizia legata alla sostenibilità ambientale, favorendo tipologie costruttive che garantiscano un’elevata classe di contenimento energetico. Infine, nell’ambito impiantistico, il rinnovo e il rilancio delle forme di finanziamento e di defiscalizzazione, legate all’installazione di nuovi impianti a sempre più alto risparmio energetico, potrebbe rappresentare un vero e proprio volano per il rilancio di questo importante settore». 2010 CALABRIA • DOSSIER • 167


DEFICIT SANITARIO

Nuove regole per un nuovo inizio Il sistema sanitario regionale, per rimettersi in sesto, ha bisogno di «una sorta di rigidità», avverte Enzo Rupeni, direttore sanitario dell'Asl provinciale di Reggio Calabria. Molteplici le cause del deficit di più di 2 miliardi di euro: troppo personale, spesa farmaceutica alle stelle e polverizzazioni delle strutture ospedaliere» Federica Gieri

aloppano gli zero della sanità calabrese: poco più di duemila milioni di euro. Per la precisione 2.166 milioni di euro. Un buco nero che inghiotte denaro pubblico a cui, non sempre, o per lo meno spesso, fa da contraltare un servizio di scarsa qualità che sfocia nella malasanità. Una situazione che il Piano di rientro, ipotizzato dalla giunta Loiero, e che è valso lo stop al commissariamento della sanità calabra, dovrebbe risolvere. O quanto meno mutare. «È comunque un inizio – osserva Enzo Rupeni, direttore sanitario dell’Asl provinciale di Reggio Calabria –. L’importante è che quanto previsto nel piano trovi una sua concretizzazione. Non tutto è perfetto nel Piano di rientro, come in un qualsiasi provvedimento. La Regione Calabria ha, però, bisogno di categoricità, di una sorta di rigidità perché se si è troppo “teneri” o troppo generici alla fine si diluisce tutto». Manovra che va a «regolamentare molti settori», il piano cerca di incidere sulle molteplici origini del debito da capogiro. La voce più pesante, spiega il direttore sanitario dell’Asl di Reggio Calabria, «è la spesa del personale, molto elevata». Basti pensare che, secondo alcune proiezioni, la Calabria conterebbe un esubero di 3.500 persone. «È sicuramente ingente, anzi inaccettabile, la

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spesa farmaceutica totalmente fuori da ogni parametro accettabile» rileva Rupeni con tono deciso che non ammette repliche. «Qui c’è uno spreco enorme: non vi è giustificazione per una così alta spesa. In teoria, la spesa farmaceutica territoriale potrebbe essere elevata se le persone si ricoverassero poco, consumando quindi farmaci fuori e non in ospedale. Ma


Enzo Rupeni

Non tutto è perfetto nel Piano di rientro, come in un qualsiasi provvedimento. La Regione Calabria ha, però, bisogno di categoricità, di una sorta di rigidità perché se si è troppo “teneri” o troppo generici alla fine si diluisce tutto

non è così. Il tasso di ospedalizzazione non è basso (225 ricoveri ogni 1.000 abitanti, mentre il tasso medio nazionale è di 180 ricoveri ogni 1.000 abitanti nel 2007, ndr). Ciò significa che c’è uno spreco». Anzi che qui «si fa una mera raccolta di farmaci». Altra voce dolente che si mangia una grossa fetta del bilancio è «la spesa specialistica ambulatoriale dove rileviamo un surplus di offerta del privato che determina un eccesso e una polverizzazione dei servizi offerti. Inevitabile conseguenza di questa scelta, un costo non sempre motivato». Il frazionamento eccessivo delle strutture nosocomiali sul territorio inevitabilmente fa lievitare le spese. «Ogni ospedale, per quanto piccolo – sottolinea Rupeni –, ha comunque un costo. Il solo fatto che sia operativo genera costi non indifferenti. È evidente che se si moltiplicano i costi a fronte di un non adeguato riscontro in termini di produttività, non può che esserci uno squilibrio fra costi e ricavi. Inevitabile quindi dover ricorrere agli accorpamenti». Ecco perché i quattro nuovi ospedali in programma a Vibo Valentia, Catanzaro, nella Piana di Gioia Tauro e nella Sibaritide, per Rupeni, sono una scelta «doverosa perché, con la loro costruzione, si viene a superare la polverizzazione dei micro-ospedali fatti di pochissimi posti letto e con servizi inadeguati. Compagini altamente costose per quello che danno e non sicure perché il paziente ricoverato non ha alle spalle i servizi che garantiscono la completezza della cura e, soprattutto, la sua sicurezza. Ecco perché – insiste Rupeni – occor-

In apertura, la struttura ospedaliera di Crotone; a sinistra, l’ospedale di Palmi in provincia di Reggio Calabria

rono ospedali seri e adeguatamente dimensionati». Ed è proprio contro la qualità dei servizi erogati che cozzano i tanti casi di malasanità. Da Andrea Bonanno, deceduto a sette anni anche a causa delle complicazioni di un’ingessatura troppo stretta ad Angela Scibilia, la giovane donna incinta da tre mesi, morta all’ospedale di Polistena. «Qui – avverte Rupeni – il discorso è più complesso. A parte il fatto che, in Calabria si mescolano le eccellenze e le mediocrità, se andassimo a fare un paragone tra i casi di malasanità vera o presunta della Calabria e quelli di altre regioni, non sono certo che siano realmente di più». CALABRIA 2010 • DOSSIER • 185


MALASANITÀ

La situazione è grave gli errori vanno puniti Sanzionare i responsabili della malasanità, per la Commissione di inchiesta sugli errori sanitari presieduta da Leoluca Orlando, è imprescindibile. Non affrontare il perché dell’errore, lede il diritto alla salute. «Il perché chiama in causa manager e governo regionale: nomine clientelari di sanitari incompetenti o privi di titoli, scelte funzionali e organizzative fatte per appartenenze, interessi partitici e malavitosi o motivate da corruzione» Federica Gieri

attuazione del Piano di rientro sarà il banco di prova per un percorso virtuoso o per l’ulteriore cronicizzazione dei disservizi». Pensando ai calabresi, cerca di guardare oltre il tornado che si è abbattuto sulla sanità della Punta dello Stivale. Ma da presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali, Leoluca Orlando deve fare i conti sia con «la fotografia drammatica delle criticità del sistema scattata dalla relazione “La metodologia di funzionamento del servizio sanitario in Calabria è il disservizio” della commissione Riccio-Serra». Sia con le parole del presidente della Regione Agazio Loiero che, durante la sua audizione davanti alla commissione, «ha confermato tale grave situazione». L’elenco degli episodi di malasanità è molto, anzi troppo, lungo. Ma è così rischioso per i calabresi usufruire dei servizi sanitari? «In Calabria esistono centri sanitari di eccellenza e operatori di alta professionalità. La commissione parlamentare è impegnata ad alimentare fiducia nel Servizio sanitario nazionale. La fiducia va, però, conquistata con scelte forti e comportamenti coerenti: la Commissione ritiene che una sanzione o una misura cautelare ai

© Scalia

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Leoluca Orlando, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali

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Leoluca Orlando

2.166 MLN DI EURO

A tanto ammonta il deficit della sanità calabrese. L’80% è attribuibile agli anni 2001-2005

danni di responsabili di errori sia imprescindibile. Ciò per elementari principi di giustizia e per evitare che subentri la rassegnata accettazione della dimensione sistemica della violazione del diritto alla salute. Non possono restare non sanzionati i responsabili di errori e non possono restare al loro posto i manager che, non intervenendo, alimentano sfiducia e galleggiano nella palude del disservizio come regola». Il presidente Loiero, durante l’audizione davanti alla commissione da lei presieduta, ha detto che non è tutto negativo e ci sono motivi di speranza. Condivide? «Come negare il diritto alla speranza dei calabresi? La salute del cittadino deve essere considerata, come previsto dalla Costituzione, un diritto e non pascolo di clientele, ruberie e interessi illeciti anche criminali, come spesso accade non solo in Calabria». Quali le indicazioni da attuare che voi avete suggerito al dipartimento regionale della Salute? «La prima è stata di sanzionare i responsabili di errori e, caso per caso, rimuovere le criticità emerse in occasione dell’errore ed evidenziate dalla Commissione. Se non si affronta il perché dell’errore, questo tornerà a ripetersi e di nuovo sarà leso il diritto alla salute. Il perché chiama in

causa anche manager e governo regionale: nomine clientelari di sanitari incompetenti o privi di titoli adeguati, strumentazione impropria o malamente utilizzata, scelte funzionali e organizzative fatte per appartenenze, interessi partitici e malavitosi o motivate da corruzione». La sua commissione sta indagando anche sulla contestazione del danno erariale da parte della Corte dei conti ad alcuni dirigenti di Asl provinciali. La Regione vi ha già risposto? «Siamo in attesa di risposta dalla Regione su molte richieste di dati. L’ufficio di presidenza ha già deliberato il criterio di comportamento valido per tutte le Regioni. In caso di mancata risposta da parte dei responsabili calabresi s’incaricherà il competente nucleo della GdF di acquisire la documentazione presso gli uffici in Calabria, verbalizzare la mancata risposta e adozione dei provvedimenti a carico di responsabili di errori e constatare ogni omissione o comportamento contro legge. Ciò con ogni conseguenza normativa e politica per tale mancata collaborazione e omissione di atti dovuti». Come invertire la rotta? «Con un salto di qualità etico-culturale: la salute è un diritto costituzionalmente garantito e va garantito con l’etica della responsabilità non solo degli operatori sanitari, ma anche di quanti, manager e Regione, hanno potere di scelta e competenze di governo del settore. L’aumento di denunce di malasanità è segno che cresce la consapevolezza di quel diritto e di quella responsabilità». CALABRIA 2010 • DOSSIER • 187


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