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DALL’EMERGENZA ALL’EFFICIENZA LA RISPOSTA DELLO STATO
NAPOLI RESTITUITA ALLA BELLEZZA (in soli 58 giorni) «Lavorerò a Napoli e per Napoli dal primo giorno di governo. Non me ne andrò sino a quando l’emergenza non sarà risolta, finché non tornerà la normalità, affinché la città torni al suo splendore e alla sua bellezza». Così diceva Silvio Berlusconi alla vigilia delle elezioni che lo avrebbero portato alla guida del suo quarto governo. Promessa mantenuta. La cronaca della rinascita di una città. E di un’intera regione MARA COSTANTINO
oi non lo conoscevate il ventre di Napoli. Avevate torto, perché voi siete il Governo e il Governo deve saper tutto”. Cominciava così la denuncia di Matilde Serao indirizzata ad Agostino Depretis. Quasi un urlo, il suo, che squarciava il velo delle “descrizioncelle colorite” dedicate a “quella parte di pubblico che non vuole essere seccata per racconti di miserie”. Perché questo ventre di Napoli esiste. “Se non lo conosce il Governo, chi lo deve conoscere? E se non servono a dirvi tutto, a che sono buoni tutti questi impiegati alti e bassi, a che questo immenso ingranaggio burocratico che ci costa tanto?” Era il 1884. L’Italia era appena nata. Oggi, dopo più di centoventi anni, lo Stato è arrivato. «Na-
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DALL’EMERGENZA ALL’EFFICIENZA
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© Davide Monteleone / CONTRASTO
Credit: Telespa
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L’ITALIA RESPONSABILE Stefania Prestigiacomo
STEFANIA PRESTIGIACOMO Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio DOSSIER | CAMPANIA 2009
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AMBIENTE E SVILUPPO UN BINOMIO NATURALE Se fino a poco tempo fa la tutela ambientale era considerata da più parti un freno alla crescita economica oggi può esserne il motore. Il perché e il come sia possibile direttamente dalle parole del ministro Stefania Prestigiacomo LARA MARIANI
a più parti in Europa e nel resto del mondo si parla della green economy come dello strumento per fronteggiare la crisi economica e contemporaneamente lanciare un nuovo modello di sviluppo sostenibile. E forse proprio la crisi può essere lo stimolo per indirizzare l’economia verso uno sviluppo ecosostenibile. L’ambiente sta diventando in tutti i Paesi la chiave per guardare al futuro. I progressi tecnologici stanno dimostrando che ecologia ed economia possono procedere parallele, nella stessa direzione ed essere i binari su cui far correre la locomotiva del mondo contemporaneo. Capaci di sostenere l’economia, i posti di lavoro e quindi i redditi delle famiglie. «Sono fermamente convinta che la tutela dell’ecosistema, purtroppo intesa per anni come limite allo sviluppo, possa diventare il cardine del sistema stesso, l’elemento ordinatore di tutti i grandi temi, dall’economia alla politica».
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Questa è la sua idea, il suo progetto, il suo scopo. E non si stancherà di battersi per rendere possibile il suo “ambientalismo”, fatto di operatività, ricerca e investimenti. Ma anche di coesione e coinvolgimento dei cittadini. Dagli incentivi per sostenere le rinnovabili, all’obiettivo primario di ridurre le emissioni di CO2 fino a un possibile ritorno al nucleare, ecco le posizioni del ministro Prestigiacomo. La green economy è una via possibile anche per l’Italia? «Il governo sta delineando una strategia chiara e coerente per affrontare la crisi coniugando ambiente e sviluppo, anzi trasformando l’ambiente in un motore di sviluppo. Basti pensare alle misure per le auto, mirate al ricambio del parco veicoli con la sostituzione delle vetture inquinanti con auto nuove a basse emissioni, al provvedimento per la rottamazione dei vecchi elettrodomestici ad alto consumo energetico e al CAMPANIA 2009 | DOSSIER
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DONNE AL VERTICE Il ministro Stefania Prestigiacomo con Daniela Santanchè
mantenimento e alla semplificazione delle esenzioni per la riqualificazione ambientale degli edifici. Inoltre il piano casa innescherà un profondo rinnovamento del patrimonio edilizio sotto il profilo dell’ecosostenibilità degli edifici. Sono tutti interventi che si muovono nella stessa direzione. L’obiettivo è quello di sostenere l’economia, i posti di lavoro e quindi i redditi delle famiglie, attraverso misure capaci di migliorare incisivamente anche il nostro bilancio energetico e ambientale, in grado di arricchire il Paese di tecnologie, professionalità e valori essenziali per un domani ecosostenibile». Quali sono le priorità da mettere in agenda? «I riflettori saranno puntati sulle nuove tecnologie per ridurre le emissioni di CO2, da diffondere anche nei Paesi in via di sviluppo per combattere tutti insieme, uniti, la grande battaglia a tutela dell’ecosistema. L’effetto serra e l’inquinamento in generale, inDOSSIER | CAMPANIA 2009
«UN’EUROPA DI VIRTUOSI IN UN MONDO CHE NON ASSUME IMPEGNI ANALOGHI SERVE A POCO. CREDO CHE I GRANDI TEMI LEGATI ALL’AMBIENTE DEBBANO ESSERE AFFRONTATI A LIVELLO GLOBALE» fatti, non possono essere affrontati solo da pochi Paesi: un’Europa di virtuosi in un mondo che non assume impegni analoghi serve a poco. Credo che i grandi temi legati all’ambiente debbano essere affrontati a livello globale, trattando con grandi inquinatori come la Cina e l’India». Il pacchetto “clima-energia 2020-20” approvato dal Parlamento europeo il dicembre scorso prevede di ridurre del 20% le emissioni di gas a effetto serra, di portare al 20% il risparmio energetico e aumentare al 20% il consumo di fonti rinnovabili. Dopo le discussioni e le trattative, come riuscirà l’Italia a rispettare i vincoli imposti dal pacchetto? «L’approvazione del pacchetto
clima-energia ha rappresentato una grande prova di coesione dell’Europa. Dopo un confronto serrato, intenso e approfondito, l’Unione europea ha saputo assumere posizioni forti e unitarie. L’Italia ha visto riconosciute le proprie ragioni: abbiamo ottenuto modifiche nella direzione dell’equità, della sostenibilità economica e ambientale e della tutela degli interessi nazionali nell’ambito dei condivisi obiettivi europei. Il governo italiano è determinato nell’imprimere un forte cambiamento di rotta nella lotta agli sconvolgimenti climatici. La risposta ai ritardi accumulati in questi anni, durante i quali le emissioni invece di diminuire sono aumentate, sta nell’adozione di politiche che portino al ‘mix
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energetico’, dando più spazio alle fonti rinnovabili, favorendo il risparmio dell’energia e contenendo le emissioni di gas serra grazie alle nuove tecnologie. Vanno in questa direzione, ad esempio, lo sgravio del 55% per le ristrutturazioni e gli accordi con grandi partner per favorire le ricerche su ‘cattura e stoccaggio della CO2». Quali interventi ha in programma il suo ministero per il sostegno e lo sviluppo del settore delle energie rinnovabili? «La ricerca e gli investimenti nelle tecnologie legate alle rinnovabili è uno dei settori in crescita in Europa e in Italia. Fa parte del programma di governo la promo-
zione di questo tipo di energia, con la consapevolezza che per l’Italia è indispensabile seguire la strada dello sviluppo sostenibile. Ci sono concrete agevolazioni per chi investe in questo campo. Tra l’altro, il ministero dell’Ambiente ha stanziato nei mesi scorsi dieci milioni di euro per un bando di ricerca sull’efficienza energetica e sulle fonti rinnovabili diretto a enti pubblici e privati e altri dieci milioni di euro per il finanziamento di progetti di ricerca finalizzati a interventi di efficienza energetica e all’utilizzo delle rinnovabili in aree urbane. La scelta per l’energia pulita è per il nostro Paese non più un’opzione ma una
necessità». A livello di opinione pubblica, crede si stia diffondendo una cultura della sostenibilità? «La consapevolezza delle amministrazioni e dei cittadini in campo ambientale è cresciuta e questo deve spingere ancora di più a promuovere la tutela e la valorizzazione della natura come patrimonio culturale e formativo degli italiani, soprattutto dei giovani, per favorire politiche di sviluppo sostenibile, di diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico, di concreto e immediato risparmio per il Paese. Vanno in questo senso le campagne di sensibilizzazione del ministero dell’Ambiente destinate a divulgare le ‘buone pratiche’ per far sì che la tutela dell’ambiente diventi sempre più terreno comune. L’educazione ambientale è uno dei pilastri della nostra politica di governo». Per mesi si è parlato della necessità di un ritorno al nucleare. Qual è la sua posizione? «Il progetto del governo per il ritorno al nucleare si svolgerà con le massime garanzie e i massimi controlli, nei tempi richiesti dalla complessità di un simile programma. La Germania, la Francia, l’Inghilterra, così attente all’ambiente, si sono affidate al nucleare e hanno consolidato le loro scelte energetiche con governi di ogni colore. Sono Paesi che hanno saputo far prevalere le ragioni degli interessi complessivi sulle scelte ideologiche. I nostri concorrenti mondiali che hanno adottato il nucleare pagano l’energia molto meno di noi, sia per i consumi privati sia per quelli industriali, mentre l’Italia è gravemente penalizzata. Tuttavia il nucleare è una soluzione di prospettiva. Nel frattempo dobbiamo risparmiare energia, promuovere le rinnovabili e utilizzare combustibili meno inquinanti. Tutte queste misure fanno parte degli impegni del governo. Nella consapevolezza che dobbiamo impegnarci per ciò che nessuno in passato è riuscito a fare nel nostro Paese: ridurre le emissioni di CO2». CAMPANIA 2009 | DOSSIER
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HO PORTATO A PALAZZO L’ENERGIA CAMPANA «Un reato odioso». Così il ministro Mara Carfagna definisce lo stalking. Una minaccia a lungo sottovalutata, ma che oggi può finalmente essere perseguita. E punita DANIELA PANOSETTI
l 23 febbraio scorso, dopo anni di discussioni e annunci, nell’ordinamento italiano è stato finalmente introdotto il reato dello stalking. Poche righe all’interno del Codice Civile, ma senza dubbio una grande conquista che mette finalmente l’Italia al passo con il resto d’Europa. Da allora, la nuova figura di reato ha portato in media a due arresti al giorno, e a più di 60 denunce. E basterebbero questi numeri a dimostrare quanto fosse necessario intervenire contro questa forma di persecuzione. Necessario su almeno due piani: per frenare il fenomeno, certamente, agendo come deterrente, ma anche come segnale deciso di sostegno alle vittime. Che, come auspica il ministro per le Pari Opportunità Mara Carfagna che per colmare questo vuoto legislativo si è battuta sin dall’inizio del mandato, non saranno più lasciate sole, come in passato, di fronte a una minaccia così insidiosa. «È importante far comprendere alle vittime, uomini e donne, che oggi esistono strumenti di difesa contro questi comportamenti odiosi» afferma. Solo così si potrà trovare il co-
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raggio di sporgere denuncia di fronte a simili minacce e vedere gradualmente scomparire, o perlomeno diminuire, una pratica finora troppo diffusa, proprio perché sostanzialmente impunita. Finora, appunto. Perché come spera il ministro Carfagna, e come lasciano intendere i primi dati, le cose sono destinate a cambiare. La legge sullo stalking rappresenta una grande vittoria. Quali saranno le principali ricadute a livello culturale? «Le vittime devono prendere coscienza del fatto che oggi esiste un modo per difendersi dallo stalking. L’introduzione della nuova figura di reato, inoltre, rappresenta un ottimo deterrente in quanto abbiamo previsto pene particolarmente severe, da sei mesi a quattro anni, nei confronti di coloro i quali si macchiano di questo odioso reato. Gli stalker dovranno riflettere bene prima di perseguitare una ex fidanzata o una ex moglie». Chi non ha mai subito persecuzioni telefoniche e pedinamenti può non comprendere la gravità di questi reati. Può spiegare cosa vive una vittima?
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MARA CARFAGNA Ministro per le Pari OpportunitĂ del Governo Berlusconi IV
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POLITICA Mara Carfagna
«È DIFFICILE ANCHE SOLO IMMAGINARE L’OPPRESSIONE CHE SI PUÒ PROVARE NEL RICEVERE ATTENZIONI INSISTENTI E NON RICHIESTE. NON DIMENTICHIAMO, POI, CHE LA MOLESTIA È L’ANTICAMERA DI UN REATO ANCORA PIÙ FEROCE COME LA VIOLENZA SESSUALE»
«È difficile anche solo immaginare il senso di oppressione e il fastidio che può provare una donna nel ricevere attenzioni insistenti e spesso non richieste. Quando poi si passa alle molestie, agli appostamenti e alle minacce reiterate subentrano paura e ansia che rendono la vittima inerte. Solo garantendo alle vittime maggiore sicurezza è possibile aiutarle a vincere la paura e a denunciare i molestatori. Non dimentichiamo, poi, che la molestia è l’anticamera di un reato ancora più feroce come la violenza sessuale». DOSSIER | CAMPANIA 2009
Qual è la linea di demarcazione tra azione di disturbo e reato? Quando una persona può denunciare? «Noi diciamo alle vittime di denunciare l’accaduto anche solo dopo due episodi di molestia o minaccia che abbiano causato un grave stato di ansia o paura. Il nostro obiettivo è molto chiaro: non permetteremo più che si ripetano delitti annunciati come quello di Maria Antonietta Multari». Trentaquattro arresti dall’entrata in vigore del provvedimento. Perché si è aspettato
tanto? «Gli italiani aspettavano l’introduzione di questo reato da 15 anni e lo dimostra il fatto che solo in questo primo mese ci sono state 61 denunce e ben 34 arresti. Inoltre, il 40 per cento dei delitti commessi tra partner o ex partner erano crimini annunciati. Come ministro per le Pari Opportunità ho presentato in Consiglio dei ministri, già nel giugno scorso, un disegno di legge per l’introduzione del reato di stalking, recepito poi dal decreto legge antistupri. Sin da subito abbiamo
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UNA LEGGE A LUNGO ATTESA “Atti persecutori”. Ovvero condotte reiterate di minaccia o molestia, tali da causare “un perdurante e grave stato di ansia o di paura” o “un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto”. È in questi termini che viene definito il reato di stalking, introdotto nel codice civile dal Ddl 11 del 23 febbraio, su proposta dei ministri Mara Carfagna e Angelino Alfano. Una normativa a lungo attesa, che stabilisce pene di reclusione da sei mesi a quattro anni, oltre alla possibilità, per la vittima, di richiedere al giudice un ammonimento orale dello stalker, in un’ottica volta a coniugare misure repressive e, al contempo, preventive.
rivolto grande attenzione al problema perché sapevamo che in Italia esisteva un vuoto legislativo che andava colmato». Crede che dopo questo passo, le donne non sentendosi più abbandonate troveranno il coraggio di denunciare tutti gli abusi di cui sono vittime, violenza compresa? «Certo. Come dicevo, le vittime, donne e uomini, hanno strumenti per difendersi che in passato non esistevano. Infatti, prima di presentare querela la vittima può chiedere l’ammoni-
mento da parte del questore. È stato, poi, istituito un numero verde nazionale che offre assistenza psicologica e giuridica aiutando le vittime a raggiungere gli sportelli presenti nelle questure. Inoltre, grazie al protocollo di intesa stipulato con il ministero della Difesa, da marzo è attiva la sezione anti-stalking dei Carabinieri che opera all’interno del mio dicastero con compiti di monitoraggio e studio del fenomeno». Quali altre battaglie restano da compiere ora? «È già pronto, grazie anche alla
collaborazione con i ministri della Difesa e dell’Interno, un piano nazionale antiviolenza in cui saranno impiegati i poliziotti. Abbiamo, infatti, previsto corsi di formazione per le forze di polizia, l’addestramento per il primo contatto degli agenti con le vittime di violenza sessuale e corsi di sensibilizzazione per i giovani nelle scuole. Il mio dicastero, poi, è in prima linea nel contrasto di questi fenomeni attraverso campagne e politiche volte a fronteggiare la violenza in ogni sua rappresentazione». CAMPANIA 2009 | DOSSIER
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POLITICA Gianfranco Rotondi
NUOVO CORSO Gianfranco Rotondi è ministro dell’Attuazione del programma di governo. Ex Dc e fondatore nel 2005 della Democrazia Cristiana per le Autonomie, nel 2008 entra con il suo partito nel Popolo della Libertà
© Antonia Cesareo / Agenzia Fotogramma
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IL MEZZOGIORNO COME ASSET STRATEGICO Un grande partito. Dall’anima liberale. Popolare, laico e d’ispirazione cristiana. È il Pdl, come uscito dal congresso della Fiera di Roma. E per Gianfranco Rotondi, attuale ministro all’Attuazione del programma di governo, vero erede della Dc. Per questo occorre che ora tutte le anime dell’ex scudocrociato si riuniscano nel Popolo della Libertà. Contribuendo a consolidarne l’elettorato e portandolo al 51 per cento MARILENA SPATARO
ifondare la Dc. Dopo la sua dissoluzione è stato questo l’obiettivo perseguito tenacemente da Gianfranco Rotondi, attuale ministro per l’Attuazione del Programma di governo. Ed è quanto oggi continua ad auspicarsi, anche se in termini diversi. Avendo, infatti, scelto di aderire con la Democrazia Cristiana per le Autonomie, la formazione politica da lui fondata nel 2005, al Pdl, Rotondi ritiene che sarebbe necessario che anche le altre anime eredi della tradizione del partito di De Gasperi, oggi presenti sulla scena politica vi confluissero, perché spiega «il Pdl ci concede un’occasione storica e irripetibile. L’Italia ha di nuovo un grande partito popolare e i democristiani una casa più congeniale per la loro capacità di rappresentare una comunità». Ministro, ci sarà questo ingresso dell’Udc nel Pdl che lei auspica? «È solo una questione di tempo. Già in alcune regioni l’alleanza c’è, e Casini sa che il Pdl è la nuova Dc. Essendo bolognese, conosce bene la sinistra e dubito fortemente che possa accor-
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darsi con la sinistra. Loro non si fidano di Casini e Casini non si fida di loro. È tempo di una nuova unità politica dei cattolici democratici. In fondo, il Pdl è una Dc a cui manca la corrente di Casini che, prima o poi, rientrerà nel progetto». Cosa manca, secondo lei, perché Casini prenda questa decisione? «La consapevolezza storica che il Popolo delle Libertà può essere un “partito guida” per l’Italia e protagonista in Europa sotto l’insegna del Ppe, un partito che punta al 51 per cento se solo l’Udc decidesse di farne parte. Casini ha sbagliato a non entrare perché ha diviso i democristiani impedendo loro di ritrovarsi tutti, senza eccezioni, in un grande partito per la prima volta dopo quindici anni. Con umiltà e reciproca capacità di ascolto si può ricucire quello che si è lacerato. La nostra scommessa rimane il bipartitismo che non è un’invenzione italiana, ma la politica europea di oggi. La nostra sfida è il Pdl che dovrà accogliere l’Udc o prendere atto definitivamente di una risposta negativa che, onestamente, fin qui non è arrivata. Obiettivamente Casini ha anche un’altra opzione che è quella di
allearsi con il Pd facendo il nuovo Prodi e cioè il cattolico che mette il cappello sulla revence della sinistra contro Berlusconi. Per carità, in politica tutto si può fare, ma all’Udc auguriamo di meglio: concorrere con noi alla ricostruzione di un sistema-Paese e di ritrovarci, cattolici e laici, in un grande partito italiano che raccolga il meglio dell’eredità democristiana e resti in campo per molti decenni, in altre parole entrare nel Popolo delle Libertà. L’alternativa era fare un Pdl sbilanciato a destra, Casini un Centro senza voti, restare divisi e vederci ogni tanto ai funerali dei grandi della Dc che, a differenza nostra, hanno fatto meno cronaca e più storia». Lei ha dichiarato che entrare nel Pdl è un “ritornare a casa”. A parte il fattore del consenso, cosa accomuna la nuova formazione politica e il partito di De Gasperi? «Il Pdl è un partito laico di ispirazione cristiana. Anche la Dc lo era. Il Pdl è il partito che finalmente succede alla Democrazia Cristiana per valori, per forza, per insediamento elettorale. Tre elementi che si richiamano a ciò che è stata, appunto, la Dc, la quale è una grande CAMPANIA 2009 | DOSSIER
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idea della storia. Le grandi idee evolvono, si adeguano ai tempi. Non muoiono mai. In Italia la Dc è stata sciolta con la nascita del partito Popolare il 18 gennaio 1994. Invero l’attività della Dc è stata sospesa, ma oggi può essere il tempo di un nuovo inizio. In Italia il centro non è mai esistito. La Dc è di centrodestra e di centrosinistra e il suo elettorato ha percepito che il Pdl di fatto è lo stesso, e per questo si è pronunciato a favore della continuità tra queste due forze politiche». E se dovesse individuare l’elemento di novità più forte? «Dobbiamo dare atto a Berlusconi di aver recuperato tutta intera una tradizione, fondendola con altre e portandole alla vittoria che in politica significa il governo del Paese e il rispetto in Europa. Si può tranquillamente affermare che è una Dc allargata al Movimento Sociale, al Partito Socialista, al Partito Liberale. Gli storici potranno dire che il popolarismo italiano è stato rappresentato dalla Democrazia Cristiana e poi da Silvio Berlusconi, prima con Forza Italia e poi con il
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Popolo della Libertà». Cosa ne pensa dei vari annunci circa la creazione di un terzo polo di centro? «A ben guardare il terzo polo non è mai esistito. Dopo la Dc c’è un solo “gigante” che è Silvio Berlusconi. Il suo genio ha evitato all’Italia nel 94 l’avvento del comunismo giudiziario peggiore di quello ideologico. Da democristiano berlusconiano evito di sbrodolarmi nelle lodi del mio presidente del Consiglio. Andiamo all’incompiuta: fin qui né Berlusconi né i suoi critici sono riusciti a costruire un partito forte come la Dc e, dunque, potenzialmente duraturo come questa. Forza Italia è arrivata al 25 per cento, il Pdl al 40, ma a Berlusconi non basta perché lui ha l’occhio lungo e sa che nella storia restano i partiti che prendono un voto in meno o un voto in più del 50 per cento. Il Pdl nasce con questo obiettivo ed è ancora una volta un’intuizione solitaria del suo leader. Un partito così in Italia può vincere per tre decenni ma deve essere come diceva Tatarella, il più democristiano dei destri; lui sognava un partito che pren-
desse tutti i voti dei democristiani, dei missini e di quelli che non erano di sinistra, per raggiungere il 65 per cento, Berlusconi è più prudente e con il Pdl punta a superare quota 50. E, allora, c’è poco da fare gli schizzinosi: senza l’Udc l’impresa è complicata, magari ci si riesce ma ci vuole più tempo. Alemanno dice che il Ppe non è solo la casa dei democristiani. Verissimo. Il Ppe in Europa è l’unione dei partiti democristiani e dei partiti conservatori, con proporzioni di quattro a uno a favore dei democristiani. Dal 93 i democristiani hanno dato vita a tanti partiti che, è vero non contano granché, ma, in ogni caso, è impensabile fondare in Italia il Ppe senza di loro. Anche se oggi nel Pdl ci sono io con la mia Dc, è certo che non posso pensare di rappresentare da solo un mondo residuale ma complesso come gli ex democristiani. Dunque, c’è poco da discutere: bisogna aprire all’Udc e con questo c’è solo da guadagnarci. Se diranno di sì saranno i benvenuti. Il Pdl è casa loro come mia, di La Russa, di Verdini, di Caldoro e della Mussolini e di chi ci vuol venire.
POLITICA
«A BEN GUARDARE IL TERZO POLO NON È MAI ESISTITO. DOPO LA DC C’È UN SOLO “GIGANTE” CHE È SILVIO BERLUSCONI»
Del resto, o adesso o mai più, vale per noi e per l’Udc». I rapporti con la Lega invece sembrano avere degli alti e bassi. Ci sono state alcune frizioni sul pacchetto sicurezza e sull’election day. Quanto questa sensazione è reale e quanto “mediatica”? «La Lega difende la sua autonomia e questo governo non è un monocolore, la mediazione è l’arte della politica e il parere della Lega è determinante». Recentemente si è riacceso il dibattito sullo Stato etico e sulla laicità. Lei da esponente della Dc come si pone rispetto a questi temi? «Sono un cattolico democratico. Un tempo era considerato un atteggiamento di sinistra, oggi non più. Il Pdl è un partito di ispirazione cristiana come lo era la Dc. Da cattolico, obbedisco alla Chiesa, da politico no».
Venendo al suo incarico di governo, sono molti gli obiettivi già raggiunti dall’esecutivo. In corso d’opera c’è il rilancio del Mezzogiorno, anche attraverso la creazione della Banca del Sud. Ma dove occorre agire affinché le risorse non vadano sprecate in mille rivoli e perché non si ceda alla “tentazione” assistenzialista? «Il Sud protagonista di un nuovo corso per il Paese: è il tema che ho lanciato a Bari, nel corso della manifestazione di Governincontra, raccolto dal sindaco del capoluogo pugliese. È tempo di una nuova stagione che veda il Mezzogiorno non come un peso per il “SistemaPaese”, ma come occasione unica di un nuovo protagonismo italiano. In questo senso la riforma federalista è la piattaforma che deve garantire questo processo a prescindere dalle bandiere politiche e dalle sigle di partito».
Quali sono le urgenze del Mezzogiorno e cosa comporterà in concreto l’attuazione del federalismo fiscale? «Il Governo intende inserire la “marcia alta” nell’esame delle emergenze del Mezzogiorno, a patto che questo sappia rispondere. L’obiettivo è quello di realizzare una griglia minimale delle cose necessarie da fare per il Sud. Dopo anni di silenzio sul tema la nostra vera missione è quella di un federalismo solidale che possa garantire i servizi essenziali, in ogni settore, a tutti i cittadini del Mezzogiorno. Guido Dorso scriveva che il Sud “ha bisogno di giustizia, non di carità” e che “deve contentarsi di chiedere il regionalismo per poi ambire al federalismo”. Oggi, il federalismo deve garantire questi processi culturali, sociali, politici ed economici e deve ambire a far correre il Sud più del Nord, altrimenti il Paese si ferma. Il federalismo, infatti, è uno strumento utile per dare all’Italia un nuovo volto. È un’occasione storica che questa maggioranza e questo governo non vogliono disperdere». CAMPANIA 2009 | DOSSIER
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POLITICA Nicola Cosentino
UNA TERRA LIBERA DA MAFIE E MALAFFARE Servono interventi infrastrutturali. E più opportunità culturali e formative per i giovani. Queste le premesse per porre fine al sistema di malgoverno che da anni domina in Campania. Ma per ottenere validi risultati occorre un atto di orgoglio dei cittadini. E della classe politica locale. Che deve imparare dal passato e fare autocritica. Come spiega Nicola Cosentino, coordinatore regionale del Pdl e sottosegretario all’Economia MARILENA SPATARO
nni, anzi decenni, di speranze e di promesse andate inattese. Nonostante le grandi risorse e le potenzialità in campo imprenditoriale e umano presenti sul proprio territorio, la Regione Campania continua a vivere in una condizione di estremo disagio sociale ed economico. Una situazione questa che ha generato non poche problematiche e in campo lavorativo, dove il tasso di disoccupazione specialmente a livello giovanile è tra i più alti d’Italia, e in molti altri settori. Basti pensare alla situazione di illegalità diffusa determinatasi nella società civile a causa della presenza di una criminalità organizzata sempre più agguerrita e potente e al malaffare divulgatosi a macchia d’olio all’interno della società politica e, di riflesso, delle istituzioni locali. Ed è proprio su questo terreno che alle prossime elezioni del 6 e del 7 giugno si gioca la campagna elettorale per il rinnovo di tre amministrazioni provinciali e di quasi duecento amministrazioni comunali. A indicare gli obiettivi e le politiche che il Pdl e i suoi alleati nelle varie coalizioni locali intendono mettere in campo per trovare risposte efficaci agli annosi problemi della Campa-
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nia rilanciandone l’economia, la società e anche l’immagine a livello nazionale e internazionale, purtroppo terribilmente compromessa dalla vicenda rifiuti, di regione laboriosa, onesta e desiderosa di ritrovare la sua antica vocazione di territorio giuda del Sud, è Nicola Cosentino, sottosegretario all’Economia e alle Finanze e coordinatore regionale del Pdl. Quali saranno i contenuti del programma elettorale del Pdl per tingere nuovamente d’azzurro la Regione Campania? «Dopo quindici anni di disastrosa amministrazione il programma di rinascita per la Campania non è difficile da stilare. Potremmo racchiuderlo in una sola frase: iniziare ad amministrare questa Regione con la saggezza del buon padre di famiglia così come sempre è richiesto nella gestione della cosa pubblica. Purtroppo la Banda Bassolino non ha trattato le istituzioni come res pubblicae ma come cosa privata da spartire con gli amici. Ovviamente il nodo è l’area metropolitana napoletana che vede una concentrazione di 3 milioni di cittadini da amministrare con determinazione e saggezza. La sinistra non ha mai affrontato que-
© Marco Merlini / LaPresse
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NICOLA COSENTINO È sottosegretario di Stato all’Economia e coordinatore Pdl Campania
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POLITICA Nicola Cosentino
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sto tema per cui oggi dobbiamo ritrovare il bandolo della matassa avendo ben presenti due grandi obiettivi: reinventare e riqualificare. Insomma se dovessi scegliere uno slogan direi che dobbiamo andare verso la conquista del tempo perduto. Abbiamo un gap di 15 anni da recuperare. Ma se si considera che il Governo Berlusconi in poco tempo, ha risolto l’emergenza rifiuti, posso affermare, senza timore, che siamo in grado di farcela e anche bene a recuperare». Dopo le vittorie ottenute dal Pdl in Sardegna e in Abruzzo i favori del pronostico sono tutti dalla vostra parte. È così? «Il pronostico è facile per chi batte il territorio. Basta ascoltare la gente, quella gente che la sinistra non ha ascoltato. Quelle persone che da tempo chiedono a Bassolino e alla sua banda di lasciare spazio al voto; di ridare agli elettori la facoltà di scegliere e di decidere. La mia cultura di Campano Doc mi fa comunque tacere dinanzi ad DOSSIER | CAMPANIA 2009
ogni pronostico, noi continueremo a lavorare con tenacia così come siamo abituati a fare, il resto lo farà la gente». Perché gli elettori in passato non vi hanno dato fiducia? «Noi in passato abbiamo commesso un errore grande. Ci siamo persi tra i grandi sistemi. Abbiamo abbandonato la nostra gente per concentrarci sulla struttura del partito. Forse è stato un passaggio obbligato, Forza Italia era un fenomeno nato dal genio di un leader che trovava il favore in ogni angolo d’Italia, ma la nostra era una corsa agli ostacoli e il più grande era quello di una parte della magistratura politicizzata che faceva di tutto per abbatterci. Così, mentre noi facevamo scuola, il territorio non ci trovava presenti e la sinistra iniziava a gettare la sua rete clientelare. Ma oggi è tutto diverso il Popolo delle Libertà è una casa costruita con i criteri giusti e la rete della sinistra è logorata da se stessa». Secondo lei come sarà la Campa-
nia del dopo Bassolino? «Bellissima. Riavrà la dignità perduta. La cosa più brutta per ogni campano è stato l’orgoglio ferito nel vedere scorrere le immagini in mondo visione della propria terra coperta di immondizia e di illegalità. La Campania che abbiamo in mente è quella della gente onesta che collabora con le istituzioni, è quella del riscatto e dell’orgoglio, è quella che ogni cittadino oggi rivuole». Federalismo fiscale. Quale futuro per la Campania? «Il federalismo fiscale è decisamente una opportunità per il Sud, è come un abito sartoriale che veste sicuramente meglio di un abito fatto in serie ma questo è vero se supportato da una classe dirigente capace e quindi adeguata a questa nuova occasione che ci viene offerta». Recentemente lei ha avuto modo di dichiarare che “lo Stato è tornato a fare lo Stato”. Si riferiva solo all’emergenza rifiuti campana o anche a qualche altro ar-
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gomento? «Lo Stato è ritornato a fare lo Stato ogni volta che ha inflitto un colpo alla criminalità organizzata; lo Stato è nei provvedimenti per i meno fortunati con la social card e il bonus bebè; lo Stato determinante nella questione Alitalia e nel supporto alle aziende in questa crisi globale; lo Stato c’è tra i terremotati dell’Abruzzo aiutati con prontezza, decisione e determinazione. Mi sorprendo io stesso, ad elencare tanti interventi in così poco tempo». Oltre all’emergenza rifiuti quali saranno i primi passi da compiere? «La cosa chiara nel Pdl campano è che oggi la nostra Regione ha bisogno di colmare il deficit infrastrutturale anche ipotizzando un reinserimento della Campania tra le Regioni obiettivo 1 dell’Unione Europea. Questa volta però non dobbiamo peccare in incapacità progettuale. Quanti fondi persi perché inutilizzati! Abbiamo bisogno di aeroporti, interporti, tav, strade e autostrade, sono questi i volani dello sviluppo, dell’economia e del turismo del futuro». Lei ha dichiarato che i giovani e le donne under 30, in Campania, saranno il vero elemento di novità e anche di rottura con i vecchi schemi della politica. Che cosa intendeva dire? «“In Campania è primavera” è l’iniziativa del Coordinamento regionale campano del Pdl che si rivolge ai giovani under 30. Forgiare una primavera tra i militanti vuol dire rinnovare, dare nuova linfa al nostro territorio creando speranza attraverso gli ideali che animano l’azione politica. Libertà, democrazia e sussidiarietà sono alla base di un progetto che saprà arrivare alla gente attraverso lo strumento migliore della nostra società: i giovani. Arriverà dai giovani impegnati in politica e nel sociale, il loro radicamento sul territorio porterà una ventata di freschezza attraverso iniziative socio-culturali. Fra queste ci sarà il volontariato per seguire i ragazzi meno fortunati, dei corsi di recupero gratuiti per gli studenti in difficoltà delle scuole primarie,
l’organizzazione di attività ludiche e sportive. Ci sarà spazio per il dibattito politico attraverso seminari e convegni e si darà vita ad un laboratorio per le proposte che nasceranno e che poi saranno avanzate alla Regione e al Governo. Per quanto riguarda la componente femminile devo dire che l’ultima lotta affrontata al riguardo risale a poco tempo fa, quando la giunta regionale campana con un atto arrogante ha votato l’abolizione del listino e della soglia di sbarramento alle elezioni per il consiglio regionale facendo ripiombare la Campania indietro di almeno dieci anni. Il progetto di riforma della legge elettorale, non solo finirà con il rendere ancora più frammentario e caotico lo scenario politico, ma sarà di serio ostacolo a qualsiasi processo di modernizzazione di un'istituzione strategica per lo sviluppo, quale appunto è la Regione. Affidare tutto alle preferenze, in una regione dove clientelismi e favoritismi più che un'eccezione con-
tinuano a rappresentare una regola, appare un controsenso. Un atto di miopia politica, che contrariamente a quel che affermano i promotori dell'iniziativa, non favorirà la democrazia, ma, al contrario, segnerà il definitivo trionfo delle logiche clientelari, a cui quindici anni di governo della sinistra ci hanno purtroppo abituati». La sua sarà una politica capace di dialogare con il governo centrale e gli enti locali territoriali? Se sì, in che modo? «Sì, e sarà impostata nello stesso modo che ci ha portato a risolvere l’emergenza rifiuti che altro non è stato che la creazione di un circolo virtuoso e sinergico tra i Comuni, le Province e il Governo. Il Governo Berlusconi c’è ed è percepito dai cittadini e dagli enti locali come affidabile e degno di fiducia per cui tra questi soggetti esiste una proficua collaborazione per arrivare a soluzioni condivise. Che poi è quello che intendiamo quando parliamo di Popolo delle Libertà». CAMPANIA 2009 | DOSSIER
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POLITICA Paolo Cirino Pomicino
IL VALORE CHE NASCE DALL’ESPERIENZA Le previsioni di riuscire a mettere ordine in qualche anno nei conti della Pa sono ottimistiche. Ma per ottenere questo risultato è indispensabile eliminare il debito sommerso. Questo l’ammonimento di Paolo Cirino Pomicino, più volte ministro della Prima Repubblica e attuale presidente del Comitato tecnico per il coordinamento in materia di valutazione e controllo strategico nelle amministrazioni dello Stato MARILENA SPATARO
nell’ottica di tagliare gli sprechi nella pubblica amministrazione, razionalizzandone la spesa e rendendo gli uffici e le funzioni più efficienti, che presso la presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento programma di governo nasce con decreto legislativo del 99, successivamente ridefinito nel 2006, il Comitato tecnico scientifico per il coordinamento in materia di valutazione e controllo strategico nelle amministrazioni dello Stato. A presiedere attualmente questo organo consultivo è un politico di lungo corso: Paolo Cirino Pomicino. Ex democristiano deputato alla Camera dal 76 al 94 e più volte al Parlamento europeo, ex ministro della Funzione Pubblica e poi del Bilancio, forte di questa esperienza in campo amministrativo e ministeriale, il presidente del comitato tecnico scientifico si sta battendo in questa legislatura per raggiungere attraverso un serio lavoro di
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monitoraggio dei bilanci pubblici i dati necessari da consegnare al Parlamento e al governo affinché questi possano agire per il raggiungimento del tanto sospirato quanto ormai indispensabile obiettivo, considerati specialmente i tempi di crisi che le economie nazionali di tutto il mondo stanno attraversando, di una pubblica amministrazione efficiente e improntata al risparmio e alla razionalizzazione della spesa. Quali sono, in questo momento, le priorità del Comitato tecnicoscientifico che presiede? «La priorità sulla quale stiamo lavorando è la semplificazione del monitoraggio dei bilanci pubblici per renderli più comprensibili al Parlamento, dal momento che le singole amministrazioni devono inviare ogni 15 giugno una valutazione sugli indici di performance dell’anno precedente alle singole commissioni parlamentari. Come tutti sanno la conoscenza è indispensabile per metter mano a un
documento di bilancio, questa sarà tanto più appropriata quanto più semplici saranno i dati inviati in Parlamento, il quale peraltro fino a ora è stato annegato con centinaia e centinaia di pagine e di numeri spesso incomprensibili. Abbiamo già fatto un lavoro in questi termini per cui dal 2010 presumiamo di avere dei format di monitoraggio molto più accessibili per i nostri parlamentari». In Italia si parla tanto di mancanza di fondi. Ma quanto spreco esiste o è esistito? E com’è possibile arginarlo? «Una volta semplificato il quadro della rilevazione del bilancio dello Stato e chiariti quali siano le poste in bilancio, sarà più semplice tentare di rendere più efficace la spesa pubblica. C’è però da sottolineare che quando il Parlamento taglia 15 miliardi di euro in tre anni alla pubblica amministrazione centrale o toglie contestualmente alcune funzioni, inevitabilmente le Pa centrali faranno
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PAOLO CIRINO POMICINO Politico di primo piano della Dc e della Prima Repubblica, tra i fondatori dell’Udc. Dopo una breve stagione nell’Udeur, nel 2005 aderisce al progetto politico della Democrazia Cristiana per le Autonomie, nata su iniziativa di Gianfranco Rotondi attuale ministro per l'Attuazione del programma. Insieme a questo partito e al suo leader, qualche anno fa ha aderito al Pdl
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POLITICA Paolo Cirino Pomicino
© Vincenzo Landi / GIACOMINOFOTO / Agenzia Fotogramma
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DEMOCRISTIANI Paolo Cirino Pomicino con il senatore a vita Giulio Andreotti
debito sommerso. D’altro canto non è un caso che il governo e il Parlamento non abbiano indicato quali siano gli sprechi da colpire, tagliando in maniera grossolana sulle risorse. Il mio vuole essere un allarme per far sapere che le amministrazioni fondamentali come quelle dell’Interno, della Difesa o delle Infrastrutture anche a causa di ciò sono attualmente prive delle risorse necessarie per svolgere i compiuti più ordinari. Gli stessi Secin, che sono gli organi di auditing interno della Pa, con grande senso dello Stato evidenziano ad esempio che al ministero della Difesa a causa dei tagli fatti non c’è più una capacità di addestrare ad alti livelli tutte le forze militari, questo non è poco perché addestrare gli uomini e mantenere i mezzi è un elemento essenziale per una difesa che sia all’altezza della situazione. Inoltre se nelle realtà periferiche del ministero dell’Economia ci sono fitti per locali la cui somma non viene messa in bilancio è evidente che si tratta di debiti sommersi. Non è DOSSIER | CAMPANIA 2009
un caso che al 31 dicembre 2008 per questo solo anno esistono tre miliardi di debiti sommersi e non è un caso che l’istituto poligrafico vanti un credito di ottocento milioni. Questi esempi dimostrano non che l’amministrazione non possa risparmiare, ma che il recupero di efficienza della spesa pubblica passa anche per una capacità di individuare gli sprechi e di eliminarli. Il vero problema allora è che qualunque tipo di taglio si debba fare, e qualcosa si può e si deve fare, presuppone un quadro esatto e comprensibile, un monitoraggio semplice che permetta a governo e Parlamento di decidere con cognizione di causa su cosa tagliare, senza tagliare a peso, perché così facendo si crea, come si è visto solo debito sommerso».
Quali sono gli obiettivi a lungo termine da raggiungere per garantire all’amministrazione dello Stato una “buona prassi”? «Ridurre migliorando l’efficienza e quindi la produttività delle amministrazioni centrali. Il Comitato tecnico scientifico in realtà è un organo che controlla sul piano strategico solo le amministrazioni centrali, ma non vi è dubbio che il nostro obiettivo sia di individuare, attraverso la conoscenza delle criticità, un sistema efficiente e improntato al risparmio della spesa pubblica generale. Purtroppo di fronte a questo tentativo stiamo cozzando contro due realtà: una certa resistenza della burocrazia in particolare da parte del ministero dell’Economia e la mancata presa di coscienza da parte dei Secin,
«PER RIDURRE LA SPESA PUBBLICA CREANDO UNA MAGGIORE EFFICIENZA DELLA PA NON SERVONO LE VENTATE EMOZIONALI DEL TAGLIARE, MA UN LAVORO SERIO PER IL QUALE OCCORRONO NON MENO DI TRE ANNI»
che dovrebbero evitare il debito sommerso, e che negli ultimi anni è allarmante, arrivando a otto o forse anche dieci miliardi di euro. Ad esempio nella pubblica istruzione mancano circa 400 milioni di euro per pagare i fitti delle scuole e la cifra non è nemmeno riconosciuta nel bilancio dello Stato. Per ridurre la spesa pubblica creando una maggiore efficienza della Pa non servono le ventate emozionali del tagliare, ma un lavoro serio per fare il quale occorre un certo lasso di tempo, non meno di tre anni. Semplificando il tutto riusciremo a fare emergere un quadro preciso nel quale Parlamento e governo nell’ambito delle loro funzioni specifiche potranno intervenire nel bilancio dello Stato accorpando determinati programmi e così potendosi orientare su economie di scala capaci di ridurre la spesa pubblica. Le previsioni sono abbastanza ottimistiche è però necessario che in questi tre anni il Parlamento trovi il modo di coprire quei 15 miliardi del debito sommerso delle Pa». Insieme al ministro Gianfranco Rotondi e al partito da lui fondato lei ha aderito al Pdl. Da politico di esperienza come ha accolto la creazione di questa grande formazione politica? «Nel Pdl vedo le condizioni di partenza che possono dare all’Italia un grande partito di massa moderato, ma per ottenere questo è necessario che al suo interno si dia corso a un esercizio permanente e continuo di democrazia e di confronto politico, che in verità in questo momento è piuttosto carente, con il rischio altrimenti che allorquando il leader di questa formazione Silvio Berlusconi sarà chiamato a compiti istituzionali diversi oppure quando deciderà di abbandonare, il partito imploderà come sta implodendo il Pd». Creazione di un terzo polo centrista che raggruppi, magari intorno all’Udc, le anime ex democristiane di Pdl e Pd. Solo fantapolitica? «In verità uno spazio politico per questo esiste, ma il dramma è che
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il partito di Casini ha lo stesso modello degli altri partiti attualmente presenti sulla scena politica i quali non sono altro che l’effetto imitativo della formazione politica creata da Silvio Berlusconi, per cui tutti sono fortemente incentrata sulla figura del leader. Un simile modello comporta una democrazia ridotta all’interno del partito dove invece scattano nei confronti del leaderproprietario da parte degli altri componenti, piuttosto che atteggiamenti di confronto democratico come sarebbe corretto che fosse, atteggiamenti cortigiani e di mediocrità. Anche nel partito di Casini e Di Pietro c’è l’idea che il leader di turno sia il padrone as-
soluto. Nel Pd dove i leader cambiano rapidamente questo non appare tanto palesemente ma è lo stesso così. Quanto all’Udc, che tra l’atro ho contributo a fondare, oggi si tratta di un partito che proprio per il motivo che dicevo sopra ha perso una serie di quadri politici, compreso me, di grande esperienza e fortemente radicati sul territorio. Se anche esiste lo spazio politico dove si possano ancora raggruppare le varie anime della Dc non c’è però il partito capace di riempierlo e questo soprattutto perché al momento prevale il modello di un partito personale dove a chi ne fa parte non resta altro che piegarsi alla volontà del capo». CAMPANIA 2009 | DOSSIER
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POLITICA Clemente Mastella
LUNGO CORSO Clemente Mastella è il leader del partito dei Popolari Udeur. Ex Dc, è stato nel 94 ministro del Lavoro nel primo Governo Berlusconi e dal 2006 al 2008 ministro della Giustizia del Governo Prodi DOSSIER | CAMPANIA 2009
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LA MIA CITTADINANZA NEL POPOLO DELLA LIBERTÀ Ha scelto il Pdl per candidarsi alle prossime elezioni europee. Clemente Mastella, leader dell’Udeur ed ex ministro alla Giustizia del Governo Prodi correrà all’interno di questa formazione politica perché in essa riconosce la presenza di quei valori di libertà e di pluralismo in cui ha sempre creduto. E a Strasburgo porterà le istanze più vere del suo Sud MARILENA SPATARO
passato poco più di un anno da quando Clemente Mastella si dimetteva da ministro della Giustizia del Governo Prodi con la conseguenza di mandare a casa l’intera compagine governativa. Eppure da allora a oggi sembra sia trascorso un ben più lungo lasso di tempo. Le svolte politiche che lo hanno segnato sono tante e tali, e a volte persino di portata storica, da giustificare ampiamente una simile impressione. Il panorama della politica italiana di oggi appare, infatti, radicalmente mutato: mentre da una parte a governare il Paese c’è un solido governo di centrodestra a larga maggioranza parlamentare come non accadeva da parecchi anni, dall’altra, si profila un sistema bipolare maturo e di stampo europeo dove le due maggiori forze in campo, Pd e Pdl, il recente grande partito di ispirazione liberale nato dalla fusione di Fi e An, si fronteggiano. È in questo mutato contesto della politica italiana che Clemente Mastella ha deciso di scendere ancora in campo. Perché ha scelto questo partito per candidarsi? «Penso che al momento il Pdl sia
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la forza più naturale e più espressiva dei miei valori e dei miei orientamenti. Se non ci fosse stata la legge elettorale con lo sbarramento al 4% probabilmente avremmo corso da soli, anche se questo avrebbe comportato un certo rischio. Mi sono candidato nel Pdl nel rispetto delle mie sensibilità e del mio stile, e visto che le liste non sono rigide, ma con l’ipoteca della preferenza, come peraltro è giusto che sia, mi sto mettendo fortemente in gioco, per ottenere il consenso degli elettori dovrò sapermi battere». Per molti osservatori politici con la nascita ufficiale del Pdl l’ipotesi di un terzo polo sembra definitivamente tramontata. A suo parere è così? «Al momento in larga misura è così. L’ipotesi bipolare che un tempo appariva un po’ ingombrante, oggi trova una visione convinta, non solo tra chi ha esplorato orizzonti politici in anticipo, ma anche nell’opinione pubblica. Quindi un terzo polo finisce per essere a rischio non trovando conforto negli spazi della meccanica elettorale». Esistono aspetti comuni tra questa nuova forza politica e la CAMPANIA 2009 | DOSSIER
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POLITICA Clemente Mastella
«AL MOMENTO IL PDL È LA FORZA PIÙ NATURALE E PIÙ ESPRESSIVA DEI MIEI VALORI E DEI MIEI ORIENTAMENTI. MI SONO CANDIDATO NEL RISPETTO DELLE MIE SENSIBILITÀ E DEL MIO STILE»
Dc di un tempo? Quali sono, invece, le maggiori differenze? «Ogni tempo ha la sua storia. Esiste un’irripetibilità delle condizioni politiche e questo vale anche per la Dc la quale nasceva da un’idea di cattolicesimo impegnato sul lato politico. Oggi invece all’interno del Pdl, pur essendo presente una visione di fondo comune che delinea aspetti di valori anche dal punto di vista dell’impianto religioso, esistono voci laiche che possiedono un peso maggiore rispetto a quello esistente nel recente passato. Se, invece, con questo paragone si fa riferimento al grande partito, quello che una volta si deDOSSIER | CAMPANIA 2009
finiva partito-chiesa, allora la forza e la suggestione che il Pdl esprime è indubbiamente paragonabile a quella della Dc, ma la nuova forza politica in linea generale dista anni luce dal passato, quando la visione era legata a un mondo di valori espressamente cattolici con venatura laica, oggi, invece, non è così. Oggi alla base del Pdl c’è un’idea liberale e liberaleggiante dove, sebbene siano presenti i valori religiosi, non esiste l’esigenza di trasfigurare questi elementi sul piano politico. Anche la forma partito è diversa, le differenze non sono solo di contenuto, ma anche di forma».
Molti hanno salutato la nuova tendenza bipolare italiana come la strada maestra per ridare forza e credibilità alla nostra politica. Qual è il suo parere? «Ritengo si tratti di un elemento positivo e di grande novità. Ma al contempo sarebbe negativo eliminare completamente chi è estraneo a un’idea bipolare perché questa può anche consistere nella presenza di due grandi partiti con accanto una serie di satelliti senza portare necessariamente a una forma di bipartitismo. Laddove, invece, questa formula venisse indicata dal referendum popolare allora si arriverebbe a un bipartitismo, ma non credo che questa sia la strada maestra da percorrere. La tendenza in Italia è di un bipolarismo maturo e aggiungerei che per alcuni aspetti questo era presente già al tempo in cui Dc e Pci si sono fronteggiati». La mancanza di un dialogo costruttivo tra parti politiche che dura ormai da più di dieci anni quanto ha indebolito il senso dello Stato e delle istituzioni negli italiani? «Questa mancanza di dialogo rende labile il rapporto tra cittadini e istituzioni. Mi piacerebbe che esistesse un’idea come quella dei Paesi anglosassoni, in cui le dispute si mettono da parte per il bene del Paese, come oggi sta accadendo per la vicenda del terremoto in Abruzzo, dove si dialoga. Sarebbe necessario che questa pratica si instaurasse anche rispetto ai grandi temi, come la crisi econo-
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mica, la disoccupazione, la precarietà e il disagio dei giovani. In altri Paesi di fronte a queste situazioni prevale una solidarietà politica autentica e che, secondo me, sarebbe ben accetta dagli italiani, specialmente se diventasse una prassi codificata cui ricorrere nei momenti di maggiore criticità del nostro Paese». Tante polemiche, a volte sterili. Problemi che sembrano insormontabili. Cosa manca all’Italia per essere un Paese “normale”? «Da noi manca appunto il senso dello Stato e delle istituzioni. Esiste una parzialità di valutazioni per cui ciascuno interpreta il senso dello Stato e delle istituzioni a modo proprio, volgendolo in termini partigiani senza tener conto di regole comuni e autonome da far valere nei confronti sia propri che degli altri». Quale il contributo che intende dare alla politica italiana se siederà a Strasburgo? «Quello di riportare l’Europa in Italia e l’Italia in Europa. Oggi si è inceppato un elemento che era portante e che aveva investito e
contagiato il nostro Paese apportando grossi vantaggi specie nei momenti di maggiori perturbazioni sia in campo economico che sociale. Una paralisi che bisogna superare capendosi e ascoltandosi reciprocamente». Ritiene che le attuali politiche comunitarie siano di reale sostegno ed efficacia rispetto al rilancio economico e sociale del Sud Italia? Come i nostri rappresentanti si dovranno muovere nel prossimo Parlamento europeo per ottenere da parte dell’Europa un impegno a favore dello sviluppo del Mezzogiorno? «A volte, e paradossalmente, è lo stesso Sud a credere poco nella possibilità del suo sviluppo, molto meno di quanto non ci creda l’Europa. Invece per rilanciarsi occorre crederci. Ritengo che per arrivare a questo risultato sia necessario prioritariamente dar vita a una burocrazia più veloce e più snella e anche a un’imprenditorialità più dinamica all’interno dell’attività degli stessi enti locali e delle regioni meridionali. In tal senso il
Parlamento europeo ricopre un ruolo di primaria importanza, potendo fungere da elemento capace di mediare tra l’Europa politica e il governo europeo al fine di ottenere il superamento delle carenze di strutture o di iniziative in quella parte ancora arretrata del nostro Paese». Quali saranno a suo giudizio le ricadute della riforma sul federalismo fiscale sull’economia e sulla società dei territori del Mezzogiorno? «Al momento il mio giudizio è di attesa. Precedentemente sono stato contrario ma adesso desidero vedere come vanno le cose in corso d’opera prima di giudicare. Il risultato, positivo o meno, dipende da come emergerà questo federalismo, da come attecchirà nei territori meridionali e da come si riverbererà in termini di solidarietà nazionale. Ancora esistono parecchi aspetti poco chiari che potrebbero lasciare il segno in negativo. Auspico che quando la riforma sarà definitiva essa porti il segno di una speranza in positivo, ma ciò è tutto da verificare». CAMPANIA 2009 | DOSSIER
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POLITICA Marco Milanese MARCO MARIO MILANESE Deputato del Gruppo Pdl alla Camera e consigliere politico di Giulio Tremonti di cui ha guidato la segreteria e il Gabinetto alla vicepresidenza del Consiglio
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COSÌ FARÒ RINASCERE LA MIA IRPINIA Gli ultimi dati sul consenso sia a livello nazionale che locale danno in forte crescita le quotazioni del centrodestra. In Irpinia, il programma stilato dal Popolo delle Libertà sta ricevendo giorno dopo giorno un forte indice di gradimento. Marco Milanese, neo vicecoordinatore del Pdl per la Provincia di Avellino, a un mese dalle elezioni traccia gli scenari futuri del centrodestra nell’entroterra campano FEDERICO MASSARI
onorevole Marco Milanese, deputato del Popolo della Libertà e consigliere economico del ministro Giulio Tremonti, è stato da poco nominato vicecoordinatore della Campania per la Provincia di Avellino. Appena un mese fa, Milanese si era reso promotore dell’emendamento che ha ampliato il capitale delle risorse (dieci milioni di euro) a disposizione del fondo di garanzia per le aziende del settore conciario, tessile e calzaturiero, in quelle zone dove effettivamente ce n’era bisogno come, ad esempio, Solofra. «In questo modo – spiega Milanese – abbiamo voluto fornire un segnale tangibile al territorio. Abbiamo ancora una volta dimostrato che il governo è vicino al Mezzogiorno». Sempre a detta del deputato azzurro, l’obiettivo del Pdl è quello di restituire alla Campania, e all’Irpinia, il ruolo di locomotiva trainante dell’intero Sud del Paese. A tal proposito, il ministero dell’Economia ha rilanciato il progetto della Banca del Sud. «La Banca del Sud – continua – la cui finalità non è solo quella di raccogliere soldi, ma anche di distribuire le risorse. Darà nuova linfa ai programmi di sviluppo del meridione». Ma non è finita. Alla domanda: quali sono state le
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mancanze delle precedenti amministrazioni di centrosinistra? Milanese risponde: «Dal punto di vista politico, le amministrazioni di centrosinistra hanno fallito sotto ogni aspetto. Soprattutto in Campania». Ad alcune settimane dal primo congresso nazionale del Pdl di Roma e con due tornate elettorali alle porte, come sta avvenendo in tutta Italia la confluenza verso il partito unico nelle realtà locali? «Con la nascita del Pdl e la confluenza di Forza Italia e An in unico soggetto politico si è realizzata l’unione di tradizioni diverse ma, al contempo, valori condivisi. In virtù di questa condivisione, è facile andare d’accordo. Per quanto riguarda le varie realtà locali è normale che ogni territorio, da Nord al Sud, presenti caratteristiche peculiari, ma laddove non c’è ancora la piena condivisione compensa l’intelligenza delle persone». A suo avviso, quando il processo di integrazione tra An e Forza Italia all’interno del Pdl potrà dirsi effettivamente concluso in ogni suo aspetto, in Campania? «Io sono eletto in Campania, nel coordinamento provinciale di Avellino, e noto con piacere che qui le cose stanno andando nel verso giusto, soprattutto con gli amici di An. Per quanto riguarda l’integra-
zione, non credo sia una questione di tempi. Quello che si è ufficializzato con la nascita del Pdl, in alcuni territori era già realtà: già prima che si creassero coordinamenti uniti, in alcune zone, soprattutto quelle più piccole, An e Forza Italia collaboravano proficuamente. Questo è la conferma che ancor prima che una cosa venga decisa dall’alto, quando si tratta di un’esigenza reale, cementata da reali valori condivisi, la base si adopera per concretizzarla. Sono dunque certo che il processo di integrazione tra An e Forza Italia avverrà senza incertezze». Come è avvenuta la decisione di affidare a Giulia Cosenza, ex coordinatrice irpina di An, la carica di coordinatore provinciale del Pdl? «C’è stata una suddivisione territoriale della Campania, in base alla quale si è deciso che le città di Avellino e Napoli spettassero ad Alleanza Nazionale. Alla luce di questo, ho dunque ritenuto corretto che Giulia Cosenza fosse nominata nuovo coordinatore provinciale del Pdl. I commenti nei suoi confronti non possono che essere positivi perché Cosenza è una persona sensata e andiamo d’accordo senza problemi. Insieme prenderemo le decisioni più opportune per il bene CAMPANIA 2009 | DOSSIER
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POLITICA Marco Milanese
del territorio». Quali sono i primi punti su cui comincerà a lavorare insieme al coordinatore Cosenza? «Ad Avellino si andrà a votare sia per il Comune che per la Provincia, quindi si tratta di una tornata molto importante. Nella prima riunione che abbiamo tenuto, abbiamo preso la decisione di mettere insieme due commissioni. Una commissione dovrà stilare il programma che sarà importantissimo per la Provincia e per il Comune e un’altra commissione che dovrà stilare le liste sia per la Provincia che per il Comune per avere migliori candidati. Adesso siamo impegnati in questo, da metà giugno in poi penseremo alla creazione del Pdl a livello provinciale per poi apprestarci a un’ulteriore tornata elettorale dell’anno prossimo con le elezioni regionali». Giulia Cosenza ha più volte ricordato come il governo nazionale sia particolarmente attento e DOSSIER | CAMPANIA 2009
sensibile alle esigenze dell’Irpinia. Come si concretizzerà questo interessamento dopo la campagna elettorale? «È un pensiero che condivido anche io. Il Governo è stato vicino ad Avellino, alla Campania, al Mezzogiorno. Il presidente Berlusconi sta affrontando e risolvendo il problema dell’emergenza dei rifiuti in Campania così come sta risolvendo adesso l’emergenza terremoto in Abruzzo. Per Avellino la cosa è presto detta. Siccome ad Avellino c’è un’emergenza sociale ed economica, oltre che politica dovuta a questo malgoverno degli ultimi 50 anni da parte della sinistra, il Governo si sta dimostrando vicino con una serie di misure che già ha in parte adottate: vediamo la banca del mezzogiorno che deve essere fatta, vediamo la richiesta di zone franche che dovrà consentire degli investimenti produttivi in esenzione di imposta per le imprese che vorranno investire nel
mezzogiorno, e un’altra serie di provvedimenti che speriamo arrivino presto». A proposito, a che punto è il progetto della Banca del Sud al quale sta lavorando negli ultimi mesi insieme al ministro Tremonti? «Con il ministro Tremonti stiamo pensando di presentare a Napoli il 7 maggio il comitato promotore, il ministro ha già firmato i decreti, io sarò colui che seguirà dal punto di vista politico il comitato promotore nella nascita di questa banca del Mezzogiorno, sono stato anche il vicepresidente del comitato promotore la scorsa volta, e quindi il 7 maggio a Napoli presenteremo il comitato promotore perché possa iniziare veramente, vale a dire 200 miliardi di euro che sono il risparmio dei meridionali, speriamo che in questo modo restino nel Mezzogiorno d’Italia e possano creare investimenti produttivi». E in che misura secondo lei il rilancio economico del Mezzogiorno inciderà a livello nazionale? «Deve incidere assolutamente. In più auspico un cambio di mentalità. Vale a dire che i bravi imprenditori meridionali che ci sono e sono tanti, devono essere consci della loro forza e della forza del Mezzogiorno. La politica può e deve fare molto, ma non può sostituirsi all’impresa. La politica deve creare le condizioni affinché l’impresa possa funzionare bene. Deve garantire giustizia, buone norme, deve garantire la sicurezza. Questo deve fare la politica. E poi far arrivare i fondi che necessitano per colmare il gap infrastrutturale e soprattutto economico che c’è tra il Mezzogiorno e il nord Italia, questo anche in un’ottica federalista, perché il federalismo potrà essere equo e solidale come dice il programma del governo Berlusconi e il gap esistente tra nord e sud, che ci sarà sempre, si deve sempre più assottigliare, anche perché questo conviene anche al nord perché se il sud è troppo distante economicamente neanche il nord cresce. Quindi devono crescere tutti e due insieme. Un federalismo equo e solidale».
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LA VOCE Maria Latella
MARIA LATELLA Giornalista, direttore di A e scrittrice di alcuni libri di successo
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LA VOCE
IL CAVALIERE CHE CAMBIÒ L’ITALIA La curiosità. E una profonda capacità di analisi della politica e del costume italiani. Queste sono le qualità che hanno permesso a Maria Latella di trovare la formula vincente per A, il settimanale da lei diretto. E di scrivere due famosi libri: uno su Veronica Lario e l’altro sulla prima “discesa in campo” del premier MARILENA SPATARO
ome un vento di primavera le donne hanno portato la freschezza della sensibilità femminile in tutti gli ambiti in cui si sono affermate: nella società, nella politica. E nell’informazione. Nel “quarto potere” è stato meno facile imporsi, specialmente a livello dirigenziale, sebbene non manchino figure di giornaliste diventate vere e proprie icone. Ma qualcosa sta cambiando e negli ultimi tempi si assiste a una nuova generazione di professioniste alla guida di parecchie testate giornalistiche, a dire il vero, più nella carta stampata che nella Tv. Dotate di grandi capacità professionali, determinate, ma soprattutto creative, queste signore dell’informazione sono state coloro che più dei colleghi uomini hanno contribuito a svecchiare lo stile giornalistico, improntandolo a una visione innovativa che interpreta efficacemente le tendenze della comunicazione di massa, dando spazio al lettore per interagire con il
© Fabio Lovino / CONTRASTO
C
giornale. È la storia di Maria Latella e di A, il settimanale femminile da lei diretto e al quale ha saputo conferire un linguaggio tale da riuscire a conquistare vaste fasce di pubblico, e non solo femminile. Ma qual è esattamente la tipologia del lettore cui si rivolge questa rivista? «Le donne giovani dentro, tra i 25 e i 60 anni, ma anche i gay e i ragazzi. A è il primo settimanale italiano ad aver dedicato una rubrica al mondo gay che ci segue con molta passione e attenzione. Non a caso nel film del momento Diverso da chi il protagonista legge il nostro giornale. Quanto ai giovani, abbiamo loro dedicato la rubrica “Viaggio dei ventenni” dove anche dall’estero i ragazzi scrivono per raccontare la loro vita» risponde con determinazione Maria Latella. Che nella sua professione continua a muoversi ad ampio raggio, dirigendo A, ma anche scrivendo libri di successo e conducendo su SkyTg24 un programma di attualità e politica. Nata come croCAMPANIA 2009 | DOSSIER
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LA VOCE Maria Latella
© Duilio Piaggesi / Agenzia Fotogramma
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«PENSO CHE LA CRISI DELLA STAMPA NON ESISTA LÀ DOVE AI LETTORI SI PARLA CON IL LORO LINGUAGGIO E DI ARGOMENTI CHE A LORO INTERESSANO. CERTO SE SI FA UN GIORNALE PER SE STESSO O PER IL PROPRIO CIRCUITO DI AMICI È POSSIBILE CHE IN TAL CASO SI VADA IN CRISI»
nista a Il Secolo XIX di Genova, Latella è successivamente diventata inviata politica del Corriere della Sera. Ed è come inviata di questa testata che nel 94 ha raccontato la discesa in campo di Silvio Berlusconi. Evento al quale, a distanza di 15 anni, dedica il suo ultimo libro Come si conquista un Paese. I sei mesi in cui Berlusconi ha cambiato l’Italia. «Ho ritenuto – tiene a sottolineare il direttore – che analizzare quel momento, rivelatosi poi d’importanza storica, non solo aiuta a far capire come sia l’Italia attuale ai cittadini, ma aiuta anche l’opposizione, che evidentemente allora non aveva colto fino in fondo cosa stava accadendo al nostro Paese». Dal punto di vista dei contenuti il settimanale da lei diretto sembra essersi spostato da temi prettamente femminili ad argomenti più impegnati. Questa linea ha pagato in termini di letDOSSIER | CAMPANIA 2009
tori? «In molti casi direi di sì. Questo è un settimanale che nasce senza steccati di lettori, nasce per essere letto da uomini e donne. Io peraltro vengo da un’esperienza come cronista, prima a Il Secolo XIX, poi come cronista politica per sedici anni al Corriere della Sera i cui lettori erano prevalentemente uomini. Non ho mai pensato che A fosse un femminile, ma è un mix che si rivolge a tutti parlando dei temi che maggiormente possono interessare in questo momento: la politica, la crisi economica, il modo di vivere serenamente viaggiando, vestendosi in modo appagante, sognando un po’ con servizi di moda bellissimi. Inoltre oggi gli uomini si interessano moltissimo alle pagine della bellezza, mentre le nostre lettrici, come confermato dalle ricerche di mercato, sono appassionatissime di politica. Sul mio blog i dibattiti sono
prevalentemente legati a quest’ultimo tema». Secondo la sua esperienza, ci sono notizie fatte per una determinata rivista o, al contrario, la notizia può essere spiegata e fatta capire a tutti? «In A andiamo sull’onda dell’attualità. Non c’è niente che conti veramente in un dato momento che non ci interessi. L’apertura di qualche settimana fa, per esempio, era dedicata alla nascita del Pdl, ma vista con gli occhi di uno scrittore appartato come può essere Sebastiano Vassalli». Nella storia della stampa italiana ci sono stati vari momenti di rottura che hanno rispecchiato le fasi della storia del nostro Paese. Oggi secondo lei che fase stiamo vivendo? «Di totale rinnovamento. Nemmeno noi stessi ci rendiamo conto di quello che cambierà nel giro di pochissimi anni». La stampa italiana sta vivendo
LA VOCE
MARIA LATELLA Nata a Reggio Calabria, ha iniziato la sua carriera giornalistica come cronista de Il Secolo XIX di Genova, per sedici anni è stata inviata politica del Corriere della Sera. Grazie a queste esperienze, è diventata esperta dei meccanismi della politica italiana. Di recente ha scritto un libro in cui analizza i sei mesi della prima discesa in campo di Silvio Berlusconi
un momento di crisi di contenuti e di lettura, e forse di credibilità. Quali sono secondo lei le maggiori cause che hanno determinato questa situazione? «Penso che la crisi della stampa non esista là dove ai lettori si parla con il loro linguaggio e di argomenti che a loro interessano. Certo, se si fa un giornale per se stessi o per il proprio circuito di amici è possibile che in tal caso si vada in crisi. Un giornale è economicamente sano se sa rivolgersi efficacemente a coloro che si vorrebbero avere come lettori. Quello che oggi occorre in tutti i settori, non solo nel giornalismo, è lavorare di più, magari faticando anche». In questi giorni è nelle librerie Come si conquista un Paese, sull’avvento in politica di Silvio Berlusconi. Cosa l’affascina della famiglia Berlusconi? «Affascinare non è il termine più appropriato. In realtà la giornali-
sta e la cronista sono interessate a un fenomeno che, come spiego nel libro, è abbastanza particolare. Mi incuriosiva analizzare il fatto che 15 anni fa una novità fosse arrivata nel mondo della politica spodestando il preesistente. È come se un prodotto nuovo arrivasse nel mercato e spodestasse la Pepsi Cola e la Coca Cola. Noi, 15 anni fa, abbiamo assistito a un caso del genere. E oggi cerco di fare un’analisi con la memoria di allora, tentando soprattutto di capire perché al tempo non ce ne fossimo accorti». Cosa hanno significato quei primi sei mesi della discesa in campo del Cavaliere? «Nei primi sei mesi è successo tutto. Purtroppo noi giornalisti non abbiamo certo la sfera di cristallo, io poi ero una giornalista veramente giovane e inesperta. Penso, tuttavia, che se avessimo analizzato quello che stava accadendo, forse avremmo capito me-
glio cosa sarebbe stata l’Italia 15 anni dopo. Oggi è importante analizzarlo perché ci aiuta a capire». Parlando invece della sua vicenda personale, lei è di origini calabresi. Se pensa alla Calabria e al giornalismo cosa le viene in mente? «Mi vengono in mente quei giornalisti coraggiosi che lottano contro la ‘ndrangheta e ai quali va tutto il mio rispetto e il mio sentimento di solidarietà. La salvezza di quella regione sta nella possibilità di non finire come la Colombia, ma non ne sono certa che ci riesca». Come si alimenta la passione del giornalismo affinché duri nel tempo? «Con la curiosità». Ha ancora un sogno nel cassetto? «Sì, ma non lo dico perché i sogni non si raccontano ma, appunto, si sognano». CAMPANIA 2009 | DOSSIER
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IL CASO Alfredo Romeo
MIRACOLO PROFANO ALL’OMBRA DEL VESUVIO Il “re degli appalti” a sorpresa assume nella sua azienda sana. Intanto le inchieste su di lui frenano. Un quadro accusatorio che perde pezzi tra giudizi del Riesame e Cassazione MARA COSTANTINO
arlare di occupazione a Napoli sembrerebbe un miracolo e in tal senso un segnale positivo giunge proprio dalla città partenopea che conferma ancora una volta la sua genialità pur nelle contraddizioni del caso. Si tratta di nuove assunzioni previste per il gruppo Romeo risultato sano nonostante l’amministrazione giudiziaria. Il gruppo è infatti noto ai più per essere stato sbattuto sulle prime pagine dei giornali per le vicende giudiziarie del suo patron, finito in carcere per l’inchiesta sugli appalti relativi alla gestione del patrimonio immobiliare pubblico e la manutenzione delle strade. A traghettare le aziende, durante la tempesta giudiziaria, tre amministratori nominati dai giudici, che si sono trovati di fronte ad una realtà produttiva “ben organizzata e strutturata” con i conti in regola: 160 milioni di fatturato e 25 di utili per aziende che si occupano di servizi e della valorizzazione di immobili. Riscontri positivi questi che emergono in modo chiaro dalla bozza di bilancio 2008 di prossima approvazione e dal bilancio preventivo 2009: si evidenziano risultati con la tendenza degli ultimi cinque anni e in continuo aumento. Palesemente in controtendenza con l’attuale situazione economica e
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occupazionale, le aziende di Romeo assumono: attualmente contano 356 dipendenti di questi 136 sono stati assunti negli ultimi 12 mesi. Con una percentuale di laureati pari al 78% e un’età media di 34 anni, annovera tra le fila un numero di donne pari al 30%. Le nuove assunzioni si concentrano nel ramo di ospitalità in sviluppo: la Romeo Alberghi vedrà un raddoppio dei dipendenti entro fine anno. Senza considerare poi le altre selezioni di risorse umane che seguiranno alle nuove convenzioni come quelle con Consip sanità. La Consip non sospenderà gli appalti anzi continuerà l’attività con Romeo Gestioni sulle gare aggiudicate salvo interventi delle autorità giudiziarie. Global service, i servizi di manutenzione immobiliare, al vertice dei risparmi dalle pubbliche amministrazioni nel 2005. A proposito di convenzioni, non mancano le rassicurazioni dell’amministratore delegato della Consip, Danilo Broggi che anticipa che «non sospenderà gli appalti anzi continuerà l’attività con Romeo Gestioni sulle gare che sono state aggiudicate salvo interventi delle autorità giudiziarie». La Consip stessa «non ha avuto problemi» con gli appalti affidati a questa impresa e «non è coinvolta in al-
cun modo» nelle indagini del giudice di Napoli sulle presunte irregolarità degli appalti in quanto le gare cui ha partecipato la Romeo Gestioni «sono stati regolari». «Estremamente positivi» gli standard qualitativi degli appalti affidati a Romeo secondo il monitoraggio compiuto dalla Consip. Nell’ambito del processo di modernizzazione della pubblica amministrazione e del Paese, l’attività del ministero dell’Economia e delle Finanze, attraverso la Consip, gestisce l’informatizzazione dei processi amministrativi, conoscitivi e decisionali del ministero e la razionalizzazione degli acquisti della pubblica amministrazione per mezzo di tecnologie informatiche. Il programma di razionalizzazione degli acquisti per beni e servizi della Pa ha lo scopo quindi di semplificare notevolmente le procedure di acquisto, operando una mediazione tra la domanda della Pa che nella realtà economica italiana costituisce una significativa quota del mercato nazionale, e l’offerta delle imprese che nel nostro sistema economico è costituita per la maggior parte da un tessuto produttivo di operatori di medio e piccole nel rispetto dei principi di competitività e di trasparenza. E giustappunto dalla Relazione sui risultati della razio-
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ALFREDO ROMEO Avvocato campano, è fondatore amministratore del Gruppo Romeo
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IL CASO Alfredo Romeo
nalizzazione della spesa per beni e servizi del ministero dell’Economia del 2005 emerge un dato: Global service, cioè i servizi di manutenzione immobiliare, si posizionano al vertice dei risparmi dalle pubbliche amminiDOSSIER | CAMPANIA 2009
strazioni nel 2005. La Pa ha speso nel 2005 per beni e servizi 15,8 miliardi di euro, 4,1 pari al 20,06% in meno rispetto alle previsioni basate sul costo pieno. Ebbene il 76% di questo risparmio pari a 3,1 miliardi è derivato dai
contratti di Global Service, per i contratti di telefonia fissa e acquisti di buoni pasto per i dipendenti pubblici. In particolare sulle spese di gestione e manutenzione degli uffici, la Consip indica una riduzione media del 16% a cui si deve aggiungere un risparmio di almeno di 4% per minori costi amministrativi legati ai servizi, gestione di contratti, spese per gare, spese per commissioni, gestione delle fatture dei pagamenti. Romeo Gestioni ha calcolato un risparmio sui contratti di Global Service superiore al 16% medio dichiarato da Consip: si potrebbe superare anche il 20% (Fonte Real Estate). Un toccasana in tempi di finanza pubblica da brivido se non fosse che dall’inchiesta della procura di Napoli, salta fuori proprio una delibera, mai approvata (per mancanza di fondi) denominata Global service, relativa al rifacimento delle disastrate strade della città di Rosetta Iervolino e Antonio Bassolino. A rimanere coinvolto l’ex potente imprenditore, che gestiva il patrimonio immobiliare di Napoli, con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e alla turbativa d’asta. In sostanza Romeo avrebbe condizionato l’assegnazione degli appalti a favore delle sue società. A distanza di mesi, si profilerebbe un quadro accusatorio che perde pezzi tra i giudizi del riesame e cassazione. Un esempio, la suprema corte qualche mese fa ha escluso il reato di turbativa d’asta per il capo d’imputazione che coinvolge Mario Mautone: i giudici hanno annullato l’accusa perché non ci possono essere accordi criminosi su un’asta per la quale mai è stato pubblicato il bando. Traballa anche l’accusa di turbativa d’asta per l’affidamento della manutenzione degli impianti termici, esclusa prima dal gip e poi dal riesame. L’altro filone è quello della corruzione ma sembra mancare la prova decisiva: la classica
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tangente. L’unico passaggio di denaro sembrerebbe quello di 18mila euro dalla società di Romeo al conto corrente della fondazione, “A voce de’ criature” del parroco anticamorra don luigi Merola. Fondi per associazioni religiose dedite a iniziative nel campo sociale, contributi a comitati elettorali che fanno riferimento a esponenti del Pd, finanziamenti per cene di partito e per fondazioni politiche, tutto documentato in una lista spuntata, mentre si celebrava una nuova udienza del processo a carico dell’imprenditore Alfredo Romeo. A trasmetterla al gup Enrico Campoli e alla Procura sono stati gli amministratori giudiziari delle società dell’imputato, sequestrate precisamente il 17 dicembre dello scorso anno quando esplose lo scandalo al comune di Napoli con diciassette arrestati, tra cui quattro assessori. Si tratta di finanziamenti relativi al biennio 2007-2008 ed erogati da quattro società che fanno capo all’imprenditore napoletano (Romeo Gestioni, Isvafim SDpa, Romeo Partecipazioni Srl, Romeo Alberghi Srl): erogazioni per centinaia di migliaia di euro, tutte nel rispetto delle normative, che sono state fatte da società di Romeo, attualmente sotto processo nel procedimento sugli appalti a Napoli. Dalla relazione degli amministratori giudiziari contiene, tra l’altro, due finanziamenti di 60mila e 50mila euro, erogati dalla Romeo Alberghi al Comitato per Rutelli. Denari anche per il Comitato che sosteneva il candidato alla presidenza della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti: 110mila euro dalla Isvafim. Altri 90mila euro sono finiti dalla Romeo Partecipazioni alla associazione Liberinsieme, indicata dagli amministratori giudiziari “espressione del Pd”. Molto inferiore invece il finanziamento per una cena che si tenne al Palazzo dei Congressi dell’Eur, organiz-
LE NUOVE ASSUNZIONI SI CONCENTRANO NEL RAMO DI OSPITALITÀ IN SVILUPPO: LA ROMEO ALBERGHI VEDRÀ UN RADDOPPIO DEI DIPENDENTI ENTRO FINE ANNO
zata dal comitato provvisorio del Pd: cinquemila euro. Mentre una sommessa la incassò la Fondazione di Iniziativa Mezzogiorno Europa Onlus: 25mila euro. La Fondazione è presieduta da Andrea Geremicca, una delle menti più lucide dell’ex Pci, ex parlamentare ed ex potente assessore all’Edilizia pubblica e privata, ai tempi della prima giunta rossa al Comune di Napoli, con sindaco Maurizio Valenzi. Soldi anche alla Fondazione Sant’Egidio (85mila euro). E a Nomisma? La società studi, che fa capo all’ex premier Romano Prodi, avrebbe ricevuto quindicimila euro, versati in due tran-
che da 7.500 cadauna. L’attività del gruppo Romeo si è distinta poi per i rapporti con le pubbliche amministrazioni dai riscontri positivi. Uno su tutti, una lettera di ringraziamenti da parte del ministero dell’Economia e Finanze inviata agli amministratori giudiziari per le attività di servizio svolte durante il G7-G8 Finance Ministers Meetings 2009 tenutosi a Roma il 13-14 febbraio scorsi. L’eccellente attività per la qualità, la professionalità, l’abnegazione dimostrata nello svolgimento delle proprie funzioni, sottolinea il direttore generale per l’impegno del gruppo Romeo. CAMPANIA 2009 | DOSSIER
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QUANDO A SBAGLIARE È LA SANITÀ PUBBLICA L’errore medico? Purtroppo esiste. Ma il cittadino deve sapere che è possibile chiedere, e ottenere, il risarcimento del danno. Come spiega l’avvocato Pietro Frisani, legal manager della Gestione Crediti Pubblici PAOLO TOSONI
olto spesso il cittadino è ignaro del fatto che di fronte ad un torto subito da una amministrazione pubblica, sia esso un Comune piuttosto che un’azienda sanitaria, sia possibile richiedere e ottenere un risarcimento del danno. Ma è importante sapere che anche di fronte allo Stato i diritti del cittadino possono e devono essere garantiti nella loro pienezza». A parlare è l’avvocato Pietro Frisani, docente di istituzioni di diritto pubblico all’Università di Firenze e legal manager della società Gestione Crediti Pubblici, che da diversi anni si occupa
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di recupero crediti esclusivamente nei confronti della Pubblica amministrazione. Negli ultimi anni la società si è specializzata proprio nell’assistenza e nella consulenza in caso di danno da errore sanitario. «L’idea di creare la società – racconta l’avvocato – nasce dall’amara constatazione del fatto che la Pubblica amministrazione è il soggetto più insolvente della nazione. Rimborsi di tributi, corrispettivi per appalti di opere pubbliche, corrispettivi di forniture, indennità di esproprio, persino i gratta e vinci! Lo Stato è campione nel non pagare quanto dovuto o, nella migliore delle ipotesi, nel pa-
gare con un ritardo che può variare dai 24 mesi per le forniture ai sette o dieci anni dei rimborsi dei crediti di imposta». Partendo dal motto che “la legge è uguale per tutti: anche per la Pubblica amministrazione”, la GCP dopo aver prestato il suo massimo contributo riducendo a circa sei mesi i tempi di recupero per crediti di forniture e imposte a favore di cittadini e imprese, riuscendo a recuperare oltre 100 milioni di €, ha proseguito la propria mission nel campo delle azioni di risarcimento del danno per malpractice, dove attualmente sta ottenendo le maggiori gratificazioni.
FACCIAMO IL PUNTO
AL FIANCO DEL CITTADINO Dall’eccessiva durata dei processi, all’errore medico sanitario. Ecco i campi dove opera la Gestione Crediti Pubblici Gestione Crediti Pubblici Srl è l’unica società, operativa da diversi anni su tutto il territorio nazionale, che si occupa di gestire crediti ai fini del loro recupero, esclusivamente nei confronti della Pa. Fondata a Firenze, grazie alla competenza acquisita nel tempo e a uno staff di professionisti specializzati, è diventata la società di riferimento per il cittadino nella gestione dei crediti pubblici contro Ministeri, Regioni, Comuni, Province e Aziende Sanitarie. I settori di intervento spaziano dal risarcimento danni per eccessiva durata dei processi, o per responsabilità medico-sanitarie, fino all’indennità per espropriazioni e al recupero crediti per appalti e forniture. Garantendo la massima serietà professionale, la società non chiede alcuna somma a titolo di anticipo, fondo spese o altro, e prevede a titolo di corrispettivo per l’attività svolta il pagamento di una percentuale in base all’importo recuperato e solo quando tali somme sono state effettivamente incassate dal cliente. L’avvocato Pietro Frisani (nella foto) è legal manager della società. www.gestionecreditipubblici.com
«Per quale motivo lo Stato, notificando una cartella esattoriale “pazza” con tanto di fermo amministrativo del veicolo – commenta veementemente l’avvocato –, non deve rispondere delle conseguenze negative che la propria condotta maldestra ha provocato al cittadino? E allo stesso modo, perché in caso di errore del medico di una struttura sanitaria, non deve essere possibile ottenere il risarcimento del danno subito a causa della negligenza degli operatori?». Proprio con riferimento agli errori medici delle strutture sanitarie pubbliche, lo staff di GCP ha consolidato il proprio obiettivo di garantire al cittadino la massima tutela contro i casi di malpractice, non solo con riferimento agli errori medici, ma anche soprattutto a tutte quelle disavventure subite dai pazienti, che non sono veri e propri errori medici, ma che causano ugualmente gravi danni. Un contratto infranto Il principio stesso di tutela dei diritti del cittadino, d’altronde, si basa proprio sulla natura del rapporto tra paziente e struttura ospedaliera. «A seguito della richiesta di ricovero o, più in generale, della prestazione medica, – spiega l’av-
vocato Frisani – si istituisce tra paziente e struttura ospedaliera un rapporto giuridico di natura contrattuale». Una vera e propria obbligazione, insomma, che comprende, oltre alla principale prestazione di cure mediche, anche una serie di altri servizi che la struttura è tenuta a fornire al malato: alloggio, ristorazione, sicurezza degli impianti e dei locali in cui si svolgono le attività sanitarie, organizzazione dei turni del personale medico, paramedico e infermieristico, realizzazione di programmi per il buon funzionamento delle attrezzature elettromedicali. «I servizi erogati da un’azienda ospedaliera – continua Pietro Frisani – sono molto più ampi e complessi rispetto a quelli resi dal singolo medico, tenendo conto anche della forma “organizzata” attraverso cui sono gestiti. Ecco perché se tale efficienza organizzativa viene a mancare, indipendentemente da una colpa del singolo medico, la struttura deve essere ritenuta responsabile, con conseguente obbligo per l’azienda ospedaliera di rispondere di tutti i danni causati al paziente». In questo modo, viene riconosciuta una responsabilità autonoma della struttura per viola-
zione di doveri suoi propri, a prescindere dall’individuazione delle responsabilità del singolo medico e infermiere. Molto spesso, invece, quello che si cerca di fare in caso di errore, è individuare, mediante il ricorso ad un procedimento penale, la responsabilità del singolo soggetto. «L’azione penale, però – chiarisce l’avvocato Frisani –, spesso non porta alcun frutto pratico, poiché resta difficile individuare con precisione la responsabilità del singolo operatore. Quindi, pur essendosi verificato il danno, spesso si giunge ad una pronuncia di assoluzione. Altrettanto spesso poi i tempi lunghissimi dell’azione penale determinano la dichiarazione di prescrizione del reato con l’impossibilità del danneggiato di ottenere il risarcimento». Nuove strategie A partire da queste considerazioni, pertanto, e sfruttando quindi la natura contrattuale del rapporto tra ospedale e paziente, la società GCP non agisce in sede penale, ma direttamente in sede civile limitandosi a dimostrare il danno subito dal cliente senza la necessità di individuare le responsabilità del singolo operatore, dal momento che è l’azienda ospedaliera che ne risponde in termini di responsabilità risarcitoria. In questo modo, si ottiene il massimo del risultato senza incorrere nelle conseguenze tipiche dell’azione penale, ovvero l’assoluzione e/o la prescrizione del reato. Esemplificativo in questo senso è il tipico caso, purtroppo sempre più ricorrente, dell’infezione da stafilococco aureo contratta dal paziente durante l’intervento chirurgico in conseguenza della non corretta sterilizzazione delle sale operatorie. «È ben chiaro in questa ipotesi – spiega l’avvocato – la particolare difficoltà in cui si verrebbe a trovare la polizia giudiziaria nell’individuare la responsabilità specifica di un singolo soggetto nell’aver causato l’evento lesivo. La natura contrattuale della responsabilità dell’azienda consente invece di ottenere in tempi anche brevi il risarcimento sul solo presupposto del verificarsi dell’evento lesivo». CAMPANIA 2009 | DOSSIER
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CON LA CULTURA DEL FARE CAVALCHEREMO LA CRISI Misure efficaci a sostegno di imprese e famiglie. E un sistema bancario sano, non contaminato da titoli tossici. L’economia italiana può contare su questo per affrontare le difficoltà. Come conferma Claudio Scajola, ministro allo Sviluppo Economico LARA MARIANI
CLAUDIO SCAJOLA Ministro allo Sviluppo economico
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FARE INDUSTRIA
e difficoltà ci sono. Inutile negarlo. Ma non si tratta dell’Apocalisse. Soprattutto nel nostro Paese. «In questa situazione critica è necessario non perdere la consapevolezza che l’Italia ha fondamenti economici sani – conferma Claudio Scajola, ministro per lo Sviluppo Economico – banche più solide e meno contaminate dai titoli tossici e soprattutto imprese che si sono ristrutturate, famiglie patrimonializzate e con meno debiti rispetto ad altri Paesi. E ha anche un governo stabile, che ha adottato tutte le misure necessarie». Ministro, oggi l’economia italiana soffre di carenza di produttività. Qual è la strada per far sì che il nostro Paese riporti in alto i suoi standard? «La carenza di produttività del nostro Paese risale ad almeno dieci anni fa e deriva da una serie di problemi strutturali che stiamo affrontando per far sì che l’Italia esca dalla crisi in condizioni migliori di come ci è entrata. Stiamo intervenendo sulla politica energetica,
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per ridurre strutturalmente il costo dell’energia per le imprese e le famiglie, anche con il ritorno al nucleare. Abbiamo varato un forte piano di investimenti in opere pubbliche per migliorare le infrastrutture e stiamo riformando in profondità la pubblica amministrazione che ha sempre pesato sui conti delle imprese. Sempre nell’ottica di favorire e incentivare la produttività abbiamo favorito la riforma della contrattazione per avere un mercato del lavoro più flessibile ed efficiente». La cassa integrazione ordinaria nell’industria italiana è in pericoloso aumento: crede sia un periodo negativo destinato a durare nel tempo? «La cassa integrazione è un ammortizzatore sociale e serve per garantire un reddito al lavoratore che resta dipendente dell’impresa. Il nostro obiettivo è proprio quello di tener legati i lavoratori alle imprese, di salvaguardare la struttura produttiva, in modo che quando questa crisi finirà, la produzione possa riprendere regolarmente. Per questo abbiamo aumentato a ben nove
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FARE INDUSTRIA Claudio Scajola
PENSARE IN PICCOLO PER TORNARE GRANDI
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Rappresentano il 95% del sistema produttivo e contribuiscono per il 70% alla formazione del Pil e all’81% dell’occupazione. Sono le piccole e medie imprese italiane che di recente Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, ha definito “la risorsa più importante del Paese”. Secondo gli ultimi dati pubblicati da Confcommercio, le piccole e medie imprese italiane sono 4.335.448 su un totale di 4.338.766 aziende. Fra le Pmi, ben il 95% ha meno di 10 dipendenti, mentre solo il 4,5% del totale impiega da 10 a 49 addetti. Le aziende più grandi, invece, con un numero di dipendenti che va da 50 a 249 sono appena lo 0.5% delle Pmi italiane. Tre piccole e medie imprese su quattro, soprattutto quelle con meno di 10 addetti, si concentrano nel terziario e in particolare nei settori immobiliare, informatico, della ricerca, delle attività professionali e del commercio al dettaglio. Oggi questa ricchezza è messa a dura prova dalla congiuntura economica negativa. Nel corso del 2008, infatti, nel solo settore del commercio hanno chiuso 120mila imprese e, per la prima volta dopo molti anni si è registrato un saldo negativo di 40mila imprese. Compito delle istituzioni diviene, dunque, quello di sostenere attivamente le Pmi italiane che hanno visto nel quarto trimestre del 2008 una caduta annua di produzione pari al 7,6% e di ordinativi del 7,3% (contro il -4,9% e il -7% delle grandi imprese). Il tessuto produttivo italiano sta dunque giocando una partita difficile e per vincerla, la soluzione potrebbe essere importante maturare una consapevolezza già raggiunta a livello europeo con lo Small Business Act, una strategia di valorizzazione dell’impresa il cui principio è “think small first”. Un pensare in piccolo che è il riconoscimento della necessità di politiche dedicate alle Pmi come condizione necessaria per la loro crescita.
miliardi il fondo occupazione e abbiamo esteso la cassa integrazione anche alle categorie di imprese e ai lavoratori che ne erano privi, compresi i precari. Spero che la cassa integrazione possa ridursi, come è accaduto alla Fiat dopo l’avvio degli incentivi all’acquisto di auto ecologiche. Ma c’è da sperare soprattutto che la cassa integrazione non si trasformi in licenziamenti». Su quali punti di forza deve scommettere il nostro sistema produttivo in questo momento? «Il nostro sistema produttivo deve continuare a puntare sulla qualità del made in Italy, sull’internazionalizzazione delle imprese, sull’innovazione. Il governo sta facendo la sua parte: abbiamo varato un tavolo e alcuni primi interventi per preservare il patrimonio delle imprese della moda e del made in Italy. Stiamo accompagnando le nostre imprese sui mercati in crescita». L’inflazione cala, ma aumenta il numero di stipendi a rischio. Come si può ridare ossigeno ai consumi? «In Italia ci sono quasi 18 milioni di lavoratori dipendenti a reddito fisso che, con il calo dell’inflazione, del petrolio e delle altre materie prime e dei tassi sui mutui, avranno quest’anno un potere d’acquisto superiore a quello di sei mesi o un anno fa, quando il petrolio era a 150 dollari al barile e i tassi sui mutui erano saliti alle stelle. Secondo le stime di Bankitalia, nel 2007 le famiglie avevano un patrimonio finanziario e immobiliare di ben 8000 miliardi di euro, mentre lo Stato attualmente ha un debito di 1.700 miliardi. Le famiglie che possiedono un reddito certo e dei risparmi non hanno dunque nessun motivo per ridurre il proprio tenore di DOSSIER | CAMPANIA 2009
vita e rinviare gli acquisti. Per le famiglie più disagiate e numerose, il governo ha istituito come iniziative di sussidio la carta acquisti, il bonus fiscale, i bonus per il gas e la luce». Come è possibile garantire ammortizzatori sociali e sostegno alle imprese senza aumentare il debito pubblico? «Una parte della cassa integrazione è finanziata dalle imprese. Quella aggiuntiva deriva da accelerazioni e rimodulazioni di fondi già previsti, a partire dai fondi europei per la formazione professionale. Gli incentivi all’acquisto di auto, moto, elettrodomestici e mobili dovrebbero in larga parte autofinanziarsi con l’aumento dell’Iva e delle tasse di immatricolazione sui nuovi acquisti». In seguito al terremoto finanziario verificatosi si è parlato di un ritorno all’etica dell’economia e a una finanza che sostenga la produttività senza essere autoreferenziale, mirata solo al profitto. Si tratta di una svolta culturale. A suo parere è già cominciata? «Educare, soprattutto i giovani, ai principi dell’etica, della responsabilità e del merito, è alla base della ricostruzione economica, della convivenza civile e delle strategie di sviluppo del Paese. Non dobbiamo dimenticare che questa crisi è nata anche da un eccesso di finanza irresponsabile, da una carenza di regole e controlli. Ci sono “beni”, come la legalità, la lealtà, la trasparenza, il rispetto delle regole, della gerarchia e dell’autorità, oltre al dovere della solidarietà, che devono stare alla base anche dell’attività economica».
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REAGIRE PER UN SUD PIÙ COMPETITIVO Frammentazione e lentezza affliggono da anni il Meridione. È giunto il momento di reagire, investendo in infrastrutture ed efficienza. La parola a Cristiana Coppola, vicepresidente di Confindustria per il Mezzogiorno
© Armando Dadi / AGF
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Il Meridione soffre di divari storici nelle infrastrutture di trasporto e nei servizi ai cittadini e alle imprese e di condizionamenti pesanti nell’esercizio dell’attività d’impresa derivanti dal funzionamento della pubblica amministrazione e dalla presenza oppressiva della criminalità organizzata». Non usa mezzi termini Cristiana Coppola, giovane e combattiva vicepresidente di Confindustria per il Mezzogiorno. A suo avviso, per arrivare a un rilancio del Sud Italia occorre «ripartire dai fondamentali» perché una ripresa economica e produttiva del Meridione non può che passare dalla normalizzazione delle storiche anomalie che ne hanno impedito lo sviluppo. Lei ha parlato di frammentarietà e lentezza sulla programmazione 2007-13 nel portare avanti i progetti infrastrutturali per il Mezzogiorno. Quali sono le cause? «Purtroppo frammentazione e lentezza realizzativa sono i due principali problemi della programmazione italiana dei fondi strutturali oltre a essere due questioni profondamente legate. Da un lato, infatti, il problema riguarda l’incapacità di scelta sulla base di criteri di strategicità, e la ricerca del consenso, che spinge a distribuire poco a tutti. Poi c’è un problema di efficienza amministrativa. Frammentazione e lentezza sono due facce della stessa medaglia e riflettono entrambe l’insufficiente funzionamento della macchina politico-amministrativa del Mezzogiorno». A livello di stanziamenti e di interesse per il Mezzogiorno cosa sta differenziando questo governo da quello che l’ha preceduto? «Purtroppo, quella di prelevare risorse dal Fondo Aree Sottoutilizzate, destinate al finanziamento degli investimenti nel Mezzogiorno e nelle altre aree in difficoltà, per finanziare azioni che nulla hanno a che fare con lo sviluppo, è una pratica già consolidata, e non si riscontrano differenze sostanziali fra la vecchia e la nuova maggioranza. C’è da dire che la situazione di crisi spinge a cercare affannosamente risorse per tamponare un fabbisogno crescente di interventi: ciò rende fondamentale utilizzare al meglio tutte le risorse disponibili. Da questo punto di vista, giudico molto positivamente l’Accordo recentemente intercorso fra governo e Regioni per l’uso sinergico di risorse nazionali e regionali del Fondo Sociale Europeo per il finanziamento degli ammortizzatori sociali per i lavoratori che non possiedono questo tipo di tutela. Mi sembra una prassi di buon senso che bisognerebbe estendere anche ad altre situazioni». L’ultimo rapporto di Bankitalia ha confermato come le imprese del Sud paghino tassi d’interesse mediamente più alti rispetto alle aziende del Nord. Perché questa situazione si sta verificando? «Purtroppo, le stesse carenze che riscontriamo nel funzio-
CRISTIANA COPPOLA Ex presidente dell’Associazione Industriali Campania, è vicepresidente di Confindustria per il Mezzogiorno
namento della pubblica amministrazione, nel peso fiscale, nella dotazione infrastrutturale, in sicurezza degli investimenti e qualità dei servizi sono quelle che tendono ad ampliare nelle regioni meridionali il grado di rischio. Questi fattori, infatti, rendono più rischioso e meno redditizio l’investimento imprenditoriale, assieme a malfunzionamenti storici come, ad esempio, i tempi delle procedure di recupero crediti. Allo stesso modo, sono sempre queste le condizioni per arrivare alla diffusione di forme di finanza innovativa come i venture capital, al consolidamento di condizioni più sostenibili di indebitamento, passando dal credito a breve a quello a medio-lungo termine e, anche attraverso i consorzi fidi e l’utilizzo del fondo di garanzia, al rafforzamento patrimoniale. Strade indispensabili per far scendere il costo del denaro». Alcune regioni europee con Pil inferiori a quello del Sud Italia sono riuscite a crescere grazie all'afflusso di investimenti stranieri. Ritiene che questa ricetta possa essere indicata anche per il Mezzogiorno? «Certamente gli investimenti diretti dall’estero sono una componente importante per assicurare lo sviluppo dei territori, anche di quelli meridionali. Purtroppo qui da noi sta avvenendo un processo inverso: come mostrato dal Check up Mezzogiorno, l’attrattività del nostro Paese misurata dal numero di imprese di tutti i settori partecipate da operatori esteri è in declino negli ultimi anni. All’interno di questo contesto, il Mezzogiorno continua a essere fanalino di coda, con appena 318 imprese partecipate dall’estero nel 2006, pari al 4,5% del totale delle imprese partecipate italiane. Dobbiamo dirci la verità: in una gara per l’attrattività che diviene sempre più agguerrita, il Mezzogiorno non è sufficientemente competitivo. Fino a quando non avremo affrontato con serietà gli storici divari esistenti, saranno ben poche le aree del Sud realmente attrattive».
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UN PIANO MIRATO PER RILANCIARE LA REGIONE L’industria campana è con i conti in rosso. I dati dei rapporti di Unioncamere e sindacato mostrano tutti un segno negativo e il 2009 si avvia a essere una delle annate meno positive degli ultimi anni. Al momento non si vede luce per una ripresa della domanda così come degli investimenti, dell’occupazione e della produzione LUDOVICA CENTO
l ciclone della recessione, nella regione, registra la peggiore performance industriale del Mezzogiorno. I dati provengono da un rapporto Unioncamere e sindacati. Un vero e proprio bollettino di guerra in cui la crisi finanziaria si sovrappone a quella preesistente nel tessuto produttivo e industriale che era già in fase pre-recessiva. Il quadro che emerge per il 2009 è con certezza il peggiore degli ultimi 5 anni. I dati diffusi sul Pil per il prossimo anno, la crisi economica esplosa in maniera evidente con il fallimento di alcuni colossi del settore creditizio americano, le stime sulla ripresa del prodotto interno lordo che forse avverrà dal 2010 sono solo il contorno di una stagnazione della domanda che le imprese avvertono sulla loro stessa pelle.
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-2075 aziende nel bilancio natalità-mortalità Crisi e dimensione aziendale Gli imprenditori campani sono sicuri che la produzione scenderà ancora pur non allontanandosi in misura sostanziale dalla crescita zero. Si passa da una percezione di lievissimo aumento di +0,043 del 2008 al deciso -0,77 del 2009. Tra gennaio e marzo del 2009 in Italia il bilancio nati-mortalità delle aziende ha registrato un 30.706 unità, che in Campania si traduce in un -2075 aziende: è la caduta più evidente negli ultimi dieci anni. Napoli rappresenta la capofila in negativo
FARE INDUSTRIA
con la chiusura di 614 Pmi e un calo dello 0,23 per cento. In termini percentuali, il dato è superato da Benevento con -1,08 per cento e Avellino con -0,54, entrambe sopra la media nazionale. Nella regione, tra gli imprenditori più in difficoltà spiccano gli artigiani, le cui aziende calano di 900 unità con un -1,16 per cento. Il periodo critico non convince gli aspiranti imprenditori che preferiscono attendere tempi migliori per tentare la fortuna. La conseguenza è che il territorio perde più aziende di quelle che riesce a far nascere e quelle che restano tentano con ogni mezzo di riuscire a mantenersi sul mercato incassando i colpi della crisi. I dati della crisi in Campania sono i peggiori tra le regioni meridionali e per il Mezzogiorno complessivamente si allarga la forbice negativa nei confronti delle aree forti del Centro Nord e dell’Europa. È una situazione critica che miete vittime in ogni campo e mette in ginocchio piccole, medie e grandi imprese. L’allarme per il primo scorcio del 2009 arriva da uno studio effettuato dagli esperti di Movimprese, realizzato in collaborazione con Infocamere per Unioncamere. Il dossier si riferisce ai primi tre mesi del 2009 e i dati sono ovviamente circoscritti alla regione Campania. Oramai, la crisi economica ha reso incerto il futuro di molte aziende e ha reso impossibili i nuovi investimenti sia in termini di innovazione sia nel settore della crescita. Mancano le commesse, il persoCAMPANIA 2009 | DOSSIER
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FARE INDUSTRIA Rapporto economia
KATIA PETITTO Amministratore unico del Gruppo Petitto
L’ORA DELLA RIPRESA Una consistente esportazione e un’attività di ricerca e sviluppo di alto livello consentono al Gruppo Petitto di continuare a essere competitivi in un mercato in difficoltà
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Opera in cinque continenti, esportando l’85 per cento del fatturato. Il Gruppo Petitto, composto da 3 aziende è una importante realtà della provincia di Avellino. «Ci siamo concentrati moltissimo sul mercato internazionale, mi riferisco non tanto ai paesi dell’Europa, ma anche a Stati Uniti, Canada, Sud America, Australia e Africa», precisa Katia Petitto, amministratore unico. Il core aziendale è il filo continuo per saldatura con tecnologia prevalentemente italiana. Detiene la leadership sul mercato americano particolarmente esigente e rigido nelle norme relative alla qualità del prodotto. «Abbiamo sempre puntato su un prodotto di alta qualità, investendo in macchinari sofisticati per ridurre l’impatto ambientale. Produciamo per grosse multinazionali che hanno una totale fiducia nel nostro brand e questo ci ha premiato nel tempo e negli anni», prosegue. Il Gruppo Petitto opera nell’indotto metalmeccanico, uno dei settori più penalizzati da questa crisi economica. «La crisi c’è, è un dato oggettivo. Indubbio che c’è stato un calo di commesse di un 30/40 per cento. Nonostante il momento difficile, abbiamo investito molto in ricerca e innovazione, anche sfruttando alcune leggi sia a livello regionale che nazionale, come per esempio i fondi strutturale 2007-2013 che non devono essere assolutamente sprecati». Strategie che si possono mettere in campo per mantenere la leadership in un momento di crisi come questo. «È importante andare sempre in contro a quelle che sono le esigenze. Credo che quello che apprezzano in noi è che siamo un’azienda piuttosto snella, rappresentiamo proprio il prototipo della piccola e media azienda italiana a conduzione familiare. Cerchiamo sempre di avere delle economie di scala, un risparmio di costi e un prodotto di alta qualità e competitivo. Siamo molto sensibili alla ricerca, alle novità e quindi a un’evoluzione continua e costante».
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+14,4 % fatturato industria aerospaziale nel 2008
nale diventa in esubero e l’esposizione insopportabile. Un mix esplosivo che conduce all’estinzione e al fallimento. È un fenomeno che in Campania, e più in generale nel Mezzogiorno, si avverte con più intensità, tanto da prevedere che le procedure fallimentari e le chiusure dirette delle imprese vessate dalle difficoltà finanziarie aumenteranno ancora nella relazione che analizza i dati regionali da aprile a giugno. Il bilancio è aggravato dal trend negativo che sta investendo in particolare il comparto auto e il suo indotto. A fronte di un ulteriore calo delle vendite, compreso tra il 10 e il 20 per cento nel 2009 rispetto all’anno in corso dove si evidenzia un massiccio ricorso alla cassa integrazione, che colpisce in particolare gli stabilimenti campani. Mai come quest’anno, però, ai fattori più contingenti si associa la crisi internazionale che colpisce i mercati di tutto il mondo. Il dato degli investimenti è forse quello dove il pessimismo è minore, ma passa dal +0,1 del 2008 a una previsione di decrescita pari a -0,662, calo contenuto ma pur sempre evidente rispetto ai dati degli anni precedenti. Analizzando nel dettaglio le risposte degli imprenditori sugli aspetti congiunturali dell’economia locale, appena l’8 per cento di essi ipotizza un aumento della produzione contro ben il 23 per cento dell’anno passato. Scende nettamente anche la percentuale di chi vede una stabilità a vantaggio di chi vede per il 2009 un anno decisamente in calo. Controcorrente il mercato aerospaziale che regge finora al-
FARE INDUSTRIA STEFANIA BRANCACCIO Amministratore unico di Coelmo
INNOVAZIONE E RISORSE UMANE Continuare a investire sul futuro preservando il patrimonio di conoscenze. Per Stefania Brancaccio di Coelmo è l’unico modo per cogliere le opportunità che questa crisi offre
-0,777 % l’occupazione prevista nel 2009
l’urto della crisi. Sebbene scosso dalla crisi strutturale dell’intera economia mondiale, mantiene le premesse di sviluppo a medio e lungo termine e rappresenta ancora una formidabile occasione di sviluppo per l’economia regionale campana. I dati Istat sull’export d’aeromobili e velivoli aerospaziali pubblicati alcuni giorni fa hanno reso noto che nel Mezzogiorno e in Campania nell’ultimo trimestre 2008, quando la crisi iniziava a pesare nell’industria, si è registrata una crescita delle esportazioni verso l’estero del 14,4 per cento rispetto allo stesso periodo del 2007, raggiungendo un volume di 206,8 milioni di euro, l’83,4 per cento dell’intero fatturato delle imprese meridionali.
«IL PERIODO CRITICO NON CONVINCE GLI ASPIRANTI IMPRENDITORI CHE PREFERISCONO ATTENDERE TEMPI MIGLIORI PER TENTARE LA FORTUNA» L’occupazione Non vanno molto meglio i dati per quanto concerne l’occupazione che fanno un deciso retrofront passando dal lieve +0,09 del 2008 al deciso -0,777 del 2009. Mentre il livello complessivo della disoccupazione, sebbene in calo, si attesta all’11,2 per cento ed è il secondo maggior valore del Paese. L’analisi del livello di occupazione per settore fa registrare una notevole quota di addetti operanti in set-
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Il mercato della meccanica in Italia continua a dare segnali positivi sia sul fronte interno, sia su quello esterno, anche se alcune aree specifiche stanno mostrando flessioni dovute alla concorrenza dell’Estremo Oriente». A parlare è Stefania Brancaccio, amministratore unico di Coelmo. L’azienda è riuscita, grazie alla sua riorganizzazione e riqualificazione produttiva e una grande capacità di adattamento, a inserirsi con successo nella globalizzazione del nuovo mercato. «Abbiamo superato i limiti di essere una piccola impresa con un salto più culturale che dimensionale, mantenendo le virtù del dinamismo individuale ma sganciandolo dal particolarismo familiaristico diffuso tra i piccoli imprenditori. Se le piccole imprese si sono salvate e sono oggi protagoniste della rimonta dell’Italia sui mercati mondiali vuol dire che hanno saputo innovare. E la Coelmo ha saputo unire all’innovazione di prodotto e di processo anche l’innovazione nell’organizzazione aziendale, nel servizio al cliente nel marketing e nella comunicazione». Infatti in collaborazione con l’Università e i Centri di eccellenza abbiamo investito in ricerca e sviluppo di nuove tecnologie di produzione. Per uscire da questo momento di crisi Stefania Brancaccio non ha dubbi e intende puntare sui cinque fattori che hanno determinato il successo della sua azienda negli anni: innovazione, livello di servizio, competitività, internazionalizzazione e risorse umane. «Il nostro comparto sa di dovere fornire prodotti che assicurino sempre il miglior risultato, qualità e semplicità d’uso». E prosegue «Mi piacerebbe rispondere come Giuseppe Morandini, presidente Nazionale Piccola Industria Confindustria: “Vorrei camminare per strada con un cartello grosso come una casa con scritto: volete uscire dalla crisi? Prego seguire la piccola impresa”. In questo momento la politica, deve darci un segnale, deve vivere la realtà, conoscerla e convocare i “tavoli del fare” dedicati per la prima volta alla piccola impresa».
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ANTONIO COMITINO Presidente di Starpur
RICERCA E SVILUPPO Detrazione fiscale e investimento: un mix miracoloso per la crescita. Le strategie di Starpur per contrastare la crisi
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Ha portato il “made in Campania” nelle ville degli sceicchi del Medio Oriente. La Starpur nasce a Nocera Inferiore (SA) nel 1993, dall’esperienza maturata, nel campo degli infissi in alluminio. Oggi è leader nel settore degli infissi di lusso ed esporta in tutto il mondo. «L’innovazione è elemento cardine della strategia aziendale di Starpur. La continua attività di Ricerca & Sviluppo è finalizzata sia ad apportare elementi innovativi ai sistemi in catalogo, che a introdurre nuovi prodotti. Il perseguimento di tali obiettivi ha richiesto continui e cospicui investimenti coronati dal conseguimento di un’importante quota del mercato di riferimento», spiega Antonio Comitino, presidente della società. Il settore edile, in generale, è in forte crisi e il governo ha varato il decreto anticrisi che prevede incentivi statali per la ristrutturazione di immobili, in particolare per la sostituzione degli infissi con prodotti dotati di particolari caratteristiche. «La detrazione fiscale del 55 per cento rappresenta uno strumento determinante per incrementare i consumi. A conferma di ciò, abbiamo rilevato che il 70 per cento della domanda di serramenti è accompagnato dalla richiesta di certificazione per accedere ai benefici. Grazie alla strategia aziendale e agli incentivi messi in campo, stiamo raccogliendo riscontri positivi dai nostri clienti. Infatti, nel primo trimestre del 2009 abbiamo registrato un incremento del 20 per cento rispetto al fatturato del 2008», afferma Comitino. «La detrazione fiscale è un intervento molto importante per sostenere il settore, a condizione che le imprese coinvolte investano per produrre infissi in grado di garantire un elevato isolamento termico-acustico dell’abitazione, con conseguente risparmio energetico. Questo, però, non è sufficiente. Sarebbe necessario anche alleggerire il carico fiscale, in questo modo le risorse derivanti dal minor carico fiscale, possono essere destinate a investimenti nell’innovazione dei prodotti e dei processi aziendali».
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tori al di fuori dell’agricoltura e dell’industria, 70,6 per cento del totale. Per la prima volta, unica regione in Italia, il dato riguardante il tasso della popolazione attiva scende sotto la soglia del 50 per cento. Data la rilevanza della regione in ambito nazionale, il contributo dell’economia campana alla formazione del valore aggiunto del Paese è piuttosto significativo e pari al 6,23 per cento. Le prospettive Si delinea sempre di più un quadro economico regionale molto debole che ha nella riduzione del numero degli investitori e nell’accrescimento della sfiducia verso gli imprenditori locali le due caratteristiche emergenti. Situazione confermata dalle dichiarazioni di Paolo Galassi, presidente Confapi, la Confederazione della piccola e media industria privata che associa 60mila imprese, che afferma: «Purtroppo, le Pmi italiane non sono così convinte che la ripresa sia dietro l’angolo», rispondendo alla presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, secondo la quale, per quanto riguarda la crisi globale, il peggio è passato. «Più che di previsioni le Pmi italiane hanno bisogno di misure immediate, come il posticipo dell’acconto delle tasse di giugno, altrimenti a luglio più che di ripresa si dovrà parlare di declino perché se crollano le Pmi crolla l’intero sistema economico nazionale», aggiunge Galassi.
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SISTEMA MODA Annalisa Calabrese
SOSTENIAMO L’ELEGANZA DELL’ITALIAN STYLE La cravatta è un accessorio da uomini. Ma il tocco femminile aiuta. Nella scelta e nella gestione di un’azienda che le cravatte le produce. Annalisa Calabrese, a capo della partenopea Calabrese cravatte, racconta come è maturata la decisione di prendere il testimone offertole dal padre CONCETTA S. GAGGIANO
na passione nata da bambina, quando andando in azienda a trovare suo padre e suo nonno vedeva «quei lunghissimi metraggi di seta con colori bellissimi». Diventata poi con il tempo il lavoro della vita. Annalisa Calabrese è figlia d’arte, appartenente alla quarta generazione di una famiglia che dal 1924 di mestiere fa cravatte e le vende in tutto il mondo. Oggi è a capo dell’azienda di famiglia, ruolo che non è arrivato per abituale passaggio di consegne, ma grazie alla gavetta fatta in azienda fin dai tempi dell’università. «Sì, perché mio padre mi ha fatto partire da zero», racconta senza nascondere una punta d’orgoglio. Soprattutto per aver modernizzato un’azienda a gestione artigianale, «gestita proprio come un laboratorio di sartoria». Un percorso non privo di difficoltà per una donna imprenditrice che quotidianamente si addentra in territori maschili. Sì, perché la cravatta è «una questione da uomini», forse l’ultimo baluardo di quell’appartenenza al “sesso forte”, che per la giovane manager ancora resiste. «Se all’uomo gli togliamo pure la cravatta, cosa gli rimane? Alle signore invece consiglio i gioielli», afferma senza esitazione «sono più femminili».
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ANNALISA CALABRESE Napoletana doc, si occupa dell’azienda di famiglia. Nelle foto, alcuni modelli Calabrese
SISTEMA MODA
Quando è nata la sua decisione di seguire le orme paterne e quali innovazioni ha saputo portare nell’azienda di famiglia? «La curiosità c’era fin da bambina quando andavo in azienda a trovare mio padre e mio nonno e vedevo i nostri collaboratori che tagliavano lunghissime stoffe di seta con colori bellissimi, la cosa mi affascinava tantissimo non so il perché ma mi dava un senso di felicità. La decisione di entrare in
azienda, invece, è nata in concomitanza con l’università. Mentre la mattina andavo a seguire i corsi, il pomeriggio cercavo di fare pratica in azienda. Sì, perché mio padre mi ha sempre detto “per gestire una cosa devi saperla fare bene prima tu”. Forse proprio perché sono entrata appieno nel lavoro sono riuscita a modernizzare un’azienda legata ancora alle vecchie gestioni». Quali sono le capacità e le qua-
lità di un’imprenditrice donna ai vertici di un’impresa nata per realizzare accessori d’abbigliamento prettamente indirizzati agli uomini? «Più che di qualità parlerei di passione, perché oggi solo la passione per il tuo lavoro ti fa raggiungere un traguardo. Naturalmente il gusto femminile, mixato ai canoni dell’eleganza maschile, a mio avviso aiuta. Gli uomini sono un po’ troppo conservatori, e oserei CAMPANIA 2009 | DOSSIER
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SISTEMA MODA Annalisa Calabrese
dire pigri. Una volta stabilita la mise tendono a fare gli stessi abbinamenti per paura che magari un particolare in più li possa rendere troppo vistosi e non si sentono a loro agio. Allora ecco che il tocco femminile aiuta, cioè come piacerebbe a una donna vedere un uomo? Elegante, raffinato, ricercato nei particolari, ma che non ostenti, insomma un uomo che si distingua da un altro». Come sono cambiate le tecniche di produzione artigianale negli ultimi anni? «Le tecniche in realtà sono rimaste le stesse, la cravatta di oggi è identica a quella di 70 anni fa, forse addirittura perfezionata». In che modo state riuscendo a difendervi dai nuovi competitor? «Noi produciamo tutto in Italia e acquistiamo materiale tassativamente prodotto in Italia. La cravatta nasce come accessorio esclusivamente maschile». Ritiene che oggi la cravatta sia divenuta un simbolo di eleganza anche femminile? «Ritengo che la cravatta sia una cosa prettamente maschile, ha sempre identificato un uomo e tale deve essere. Se agli uomini
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«LA NOSTRA FILOSOFIA È QUELLA DI CREARE COLLEZIONI RICERCATE CHE POSSANO IDENTIFICARSI CON CHI CERCA QUALCOSA DI PARTICOLARE E RISPECCHIARE UNA PERSONA ELEGANTE CHE AMA I PARTICOLARI» gli togliamo pure la cravatta cosa rimane loro?». Lei crede nel binomio popolarità ed eleganza? «In realtà non credo che la popolarità sia simbolo di eleganza, basta guardare in televisione personaggi popolari che pur di adeguarsi alle tendenze risultano ridicoli e privi di eleganza. Piuttosto gli stili si adattano al contesto sociale nel quale viviamo, ma bisogna fare molta attenzione, talvolta un abbigliamento troppo trendy può risultare volgare. Ormai si vede sempre meno buon gusto in giro». Negli ultimi anni avete diversificato la vostra produzione
puntando su sciarpe, borse, borsette e accessori di pelletteria. Chi sono oggi i clienti del marchio Calabrese e quali valori ricercano nell’acquisto di un vostro prodotto? «La nostra filosofia è quella di creare collezioni ricercate che possano identificarsi con chi cerca qualcosa di particolare e rispecchiare una persona elegante che ama i particolari. È nata cosi la linea di accessori composta da sciarpe, pantofole da camera in cashmere e velluto, borsoni in cuoio tamponato abbinato al cotone canvas. Una linea che rappresenta, insieme all’intramontabile cravatta, l’eccellenza della lavorazione artigianale per clienti esigenti che cercano qualità e raffinatezza». Quanto è importante oggi il segmento femminile della vostra clientela? «In realtà si tratta di una parte marginale del nostro fatturato, considerato che i nostri prodotti sono quasi esclusivamente maschili, ma mi è giunta voce che le signore accompagnano sempre i loro mariti nelle boutique e forse dobbiamo ringraziare loro».
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PUNTIAMO SU MERITO E PROFESSIONALITÀ Il sistema contrattuale del mercato del lavoro tende a stridere sempre più con l’attuale realtà economica. Marina Calderone, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro, spiega in che modo uscirne LAURA PASOTTI
n Italia «il mercato del lavoro soffre di un’eccessiva rigidità soprattutto in termini di costi dei salari». Queste le parole del presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro Marina Calderone, che prosegue: «Tutto ciò fa perdere competitività al sistema produttivo, perché introduce un evidente paradosso che conferma che investire in Italia non è assolutamente conveniente: per l’imprenditore il costo del lavoro è insostenibile rispetto alla concorrenza straniera, e per il lavoratore il salario non è sufficiente a garantire un’esistenza libera e dignitosa». Poche parole, che però centrano perfettamente il bersaglio: senza un intervento in materia il mercato del lavoro tenderà a rivolgersi sempre
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più verso l’estero. Nel nostro Paese è in corso una discussione molto accesa sulla riforma dei contratti. Crede che sia un buon momento, vista la crisi economica che affligge il Paese? «L’attuale sistema contrattuale non regge più alla realtà economica e si rivela particolarmente inadeguato proprio in questi momenti di crisi. La proposta di riforma della contrattazione, attualmente sul tavolo delle parti sociali, prevede un ridimensionamento del livello centrale privilegiando una valorizzazione del livello territoriale. Si parte dall’assunto che il Contratto Collettivo Nazionale non assolve più al suo compito di salvaguardare il potere di acquisto dei salari, e che anzi rappresenta un freno alla li-
bertà delle imprese di procedere a riconoscimenti retributivi legati all’incremento della produttività. Per questo viene proposto di spostare la tematica sul secondo livello di contrattazione, dove è più logico e naturale trovare le condizioni per avvicinare la remunerazione di una quota del salario all’effettivo andamento economico-produttivo dell’azienda». A questo proposito, cosa è necessario fare a livello pratico? «Occorre procedere a una razionalizzazione del numero dei contratti collettivi di settore stipulati, che oggi sono più di duecento. Appare condivisibile, quindi, attribuire alla contrattazione nazionale il ruolo di riconoscimento dei livelli essenziali, normativo ed economico, per poi lasciare alle realtà territoriali il
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MARINA CALDERONE Presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro
compito di misurare il mercato locale e calibrare il salario di produttività in base ai reali parametri economici, sociali e produttivi del contesto». Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, ha indicato nell’investimento in capitale umano uno dei pilastri su cui fondare lo sviluppo del Paese. Lei cosa ne pensa? «Il capitale umano è sicuramente la risorsa più preziosa a disposizione dell’impresa. Noi consulenti del lavoro conosciamo bene
l’importanza di tale componente nella crescita dell’economia globale. Ritengo degno di nota il fatto che tale sollecitazione provenga dal vertice di Confindustria, perché per individuare i giusti interventi legislativi atti a dare reali operatività a una politica di valorizzazione del capitale umano d’azienda è necessario l’impegno fattivo degli imprenditori, dei sindacati dei lavoratori, dei professionisti e del mondo delle istituzioni». Crede che oggi si siano rag-
giunti gli obiettivi che si era prefissato Marco Biagi? «La legge Biagi ha raggiunto solo in parte gli obiettivi prefissati. Nel disegno originario voluto da Marco Biagi la legge doveva introdurre un graduale processo di liberalizzazione del mercato del lavoro. La tesi di fondo era quella di “fotografare” la situazione reale del mercato e cercare di cucirvi addosso un adeguato dettato normativo. Attraverso la previsione di una pluralità di fattispecie normative si è data diCAMPANIA 2009 | DOSSIER
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gnità giuridica a rapporti che nella realtà fattuale erano già ampiamente operativi ma che erano ritenuti non regolari, se non addirittura sommersi». Flessibilità e sicurezza. Un binomio possibile anche in Italia? «Il dibattito su flessibilità e sicurezza è un tema che interessa tutta l’Europa, e quindi non può non coinvolgere anche il nostro Paese. La sfida dei mercati e la concorrenza sempre più spietata hanno indotto le imprese a fare ricorso sempre più a forme contrattuali flessibili. Presa coscienza di ciò, l’Europa ha compreso che la flessibilità aiuta le imprese a recuperare competitività ma rischia di destrutturare i modelli di garanzia e sicurezza che sono alla base del nostro mercato comune». Contratti diversi e diverso trattamento anche all’interno della stessa azienda: come si può dare valore alle competenze del singolo? «Occorre superare la rigidità presente negli attuali contratti collettivi e puntare molto sul merito e la professionalità. Per questo occorre che al lavoratore sia data la possibilità di formarsi per tutto l’arco della sua vita, al fine di potenziare e migliorare le sue conoscenze. Il capitale umano è una preziosa risorsa, e se l’impresa investe in tale ambito è giusto che abbia la libertà di premiare chi vuole emergere». La questione degli inquadramenti è una delle sfide che sindacati e imprese devono affrontare. Come si può fare in modo che riflettano la realtà delle aziende? «È dimostrato che il contratto collettivo centralizzato risulta inidoneo a identificare l’attività del singolo lavoratore all’interno delle realtà aziendali. Gli attuali inquadramenti previsti dalle declaratorie contrattuali spesso non DOSSIER | CAMPANIA 2009
LAVORO
rispondono alle realtà aziendali e alle figure professionali che stanno emergendo nel mercato del lavoro, evidenziando in ciò un profondo scollamento con i settori che dovrebbero regolamentare. Maggiore libertà, in tal senso, dovrebbe essere lasciata al livello territoriale nel quale si realizzano le effettive scelte aziendali e in cui le professionalità si integrano con il territorio di cui sono espressione». I dati dell’Ocse evidenziano alcuni problemi del sistema socio-economico italiano, tra cui l’ultimo posto per ciò che riguarda la produttività. Dove vanno cercate le cause? «L’Italia è in difficoltà, come tutti i paesi, a causa della recente congiuntura internazionale, ma è anche vero che esistono dei fattori interni alla crisi, specchio di una peculiarità tutta nostra. Le imprese italiane sono molto sensibili
alla concorrenza straniera, per cui occorrerebbe eliminare quei fattori che minano la capacità produttiva del paese. Bisogna investire nelle grandi infrastrutture e modernizzare il territorio. Infine la pubblica amministrazione soffre di troppa burocrazia e ha un impianto organizzativo che non subisce una seria riforma da decenni. Non ci sono, pertanto, le condizioni strutturali per far crescere un’impresa moderna». Il rapporto evidenzia anche numerose disparità a livello regionale. In che modo colmare queste differenze? «Le differenze regionali si evidenziano soprattutto nel Mezzogiorno. La questione meridionale è ancora sul tappeto, nonostante siano ormai 50 anni che se ne parla. È necessario che la classe politica regionale sia qualificata per le sfide richieste dal mercato globale e, soprattutto, che la sfida
rappresentata dal federalismo diventi una reale opportunità di crescita e non un ulteriore motivo di differenziazione». Rafforzare il sistema educativo per combattere la precarietà: questa è la ricetta del ministro Sacconi. Lei cosa ne pensa? «Sono d’accordo. Oggi si rimane sconcertati di fronte alla proliferazione dei titoli di laurea rilasciati dalle università italiane. La maggior parte di essi non risponde in alcun modo alle richieste che pervengono dal mondo del lavoro. Non vi è, infatti, un raccordo tra il mondo accademico e le realtà produttive in cui i giovani laureati dovrebbero inserirsi. Stiamo alimentando la disoccupazione intellettuale, creando false aspettative nei giovani che, dopo un periodo di studi più o meno intenso, rischiano di andare a ingrossare le file dei precari». CAMPANIA 2009 | DOSSIER
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CULTURA DELLA LEGALITÀ Giovanni Mainolfi
CONTRO LA CRIMINALITÀ SI VINCE INSIEME Famiglia, società, scuola. Sono queste le basi da cui deve partire una cultura della legalità che sia davvero efficace e capillare. Soprattutto in aree difficili come il Napoletano. La parola a Giovanni Mainolfi, comandante provinciale della Guardia di Finanza LORENZO BERARDI
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CULTURA DELLA LEGALITÀ
GIOVANNI MAINOLFI Comandante della Guardia di Finanza nella provincia di Napoli
a legalità è il principio basilare e primario da cui deve partire qualunque attività privata. Questo l’hanno detto a più riprese il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso e il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano». Ha le idee chiare il comandante provinciale della Guardia di Finanza di Napoli, Giovanni Mainolfi. Subentrato nel settembre dello scorso anno al colonnello Bottillo, il generale Mainolfi è da anni un profondo conoscitore della realtà napoletana ed è ben consapevole delle quotidiane difficoltà che comporta la lotta e la prevenzione del crimine e delle attività illecite in un territorio così delicato. «Per affermare la cultura della legalità –
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prosegue Mainolfi – occorre il contributo di tutti e nessuno può chiamarsi fuori da questo processo». Un contributo che può permettere alle giovani generazioni di crescere circondate da esempi positivi e di maturare un rispetto per la legge e la legalità che non è così difficile da riscontrare anche oggi «In occasione della recente visita a Napoli del ministro Brunetta – ricorda il generale Mainolfi – abbiamo incontrato i ragazzi della fondazione di Don Merola che aiuta i figli di detenuti. Partecipando all’incontro, mi sono accorto del rispetto sacro con cui questi ragazzi provenienti da famiglie coinvolte dalla criminalità guardavano le autorità presenti e noi in divisa».
Generale, ma come è possibile diffondere la cultura della legalità in modo efficace? «La legalità si crea partendo dal basso e dalla scuola integrando ogni forza sociale, dalla società alla famiglia, fino ai luoghi di ritrovo e culturali. Se la legalità non parte del basso e non riguarda l’intera sfera delle relazioni è difficile tramandarla e affermarla. Purtroppo nel Napoletano esiste un problema di dispersione scolastica che è dovuto a condizioni disagiate e basterebbe farsi un giro in certi quartieri e in certe periferie per accorgersene. Eppure un anno fa le cose andavano peggio e la città era vista come un immenso immondezzaio con roghi di cumuli di rifiuti in molti angoli. Oggi tutto questo non c’è più: i rifiuti non si vedono e le cose stanno migliorando. Tutto questo influisce anche sui ragazzi. Ma non basta. La scuola e la famiglia sono presidi di legalità. Gli insegnanti ne sono i primi garanti e devono essere non solo equi con i loro studenti, ma anche educarli al rispetto della legalità e a non cercare scorciatoie per ottenere qualcosa. Purtroppo ancora oggi si vedono padri che portano sul motorino moglie e due figli tutti e quattro senza casco». Lei opera in un territorio difficile come quello napoletano. Quali sono le emergenze principali in questo momento? «Le emergenze attuali del nostro territorio sono legate alla criminalità organizzata e quindi alla camorra. Di recente si sono evidenziati problemi legati al contrabbando di sigarette, al traffico di stupefacenti e all’usura. Ciascuno di questi problemi è legato alla matrice unica di stampo camorristico. La camorra fa di queste attività altrettanti settori di business. A questi tre ambiti va aggiunto il fenomeno della conCAMPANIA 2009 | DOSSIER
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CULTURA DELLA LEGALITÀ Giovanni Mainolfi
LA LEGALITÀ SI CREA PARTENDO DAL BASSO E DALLA SCUOLA INTEGRANDO TUTTE LE FORZE SOCIALI DELLA SOCIETÀ DALLA FAMIGLIA AI LUOGHI DI RITROVO E CULTURALI. SE LA LEGALITÀ NON PARTE DEL BASSO E NON RIGUARDA TUTTA LA SFERA DELLE RELAZIONI SOCIALI E CULTURALI È DIFFICILE TRAMANDARLA E AFFERMARLA
traffazione in cui però ci sono campi di contiguità o comunque di incontro con associazioni cinesi. C’è inoltre il problema della disoccupazione che a Napoli sta aumentando per effetto della recessione. Ed ecco perché è riapparsa la vendita delle sigarette di contrabbando, un fenomeno che non si vedeva più da trent’anni. Noi come forze dell’ordine possiamo fare sequestri, ma non eliminare il fenomeno perché anche la politica DOSSIER | CAMPANIA 2009
e la pubblica amministrazione devono muoversi». Napoli è identificata con camorra, illegalità diffusa, microcriminalità. È possibile sfatare, almeno in parte, questi luoghi comuni? «Almeno due luoghi comuni su tre si possono sfatare. Innanzitutto la microcriminalità che di sicuro a Napoli è presente in quantità inferiori rispetto a quanto accade ad altre grandi città italiane come To-
rino, Milano e nella stessa Roma. Sotto questo profilo, è errato ritenere che la microcriminalità si identifichi con la città di Napoli. Per quanto riguarda l’illegalità diffusa, è necessario operare dei distinguo. Per esempio il problema della prostituzione è più vistoso a Roma che non a Napoli o il fenomeno dello spaccio di stupefacenti che in altri territori è ancora più evidente che da noi. Certo, esistono aspetti su cui l’illegalità diffusa presente nel Napoletano non ha eguali altrove come sul mancato utilizzo del casco nei motorini che a Napoli sembra ancora una legge non entrata in vigore. La mafiosità con cui la camorra si manifesta sul territorio è un luogo comune reale ed è una realtà che non può sfuggire a chi svolge un lavoro come il mio. Ritengo che questo debba indurre la Guardia di Finanza a innovare i suoi modelli operativi sino al punto da individuare quelle attività che più di altre possono essere in mano alla camorra in modo diretto oppure indiretto». La contraffazione è un fenomeno largamente diffuso in Italia e soprattutto nel napoletano. Come si sta muovendo la Guardia di Finanza per eliminarlo? «Eliminare il fenomeno è una nostra aspirazione, ma resta un obiettivo tendenziale difficile da raggiungere nel breve periodo. In concreto e nell’immediato miriamo a stroncare il traffico al livello più alto possibile. Se ci riferiamo a una contraffazione di importazione, la Guardia di Finanza con la propria azione mira a sterilizzare i canali di importazione, se invece prendiamo in esame una contraffazione di prodotto realizzato in Italia, allora miriamo a smantellare le fabbriche e le organizzazioni che gestiscono le fabbriche e la catena logistica che sta alle spalle. Di recente la Gdf di Napoli ha individuato due grandi depositi in mano a organizzazioni cinesi alle porte di Roma contenenti complessivamente oltre 100mila prodotti di abbigliamento di grosse marche contraffatte. Per
CULTURA DELLA LEGALITÀ
quanto riguarda la contraffazione, una parte del traffico non è gestita dalla camorra, ma dai cinesi che hanno in mano il commercio all’ingrosso». Cinesi e camorra si muovono sempre in parallelo senza mai interconnettersi? «In un’indagine battezzata in codice “Katana” abbiamo riscontrato un’integrazione fra camorra e organizzazioni cinesi. Ci siamo accorti di una ripartizione di compiti e ruoli fra camorra napoletana e cittadini cinesi. I cinesi curavano la produzione di questi prodotti in Cina, ne curavano l’importazione, una fase di questa importazione era gestita dalla camorra, mentre il commercio al dettaglio ritornava in mano ai cinesi. Quindi ci siamo trovati di fronte a una complementarietà d’interessi fra camorra locale e organizzazioni cinesi». Un’altra piaga del territorio è il traffico di stupefacenti di cui Napoli rappresenta un centro di smistamento europeo. Quale bilancio si può fare sulla lotta a tale fenomeno? «Il bilancio della lotta al traffico di stupefacenti è assolutamente positivo. Attraverso l’analisi di rischio che abbiamo fatto sullo scalo portuale di Napoli, siamo riusciti a individuare navi, beni, rotte o porti di provenienza che presentano un rischio maggiore di essere coinvolti nel traffico di droghe. Questo ci ha permesso di fare interessanti sequestri di cocaina. Per quanto riguarda altri stupefacenti come hashish e marijuana, i sequestri avvengono nella maniera più disparata, soprattutto negli aeroporti o lungo le autostrade. L’eroina arriva soprattutto per via aerea, mentre il traffico di cocaina è prevalentemente marittimo e avviene attraverso il porto di Napoli. Le ultime indagini hanno evidenziato come la camorra napoletana abbia le capacità e le potenzialità di acquistare direttamente dai cartelli colombiani la cocaina da commercializzare senza ricorrere a intermediari. Fino a pochi anni fa la camorra acquistava da grossisti che potevano anche appartenere ad al-
tri sodalizi criminali, ad esempio alla ‘ndrangheta, oggi invece riesce a far affari direttamente con i cartelli colombiani». Come si sta articolando su questi fronti la collaborazione con le altre forze dell’ordine? «Esiste una collaborazione sistematica e strutturata di fondo che è un’attività di coordinamento svolta all’interno del Comitato Provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica a cui provvede il Prefetto. Questo costituisce la parte prevalente della collaborazione fra le forze di sicurezza presenti sul territorio. Ma esiste anche una collaborazione non strutturata che dipende dai rapporti che vengono a crearsi fra i singoli comandanti della Guardia di Finanza, della Polizia e dei Carabinieri. Io ho alle dipendenze 27 reparti spalmati su tutta la provincia di Napoli, i Carabinieri ne hanno una quarantina, mentre la Polizia conta una ventina di commissariati. In questo momento la collaborazione che esiste fra le forze di sicurezza presenti nel
Napoletano è eccezionale e senza pari. Mi auguro che questo non dipenda solo dal momento di emergenza che stiamo ancora vivendo, ma sotto questo profilo sono ottimista perché l’esigenza di collaborare attivamente sul territorio accomuna noi, Carabinieri e Polizia. Le nostre specificità ci rendono complementari e questo ci rende più forti». E a livello europeo e internazionale, come avviene la collaborazione nella lotta alla criminalità? «Le cose stanno andando in maniera straordinaria. Tramite l’Olaf che è l’organismo dell’Ue di lotta antifrode che si occupa tanto del contrabbando di sigarette, quanto dell’utilizzo criminale di fondi comunitari. Ma penso anche alla nostra collaborazione con l’Interpol e con le diverse ambasciate nel mondo. Tutto questo ci sta consentendo di catturare latitanti che vivono in altre parti del globo e vengono assicurati alla giustizia proprio grazie a questa collaborazione straordinaria». CAMPANIA 2009 | DOSSIER
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L’ESPERTO Antonio Rapolla
PREVISIONI E PREVENZIONI DEI RISCHI SISMICI Stratigrafie del sottosuolo e caratteristiche geosismiche. Fattori di conoscenza importanti per una corretta valutazione del rischio sismico. Il professore Antonio Rapolla analizza l’attuale stato delle conoscenze in materia DANIELA ROCCA
l terremoto in Abruzzo ha tragicamente riportato in primo piano il problema della mappatura sismica della penisola. E, com’è noto, la Campania è una delle regioni a maggior rischio. Le aree maggiormente pericolose per il rischio sismico sono, in Campania come nel resto dell’Italia peninsulare, le aree appenniniche e in particolare quelle al confine con il Molise, il Sannio, l’Irpinia e l’alto Potentino, aree più vicine alle zone sismogenetiche individuate dalla sismicità storica e dagli studi di geologia strutturale. In Campania vi sono poi le aree ubicate proprio nelle zone vulcaniche del Vesuvio, dei Campi Flegrei e di Ischia dove, a causa della superficialità dell’ipocentro, l’azione sismica può essere di alta intensità nelle aree immediatamente vicine all’epicentro per poi decrescere significativamente. «Nelle prime, classificate nella normativa precedente, quella del 1974, ma anche in quella vigente del 2004, come ad alto rischio, si aspettano azioni sismiche con accelerazioni che, per la vecchia normativa sono pari a 0.1 g., l’azione sismica viene misurata in frazioni dell’accelerazione di gravità» spiega Antonio Rapolla, ordinario di Geofisica e docente di Rischio Sismico. «Per la normativa recente, fortunatamente molto più cautelativa, ma non ancora entrata in vigore, le accelera-
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zioni previste sono al massimo a 0.35g. Per le aree vulcaniche si attendono azioni pari a 0.07 g. nella precedente normativa e pari a 0.25 g. nella nuova. Questi valori sono relativi a siti dove le costruzioni poggiano su terreni rigidi, cioè su roccia. Invece il vero pericolo nasce nei siti dove a una forte azione sismica attesa si unisce una situazione geologica locale con presenza di terreni superficiali con caratteristiche scadenti come argille, sabbie, depositi alluvionali, che possono amplificare l’azione sismica» continua il professore. Infatti, è la combinazione dell’azione sismica proveniente dall’ipocentro con l’effetto di amplificazione di sito che deve preoccupare. «Se un terremoto, come quello dell’Aquila, avvenisse in Campania, penso che ci troveremmo in situazioni probabilmente più favorevoli. E questo perché in molti casi, azioni di prevenzione e di adeguamento sono state programmate e in parte effettuate, sia nei paesi limitrofi alle aree sismogenetiche, sia nelle città costiere» precisa Rapolla. La Campania, purtroppo, è anche una regione in cui gli abusi edilizi e le irregolarità sono molto diffusi. Un fattore che costituisce una notevole aggravante in caso di terremoto. Come si può intervenire per invertire questa pericolosa tendenza?
ANTONIO RAPOLLA Ordinario di Geofisica, docente di Rischio Sismico
«In Campania, come nel resto di Italia, vi sono certamente moltissimi casi di costruzioni abusive e mal fatte. Ma il vero problema è l’esistenza di costruzioni che risalgono a tempi antichi, di carattere spesso storico e non ancora adeguate al pericolo sismico. Il terremoto, a differenza di altri eventi naturali catastrofici, come le alluvioni, le frane, gli tsunami, le eru-
L’ESPERTO
zioni vulcaniche non è di per sé pericoloso. Il terremoto è pericoloso in via indiretta: le case investite dall’azione sismica crollano e travolgono tutto ciò che è intorno. La vera difesa è impedire che ciò accada. E cioè la prevenzione attraverso le costruzioni antisismiche». Quali sono i fattori del rischio sismico? «Il rischio sismico è formato dall’interazione di due fattori, la pericolosità sismica, cioè l’intensità e il tipo dell’azione che il terreno trasmette alla costruzione, e la vulnerabilità dell’edificio all’azione stessa. Su questo ultimo aspetto abbiamo nel mondo e in Italia raggiunto risultati più che egregi. In particolare a Napoli vi è una scuola di Ingegneria antisismica all’avanguardia nel mondo. Sul primo aspetto, invece, vi è ancora molta semplificazione nell’approccio professionale e nella normativa». Cosa prevede la normativa? «Le norme in vigore prevedevano per l’effetto di sito un fattore di amplificazione al massimo di 1.3. In occasione dell’ultimo disastroso terremoto de L’Aquila, invece le costruzioni sono state colpite da azioni sismiche molto intense, anche oltre 0.4 g. Azioni che hanno distrutto moltissime costruzioni generando danni ingenti tanto che le intensità locali hanno raggiunto anche il X grado della scala Mercalli, che misura il grado di danneggiamento e ha il suo massimo nel grado XII, con la distruzione totale. È su questo aspetto che si deve ancora lavorare: essere molto più attenti a una precisa valutazione della pericolosità sismica di un sito in modo da fornire al progettista una corretta stima dell’azione sismica che caratterizzerà, in quello specifico sito, l’azione sismica attesa». In quali aree sono state adottate efficaci misure di prevenzione? «In Campania la situazione è abbastanza simile a quella di tutta Italia. Accanto a comuni nei quali sono state eseguite azioni di adeguamento e di costruzioni antisismiche o, almeno, sono stati effettuati gli studi propedeutici per la valutazione dei fattori di amplifi-
MAPPA DI PERICOLOSITÀ SISMICA DEL TERRITORIO NAZIONALE (riferimento: Ordinanza PCM del 28 aprile 2006 n.3519, All.1b)
espressa in termini di accelerazione massima del suolo con probabilità di eccedenza del 10% in 50 anni riferita a suoli rigidi (Vs > 800 m/s; cat.A, punto 3.2.1 del 30 D.M. 14.09.2005)
Fonte: ISTITUTO NAZIONALE DI GEOFISICA E VULCANOLOGIA Elaborazione: APRILE 2004
cazione del terreno superficiale nei vari siti di interesse urbanistico, ve ne sono molti altri nei quali queste azioni sono state solo parzialmente intraprese. Ma, anche queste indicazioni vengono talora disattese nella effettiva applicazione delle norme, spesso estremamente semplicistiche nei riguardi della pericolosità di sito». Nel 2006 sono state emanate dalla Regione delle linee guida per la riduzione del rischio sismico. Quali sono stati i risultati sinora? «La Commissione Tecnico Scientifica per il Rischio Sismico della Regione Campania ha svolto con passione il suo compito e ha redatto delle Linee Guida. In queste direttive si è affrontato il problema della valutazione della pericolosità sismica sia a livello comunale, per i piani regolatori o i piani territoriali,
sia a livello di sito di costruzione sottolineando la necessità di una corretta valutazione della risposta sismica di sito. Si è anche posto il problema degli effetti dell’azione sismica sull’ambiente fisico quali la franosità sismo-indotta e i fenomeni di liquefazione. In verità, la Regione Campana era stata tra le prime, nel 1983, a dotarsi di una regolamentazione attenta dal punto di vista della pericolosità sismica del territorio e dello specifico sito, richiedendo ai comuni la redazione di una cartografia, geolitologica, idrogeologica e geomorfologica, che era di necessario supporto alla cartografia finale in prospettiva sismica del territorio dei vari comuni. Questo è stato fatto per quasi tutti i comuni, ma, purtroppo non sempre bene a causa dell’estrema semplificazione, e spesso rozzezza, delle norme stesse in questo settore». CAMPANIA 2009 | DOSSIER
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FISCO Luigi Magistro
LUIGI MAGISTRO Dal 2008 è direttore aggiunto della direzione centrale Accertamento dell’Agenzia delle entrate. Qui sotto, la sede di Firenze
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MONITORAGGI MIRATI ANTI-EVASIONE Basta con i controlli identici per tutti i contribuenti. Per stanare gli evasori servono misure mirate. Luigi Magistro, direttore accertamento dell’Agenzia delle Entrate, illustra le nuove strategie per arginare il fenomeno SARAH SAGRIPANTI
e stime dell’Istat e quelle del ministero dell’Economia parlano chiaro: l’evasione in Italia raggiunge livelli due o tre volte superiori a quelli osservati nei maggiori Paesi europei e fino a quattro volte superiori a quelli dei Paesi più virtuosi. In termini di gettito fiscale, si tratta di una perdita di oltre cento miliardi l’anno. Un fenomeno tutto italiano, che va analizzato anche dal punto di vista sociologico, come dichiara Luigi Magistro, direttore accertamento dell’Agenzia delle entrate, che per il 2009 prevede di potenziare tutti gli strumenti in suo possesso per scovare i contribuenti “distratti”. Ma oltre a un maggiore controllo da parte degli organi competenti, sarebbe utile anche il rafforzamento di un sistema di controllo sociale, quello che nasce, però, solo da una forte coscienza civile. Secondo lei quali sono i motivi della “refrattarietà” alle tasse da parte dei cittadini italiani? «I motivi sono complessi e riguardano in buona parte la sociologia. Ma di questa materia, ovviamente, il fisco non si occupa. Non c’è dubbio che il livello dell’evasione è anche collegato all’efficienza dei controlli fiscali e infatti è regola universale quella secondo cui gli
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adempimenti di qualsiasi genere imposti al cittadino sono tanto più osservati quanto maggiore è il controllo del loro rispetto. Pensiamo ad esempio ai limiti di velocità sulle strade: dove c’è un autovelox ben visibile, tutti rispettano il limite! E non si tratta tanto del livello della sanzione temuta, quanto dell’esistenza di un controllo efficace». Non si rispetta la legge quando si è certi di un mancato controllo? «Sì, e la stessa cosa accade in materia fiscale: molti contribuenti maturano la convinzione che la probabilità che l’evasione possa essere scoperta è talmente bassa da rendere conveniente il continuare ad evadere. C’è poi l’ulteriore convinzione che, quant’anche scoperti, si potrà resistere in sede contenziosa, dilatando i tempi e, nel frattempo, facendo sparire tutti i beni aggredibili dal fisco. Questo fenomeno si chiama “evasione da riscossione”, ed è pratica purtroppo assai diffusa nel nostro Paese». Quali sono le strategie necessarie per contrastarla? «La strategia di fondo è quella di garantire controlli sempre più capillari, che muovano da specifiche analisi del rischio di evasione presente sul territorio. In questo modo si possono indirizzare i con-
trolli verso settori economici e singoli contribuenti che denotano una particolare propensione all’inadempimento fiscale e si può graduare l’intensità del controllo. Una bella novità rispetto alla tradizionale concezione secondo cui i controlli vengono, di fatto, svolti con modalità identiche per tutti i contribuenti». Può farci un esempio di questo nuovo metodo? «Una strategia specifica è stata recentemente inaugurata per i cosiddetti “grandi contribuenti”, vale a dire le imprese con fatturato superiore ai 100 milioni di euro. La strategia qui si traduce in una vigilanza costante con finalità quasi esclusivamente dissuasive dell’evasione e soprattutto dell’elusione fiscale. Questi soggetti saranno controllati ogni anno da unità specializzate dell’Agenzia delle entrate, di nuova istituzione (gli Uffici grandi contribuenti, ndr). Il controllo riguarderà l’ultima dichiarazione e, se necessario, anche operazioni relative all’anno in corso. Una consistente innovazione, dato che fino ad oggi i controlli hanno quasi sempre riguardato anni lontani nel tempo. Questo controllo sistematico verrà avviato quest’anno per i soggetti con fatturato superiore ai 300 milioni di euro, e sarà assicuCAMPANIA 2009 | DOSSIER
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FISCO Luigi Magistro
rato entro il 2011 per tutti quelli con fatturato superiore ai 100 milioni di euro». Quali sono gli strumenti più importanti di cui dispone l’Agenzia delle entrate per il controllo fiscale? «Devo dire con chiarezza che, probabilmente, pochi Paesi al mondo dispongono di strumenti analoghi e potenti come quelli che abbiamo in Italia. Si tratta innanzitutto dei poteri cosiddetti “istruttori”, vale a dire gli strumenti fondamentali per acquisire le informazioni che servono per dimostrare l’eventuale evasione. Si pensi alla possibilità di accedere presso qualsiasi impresa per chiedere documenti o informazioni, o a quella di acquisire dati presso le banche e gli altri intermediari finanziari. Vi sono poi le enormi banche dati dell’Anagrafe tributaria, integrate con basidati esterne, che hanno una funzione assai importante per l’analisi del rischio di evasione e, quindi, per intercettare i potenziali evasori. Senza dimenticare gli studi di settore, che costituiscono lo strumento fondamentale per valutare, su basi matematico-statistiche, il rischio di evasione per le piccole imprese e i lavoratori autonomi». In che modo l’introduzione di procedure informatizzate ha contribuito ad agevolare i controlli? «Le richieste di indagine trasmesse dall’Agenzia e le risposte inviate dagli operatori finanziari, come banche o società di gestione del risparmio o di investimento immobiliare viaggiano su posta elettronica certificata, un sistema di comunicazione che consente di trasmettere richieste e risposte direttamente in modalità telematica e in massima sicurezza. Grazie a queste procedure informatizzate, si sono notevolmente accorciati i tempi di risposta da parte degli operatori coinvolti, con evidenti vantaggi anche sul piano del rispetto della privacy». Cos’è, invece, lo strumento del redditometro? «In senso tecnico il termine reddiDOSSIER | CAMPANIA 2009
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tometro sta a indicare un meccanismo di calcolo che abbina automaticamente al possesso di determinati beni e servizi di lusso, come aerei, macchine di grossa cilindrata o cavalli da corsa, una determinata capacità di spesa e, conseguentemente, un reddito. Si tratta, in verità, di uno strumento obsoleto, che si inquadra nell’ambito dell’accertamento cosiddetto “sintetico” del reddito, che invece rappresenta lo strumento forse più potente per contrastare l’evasione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche». Come funziona l’accertamento sintetico? «L’accertamento sintetico si basa su un principio assai elementare: se un contribuente, nel corso dell’anno, spende 100 e dichiara di aver conseguito un reddito di 20, ci sono buone ragioni per pensare che la dichiarazione, assai probabilmente, non sia fedele. Il contribuente viene quindi chiamato a spiegare i motivi della divergenza e, ove non dia spiegazioni convincenti, la stessa viene considerata come un reddito non dichiarato». Su quali informazioni si basa
questo tipo di controllo? «Sono tipicamente quelle relative a spese di particolare rilevanza per l’acquisto e il mantenimento di beni, come immobili o autovetture, o per la fruizione di servizi voluttuari: dai club esclusivi, ai viaggi molto costosi. Per le spese per investimenti, come gli acquisti immobiliari, esiste un meccanismo legale che, salva la già prova contraria, considera la spesa come reddito conseguito in cinque quote di uguale ammontare, nell’anno in cui viene effettuata e nei quattro precedenti. La manovra d’estate ha stabilito che l’utilizzo di questo strumento deve essere largamente incrementato, mediante la previsione, nel triennio 2009-2011, di un piano straordinario di controlli della specie. Un ruolo “segnaletico” è inoltre affidato ai Comuni, che sono chiamati a comunicare all’Agenzia delle entrate eventuali situazioni rilevanti per la determinazione sintetica del reddito, mentre sono in campo sinergie ancora più avanzate e sofisticate con la Guardia di Finanza». Quanto conta la collaborazione con gli altri soggetti pubblici per
la prevenzione e il contrasto dell’evasione fiscale? «Tantissimo. Dalla primavera scorsa si è aperta una stagione di collaborazione sistematica tra fisco e Comuni, che frutterà a questi ultimi il 30 per cento degli importi riscossi a titolo definitivo. Grazie a queste strategie la lotta all’evasione non è più soltanto una priorità dello Stato, ma di tutti i soggetti pubblici che, da un aumento del gettito fiscale, guadagnano l’opportunità di erogare in maniera più efficiente i loro servizi». Con l’entrata in vigore del federalismo fiscale, in che modo crede si evolverà il controllo dell’evasione? «Si tratta di uno scenario in divenire, quindi è ancora presto per i dettagli. In generale, possiamo dire che sicuramente gli enti locali avranno un ruolo sempre più attivo sul fronte del contrasto all’evasione. L’Agenzia delle entrate e Sogei, dal canto loro, stanno già lavorando alla ristrutturazione e al miglioramento della piattaforma tecnologica del sistema informativo per renderla più funzionale alle esigenze del futuro assetto». CAMPANIA 2009 | DOSSIER
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IPSE DIXIT Maurizio De Tilla
IL SISTEMA GIUSTIZIA CHIEDE RISPOSTE CONCRETE Una vera e moderna riforma dell’ordinamento professionale. Che raccolga il consenso di tutti gli organi istituzionali. In tal senso la riflessione di Maurizio De Tilla, presidente dell’Organismo unitario dell’avvocatura italiana. Che qui analizza gli aspetti più critici della proposta su cui occorre intervenire DANIELA ROCCA
a virtù civica consiste nel desiderio di vedere l’ordine nello Stato, di provare gioia per la pubblica tranquillità, per l’esatta amministrazione della giustizia, per la sicurezza della magistratura, per il rispetto tributato alle leggi, per la stabilità della Repubblica”. Cosi teorizzava Montesquieu. Alla luce di questa riflessione appare ancora più evidente il principale problema della giustizia italiana che risiede nell’aspetto amministrativo e procedurale. «Quello che manca alla nostra macchina giudiziaria è, a mio avviso, una forte progettualità complessiva», spiega l’avvocato Maurizio De Tilla, presidente dell’Organismo unitario dell’avvocatura italiana. Un punto su cui l’Oua sta attuando una serie di iniziative. «Bisogna prendere atto che circa un milione e mezzo dei processi in atto, ovvero una fetta notevole dell’attività giudiziaria vengono affidati ai giudici onorari, sia i giudici di pace, sia quelli che integrano i collegi civili o che svolgono attività inquirente nei tribunali penali. In tutti questi casi, si tratta perlopiù di avvocati, che hanno delle incompatibilità limitate. Per questo, ritengo che occorra ripensare completamente il ruolo
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di questa forma aggiuntiva di giustizia, che infatti, non definirei più “onoraria”, ma laica, perché rappresenta, di fatto, la giustizia gestita da ex avvocati». Secondo l’avvocato Maurizio De Tilla, è finalmente arrivato il tempo del confronto. Quali sono state, nello specifico, le proposte formulate dall’Oua? «L’Oua ha formulato una serie di proposte, anzi un progetto complessivo, per istituire appunto la figura del giudice laico, caratterizzata da un accesso selezionato (per concorso), ma anche da un trattamento economico e contributivo adeguato alle sue funzioni, del tutto equiparabili a quelle del giudice togato». Un giudice professionalizzato, però con durata limitata. «E con un collegio etico formato sia da magistrati che da avvocati e anche da rappresentanti degli Ordini professionali per garantire non solo la tenuta formativa ma anche la tenuta deontologica. Insomma, nella giustizia avremmo il giudice togato e il giudice laico. Il giudice laico svolge una funzione giudiziaria di grande rilievo, ha esperienza maturata nella professione forense, ha determinati requisiti, viene selezionato. Questo corpus raffor-
MAURIZIO DE TILLA Avvocato e presidente dell’Oua
zato e implementato, ma nello stesso tempo regolato compiutamente, può dare una prima risposta alla giustizia». Quali sono i punti della riforma che l’Oua non condivide? «Non basta accelerare i ritmi dei processi specialmente per la giustizia civile. La riforma del ministro Alfano è condivisibile in massima parte, anche se non risolve il problema. Certamente un aspetto della
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riforma Alfano è criticabile ed è la proposta del filtro in Cassazione. Non si può abolire surrettiziamente il giudizio per cassazione. L’art. 107 della Costituzione, al 7° comma, prevede l’impugnativa in cassazione di ogni decisione per violazione di legge e non si può fare una legge che confonde i concetti giuridici di infondatezza e inammissibilità, e finisce per abrogare nella sostanza la norma costituzionale». Un fronte comune di dissenso tra tutti i soggetti istituzionali. «L’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana ha manifestato assoluta contrarietà su questo punto della riforma processuale perché incostituzionale, perché è una “norma caos”. Gli stessi giudici della Cassazione si sono pronunciati in maniera contraria al filtro. Il filtro non accelererà nulla, piuttosto stabilirà discrezionalità e anche arbitrio nel selezionare la inammissibilità dei giudizi in Cassazione. Quindi,
«NON BASTA ACCELERARE I RITMI DEI PROCESSI SPECIALMENTE PER LA GIUSTIZIA CIVILE. LA RIFORMA DEL MINISTRO ALFANO È CONDIVISIBILE IN MASSIMA PARTE, ANCHE SE NON RISOLVE IL PROBLEMA» un sì per le riforme processuali, per l’accelerazione dei termini e per la unificazione dei riti, ma non eliminando la integrale tutela dei diritti». Definita la nuova figura del giudice laico, qual è l’ulteriore proposta innovativa dell’Oua? «Abbiamo formulato una proposta che trasmetteremo alle Alte cariche dello Stato. Questa proposta prevede l’Avvocatura come soggetto costituzionale. La Costituzione, all’art. 24, prevede la difesa affidata all’avvocato per la tutela del cittadino, però non ne sancisce il ruolo esplicitamente costituzionale nel titolo quarto della parte seconda che riguarda la giurisdizione, dove è prevista la magistratura, ma è assente
l’avvocatura. La magistratura e l’avvocatura sono, con pari dignità, le componenti della giurisdizione. Al pari della magistratura l’avvocatura è libera e indipendente. Credo che gli avvocati potrebbero contribuire in maniera massiccia attraverso i propri rappresentanti ad assicurare una giustizia più efficiente con una presenza forte nei Consigli giudiziari e nei Ministeri. Insomma i giudici e gli avvocati devono camminare assieme sia sul piano costituzionale che sul piano delle attività da svolgere. Quindi va invocata la riforma della Costituzione ponendo in evidenza l’avvocato come soggetto costituzionale. È questa una via che bisogna necessariamente percorrere». CAMPANIA 2009 | DOSSIER
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IUS & LEX Francesco Caia
LA FORZA DI PARLARE CON UNA SOLA VOCE Accesso alla professione, permanenza in Albo, snellimento delle attività disciplinari. Sono solo alcuni punti della proposta redatta dai soggetti politici e istituzionali dell’Avvocatura. Il commento dell’avvocato Francesco Caia, presidente dell’Ordine degli avvocati di Napoli DANIELA ROCCA
a qualità del rapporto tra i cittadini e il sistema della giustizia rappresenta uno dei principali indicatori del grado di civiltà e di sviluppo di un Paese moderno. L’evoluzione di questo rapporto è però l’esito di una molteplicità di fattori socio-culturali, ma anche politici, economici, organizzativi. In gran parte, il grado di efficienza interna al sistema giustizia dipende dall’interazione tra i soggetti che ne interpretano i ruoli principali: i magistrati, gli avvocati, i cittadini, all’interno di una cornice organizzativa e ordinamentale che ne fissa regole e procedure. In questo scenario sono stati fatti i primi passi per una riforma dell’ordinamento della professione forense, evento unico nella storia italiana. «Questo progetto risponde alle mutate esigenze, non soltanto della giurisdizione, ma soprattutto del contesto economico-sociale in cui opera l’avvocatura italiana. Attendiamo che il governo la traduca o in un maxi emendamento o in una proposta governativa e successivamente in un disegno di legge da portare in esame al Parlamento», spiega il presidente dell’Ordine forense di Napoli, l’avvocato Francesco Caia, che fa luce sulla situazione della categoria nella città partenopea.
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FRANCESCO CAIA Avvocato e presidente Ordine degli avvocati di Napoli
Quali sono i punti salienti del testo da voi predisposto? «Sono quelli che coinvolgono i nodi cruciali della nostra attività professionale, ovvero l’accesso alla professione, la permanenza in Albo, lo snellimento dell’attività disciplinare. Questa proposta rende l’attività professionale sicuramente più adeguata rispetto all’enorme numero delle norme italiane, che sono arrivate a circa 230 mila. In particolare per
quanto riguarda l’accesso alla professione, la pratica forense, che attualmente è biennale, viene completata da un percorso formativo obbligatorio presso le scuole forensi gestite dagli ordini e dalle associazioni di categoria, oltre a un esame informatico previsto per i praticanti. E correggendo gli attuali difetti della legge Castelli, segnala l’esigenza di uno sbarramento per l’ingresso degli avvocati nell’Albo. Non un restringimento del numero, ma una selezione seria, garanzia non per la categoria, ma per l’utenza». Su quali siete maggiormente impegnati come Ordine a Napoli? «Da oltre tre anni a questa parte, abbiamo un contenzioso che riguarda non solo gli avvocati, ma la normalità delle attività giudiziarie nella nostra città. In merito alla logistica giudiziaria, siamo impegnati su quanto attiene l’agibilità del Palazzo di Giustizia di Napoli, che è uno dei più grandi centri della giustizia d’Italia: l’abilitazione delle due ali del tribunale civile, che, purtroppo, sono allagate nella Torre A, una torre di 29 piani. Siamo i primi al mondo ad avere una verticalità degli uffici e le udienze, fatto unico in Europa, si svolgono nelle aule tra il settimo e il ventiduesimo piano. Que-
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sto comporta un aggravio enorme per gli utenti e per tutti i soggetti istituzionali dell’avvocatura. Abbiamo un serio problema sia per quanto riguarda l’afflusso su questa torre di migliaia di persone, sia per quanto attiene la sicurezza dell’edificio stesso. Al momento abbiamo vinto un ricorso al Tar, ma attendiamo ancora una decisione. C’è una estrema necessità di maggiore investimento di risorse nel sistema Giustizia. Un’evidenza nazionale e Napoli ne è la prova. Il nostro circondariato comprende città e Comuni di grandi dimensioni e a ognuno di questi spetterebbe un singolo tribunale. Abbiamo problemi per quanto riguarda le strutture a Ischia: i sette comuni dell’isola hanno oltre 50 mila abitanti che generano un problema di utenza e seri problemi amministrativi che non possono essere risolti per mancanza di risorse. Esiste un discorso che purtroppo si fa da anni, che è quello degli investimenti in risorse adeguate». Quali le indicazioni che da questo dibattito emergono e le iniziative che state intraprendendo per ottenere risultati concreti? «Siamo in contatto sia con le amministrazioni locali, sia con il ministero della Giustizia. Spero che, a breve, si faccia un incontro a Napoli con i dipartimenti interessati, i rappresentanti di enti territoriali coinvolti nella gestione della macchina della giustizia del nostro territorio, i rappresentanti dei ministeri per trovare una soluzione in merito alla logistica e alle risorse di organico disponibili da parte di altri enti locali. Al di là delle tematiche di giurisdizione, siamo molto impegnati per quanto concerne il rilancio della funzione sociale dell’avvocato. Questo non è un aspetto che attiene ai singoli avvocati, al processo, ma alla qualità professionale. Altresì, siamo impegnati con vari progetti di volontariato sia con una Diocesi, sia con i comuni del distretto di Napoli e del nostro territorio». Rispetto all’amministrazione della giustizia, quali sono le vostre po-
«IL NOSTRO CIRCONDARIATO COMPRENDE CITTÀ E COMUNI DI GRANDI DIMENSIONI E A OGNUNO DI QUESTI SPETTEREBBE UN SINGOLO TRIBUNALE» sizioni e quali le indicazioni per superare eventuali problemi? «Da anni stiamo cercando di aprire un confronto, anche con una dialettica forte, ma comunque rispettosa di quelle che sono le nostre posizioni e funzioni, con la magistratura napoletana, sui temi che vanno dall’organizzazione degli uffici giudiziari alle questioni più stringenti all’interno dell’ordinamento processuale. Ritengo che il problema della giustizia a Napoli, come in Italia, sia comune a magistrati e avvocati. È necessario superare gli enormi scogli della giurisdizione con il contributo di tutti, sedendosi a un tavolo comune. Chiaramente con punti di vista diversi, ma con l’obiettivo di raggiungere l’efficacia della giurisdizione».
Quali sono i settori che richiedono maggiore formazione e preparazione da parte dei giovani avvocati nell’affrontare la professione? «L’avvocato deve essere formato e qualificato in tutti i settori della giurisdizione, perché non esiste un settore meno impegnativo: anche quelli di semplice accesso hanno necessità di un buon bagaglio professionale. Come Ordine di Napoli abbiamo costituito un anno fa la Fondazione permanente per la Formazione dell’avvocatura napoletana e quindi abbiamo un ottimo numero di incontri a cui partecipano i giovani avvocati. Stiamo pensando anche a una formazione permanente in forma moderna, a un e-learning. A breve dovremmo presentare una piattaforma nazionale». CAMPANIA 2009 | DOSSIER
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ITALIA - EUROPA Giuseppe Gargani
EUROMEDITERRANEO PROSSIMA FRONTIERA L’Europa si avvia verso una vera Costituzione. E l’Italia verso una nuova fase dell’europeismo, che individua la sua sfida più imminente nel pieno sviluppo dell’area mediterranea. A tutto vantaggio del Sud, come spiega Giuseppe Gargani, e delle sue molte potenzialità ancora inespresse PAOLO NOBILIO
ono passati esattamente dieci anni da quando Giuseppe Gargani ha iniziato la sua avventura a Strasburgo, dopo un’esperienza ventennale tra gli scranni di Montecitorio. E in questo arco di tempo, assicura l’europarlamentare, l’Europa è cambiata molto, e in meglio. Così come l’Italia del resto. «Il lungo periodo di transizione iniziato negli anni 90 si è definitivamente concluso con le elezioni del 2008 e la costituzione del Pdl – spiega –, grazie alla stabilizzazione di un blocco sociale moderato che trova in Berlusconi il suo maggiore rappresentante, anche più di quanto abbia fatto in passato la Dc». Una situazione, precisa Gargani, che «favorisce l’efficienza del governo, il quale ha assunto sempre più quella funzione di aggregatore della società civile che un tempo era dei partiti, che pure rimangono un riferimento imprescindibile per la vita del Paese». Ed è anche grazie a questo processo di maturazione se oggi l’Italia è pronta ad affrontare le prossime sfide comunitarie: costituzione europea e sviluppo euromediterraneo. A giugno lei concorre per il suo terzo mandato europeo. Il suo
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GIUSEPPE GARGANI Avvocato, è europarlamentare dal 1999. È stato tra l’altro presidente della Commissione giustizia a Strasburgo
primo ingresso in europarlamento risale infatti al 1999. Qual è il bilancio di questa esperienza decennale? «Molto positivo. In questi anni l’europarlamento ha acquisito
maggiori poteri e competenze e in generale il ruolo delle istituzioni europee sono in crescita, sia sul piano normativo che rappresentativo, a partire dall’elezione per suffragio universale, vero fonda-
ITALIA - EUROPA
ESPERIENZA DECENNALE Sotto,la copertina del saggio Bruxelles, Italia, in cui Gargani riflette sulla situazione dell’Italia nel contesto europeo alla luce della sua lunga esperienza come parlamentare a Strasburgo. A sinistra, Gargani con il ministro di Grazia e Giustizia Angelino Alfano
mento della cittadinanza europea, e del diritto comunitario che ne è il presupposto. Un processo a cui credo di aver contribuito anche in prima persona, seguendolo da vicino come presidente della Commissione giuridica». In questi anni quali sono state le questioni più significative di cui si è occupata la Commissione? «La Commissione si occupa di tutti i campi del diritto, ovviamente, ma soprattutto di quelli riguardanti gli aspetti più sostanziali della vita di privati e imprese. Non tanto dunque la parte patologica e penale, quale può essere ad esempio la normativa antiterrorismo, quanto la regolazione dei rapporti civili, commerciali e obbligazionari interni all’Europa. Oggi, ad esempio, i liberi professionisti possono esercitare liberamente in qualsiasi Paese membro. Ed è proprio su rapporti di questo tipo che si è costruito quel senso di unità tra Stati su cui si fonda una vera cittadinanza europea». L’Italia è stato spesso oggetto di critiche e raccomandazioni da parte dell’Ue, soprattutto per le inefficienze della macchina giustizia. Cosa fare per uscire da questa impasse? «È un problema serio, che deriva a mio avviso soprattutto dalla funzione esponenziale e fuori misura di una magistratura troppo autonoma, dotata di un potere disarticolato e in un certo modo in conflitto con le altre istituzioni. A parte le lungaggini, dunque, la
vera questione è strutturale e riguarda l’equilibrio tra le componenti statali. Se la magistratura vuole davvero servire il Paese deve avere una funzione inserita nello Stato, per quanto naturalmente non subordinata alla politica. Ma per fare questo, deve porsi dei problemi di tipo organizzativo. Nel primo governo Berlusconi ci avevamo provato, ma è ora di tornare su questi temi, modificando anche i codici e la struttura del processo penale». Quanto e come è cambiata la percezione dell’Italia all’estero in questi anni? «Moltissimo. Berlusconi ha ridato prestigio all’Italia, grazie a un governo finalmente stabile ed efficiente e una politica che lo vede protagonista in tutte le vicende di peso internazionale. Basti pensare a quanto è stato fatto per l’Europa nell’ultimo periodo in accordo con Sarkozy. La stessa disgregazione del “fronte” franco tedesco, che per anni ha reso difficile l’equilibrio interno europeo, credo si debba in gran parte proprio a Berlusconi e al ruolo che l’Italia ha recuperato nel contesto europeo e internazionale». Il Sud, tuttavia, continua a presentare problemi peculiari rispetto al resto d’Italia. Come viene percepita questa frattura all’estero? «Credo che gli squilibri del nostro Paese non siano più tanto da ricercarsi all’interno, quanto all’esterno, rispetto al contesto euro-
peo nel suo insieme. A differenza di quanto avveniva dieci anni fa, infatti, il problema non è integrare il Sud nell’Italia ma rispetto al resto d’Europa. Di qui le leggi obiettivo e gli interventi comunitari volti a unificare il territorio. a partire proprio dai progetti euromediterranei, a cui l’Europa tiene molto e su cui investe molte risorse». Quali sono le prime questioni che l’Italia dovrà portare all’attenzione del nuovo Europarlamento? «Due, essenzialmente. In primo luogo l’impegno a utilizzare fino in fondo, come avviene nel resto d’Europa, le ingenti risorse che l’Ue mette disposizione con i piani quinquennali. E questo, ancora una volta, soprattutto nell’interesse del Meridione, per cui i progetti euromediterranei sono assolutamente rilevanti. In secondo luogo, il completamento della Costituzione europea, con l’approvazione del trattato di Lisbona, da cui emerge un’Europa del tutto diversa e molto più vicina a quella che invochiamo da anni e che oggi forse si avvia finalmente a trasformarsi da orizzonte di intenti a realtà concreta». CAMPANIA 2009 | DOSSIER
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L’ANALISI Giulio Napolitano
LA FINANZA GLOBALE VOLTA PAGINA Un vuoto normativo decennale. Mancanza di controlli e di trasparenza. Il mercato globale deve essere ricostruito su nuove e più solide fondamenta. Giulio Napolitano, professore di diritto pubblico, spiega le cause che hanno portato alla crisi e indica la strada per uscirne FEDERICO MASSARI
a crisi finanziaria americana ha messo in evidenza i tanti, troppi, limiti della regolamentazione economica. Almeno un decennio di lacune giuridiche e di globalizzazione selvaggia che ha portato al crash i mercati mondiali. Per colmare questo vuoto, in vista del prossimo G8, il ministro Giulio Tremonti ha messo in piedi una commissione ad hoc. Una squadra di giuristi con il compito di avanzare proposte e riscrivere le regole del gioco che vedrà protagonisti, tra gli altri, Giulio Napolitano, ordinario di istituzioni di diritto pubblico nell’Università di Roma Tre. Secondo Napolitano, le cause scatenanti della crisi sono almeno quattro: «Eccessiva fiducia nella capacità di autoregolazione dei privati, mancanza di trasparenza dei mercati, “cattura” dei regolatori da parte dei regolati e intervento distorsivo da parte della politica». Si è così generata una bolla speculativa nella quale la copiosa disponibilità di capitale a costo ridotto ha incoraggiato il prestito a tassi di interesse vantaggiosi e un’offerta di mutui immobiliari particolarmente aggressiva. Da ciò è derivata la nascita di nuovi strumenti finanziari al fine di ridurre
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i rischi del prestito. «Ma il valore di questi strumenti – spiega – è stato spazzato via dall’incertezza circa l’entità e la durata della bolla e dal suo progressivo sgonfiarsi». Per il professore, l’ultimo fattore della destabilizzazione dei mercati è stato il mancato funzionamento dei controlli societari all’interno degli intermediari finanziari, travolti dal miraggio di facili guadagni ad appannaggio di manager e azionisti. «Fortunatamente, in Italia – puntualizza Napolitano – diversamente da quanto accaduto nei Paesi anglosassoni, gli operatori creditizi hanno perseguito strategie di business più prudenti e la vigilanza delle autorità pubbliche è stata più severa». Cartelli, monopoli, mancanza di concorrenza reale. Quanto questi fenomeni bloccano e hanno bloccato lo sviluppo strutturale del Paese? «L’Italia soffre tradizionalmente di un difetto di concorrenzialità e di competitività del suo sistema economico. Ciò è dovuto storicamente all’assetto corporativo della nostra società, al ruolo centrale di imprese e monopoli pubblici, alla protezione statale di molti settori industriali privati. Dall’inizio degli anni Novanta, però, abbiamo
cominciato a invertire la rotta: ci siamo dotati di una moderna legge antitrust, abbiamo istituito forti autorità indipendenti, privatizzato molte imprese pubbliche e, infine, liberalizzato diversi mercati, anche più di quanto abbiano fatto altri Paesi europei. In alcuni settori, come ad esempio le telecomunicazioni, si sono innescate dinamiche tecnologiche e competitive virtuose, di cui hanno beneficiato cittadini e consumatori. Ma lo sviluppo del Paese rimane ancora oggi frenato dalla ricerca di rendite e posizioni privilegiate, dai ritardi infrastrutturali, dall’incertezza del quadro legislativo e regolamentare. A ciò si aggiunga un dato ancora più di fondo: la scarsa mobilità della società italiana, i cui effetti negativi si ripercuotono sia sull’economia, sia sulla politica». Crede che l’Europa dovrebbe dotarsi di un corpus di leggi comuni per disciplinare le attività del settore bancario e creditizio, visto anche il proliferare di istituti di credito transnazionali presenti in diversi Paesi dell’Unione? «L’esigenza di una maggiore armonizzazione normativa è avvertita in molti settori dell’economia. Nel caso dei servizi
L’ANALISI
GIULIO NAPOLITANO Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico nell’Università degli Studi di Roma Tre, è entrato nel team di giuristi voluto dal ministro Giulio Tremonti per riscrivere le regole del mercato globale
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L’ANALISI Giulio Napolitano
«LO SVILUPPO DEL PAESE RIMANE ANCORA OGGI FRENATO DALLA RICERCA DI RENDITE E POSIZIONI PRIVILEGIATE, DAI RITARDI INFRASTRUTTURALI, DALL’INCERTEZZA DEL QUADRO LEGISLATIVO E REGOLAMENTARE» finanziari si sono fatti notevoli progressi, ma bisogna omogeneizzare anche i controlli. Servono forme più efficaci di coordinamento tra le autorità nazionali di vigilanza, anche attraverso la loro confederazione in un’unica Autorità europea o l’attribuzione di specifici compiti alla Banca centrale europea. Ma analoghi passi avanti vanno fatti anche in altri settori strategici, come le telecomunicazioni e l’energia, per superare le barriere nazionali ancora oggi esistenti nel mercato interno, favorire lo sviluppo della concorrenza e dell’innovazione, garantire un elevato livello di protezione di utenti e consumatori. Un maggior grado di armonizzazione della disciplina e di coordinamento dei controlli a livello europeo rapDOSSIER | CAMPANIA 2009
presenterebbe anche un prezioso antidoto all’adozione di misure protezioniste da parte degli Stati nazionali in risposta alla crisi». Si è parlato di fine del liberismo e della necessità di maggiori interventi pubblici in economia. Secondo lei è questa la strada da imboccare? «Sta ormai emergendo un diffuso riconoscimento sia dell’impossibilità di fare integrale affidamento sulla capacità del mercato di auto-regolarsi sia della necessità di risorse e investimenti pubblici per immettere liquidità e ridare fiducia al mercato nel breve termine. Ma il ruolo di quello che in un recente saggio ho chiamato lo “Stato salvatore” non va mitizzato. Lo Stato non è onnipotente. Anzi, se non si agisce con prudenza, anch’esso può fal-
lire. Inoltre, i suoi interventi nel capitale delle banche e sulle transazioni finanziarie devono essere temporanei e svolgersi all’interno di un ben preciso quadro di controlli istituzionali». Il capitalismo selvaggio è ormai tramontato. Su che basi e quali norme si ricostruirà, a suo parere, un nuovo sistema? «Per evitare altre crisi sono necessarie nuove regole e più efficaci controlli, sia a livello nazionale, sia a livello europeo. Vanno rafforzati i poteri dei “guardiani” dell’economia e i loro strumenti di intervento e di coordinamento. Infine, il commercio internazionale, come ha recentemente proposto il nostro ministro dell’Economia, deve rispettare alcuni standard legali globali, che garantiscano il rispetto di principi di trasparenza, correttezza e concorrenza. Ciò richiede un ruolo più attivo dell’Unione europea sulla scena mondiale e la creazione di istituzioni sovranazionali di governo dell’economia, anche se naturalmente non sarà un processo facile».