Dossier Campania 12 2010

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OSSIER CAMPANIA EDITORIALE ..............................................13 Raffaele Costa

L’INTERVENTO.........................................15

SERVIZI PUBBLICI LOCALI ........ 126 Giulio Napolitano

Maurizio Sacconi Mara Carfagna Giuseppe Mango

CONSULENZA .................................. 128 Grazia Di Donato

PRIMO PIANO

STRUMENTI PER L’IMPRESA ... 130 Esterino Cafasso ORGANIZZAZIONE DEL PERSONALE ............................ 133 Sonia Palmeri

IN COPERTINA .................................... 20 Stefano Caldoro LAVORO ................................................ 26 Severino Nappi Elena De Filippo Lina Lucci Franco Toffoletto Pietro Ichino Antonio Mastrapasqua IL MODELLO FIAT ............................ 46 Sergio Marchionne PLURALISMO ...................................... 52 Maurizio Gasparri POLITICA .............................................. 54 Clemente Mastella L’INCONTRO ....................................... 58 Assunta Almirante IL PAESE E LA POLITICA .............. 60 Bruno Vespa RITRATTI ............................................... 64 Tarcisio Bertone

ECONOMIA E FINANZA IMPRENDITORI DELL’ANNO ....... 68 Lazzaro Luce Francesco Savarese Antonio Spoleto Mario Parlato Bellomunno EXPORT ................................................. 80 Enrico Giovannini Umberto Vattani CONSUMI ............................................. 88 Carlo Sangalli ECONOMIA E IMPRESE ......................92 Paolo Graziano NAUTICA ............................................... 96 Corrado Antonini Anton Francesco Albertoni CONFINDUSTRIA ............................. 101 Giuseppe D’Avino Giorgio Fiore POLIZZE ASSICURATIVE ............ 108 Fabio Cerchiai Santi Giuffrè, Luigi Scotti POLITICHE AGRICOLE ................... 112 Giancarlo Galan Vito Amendolara TRASPARENZA ................................. 118 Massimiliano Dona RIFORMA FISCALE ........................ 122 Claudio Siciliotti

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MODA E TRADIZIONE ................... 134 Gaetano Marcellino IL SETTORE TURISTICO .............. 136 Angioletto De Negri


Sommario TERRITORIO RETE AEROPORTUALE ................ 140 Mario Valducci Sergio Vetrella Carmine Maiese IMPRENDITORI DELL’ANNO....... 148 Giovanni Cammarota Giovanni Velotto Massimo De Santo Antonio Sorrentino Patrizio Castellano DETTAGLI ARTIGIANALI .............. 158 Antonio Hallecher

AMBIENTE

SANITÀ

FOCUS ENERGIA.............................. 164 Stefania Prestigiacomo EDIFICI SOSTENIBILI..................... 160 Piero Gnudi Alfredo Frojo Stefano Saglia, Giovanni Lelli Chicco Testa INTERMEDIAZIONE IMMOBILIARE 162 Umberto Veronesi Stefano Mazza

POLITICHE SANITARIE.................. 218 Ferruccio Fazio

RIFIUTI ................................................. 180 Paolo Giacomelli Carlo Lamura Anna Ferrazzano

NATURALIZZAZIONE DEL PARTO 226 Ospedale Evangelico Villa Betania

DIRITTO E STRATEGIE AMBIENTALI......... 186 Armando Rossi

GIUSTIZIA LEGALITÀ ............................................ 188 Alfredo Mantovano Pietro Grasso Mario Morcone Luigi Giampaolino

DEFICIT SANITARIO ...................... 220 Raffaele Calabrò Angelo Lino Del Favero

CENTRI SPECIALIZZATI ............. 228 Tommaso Ricozzi e Claudio Riccio RIABILITAZIONE ............................. 230 Gianfranco Camisa ODONTOIATRIA ............................... 234 Gianfranco Vuolo GENIUS LOCI .................................... 236 Achille Bonito Oliva

RIFORME ............................................ 204 Niccolò Ghedini IL RUOLO DEL PENALISTA ........ 206 Franco Coppi I GRANDI PROCESSI ..................... 208 Gioacchino Sbacchi CULTURA DELLA MEDIAZIONE ... 212 Stefania Manfredonia Giancarlo Vigliotti LA CRISI DELLA GIUSTIZIA ........ 216 Mario Zarrelli CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 11



Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx L’INTERVENTO

Verso il nuovo statuto dei lavori di Maurizio Sacconi Ministro del Lavoro

I

l piano triennale per il lavoro si ispira a quella che io chiamo “antropologia positiva”, che vuol dire innanzitutto avere fiducia nella persona e nelle sue proiezioni relazionali, dalla famiglia alle imprese ai corpi intermedi, e nella sua attitudine a potenziare l’autonoma capacità dell’altro. L’esatto opposto di quell’antropologia negativa basata sul presupposto hobbesiano dell’homo homini lupus e, quindi, sulla malfidenza verso la persona e la sua attitudine verso gli altri. Quel presupposto sul quale è stato costruito il Leviatano, lo Stato pesante e invasivo che conosciamo e che vogliamo cambiare. Le linee d’azione sulle quali intendiamo muoverci sono tre: l’emersione dell’economia informale e un’efficace azione di contrasto dei lavori totalmente irregolari; la maggiore produttività del lavoro attraverso l’adattamento reciproco delle esigenze di lavoratori e imprese nella contrattazione di prossimità, le forme bilaterali di indirizzo e gestione dei servizi al lavoro, l’incremento delle retribuzioni collegato a risultati e utili dell’impresa; in terzo luogo, favorire l’occupabilità delle persone attraverso lo sviluppo delle competenze richieste dal mercato del lavoro, con particolare attenzione ai giovani e alle donne. In questa direzione, il Codice della partecipazione raccoglie la normativa comunitaria e nazionale, i disegni di legge, gli accordi sindacali, le buone pratiche realizzate in materia di partecipazione dei lavoratori

ai risultati e agli utili delle imprese. Esso rappresenta peraltro la base di partenza per eventuali sviluppi legislativi e contrattuali relativi al tema. Ai fini del passaggio dallo Statuto dei lavoratori allo Statuto dei lavori, è essenziale capirne l’idea ispiratrice. Vogliamo far rivivere lo Statuto dei lavoratori nella realtà che cambia. Una parte del nuovo Statuto, attinente ai diritti fondamentali della persona e del lavoro, deve restare ferma come norma inderogabile di legge. Un’altra parte, attraverso la contrattazione collettiva, si adeguerà meglio alle diverse condizioni e situazioni, così da rendere più efficaci quelle tutele. Il vecchio Statuto, che pure quarant’anni fa noi riformisti vivemmo come una grande conquista, è stato costruito per un’Italia che oggi non c’è più e per un’economia fordista, della grande fabbrica e delle produzioni seriali. Oggi i lavori sono “tanti” ed è doveroso proteggere, oltre che i lavoratori dipendenti, anche quelli indipendenti caratterizzati da debolezza socio-economica. Liberare il lavoro significa liberare i lavori. Vale a dire, incoraggiare nelle imprese l’attitudine ad assumere e a produrre lavori di qualità. A cogliere ogni opportunità di crescita, ancorché incerta. A realizzare, attraverso il metodo della sussidiarietà orizzontale e verticale e, quindi, l’incontro tra le parti sociali nei luoghi più prossimi ai rapporti di lavoro, le condizioni per more jobs, better jobs. CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 15



Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx L’INTERVENTO

Il mio impegno per le donne e per un Sud più avanzato

di Mara Carfagna Ministro per le Pari opportunità

N

el Mezzogiorno le donne che lavorano sono ancora poche. E questo determina un grave danno all’economia nazionale. Stiamo lavorando, insieme al ministero dello Sviluppo economico, nel quadro del più ampio Piano per il Sud, per reperire nuove risorse per favorire l’accesso al credito delle imprese femminili operanti nel Mezzogiorno, attraverso l’utilizzo della garanzia del fondo per le piccole e medie imprese. Il nostro obiettivo è il rifinanziamento della legge 215 del 1992, che giace da troppo tempo in Parlamento, e la mia idea è quella di circoscriverla al Meridione, anche dal punto di vista dell’imprenditoria. La creatività e il talento delle donne possono costituire una risposta concreta alla crisi economica che interessa il nostro Paese, soprattutto nel sud dell’Italia. Inoltre, abbiamo deciso di investire sui servizi a disposizione delle donne e, quindi, delle famiglie. Con il Piano di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, vogliamo sostenere concretamente le donne che, ogni giorno, si devono dividere tra la famiglia e il lavoro. Il piano consentirà la creazione e diffusione delle baby-sitter di condominio, le cosiddette tagesmutter, che subentrano nella cura del figlio mentre la mamma è al lavoro, ma anche l’istituzione di albi per le baby-sitter che garantiscano serietà e professionalità, e molte altre misure. Provvedimenti che si sommano al piano asili nella pubblica amministrazione, portato avanti insieme ai colleghi Brunetta e Giovanardi. Senza questi servizi, non si potrebbe neanche pensare di affrontare il problema delle basse percentuali di occupazione femminile, lontane da quelle del resto d’Europa. Di questo ci occupiamo con il ministro Sacconi e il pacchetto di misure denominato “Italia 2020”. Inoltre, la direttiva 54/2006 sulla parità di trattamento tra uomini e donne nel mondo del lavoro protegge dagli abusi sui luoghi di lavoro, di cui sono vittime soprattutto le donne, e stabilisce pesanti sanzioni, con multe fino a 50 mila euro, per

i datori di lavoro che discriminano in base al sesso. Ma c’è ancora molto da fare per la tutela di donne e bambini, e voglio proseguire su questa linea. Non mi posso accontentare dei risultati finora raggiunti, seppur positivi. Voglio migliorare il peso della quotidianità sulle persone, che siano in famiglia, in coppia o single, voglio che si sentano sicure nei loro spostamenti. Solo attraverso il libero arbitrio l’individuo sente di essere in grado di affrontare le dinamiche positive e negative della vita. Certamente bisogna studiare un sistema economico inclusivo, dove le donne possano trovare spazi d’azione per migliorare la vita lavorativa. Lo stiamo facendo, ma occorrono maggiori risorse. Nel corso di questi anni al ministero, mi sono concentrata anche sulle campagne di comunicazione perchè ritengo siano uno strumento molto importante per evidenziare la centralità dell’individuo, la sua dignità, il rispetto dell’altro e le differenze, che portano valore aggiunto in una società moderna e democratica. Più si riesce a entrare nelle case con messaggi che invitano a una sana convivenza civile, maggiore sarà il riscontro. Non mi stanco mai di dirlo: dobbiamo investire nelle nuove generazioni, saranno loro le donne e gli uomini che domani dovranno confrontarsi su temi così delicati. CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 17



Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx L’INTERVENTO

Contro il mercato del falso controlli capillari sul territorio di Giuseppe Mango Comandante della Guardia di Finanza Campania

I

risultati dell’attività di contrasto alla contraffazione mostrano un trend crescente di prodotti contraffatti rinvenuti e sottoposti a sequestro. Ciò è dovuto principalmente alla maggiore richiesta da parte dei consumatori che, in un periodo caratterizzato da particolari ristrettezze economiche, si indirizzano verso prodotti a buon mercato, rinunciando, però, alla sicurezza ed esponendosi al rischio di pesanti sanzioni pecuniarie, che possono giungere fino a 7.000 euro. In Campania sono stati sequestrati contanti e valori per circa 7,3 milioni di euro e ben 138 unità immobiliari, tra opifici, depositi e sedi aziendali. Anche l’inasprimento delle pene ha avuto tangibili riscontri: fino ad agosto, su 1.240 persone denunciate, 85 sono state tratte in arresto. Da gennaio 2009 ad agosto 2010 abbiamo sequestrato, evitando che venissero immessi sul mercato, oltre 13 milioni di capi di abbigliamento e accessori, più di 3,5 milioni di giocattoli, circa 750mila elettrodomestici, attrezzi da lavoro e altri utensili, 350 mila prodotti informatici, quali computer e processori. Per dare un’idea dello sforzo profuso a tutela dell’economia nazionale e dei consumatori, posso ricordare l’operazione “Felix”, portata a segno dagli uomini del nucleo di Polizia tributaria di Napoli e coordinata dalla Procura della Repubblica partenopea. Le indagini hanno permesso di individuare e smantellare tre distinte associazioni criminali, composte da italiani, cinesi e maghrebini, che si occupavano della produzione in Campania, dell’importazione dalla Cina e della commercializzazione su tutto il territorio nazionale di capi d’abbigliamento contraffatti di note griffe internazionali. Cinquantasette le persone raggiunte da provvedimenti di cattura, 4 gli opi-

fici clandestini scoperti e più di 422mila i prodotti contraffatti sequestrati. Inoltre, segnalo l’operazione “Gomorrah”, condotta dalla Guardia di Finanza di Napoli in collaborazione con il reparto Scico e coordinata dalla Dda di Napoli, che ha permesso di disarticolare un’organizzazione criminale transnazionale, con base a Napoli, dedita all’importazione dalla Cina e alla commercializzazione di vari prodotti contraffatti in alcuni Stati europei, in Australia e in altri Paesi. Nove gli arresti in Italia, decine di perquisizioni nei diversi Paesi europei, oltre al sequestro di beni per un valore di oltre 9 milioni di euro. Un accenno merita le avanzate tecnologie informatiche di cui tutti i reparti della Guardia di Finanza sono dotati che, oltre ad agevolare l’ordinario lavoro investigativo e di analisi, consentono un monitoraggio continuo dei siti di commercio elettronico e di aste online per prevenire e reprimere comportamenti illeciti a danno dei consumatori. A ciò si aggiunge la collaborazione continua del Corpo con i gestori dei siti web, che si realizza attraverso uno scambio intenso di informazioni, sempre nel rispetto delle norme che tutelano la privacy degli utenti. Il Corpo, poi, ha istituito a livello centrale, un’apposita articolazione altamente specializzata, il nucleo speciale Frodi telematiche, meglio noto come Gat, preposto istituzionalmente al contrasto dei reati informatici o che vengono, comunque, consumati attraverso internet. Si tratta di un reparto che, oltre a operare autonomamente, può fornire ausilio a tutte le componenti territoriali del Corpo che abbiano necessità di sviluppare indagini particolarmente sofisticate nel web, comprese quelle relative al commercio di beni contraffatti. CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 19


IN COPERTINA

L’IMPEGNO PER IL FUTURO DELLA CAMPANIA Nonostante «la pesante eredità» lasciata dalla precedente amministrazione, la Giunta regionale guidata da Stefano Caldoro in questi mesi ha approvato cinque piani. Dalla stabilizzazione finanziaria al piano per il lavoro, dalla riorganizzazione della rete ospedaliera al piano casa, fino alla gestione dei rifiuti speciali Nike Giurlani

«P

ortare la Campania a essere una regione “normale”». Questo l’obiettivo del presidente Stefano Caldoro, che ripercorre i suoi primi mesi alla guida della Regione Campania. «Per vincere questa sfida, però, c’è bisogno della partecipazione attiva di tutti, ognuno deve fare la sua parte, nel rispetto del proprio ruolo». E per ripartire, le parole d’ordine dovranno essere «risanamento dei conti, rigore e, contemporaneamente, rilancio

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dello sviluppo». Idee chiare anche per l’emergenza rifiuti: «bisogna puntare sulla raccolta differenziata e sugli impianti intermedi che hanno tempi di realizzazione di circa 12-16 mesi». Inoltre, per rendere la regione autosufficiente nello smaltimento dei rifiuti verranno introdotti dei termovalorizzatori «che completeremo nei prossimi 36 mesi». Infine, la sanità. Al riguardo è stato realizzato un «piano di riqualificazione sanitaria della rete ospedaliera e assistenziale», che sarà «flessibile e moderno

e porterà benefici ai pazienti» sottolinea Caldoro. Ultima ma non meno importante, la lotta alla criminalità. «Ci stiamo adoperando – conclude il governatore – per accorpare la ricchissima legislazione regionale in materia di sicurezza, legalità e contrasto alla criminalità organizzata». Dal momento del suo insediamento a oggi, quali sono stati i principali progetti e interventi che è riuscito ad attuare? «Fin dal primo giorno del mio insediamento in Regione mi sono con-


Il presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro


IN COPERTINA

frontato con la pesante eredità la- decreti varati. Una rivoluzione cul- chiarato che fra circa tre anni la sciata da 15 anni di cattiva amministrazione. Nonostante queste difficoltà, con la Giunta ci siamo immediatamente rimboccati le maniche, producendo già in questi pochi mesi di governo risultati importanti. Sono cinque i piani approvati, quello di grande rilievo per la stabilizzazione finanziaria e il piano per la riorganizzazione della rete ospedaliera, che vanno ad agire laddove vi sono le maggiori criticità dal punto di vista economico, effettuando una razionalizzazione delle risorse e una migliore organizzazione delle strutture e del personale. È stato approvato il piano per il lavoro, che prevede un impegno finanziario da 600 milioni rivolto a circa sessantamila disoccupati tra giovani, donne e senza lavoro di lunga durata. Di pari importanza è stata l’approvazione del piano casa, strumento rivoluzionario e innovativo e l'importante piano per la gestione dei rifiuti speciali. Oltre a questi, possiamo stimare oltre ottomila tra delibere e

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turale rispetto alla tendenza che c’era di non ricorrere tanto ai piani quanto a una contrattazione continua di finanziamenti a fondo perduto». Quali i punti chiave della manovra di bilancio per risanare l’indebitamento ereditato? «Abbiamo ereditato un vero e proprio disastro contabile, la drammatica situazione debitoria, d’altra parte, è stata ben evidenziata dalla dura relazione degli ispettori ministeriali inviati da Tremonti su nostra sollecitazione. Abbiamo da subito messo in campo tutte le misure di contenimento necessarie, però il percorso è ancora lungo e ci vorrà del tempo. Le parole d’ordine per il prossimo anno dovranno essere risanamento dei conti e rigore ma, contemporaneamente, rilancio dello sviluppo. Il cambio di passo comunque già c’è stato, soprattutto nell’aver previsto una programmazione che non ha precedenti nella storia degli ultimi dieci anni di questa regione». Emergenza rifiuti. Lei ha di-

Campania avrà un sistema di smaltimento adeguato. Quali le principali criticità da affrontare? «Anche nell’emergenza rifiuti paghiamo ritardi e inefficienze d’anni. Per troppo tempo in Regione non si sono prese decisioni necessarie a risolvere la questione. Nel 2008, grazie all’aiuto del governo, si riuscì a superare una crisi di proporzioni ben più ampie dell’emergenza che abbiamo vissuto in quest’ultimo periodo. Da allora, però, l’ente regionale non ha posto le basi per portare a compimento un ciclo integrato dei rifiuti a prova d’intoppo. Bisogna puntare sulla raccolta differenziata e sugli impianti intermedi che hanno tempi di realizzazione che vanno dai 12 ai 16 mesi. Stiamo accelerando sulla realizzazione dei termovalorizzatori che completeremo nei prossimi 36 mesi, questi ultimi sono indispensabili a rendere la regione autosufficiente nello smaltimento. Tutto questo ci permetterà non solo di garantire la pulizia delle strade,


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Stefano Caldoro

In Campania deve accadere quello che avviene in altre regioni e paesi d’Europa: il ciclo dei rifiuti deve divenire un ciclo che produca energia e attività industriali

ma di far diventare il ciclo dei rifiuti un ciclo produttivo. In Campania deve accadere quello che avviene in altre regioni e paesi d’Europa: il ciclo dei rifiuti deve divenire un ciclo che produca energia e attività industriali». In tema di contrasto alle organizzazioni camorristiche, lei ha auspicato che la politica affronti senza divisioni le tematiche della legalità e della sicurezza. Quali le

iniziative che sta promuovendo la Regione al riguardo? «La Regione pone grande attenzione alla questione legalità con varie iniziative, anche attraverso il suo braccio operativo, la fondazione Polis, che si occupa di sostenere i familiari delle vittime della criminalità. Ci stiamo, inoltre, adoperando per accorpare la ricchissima legislazione regionale in materia di sicurezza, legalità e contrasto alla criminalità organizzata. È una delle iniziative a cui stiamo lavorando per mettere insieme tutto ciò che è stato fatto, così da offrire strumenti più semplici che rendano più efficace l'azione di contrasto alla criminalità. Un esempio è il riutilizzo dei beni confiscati alla camorra. Magistratura e forze dell’ordine fanno un lavoro straordinario, a questo dobbiamo poi aggiungere l'importanza che può avere mostrare cosa succede in queste terre che vengono sottratte alla criminalità e affidate ai giovani, alle cooperative sociali. Questo significa far capire la differenza tra il prima e il dopo». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 23


IN COPERTINA

Con il piano ospedaliero messo a punto siamo riusciti a dare un segnale positivo e ad avere un atteggiamento virtuoso in termini economici

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Lei ha tenuto per sé la delega alla sanità. Su cosa si è concentrato il suo lavoro in questo ambito? Quali i prossimi progetti e le problematiche da affrontare? «Stiamo lavorando intensamente per garantire il benessere della persona in Campania, a partire dal piano di riqualificazione sanitaria della rete ospedaliera e assistenziale, non un piano rigido e calato dall’alto ma flessibile e moderno, che porterà benefici ai pazienti. Con il piano ospedaliero messo a punto siamo riusciti a dare un segnale positivo e ad avere un atteggiamento virtuoso in termini economici. Il governo, riconoscendo l’importanza dell’azione di risanamento dei conti portato avanti nel settore sanitario dalla Regione, ha già sbloccato per la Campania parte dei fondi accantonati». Quali le principali sfide per il

nuovo anno? «L’obiettivo principale è quello di portare la Campania a essere una regione “normale”. Per vincere questa sfida c’è bisogno della partecipazione attiva di tutti, ognuno deve fare la sua parte, nel rispetto del proprio ruolo. Pochi giorni fa ho lanciato la proposta dei “comitati per il sì”, per stimolare il coinvolgimento della società civile. Basta alla logica del “no” a prescindere, i comitati per il sì devono rimanere fuori dalla politica, proporre idee su cosa si vuole fare, dire sì su un determinato argomento e concentrarsi su quell’aspetto per dare vita alla cultura civica. Parlare solo di ciò che non si vuole non sempre è d’aiuto perchè occorre proporre idee su cosa si vuole fare. Dobbiamo dire cosa desideriamo per il futuro. Questa è una sfida che accolgo e che lancio per il prossimo anno».



LAVORO

Un piano d’azione per il lavoro che includa i giovani immigrati Lo sfruttamento del lavoro e l’integrazione delle seconde generazioni sono le principali criticità sul fronte immigrazione. L’assessore Severino Nappi risponde schierando misure per favorire l’occupazione e la formazione professionale Michela Evangelisti

L

a Campania conferma il proprio ruolo di regione guida del fenomeno migratorio nel meridione d’Italia. Sul territorio regionale al 31 dicembre 2009, secondo dati Istat, dimoravano 147.057 cittadini migranti, ovvero il 3,5% del totale nazionale. Il dossier immigrazione della Caritas/Migrantes stima, invece, una presenza di circa 202.647 unità, pari al 4,1% del totale nazionale. Tra le province campane il primato d’accoglienza è saldamente detenuto da quella di Napoli, che ospita ben il 46,9% degli immigrati regolari residenti in regione. Seguono Severino Nappi, assessore la provincia di Saregionale al Lavoro, con il formazione e orientamento lerno professionale, politiche 22,8% e quella di dell’emigrazione e Caserta con il dell’immigrazione 19,6%. Secondo Severino Nappi, assessore regionale al Lavoro e alle politiche dell’immigrazione, si può parlare di un “modello campano” d’immigrazione, che ha iniziato a delinearsi già dagli anni 70 e che si sviluppa attorno a due tipologie di insediamento. «Nelle aree metropolitane trovano inserimento prevalente26 • DOSSIER • CAMPANIA 2010

mente le donne, nel settore della collaborazione familiare e domestica – spiega l’assessore –, mentre in quelle periferico-rurali si stabilisce soprattutto la popolazione migrante maschile». Quali sono attualmente le principali problematiche relative all’immigrazione rilevabili sul territorio? «Le problematiche possono ricondursi essenzialmente allo sfruttamento lavorativo e alla tematica delle cosiddette “seconde generazioni”. Secondo uno studio del Cnel, la Campania si colloca al penultimo posto della graduatoria na-

zionale, nella cosiddetta “fascia minima”, riguardo al potenziale territoriale d’integrazione socio-occupazionale dei cittadini stranieri. Ciò significa che la condizione socioeconomica regionale non è nel complesso molto confortante, ed è aggravata dalla crisi economica in atto, che sta penalizzando in particolar modo le fasce più deboli della popolazione». E per quanto riguarda l’integrazione delle seconde generazioni? «Rappresenta non solo un punto cruciale dei fenomeni migratori, ma anche una sfida per la coesione sociale e un fattore di trasformazione delle società riceventi. Con i ricongiungimenti familiari e l’arrivo di minori nati altrove, così come attraverso la nascita e la socializzazione di figli nati nel Paese d’insediamento, vengono alla ribalta alcuni nodi fondamentali per l’integrazione sociale, che venivano occultati o posposti finché si trattava di immigrati di prima generazione, di cui si immaginava un rientro in patria in un futuro non lontano. Nell’ambito delle comunità immigrate, proprio la nascita e la socializzazione delle seconde ge-


Severino Nappi

nerazioni rappresentano un momento decisivo per la presa di coscienza del proprio status di minoranze ormai entrate a far parte di un contesto diverso da quello della società d’origine. I giovani delle seconde generazioni subiscono in realtà un processo d’assimilazione sui generis, ovvero sono socializzati agli stili oppositivi e ai comportamenti devianti dei giovani marginali appartenenti alle minoranze interne o insediati nei ghetti urbani. Ovviamente, parliamo di rischio eventuale che, come tale, può e deve essere scongiurato».

Quali politiche state adottando per arginare queste due criticità? «L’assessorato sta puntando con decisione sull’utilizzo di misure inerenti l’occupazione e la formazione professionale che coinvolgano appieno anche la popolazione migrante e le sue seconde generazioni. Anche all’interno del piano d’azione per il lavoro, approvato dalla Giunta, è prevista una misura specifica per l’integrazione e la regolarizzazione del lavoro degli immigrati, sulla quale sono stati appostati 8milioni di euro, destinati a giovani immigrati che, completato il percorso scolastico, intendono inserirsi nel mondo del lavoro e conseguire una specifica qualificazione professionale direttamente sul campo». Quanto l’istruzione è importante per l’integrazione degli immigrati di seconda generazione? «Il vaglio dei dati relativi al mondo della scuola ci mostra un’incidenza dei minori migranti dell’1,5% sul

totale regionale degli alunni. Un numero che, sebbene statisticamente rilevante, è di gran lunga inferiore rispetto ad altre aree del Paese. In Campania nella scuola dell’infanzia troviamo concentrato il 15,6% del totale dei minori, mentre il 35,6% frequenta la scuola primaria: dunque, per il 51,2%, si tratta di bambini piuttosto piccoli. È necessario puntare alla conservazione dei tratti identitari minoritari, che se debitamente rielaborati e adattati al nuovo contesto diventano una risorsa per i processi d’inclusione e, in modo particolare, per il successo scolastico e professionale. È su queste premesse che cercheremo di definire processi virtuosi di valorizzazione delle seconde generazioni di immigrati. Il fatto di trovarci di fronte a bambini piuttosto piccoli ci mette nella condizione di operare proficuamente per scongiurare quel rischio banlieue con il quale, presto o tardi, anche il nostro Paese dovrà confrontarsi, a meno CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 27


LAVORO Stranieri residenti a Napoli provenienti da Paesi a forte pressione migratoria per municipalità 31 dicembre 2009 3400 3200 3000 2800 2600 2400 2200 2000 1800 1600 1400 1200 1000 800 600 400 200 0

Mu nic ipa lità 1 Mu nic ipa lità 2 Mu nic ipa lità 3 Mu nic ipa lità 4 Mu nic ipa lità 5 Mu nic ipa lità 6 Mu nic ipa lità 7 Mu nic ipa lità 8 Mu nic ipa lità 9 Mu nic ipa lità 10

maschi femmine

Fonte: Comune di Napoli - Servizi Statistici

che non s’intervenga per tempo e «La crisi economica e sociale che sta misure di sostegno di cui le famiglie nella giusta maniera». Aggressioni a immigrati e clochard sono fatti di cronaca che fanno riflettere. Come i campani percepiscono l’immigrazione e quanto l’avvertono come un rischio?

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investendo il territorio campano sta penalizzando in particolar modo le fasce più deboli della popolazione, che stanno vedendo diminuire non solo le possibilità occupazionali, i redditi e la capacità d’acquisto, ma anche i servizi sociali e tutte quelle

più disagiate hanno maggiormente bisogno. L’aumento spaventoso delle disuguaglianze sociali porta, purtroppo, a fenomeni di malessere quali il piccolo furto, il bullismo, l’aumento della prostituzione minorile, nonché all’incremento nel consumo di alcool e di sostanze stupefacenti. In questo scenario, i cittadini migranti sono, senza ombra di dubbio, tra i soggetti più esposti. Ma c’è da essere fiduciosi, rammentando la secolare tradizione di tolleranza e di ospitalità dei campani e la loro notevole dimestichezza nel confrontarsi e nel convivere con lo straniero, con l’altro». A Napoli gli immigrati si concentrano principalmente nella zona di Mercato, Pendino, Avvocata, Montecalvario, Porto, San Giuseppe. Quale panorama s’incontra aggirandosi per le vie di queste aree della città? «Gli immigrati non abitano sol-


Severino Nappi

tanto il territorio della II Municipalità, bensì sono presenti un po’ dappertutto nel centro storico di Napoli, come pure nei quartieri periferici e nella zona collinare, nonché nei quartieri residenziali. Il panorama in cui ci s’imbatte passeggiando per Napoli è contrassegnato in positivo da tanta diversità, che rappresenta anche una grande ricchezza: i negozi etnici, i raduni delle varie comunità al giovedì pomeriggio e alla domenica, bambini italiani e stranieri che giocano insieme, i mercatini etnici che, a cadenze fisse, animano quartieri della città in precedenza deserti. Sono segnali reali che testimoniano il cambiamento in atto in una società che va trasformandosi in realtà multietnica: dovremo però essere capaci di governare, in maniera adeguata, un cambiamento del genere. I migranti vanno aiutati a essere protagonisti di questo cambiamento: occorre favorirne l’associazionismo, individuare ambiti in

cui gli immigrati stessi possano assurgere al ruolo di soggetti attivi nella divulgazione di informazioni e nella costruzione di risposte ai problemi che li riguardano. Forse la nostra realtà offre un terreno propizio per sperimentazioni innovative che potrebbero avere un valore emblematico per l’intero Paese». Infine un cenno all’immigrazione irregolare: quanto e in che modo questo problema interessa Napoli e la Campania? «Tentare di quantificare l’immigrazione irregolare, in regione come a livello nazionale, è impresa alquanto ardua. Ricordo di aver letto, qualche tempo fa, che alle stime ufficiali andrebbero aggiunti, secondo il coordinamento immigrati della Cgil regionale, non meno di 50.000 immigrati irregolari soggiornanti sul territorio campano; tra questi ultimi, secondo dati diffusi dalla Comunità

di Sant’Egidio e dalla Croce Rossa di Napoli, si troverebbe anche il 75% dei 1.500 senza dimora che vivono nella sola città partenopea. Sicuramente sono numeri importanti, sui quali riflettere. Ovviamente, il contrasto dell’immigrazione irregolare e clandestina è di pertinenza dello Stato: tuttavia gli enti locali possono fare molto nel sostenere quanti si occupano di queste problematiche. Vanno inoltre perseguiti con forza quanti lucrano sulla pelle dei migranti irregolari, sui quali fa ottimi affari anche il crimine organizzato; purtroppo la necessità di uscire dalla crisi ha abbassato il livello delle regole, favorendo il caporalato e indebolendo il versante dei diritti, e i primi a pagarne le conseguenze sono proprio gli immigrati». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 29


LAVORO

Imprenditorialità e integrazione Un modello non facile né scontato, ma l’unico possibile. Elena de Filippo, docente di sociologia delle migrazioni all’Università Federico II di Napoli, illustra criticità, conflitti e ricchezze del welfare interculturale Michela Evangelisti

L

a società multirazziale è un fenomeno inarrestabile, strettamente legato al processo di globalizzazione in corso e sempre in bilico tra facili buonismi e condannabili episodi di violenza e razzismo. Un modello sul cui funzionamento e sul cui futuro non possiamo smettere di interrogarci: ad esempio, nell’ambito di un welfare multietnico dobbiamo dare per scontata la perdita totale o parziale da parte di uno o più soggetti coinvolti delle proprie specificità culturali? «Ciò non è mai auspicabile per i rischi che comporta – spiega

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Elena de Filippo –, vuoi per l’impoverimento complessivo che ne scaturirebbe, vuoi perché individui, collettivi o comunità, privati della loro identità, inevitabilmente corrono rischi di marginalizzazione e incattivimento». Secondo la sociologa, appurato che il fenomeno immigrazione è un dato strutturale della nostra società, il modello interculturale è l’unico immaginabile per il welfare futuro: un processo non facile, ma l’unico possibile date le attuali condizioni. «È importante pensare a misure e politiche che mirino non tanto all’integrazione, concetto che presuppone vi sia un debole che deve adeguarsi al più forte, con conseguente perdita per il primo di identità – aggiunge la docente –, ma piuttosto a costruire interazione, valorizzazione reciproca e convivenza fra le varie culture». Quando l’immigrazione non integrata può sfociare in situazioni di rischio sociale? Quali sono gli indicatori della soglia di

In basso, a sinistra, Elena de Filippo, docente a contratto di Sociologia delle migrazioni all’Università degli studi di Napoli Federico II e presidente della cooperativa sociale Dedalus

pericolo? «Se non c’è integrazione c’è sempre il rischio di conflittualità sociale. La mancanza di integrazione determina nei gruppi che la subiscono rigidità, rabbia, elevato rischio di scivolare in percorsi di marginalità e devianza, quindi di entrare in contrasto con la parte “altra” della popolazione, qualunque essa sia; può trattarsi anche di altri migranti arrivati prima e già capaci di convivere e includersi. Alcune condizioni che possono costituire campanelli d’allarme di future tensioni sociali sono la precarietà di vita e di lavoro, il mancato accesso ai servizi, uno scarso inserimento dei minori nella scuola,


Elena de Filippo

soprattutto quella dell’obbligo». L’integrazione economica degli stranieri nel nostro Paese sta migliorando, con una forte componente di imprenditorialità degli immigrati. Può essere un primo passo verso un’integrazione anche culturale e sociale? «Sì, l’inserimento stabile nel mercato del lavoro e l’aumento delle esperienze di imprenditorialità migrante sono sicuramente un passo importante nella costruzione di convivenza e interazione. Ci sono tuttavia ancora differenze molto significative a livello territoriale in Italia e tra i diversi gruppi nazionali. Ci tengo, inoltre, a precisare che il livello economico, seppur fondante e fondamentale, non può essere l’unico parametro su cui valutare i gradi di “integrazione”. Il riconoscimento dei diritti, le pari

opportunità di accesso ai servizi, la possibilità di accedere a buoni livelli abitativi, il poter godere di spazi di relazione e affetto sono elementi altrettanto importanti». Differenza culturale e intergenerazionale tra immigrati di prima e seconda generazione, matrimoni tra italiani e stranieri: quali pericoli queste dinamiche in crescita portano con sé? «Se ben gestiti le differenze culturali, le relazioni tra generazioni, i matrimoni misti possono essere delle importanti risorse verso un cammino di reciproca e arricchente contaminazione. Certo per essere fattori positivi devono essere inseriti in un contesto di politiche non sbilanciate soltanto verso il livello repressivo e di controllo, ma calibrate su un equilibrio tra tale piano, da un lato, e le politiche di

cittadinanza dall’altro». C’è un limite massimo di immigrazione che un Paese può sopportare, oltre il quale possono insorgere episodi anche di violenza, come le rivolte nelle banlieue in Francia? Si tratta di un pericolo che possiamo correre anche in Italia? «Innanzitutto i numeri ci mostrano che, rispetto ad altri Paesi europei, il nostro tasso d’immigrazione è ancora relativamente basso. Detto questo, dati gli attuali rapporti internazionali, è impossibile immaginare, almeno nell’immediato, un esaurimento dei flussi; credo si tratti di accompagnare tale fenomeno con politiche di inclusione e accoglienza, capaci, proprio perché diffuse e accessibili, di far emergere ciò che è sommerso. Solo quello che si conosce, infatti, può essere da un lato governato, dall’altro liberato dai rischi di marginalità e devianza, evitando così quei processi di ghettizzazione che alla fine producono le banlieue. Ad esempio, se l’Italia seguisse una CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 31


LAVORO

L’inserimento stabile nel mercato del lavoro è sicuramente un passo importante nella costruzione di convivenza e interazione

direttiva della Ue che invita gli cittadini immigrati e le problema- «Le problematiche sono molteStati membri a riconoscere un permesso di soggiorno temporaneo e rinnovabile ai migranti che denunciano situazioni di sfruttamento e lavoro nero, molto probabilmente s’innescherebbe un percorso di emersione, e, contemporaneamente, di contrasto dell’illegalità, con un recupero importante di risorse economiche attualmente sottratte allo Stato». A Napoli cingalesi e cinesi costituiscono una delle etnie più numerose e tendono, rispetto agli immigrati di altre etnie, a muoversi per nuclei familiari, praticando un’immigrazione di tipo stanziale. Questa modalità si presta meglio all’integrazione? «Sicuramente laddove vi è un’immigrazione più stabile i bisogni dei 32 • DOSSIER • CAMPANIA 2010

tiche che la comunità locale vive sono più chiari e maggiormente conosciuti, e quindi è più facile progettare interventi e politiche locali. Nella realtà la presenza di nuclei familiari porta con sé un insieme di domande - di servizi per la famiglia, per i minori, di conciliazione lavoro-maternità per la donna - che stentano a essere prese in carico da modelli di welfare deboli come quello che caratterizza Napoli e la sua provincia, dove, per esempio, i servizi per l’infanzia e per il sostegno alla genitorialità sono ancora carenti». Quali sono le principali problematiche legate all’immigrazione a Napoli e cosa l’amministrazione cittadina dovrebbe fare per favorire l’integrazione?

plici, dalla scarsità di servizi dedicati alla mancata preparazione di alcune istituzioni, come la scuola e i servizi sanitari, a entrare in relazione con i nuovi cittadini. Per non parlare dell’inserimento in un mercato del lavoro ancora troppo spesso - fenomeno che peraltro ormai interessa anche molti italiani caratterizzato da forme irregolari, sommerse, e da uno sfruttamento a volte particolarmente grave e pesante. Inoltre le ricadute della crisi, che oramai da qualche anno colpiscono e frammentano i legami solidali e le reti di economia informale che permettevano a molti la sopravvivenza, iniziano a innescare anche in città pericolosi meccanismi di competizione, conflittualità sociale e intolleranza».



LAVORO

Serve una netta inversione di rotta Il lavoro nero rappresenta una piaga per tutti i lavoratori, immigrati o meno. Per questo motivo, Cisl Campania sta mettendo in campo proposte e iniziative per incentivare l’emersione e la collocazione sul mercato. Lo spiega il segretario generale Lina Lucci Francesca Druidi

L

a Campania ha il livello più elevato di lavoro sommerso o in nero, come testimonia il dato in base al quale 17 lavoratori su cento sono irregolari. A sottolinearlo è Lina Lucci, segretario generale della Cisl Campania. «Gli immigrati irregolari sono sicuramente più dei 35mila censiti dalla Caritas, ma il lavoro nero riguarda loro come tanti campani». Cisl Campania ha avanzato, in questo senso, una proposta concreta per favorire l’emersione. «Tanti ragazzi possiedono una professionalità acquisita sul Lina Lucci, segretario generale della Cisl campo e non diCampania mostrabile perché il

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lavoro è in nero. Attraverso gli enti bilaterali, con una prova d’arte e laddove necessario - una breve integrazione della formazione, possiamo certificare il possesso delle competenze per favorirne la spendibilità sul mercato». Non rappresenta un’opzione risolutiva, ma sicuramente si tratta di una misura che, se sperimentata, può dare buoni risultati. «L’auspicio – aggiunge Lina Lucci – è che il 2011 sia questo: un anno di inversione netta di rotta, di grande concretezza e di volontà di sperimentare vie nuove, concertate e votate a uno sviluppo sano e duraturo». È importante però, secondo il segretario generale, che la politica smetta di cercare alibi e di gestire i problemi, iniziando a trovare soluzioni. La situazione occupazionale in Campania rimane piuttosto critica. Quali le aree e i settori che oggi soffrono maggiormente? «La crisi campana purtroppo investe tutti i settori dell’economia e si innesta su una situazione già resa drammatica da decenni di politiche inadatte e senza una reale pro-

grammazione. Tuttavia, mentre della congiuntura negativa riguardante l’industria si sa e vi sono stati appositi interventi dedicati, vi è tutto il comparto dell’artigianato che vede progressivamente scomparire posti di lavoro e ditte in un silenzio assordante. Il presidente Stefano Caldoro bene ha fatto a porre come precondizione per pianificare il futuro della regione, la necessità di garantire rigore nei conti e riduzione della spesa. Ora però è giunto il momento di passare a una fase nuova». Lei ha, infatti, rimarcato la necessità di dare un nuovo passo alla politica economica regionale. Quali a suo avviso le misure più urgenti da adottare? «Manca un piano per lo sviluppo e uno dedicato ai tra-


Lina Lucci

sporti. Occorre scegliere i settori su cui puntare prioritariamente, per Cisl Campania si tratta di quelli con il più alto valore aggiunto e ispirati all’eccellenza. Verso questi comparti si devono poi direzionare non solo le misure messe in atto dall’Assessorato alle Attività produttive, ma anche

Tanti ragazzi possiedono una professionalità acquisita sul campo e non dimostrabile perché sono lavoratori irregolari

quelle relative alla formazione, al lavoro, alla ricerca scientifica. Contemporaneamente, serve un piano antisprechi che coinvolga anche gli enti sub regionali. Abbiamo rinnovato al presidente della Regione la disponibilità a partecipare a un tavolo che coinvolga Province e Comuni per invertire un trend insopportabile, ovvero l’aumento continuo della tassazione locale a fronte di servizi assolutamente inesistenti. Con un tavolo unico si possono evitare anche anomalie, come quella della Provincia di Napoli, che in una situazione di enorme difficoltà per i rifiuti si è preoccupata soltanto di dare 600mila euro di consulenze». Cosa chiede alle istituzioni in questo particolare momento? «Le istituzioni centrali devono mostrare nei fatti quell’attenzione per

il Sud che finora è stata molto dichiarata e poco concretizzata. Che fine hanno fatto, per esempio, le zone franche? E poi il federalismo deve ispirarsi a reali principi di solidarietà, altrimenti dal territorio vi sarà una risposta molto chiara. Sul piano regionale, occorre cambiare passo: più rapidità di azione, dopo la legge regionale sul lavoro ci vogliono i primi bandi; vanno accorpate le società e gli enti partecipati per ridurre i costi inutili, il dialogo con le parti sociali deve essere stabile e le decisioni consequenziali. D’altro canto, la politica in questi decenni in Campania in particolare ha perso moltissimo della sua credibilità. Le parti sociali possono essere fondamentali anche in questo, nel dare fiducia ai cittadini rispetto alle scelte che saranno adottate». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 35




POLITICA

Guidare Napoli alla normalità

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ell’attuale situazione economica e sociale del Paese, dove la politica attraversa un momento di grande instabilità e incertezza, «la questione meridionale non va sepolta, non va trascurata o eliminata». Lo sostiene con forza Clemente Mastella, europarlamentare e segretario dei Popolari per il Sud. Con la nascita del Terzo Polo, il bipolarismo sta vivendo una crisi irreversibile o si tratta di una fase transitoria? «Io credo che il bipolarismo sia sempre stato un vestito stretto per la realtà italiana, bisogna, però, tenere conto di un dato: il bipolarismo esisteva anche nella Prima Repubblica, che si “reggeva” su due partiti “pianeti”, come Pc e Dc, attorno ai quali ruotavano i “satelliti”. La stessa situazione, tutto sommato, può verificarsi anche oggi, tranne che per un fattore di criticità: quando tu fai compiere dei passi forzati alla natura, poi la natura tende a prendere il sopravvento. Sia nel centrosinistra che nel centrodestra. Questo determina una crisi, anzi ritengo che la crisi sia ormai strutturale nel sistema. Ciò è dimostrato dal fatto che anche quando si parte con grandi maggioranze poi queste finiscono per restringersi. È successo con il governo Prodi e anche con questo governo, che ha iniziato il suo percorso con una maggioranza enorme e alla fine vive di stenti sul

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Da tempo ha annunciato la sua candidatura a sindaco di Napoli. Per un senso di responsabilità di fronte alle condizioni non più sostenibili in cui versa il capoluogo campano. Clemente Mastella parla dei suoi obiettivi futuri. Lanciando uno sguardo all’attuale scenario politico italiano Francesca Druidi

piano parlamentare». fatto che non siamo all’interno del Quale sarebbe, a suo avviso, la recinto parlamentare italiano. prospettiva migliore per il bene Stiamo, però, costruendo la nostra del Paese, terminare la legisla- rete di rapporti, soprattutto nel tura oppure andare alle elezioni? Mezzogiorno perché riteniamo che «L’interruzione di una legislatura questa questione debba riemergere rappresenta sempre un evento trau- in maniera piuttosto diversa rimatico che determina difficoltà spetto al passato, senza alcun antanell’apparato, nei rapporti e nella gonismo territoriale con il Nord. finanza internazionale; va detto che La questione meridionale non va la fine di questa legislatura sarà però sepolta, non va trascurata o inevitabile se il governo non potrà eliminata. In questo contesto, contare su una maggioranza solida. sorge poi l’elemento di assoluta tiAllora tanto vale recuperarla attra- picità rappresentato da Napoli, che verso le elezioni». costituisce poi il motivo della mia In questo scenario, quale può candidatura a sindaco della città». essere il ruolo svolto dai PopoIn alto a destra, Palazzo San Giacomo, sede del Comune di Napoli lari per il Sud? E con quali obiettivi? «Per ora noi giochiamo al livello delle realtà locali. Abbiamo presentato liste alle ultime elezioni regionali prendendo molti più voti dell’Api, ma facciamo meno notizia per il semplice


Clemente Mastella

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Posso mettere a disposizione la mia esperienza, la mia rete di relazioni. Inoltre, la voglia di fare a Napoli, con i napoletani, è forte

Cosa la colpisce di più della situazione del capoluogo campano? «È desolante vedere una città che nell’Ottocento è stata una capitale europea ridotta in queste condizioni. Ritengo che chiunque possa fare qualcosa, abbia il dovere di farlo. Mi spinge questo dovere perché non avrei alcun interesse, so anzi di rischiare parecchio da questo punto di vista, ma non sopporto vedere quanti spropositano attorno alle rovine napoletane. Posso mettere a disposizione la mia esperienza, la rete di relazioni. Inoltre, la voglia di fare a Napoli, con i napoletani, è forte. Ci provo e dove arrivo, arrivo». Vede degli alleati politici nella sua candidatura a sindaco di Napoli? «Io intanto sono candidato. Dipenderà poi da cosa scelgono gli altri. Altrimenti la mia alleanza sarà un po’ come il Vecchio testamento,

con il popolo». Priorità da risolvere in qualità di primo cittadino di Napoli? «La priorità è riportare la città alla normalità. È questa la grande rivoluzione per Napoli. E poi sarà importante avere un sindaco che guidi, che educhi, che non faccia proclami dicendo quello che sarà in grado di fare. Conterà ciò che concretamente avrà la possibilità di realizzare e la voglia che sarà capace di infondervi. Ho dichiarato di voler essere eletto per “comandare”, per guidare nel vero senso della parola un popolo che oggi è più che mai deluso e sfiduciato». Allargando lo sguardo anche al resto del Meridione, qual è la strada da intraprendere verso il rilancio della competitività di questo territorio? «Noi abbiamo bisogno di solidarietà, però dobbiamo anche scrollarci di dosso alcune “male piante”,

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su tutte la criminalità e la tendenza - che a molti appare come una forma di cultura ma non lo è - ad adattarsi e a rassegnarsi. Vince la rassegnazione. Occorre, invece, far scattare la collera di fronte a questo sentimento. È importante per noi applicare la nostra intelligenza e la nostra fantasia, che sono notevoli. Lo dimostrano i numerosi meridionali che, al di fuori del contesto del Mezzogiorno, eccellono e risultano protagonisti nei loro campi, dalla moda alla ricerca. Per il futuro di Napoli, la mia idea è anche quella di sollecitare i cittadini napoletani sparsi nel mondo a fornire proposte e consigli per la città. Chi vuole impegnarsi s’impegni direttamente. Quanti esaminano dall’esterno la situazione possiedono, infatti, uno sguardo più lucido rispetto a chi vive questa drammatica routine tutti i giorni». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 55




IMPRENDITORI DELL’ANNO

Le nuove frontiere dell’outsourcing

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n un’epoca dominata dalla globalizzazione e dal progresso tecnologico, piccole e grandi imprese, enti pubblici e privati, stanno adottando nuove strategie economiche, differenziando la loro attività produttiva, potenziando l’outsourcing per affidare ad aziende specializzate lo svolgimento di determinate attività. La tendenza all’esternalizzazione ha aperto nuove prospettive di crescita al settore terziario che nell’ultimo decennio ha conosciuto una rapida evoluzione grazie alla capacità delle imprese di accrescere il proprio know-how e adeguarsi velocemente alle richieste di un mercato sempre più esigente. Aggiornamento continuo, ottimizzazione di tempi e costi della produzione, aumento del livello di specializzazione, ricerca di nuove sinergie: sono questi i fattori determinanti per il successo di un comparto che si prepara a vestire il ruolo di volano dell’economia nazionale. Un esempio molto significativo in tal senso è rappresentato dalla Derichebourg Multiservizi S.p.a., operatore di riferimento nel set-

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L’adozione di nuove strategie votate all’esternalizzazione di alcune attività del processo produttivo stanno imprimendo un forte impulso al terziario, comparto pronto a conquistare un ruolo da protagonista nell’economia italiana. L’esempio della Derichebourg Multiservizi raccontato da Lazzaro Luce Erika Facciolla

tore dei servizi alle collettività per enti pubblici e privati. Derichebourg Multiservizi fa parte del Gruppo Derichebourg, uno dei maggiori attori internazionali nel panorama dei servizi, quotato all’Euronext di Parigi, e con un volume d’affari in costante crescita in tutto il mondo. Ce ne parla Lazzaro Luce, amministratore delegato della Derichebourg Multiservizi. Quali sono i paesi e i settori in cui la Derichebourg Multiservizi è presente sul mercato? «L’azienda è presente in trenta paesi e quattro continenti con un organico di oltre cinquantamila collaboratori e propone un’ampia gamma di prestazioni articolate in tre poli di attività complementari: i servizi per le imprese, i servizi per l’ambiente e quelli per gli aeroporti e le compagnie aeree». Ci sono delle attività sulle quali siete particolarmente focalizzati? «La nostra azienda è specializzata sopratutto nei servizi di pulizie interne ed esterne, civili e tecniche, servizi aeroportuali a terra, impianti e manutenzioni di aree verdi, igiene ambientale e trattamento dei rifiuti, fino ai più spiccati livelli di outsourcing quale la gestione completa degli immobili in global service». Quali sono, attualmente, le aree presidiate

Lazzaro Luce della Derichebourg Multiservizi di Napoli www.derichebourgspa.it


Lazzaro Luce

UNA RETE CAPILLARE D

dall’azienda nel nostro paese? «La nostra società opera in diversi ambiti con i propri servizi, dall’industria agli aeroporti fino alle strutture della sanità pubblica. Oltre all’appalto presso Us Navy, la Derichebourg è attiva in Campania, all’aeroporto di Napoli Capodichino, la Città della Scienza, il Centro Direzionale e il comprensorio Whirpool del capoluogo di partenopeo. Siamo presenti anche nelle strutture ospedaliere e sanitarie dell’intera ASL di Caserta e presso ‘La Reggia Outlet’». Qual è la mission di una realtà produttiva così articolata? «La nostra mission è la creazione di valore per il cliente nell’erogazione del servizio. Dall’operato dell’azienda dipende il giudizio di un utente e la qualità del prodotto stesso». E come riuscite a centrare questo obiettivo? «La Derichebourg Multiservizi è impegnata in un processo continuo di accrescimento della qualità: formazione del personale, costante aggiornamento del parco attrezzature, una struttura dedicata per ciascun appalto al controllo della qualità. Sono questi i fattori principali d’investimento di risorse della società. Comprendere le esigenze del cliente, infatti, vuol dire avere la capacità di antici-

erichebourg Multiservizi possiede oltre 250 sedi in Europa, di cui 180 in Francia. Una rete che le consente di essere sempre vicina a tutti i clienti e di capire immediatamente il contesto economico, sociale e culturale di ognuno di loro. Grazie alla sua presenza in numerosi paesi, Derichebourg Multiservizi è in grado di accompagnare le imprese nel loro sviluppo internazionale con un’offerta di prestazioni omogenea. La strategia dell’azienda è basata su valori fondamentali come l’esperienza, il senso del servizio, lo sviluppo sostenibile, l’ambizione internazionale, che sono dettati dalla volontà di soddisfare sempre e comunque le esigenze dei clienti. Alla ricerca di tecnologie e procedure sempre più efficienti, Derichebourg Multiservizi organizza e promuove la condivisione delle esperienze e delle procedure all’interno degli otto poli di attività e delle sue filiali europee. Una politica che consente ai suoi clienti di usufruire delle migliori soluzioni al prezzo più vantaggioso.

parne i bisogni». Che ruolo gioca nella politica aziendale il rapporto con il territorio, in particolare con quello campano? «Il rapporto con il territorio è un aspetto che ci è particolarmente caro. È per questo che abbiamo fortemente voluto una struttura presente in Campania, nonostante le difficoltà operative di questa realtà. Oltre agli operatori in servizio nei diversi cantieri, tutte le funzioni di gestione a cominciare dagli specialisti esterni che supportano la struttura appartengono a questo territorio. La passione per il lavoro è il vero motore verso l’eccellenza, anche in un territorio difficile». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 69


IMPRENDITORI DELL’ANNO

Verso un mercato internazionale

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egli ultimi anni, in Campania, non sono state effettuate grandi infrastrutture. Le imprese del settore delle costruzioni metalliche civili e industriali hanno cominciato pertanto a guardare altrove, ampliando la propria attività all’ambito extra regionale. È il caso ad esempio dell’Impresa Comesa di Pomigliano d’Arco che, dopo aver realizzato grandi insediamenti industriali in Campania negli anni del boom economico, ha cercato di sfruttare opportunità altrove. È in particolare con l’attuale amministratore, Francesco Savarese, che la Comesa ha incrementato l’attività oltre i confini regionali, facendo tesoro della tradizione precedente, armoniosamente coniugata all’innovazione tecnologica. Ne sono

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La Campania non offre più grandi opportunità al mercato delle costruzioni metalliche. Bisogna aprirsi anche a nuovi territori. Francesco Savarese pianifica l’internazionalizzazione della sua Comesa, senza perdere d’occhio il territorio regionale Carlo Gherardini derivati lavori importanti come la realizzazione di un hangar nell’aeroporto di Cagliari – Elmas o, in Algeria, la realizzazione di alcune strutture per linee di condotte d’acqua. La Comesa conta ormai quarant’anni di attività. Quali opere ha firmato, negli anni, sul territorio campano? «Sono stati quarant’anni di sacrifici e risultati eccellenti nel settore delle costruzioni metalliche civili e industriali. L’azienda è nata nel 1973, quando i fratelli Antonio e Vincenzo Savarese hanno colto le opportunità che la città partenopea offriva al mondo dell’impresa. Hanno realizzato opere significative, come la copertura della Piscina Scandone e il Palargento per ospitare i Giochi del Mediterraneo a Napoli. Si sono quindi stabilizzati nell’area industriale di Pomigliano d’Arco creando l’“Officina di via Pratola” e diventando l’impresa leader per gli insediamenti industriali Alfa Sud e Alenia. Tra le opere più rilevanti, il viadotto della Strada Ofantina ha iscritto Comesa nell’“Albo d’Oro” dei Costruttori Nazionali. Oggi il lavorare prevalentemente al di fuori dell’ambito regionale è una scelta pressoché obbligata, dovuta al fatto che in Campania non ci sono opportunità».

Francesco Savarese, alla guida della Comesa. Nella pagina accanto, alcune realizzazioni dell’azienda www.comesasrl.it


Francesco Savarese

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Le costruzioni metalliche sono essenziali per l’economia del futuro poiché strettamente legate agli impianti energetici dei giorni nostri

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Se dovesse definire il settore della Comesa, cioè quello delle costruzioni metalliche, cosa direbbe? «La Comesa negli anni ha acquisito esperienza e professionalità esclusivamente e volutamente nel settore della carpenteria metallica e dell’impiantistica dei fluidi, puntando su risorse umane altamente specializzate e software di progettazione di ultima generazione, consapevole che le costruzioni metalliche sono essenziali per l’economia del futuro poiché strettamente legate agli impianti energetici dei giorni nostri. Esse rappresentano una tecnologia versatile e sostenibile, coniugando la libertà creativa con l’efficienza costruttiva, offrendo molti vantaggi quali: lavorazioni di precisione, cantieri “puliti”, facilità di montaggio, tempi di costruzione ridotti, strutture leggere, facilità di adattamento, ampliamento e sopraelevazione degli edifici; in più le

strutture sono facilmente sgombrabili e l’acciaio completamente riciclabile. La Comesa punta essenzialmente sulla qualità dei materiali e su serrati controlli, che le consentono ancora oggi di essere tra le più accreditate aziende nel settore». Come ha vissuto gli ultimi due anni la sua azienda? «Con difficoltà dovute a un periodo di stasi mai verificatosi prima e, ovviamente, come conseguenza di una crisi internazionale che ha toccato diversi settori. Io comunque, ho trascorso questo periodo con la consapevolezza che la crisi è un periodo di transizione, e che è proprio nei momenti di difficoltà che bisogna allargare gli orizzonti. La Comesa attualmente sta puntando su un mercato internazionale, non escludendo di realizzare strutture anche in Campania con l’auspicio che siano sbloccati fondi per realizzare infrastrutture che diano la possibilità a noi aziende locali che eccelliamo in tanti settori di poter ampiamente espletare le nostre attività, offrire lavoro e, contemporaneamente, migliorare il nostro territorio. Mi auguro che finisca, una volta per sempre, l’unica crisi pericolosa, che come diceva Einstein, è “la tragedia di non voler lottare per superarla”». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 71


IMPRENDITORI DELL’ANNO

Nuove tecnologie per la fonderia Tre nuovi impianti fusori. Progettati e brevettati per l’Italia e l’estero. Antonio Spoleto presenta le caratteristiche e i vantaggi dei nuovi forni per la fusione dei metalli. Le cui tecnologie mirano anche a ottenere un minor impatto ambientale Lucrezia Gennari

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a fusione del metallo è una delle tecnologie di lavorazione tra le più antiche giunte ai giorni nostri: i primi utensili rinvenuti, ottenuti tramite fonderia, risalgono al 4000 a.C. Le tecniche naturalmente si sono evolute ma tuttora si ottengono oggetti metallici tramite la fusione e la colata dei metalli in apposite forme. La lavorazione classica di fonderia è quella della colata in terra, chiamata così perché il metallo fuso viene colato in uno stampo composto da una terra speciale, la “terra da fonderia”, che alla fine del pro-

Antonio Spoleto della Hitech di Napoli. Nelle altre foto, i prototipi dei nuovi impianti di fusione metalli da lui progettati e brevettati spoletohitech@libero.it - contact@centroservizibrevetti.it

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cesso verrà rotta per poterne estrarre il pezzo. La fonderia è un processo estremamente versatile, attraverso il quale si può lavorare praticamente ogni tipo di metallo o lega, e dal quale si possono ottenere pezzi estremamente vari: dagli oggetti più piccoli e di geometria decisamente semplice, come i lingotti, a prodotti decisamente più ingombranti e di elevata complessità. La fusione del metallo avviene in opportuni forni fusori, diversi a seconda del materiale da fondere. Anche in questo settore è importante l’innovazione tecnologica, sia alla luce dell’ottimizzazione dei risultati, che della crescente attenzione all’impatto ambientale. Antonio Spoleto, titolare della Hitech di Napoli che svolge l’attività di realizzazione, fornitura e installazione di impianti industriali e in particolare di impianti fusori, ha maturato in questo ramo oltre trent’anni di esperienza e ha brevettato tre nuove tipologie di forni fusori. Quali sono gli impianti fusori progettati e brevettati da Hitech? «Il primo è denominato “Forno fusorio per leghe di metallo atto allo sversamento diretto e continuo del metallo fuso”, il secondo è il “Sistema a forno rotante per la fusione senza sale di materiali metallici”. La società si è


Antonio Spoleto

In queste immagini, progetto e prospetto del forno rotativo e, a destra, un impianto in costruzione

fatta carico di registrare e omologare i brevetti relativi a questi impianti in quasi tutti i paesi europei e in una decina di paesi extraeuropei. Il terzo impianto è denominato “impianto di fonderia di leghe di alluminio, completamente modulare” e il suo brevetto è attualmente esteso al livello mondiale». Questi impianti rappresentano delle grandi innovazioni nel vostro settore. Quali le principali caratteristiche di queste tecnologie e quali vantaggi offrono nello specifico? «La prima cosa che si rileva immediatamente è che l’impianto di fusione ottiene un elevato risparmio di calore latente di fusione e consente un rendimento di termo combustione del 90%. L’innovazione consiste poi nell’assenza di bagno salino per la separazione dei sottoprodotti della fusione, e tale sistema è stato diffuso in Italia e in tutta Europa. I vantaggi sotto questo aspetto sono

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L’impianto è completamente modulare, costruito in maniera tale che ciascun modulo, per come è realizzato, possa rendere facile l’assemblaggio con gli altri

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soprattutto economici, il bagno salino, infatti, costringe l’azienda a sostenere ulteriori costi per la riconversione della miscela salma allo stato primitivo. Nell’impianto realizzato, invece, è prevista una separazione per gravità, con notevole risparmio economico e con l’ottenimento di un prodotto migliore perché non vi è sale che possa in alcun modo intaccare il processo chimico-fisico della fusione. Inoltre l’impianto garantisce compattezza, funzionalità, facilità di manutenzione e di controllo». Quali i vantaggi invece in termini di risultati sul prodotto? «Quanto alla qualità del prodotto, il vantaggio primario è la totale mancanza di assorbiCAMPANIA 2010 • DOSSIER • 73


IMPRENDITORI DELL’ANNO

Progetto e prospetto del forno statico. In basso, Antonio Spoleto, al centro, con l’ingegnere Umberto Serio sulla sinistra, della Engineering & Service, e Pierluigi Marzocchi, amministratore della C.M.M.

mento di gas da parte del fuso grazie al fatto che la fusione si realizza in tempi brevissimi e a temperatura costante. Si evitano pertanto trattamenti successivi come l’utilizzo di azoto per l’espulsione dei gas con conseguente risparmio energetico ed economico nonché la realizzazione di un prodotto di finissima qualità. Inoltre, grazie alla peculiare forma sferica del forno fusorio, si realizza una distribuzione di temperatura più omogenea e si realizza un materiale essenzialmente isotropico, privo di difetti reticolari, resistente e durevole. A tal proposito, questo

processo può trovare largo impiego nel settore automobilistico e aereonautico che richiedono materiali speciali da sottoporre ad elevate sollecitazioni e che allo stato attuale della tecnica richiedono un processo di bonifica». Quali sono invece le caratteristiche, dal punto di vista fisico, dell’impianto fusorio in realizzazione? «L’impianto è completamente modulare, costruito in maniere tale che ciascun modulo, per come è realizzato, possa rendere facile l’assemblaggio con gli altri moduli. Ciascun modulo, inoltre, è separabile l’uno dall’altro o smontabile in parti più piccole, per facilitarne il trasporto con mezzi convenzionali, nel caso in cui debba essere ricollocato su altri siti. Ad esempio può succedere che l’impianto debba essere spostato facilmente in un altro luogo, nel caso in cui le condizioni del sito in cui sorge non siano più soddisfacenti, per sopravvenuti problemi ambientali, economici o militari. Un’altra caratteristica riguarda il piano di lavoro su cui si accede

L’INNOVAZIONE COMINCIA CON L’ESPERIENZA L’ anima dell’Hitech è Antonio Spoleto. Per definire il profilo imprenditoriale di Antonio Spoleto non si può prescindere dalle sua formazione e dalle diverse esperienze accumulate negli anni. Il suo ingresso nel settore degli impianti ad alta tecnologia avviene nel 1975, ma la svolta dal punto di vista professionale avviene nel 1993, quando entra a far parte di una società operante nel commercio dei metalli. Così, carico del bagaglio professionale precedentemente maturato, Antonio Spoleto comincia a lavorare operativamente all’interno della

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società, acquisendo nel tempo una forte esperienza nel settore dei metalli, impegnando poi tutte le sue risorse dell’ingegno e integrandole con approfonditi studi da autodidatta su una propria nuova idea. Ma il coraggio di rischiare puntando tutto su un nuovo progetto, presupposto indispensabile per l’innovazione, è un atto sterile se non è accompagnato dalla competenza tecnica dello specifico settore e da una buona dose di professionalità. La società Hitech, dal 23 aprile 2003, svolge l’attività di realizzazione, fornitura e installazione di

impianti industriali e in particolare impianti fusori. Il primo denominato “Forno fusorio per leghe di metallo atto allo sversamento diretto e continuo del metallo fuso”, depositato presso la Cciaa di Napoli in data 13 novembre 2000 con n. Na 2000 A000075 e concesso dall’Ufficio Italiano dei Brevetti e Marchi – Ministero delle Attività Produttive – in data 26 maggio 2004 al n. 001322204; il secondo denominato “Sistema a forno rotante per la fusione senza sale di materiali metallici”, depositato presso la Cciaa di Salerno in data 16 gennaio 2003 con n.


Antonio Spoleto

mediante scale o montacarichi, sui quali o entro i quali è possibile posizionare le apparecchiature accessorie per il caricamento del rottame, il recupero delle scorie, le canalizzazione dei fumi, e le tubazioni per l’impianto idrico, elettrico e del combustibile. Il piano di lavoro è formato da corpi metallici a base rettangolare modulari e componibili». Come avviene la produzione dei lingotti? «La produzione di lingotti si realizza con lo sversamento diretto e continuo del metallo fuso in un doppio bacino di raccolta sferico senza dover ricorrere ad alcuna interruzione del processo di fusione in atto, in modo da realizzare vantaggi in termini di volume di produzione di metallo fuso, di combustibile, di mano d’opera, e migliori condizioni in termini di sicurezza di lavoro e di qualità della lega». L’impianto comporta vantaggi anche in termini di impatto ambientale? «L’impianto di evacuazione dei fumi consente un minore

Sa 2003 A000004 e concesso dall’Ufficio Italiano dei Brevetti e Marchi – Ministero delle Attività Produttive – in data 25/09/2008 al n. 1347577. La società si è fatta carico di registrare e omologare i predetti brevetti in quasi tutti i

dispendio di energia calorica nel forno di fusione e al contempo un abbattimento nei fumi degli inquinanti pesanti prima di essere veicolati al camino, e una qualità dell’aria respirabile dagli addetti all’impianto, decisamente migliorata rispetto agli impianti della tecnica precedente». Come si può gestire la manutenzione e l’usura dell’impianto? «Un altro aspetto importante è la facilità di manutenzione e l’eventuale sostituzione per usura di ciascun modulo. L’impianto fusorio necessita della sola manutenzione ordinaria delle parti più soggette al logorio; invece, con periodicità quinquennale, occorre effettuare una manutenzione straordinaria solo ed esclusivamente sui materiali refrattari di cui sono rivestiti i forni fusori. In ogni caso il tutto è semplificato dal fatto che è possibile facilmente sostituire ciascun modulo quando l’usura non è più riparabile».

paesi europei (EP1334324 ed EP1608926) e in una decina di paesi extraeuropei (PCT/IT01/00557 e PCT/IT2003/000862). Il terzo, denominato “Impianto di fonderia di leghe di alluminio, completa-

mente modulare” depositato presso la Cciaa di Roma in data 09 novembre 2009 con n. Rm 2009 A000576, è attualmente esteso al livello mondiale mediante brevetto Pct/It2010/000444.

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EXPORT

Esportazioni in recupero ma la concorrenza aumenta Enrico Giovannini, presidente dell’Istat, vede nella ripresa delle economie europee il fattore alla base della crescita del commercio estero Riccardo Casini

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Sotto, Enrico Giovannini, presidente dell’Istat

a una parte il calo della produzione industriale (-0,1% a ottobre nei confronti del mese precedente), dall’altra l’aumento delle esportazioni (+17,6% a ottobre rispetto a un anno prima). È uno scenario a due volti quello disegnato dagli ultimi rilevamenti Istat: l’ultimo rapporto sul commercio estero, in particolare, registra incrementi più sostenuti sul mercato extracomunitario (+21,9%) rispetto a quello interno all’Unione europea (+14,5%), con le importazioni che mostrano un incremento ancora superiore (22,5%). A ottobre il disavanzo commerciale risultava quindi pari a 2 miliardi di euro, un valore più che triplo rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Secondo Enrico Giovannini, presidente Istat, «nel corso della crisi le esportazioni hanno subito un calo eccezionalmente ampio, nell’ordine del 34% tra l’aprile 2008 e l’agosto 2009, al netto dei fattori stagionali. Successivamente le esportazioni verso i mercati extra Ue hanno mostrato un dinamismo maggiore. Il risultato intra-Ue di settembre è stato influenzato dall’esportazione di una nave da crociera verso il Regno Unito. D’altro canto, la ripresa delle economie europee, pur se iniziata con ritardo, è di particolare rilievo per il nostro Paese, conside-

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rando che il mercato comunitario assorbe poco meno del 60% delle nostre esportazioni». Quali sono i mercati più ricettivi nei confronti dei prodotti italiani? «I due principali mercati di sbocco sono la Germania e la Francia, con quote rispettivamente pari al 12,7 e all’11,6% del nostro export totale di beni. Seguono a grande distanza, con quote del 5-6%, gli Stati Uniti, la Spagna e l’aggregato dei Paesi Opec. In termini di dinamismo, si segnalano, invece, i mercati emergenti di Turchia, Cina e America Latina, sui quali nei primi nove mesi dell’anno le esportazioni italiane hanno segnato progressi compresi tra il 30 e il 50%». Quale situazione è lecito ipotizzare per il 2011? La crescita dell'export troverà continuità? «L’andamento attuale delle esportazioni è particolarmente vivace, ma le previsioni del Fmi dell’ottobre scorso indicano una tendenza alla moderazione dei ritmi degli scambi internazionali per il 2011. Ricordo, d’altro canto, che il dinamismo attuale dell’export corrisponde a una fase di recupero, non di vera e propria espansione: il valore di settembre, infatti, è simile a quello dell’ottobre del 2006 e di oltre il 15% inferiore rispetto al massimo raggiunto nella primavera 2008». Quali sono i settori produttivi che trainano le esportazioni? «Nel corso dei primi nove mesi dell’anno, i maggiori contributi alla crescita delle esporta-


Enrico Giovannini

zioni in valore sono venuti dai settori della metallurgia e dei prodotti in metallo (+19,3%) e della raffinazione petrolifera (+56,6%), grazie anche al recupero dei corsi dell’energia, dal settore chimico (+28,2%) e da quello dei mezzi di trasporto (+16,5%). Positiva, ma meno brillante, è stata invece la performance nei due poli di specializzazione per eccellenza, rappresentati dall’industria dei beni capitali e dalla filiera del tessile-abbigliamentocalzature». Quali sono invece le regioni più dinamiche? «Nella prima parte dell’anno si segnalano quelle insulari (+49,2%), dove l’export è stato trainato dalle produzioni energetiche, seguite da Puglia, Lazio, Trentino, Campania e Abruzzo, con variazioni prossime o superiori al 20% su base annua. Nel commentare le dinamiche territoriali, va però considerato che oltre il 60% delle esportazioni origina da sole quattro regioni, ovvero Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte, nessuna delle quali (a eccezione del Piemonte) ha segnato tassi di crescita superiori alla media nazionale». Quali Paesi rappresentano invece il pericolo maggiore in termini di concorrenza sui mercati? Le realtà emergenti come l’India possono rappresentare anche nel prossimo futuro una reale insidia?

«L’Italia ha subito più di altre economie europee la concorrenza dei Paesi emergenti sui propri mercati di sbocco, in ragione di una specializzazione commerciale nei settori “tradizionali” a tecnologia medio - bassa. Questa tendenza è destinata a proseguire e rafforzarsi negli anni futuri, estendendosi anche ad altre produzioni. La risposta più efficace è la ricollocazione verso aree di mercato dove la concorrenza di prezzo sia meno rilevante. In Italia si è determinata una sensibile perdita di quote e una drastica selezione delle imprese industriali in questi settori; il sistema ha risposto con una strategia molto accentuata di collocamento nelle fasce più alte di mercato e la parallela delocalizzazione delle attività a maggior intensità di lavoro». Quali conseguenze implica quest’ultimo fenomeno? «La delocalizzazione, naturalmente, sta portando i flussi che originano da imprese a controllo italiano al di fuori delle statistiche sul commercio estero: basti pensare che nella sola filiera del tessile-abbigliamento-calzature gli addetti esteri sono oltre 150mila. Con maggior lentezza è emerso anche un mutamento strutturale delle esportazioni, segnato dalla capacità di intercettare la domanda emergente in alcuni ambiti di specializzazione, quali le produzioni alimentari, le cui esportazioni non hanno risentito della crisi». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 81




EXPORT

L’inossidabile fascino dei prodotti italiani

S

econdo gli ultimi dati Istat, a ottobre 2010 le esportazioni italiane sono aumentate del 17,6% rispetto allo stesso mese del 2009. Nei primi dieci mesi dell’anno, rispetto al corrispondente periodo del 2009, l’aumento è invece del 14,7%, con una dinamica più vivace per i paesi extra Ue (+15,9%) rispetto a quelli comunitari (+13,8%). Un aumento che, confrontato con lo stesso periodo del 2009, è determinato più da una crescita dei volumi (+8,6%) che non dei valori medi unitari (+5,6%). Nel complesso si tratta indubbiamente di dati positivi, che vanno però letti con tutte le precauzioni del caso, come precisa l’ambasciatore Umberto Vattani, presidente dell’Istituto nazionale per il commercio estero. «Le esportazioni italiane – spiega – mostrano chiari segni di ripresa. Certo, stiamo recupe-

Umberto Vattani, presidente dell’Istituto nazionale per il commercio estero

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Per Umberto Vattani, presidente dell’Ice, è necessario «agganciare le economie emergenti puntando a consolidare l’immagine del Paese nelle culture più lontane» Riccardo Casini rando dopo una difficilissima fase congiunturale. Ma tutti i numeri a nostra disposizione ci confortano sulla capacità delle nostre imprese di rafforzare le loro posizioni sui mercati internazionali. La flessione delle vendite nel 2009 ha colpito le imprese più grandi con maggiori capacità esportative, ma già ora assistiamo a un miglioramento che tende nuovamente a premiare le imprese di maggiore dimensione, con una presenza più radicata sui mercati esteri». Qual è il profilo medio delle aziende esportatrici? «Un ruolo particolarmente importante lo stanno svolgendo le medie imprese, ovvero quel “quarto capitalismo” industriale che ha accresciuto il suo contributo alle esportazioni totali lungo tutto l’ultimo decennio. Quanto alle imprese di minori dimensioni che caratterizzano da sempre il tessuto industriale italiano emergono ancora problemi di competitività su cui è necessario intervenire nei prossimi anni». Quali settori produttivi prevalgono? «La meccanica, i beni del sistema moda, quelli dell’agroalimentare e del sistema casa rappresentano le “4 A” del made in Italy. Il 50% delle esportazioni italiane all’estero continua a essere rappresentato da questi settori fondamentali. Tra questi, la meccanica costituisce l’industria più importante in termini di peso, con una quota del


Umberto Vattani

La meccanica, i beni del sistema moda, quelli dell’agroalimentare e del sistema casa rappresentano le “4 A” del made in Italy

20% sull’export complessivo delle vendite nazionali». Quali sono in questo particolare momento le principali esigenze delle nuove pmi che si affacciano sul mercato estero? «In questo frangente di grande discontinuità rispetto al passato, le Pmi vanno accompagnate alla scoperta di nuovi mercati come quello cinese, russo e indiano, oltre a quelli dell’America Latina. Sono mercati più distanti, difficili da interpretare, comportano rischi maggiori, richiedono grande continuità d’intervento. Compito dell’Ice è quello di spiegare agli imprenditori le opportunità che si presentano in queste nuove aree di sviluppo, di allacciare relazioni con gli operatori sul posto, costruire appoggi presso le autorità locali e fornire un chiaro sostegno alle aziende nella ricerca di canali distributivi». Quali tra i servizi offerti dall’Istituto per

il commercio estero sono maggiormente richiesti? «I funzionari dell’Istituto hanno una profonda conoscenza dei mercati internazionali. In anni di lavoro sul campo hanno accumulato competenze nei principali settori di riferimento, conoscono gli operatori più importanti e sanno valutare le opportunità offerte dal mercato. L’Ice fornisce ogni anno circa 22mila servizi di consulenza a oltre 15mila imprese. Tra i servizi più richiesti la “Ricerca clienti e partner esteri” che permette di individuare dei partner commerciali locali interessati a rappresentare o distribuire il prodotto o il servizio italiano. Sono anche frequenti le richieste per l’organizzazione di eventi promozionali e fiere, per incontri di affari e nominativi d’importatori». Il made in Italy gode comunque di grandissima fama all’estero. Quali paesi si dimostrano più ricettivi? Su quali occorrerebbe invece puntare maggiormente? «Il richiamo del prodotto italiano rimane molto forte perché evoca la lunga tradizione artigianale e industriale italiana. È sinonimo di cura dei dettagli e di qualità: dobbiamo preservare quest’immagine difendendo l’autenticità dei nostri prodotti. Per quanto riguarda i paesi più ricettivi, le nostre CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 85


EXPORT

esportazioni continuano a essere orientate porta con sé. Al contrario abbiamo registrato un principalmente verso i paesi Ue e quelli dell’Europa orientale. Per ora, ai primi posti della graduatoria compaiono Germania, Francia e Stati Uniti; per incontrare il principale paese emergente, la Cina, bisogna scendere fino all’ottava posizione». Come si spiega questo dato? «È naturale che i mercati più vicini e sicuri continuino a essere la meta preferita delle nostre imprese, questo discorso vale anche quando si esaminano gli investimenti diretti esteri. Ma, come mette in evidenza il Rapporto dell’Ice presentato nel luglio scorso, entro il 2015 è proprio nei mercati emergenti che saranno principalmente concentrati i consumatori che raggiungeranno, per la prima volta, un reddito superiore ai 30mila dollari. Si tratta soprattutto di Cina, India, Brasile e Messico, paesi in cui la crescita di un’ampia classe media rappresenterà nuove e importanti opportunità per le nostre imprese». Quali politiche dovrebbe seguire l’Italia? Quale dovrà essere in futuro il ruolo dei dazi? «In generale i paesi del G20 non hanno ceduto alle pressioni protezionistiche che ogni crisi

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aumento delle misure volte a rilanciare il commercio. L’Italia deve assolutamente agganciare le economie emergenti, puntando a consolidare l’immagine del Paese in queste culture lontane, a rafforzare le collaborazioni industriali e a individuare i canali di distribuzione più promettenti». Quanto può influire sulla tutela dei nostri prodotti l’approvazione di un brevetto europeo in tre lingue, da cui verrebbe escluso l’italiano? Si tratta di una questione esclusivamente politica o sono realmente ipotizzabili danni economici per le imprese italiane? «Non possiamo essere contenti del fatto che l’italiano non consenta - come tale - di brevettare innovazioni tecnologiche a livello europeo. Anche perché l’utilizzo forzato di altre lingue impone alle aziende costi supplementari e rende più difficile la conoscenza di quanto accade nel campo dell’innovazione tecnologica e della proprietà intellettuale. Rimane tuttavia il fatto che il brevetto europeo costituisce un traguardo positivo che rafforzerà la nostra competitività, la nostra capacità di difendere il know how italiano nel mondo».



ECONOMIA E IMPRESE

Cambio al vertice per gli industriali napoletani Per Paolo Graziano, neopresidente dell’Unione industriali del capoluogo, l’ossatura industriale del territorio va coniugata con il turismo, la cultura e i servizi. Molti sono i progetti di sviluppo dell’economia locale in programma Nicolò Mulas Marcello

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Nella pagina a fianco, Paolo Graziano, presidente Unione Industriali di Napoli

a pochi giorni è il nuovo presidente dell’Unione degli industriali partenopei. Paolo Graziano promette di continuare sulla strada già intrapresa da Unindustria del capoluogo campano, ovvero quella di supportare le imprese del territorio attraverso politiche mirate allo sviluppo economico, schierandosi apertamente anche contro la criminalità. «Per dare una prospettiva alle nostre aree – spiega Graziano – coniugheremo con decisione una politica di repressione dell’illegalità, di prevenzione del crimine e di rilancio degli investimenti». Quali saranno le politiche di rilancio dell’economia napoletana da parte di Confindustria? «Il rilancio di Napoli deve partire da una crescita civile e sociale, prima ancora che economica. La sfida è difficile, ma sicuramente alla nostra portata se riusciremo ad aggregare intorno a un forte progetto di sviluppo le forze migliori della città, dal mondo dell’impresa fino a quello delle istituzioni. Il nostro progetto punta a far sì che Napoli e il Sud diventino un territorio più vivibile per la cittadinanza e più competitivo per le imprese che vi operano. L’economia dell’area metropolitana di Napoli, con i suoi tre milioni di abitanti, non può non avere una forte ossatura industriale che coniughi la cultura e i servizi con il turismo. Vogliamo realizzare nuovi clu-

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ster, individuare le filiere strategiche, attrarre capitali e nuove aziende, radicare lo strumento del contratto di rete». Come si pone Confindustria di fronte al problema delle infiltrazioni della criminalità nell’imprenditoria? «Siamo e saremo sempre di più in prima fila nel rivendicare la lotta all’illegalità, all’abusivismo e alla criminalità pretendendo risultati tangibili. La sicurezza e la legalità rappresentano i principali fattori di attrattività. Inutile discutere se il territorio non è saldamente nelle mani dello Stato. Per dare una prospettiva alle nostre aree coniugheremo con decisione una politica di repressione dell’illegalità, di prevenzione del crimine e di rilancio degli investimenti. Il benessere sociale sconfigge il malaffare». Dal punto di vista delle infrastrutture qual è la situazione? Ci sono progetti di potenziamento? «Proporremo un piano per rendere il nostro territorio capace di attrarre nuovi investimenti e generare occupazione sana, duratura ed emersa. Tra le priorità figurano innanzitutto rete ferroviaria e banda larga, asset strategici su cui investire e impegnarsi per assicurare precondizioni ineludibili per lo sviluppo, previste d’altronde dallo stesso Piano per il Sud delineato dal governo. Occorre selezionare degli obiettivi, nella consapevolezza che le risorse sono limitate e vanno


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Paolo Graziano

Occorre selezionare obiettivi precisi, nella consapevolezza che le risorse sono limitate e vanno pertanto utilizzate su interventi atti a ridurre strutturalmente il divario territoriale

pertanto utilizzate su interventi atti a ridurre strutturalmente il divario territoriale». Il mercato del lavoro ha subito una flessione a causa della crisi globale. Cosa è necessario fare per risollevare l’occupazione? «Se in altre aree del Paese si può parlare di flessione, per il Mezzogiorno e ancor più per la Campania l’occupazione ha subito un drastico calo. Il fenomeno emerge ancor di più se si tiene conto del basso tasso di attività, indice

della rinuncia di tanti, giovani e donne in primis, a presentarsi sul mercato del lavoro. Per rilanciare l’occupazione bisogna promuovere l’impresa, soggetto per sua natura preposto alla promozione dello sviluppo e quindi di opportunità di lavoro. Gli investimenti, tuttavia, si fanno lì dove vi sono condizioni favorevoli. Per questo lavoreremo a un piano finalizzato a ridurre carenze in campo infrastrutturale, come in quello della formazione, della ricerca, della CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 93


ECONOMIA E IMPRESE

Per rilanciare l’occupazione bisogna promuovere l’impresa, soggetto preposto alla promozione dello sviluppo e di opportunità di lavoro

sicurezza, dell’accesso al credito per le pmi, aggredire da sole i mercati internazionali. della gestione delle aree industriali. Affrancato dai nodi strutturali e dai vincoli esterni che richiedono risposte istituzionali, il potenziale imprenditoriale di cui disponiamo saprà esprimere il meglio di sé, ridando linfa all’occupazione e dimostrando che Napoli può finalmente essere parte della storia nazionale come esempio virtuoso di crescita e di sviluppo e non come il territorio delle mille emergenze». L’internazionalizzazione è una delle soluzioni che alcune aziende hanno adottato per uscire dalla crisi. Come si stanno muovendo le imprese napoletane su questo fronte? «Il tasso di internazionalizzazione delle nostre imprese è ancora basso. Questo è un limite che dipende anche dalle dimensioni medie dell’impresa locale, troppo piccole per

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Intendiamo realizzare interventi per promuovere l’aggregazione e la messa in rete delle imprese. La nostra associazione dovrà essere dinamica e operativa nel campo dei servizi, fornendo ad esempio assistenza tecnica per la costruzione di partnership impegnare sui mercati esteri. Vogliamo puntare sull’economia della conoscenza, della creatività, delle competenze, rendendo tendenzialmente pari a zero il tempo di trasferimento del sapere dal luogo in cui esso si forma (università, centri di ricerca, centri di competenza) al luogo in cui esso viene applicato alla produzione creando valore aggiunto. È su questo decisivo passaggio che oggi si gioca gran parte della concorrenza internazionale tra aziende e prodotti».



NAUTICA

Soluzioni concrete per uscire dalla crisi Competitività, fiscalità, federalismo demaniale e sostenibilità ambientale sono i temi caldi su cui punta Anton Francesco Albertoni, presidente di Ucina, per aiutare le imprese del settore nautico a uscire dalla crisi. Un modo per accelerare la ripresa Nicolò Mulas Marcello

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risultati raggiunti dalle imprese nautiche italiane durante questo autunno testimoniano segnali di ripresa del mercato. Puntare sull’innovazione e sul rapporto qualità/prezzo si è rivelata una scelta vincente per le aziende del settore. «Sarà fondamentale per i produttori di piccole imbarcazioni – sostiene Anton Francesco Albertoni, presidente di Ucina Confindustria Nautica – privilegiare l’aspetto dell’innovazione, sia sotto il profilo tecnico che del design, coniugando tecnologia e attenzione all’ambiente». A ottobre si è svolta la cinquantesima edizione del Salone nautico di Genova. Quali valutazioni possiamo trarre sullo stato di salute del settore? «Nel complesso, il Salone Nautico Internazionale di Genova si è chiuso all’insegna della soddisfazione. Dopo il 2009, caratterizzato da una crisi economica che ha causato una contrazione del fatturato globale del comparto pari al 31% circa, l’appuntamento con il Nautico, da sempre il riferimento maggiore per gli operatori del settore, era atteso alla vigilia come fondamentale banco di prova. A distanza di due mesi, posso affermare 96 • DOSSIER • CAMPANIA 2010

che l’avvio di ripresa avvertito dalle nostre imprese in autunno è stato confermato dai risultati del Salone, sia per quanto riguarda l’afflusso di visitatori, sia per quanto concerne la qualità degli affari intrapresi. Ci sono, insomma, segnali positivi e concreti: il mercato è ripartito e ciò testimonia la forza imprenditoriale del settore, che ha saputo affrontare e superare i problemi posti dalla durissima congiuntura economica attraverso la riorganizzazione del lavoro, la ricerca, l’innovazione del prodotto e l’attenzione in materia di sostenibilità ambientale». Cosa occorre per rilanciare un settore che più sta soffrendo la crisi come quello delle piccole barche? «Le aziende della piccola nautica hanno proposto a Genova prodotti caratterizzati da ottimi rapporti qualità/prezzo e il 60% delle barche esposte alla manifestazione è stato al di sotto dei 10 metri. Nonostante la maggior parte delle no-

Anton Francesco Albertoni, presidente Ucina Confindustria Nautica


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Anton Francesco Albertoni

Il nostro settore impiega 120 mila persone e, nonostante la crisi economica, le imprese del comparto hanno continuato a investire per mantenere i livelli di occupazione

vità siano arrivate proprio da questo segmento, è innegabile che esso si trovi ancora al centro di una fase delicata. Sarà fondamentale per i produttori di piccole imbarcazioni privilegiare l’aspetto dell’innovazione, sia sotto il profilo tecnico che del design, coniugando tecnologia e attenzione all’ambiente». Il Censis ha ribadito che ogni 4 posti barca si crea un posto di lavoro. È così? Qual è l’andamento del mercato? «“La Nautica in Cifre”, analisi del mercato dell’industria nautica italiana relativa all’anno 2009, realizzata dall’ufficio studi Ucina in collaborazione con l’Università degli Studi di Genova, ha evidenziato come la nautica italiana continui a contribuire al Pil del Paese per un valore di 3,65 miliardi di euro. Il nostro settore impiega 120

3,65

mld EURO L’apporto economico che il settore nautico dà al Pil nazionale

120 mila ADDETTI Il numero di occupati che ruotano attorno al settore nautico

mila persone e, nonostante la crisi economica, le imprese del comparto hanno continuato a investire per mantenere i livelli di occupazione». Quali sono i progetti futuri di Ucina per sostenere il settore? «Per sostenere il settore l’Associazione continuerà a concentrarsi nei prossimi mesi sui temi più cari all’industria nautica: competitività, fiscalità, federalismo demaniale e sostenibilità ambientale. Come ho avuto modo di dire in occasione dell’assemblea generale di Ucina, svoltasi a inizio dicembre a Roma in Senato, intendiamo, da un lato rafforzare ulteriormente il dialogo con il mondo istituzionale e, dall’altro, continuare a esprimere attraverso politiche aziendali lungimiranti, la capacità delle imprese della nautica di investire nel lungo periodo». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 97


NAUTICA

Maggiore sviluppo delle autostrade del mare Il sistema marittimo italiano ha subito, come tutti i comparti, gli effetti della crisi. In atto ci sono progetti per incentivare il trasferimento delle merci dalle strade al mare. Corrado Antonini illustra nel dettaglio la situazione Nicolò Mulas Marcello

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Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Corrado Antonini

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opo due anni difficili, alcuni timidi segnali positivi sembrano delineare una ripresa anche per il comparto nautico italiano. «Quello della nautica da diporto rappresenta il quinto settore di esportazione del made in Italy» ricorda Corrado Antonini, presidente della Federazione del sistema marittimo italiano. E aggiunge: «quanto alla cantieristica navale, è ampiamente noto come a livello globale abbia subito una crisi di dimensioni mai prima registrate». Qual è lo stato di salute del trasporto marittimo in Italia? «Gli ultimi anni sono stati difficili per tutti. La riduzione dei flussi commerciali conseguente alla crisi ha colpito ovviamente il trasporto marittimo, che è il grande vettore degli scambi di merci nel mondo: e ciò è avvenuto anche in Italia, dove siamo tornati indietro a metà del decennio. Ad ogni modo, anche in un anno difficile come è stato il 2009, l’Italia è risultata al primo posto tra gli

luppo del sistema marittimo italiano? «È in via di definizione una nuova versione del piano nazionale della logistica che assegna un maggiore spazio al trasferimento delle merci dalle strade al mare, attraverso un ulteriore sviluppo delle “autostrade del mare” e il mantenimento di un sistema di incentivi per il loro utilizzo alternativo alla strada. I porti sono uno snodo strategico per l’integrazione della nostra economia di trasformazione con l’economia internazionale: occorre quindi investire su di essi e sul loro collegamento con le reti di trasporto terrestre. Quanto alla cantieristica navale è ampiamente noto come a livello globale abbia subito una crisi di dimensioni mai prima registrate. L’Italia, che ha una leadership mondiale in nicchie ad alta tecnologia come le navi passeggeri, non poteva non subire le conseguenze di questa situazione con importanti insaturazioni delle capacità produttive. Per mitigare questa situazione è stato proposto in sede europea un progetto per la rottamazione delle navi traghetto più anziane, progetto che peraltro non ha finora incontrato accoglimento». I porti sono uno snodo strategico Quali sono le prospettive per il futuro del sistema maritper l’integrazione della nostra timo italiano? economia di trasformazione «Le attività marittime rappresentano con l’economia internazionale: una leva fondamentale per lo svioccorre quindi investire su di essi luppo dell’economia nazionale. Annualmente, le attività marittime italiane producono beni e servizi per stati dell’Unione europea, con circa 200 mi- circa 36 miliardi di euro, dando lavoro a circa lioni di tonnellate di merci importate ed 165mila addetti diretti e ad altri 230mila nelesportate, mentre la nostra flotta mercantile l’indotto. Questa rilevanza necessita di una è cresciuta di oltre l’8%, sfiorando 16 milioni maggiore attenzione da parte dei decisori per di tonnellate di stazza. Questi due fatti ben l’adozione di quelle misure che ne assicurino rappresentano la vitalità e l’importanza delle la sostenibilità e lo sviluppo per contribuire in attività marittime italiane». maniera significativa alla crescita economica Quali sono i progetti in atto per lo svi- del paese».

Corrado Antonini, presidente della Federazione del sistema marittimo italiano

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GIUSEPPE D’AVINO Presidente di Confindustria Benevento

GIORGIO FIORE Presidente di Confindustria Campania


CONFINDUSTRIA

I diversi fattori dello sviluppo

«La forza degli imprenditori è data dall’attività che svolgono, capace di mettere in movimento il sistema economico, di creare sviluppo e di determinare il benessere collettivo». Giuseppe D’Avino è la voce degli industriali di Benevento Renata Gualtieri

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Sotto, il presidente di Confindustria Benevento, Giuseppe D’Avino

uardando all’economia del Beneventano ci si accorge che i settori che meglio hanno retto alla crisi sono quelli legati al largo consumo, in particolare l’agroalimentare, ma anche quelli nei quali più forte è la spinta all’innovazione e alla ricerca, come il metalmeccanico e l’Ict, mentre tra quelli che hanno maggiormente risentito della crisi economica c’è il settore tessile. Un discorso a parte merita il comparto edile. Quest’ultimo, oltre a risentire del rallentamento generale dovuto alla crisi, deve affrontare la particolare difficoltà del blocco dei pagamenti da parte di molti enti pubblici a causa dei vincoli dettati dal patto di stabilità. «Rispetto alle prospettive di crescita – Giuseppe D’Avino, presidente di Confindustria Benevento – vorrei sottolineare la delicatezza del momento, in quanto occorre tenere alta la guardia e lavorare con immediatezza per la realizzazione delle precondizioni per lo sviluppo economico quali ad esempio: infrastrutture, servizi, fiscalità, relazioni industriali e tutto quanto incide nella capacità

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di sviluppo delle imprese». Quale è la forza e il ruolo dell’imprenditoria locale sul territorio in cui opera? «La forza degli imprenditori è data proprio dall’attività che svolgono che è capace di mettere in movimento il sistema economico e quindi in grado di creare sviluppo e di determinare il benessere collettivo. Per quanto riguarda il territorio, ritengo che l’imprenditoria giochi un ruolo determinante con i suoi punti di forza e di debolezza. I punti di forza potrebbero essere dati dall’elevata qualità di alcune produzioni, mentre un punto di debolezza potrebbe essere rappresentato dall’individualismo. Su quest’ultimo gioca


Giuseppe D’Avino

un ruolo determinate il sistema associativo che è in grado di creare sinergie tra imprenditori». Quali gli ambiti strategici su cui lavorare per rilanciare la competitività delle aziende locali? «Innanzitutto creare e sviluppare i fattori abilitanti per lo sviluppo e soprattutto incidere su quegli elementi che creano ancora svantaggi competitivi rispetto al resto del Paese; ad esempio garantire un sistema di fiscalità più vantaggioso, snellire, anche se al riguardo alcuni provvedimenti sono già intervenuti, gli adempimenti amministrativi delle imprese, rendere più agevole il sistema degli incentivi, creare forme automatiche per la formazione e per gli incentivi». Al momento della sua elezione ha rilanciato la proposta di joint-city, tesa a mettere in rete le città della regione per meglio valorizzare globalmente le rispettive potenzialità di sviluppo. Quale lo scenario at-

Il comparto edile, oltre a risentire della crisi, affronta la difficoltà del blocco dei pagamenti da parte di molti enti pubblici

tuale? «Il discorso delle joint city è stato già avviato con la presidenza Rummo e si basa su una considerazione: la provincia di Benevento ha delle importanti caratteristiche di complementarietà rispetto alle altre provincie campane. Purtroppo oggi ci si ricorda di queste caratteristiche solo quando si deve trovare una soluzione per i rifiuti di Napoli, e non si lavora per valorizzare il territorio della nostra provincia, che potrebbe ad esempio essere un importante polo residenziale, di ricerca, di attività culturali oltre che industriali. Per questo è fondamentale la capacità di connessione intermodale dei trasporti che mette

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CONFINDUSTRIA

Gioca un ruolo determinate il sistema associativo che è in grado di creare sinergie tra gli imprenditori

in collegamento tutto il sistema infrastrut- imprenditoriale locale? turale regionale. Parlando di infrastrutture, accanto a quelle legate al modo dei trasporti occorre però che siano contemporaneamente sviluppate anche tutte quelle di cui hanno bisogno le imprese, a cominciare dagli strumenti di programmazione territoriale (Ptcp, Puc), continuando con le infrastrutture immateriali, con le aree industriali, il mondo della formazione, le reti energetiche, i sistemi ambientali. Solo un approccio sistemico, che consideri congiuntamente queste problematiche e relazioni all’intero territorio regionale potrà dare risposte ai fabbisogni delle imprese». Confindustria Benevento ha presentato il progetto dal titolo “Io merito una opportunità” con l’obiettivo di preparare figure professionali “ad hoc” rispetto per le imprese del territorio. Quali le richieste in termini di competenze che vengono dal mondo

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«Il Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Benevento, nell’ambito delle proprie attività volte alla diffusione della cultura di impresa e all'orientamento post diploma e post laurea degli studenti, si è fatto promotore di un progetto dal titolo “Io merito una opportunità” con l’obiettivo di preparare figure professionali rispondenti alle esigenze delle imprese. Da sempre crediamo nell’importanza di formare giovani e siamo convinti, oggi più che mai, che il “merito” rappresenti un valore su cui puntare indipendentemente dalla scelta finale dello studente. Questa iniziativa è stata avviata per favorire l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, per questo motivo si è cercato di mettere insieme domanda e offerta formativa. Ovviamente la realizzazione del progetto “Io merito una opportunità” è da attribuire soprattutto alle scuole e all’università che hanno aderito, ma in maniera particolare ai colleghi imprenditori che fungeranno da tutor al progetto e che stanno profondendo impegno ed energie per l’inserimento di giovani nel mondo del lavoro».


Giorgio Fiore

Al Sud serve una politica industriale più forte «Si sta investendo molto su innovazione e ricerca, fattori che possono creare i presupposti per un rilancio industriale importante, che deve essere accompagnato da una ripresa generale dell’economia». I piani di sviluppo del presidente Giorgio Fiore Renata Gualtieri

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uardando al Sud che cresce, ci sono imprese campane che mandano segnali positivi di sviluppo. Tra queste, Doria, Rummo, Mataluni, che ha circa 17 marchi nazionali di olio e produce per circa 200-300 produttori e adesso ha acquisito l’olio Dante. Gli altri settori sono invece un po’ in sofferenza. «Tra i comparti dell’economia campana che hanno meglio tenuto alla crisi c’è sicuramente l’agroalimentare – conferma Giorgio Fiore, presidente di Confindustria Campania – settore che funziona molto bene, esporta fortemente ma richiede continue attenzioni. Tra le principali richieste che gli imprenditori campani hanno presentato al presidente della regione Stefano Caldoro durante la Giunta di Confindustria Campania c’è il rilancio delle infrastrutture. Quali le attese e i piani per compensare alle debolezze strutturali del territorio? «Per consentire uno sviluppo del territorio occorre sviluppare le infrastrutture di carattere interregionale, parliamo della dorsale trasversale Napoli-Bari e la Napoli-Reggio Calabria e poi Messina-Palermo. È necessario il completamento della Napoli-Reggio Calabria che è l’opera infinita del Mezzogiorno. C’è stato promesso che verrà terminata nel 2012/2013, e speriamo che, dopo trenta anni, possa giungere a termine. E poi c’è la questione portuale e quindi tutto ciò che concerne la logistica e del

sistema interporti per i quali vanno assolutamente accelerati gli investimenti». Cosa si aspetta dalla Banca del Mezzogiorno e quali sono le prospettive per il futuro? «Riguardo a questo argomento sono un laico. È buona se parte bene, è cattiva se funziona male. Noi già avevamo un istituto di credito straordinario per il Mezzogiorno, funzionava bene, poi si è pensato di chiuderlo ma non è stato sostituito da nient’altro. Ora speriamo che la Banca del Mezzogiorno possa sopperire a questa mancanza. Ben venga, quindi, un istituto di credito che riservi la giusta attenzione al Mezzogiorno. L’importante è che si faccia perché se ne parla troppo e i tempi sono lunghi». Quali sono le strategie da attuare per sostenere il settore industriale nel difficile riposizionamento competitivo? «L’Italia deve uscire dalla crisi non solo la Campania. Noi possiamo inventarci qualsiasi cosa, ma di fatto ci deve essere una maggior politica industriale». Quanto conta investire in ricerca e innovazione? «Abbiamo un assessorato regionale che lavora benissimo che su questo lavora benissimo, investendo molto su innovazione e ricerca, fattori che possono creare i presupposti per un rilancio industriale importante, che però deve essere assolutamente accompagnato da una ripresa generale dell’economia».

Qui sotto Giorgio Fiore, presidente di Confindustria Campania

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POLIZZE ASSICURATIVE

Un’offerta assicurativa in continua evoluzione «Per mettere fine alle truffe bisognerebbe istituire un’agenzia antifrode che abbia poteri di investigazione e coordinamento delle indagini». Le soluzioni e i bilanci di Fabio Cerchiai, presidente dell’Associazione nazionale tra le imprese assicuratrici Michela Evangelisti

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Fabio Cerchiai, presidente di Ania, associazione nazionale tra le imprese assicuratrici

rgomento di grande attualità sul fronte assicurazioni è quello delle truffe nel settore Rc auto: dagli ultimi dati pare che pesino in Italia per un totale di circa 15 miliardi l'anno. Ma il panorama dei prodotti assicurativi va molto oltre le quattro ruote. A fare un punto generale della situazione è Fabio Cerchiai, presidente di Ania, l’associazione che rappresenta le imprese di assicurazione operanti in Italia. La crisi non ha risparmiato neanche il settore assicurativo; come hanno reagito le principali compagnie italiane?

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«Le imprese assicuratrici italiane sono state toccate dalla crisi finanziaria in modo sostanzialmente indiretto, ossia attraverso cali di valore contabile dei titoli in portafoglio, che hanno avuto un impatto reddituale negativo. Nessun caso di default si è verificato a seguito delle forti turbolenze dei mercati finanziari. Certo, il perdurare di tensioni sui mercati e la debolezza della ripresa economica richiedono, da parte delle nostre imprese, un’attenzione costante, fondata sostanzialmente su due cardini: una gestione tecnica in equilibrio e un’impostazione prudente e orientata al lungo periodo sui mercati finanziari». Come sta evolvendo il panorama dei prodotti assicurativi? Una soluzione creativa offerta dalle compagnie assicurative e rivolta soprattutto ai pensionati in difficoltà economica è quella di cedere la nuda proprietà della casa per avere una rendita vitalizia. Come stanno rispondendo gli italiani? «L’evoluzione dell’offerta di prodotti assicurativi è ormai una costante sul mercato italiano.


Fabio Cerchiai

scale per tutti gli strumenti che offrono copertura del rischio sanitario e, dall’altro, promuovendo un maggiore ricorso alle polizze collettive, coinvolgendo ad esempio le parti sociali in sede di contrattazione settoriale di lavoro». Quali sono le misure da adottare per arginare il fenomeno dilagante delle truffe assicurative? «La misura principale è l’istituzione di un’agenzia antifrode che abbia poteri di investigazione e coordinamento delle indagini. Ne chiediamo da tempo l’istituzione e siamo disponibili a sostenerne i costi. Speriamo che il 2011 sia l’anno decisivo al riguardo». Dagli ultimi dati risulta che in Campania un cittadino su tre non paga l’assicurazione del-

L’obiettivo, naturalmente, è quello di soddisfare in modo sempre più completo i mutevoli bisogni assicurativi di famiglie e imprese. Quanto al cosiddetto “prestito vitalizio ipotecario”, non vi è un’offerta concreta in quanto per ora la domanda non risulta elevata, anche per la presenza di alcune incertezze nella normativa e per una radicata ritrosia a sottrarre agli eredi la proprietà del bene». Nonostante le difficoltà economiche del momento e il fatto che siamo il Paese europeo con la più alta spesa sanitaria diretta non coperta da mutue, siamo anche tra i Paesi europei con la più bassa percentuale di popolazione coperta da un’assicurazione sanitaria privata. Come spiega questo fenomeno? «Una maggiore diffusione delle coperture assicurative sanitarie private corrisponde a un interesse generale e si potrebbe ottenere, da un lato, con un’effettiva equiparazione del trattamento fi-

l’auto: i consumatori si giustificano facendo notare che in Italia i premi sono doppi rispetto agli altri Paesi Ue. Come rispondono le compagnie? «Rispondo sottolineando che, come è ben chiaro nel senso comune e come insegna la teoria economica, il prezzo dipende dal costo: se in Italia il costo dei sinistri, a parità di veicoli circolanti, è più che doppio rispetto a quello della Francia, è inevitabile che anche il prezzo sia ben più elevato. Perché sia possibile una riduzione dei prezzi dell’Rc auto occorre abbattere, con misure strutturali, da noi ripetutamente proposte in tutte le competenti sedi, il costo dei sinistri». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 109


POLIZZE ASSICURATIVE

Truffe e illegalità su quattro ruote Autoveicoli che circolano privi di copertura assicurativa e contrassegni falsi sono fenomeni molto diffusi a Napoli. Il questore Santi Giuffrè parla di controlli severi ed efficaci e auspica una maggiore collaborazione da parte di tutti Michela Evangelisti

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a una recente ricerca Isvap emerge che a Napoli e in Campania in media un cittadino su tre non paga l’assicurazione dell’auto. Gli utenti si giustificano lamentando prezzi inarrivabili. Quello delle tariffe è un problema che non colpisce solo il Sud, ma in generale tutto il Paese, dal momento che, sempre da dati Isvap, in Italia i premi risultano essere doppi rispetto agli altri Paesi Ue. Ciò faciliterebbe disaffezione degli assicurati e, soprattutto, ricorso alle illegalità. Quali tipi di controllo vengono effettuati sul territorio? «Oltre a servizi specifici organizzati dalla Questura e dalla polizia stradale, nelle consuete attività di controllo del territorio si procede ordinariamente alla verifica del contrassegno assicurativo. Il fenomeno dell’assenza di copertura assicurativa per gli autoveicoli è sicuramente rilevante: si consideri che dal 1 settembre al 30 novembre sono stati accertati 505 casi di veicoli circolanti su territorio privi del contrassegno assicurativo».

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Nel caso si rilevi che un automobilista circola senza aver pagato l’assicurazione o esponendo un contrassegno falsificato, in che modo è possibile intervenire? «Nel caso in cui si accerti che un veicolo è in circolazione privo di assicurazione, il conducente viene contravvenzionato, ai sensi dell’articolo 193/1° e 2° comma del codice della strada, con la sanzione accessoria del sequestro amministrativo del veicolo. Laddove l’assicurazione dovesse risultare falsa, il responsabile viene deferito all’autorità giudiziaria competente per i reati di cui agli articoli 485 e 648 del codice penale. Se il conducente del veicolo è anche l’intestatario, si applica la sanzione amministrativa di cui all’articolo 193/4° comma del codice della strada che prevede la confisca del veicolo». Il panorama delle frodi assicurative in Italia vede in testa alla classifica la Campania, con l’11,91% degli illeciti. Quali sono i casi di truffa che vi siete trovati ultimamente ad affrontare? «Il numero delle frodi assicurative è abbastanza elevato: negli ultimi tre mesi sono stati

Il questore di Napoli, Santi Giuffrè


XxxxxxxSanti Xxxxxxxxxxx Giuffrè

Sensibilizzare i cittadini A Napoli un sinistro su quattro è inventato e il fenomeno è coperto da una fitta rete di connivenze. Il punto sulle truffe su strada dell’assessore alla Legalità Luigi Scotti er arginare il fenomeno del mancato pagamento dell’assicurazione Rc auto, il Comune di Napoli ha svolto una precisa campagna di prevenzioni, che enuncia le conseguenze cui va incontro l’automobilista sfornito di copertura assicurativa. «Pensiamo sia un metodo efficace – spiega Luigi Scotti (nella foto) - ricordare a ogni cittadino automobilista che può essere a sua volta vittima di un conducente non assicurato e privo di capacità risarcitoria».

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Quali sono gli strumenti di controllo e repressivi a disposizione della polizia locale per intervenire contro le truffe assicurative?

«La polizia municipale è stata incaricata, d’intesa con le altre forze di polizia, di rilevare rigorosamente le infrazioni nel corso dei controlli sul traffico, e la situazione va migliorando. Nel corso dei suddetti controlli i vigili urbani hanno constatato, in varie occasioni, il fenomeno del contrassegno falsificato. Chiarisco al riguardo che, nel timore di smarrimento del contrassegno o di furto del veicolo, è piuttosto diffusa la prassi di detenere a bordo una fotocopia. Ebbene, in questi casi la polizia municipale invita l’interessato a presentare in tempi brevi l’originale; proprio

una trentina i casi accertati dalla Polizia di Stato di contrassegni falsi. Spesso gli utenti sono vittime inconsapevoli. Di recente si è verificato il caso di compagnie assicurative straniere, effettivamente esistenti, i cui contrassegni, rilasciati a utenti che avevano regolarmente pagato il premio assicurativo attraverso un “tramite” locale, sono in realtà risultati falsi». È purtroppo nota la presenza di organizzazioni che inscenano incidenti per intascare il premio dell’assicurazione. A Napoli qual è

attraverso questi ulteriori controlli si sono evidenziati fenomeni di falsificazione, da qui il sequestro del veicolo e la denunzia all’autorità giudiziaria per il reato di falso aggravato, oltre il pagamento della sanzione pecuniaria per l’omessa copertura assicurativa. Tuttavia il fenomeno è abbastanza circoscritto e certamente, dopo il rigore manifestato in concreto, si esaurirà come tutte quelle manifestazioni illecite che, quando impattano in energici controlli, prendono un’altra strada». Sinistri inventati, automobilisti in circolazione senza polizza o anche con contrassegni falsificati: qual è la portata del fenomeno nel comune di Napoli?

«I sinistri inventati sono molto più frequenti (uno su quattro) e, fra l'altro, intasano i ruoli giudiziari, soprattutto quelli dei giudici di pace; purtroppo raramente si scoprono, per una serie di connivenze che coinvolgono, oltre i diretti interessati, mestatori di affari illeciti, avvocati e officine di riparazione per il fatturato falso».

la portata del fenomeno? «A Napoli il fenomeno esiste sicuramente. Spesso gli accertamenti sono resi più difficili dal fatto che questi episodi vengono di rado denunciati. Nonostante tali difficoltà gli organi di polizia riescono comunque a individuare spesso le compagini delittuose, siano esse associative siano concorsuali, che hanno come fine la commissione di tali specifici reati. Anche in questo caso sarebbe auspicabile una maggiore collaborazione da parte di tutti». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 111


Il rilancio dell’agroalimentare

È

Sotto, il ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Giancarlo Galan

stato ormai avviato il dibattito sul “dopo 2013”, anno in cui la riforma della politica agricola comune dovrà fare i conti con la nuova programmazione finanziaria. E, in questo contesto, il mantenimento del budget per la spesa agricola rimane un’esigenza imprescindibile. Serve, comunque, una politica comune fatta di norme che tutelino il modello agroalimentare europeo e di risorse finanziarie che consentano ai nostri produttori di competere sul mercato mondiale. «La Pac del futuro sarà una buona politica – assicura il ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali Giancarlo Galan – se saprà far crescere la competitività delle imprese europee e se saprà aiutarci a gestire in modo adeguato le crisi di mercato e la volatilità dei prezzi. Ma non sono convinto che gli strumenti attuali della Pac siano idonei ad affrontare le sfide che abbiamo davanti». La nuova politica agricola comune dovrà essere concepita, dunque, «a tutela di tutte le esigenze regionali, evitando semplificazioni troppo sbrigative e con la giusta dose

112 • DOSSIER • CAMPANIA 2010

«L’agricoltura non è più solo il deposito di una sapienza millenaria, ma ha bisogno di un approccio tecnicoscientifico da insegnare nelle scuole e nelle università». Le scelte strategiche del ministro Giancarlo Galan Renata Gualtieri

di sussidiarietà». Come si possono ridurre i divari tra le Regioni e rilanciare in pieno l’agricoltura italiana? «Le Regioni hanno a disposizione lo strumento dei piani di sviluppo rurale, cofinanziati dall’Unione europea attraverso il Feasr, il fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale. Negli ultimi giorni, tramite i Psr sono stati erogati 60 milioni di euro di contributi al settore agricolo e per evitare qualsiasi forma di penalizzazione finanziaria da parte della Commissione europea, entro il 31 dicembre dovranno essere erogati ulteriori 423 milioni di euro, corrispondenti a 245 milioni di euro di fondi comunitari. Inoltre, per aiutare a superare il rischio del divario, su mia proposta, il Cipe, ha


Giancarlo Galan

approvato il Piano per il Sud, un programma d’interventi infrastrutturali nel settore irriguo e della bonifica pari a 177 milioni di euro. Si tratta di infrastrutture, localizzate nel Mezzogiorno, strategiche non solo per l’agricoltura italiana, ma anche per l’assetto del territorio e la protezione del suolo, ruolo che, sempre più spesso, il complesso sistema irriguo è chiamato a svolgere». Quanto incide la provenienza o il costo di un prodotto sulla scelta dei consumatori? «Siamo al lavoro per accorciare la filiera produttiva, consentendo così agli agricoltori di ridurre i costi, e responsabilizzare i consumatori nella scelta dei prodotti legati al territorio, con un notevole risparmio ma anche garanzia di qualità e sicurezza. Al contempo, ritengo fondamentale una politica di difesa e valorizzazione del nostro patrimonio agroalimentare tipico, per farlo conoscere sui mercati internazionali e renderlo a portata di tutti». Quali le politiche per assicurare la competitività e la sostenibilità del sistema agroalimentare? «Non ci può essere sviluppo senza garantire e sostenere il progresso della scienza e la libertà di ricerca, nel rispetto della legislazione comunitaria e nazionale. Occorre, quindi, una seria valutazione, facendo appello al discernimento per poter utilizzare al meglio, anche in campo agricolo, le opportunità offerte dal progresso tecnologico. Il rilancio dell’agroalimentare, quindi, deve passare necessariamente anche attraverso un progetto culturale serio, che coinvolga pienamente il settore della formazione. L’agricoltura non è più solo il deposito di una sapienza millenaria, ma ha bisogno di un approccio tecnico-scientifico da insegnare nelle

scuole e nelle università». Il comparto macchine in agricoltura è obsoleto. Come si può dare impulso alla meccanizzazione in Italia? «Tra gli interventi a favore delle Regioni e delle Province autonome per lo sfruttamento delle risorse disponibili, attraverso le misure di sviluppo rurale, abbiamo inserito anche aiuti di carattere finanziario per l’acquisto di macchine e attrezzature nuove. L’introduzione di incentivi per il rinnovamento del parco macchine agricole rappresenta una strategia condivisa non solo per il superamento della crisi del settore, ma anche per il miglioramento delle condizioni di sicurezza degli operatori». Su cosa si deve puntare per contrastare l’italian sounding sul mercato americano? «Ritengo prioritario difendere il nostro patrimonio agroalimentare di qualità non solo in un mercato vasto come quello statunitense. Oltre che sulle azioni legali, occorre puntare sulla sensibilizzazione dei consumatori, aumentandone la consapevolezza e mettendoli in condizione d’individuare quali sono realmente i prodotti italiani. Le azioni legali internazionali per contrastare il falso made in Italy, infatti, sono lunghe, complesse e, spesso, insufficienti. Quello che possiamo fare è puntare sull’estensione sui marchi internazionali e su accordi con gli altri Paesi. Infatti, rendere i prodotti italiani maggiormente riconoscibili potrebbe rappresentare un innovativo strumento per la lotta alle imitazioni e alle contraffazioni. Azioni di promozione, sui mercati internazionali, che affianchino ai nostri prodotti distintività legate all’origine delle materie prime, alle conoscenze e alle tecnologie produttive possono risultare un utile mezzo di riconoscibilità».

60 mln PSR

La cifra prevista dai Piani di sviluppo rurale per il settore agricolo

177 mln

INFRASTRUTTURE È la cifra in euro per gli interventi nel settore irriguo e della bonifica previsti dal Piano per il Sud, approvato dal Cipe

CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 113


POLITICHE AGRICOLE

I prodotti “sicuri” valorizzano il territorio «La promozione dei prodotti della tradizione campana va fatta partendo dalla regione. I turisti così “approfittano” della bellezza del nostro paesaggio e delle eccellenze della nostra terra». I piani di sviluppo dell’assessore Vito Amendolara Renata Gualtieri

L’

Sotto, l’assessore all’Agricoltura della Regione Campania, Vito Amendolara

operazione realizzata recentemente dall’Agenzia delle Dogane e dalla Guardia di Finanza nel porto di Salerno si è conclusa con il sequestro di oltre 1.500 litri di olio extravergine contraffatto. Risulta sempre più necessario, dunque, un impegno da parte della Regione per garantire la sicurezza in campo alimentare. «Ho convocato un tavolo di lavoro all’interno del quale ci sono tutte le forze preposte ai controlli sul territorio dai Nas agli addetti al controllo tecnico qualità, dalla Guardia di Finanza ai Carabinieri – assicura l’assessore all’Agricoltura della Regione, Vito Amendolara – puntando a un coordinamento degli interventi da attuare in regione, mantenendo alto il livello di controllo soprattutto nei due punti più nevralgici, cioè il porto di Salerno e quello di Napoli». L’obiettivo, dunque, resta quello di creare una barriera di filtro e controllo più coordinato, coinvolgendo le forze preposte a questi compiti. Ritiene necessarie azioni di sorveglianza più capillari sul territorio? In particolare in quali punti di snodo cruciali per l’import ed export vanno incremen-

114 • DOSSIER • CAMPANIA 2010

tati i sopralluoghi? «Nell’accordo con il centro delle dogane, che hanno preso parte al tavolo di lavoro, c’è anche la messa a regime di uno scambio di notizie abbastanza sensibili, cioè di quelle che sono contenute nelle banche dati, per avere un maggior coinvolgimento e sinergia fra i vari organismi preposte ai controlli. Si tratta ora di rendere più pervasivo queste operazioni in un’interrelazione di programmi e attività che vengono svolte dai vari corpi. L’obiettivo è quello non solo di focalizzare i controlli nei due porti, ma anche in altri luoghi ugualmente importanti come i supermercati e i consorzi, come stiamo già facendo con la Guardia di Finanza e i con-


Vito Amendolara

Per la tutela dei prodotti Dop e Igp della Campania sono importanti i controlli svolti nei supermercati e nei consorzi

sorzi di tutela. Grazie a questa collaborazione possiamo controllare i prodotti Dop e Igp della Campania». Il Tavolo per la sicurezza alimentare, costituito in sinergia con l’Osservatorio regionale per la sicurezza alimentare, a quali buoni risultati ha portato? «I falsi pomodoro San Marzano sequestrati e l’olio contraffatto sono le prime avvisaglie dell’interessante risultato che stiamo portando avanti con l’Orsa. Al di là dell’egregio e straordinario lavoro che fanno le forze dell’ordine, il continuo dialogo instaurato tra i vari organismi preposti e la decisione di alzare ulteriormente il livello dei controlli attraverso l’Orsa sta portando effetti positivi sulla garanzia di sicurezza alimentare». Quali i progetti in ballo per la promozione dei prodotti della tradizione campana? «Diciamo che c’è “un’inversione di tendenza”. Sono convinto che, invece, di portare i prodotti in tutto il mondo, dal momento che abbiamo imprese molto piccole e con una produzione limitata, la valorizzazione vada fatta sul territorio. Si tratta di mettere in evidenza queste eccellenze intercettando flussi di turi-

sti che sono interessati al turismo religioso, culturale ed enogastronomico. Si ottengono così due risultati: in primo luogo i turisti che scelgono il nostro territorio gustano veramente i prodotti agricoli campani, limitando il rischio della contraffazione, e in secondo luogo rimane nel territorio anche l’indotto occupazionale-economico che il flusso turistico porta con sé. I turisti così “approfittano” della bellezza del nostro paesaggio e delle eccellenze della nostra terra. L’inversione di rotta va verso questa direzione». Sabato 11 dicembre è stata la prima giornata di protesta dell’associazione pizzaioli napoletani contro la decisione dell’Unione europea di revocare l’importante riconoscimento del marchio Stg (specialità tradizionale garantita) assegnata dopo anni di lotte, neanche un anno fa, alla pizza napoletana. Come giudica l’iniziativa dei pizzaioli? «Direi che si tratta di un’iniziativa positiva perché vedersi sottratto un risultato importante sicuramente non ci soddisfa. Tuttavia dobbiamo cogliere questa opportunità per rilanciare un “patrimonio” come la pizza, assicurandogli una connotazione d’identità più forte. La pizza napoletana per poter essere pizza vera e verace ha bisogno dei prodotti legati al territorio, in questo modo si riesce a valorizzare molto di più non solo la pizza ma anche gli altri nostri prodotti campani». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 115





ORGANIZZAZIONE DEL PERSONALE

Il valore della flessibilità di Sonia Palmeri Amministratore Delegato Charisma srl Selezione e Formazione palmeri@charismahr.it

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embra fantascienza parlarne adesso, in questo momento di alternanza di umori e amori politici, di dati statistici sulla disoccupazione, inoccupazione, di ammortizzatori sociali, di Pil, di Piano per il Sud. Eppure, considerato tutto, l’innovazione tecnologica e la flessibilità contrattuale materializzano la vera miscela alchemica su cui spostare l’attenzione per un effettivo rilancio delle aziende italiane. L’innovazione tecnologica costituisce la sfida del Ventunesimo secolo, guida lo sviluppo e l’organizzazione di grandi e piccole imprese, siano esse pubbliche o private, elaborando target di efficienza ed efficacia del proprio ingegno, scaturendo poi nella scoperta e nella conquista di nuove quote di mercato. Ma innovare significa anche concedersi un’apertura mentale a nuovi approcci gestionali e organizzativi. Le parole d’ordine devono essere flessibilità, adattamento, dimensionamento degli organici su livelli orizzontali, spinta alla condivisione di obiettivi, strategie e risultati. È fondamentale la valorizzazione delle singole potenzialità oltre che l’utilizzo delle diverse tipologie contrattuali. Dall’apprendistato alla somministrazione di lavoro. Sono tutte forme contrattuali da considerare come metodi per poter misurare, nel tempo, lo standard produttivo e la qualità dei lavo-

ratori coinvolti. Comune denominatore è la formazione, intesa come qualificazione e riqualificazione aziendale, in osmosi continua con gli adeguamenti imposti dalla crisi mondiale che ha coinvolto banche, industrie e consumatori finali. Il tutto sotto il fiato impetuoso delle imprese asiatiche, che avanzano sempre di più. Avranno respiro quelle aziende che punteranno sulla professionalità minuziosa, sull’esigenza di una coscienza delle risorse umane votata a processi di miglioramento continuo, atti a sostenere diverse letture dei fenomeni aziendali.

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Sonia Palmeri, Amministratore Delegato Charisma srl, che sviluppa e gestisce operazioni di ingegneria organizzativa del personale

L’innovazione tecnologica costituisce la sfida del Ventunesimo secolo, guida lo sviluppo e l’organizzazione di grandi e piccole imprese

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Avanti, dunque, a esperienze formative che contribuiscano a elevare la cultura manageriale, rinforzando conoscenze e competenze elevate, per una più completa consapevolezza delle difficoltà e dell’incertezza degli attuali scenari occupazionali. Per questo sono convinta che innovazione e flessibilità rappresentino, oggi, incubatori di generazioni vincenti. CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 133


MODA E TRADIZIONE

Il vero made in Naples

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ome insegna Gaetano Marcellino, proprietario del Berrettificio Framar insieme ai fratelli Marciano, «l’artigianalità è qualcosa che si tramanda, non si inventa». E in effetti il berretto è uno degli accessori che più risente della tradizione. Una produzione, quella del Berrettificio Framar che va avanti da cinque generazioni di "cappellai" e che è arrivata ad espandersi fino al di là dell’oceano. L’attività di export occupa l’80% della vostra produzione ed è in continua crescita. Cosa attira del made in Italy? «La naturale attitudine degli italiani al gusto. Quando si gira per il mondo, alla ricerca di nuova clientela, ci si accorge subito di essere riconosciuti per l’eleganza e la ricercatezza di abiti e accessori. È una qualità naturale di cui dobbiamo andare fieri e grazie alla quale il nostro ramo, la moda, si arricchisce di milioni di posti di lavoro. Oggi sono davvero numerosi i settori in cui la produzione italiana è in grado di eccellere. Il made in Italy è diventato motivo di vanto per le nostre aziende. Tengo però a precisare che mi riferisco all’originale, quello pensato e creato interamente in Italia, da non confondere con quello che viene prodotto in altre nazioni e solo etichettato in Italia». Come mai avete scelto di diversificare la produzione affiancando alla vostra linea classica una linea di articoli sportivi? «La moda è in continua evoluzione e questo è sotto gli occhi di tutti. Di conseguenza la gente si aspetta di continuo delle novità e così anche il cappello ha subito dei cambiamenti; bisogna andare al passo con i tempi e quindi adeguarsi ai diversi stili di vita delle persone. La moda sta andando verso uno stile casual e il berretto è il giusto coronamento di questo stile di vita. Viviamo in un universo fatto di segnali e tutto riconduce sempre a uno status sociale, di cui la moda è 134 • DOSSIER • CAMPANIA 2010

La moda italiana famosa nel mondo è sinonimo di qualità e veicolo di successo. Unita alla tradizione del made in Naples e all’armonia di linee e colori, rende i capi Framar molto corteggiati, anche al di là dell’oceano Maria Elena Casadei

un fattore determinante. Grazie alle linee più sobrie e sportive, il prodotto è diventato accessibile ad un pubblico più vasto, pur mantenendo sempre le sue linee eleganti». Rimanere artigiani all’interno di un mercato in cui spesso si valuta più la quantità che la qualità non deve essere facile. «Purtroppo sopravvivere ad un mercato che chiede solo l’abbassamento del prezzo è molto complicato, soprattutto quando si è una realtà piccola come la nostra. Fortunatamente noi siamo rimasti in piedi, ma solo perché nella creazione dei nostri capi mettiamo grande impegno e pretendiamo che siano molto curati in tutti i minimi dettagli. La ricerca dei materiali per noi è fondamentale e tutti devono essere assolutamente made

Sopra, da sinistra, Ciro Marciano, Luciano Marciano e Gaetano Marcellino. Nella pagina a fianco alcuni articoli Framar www.berretti-framar.it


in Italy. Infine, caratteristica determinante per chi si occupa di moda, la combinazione tra forme e colori, che è il fiore all’occhiello della nostra azienda». Che programmi avete per il futuro prossimo? «Abbiamo da poco creato un nostro marchio che è Alfonso D’Este, con il quale stiamo avendo molto successo, specialmente negli Stati Uniti d’America, che ad oggi rappresentano per noi il primo mercato. La novità è che dal prossimo anno cominceremo a creare collezioni femminili con il marchio Mila Shön. Si potrebbe dire che si tratta un po’ di una scommessa. Sono pochi anni che produciamo linee per donna, ma quest’opportunità è unica. Abbiamo avuto l’occasione di acquistare la royalty del marchio per tre anni, con l’esclusiva di produrre e vendere in tutto il mondo, e l’abbiamo colta al volo. Credo che ci porterà molte soddisfazioni». Quanto è difficile creare capi di alta moda nel Sud Italia? «Essere un'azienda del sud ci ha molto penalizzato e in questo periodo ancora di più. Noi viviamo in una città che è tra le più belle, ma allo stesso tempo difficile. Non voglio fare del vittimismo, ma la questione

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Dal prossimo anno cominceremo a creare collezioni femminili con il marchio Mila Shön

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"monnezza" ci ha resi ridicoli in tutto il mondo e di conseguenza ha reso ridicola qualsiasi cosa noi facciamo o produciamo. Purtroppo è un dato di fatto che la pubblicità negativa abbia influenzato inevitabilmente la visione di questa città e dei suoi lavoratori. Io sono napoletano da generazioni e continuerò a produrre e a lavorare a Napoli e così faranno tanti altri miei colleghi». I vostri prodotti sono per una clientela di nicchia oppure riuscite ad accontentare anche gli acquirenti più svariati? «Esportiamo in tutto il mondo e da poco anche in Cina e Brasile, che sono paesi emergenti. La tipologia del prodotto è di "nicchia", ma i numeri per andare incontro a una frangia di clienti più vasta possibile ci sono e per un prossimo futuro punteremo proprio ad aumentare la quantità e la tipologia di acquirenti. Tutto questo però senza mai tralasciare la qualità, perché solo con essa si costruisce il successo». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 135


IL SETTORE TURISTICO

Turismo in Italia successi e criticità

L’

Italia è un paese dalla forte vocazione turistica, ma le potenzialità del territorio non sono idoneamente sfruttate. Secondo Angioletto De Negri, uno dei più grandi imprenditori campani, da 35 anni nel settore con il suo tour operator I Viaggi dell’Airone e con la Progecta, specializzata nell’organizzazione di fiere tra cui la Borsa Mediterranea del Turismo, c’è ancora molto da lavorare, sia dal punto di vista professionale che politico per valorizzare al massimo la risorsa turismo. «In Italia manca un’adeguata programmazione – afferma -. Il turismo del paese va avanti perché l’Italia rappresenta un “marchio forte”, le sue bellezze sono conosciute in tutto il mondo, ma i problemi sono tanti». De Negri fa riferimento a diversi aspetti che dovrebbero essere migliorati, dal fatto che non tutti gli assessorati

Angioletto De Negri, Amministratore Unico della Progecta srl di Napoli, dell’Airontour sas / I Viaggi dell’Airone www.progecta.org - www.iviaggidellairone.com

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Il turismo è una risorsa preziosa per il paese. Il tour operator Angioletto De Negri, con le sue aziende, rappresenta un esempio positivo. Un successo che viene proprio dalla “difficile” Regione Campania Eugenia Campo di Costa al turismo possono contare su persone realmente preparate, alle conseguenze causate dalla liberalizzazione delle licenze delle agenzie di viaggi. Quali sono le maggiori criticità del settore turismo in Italia? «Quello che dovrebbe essere il volano dell’economia non viene sfruttato. Per gestire al meglio il turismo incoming, la preparazione e l’esperienza sono fondamentali. Ma non sempre gli enti e gli assessorati contano su figure realmente preparate. I tecnici ci sono e sarebbero pronti a dare il loro contributo per valorizzare questa risorsa ma vengono spesso ignorati. Inoltre, la liberalizzazione delle licenze delle agenzie di viaggio ha fatto sì che molti abbiano improvvisato il mestiere e il risultato è, ad esempio, che a Napoli sono rimaste a terra 1200 persone in partenza per assistere ai mondiali di calcio. Ci vuole un controllo specifico, non può aprire un’agenzia di viaggi chiunque non abbia lavoro. E in Italia questo succede, siamo la nazione col maggior numero di agenzie. In Francia ci sono 6mila agenzie controllate, in Italia oltre 13mila, ne basterebbero la metà. L’augurio è che il Ministero possa trasformare la situazione». Lei è un esempio positivo per quel che concerne il settore turismo. «Sono amministratore dell’Airontour Sas e de I Viaggi dell’Airone, realtà che ho fondato e che conduco da 35 anni. Abbiamo uffici su tutto il territorio nazionale, Roma e a Milano comprese,


Angioletto De Negri

LA BORSA MEDITERRANEA DEL TURISMO I

ndividuando la necessità di una fiera B2B riservata agli operatori del settore turistico operanti nel Mediterraneo, Angioletto De Negri ha organizzato per la prima volta nel 1996 la Borsa Mediterranea del Turismo, fondando di conseguenza la Progecta srl - società di eventi e comunicazione, di cui è attualmente amministratore unico. Da subito i grandi numeri e i nomi illustri dei partecipanti attestano la fiera nel calendario dei più importanti eventi di settore. Oggi, giunta alla quindicesima edizione, la BMT è tra le principali fiere turistiche in Italia, leader nel settore B to B con un’area espositiva di 20.000 mq che ospita 650 espositori e registra la presenza di oltre 19.000 visitatori. Tre i workshop specifici che registrano la presenza di oltre 350 buyers nazionali e internazionali: il Workshop Incoming - l’incontro tra l’offerta turistica italiana e la domanda estera; il Workshop Incentive & Congressi mette in contatto diretto 50 manager aziendali con le agenzie incentive, DMC, PCO e Centri Congressuali italiani; il Workshop Turismo Sociale - ha come protagonisti 120 dei principali CRAL aziendali presenti in Italia; il Workshop Terme & Benessere - che ospita gli operatori del wellness.

con una programmazione che coinvolge 1200 agenzie di viaggi. Sul lungo raggio abbiamo una partnership importante con Disneyland Paris, essendo uno dei suoi cinque fornitori nel territorio nazionale, e siamo i tour operator preferenziali di Air France. Le partenze sono previste da tutto il territorio nazionale e posso dire, senza falsa modestia, che siamo l’unico tour operator del Mezzogiorno con una programmazione così vasta, con uffici nelle principali città italiane e tanti anni di attività alle spalle. Siamo una delle pochissime, se non l’unica, società S.a.s, in Italia con un patrimonio considerevole, a dimostrazione del fatto che, nonostante tutte le brutture che si dicono della Regione Campania, ci sono anche persone che riescono a creare realtà valide, senza contare su interventi pubblici o sostegni di alcun tipo». Anche l’attività della Progecta, società di

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La liberalizzazione delle licenze delle agenzie di viaggio ha fatto sì che molti abbiano improvvisato il mestiere

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fiere e comunicazione, è legata al turismo? «Il turismo rappresenta il core business delle mie attività. Progecta organizza la Borsa Mediterranea del Turismo, un appuntamento molto sentito nel settore, che apre la stagione estiva e che giungerà nel 2011 alla sua quindicesima edizione. Importanti sono anche i Roadshow - workshop itineranti molto apprezzati dagli operatori turistici. Un’altra fiera curata da Progecta è Pharmexpo, a cadenza annuale, creata nel 2008 in stretto contatto con l’Ordine dei Farmacisti e Federfarma. È il primo salone annuale dedicato all’industria farmaceutica nel centro sud Italia. Quest’anno hanno partecipato 10mila farmacisti. Nel 2009, è nata anche Showcolate, la fiera del cioccolato, che quest’anno ha avuto 47mila visitatori. Le fiere, oltre all’interesse settoriale in sé, comportano vantaggi anche sull’indotto e l’economia del territorio riempiendo alberghi e ristoranti, alimentando quindi il turismo della città». Ci sono altri progetti in cantiere? «L’ultima novità che abbiamo creato è un B&B nel pieno centro di Napoli. Un residence con sette camere, in via Chiaia. Una struttura che ci rende orgogliosi perché, con prezzi accessibili, favorisce ulteriormente il turismo a Napoli».

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RETE AEROPORTUALE

Aeroporti più grandi, efficienti, ben serviti e in rete

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n Italia l’evoluzione del sistema aeroportuale è stata per lungo tempo connessa alle strategie e alle esigenze della compagnia di bandiera. Successivamente, le crescenti difficoltà di Alitalia e gli effetti della liberalizzazione del traffico aereo, realizzata in attuazione della normativa comunitaria, hanno determinato una proliferazione del numero di aeroporti, senza che si individuassero chiaramente le linee programmatiche idonee a ordinare in modo coerente lo sviluppo del sistema. «Basti pensare che la rete aeroportuale italiana è costituita da circa 100 aeroporti, di cui solo 47 registrano traf-

Qui sotto, l’onorevole Mario Valducci, presidente della commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni della Camera dei Deputati

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«L’Italia non ha bisogno di un maggior numero di aeroporti, ma di scali più grandi, più efficienti e meglio connesse». Le nuove sfide per la rete aeroportuale italiana emergono dall’attenta analisi dell’onorevole Mario Valducci Renata Gualtieri

fico commerciale con voli di linea. I primi 20 aeroporti coprono il 95% del traffico di passeggeri. Ancora più significativo è il fatto che soltanto 7 aeroporti hanno un volume di traffico superiore a 5 milioni di passeggeri l’anno (soglia di rilevanza comunitaria) e i primi 8 aeroporti (i 7 a rilevanza comunitaria più Ciampino) coprono circa il 70% del traffico passeggeri del Paese». L’onorevole Mario Valducci, presidente della commissione Trasporti della Camera dei deputati indica quale è lo stato del sistema italiano. Quali le prospettive e i dettagli delle linee strategiche su cui lavorerà la commissione che lei presiede per lo sviluppo di un comparto così fondamentale per il nostro Paese? «Nei due anni e mezzo della mia presidenza abbiamo innanzitutto lavorato per una positiva soluzione della crisi Alitalia con ottimi risultati vi-

sto che ormai da due anni il vettore non pesa più sulle tasche degli italiani. Poi abbiamo concluso un’indagine conoscitiva sul settore aeroportuale che ha visto ben 41 audizioni dei soggetti interessati, dalle compagnie aeree alle società di gestione aeroportuali alle istituzioni interessate. Dall’indagine è emerso un quadro frammentato del sistema aeroportuale italiano, che comporta, per un verso, l’utilizzo di ingenti risorse pubbliche per la realizzazione e la gestione di aeroporti con volumi di traffico ridotti e, dall’altro, per effetto della concorrenza tra gli scali, la difficoltà di sviluppare aeroporti su cui concentrare i voli a medio e lungo raggio. Pur avendo una dimensione economica paragonabile a quella di Germania, Francia e Gran Bretagna, l’Italia non ha aeroporti di dimensioni analoghe a quelle di Londra-Heathrow, di Parigi-Charles de Gaulle, di Francoforte o di


Mario Valducci

Madrid-Barajas e AmsterdamSchiphol. Insomma, il sistema aeroportuale italiano, nello stato in cui si trova oggi, non pare in grado di sostenere adeguatamente le future potenzialità di sviluppo del traffico aereo che, secondo stime conservative, ammonterà a circa 250 milioni di passeggeri nel 2030». Occorre una razionalizzazione della rete aeroportuale italiana? «L’interesse generale alla crescita del traffico aereo in Italia induce a individuare come obiettivo prioritario quello di utilizzare le risorse disponibili non per creare nuovi aeroporti

ma per ammodernare, ampliare e potenziare, in modo mirato, gli aeroporti che esistono e che già oggi rappresentano un asset significativo per l’intero Paese. Per raggiungere questo obiettivo è necessario, in primo luogo, ritrovare la capacità di elaborare una programmazione dello sviluppo della rete aeroportuale che risponda a finalità, interessi ed equilibri di carattere generale. Vi è, inoltre la difficoltà che deriva dalla frammentazione delle competenze a livello istituzionale. La competenza sugli aeroporti civili attribuita alle regioni dal titolo V della Costituzione rende più

complessa l’elaborazione di una programmazione a livello nazionale, mentre rischia di indebolire la resistenza alle pressioni “campanilistiche” che provengono dai singoli territori all’interno di ciascuna regione per avere il proprio aeroporto. Quanto agli aeroporti minori, la chiave per il rilancio è quella della specializzazione ad alto valore aggiunto: trasporto merci (approccio già adottato da qualche caso virtuoso nel Nord del Paese), traffico business (ad alto valore aggiunto), ultraleggero ed elicotteristica (volano del turismo locale)». C’è necessità di nuovi scali aeroportuali o occorre potenziare quelli già esistenti? «Il numero degli scali è assolutamente adeguato, tenendo anche conto della particolare conformazione dell’Italia. La vera sfida è di rendere efficienti e attrattivi quelli che già esistono. Dall’indagine conoscitiva che abbiamo concluso in commissione Trasporti è emerso con evidenza che occorre evitare di investire ingenti risorse pubbliche in strutture che non solo non sono in grado di garantire la propria sostenibilità sotto il profilo economico, ma rischiano anche di compromettere le prospettive di crescita degli altri aeroporti già operanti nella medesima area geografica, con l'effetto finale di ridurre la capacità di assorbimento del traffico aereo del Paese. L’Italia non ha bisogno di un maggior numero di aeroporti, ma di scali più grandi, più efficienti e CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 141


RETE AEROPORTUALE

Gli aeroporti, “le cattedrali del terzo millennio”, sono la vetrina del sistema Italia

meglio connessi, attraverso col-

legamenti intermodali con la rete ferroviaria e stradale, al territorio e al bacino di traffico di riferimento». È possibile coniugare la sostenibilità ambientale con la realizzazione delle grandi infrastrutture? «Certo, ma non possiamo dimenticare che sostenibilità ambientale ed economica sono rovesci della stessa medaglia. Dove non ci sono investimenti e sviluppo sostenibili, difficilmente ci sono risorse per tutelare l’ambiente nel tempo. Le tecnologie delle costruzioni (settore in cui l’industria romana è stata storicamente all’avanguardia nel mondo) forniscono oggi soluzioni impensabili solo pochi anni or sono. Certo è che il piano aeroportuale nazionale su cui sta lavorando il ministero non potrà non tenerne conto nell’individuazione dei siti e la rilocalizzazione di quelli a maggior impatto. Nonché nell’individuazione di forme compensative per i territori che ospitano gli aeroporti in crescita, che 142 • DOSSIER • CAMPANIA 2010

fungono comunque da acceleratore sull’indotto delle economie locali». Esiste un esempio di mobilità efficiente nel sistema aeroportuale italiano? «Ci sono casi positivi che vanno analizzati ed interpretati come best practice, anche se soltanto 6 sono gli aeroporti che hanno un collegamento ferroviario diretto. È il caso dell’alta velocità ferroviaria che, da pochi mesi, arriva direttamente in aeroporto a Milano Malpensa. E la stessa Malpensa si sta riprendendo dopo la scelta di Fiumicino come hub da parte di Alitalia: i recenti dati di traffico del 2010, sebbene parziali, dimostrano un’inversione di tendenza rispetto agli ultimi due anni. È il caso di Palermo, al cui interno è stata realizzata una fermata ferroviaria interamente con fondi europei, che rende veloce il collegamento tra l’aeroporto, invero piuttosto lontano dalla città, e il centro del capoluogo siciliano. Infine c’è Pisa, l’aeroporto regionale europeo con il terminal ferroviario più

vicino all’aerostazione, circa 40 metri». Quali sono le criticità da eliminare e i punti di forza su cui puntare per garantire il ruolo dell’Aeroporto di Fiumicino come grande hub per l’Italia? «Intermodalità ferro/gomma/ porti e sviluppo sostenibile sono sfide che attendono Fiumicino e che sono affrontate nel piano industriale. Occorre sottolineare che gli aeroporti, “le cattedrali del terzo millennio”, sono la porta di accesso per l’internazionalizzazione delle nostre piccole medie imprese, ma soprattutto la vetrina del Sistema Italia. Particolare attenzione dovrebbe essere riservata agli aspetti architettonici degli aeroporti in modo che consentano di trasformarli in tante “piccole Expo” in cui chi arriva e parte possa vedere, apprezzare (e quando possibile acquistare) le eccellenze che hanno reso famoso nel mondo lo stile di vita italiano: arte, moda, design ed enogastronomia».



La Campania si fa in tre Capodichino è in ripresa e Pontecagnano cerca un rilancio. Intanto Grazzanise aspetta la realizzazione del nuovo scalo. L’assessore regionale ai Trasporti, Sergio Vetrella, fa un quadro del sistema aeroportuale e delinea i possibili scenari futuri Riccardo Casini

Sotto, l’assessore regionale ai Trasporti, Sergio Vetrella

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n attesa della realizzazione del nuovo aeroporto intercontinentale di Grazzanise e del definitivo rilancio di Salerno Pontecagnano, resta solo lo scalo di Capodichino a dover sopportare la quasi totalità del traffico passeggeri della Campania: terzo tra gli aeroporti regionali italiani, dopo Ve-

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nezia e Catania, e settimo in assoluto, nel 2009 ha fatto registrare 5 milioni e 300mila passeggeri e un fatturato di oltre 54 milioni di euro. Ma secondo i dati Enac si tratta di numeri in calo rispetto all’anno precedente. L’assessore regionale ai Trasporti, Sergio Vetrella, giustifica in parte i numeri parlando del 2009 come di un «anno nero per tutto il traffico aeroportuale internazionale, a causa della crisi economica». Qual è invece la situazione nel 2010? «Nell’anno che si sta chiudendo Capodichino è tornato a crescere. La previsione di

chiusura è infatti di circa 5 milioni e 600mila passeggeri in transito, con un incremento del 5,1% rispetto al 2009». La Gesac, società di gestione dell’aeroporto, sta affrontando un cambio di proprietà. Quali sono gli auspici della Regione nei confronti di questo importante passaggio? «Capodichino è uno scalo strategico per tutta la Campania e, dunque, è fondamentale per noi che rimanga una struttura di alto livello, in grado di contenere gli aumenti di traffico previsti nei prossimi anni fino almeno alla realizzazione dello scalo inter-


Sergio Vetrella

Capodichino è uno scalo strategico per tutta la Campania ed è fondamentale che rimanga una struttura di alto livello

continentale di Grazzanise. Auspichiamo che la nuova proprietà continui a operare per lo sviluppo dello scalo». Quali investimenti sono in programma all’interno di questa struttura? «La società di gestione Gesac, privatizzata anni fa, ha investito e sta continuando a investire con risorse proprie e dello Stato per ammodernare e rendere sempre più efficienti e confortevoli le proprie strutture. Per quanto di nostra competenza, abbiamo in corso il potenziamento dei collegamenti dell’aeroporto con il resto della città e della regione. In particolare, all’interno dello scalo è prevista la realizzazione di una stazione della metropolitana di Napoli e della Cam-

pania, che metterà in rete sulla stessa linea ferroviaria Capodichino, il porto e la stazione ferroviaria centrale». Qual è l’impegno futuro della Regione su questo scalo? «Come dicevo prima, finché non si realizzerà Grazzanise, Capodichino deve continuare a sviluppare la propria efficienza con interventi che ne miglioreranno ancora il livello qualitativo dei servizi, la sicurezza e l'impatto ambientale. Quando Grazzanise sarà finalmente pronto, l'infrastruttura napoletana vi trasferirà progressivamente il traffico in eccesso, fino a diventare un vero e proprio city airport. Così come, quando sarà necessario, si trasferirà il traffico dell’avia-

Capodichino, da Gesac finora oltre 200 milioni D

opo un 2009 “nero” (-5,6% nel traffico passeggeri secondo Enac) l’aeroporto internazionale di Napoli Capodichino sembra aver vissuto un 2010 in ripresa: la previsione di chiusura è infatti di circa 5 milioni e 600mila passeggeri in transito, circa il 5,1% in più rispetto al 2009. Il dato progressivo dei primi undici mesi del 2010 registra infatti un +5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, mentre per quanto riguarda il raffronto tra i mesi di novembre l’incremento è del 7,1%. Intanto Gesac, la società di gestione dell’aeroporto, ha investito a oggi circa 209 milioni di euro (di cui 118 autofinanziati e 91 finanziati con fondi pubblici) per lo sviluppo delle infrastrutture e dei servizi. Entro il 2012 sono in programma poi ulteriori investimenti, che riguarderanno in particolare la riconfigurazione complessiva delle aree commerciali, un ulteriore ampliamento dell’area arrivi e l’estensione dell’area partenze, con la realizzazione di 2 bridge.

zione generale a Capua». Qual è invece la situazione dell’aeroporto di Salerno, da poco ripartito con tre voli giornalieri Alitalia? «Al momento lo scalo di Pontecagnano sconta la mancanza di una pista più lunga, in grado di ospitare un traffico che ne giustifichi la presenza come terzo scalo del sistema aeroportuale campano dopo Grazzanise e Capodichino. A mio parere, infatti, non abbiamo bisogno di cattedrali nel deserto con un inutile spreco di soldi pubblici, come purtroppo è avvenuto spesso nel nostro Paese». Nelle vostre intenzioni a quale esigenza deve rispondere allora questa struttura? «Se con un progetto credibile e serio si dimostra che quest’infrastruttura è in grado, anche grazie a una gestione professionale e adeguata, di generare sviluppo e occupazione vera per il territorio, non avremo difficoltà a investire le risorse che ci vengono affidate dai contribuenti campani per aiutare la struttura a decollare, a partire dagli investimenti necessari all'allungamento della pista». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 145


RETE AEROPORTUALE

Salerno punta su tempi brevi e posizione strategica Carmine Maiese, presidente del secondo scalo campano, illustra la sua ricetta per il rilancio: «Nel 2011 al via altri voli Alitalia e l’inizio dei lavori per l’allungamento della pista. Il sovraffollamento è un problema del Nordest, un solo aeroporto in regione è impensabile» Riccardo Casini

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entre da più parti si levano voci sulla necessità di una concentrazione del traffico aereo su pochi scali principali, vi sono strutture come quella di Salerno in cerca di un rilancio. Dopo il crac del 2008, dall’inizio del mese a Pontecagnano atterrano e ripartono due voli giornalieri su Milano Malpensa (uno al matSotto, Carmine Maiese, tino e uno nel presidente della società Aeroporto di Salerno Spa tardo pomeriggio) e uno su Roma Fiumicino, tutti targati Alitalia. E secondo il presidente Carmine Maiese il futuro non passa imprescindibilmente attraverso lo sbarco delle compagnie low-cost, come più volte ventilato nell’ultimo periodo. «Dopo la chiusura per bancarotta, che tra l’altro aveva lasciato a terra oltre un migliaio di passeggeri senza possibilità di rimborso – racconta – è stata fatta una selezione accurata per individuare un nuovo vettore. Da agosto del 2009 siamo ripartiti con un volo giornaliero 146 • DOSSIER • CAMPANIA 2010

di Air Dolomiti su Verona, a cui dopo qualche mese se n’è aggiunto uno su Milano, sempre con una rotazione in giornata che rendeva difficile la permanenza, ad esempio, della clientela business. Air Dolomiti è rimasta operativa fino allo scorso maggio, mantenendo sempre all’incirca lo stesso numero di passeggeri, a dir la verità piuttosto scarso». È così che si spiegano i dati Enac, secondo cui nel 2009 i movimenti di passeggeri a Salerno sono stati 3.968, con un calo del 78% rispetto al 2008. Come è possibile ora incrementare l’utilizzo della struttura?

«Già oggi le rotazioni giornaliere su Milano stanno portando risultati ben diversi, come dimostrano i 24 passeggeri in media (su 30 posti disponibili) che rientrano a Salerno con il volo pomeridiano. Mentre il collegamento con Roma consente di intercettare ben 14 rotte intercontinentali e oltre 60 europee: in questo modo non è più raro vedere qualcuno che si imbarca a Salerno per raggiungere New York, tra l’altro con un notevole risparmio di tempo nelle procedure di imbarco rispetto a uno scalo più grande come quello romano». Ma è possibile prevedere a breve l’arrivo di altre compagnie? «Al momento questo passa il convento. Nel frattempo Alitalia sembra intenzionata ad aprire due nuove tratte su Genova e Venezia nel 2011. Inoltre pensiamo anche all’attivazione di voli charter per soddisfare la domanda di alcune imprese del turismo con buyer nel centro Europa. Per quanto riguarda l’arrivo di nuove compagnie, in-


Carmine Maiese

vece, devono essere loro le prime a credere in questo scalo, altrimenti servirebbero contributi pubblici per convincerle. Dal mio canto, se fossi un imprenditore non avrei dubbi a puntare su uno scalo come questo, in primo luogo per la sua ubicazione strategica, ma anche per le sue caratteristiche che lo rendono complementare a Capodichino: ad esempio, mentre questo chiude alle 22, noi non abbiamo limitazioni di orario essendo in aperta campagna». La lunghezza della pista è l’unico ostacolo allo sbarco delle compagnie low cost come Ryanair? «Al momento la nostra pista non è compatibile con i loro aeromobili, come in generale con tutti gli Airbus o i Boeing 737. Contiamo, però, di avere entro un paio di mesi il progetto definitivo di ampliamento, che includerà anche un’analisi sul tipo

di intervento necessario: se si trattasse solamente di un miglioramento della superficie, potrebbero essere sufficienti 40 giorni, come già successo a Genova, e senza alcuno stop all’operatività dello scalo. A ogni modo, pensiamo di poter attivare i lavori entro il 2011. Per il momento parlare di low-cost è prematuro». Anche Enac ha recentemente espresso il desiderio di operare in funzione di un ridimensionamento dei piccoli aeroporti in funzione di una concentrazione del traffico sugli scali principali. Per quale motivo occorre invece puntare ancora su una struttura come quella di Salerno? «Credo che il problema del ridimensionamento riguardi soprattutto certe aree del Paese, come il Nordest o l’Emilia-Romagna, dove si registra un effettivo sovraffollamento di scali.

Sul Tirreno invece, scendendo da Ciampino, si trovano solamente Napoli e Lamezia Terme. Non è pensabile che una regione come la Campania, una delle più popolose d’Italia, abbia un solo aeroporto, tra l’altro cittadino e quindi senza ulteriori possibilità di ampliamento. Contando che i napoletani non vedono di buon occhio nemmeno l’idea di spostarsi a Grazzanise». Il futuro passa da Salerno, insomma. «Se la Campania vuole sviluppare il proprio traffico passeggeri, deve puntare su una struttura già in grado di potersi espandere con alcuni piccoli accorgimenti. Una struttura tra l’altro vicina ai collegamenti ferroviari e autostradali, a differenza di Malpensa, e con tutti i vantaggi delle piccole dimensioni, evidenti ad esempio nei tempi di imbarco. Senza dimenticare che, se non ci fosse Salerno, i possessori di velivoli privati dovrebbero scegliere tra Ciampino e Bari per recarsi a Capri o sulla costiera amalfitana: non a caso abbiamo ospitato di recente, tra gli altri, i mezzi di Montezemolo e Bill Gates. La domanda insomma c’è, manca l’offerta. Ma ci stiamo lavorando». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 147


IMPRENDITORI DELL’ANNO

Così si muove lo sviluppo del Sud Italia Parla Giovanni Cammarota, presidente della Salerno Trasporti. Un caso di successo per il Mezzogiorno. Ma soprattutto un esempio di imprenditorialità votata al concetto di meritocrazia Filippo Belli

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resce esponenzialmente la Salerno Trasporti, sfiorando il ritmo del 50% di incremento annuo. Un risultato che le permette, oggi, di essere presente capillarmente sull’intero territorio del Sud Italia. “Agiamo sul mercato con la certezza di poter essere competitivi, nonostante le difficoltà del mercato – spiega il presidente della società, Giovanni Cammarota -. Contiamo su di un

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solido patrimonio clienti oltre che su sistemi operativi che regolano con precisione tutte le fasi connesse alle spedizioni”. È dunque l’organizzazione gestionale il punto di forza dell’azienda. “La flessibilità organizzativa per noi risulta fondamentale. È l’unica formula che ci permette di essere in sintonia con il mercato, rispondendo a qualsiasi richiesta d’intervento della committenza, di cui conosciamo le reali esigenza distributive”. Insomma, agire anche in mancanza di preavvisi tempestivi. Un gruppo, quello della “Salerno Trasporti” che supera i trecento addetti tra dipendenti e collaboratori esterni, e con un fatturato globale che supera i 9 milioni di euro l’anno. Dalla base di Salerno si estende una capillare rete di collegamenti che copre tutta la Campania, la Basilicata, il Molise, la Puglia, la Toscana, la Calabria e l’Abruzzo. Salerno Trasporti lavora da anni con i più importanti net-

work, come TNT Global Express, SDA, DHL, GLS, BARTOLINI ed altri corrispondenti privati che operano con MTN, Artoni e altri. Emerge l’input imprenditoriale di Cammarota, anche in virtù di alcuni dettami che lo distinguono da molti altri attori economici. “Alla base del lavoro di un’azienda ci devono essere presupposti di meritocrazia – spiega il presidente della Salerno Trasporti . Un valore da accompagnare anzitutto alla trasparenza nei rapporti con tutti i collaboratori e, ovviamente, ad un forte impegno formativo”. A quest’ultimo punto, probabilmente, va attestato il merito della crescita del gruppo, che si consolida anche patrimonialmente nonostante la crisi congiunturale. “Siamo molto selettivi sulle risorse umane. Il nostro personale proviene quasi esclusivamente dal reparto operativo – specifica il presidente -. i collaboratori che dimostrano, negli anni, di essere affidabili, dediti al

Giovanni Cammarota, presidente della Salerno Trasporti www.salernotrasporti.it


Giovanni Cammarota

SUL MERCATO DEI SERVIZI S alerno Servizi è una delle costole nate più di recenti nel gruppo presieduto da Giovanni Cammarota. Dal 2007 a oggi è riuscita a raggiungere importanti livelli di competitività. La società agisce in diversi settori, dalla gestione logistica delle merci al magazzinaggio e “picking” . Inoltre, fornisce personale di back up a Telecom Italia, in partnership con “Ceva logistic”, gestendo anche occasionalmente il reparto ricambistico di alcune filiali Telecom, in Campania. “La nostra

sacrificio e disponibili a ogni chiamata dell’azienda, vengono catechizzati al raggiungimento del bene comune, vale a dire il lavoro in tutti i suoi aspetti”. Secondo il presidente di questa affermata azienda, la ricerca continua del raggiungimento di un obiettivo comune e condiviso, che è il miglioramento generale delle condizioni di lavoro e dei risultati ottenuti, è la “mission” da perseguire. Ma il gruppo non si concentra sui soli trasporti. È infatti in grado, tra le altre cose, di offrire alle aziende un proprio piano commerciale. “Il

filosofia aziendale è semplice – spiega Giovanni Cammarota -. Operare all’unisono con le aziende, ottemperando con diligenza e professionalità agli obblighi contrattuali, considerandoli vitali per il futuro di tutti gli operatori”. Altro settore in forte crescita è quello delle pulizie, dove il numero del personale consente di garantire flessibilità e rotazione nei turni di lavoro, sempre con la presenza, in loco, di un responsabile chiamato a vigilare sulla qualità del servizio svolto.

piano da noi proposto, relativamente alle forze vendita, prevede l’inserimento di diversi agenti per una copertura più capillare del territo-

rio, oltre che la presenza di un coordinatore commerciale che si occupa di verificare i portafogli clienti, la pianifi-

cazione dell’attività lavorativa, la redazione di un format per le trattative. Così intendiamo proporci come partner globali delle imprese più consolidate sul tessuto produttivo italiano. Realtà che vogliono movimentare in piena sicurezza e affidabilità le loro merci – conclude Cammarota -. Riteniamo i nostri “standard” esportabili e compatibili con tutti i “network” presenti sul territorio. Per questo, in futuro, sono certo che riusciremo a consolidarci commercialmente conquistando nuovi target”. CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 149


IMPRENDITORI DELL’ANNO

Cantieri in crescita

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In alto, da sinistra, Massimo De Santo. Nella pagina a fianco, da sinistra, il centro Enea e l’ospedale San Giovanni di Dio, a Frattamaggiore (Na) www.siccisud.it

u scala nazionale ci è tornato Paolo Buzzetti appena qualche giorno fa, affermando che è necessario affrontare i «vecchi mali del settore: la burocrazia, il cattivo funzionamento del sistema, le regole degli appalti». Su scala locale, lo ribadisce Massimo De Santo, amministratore della Sicci Sud. L’edilizia, duramente colpita dalla crisi, ha voglia di scrollarsi di dosso retaggi e immobilismi, soprattutto se la spinta parte dalla Campania, dove – non facciamone un mistero – a volte il mattone fa rima con corruzione. Ma questa è un’altra storia. «Quando sull’Italia si è abbattuto l’uragano di Tangentopoli, facendo piazza pulita di tante realtà, abbiamo preso una boccata d’ossigeno e abbiamo deciso di proporci direttamente agli enti, non prendendo più lavori in subappalto. Così acquistammo la Sicci Sud per trasformarla completamente. Oggi per un 95 per cento ci occupiamo di pubblico e semipubblico. Il tutto non rimanendo monosettoriali. Siamo proiettati verso una forma societaria di tipo general contractor, abbracciando tutte le problematiche degli edifici a trecentosessanta gradi». Ritardi nei pagamenti e ostacoli burocratici sono un po’ la spina nel fianco delle imprese che lavorano nel pubblico.

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Negli ingranaggi degli appalti pubblici insieme alla Sicci Sud. L’azienda che, di gara in gara, si è fatta le ossa e continua a mettere in campo una professionalità d’acciaio Paola Maruzzi

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Abbiamo preso importanti appalti: le Poste Italiane, l’Enel e le strutture ospedaliere dell’Asl Napoli 2 nord

«Sposiamo appieno la dichiarazione di Buzzetti, che ha fatto una fotografia perfetta di quella che è la situazione attuale. I ritardi a volte sono macroscopici, mentre a noi si richiede la massima puntualità per quanto riguarda l’adempimento delle tasse. E se dovessimo ritardare non avremmo più le carte in regola per dialogare con le amministrazioni pubbliche: un paradosso. Inoltre la concorrenza aumenta, quindi nelle gare si gioca ai massimi ribassi e fioccano numeri scandalosi, ai quali non ci stiamo prestando». Nonostante tutto non mol-

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late la presa. «È importante crearsi almeno le condizioni, con la partecipazione a gare e investimenti propri, proiettati al consumo della pubblica amministrazione. Questo se vogliamo continuare a mantenere il livello del target che ci siamo dati. Nello specifico, stiamo lavorando molto con il multiservice e il facility management». Vale a dire? «Prendiamo in carico tutte le problematiche di gestione degli enti pubblici, curando sotto molteplici aspetti tutto ciò di cui gli edifici hanno bisogno.


Massimo De Santo

Questo approccio totale, negli ultimi anni ci sta dando delle enormi soddisfazioni. La Sicci Sud si interfaccia non solo in veste di esecutore ma, pur rimanendo nei limiti del suo incarico, si pone come partner tecnico e, in collaborazione con i tecnici del committente, esamina le strategie affinché l’utilizzatore finale percepisca il servizio reso». E su altri versanti avete novità in cantiere? «Stiamo lavorando nell’ambito dalla valorizzazione immobiliare. Acquistiamo appezzamenti di terreno e restituiamo costruzioni e strutture ricettive chiavi in mano. Stiamo investendo, con l’acquisizione di due aziende, nella problematica del trattamento dei rifiuti con tecnologia altamente specializzata e non proiettata alla mera termodistruzione». Di anno in anno, la Sicci Sud è cresciuta. Questo a cosa è dovuto? «Principalmente alla nostra vocazione fortemente competitiva. E poi grazie all’innovazione. Se la Sicci Sud partecipa a importanti gare d’appalto è ovvio che non dispone di una

struttura artigiana o semiartigiana. Al contrario, investe e potenzia le risorse umane. I nostri collaboratori, prendono parte a corsi di formazione. Cerchiamo di essere il più possibile completi, avvalendoci di professionisti che spaziano dalla gestione della privacy alla gestione dei rifiuti prodotti in cantiere, e che curano tutti gli aspetti della sicurezza. Insomma più si cresce e più bisogna adeguarsi alle nuove normative. L’Unione europea ci impone degli standard che fino a dieci anni fa non erano contemplati». La vostra storia su quale passato affonda? «Sul mercato siamo presenti dal 1982, anche se sotto un’altra veste aziendale. Abbiamo debuttato da piccoli artigiani. Dopo una serie di vicissitudini il 1995 è stato l’anno di svolta.

Abbiamo acquisito la Sicci Sud con l’iscrizione all’albo nazionale dei costruttori. In questo modo siamo riusciti a partecipare in prima persona alle gare d’appalto. Facendo un bilancio, in quindici anni di attività, siamo cresciuti in maniera costante ed esponenziale. Da un fatturato iniziale di 900 milioni di lire, siamo arrivati al 20082009 con 12 milioni di euro». Un quadro sulla situazione dirigenziale? «Ai vertici ci sono: Pasquale De Santo, responsabile tecnico e degli acquisti; Salvatore Lamberti, responsabile tecnico del settore impianti elettrici, elettronici e trasmissione dati; Giuseppe De Santo, responsabile amministrativo; l’ingegnere Antonio Zeno, capo del settore tecnico e Vincenzo Lamberti responsabile gare e contratti». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 153


IMPRENDITORI DELL’ANNO

A

metà strada tra gli orizzonti sterminati delle foreste asiatiche e africane e l’industria dell’arredo campana, sospesa tra la ruvidezza del tronco e il tocco finale degli interior designer: suppergiù a questa altezza s’incontra la Sorrentino, un incubatore di materia prima. Le sue “stanze” sono un deposito di legni, pronti a prendere la strada delle falegnamerie e dei negozi d’arredamento locali. E non solo. Da qualche tempo le committenze si sono allungate fino al Lazio e al Sud Italia in genere. Antonio Sorrentino, titolare della società a conduzione familiare, apre il catalogo e percorre il ventaglio delle offerte: «Si va dal ciliegio all’ebano, dal teack al palissandro. Ce n’è per tutti i gusti». Commerciare legnami, che siano pregiati o economici, non è un’arte che s’improvvisa da un giorno all’altro. Bisogna saperne valutare la “scorza” e le caratteristiche, sondare le novità dei fornitori e, se occorre, andare in avanscoperta. Ecco perché Antonio Sorrentino viaggia spesso. Si sposta in Russia e in altri Paesi, laddove crescono e si tagliano le piante. È un passaggio indispensabile se si vuole garantire la qualità e la trasparenza nella filiera. La Sorrentino, anello intermedio di una catena produttiva moderna e 154 • DOSSIER • CAMPANIA 2010

Tra il tronco e il manufatto Tavole, pannelli e compensati trovano dimora temporanea presso la Sorrentino, anticamera di manufatti altamente qualificati. Commerciare il legno non è un’impresa che s’improvvisa. Servono intuito ed elasticità per mettere in circolo abeti, ebani e palissandri Paola Maruzzi

mutevole, registra la fluttuazione dei mercati e delle tendenze. A colloquio con il titolare, si scopre così una verità sorprendente. «L’immaginario televisivo detta legge persino alla grande distribuzione dei legnami». In che senso il piccolo schermo influenza il vostro giro d’affari? «Abbiamo constatato che, da quando alcune cucine in zebrano hanno debuttato in trasmissioni televisive seguitissime dal grande pubblico, per esempio il Grande Fratello, la richiesta di questo particolare tipo di legno è aumentata, magari a discapito delle classiche tavole di noce. Questo a riprova del fatto che i fornitori dei legnami assecondano e seguono il passo. E la cassa di risonanza dei media gioca un ruolo fondamentale, al pari delle fiere per addetti ai lavori». Quindi, le richieste dei le-

gni d’arredo, come per ogni altra cosa, seguono le mode. «Esatto. I nostri interlocutori sono le falegnamerie e i negozi di arredamento, molti dei quali sono seguiti da designer. Siamo quindi abituati ad assecondare richieste particolari e addirittura bizzarre. È naturale puntare alla qualità del palissandro, dell’ebano e di tanti altri tipi di prodotti. Insomma, pur essendo un anello intermedio, siamo in continua

Antonio Sorrentino, titolare della Sorrentino Industria Legnami www.sorrentinolegnami.com


Antonio Sorrentino

c

I legni che mettiamo in commercio sono di origine africana, americana, russa, austriaca. Ci rechiamo in loco per valutare cosa proporre

d

evoluzione». Sul filo della memoria, torniamo al passato della Sorrentino per capire meglio il presente. «Le sue origini si rifanno a una tradizione familiare che risale a mio nonno Antonio, creatore di calessi in legno. In seguito la seconda generazione dei Sorrentino è passata alla produzione di imballaggi, avviando un’attività di falegnameria che, nel tempo, è stata abbandonata a favore dell’importazione di legnami. Dai ricordi

emerge un quadro completamente diverso rispetto a oggi: macchinari manuali, la fatica degli operai e la produzione lenta e laboriosa di pezzi unici. La produzione in serie non erano ancora avviata». E oggi? «In sostanza facciamo da tramite, siamo un magazzino di risorse legnose. Le tavole ci arrivano già ripulite dalla corteccia. Il nostro compito consiste nel capire cosa e a chi piazzare i prodotti. Inoltre produciamo pannelli bilami-

nati e compaund, forniamo legnami esotici, resinosi e latifoglie. Contiamo su un’ampia gamma di profili lamellari, pannelli lamellari in legno massello, travi in abete lamellare, e uno svariato assortimento di compensati, placcati, listellari, multistrati, Mdf, truciolari, nobilitati, laminati, rivestimenti in legno, vernici, collanti, controtelai a scomparsa e parquet. La nostra forza consiste nell’avere un vasto assortimento». Da dove importate le materie prime? «I legni che mettiamo in commercio sono di origine africana, americana, russa, austriaca. Spesso ci rechiamo direttamente in loco per meglio valutare cosa proporre». Andate quindi in avanscoperta? «Sì. E lo facciamo per verificare la serietà dei fornitori, per tastare con mano la preziosità dei legni. Il tutto senza trascurare le problematiche legate allo sfruttamento delle risorse naturali. Per questo vantiamo certificazioni che garantiscono la sostenibilità della filiera». Quali canali utilizzate per farvi conoscere sul mercato? «Principalmente contiamo sul passaparola. Siamo radicati da anni nel territorio, facciamo affidamento su rapporti e commesse stabili. Ma ci stiamo aprendo anche a nuovi mercati, grazie anche al web». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 155


IMPRENDITORI DELL’ANNO

Alluminio, materiale del futuro

L’

innovazione, ai giorni nostri, può definirsi tale solo nei casi in cui riesca a coinvolgere nella progettazione nuovi materiali e risorse differenziate. L’ostinazione e il coraggio nella sperimentazione, nonché una ricerca costante e articolata, sono le carte da giocare per ottenere la giusta visibilità e, quindi, supportare efficacemente le idee di sviluppo. «Mai come ora l’innovazione ha premiato chi è in grado di proporre l’alternativa futuribile. Oggi essere propositivi significa conquistare visibilità in ambito tecnico-scientifico, e questo si verifica sia all’interno di realtà prettamente aziendali sia nel caso della libera professione». A parlare è l’ingegner Patrizio Castellano che nel corso degli anni ha sperimentato campi di progettazione anche molto diversi, ha affrontato spesso la diffidenza dei propri interlocutori, dovuta, quasi sempre, a una rigidità di pensiero dettata da problemi congiunturali, ed è oggi l’ideatore del brevetto per un nuovo sistema di fusione dell’alluminio. IL BREVETTO «Si tratta di un sistema che, a differenza degli altri processi di fusione, controlla la variabilità del titolo dell’alluminio, permette cioè di produrre tipologie diverse dello stesso metallo, al 156 • DOSSIER • CAMPANIA 2010

L’alluminio è un materiale facilmente lavorabile che consente alti livelli di risparmio energetico e possibilità di riciclo. Patrizio Castellano svela il brevetto per un nuovo sistema di fusione Guido Siniscalchi

contrario delle procedure utilizzate sino ad ora. È quindi in grado di rispondere, in maniera flessibile, alle molteplici esigenze del mercato. Il brevetto, che prevede l’impiego di un solo forno e, per tale motivo, presenta caratteristiche dinamiche ed economiche che possiamo definire inedite, è stato registrato in tempi straordinariamente brevi. Questa celerità, oltre a sorprendermi, mi ha rassicurato sulla maggiore sensibilità e lungimiranza acquisita, negli ultimi tempi, dagli organi preposti al controllo e dalla verifica delle innovazioni, dovuta, suppongo, alla consapevolezza che la tutela dell’ambiente e della salute, nonché il conseguimento di un risparmio energetico, siano attualmente le vere priorità in termini di ricerca scientifica e sviluppo tecper l’estrema duttilità. «È un nologico». materiale riciclabile che si recupera facilmente e consente di VERSATILITÀ rispondere a esigenze particoDI UTILIZZO L’alluminio può considerarsi a larmente importanti, quali la tutti gli effetti l’elemento chi- tutela dell’ambiente e la resimico del futuro, per la sua ver- stenza nel tempo – illustra Casatilità, in termini di utilizzo in- stellano –. Passiamo quindi dal dustriale, per la sua resistenza e riciclaggio a basso profilo del


Patrizio Castellano

L’ingegnere Patrizio Castellano coordina le attività svolte dallo studio tecnico di ingegneria e progettazione sito a Napoli www.studioingcastellano.com

formula esatta che riscatta, la valenza della documentazione storico-scientifica e getta le basi per una sperimentazione mirata e consapevole, in grado di coniugare progresso e qualità della vita. Un dato importante da tenere in considerazione è rappresentato dal fatto che il nostro Paese è il primo produttore europeo, e il terzo nel mondo, di alluminio riciclato.

secolo scorso, a una vera e propria rivoluzione in termini di risparmio energetico, riduzione RISPARMIO dei consumi e rivisitazione innovativa delle applicazioni nei Il riciclo dell’alluminio permette settori automobilistico e aerodi risparmiare nautico e, in un prossimo fuil 95% dell’energia richiesta turo, anche in altri ambiti proper produrlo duttivi». Una vera e propria

95%

rivisitazione anche del design negli elementi di arredo e nelle suppellettili, oggetti che fanno parte, ingiustamente, di una sorta di modernariato minore, torneranno a essere attuali, per FACILITÀ la loro leggerezza e incredibile DI LAVORAZIONE durata. L’incredibile sviluppo delle produzioni industriali che utilizIL RECUPERO zano l’alluminio è dovuto, eleE IL RICICLO mento questo da non «Le proprietà insite nella natura trascurare, alla sua facilità di ladell’alluminio garantiscono la vorazione. «L’alluminio è molto veloce, e sempre efficace, im- più facile da trattare – specifica postazione delle importantis- Castellano - con macchinari a sime fasi di recupero e riciclo. controllo numerico, ed è, inolL’alluminio è stato estratto, tre, molto tenero. Una volta i spesso indiscriminatamente, basamenti dei motori per le dalle rocce di bauxite, con di- auto si costruivano in ghisa, spendio di mezzi e problemi per mentre attualmente sono tutti la salute degli addetti ai lavori. in alluminio. Nel settore auto«Se pensiamo che per estrarre mobilistico l’alluminio è sempre dalla bauxite un kg di alluminio più presente, anche in forza del sono necessari 14 kwh, mentre fatto che le carrozzerie risultano l’operazione di riciclo dell’allu- più leggere e, di conseguenza, i minio usato impiega soltanto motori richiedono meno sforzo 0.7 kwh per conseguire la stessa e consumano quantità minori quantità di materiale nuovo, ci di carburante». Negli anni ‘50 e rendiamo conto dell’impor- ‘60 in un auto c’erano in media tanza di un procedimento tec- 40 kg di alluminio, oggi ce ne nologico finalizzato al tratta- sono circa 70. Diverse case aumento dell’alluminio ottenuto tomobilistiche hanno già inidalla rottamazione». L’ingegnere ziato a utilizzare al 100% l’alluCastellano è riuscito a creare la minio per telai e carrozzeria. CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 157


DETTAGLI ARTIGIANALI

Network creativo

A

Realizzazioni eseguite dallo Studio H studioh@libero.it

muovere le fila dello Studio H, così ben radicato nel tessuto sociale e artistico di una Napoli innovativa, è la capacità di connettere saperi e maestranze locali: falegnami, scultori, marmisti, decoratori, muratori e quant'altro. Un “miracolo” riuscito, che si compie ogni volta che bisogna mettere in pratica le strategie progettuali, sia che si tratti del restauro della cantoria in legno di un organo del 1642 o dell'allestimento di moderni showroom, per negozi monomarca e non. Nell'era delle produzioni in serie, l'artigianato ha un battito pulsante che scandisce il il made in Italy. Per lo Studio H non poteva che essere altrimenti. D'altronde, come spiega Antonio Hallecher, il presente affonda su un incrocio di storie apparentemente distanti. «Ho mosso i primi passi dietro le quinte della cinematografia, lavorando per la Rai. Mi occupavo di realizzare i costumi e curavo le scenografie. Quest'esperienza è stata una palestra unica. L'occhio si è così abituato a giocare sulle diverse tonalità della messa in scena, a guardare alla composizione finale, senza trascurare i dettagli». Nel 1989, dopo essersi congedato dalla Rai, ad Antonio Hallecher rimane il pallino

158 • DOSSIER • CAMPANIA 2010

Come in una scatola cinese, ogni progetto firmato dallo Studio H nasconde minuzie e dettagli artigianali. Sotto la spinta del manufatto unico, a colloquio con Antonio Hallecher Paola Maruzzi

per le cose ben fatte, per l'arte insomma. Gli viene naturale, quindi, riciclare il suo background in un campo parallelo e affine: la progettazione di oggetti d'arredo. Ma questa non è una strada che si percorre in solitudine. «I primi a essere coinvolti sono i miei due figli, Marco e Marcello. Poi, attorno alle nostre committenze, gravita una serie di figure professionali che altrimenti rimarrebbero sganciati dal presente. È una sorprendente rete di artigiani, che

pur tendendosi fermi agli specifici ambiti di appartenenza, dialogano tra loro». L'arte su piccola scala, quella che tenacemente non si lascia schiacciare dal gusto patinato del consumismo, è spesso lasciata ai margini dei processi produttivi. Per questo l'impegno dello Studio H è importante non solo per quello che riesce a realizzare, ma soprattutto per come ci arriva, cioè mettendo in rete le esperienze. Il giro di committenze genera una forza magnetica, che di


Antonio Hallecher

anno in anno catalizza la qualità. Come in ogni squadra collaudata, anche in questo caso ci vuole qualcuno che chiuda il cerchio. «Quando lavoravo per la Rai, coordinavo falegnamerie, impiantisti, elettricisti, sale trucco, sartorie. Diciamo che, sotto forme diverse, continuo a fare la stessa cosa». La catena artigianale non passa solo di mano in mano, ma di generazione in generazione. «Oggi Marco e Marcello sono in grado di progettare nel dettaglio, utilizzando un’ampia scelta di materiali, strutture in cemento armato, acciaio, vetro, fino a spostarsi sulle sottigliezze del singolo oggetto di design». Il network creativo taglia verticalmente il tessuto campano, racco-

gliendo giovani leve. È giusto, quindi, passare il testimone al figlio Marco, che rimettendo in gioco il suo background ha sviluppato un linguaggio progettuale poliedrico. «La nostra è catena: se scompaiono le maestranze tradizionali anche molti professionisti, in questo caso gli architetti, rischiano di perdersi per strada. Eppure la manifattura napoletana è ap-

prezzata in tutto il mondo. Dobbiamo tenere in vita questo patrimonio e, se è il caso, reinventarlo. Per questo lo Studio H rappresenta una certezza, un trampolino di lancio». E, sotto la spinta della creatività made in Napoli, si arriva persino a Hong Kong. «Qui – riprende il fondatore dello Studio – abbiamo disegnato l’arredamento del piano terra di un grattacielo. La cosa curiosa è che tutto l’iter progettuale, dal bozzetto alla versione finale, è avvenuto sul web, grazie allo scambio di mail. Un architetto italiano ci ha fatto da tramite, interpretando e seguendo la messa in opera». Un bell’esempio di come l’era digitale contribuisca a formare network architettonici. CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 159


EDIFICI SOSTENIBILI

Architetture a chilometro zero Geometrie interculturali per sfatare il più grande pregiudizio eurocentrico: l’Africa gioca ad armi pari in fatto di bioedilizia. Più che imporre gusti e maestranze esterofile, l’architettura della Frojo Engineering poggia l’orecchio sulle risorse locali Paola Maruzzi

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revalentemente in Africa, in Burundi e in Ruanda». Questo è il campo d’azione tracciato da Alfredo Frojo, titolare della Frojo Engineering, società d’ingegneria napoletana impegnata sul fronte degli edifici sostenibili, iscritta all’Oice dal 1989 e dal 2002 certificata Uni En Iso 9001-2000. Un’inconsueta migrazione delle forme made in Italy che merita di essere 160 • DOSSIER • CAMPANIA 2010

approfondita. Perché investire in una terra a prima vista così distante dai nostri orizzonti culturali, troppo spesso miopi e autoreferenziali? «Perché il Continente Nero non sta fermo. Cresce e risponde positivamente agli stimoli. Qui, grazie a un investimento risalente a quattro anni fa, siamo riusciti a portare a termine, in tempi brevi, ciò che in Italia risulta ormai un’operazione macchi-

nosa: dare alla luce una struttura rigorosamente green, sfruttando le maestranze locali». Il prodotto di questa avventura, sospesa tra due tradizioni architettoniche differenti, è il moderno e lussuoso albergo a Bujumbura, la capitale del Burundi. Al di là dei requisiti sostenibili – l’immancabile sistema di risparmio energetico, il dispositivo di pannelli solari, la scelta equilibrata delle materie prime e via dicendo –


Alfredo Frojo

Afredo Frojo ha toccato la corda più autentica della bioarchitettura, cioè la sua prospettiva a chilometro zero. «Troppi sono gli edifici, firmati da progettisti occidentali, che impongono agli autoctoni elementi assolutamente estranei al loro background edilizio. Questo approccio irrispettoso e tipicamente eurocentrico, si nota soprattutto negli edifici ad alto di gamma, cioè quelli predisposti per accogliere un turismo internazionale. In netta controtendenza rispetto al pensiero dominante, ci siamo invece preoccupati di rimettere in gioco la tipicità africana. Ecco perché, ad esempio, abbiamo utilizzato paglia, pietra, legno e bambù». L’architettura, quindi, può persino sublimare forme sotterranee di colonizzazione, lasciando dei vuoti di senso sul territorio africano. «L’albergo in questione, invece, è perfettamente integrato nel contesto paesaggistico, un po’ ricorda le antiche costruzioni del Burundi. Pur seguendo passo dopo passo la realizzazione – per la prima volta ci siamo interfacciati come project management, diventando gli unici fornitori – il cantiere è diventato un ricettacolo di esperienze autoctone. A partire dalla lavorazione del legno, il materiale di punta che, nei suoi diversi impieghi, dagli infissi al parquet, ha generato una vera e propria moda. Grazie anche a un progetto realizzato con la Caritas, che ha previsto l’impiego di trentacinque detenuti, abbiamo creato dei piccoli ed ef-

ficienti laboratori di falegnameria». Contare sulle risorse del posto significa anche garantire lunga vita alla struttura. «Se si condivide un linguaggio architettonico, si avranno degli ottimi risultati per quanto riguarda la manutenzione futura. È inutile costruire edifici apparentemente spledidi, se poi non si riesce a garantire la più elementare manutenzione». C’è poi un altro aspetto che va sottolineato, e questa volta è squisitamente pregiudiziale. «Gli occidentali sono convinti di essere i migliori e non riescono a intercettare ciò che è già in luce: in Africa è connaturata una certa attenzione per la sostenibilità. Da millenni progettano abitazioni isolate termicamente». Dopo l’albergo nel Burundi – in cui è già in cantiere l’ampliamento, visto che le ottantaquattro camere non sono più sufficienti – la Frojo si sposta in Ruanda, dove «a breve inizieranno i lavori per un bio-palazzo per uf-

In apertura, l’albergo di Bujumbura, in Burundi. Sopra, un interno dell’albergo e il palazzo di 11 piani in Ruanda www.frojoengineering.it

fici». Si riapre così una pagina di dialogo, decisamente più promettente rispetto al Belpaese. «In Italia, tra lungaggini burocratiche e “paludi” sul versante pubblico, le nuove progettazioni ristagnano». Succede, quindi, che l’opera del «più grande polo funzionale del’Europa della polizia di Stato rimanga puramente virtuale perché mancano i fondi. Vediamo cosa accadrà per il restyling del porto a Bacoli, per ora fermo». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 161


Raccolta differenziata, Salerno e provincia in prima fila Con il 59, 98% di rifiuti riciclati la provincia di Salerno è seconda solo a quella di Avellino che vanta il 61,57% di raccolta differenziata. E per Anna Ferrazzano, vicepresidente della Provincia e candidata sindaco di Salerno alle prossime elezioni, ci sono ancora ampi margini di miglioramento Francesca Druidi

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a recente edizione del premio Comuni Ricicloni, organizzato da Legambiente Campania con il patrocinio della Regione, dell’Anci Campania e delle Province, ha incoronato due Comuni salernitani, Roccagloriosa e Atena Lucana per l’elevata percentuale di rac-

184 • DOSSIER • CAMPANIA 2010

colta differenziata raggiunta. «C’è una Campania che non conosce l’emergenza rifiuti. E Salerno e la sua provincia sono sicuramente in prima fila», conferma Anna Ferrazzano, vicepresidente della Provincia di Salerno, che si posiziona al secondo posto tra i capoluoghi della regione con il 59%, e che

«ha margini di miglioramento ampi, soprattutto se si considera che, in realtà, l’attuale amministrazione comunale ha dato inizio alla differenziata solo a metà del 2008». Quali prospettive vede per Salerno sul versante della raccolta differenziata dei rifiuti? «Il mio auspicio è che si com-


Anna Ferrazzano

A destra, Anna Ferrazzano, vicepresidente della Provincia di Salerno e candidata sindaco alle prossime elezioni

pleti prima possibile il passaggio alla società provinciale di tutte le competenze relative alla gestione del ciclo dei rifiuti. Solo così ci si potrà assicurare che i proventi della Tarsu siano realmente utilizzati per la gestione della raccolta, a garanzia del miglioramento dei servizi, ma anche dei diritti dei lavoratori dei consorzi, che oggi pagano le conseguenze delle pesanti situazioni debitorie dei Comuni - e il Comune di Salerno ha un debito di 35 milioni di euro - che impiegano queste risorse per altri scopi». La questione del termovalorizzatore resta però spinosa e contrastata. Quali sono i possibili margini di sviluppo? «A oggi il dato certo riguardo a Salerno è che, per due anni e mezzo, il sindaco è stato commissario e non è riuscito a concludere l’iter, mentre la Provincia, in meno di un anno, ha adempiuto al dovere affidatole dalla legge e ha bandito la gara d’appalto per la realizzazione del termovalorizzatore. La procedura va avanti regolarmente e si chiuderà a fine gennaio. Abbiamo già registrato l’interesse di importanti gruppi del settore a livello nazionale e internazionale». In vista delle prossime elezioni amministrative, su quali temi concentrerà la sua campagna elettorale? «Sono ormai vent’anni che il sindaco De Luca dice di aver riqualificato Salerno come città europea e turistica, ma noi del Pdl rileviamo come il suo pro-

getto non abbia raggiunto gli obiettivi dichiarati: se si voleva trasformare il capoluogo in un’attraente location del Mediterraneo, allora bisognava muoversi con una scala di priorità che avesse al primo posto tutto il sistema di accoglienza. Ma niente è stato fatto». Quali le priorità allora? «Bisogna fare bene, fare solo quello che è necessario alla collettività, farlo presto e con uso oculato delle risorse pubbliche. Proponiamo alla città un rinnovamento della classe dirigente, con persone qualificate che non vivono di politica e con un reale coinvolgimento della cittadinanza nelle scelte che riguardano il futuro di Salerno e che passano per interventi urbanistici mirati, ma anche per politiche concrete del lavoro e della solidarietà. Ai cittadini interessano anche aspetti “banali”, ma decisivi per la vivibilità come una mobilità che funzioni adeguatamente, piuttosto che progetti faraonici come il famigerato Crescent o cantieri di megaopere destinati a non concludersi». Da quali elementi passa il futuro della città? «Credo che debba essere valorizzata la vocazione turistica di Salerno, orientando le risorse verso il recupero del progetto originario di città che era stato immaginato da Oriol Bohigas e che invece è stato tradito. In primis, bisogna restituire la risorsa mare ai salernitani, con il ripascimento dell’intero litorale

e il miglioramento della balneabilità e poi dare vita ai servizi connessi, a cominciare dai porti turistici. Ma bisogna anche guardare a un adeguato sistema di collegamenti e, dunque, investire sull’aeroporto, dove di recente si è tornati a volare con Alitalia grazie all’impegno della Provincia, e ancora su parcheggi adeguati e a basso costo e sul varo di una metropolitana, che l’amministrazione uscente ha impiegato più di dieci anni a costruire. Naturalmente si devono porre in essere tutte le iniziative per la crescita del sistema dell’accoglienza e dell’attrattività». E sul fronte produttivo? «Ritengo sia necessario un rilancio della nostra area industriale per rispondere alla grave emergenza lavoro. Dobbiamo arginare la desertificazione industriale e produttiva, ridare linfa al commercio e nel contempo non lasciare indietro le fasce deboli con un maggiore investimento nelle politiche sociali». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 185


DIRITTO E STRATEGIE AMBIENTALI

La questione dei rifiuti di Armando Rossi avvocato esperto di diritto e strategie ambientali www.studioavvocatorossi.it

D L’avvocato Armando Rossi nel suo Studio al Centro Direzionale di Napoli

a anni ormai i rifiuti sono divenuti il nucleo concettuale forte di dibattiti e provvedimenti legislativi a livello locale, nazionale ed europeo. Moltissimi dei programmi europei d'azione hanno avuto, infatti, come minimo comune denominatore il tema “scottante” dei rifiuti. Oggi, come in passato, la Comunità Europea assume un compito fondamentalmente propulsivo ed integrativo di una vasta pletora di normative di settore finalizzate a perseguire una maggiore tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini europei. Nel Bel Paese, ahimè, scelte politiche dettate da ideologie sbagliate hanno fatto sì che il nodo dei rifiuti assumesse, nel corso degli anni, dimensioni enormi difficilmente dipanabili come evidenziano le nu-

186 • DOSSIER • CAMPANIA 2010

merose crisi irreversibili che stanno investendo quella che, non molto tempo addietro, fu definita dai più come “il giardino del giardino Italia”: la regione Campania. La prima questione che va risolta attiene all’incessante crescita in modo esponenziale della produzione dei rifiuti. Alcune commissioni studi hanno previsto che per il 2020 la produzione dei rifiuti possa aumentare del 45 per cento rispetto al 1995. Si coglie l’occasione per evidenziare come la costante crescita dei consumi dei prodotti elettronici stia per concretizzare una nuova minaccia, e per di più molto pericolosa, rappresentata dal cosiddetto rifiuto hi-tech: cumulo di composti chimici ad alto valore inquinante. Da queste considerazioni preliminari, si può facilmente rilevare che la “panacea del rifiuto” potrebbe passare

attraverso due scelte di fondo: adottare misure condivise dalla cittadinanza oppure ridurre a monte la quantità materiale da portare allo smaltimento finale. Il cosiddetto approccio a monte, cioè prima che l’immondizia venga ad esistenza, permette di individuare tutte quelle azioni volte da un lato a scoraggiare la produzione dei rifiuti e, dall’altro, a implementare il riutilizzo, il riciclo ed il recupero dei materiali contenuti negli stessi. Il tutto, si sintetizza concettualmente nella raffigurazione della seguente “catena di montaggio”: riduzione della produzione del rifiuto alla fonte; raccolta differenziata porta a porta; riciclo e riutilizzo del rifiuto prodotto attraverso meccanismi, in voga soprattutto in epoca preindustriale, quali il vuoto a rendere, riduzione e, quando possibile, noleggio degli imballaggi.


Armando Rossi

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Secondo l’ordinanza del 22 novembre 2010 n. 23597, la società che gestisce il rifiuto, in caso di inadempienze contrattuali, risponde davanti al giudice ordinario e non dinanzi al TAR

Ma vi è di più. Sarebbe auspicabile, anche, l’entrata in vigore di una normativa volta a promuovere ed a incentivare con premi di risultato, in termini di politica occupazionale, i Comuni più meritevoli; basti pensare che la raccolta differenziata porta a porta accompagnata da una incisiva campagna d'informazione e comunicazione determinerebbe, ovviamente con il pieno coinvolgimento dei cittadini, la scomparsa dei cassonetti dei rifiuti dalle strade e consentirebbe di sottrarre dallo smaltimento finale fino ad oltre l’80% per cento in peso dei rifiuti. Da ultimo è bene segnalare l’ordinanza del

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22 novembre 2010 numero 23597, emessa dalla Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con cui si è sancito il principio secondo il quale se si versa in una situazione di emergenza rifiuti, la società che gestisce il rifiuto risponde davanti al giudice ordinario di eventuali inadempienze contrattuali, e non dinanzi al TAR, nonostante che la legge 123/08 attribuisca alla giurisprudenza amministrativa tutta la materia della gestione dei rifiuti. Questa importantissima ordinanza, oltre a dimostrare il coinvolgimento degli Ermellini nell’ambito del settore rifiuti, evidenzia come le liti che spettano al Tar ed al

Consiglio di Stato riguardano soltanto i comportamenti che costituiscono manifestazione di un potere amministrativo. Sono, invece, escluse le questioni patrimoniali relative alla gestione dei rifiuti, come quello della società che per incarico del Commissario di Governo per l'emergenza rifiuti in Campania posizioni le eco-balle in un'area protetta di proprietà di una società a responsabilità limitata e poi, non paghi quest’ultima per il deposito e l'attività di manutenzione: la questione giuridica che ne deriva è, infatti, di natura patrimoniale e la conseguente controversia spetta al giudice ordinario. CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 187


LEGALITÀ

Beni sequestrati, Napoli avrà la sua sede nel 2011 L’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata rappresenta «un punto unico di coordinamento e di decisione a livello nazionale». Lo spiega il prefetto Mario Morcone, illustrando obiettivi e orizzonti di sviluppo della struttura Francesca Druidi

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ono 11.152 i beni definitivamente confiscati alle organizzazioni criminali al 1 novembre 2010, come segnala l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità. È la Sicilia, in base ai dati relativi alla distribuzione geografica, a dominare la classifica per regione con il 44,57% dei beni, seguita da Campania (15,06%), Calabria (13,85%) e Lombardia (8,58%). In Campania il maggiore numero di beni tolti alla camorra è a Napoli e provincia: 915 tra immobili e aziende, segue la provincia di Caserta con 486. «Per questo motivo è fondamentale avere una sede dell’Agenzia a Napoli ma, attualmente, non ci sono risorse; il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, sta tentando comunque di risolvere il problema nel quadro di difficoltà finanziarie del nostro Paese – ha spiegato Mario Morcone, direttore dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata –. Non è un problema di collocazione logistica dell’Agenzia, ma di reperire le necessarie risorse finanziarie e umane per assolvere all’importante compito cui è chiamata nella piena sinergia istituzionale» continua il prefetto. L’agenzia nazionale sta ottenendo risultati importanti. Qual è l’aspetto maggior-

198 • DOSSIER • CAMPANIA 2010

La confisca di Villa Zaza appartenuta al camorrista Michele Zaza;

mente innovativo che sta mettendo in campo? «L’Agenzia identifica finalmente un punto unico di coordinamento e di decisione a livello nazionale. Ha una visione ad ampio raggio e non si limita alla semplice destinazione di un bene, ma si occupa delle attività di monitoraggio e programmazione di quanto deve fare. E lo vuole fare - e questo costituisce il secondo punto di forza della struttura, sempre se saremo capaci di farlo - insieme ai

Sopra, il prefetto Marco Morcone, direttore dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata; in alto a destra, fabbricato di via Passariello a Casalnuovo di Napoli, confiscato circa dieci anni fa al clan Egizio


Mario Morcone

Avellino

Benevento

Immobili in gestione

3

10

224

40

113

Immobili destinati consegnati

9

0

455

112

290

Immobili destinati non consegnati

0

0

78

6

10

Immobili usciti dalla gestione

1

0

17

30

13

BENI CONFISCATI CAMPANIA

Napoli

Salerno

Caserta

Aziende

8

5

141

54

60

Totale

21

15

915

242

486

Fonte: Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Dati aggiornati al 06-09-2010

diversi livelli di governo: Regioni, Province e Comuni, in un forte rapporto di collaborazione con l’Autorità giudiziaria. Si tratta di tessere una vera e propria rete di collaborazione finalizzata a restituire ai territori la ricchezza sottratta loro in maniera illegale e illecita». Restano molte le difficoltà che l’Agenzia deve affrontare, in primis l’insufficiente disponibilità di uomini. L’obiettivo della struttura è comunque quello di crescere,

anche numericamente, e di radicarsi nei diversi territori, come dimostra l’annunciata apertura nel 2011 di alcune sedi secondarie? «Abbiamo già deliberato, il 25 novembre scorso, l’istituzione delle sedi dell’Agenzia a Napoli, Palermo e Milano. L’obiettivo è quello di attrezzarle e renderle operative nell’arco di un paio di mesi. Per quanto riguarda, invece, il personale impiegato, il decreto legge in discussione alla Camera dei Deputati per la sua approvazione contiene due novità». Quali nello specifico? «La prima consiste nella possibilità di autofinanziamento dell’Agenzia che, attraverso le opportune procedure di garanzia - tra cui l’autorizzazione del ministero dell’Interno potrà mettere a reddito gli immobili, riuscendo così a potenziarsi. La seconda novità è lo stanziamento per le attività dell’Agenzia di 2 milioni di euro per il 2011, aggiuntivi al nostro bilancio ordinario, e di 4 milioni per il 2012. Questo dovrebbe permetterci di crescere e di rafforzarci, da qui la decisione di avviare le sedi secondarie». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 199


LEGALITÀ

Sopra, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Gianni Letta, il prefetto Morcone, il ministro dell’Interno Maroni, il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso e il ministro della Giustizia Alfano all’inaugurazione, il 15 agosto scorso, della Bottega dei sapori, realizzata in una delle case confiscate alla famiglia del boss Bernardo Provenzano

La Provincia di Palermo ha proposto una modifica della normativa sui beni sequestrati, tra cui la possibilità di destinare una parte del Fondo, costituito con le somme sequestrate alla mafia, alle associazioni, alle onlus e alle cooperative che gestiscono i beni confiscati. Lei cosa ne pensa? «In realtà, non ho alcun ruolo in questo. I fondi sequestrati e poi confiscati vengono assegnati direttamente a Equitalia giustizia, e quindi al Fug (Fondo unico giustizia), che li utilizza per finanziare il ministero della Giustizia, la magistratura, l’Autorità giudiziaria e le forze dell’ordine. Impiegare una parte, seppur minima, di questo fondo è al momento un po’ difficile, in un’ottica di suddivisione delle risorse che risultano sempre inferiori alle necessità rivendicate dai soggetti coinvolti. Capisco il fascino della proposta, ma si tratta di una questione senza dubbio complicata. Basti pensare alla polemica, riproposta più volte anche dalla stampa, che riguarda le forze di polizia o la magistratura e le loro fondate richieste di risorse. Sul fronte dei beni, dei terreni e delle abitazioni gestiti dall’Agenzia si può fare molto, anche di più di quello che stiamo già facendo, tramite un’attenta azione di monitoraggio e di redistruzione di beni assegnati ma utilizzati con la do-

200 • DOSSIER • CAMPANIA 2010

vuta efficacia». A questo proposito un’indagine della Corte dei Conti ha rilevato che il 52,6% dei beni confiscati restano inutilizzati. Può indicare le criticità che ancora persistono? «Le criticità sono di diversi tipi. Alcune dipendono dalla difficoltà di una decisione giudiziaria ineccepibile ma complessa sotto il profilo della sua applicazione, ad esempio il sequestro e la confisca per quote: quando viene confiscato il 50% di un’abitazione diventa difficile gestire la situazione, soprattutto se l’altro 50% appartiene a un congiunto della persona a cui la casa è stata sequestrata. Altra criticità è rappresentata dalle ipoteche. Bisogna oggi ridiscutere tutto questo con le banche, cercando dei momenti di transazione possibili e sopportabili. In difficoltà si trovano poi molti Comuni sul fronte dell’utilizzo dei beni. In alcuni casi, gli enti hanno effettivamente in mano un numero così alto di immobili o terreni da avere problemi nell’assegnarli tutti. Spesso sono i paesi più piccoli a incontrare i maggiori ostacoli, proprio perché si tratta di ambiente circoscritti e magari inquinati». Quali misure si dovrebbero, a suo avviso, adottare per ovviare a queste problematiche? «In questo senso, stiamo avviando un accordo con alcuni sindaci, che ritengo estendibile a tutti i primi cittadini del Paese, sul monitoraggio delle situazioni più complesse per cercare di arrivare a una loro definizione: mutare la destinazione di un bene o assegnare quel bene in modo diretto. Se ciò non dovesse succedere, disponiamo comunque di strumenti contenuti nella legge: ci riprendiamo il bene o inviamo un commissario ad acta. Fino ad oggi, non ho mai optato per quest’ultima scelta, perché mi sembrava fuori luogo e arrogante, dal momento che l’Agenzia è avviata da pochi mesi. Man mano che si scava a fondo nei problemi, cercheremo con i sindaci una corretta soluzione fin dove sarà possibile. Se si procederà oltre, interverremo direttamente».



LEGALITÀ

Destinare i beni della mafia in tempi rapidi Da un’indagine della Corte dei Conti è emersa la complessità delle procedure che vanno dal sequestro alla confisca per finire alla destinazione e all’assegnazione dei beni sottratti alle organizzazioni mafiose. A commentare il tema è il presidente Luigi Giampaolino Francesca Druidi

R

Sotto, Luigi Giampaolino, presidente della Corte dei Conti

isultano inutilizzati il 52,6% dei beni confiscati alla criminalità organizzata. È quanto emerge dall’indagine effettuata dalla Corte dei Conti sulle attività svolte dalle amministrazioni competenti in ordine ai procedimenti di sequestro, confisca e assegnazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata nel biennio 2008-2009, con cenni relativi agli anni 2006-2007. «Come presidente della Corte dei Conti – dichiara Luigi Giampaolino – posso dire con orgoglio che questo tema assai delicato e di scottante attualità è all’attenzione della Corte che se ne è occupata in sede di controllo, offrendo il suo contributo propositivo al Parlamento e alle amministrazioni a vario titolo coinvolte nel procedimento». Anche la Procura generale, aggiunge il presidente, si è interessata al tema in sede di giudizio di parifica con una sezione apposita, in quanto i beni confiscati identificano una rilevante quota del patrimonio pubblico. In base alle inda-

202 • DOSSIER • CAMPANIA 2010

gini della Corte dei Conti, il percorso di assegnazione di un bene confiscato si presenta lungo e tortuoso. Quali le difficoltà che ancora si riscontrano? «Innanzitutto va premesso che il concetto di confisca è ampio, in quanto può riferirsi sia alla confisca di prevenzione che alla confisca collegata a processi penali. Entrambe le misure sono irrogate all’esito di un procedimento giurisdizionale regolato dalle norme processuali penali, i cui tempi tecnici ordinari prevedono tre gradi di giudizio, compreso il ricorso per Cassazione. È evidente che per ridurre i tempi bisogna proseguire sulla strada già intrapresa e adottare misure atte ad abbreviare i tempi processuali. È poi da chiarire che, una volta ottenuta la confisca definitiva, c’è un ulteriore iter amministrativo che, fino al 2010, era curato dall’Agenzia del demanio ed è ora divenuto di competenza della nuova Agenzia per la confisca dei beni. Questo iter serve per garantire l’uso pubblico del bene, compresa la sua destinazione agli scopi di interessi sociali previsti dalla legge. In questa fase possono verificarsi molte difficoltà dovute a situazioni di vario genere». Può fare qualche esempio?


Luigi Giampaolino

A seguito della confisca definitiva, c’è un ulteriore iter amministrativo che serve per garantire l’uso pubblico del bene

Nella pagina a fianco, la sede della Corte dei Conti a Roma; in questa pagina, immagini di un bene confiscato alla mafia

«Si pensi a un albergo confiscato da convertire in caserma. L’ente che vuole acquisire il bene potrebbe doverlo ristrutturare a proprie spese prima dell’impiego, non avendo a disposizione le risorse necessarie. Altro caso è quello di un bene confiscato ancora occupato, anche da terzi in buona fede in qualità di inquilini o titolari di attività commerciali, che debbono liberarlo; altri casi possono riguardare beni gravati da ipoteche o in comproprietà con vari soggetti. I problemi sono tanti, senza dimenticare il tema di fondo rappresentato dalla pressione della criminalità, diretta a impedire che i beni vengano acquisiti». Quali misure a suo avviso si possono adottare per rendere più efficace la gestione dei beni confiscati alle mafie? «Il 13 agosto 2010 il Parlamento ha varato la legge 136, che contiene la previsione della redazione del codice antimafia, impostando altresì un piano straordinario contro le mafie e delegando il governo in materia di nor-

mativa antimafia. Questa legge, se tempestivamente e completamente applicata, potrebbe aprire nuovi e incisivi scenari nella lotta alla criminalità organizzata. È auspicabile, pertanto, che il governo dia un segnale forte all’applicazione immediata della normativa, senza indugi». Ritiene che l’istituzione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata possa contribuire a sbloccare la situazione? «La neonata agenzia costituisce una buona soluzione. Certamente, questa struttura sarà chiamata a risolvere i molti problemi che ho posto in evidenza compreso quello, molto delicato, della gestione delle imprese confiscate. È chiaro, quindi, che la riuscita dell’azione dell’agenzia dipende strettamente dall’entità di risorse di cui essa potrà disporre. Ovviamente, l’organismo che presiedo monitorerà la sua azione: questo è il nostro compito». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 203


RIFORME

La rivoluzione del sistema giudiziario

R

endere più efficiente il sistema giudiziario italiano è una delle priorità del programma di governo. Tra le riforme più importanti dell’esecutivo, quella della giustizia riveste un ruolo cardine e seppur tra polemiche e accesi dibattiti procede sulla road map decisa dal ministro Alfano. Dopo aver varato importanti misure che riguardano il processo civile, introducendo ad esempio l’informatizzazione degli uffici giudiziari e delle cancellerie, il governo è ora impegnato nella difficile riforma dell’ambito penale. Processo breve e ddl sulle intercettazioni sono solo alcuni dei provvedimenti teatro di scontro tra maggioranza e opposizione, ma sull’urgenza della riforma di un sistema giudiziario ormai al collasso il consenso è unanime. «Questo governo – afferma l’onorevole Niccolò Ghedini – ha già varato parecchie riforme pur essendoci stato nel corso di quest’anno un forte impegno per far fronte alla crisi economica a causa della quale si sono dovute posporre alcune attività legislative. Il processo civile aveva urgenze ben maggiori rispetto alla riforma costituzionale, quindi credo che sia stato giusto tenere le attuali scansioni temporali». Tra le novità proposte c’è anche quella della separazione delle carriere: «Da un punto di vista pratico – continua Ghedini – si esalterebbe la terzietà del giudice e al contempo l’indipendenza del pubblico ministero, che avrebbe una maggior indipendenza dal giudice stesso; credo che questo sarebbe un passaggio molto importante per la garanzia dei nostri cittadini e dal punti di vista politico si riuscirebbe a raggiungere un risultato di completezza tra l’articolo 111 del 99, cioè quello rela-

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Una vera e propria trasformazione dell’universo giustizia è quella che l’esecutivo sta studiando per rendere più efficiente un sistema ormai al collasso. Niccolò Ghedini sostiene le riforme augurandosi che vengano attuate in tempi brevi Nicolò Mulas Marcello


Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Niccolò Ghedini

Tribunali. La ratio del processo breve è finalizzata all’implementazione delle risorse a nostra disposizione dei tribunali. Orientato proprio ad arrivare al risultato di una maggiore celerità della giustizia. Scorrendo i punti della riforma è previsto inoltre l’ampliamento dei poteri della polizia giudiziaria che, sola, potrà prendere cognizione delle notizie di reato, godendo di maggiore autonomia nello svolgimento delle indagini anche al di fuori delle direttive impartite dai pm. Mentre questi ultimi dovranno accontentarsi delle notizie fornite loro dalla polizia giudiziaria operante e i magistrati vedranno ridotti i loro poteri di impulso o di iniziativa anche nell’emettere provvedimenti cautelari. Inoltre è stato introdotto un controllo sulla produttività cui sono sottoposti tutti i magistrati con rapporti trimestrali e sanzioni disciplinari. Sono stati forniti al cittadino degli strumenti di garanzia nei confronti del giudice: criteri più certi per individuare quello territorialmente più competente e maggiori possibilità di astensioni e ricusazioni, anche nel caso in cui i giudici esprimono pareri fuori dell’esercizio delle funzioni giudiziarie e che non siano pertanto imparziali. Da non trascurare è, sempre a vantaggio del cittadino, il divieto per i tribunali di usare e il conseguente obbligo di distrugIl governo ha già gere tutti quegli atti che non varato parecchie costituiscono notizia di riforme pur essendoci reato e che andrebbero altrimenti a costituire dei veri stato nel corso di tivo al giusto processo, in combie propri archivi di informaquest’anno un forte nato con gli articoli 24 e 3 della zioni private non giustificaimpegno per far fronte Costituzione, i quali sono detbili. «Spero che nei cinque alla crisi economica tami di particolare valore in punti programmatici che quanto voluti dai padri costiSilvio Berlusconi sottoporrà tuenti». al voto del Parlamento ci sia Attualmente il governo sta stula grande riforma costitudiando modifiche per rendere zionale della giustizia, di cui condivisibile il testo di legge sul processo breve. Nella pagina accanto, abbiamo veramente bisogno», così Ghedini si Il provvedimento vuol dare una risposta a quelle l’onorevole Niccolò augura che il tema giustizia torni presto tra le Ghedini; sopra, la lungaggini processuali note a tutti e che anche Camera dei deputati priorità auspicando che «ci sia una magistratura l’Europa ci contesta attraverso sanzioni salate che torni nell’alveo dei suoi poteri, che giudichi (34 milioni di euro solo nel 2009). In Italia absì la politica, ma anche che la politica sia libera biamo quasi 10 milioni di fascicoli pendenti nei di svolgere il suo mandato».

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IL RUOLO DEL PENALISTA

La passione della giustizia Ha assunto la difesa di imputati eccellenti così come di manager, imprenditori o semplici cittadini. Con una convinzione: «Ciò che mi conquista dell’avvocatura – spiega Franco Coppi – è la possibilità di contrastare un’ipotesi accusatoria per contribuire a evitare che un’ingiustizia possa essere consumata» di Gloria Baldini

U

Professor Franco Coppi

n’avvocatura “artigianale”, quasi in bianco e nero, fatta sulle carte. Una filosofia che si respira già entrando nel suo studio, condiviso con pochi e fidati collaboratori. «Mi piace poter seguire i processi dalla prima all’ultima battuta – ammette Franco Coppi – e confrontarmi alla pari con i collaboratori, ai quali chiedo soltanto preparazione, passione e spirito di sacrificio». E questo metodo di lavoro si traduce anche in un modo d’essere. Tutt’altro che verboso, il noto penalista italiano fa suo uno stile essenziale, stringato. è chiaro, arriva sempre dritto al punto. Forse perché è abituato a dividere la sua professione tra le aule dei tribunali e quelle dell’università. Ad arringare e, al contempo, a spiegare. Due facce di una stessa professione. «Una lezione ben riuscita, un allievo che elabora una buona tesi o vince un concorso universitario – assi-

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cura – sono grandi soddisfazioni. Pari a quelle che si possono provare quando, sapendo di aver combattuto una giusta battaglia, si ha la consapevolezza di aver contribuito all’affermazione della verità e della giustizia». Professor Coppi, la docenza universitaria quanto è importante nella sua vita? «Il rapporto con gli studenti è ricco di un particolare significato umano. Esso obbliga il docente a rinnovarsi continuamente e a mettersi in discussione e lo aiuta a sentirsi coetaneo dei propri allievi. È questo forse il profilo più significativo dell’esperienza universitaria». In cosa sono diversi gli studenti di oggi da quello che era lei? «Nei miei allievi vedo le stesse speranze, preoccupazioni e timori che avevo anch’io quando frequentavo l’università. Forse il livello della preparazione di base, fatte le debite eccezioni, oggi è meno ricco di quello di un tempo; questo rende più difficile e meno proficuo il rapporto tra docente e studenti». Lei ha raccontato di avere intrapreso l’avventura forense “tanto per fare qualcosa”. A parte la scelta fortunata, cosa l’ha conquistata e cosa la continua a conquistare della professione? «La possibilità di rifiutare tesi preconcette e di contrastare un’ipotesi accusatoria, esaltando anche il particolare più piccolo, in favore dell’imputato per contribuire a evitare che un’ingiustizia possa essere consumata». A proposito di ingiustizie, spesso per poter contare su di una buona difesa, serve molto denaro. Questo significa che la legge


Franco Coppi

funziona meglio per chi è ricco? «Una difesa efficiente in un processo di media complessità costa indubbiamente parecchio e non c’è dubbio che chi ha maggiori disponibilità economiche può sostenerne meglio il peso. Vale la pena di aggiungere che non sempre gli onorari del difensore costituiscono la voce più cara». Dalla politica all’alta finanza, nella sua carriera ha avuto spesso a che fare con i cosiddetti poteri forti. Ma quali sono le loro maggiori debolezze? «L’incapacità, specialmente nei momenti più delicati e nei quali maggiormente si sente la necessità di assumere responsabilità, di respingere soluzioni demagogiche, di rispondere “no” a richieste farneticanti e di assumere decisioni anche impopolari nell’interesse generale, mettendo da parte quello personale o della propria parte». Lei ha seguito tanti processi celebri che hanno fatto storia. Che Italia le hanno restituito? «Nella misura in cui è lecito generalizzare, lo spaccato che emerge, specialmente nei processi in materia di criminalità economica e dei colletti bianchi, è quello di un Paese nel quale

la corruzione è molto praticata, i furbi e gli improvvisatori hanno rapidi successi, e altrettanto rapide cadute devastanti per la collettività, per l’efficienza degli apparati pubblici e per le loro capacità di vigilanza, controllo e intervento piuttosto limitate». C’è un caso, una difesa, che nel passato le sarebbe piaciuto assumere? «Ne ricordo qualcuno, ma sono stati trattati da avvocati così grandi da farmi passare qualsiasi voglia». Quanto è importante il rapporto umano con l’assistito? «Non è necessario un particolare feeling con l’assistito. L’importante è che non sia del tutto antipatico e che soprattutto sia corretto nei confronti del proprio legale e consapevole dei limiti che lo stesso suo difensore deve osservare nell’esercizio della difesa». In due casi eccellenti ha rinunciato alla difesa. Cosa viene a mancare quando questo accade? «Le ragioni per le quali si rinuncia alla difesa possono essere le più varie. In genere può intervenire una divergenza di opinioni sulla linea di difesa da seguire e in questo caso deve prevalere la volontà dell’assistito». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 207


GRANDI PROCESSI

Il mio ideale di libertà

I

processi mediatici. Quelli che dalle aule di tribunale passano senza possibilità di appello alle corti televisive. Ma quali e quante sono state le stagioni dei grandi processi, in Italia? E chi sarebbe in grado di ricordarne qualcosa al di là di condanne, opinioni e assoluzioni consegnate alla memoria collettiva attraverso pezzi di cronaca? Non si tratta degli infiniti dibattimenti condotti fuori dalle aule di giustizia, ma delle pretese disquisizioni sulla giustizia stessa. Magari, sulle sue forme processuali. Prova a farlo Gioacchino Sbacchi, penalista palermitano con una lunga carriera in processi eccellenti. Avvocato Sbacchi, è possibile ricostruire la storia d’Italia a partire dai grandi processi? «È una bella pretesa volere riscrivere la storia del Paese attraverso i grandi processi come, per esempio, quello a Giulio Andreotti. Penso che sia un’idea sbagliata, meglio non farlo proprio. Ho avuto un impatto violento con un libro, La vera storia d’Italia, che è una sintesi del materiale raccolto sul processo a carico del senatore a vita. Ciò che mi sgomenta è che gli autori trattano la materia come se nell’aula bunker fosse stato possibile rintracciare tutta la trama e l’ordito di complotti, assassinii e collusioni tra i poteri forti di un certo periodo della Repubblica. Invece la trattazione non è completa, perché il materiale è uni-

Ha avuto importanti maestri dai quali ha imparato i fondamenti della professione. Rigore e severità verso se stessi. Le riflessioni di un grande avvocato: Gioacchino Sbacchi di Antonella Girardi

laterale: il Procuratore capo di Palermo Giancarlo Caselli e i suoi Pm propongono una loro visione e una valutazione personale del materiale raccolto che è solo una parte della storia. A monte di tutto questo c’è poi una tesi che considero molto fuorviante, quella che io chiamo l’idea del “grande vecchio” che muove le fila. La mafia non è questo ma un’organizzazione criminale il cui apparato tiene in scacco lo Stato. Lo sbaglio sta nella pretesa di uscirne dando un giudizio politico. È questo che io riassumo nell’errato concetto sincretico del grande vecchio». Come si è formato in lei il concetto di giustizia? «Io non ho una tradizione familiare nell’avvocatura. Mio padre era un commerciante che ha allevato quattro figli, insegnandomi il lavoro e la dedizione assoluta. Mi ha dato una scala di valori, sui quali ho costruito con entusiasmo giovanile il mito dell’uomo libero che tutela con ogni mezzo l’ideale di libertà di cui è portatore. E l’ho identificato con la figura dell’avvocato. Io non ho mai pensato di fare il magistrato. Attraverso l’ammirazione per le figure di incomparabili professionisti del secolo scorso, il mio entusiasmo ha continuato ad alimentarsi. Penso a Francesco Carnelutti e ad Alfredo De Marsico, impareggiabili personaggi che hanno onorato l’avvocatura in Italia, scrivendone la storia. Ecco, così è nata l’idealità giovanile del sistema di giustizia, coltivata attraverso le letture e lo studio universitario. Ma, già dal secondo anno di università, la teoria si è congiunta alla pratica: sono entrato nello Studio di Paolo Seminara, che posso considerare il mio maestro, per confrontarmi il prima possibile con la realtà».

A sinistra, l’avvocato Gioacchino Sbacchi


Gioacchino Sbacchi

Quali sono state le difficoltà che ha incontrato nel lavorare a Palermo? «Lo studio delle carte è alla base di tutto, a inizio o a fine carriera, a Palermo come a Torino. Bisogna leggerle, dalla prima all’ultima. Quando ho iniziato, l’avvocato stava in cancelleria e schizzava appunti personali, apprendendo nell’immediato tutte le fasi del processo con le relative mancanze e storture. Il mio maestro mi ha insegnato a essere come lui: uno studioso rigoroso ed estremamente severo con se stesso. Sono arrivato così al mio primo processo». Ipotizzando un “punto di vista siciliano”, quale immagine di Palermo verrebbe fuori dalla storia processuale locale? «Siamo in una regione che non ha visto direttamente gli effetti del terrorismo e del Sessantotto. Gli anni Settanta segnano in Sicilia l’attenzione della magistratura inquirente per la Cosa pubblica, quindi sono i reati contro la pubblica amministrazione a essere all’ordine del giorno, sommando gli aspetti contingenti del “posticino garantito per il figlio” alle distorsioni vere e pro-

prie, come il sacco di Palermo: migliaia di licenze concesse in pochi anni per costruire palazzoni al posto delle splendide ville Liberty del centro cittadino. Ma i processi nella sostanza non ebbero grossi risultati: qualche condanna per corruzione e basta. Mentre fu proprio da questo episodio che il fenomeno mafioso cominciò a crescere in modo spaventoso. Palermo ha conosciuto sindaci che facevano i propri affari, tanti processi e pochi risultati. Spesso si è confuso il giudizio politico con quello penale, senza ottenere niente sul piano della giustizia». In tutto questo s’intuisce una incrinatura di fondo. «In Sicilia si sono sempre pagate le spese della sottovalutazione della mafia e delle strutture inadeguate per combatterla: le commissioni antimafia non hanno risolto niente. Si riteneva, secondo una sconsiderata scelta di politica, che i mafiosi si uccidessero tra loro. Quindi si rimaneva quasi a guardare. Poi nel 1969 la strage di viale Lazio ha svegliato tutti e i fatti degli anni Settanta e Ottanta hanno aperto il sipario sul vero palcoscenico siciliano. Nascono i primi processi di mafia, ma la risposta giudiziaria continuava a essere una lotta contro i mulini a vento: processi su prove articolate grazie alle rivelazioni di confidenti e sforzi inauditi da parte delle forze dell’ordine. Ho visto queste cose da vicino. Ho assunto la difesa nel processo alla strage di viale Lazio e ho fatto anche il cosiddetto processo ai 114, prima svolta epocale nei processi di mafia. L’idea brillante venne però al giudice Falcone, durante gli anni Ottanta, quelli del delirio di onnipotenza mafiosa. Il denaro lascia traccia e allora si possono ottenere prove attraverso la ricostruzione dei rapporti fra i vari soggetti basati proprio sui passaggi di denaro individuati». Venendo alla professione, a che punto pensa possano spingersi le indagini dell’avvocato? «Le indagini difensive passano spesso attraverso i consulenti, in caso di necessità bisognerebbe quindi assicurarsi livelli di consulenza altissimi. L’imputato lo può sempre sostenere questo sforzo CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 209


economico? Non si può guardare alle indagini di- di inferiorità, a Palermo sono una decina a fronte fensive come al toccasana, il pubblico ministero dispone di mezzi smisurati e può assicurarsi immediatezza di risposte a qualsiasi livello di qualità. Pensiamo poi che se il pm convoca una persona informata sui fatti, questa è obbligata a rispondere, mentre può rifiutarsi di farlo nei confronti dell’avvocato. Nella pratica, non c’è comunque condizione di parità tra le parti. Io penso che il sistema giudiziario presenti delle distorsioni. Un’indagine preliminare, per come è congegnata oggi, è la visione particolare del pm: una raccolta di carte che segue un determinato percorso, il quale di sovente si traduce in una richiesta di provvedimenti cautelari. Credo che occorra intervenire proprio sull’indagine preliminare, perché si assicuri la difesa al di là di quelli che sono gli atti cosiddetti assistiti, i soli a cui può partecipare il difensore. Il pm può svolgere fino a due anni di indagini, senza che nessuno sappia niente e può chiedere l’arresto a seguito di un’attività svolta nel segreto più assoluto». Lei cosa modificherebbe? «Se il pm conduce alcune indagini rispetto alle quali il giudice non conosce nulla o quasi, sarei dell’opinione che non sia il Gip a dover emettere il provvedimento cautelare, sommerso all’improvviso da un oceano di carte da vagliare in tempi brevi. Situazione ardua per effettuare un controllo a tutela del cittadino, spesso accusato di reati gravissimi che postulano interventi immediati. I Gip sono oltretutto in rapporto numerico

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di più di settanta magistrati. È mia opinione che la materia della custodia cautelare debba essere riformata. Il provvedimento di restrizione della libertà a garanzia del cittadino indagato dovrebbe essere sottratto al Gip e affidato a un tribunale diverso da quello del riesame, cioè un organo collegiale non condizionato dalle tempistiche». E quali riforme proporrebbe? «Penso che sia necessaria una riforma per temperare i poteri assoluti del pm e che vada anche rivisitata la materia delle prove. Nell’ordinamento processuale è stata introdotta una sorta di prova legale in materia di dichiarazioni rese da coimputati, collaboratori di giustizia nella quasi totalità dei casi. Questa si presta a valutazioni soggettive e illiberali con quanto ne consegue sul piano della giustizia sostanziale. Comunque è proprio tutta la strutturazione del processo penale che andrebbe rivista. Posso dire che il processo Contrada è stato proprio la somma algebrica delle peggiori deformazioni processuali. Se si creano regole di valutazione della prova per cui basta la somma di dichiarazioni inutili, inconsistenti, per determinare la colpevolezza di un cittadino, è chiaro che si possa soccombere. Penso che sia anche necessario dare attuazione ai principi fissati dall’articolo 111 della Costituzione, dalla tutela del contraddittorio alla garanzia del diritto alla prova, fino all’effettivo esercizio del diritto di difesa e della parità delle parti. Tutto questo è però rimasto lettera morta».



CULTURA DELLA MEDIAZIONE

Il valore civico della mediazione Quali vantaggi potrà trarre la nostra società dalla diffusione della cosiddetta cultura della mediazione? A parlarne, anche a fronte delle più recenti novità legislative, è l’avvocato Stefania Manfredonia, che esercita a Napoli Mario Dossi

I

l Decreto legislativo 28 del 2010, attuato con D.M. 180/2010, rappresenta un punto di svolta per l’intero sistema delle Alternative Dispute Resolution. Secondo l’avvocato Stefania Manfredonia per l’Italia rappresenta «un cambiamento radicale rispetto alla tradizione delle conciliazioni, aventi natura facoltativa». In base alla nuova normativa, per “mediazione” si intende la procedura e per “conciliazione” l’esito positivo della stessa. Quali gli obiettivi del decreto? «L’obiettivo nobile è quello della pace sociale, quello più pratico è l’intento deflattivo del carico giudiziario civile e commerciale in generale, avente a oggetto diritti disponibili. Le emozioni giocano un ruolo fondamentale in questa procedura e si tutelano gli interessi reali delle parti che possono risultare conciliabili al di là delle loro contrastanti pretese. Quello della Mediazione è un sistema caratterizzato da massima informalità della procedura e da riservatezza “esterna” (divieto di divulgazione) ed “interna” (relativa a informazioni riservate, date dalle parti al mediatore negli incontri detti “caucus”), in cui il terzo “equiprossimo” è privo di poteri decisori. L’obbligatorietà prevista dall’art. 5 riproduce in sostanza l’esperienza del tentativo di conciliaSopra, l’avvocato Stefania Manfredonia zione previsto per il rito s.manfredonia@studiolegalemanfredonia.it 212 • DOSSIER • CAMPANIA 2010

del lavoro. È una “spinta”, volta a creare una cultura della mediazione ma non è, secondo quella che appare l’interpretazione più corretta, un’obbligatorietà “forte”, perché occorre esperire il tentativo, ma non è necessario l’incontro. È condizione di procedibilità, ma è condizione molto affievolita in quanto è previsto lo sbarramento della prima udienza per non limitare il diritto delle parti di accesso alla giustizia. La mancata partecipazione, senza giusta causa, all’incontro di mediazione, sarà oggetto di valutazione da parte del giudice nel successivo giudizio, ex art. 116 c.p.c. La nomina di un consulente in mediazione è possibile, ma è ipotesi meramente residuale, serve solo se c’è un principio di accordo tra le parti». Dubbi in merito all’applicabilità di questo ADR si pongono anche nell’ambito della responsabilità medica in cui essenziale è l’accertamento tecnico. «In questo caso, ove la mediazione fallisca, l’inutilizzabilità nel successivo giudizio della già espletata CTU renderebbe più gravosa la lite, obbligando parte offesa a doversi sottoporre nuovamente a visita medica. Importante novità introdotta dal legislatore è che l’accordo concluso in mediazione, se non contrario a ordine pubblico e norme imperative, è suscettibile di divenire titolo esecutivo, previa omologa


Stefania Manfredonia

del Presidente del Tribunale». Previsioni in materia infortunistica? «A tal proposito vi sono interessi contrapposti tali da rendere più difficile l’individuazione di quello spazio del possibile accordo. Sembrerebbe, pertanto, una forzatura l’introduzione della RC auto nella mediazione. E vi è, comunque, un’evidente duplicazione con il meccanismo già previsto dal legislatore, che concede “spatium deliberandi” per formulazione e accettazione dell’offerta. In questo ambito, forse, potrebbe essere maggiore l’esperibilità della mediazione “demandata” dal giudice, in quanto l’instaurazione del giudizio presupporrebbe per la compagnia l’apertura di un sinistro, la nomina di un legale, l’acquisizione di un elaborato peritale o la nomina di un consulente tecnico». E se la mediazione fallisce? «In tal caso si ritornerebbe in giudizio, con l’unico rischio, per la parte che risulterà vincitrice, di condanna alle spese e al costo del contributo unificato per l’ipotesi di formulazione di proposta del giudice rifiutata dalla parte, nel caso in cui il contenuto della decisione dell’organo giudicante corrisponda integralmente al contenuto della proposta rifiutata. Evidente è la volontà deflattiva del Legislatore, che sanziona la parte vincitrice del giudizio perché ha inutilmente “affollato” le aule giudiziarie». Quali i rischi di questo ADR? «Il rischio è che questa procedura possa divenire il luogo in cui non si formulano buone conciliazioni bensì si consumano vere e proprie lesioni di diritto e rinunce agli stessi in cui il soggetto “debole” vi viene indotto solo per evitare il rischio di essere travolto dai tempi del processo». Cosa accade, invece, se la compagnia di assicurazione non si presenta? «La mancanza di elementi utili non potrà essere certamente valutata negativamente dal giudice. E comunque, anche l’ipotesi di estraneità ai fatti potrà essere fatta valere in giudizio come causa di giusto motivo di non comparizione. Del resto, in materia di RC auto si porrà il problema per l’organismo di individuazione, nel termine di 15 giorni dalla domanda, di un referente assicurativo. Ciò presupporrà un’organizzazione per

la quale si potrebbe prendere come modello quello adottato dalle compagnie di telecomunicazione. Evidente è che la compagnia interverrà soltanto se avrà interesse a definire, altrimenti sarebbe un inutile aggravio di costi». Soprattutto cosa determina il ruolo dell’avvocato in queste situazioni? «La partecipazione dell’assistenza legale non è obbligatoria, ma è fondamentale. È importante per la scelta del sistema più adeguato, nella redazione della domanda, nell’adozione della strategia negoziale, nell’identificazione degli interessi delle parti, nonché nel controllo su imparzialità e riservatezza del mediatore, nell’attività di consulenza su parametri oggettivi e sulle strategie di comunicazione. Dopo la mediazione il suo ausilio si esplica nella valutazione delle conseguenze della causa e nella redazione dell’accordo, necessario per evitare nullità. È previsto per l’avvocato l’obbligo di informazione del cliente della possibile mediazione, sia obbligatoria che facoltativa, la cui violazione è sanzionata con l’annullabilità del contratto di patrocinio». Qual è la funzione del mediatore? «La sua funzione fondamentale è quella “facilitativa”; non essenziale, ma solo facoltativa invece è quella valutativa. In evidente contrasto con la “imparzialità” del mediatore, “disinteressato” all’esito della procedura è la previsione di aumento di un quinto per il caso di esito favorevole». In conclusione quale impatto avrà la nuova normativa? «È indubbio che il successo della procedura sarà inevitabilmente legato alla diffusione della cultura della mediazione, nonché all’orientamento giurisprudenziale che andrà a formarsi. L’impatto della nuova normativa potrà essere valutato soltanto con l’applicazione pratica. Conveniente risulta la mediazione quando nessuna delle parti ha una posizione forte o quando vi è in materia giurisprudenza contraria, quando vi è, per una parte, un’insufficienza probatoria, quando si vuole evitare pubblicità o quando si ha interesse a preservare rapporti commerciali . Non lo è, invece, quando si vuole tutelare un diritto o creare un precedente o, certamente, quando le lungaggini del giudizio possono tornare a vantaggio di una delle parti». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 213


CULTURA DELLA MEDIAZIONE

Mediare le liti condominiali Un professionista del Foro per mediare e conciliare le liti, spesso furibonde, che animano i condomini. L'amministratore competente, figura ingiustamente trascurata, è la cartina tornasole di una serena convivenza. A colloquio con Giancarlo Vigliotti Paola Maruzzi

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pesso basta un nonnulla per innescare la miccia dello scontro: il passo “felpato” della signora al piano di sopra, un cane che abbaia negli orari più improbabili, il pianto di un bambino che interrompe il sonno, l'auto parcheggiata nel posto sbagliato, l'acqua data alle piante che sgocciola sul bucato appena steso, la ripartizione delle spese per un guasto all'ascensore. Insomma, dalle casistiche emerge un quadro chiaro: il rapporto con il vicinato sembra essere una bomba a orologeria. E dal diverbio verbale è facile passare alle aule di tribunale, innescando un meccanismo lungo e dispersivo. Lo conferma persino il Ministero della Giustizia, che fornisce una precisa statistica: un buon 50 per cento delle procedure civili è riconducibile alle liti condominiali. Per questo è necessario districare a monte le problematiche, cioè puntare sulla capacità risolutiva di un soggetto imparziale: l'amministratore. L'avvocato Giancarlo Vigliotti, impegnato da tempo sul fronte degli immobili a Napoli, oltre che essere il legale fiduciario di tre società del Consorzio del Grana Padano, spezza una lancia a favore della mediazione preventiva. «Chi amministra ha l'obbligo morale di far dialogare le parti, evi-

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tando lo scontro duro, quello che porta alla denuncia». Dal 20 marzo del 2011 quella che oggi suona come una buona prassi a discrezione dell'amministratore lungimirante, diventerà obbligatoria. Di qui è facile comprendere che trovare soluzioni amichevoli e individuare delle proposte concrete, diventerà una prerogativa qualificante, sempre più appannaggio degli “specializzati nella conciliazione”. Secondo la legge italiana a quali requisiti deve rispondere l'amministratore del condominio? «Allo stato attuale non deve necessariamente essere un professionista esterno, né è previsto un titolo di studio o altri requisiti, per esempio l'iscrizione a un albo professionale». Crede sia giusto? «No, sarebbe opportuna una riforma statale che punti alla professionalizzazione. Per sua natura il condominio si fonda sul rispetto del codice civile. Quindi il fatto di avere un background giurisprudenziale offre sicuramente un valore aggiunto alla gestione di molte problematiche. Devo ammettere, però, che con il passare del tempo ci sono sempre meno figure improvvisate. Per dirla in termini spiccioli, se prima il ruolo dell'ammi-


Giancarlo Vigliotti

In apertura, l'avvocato Giancarlo Vigliotti giancarlovigliotti@yahoo.it

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Il legale ha l'obbligo morale di sottoporre alle parti le conseguenze a cui vanno incontro. Così si riducono gli scontri in tribunale

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nistratore era paragonabile al salumiere, cioè la sua attività era limitata a fare la lista delle entrate e delle uscite, oggi le cose sono più complesse. In gioco ci sono responsabilità civili e penali, la necessità di tenersi aggiornati con specifici corsi, la gestione di normative fiscali e tributarie». Come descriverebbe il complesso mondo in cui opera? «Affascinante e difficile. E, a dirla tutta, per certi versi obsoleto. Molte norme, infatti, risalgono al 1940, quando invece bisognerebbe tenere aggiornata la materia condominiale, i cui sviluppi pratici sono in continua trasformazione». A ogni modo ci sono stati recenti e positivi cambiamenti legislativi? «Una modifica che può dirsi storica è partita della Cassazione: nello scorso mese di agosto una sentenza ha rivoluzionato l'applicazione

delle tabelle millesimali. Adesso, per modificare le stesse, non c'è più bisogno della maggioranza assoluta, ma sono sufficienti i cinquecento millesimi più uno dei presenti. In precedenza la modifica delle tabelle millesimali poteva avvenire solo con un lungo iter giudiziario». Questo come si ripercuote nella pratica del suo lavoro? «Già in cinque casi condominiali ho potuto affrontare agevolmente la modifica delle tabelle millesimali, giungendo a soluzioni in un tempo decisamente minore». Quali sono i problemi di ordinaria amministrazione a cui deve porre rimedio? «Si va dalle classiche diatribe, derivanti da comunissime situazioni, agli abusi. Spesso la figura del legale si rivela di fondamentale importanza, perché ha l'obbligo morale di sottoporre alle parti le conseguenze a cui vanno incontro se non si rispettano le regole. Insomma, cerco di evitare che sia arrivi alle “guerre” civili, infinite e infruttuose». C'è il rischio che l'amministratore diventi una valvola di sfogo? «Il rischio c'è, per questo è necessario l'intervento di un mediatore esterno, capace di conservare una visione imparziale. Buona parte della risoluzione dei problemi è dovuta all'esperienza di chi li gestisce. C'è sempre da imparare. I condomini vanno “istruiti”, perché spesso in loro manca la consapevolezza di cosa significhi il rispetto degli spazi in comune». Il caso più bizzarro? «Nessuno in particolare. Attualmente sono impegnato con un fabbricato che in passato ha avuto problemi sia a livello economico che per la gestione di opere straordinarie. Questo a riprova del fatto che una cattiva amministrazione si trascina nel tempo, ingigantendosi. A me, invece, piace risolvere le cose passo dopo passo, essere sempre presente». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 215


DEFICIT SANITARIO

Prevenire per curare Dal benchmarking al federalismo: sono diverse le ricette per evitare futuri “buchi” nei sistemi sanitari regionali secondo Angelo Lino Del Favero, presidente di Federsanità Anci e componente del Copaff Riccardo Casini

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Sotto, Angelo Lino Del Favero, presidente di Federsanità Anci

ai più situazioni come quelle registrate ultimamente in regioni come Calabria e Campania: i deficit nella sanità infatti si possono e, di conseguenza, si devono prevenire. Questa almeno è l’opinione di Angelo Lino Del Favero, presidente di Federsanità Anci e componente del Copaff, la commissione per l’attuazione del federalismo fiscale, secondo cui un importante aiuto può venire dalle tecniche di benchmarking. «Si tratta – spiega – di uno strumento efficace alla base dei processi di miglioramento, sia nel campo industriale sia in quello dei servizi nella pubblica amministrazione e nella sanità. Il benchmarking permette alle Regioni - e a livello territoriale alle aziende sanitarie e ospedaliere - di confrontarsi su una batteria di indicatori economici di efficienza, di qualità e appropriatezza delle prestazioni erogate e di mutuare, adattandole al contesto, le migliori pratiche per un progresso generale di sistema». Come giudica i risultati delle pratiche finora attivate? «La pratica del benchmarking tra Regioni nella sanità, grazie

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anche allo sviluppo di adeguati sistemi informativi, è una metodica in corso da un decennio che trova riferimento fin dal 2001 nei cosiddetti “patti per la salute”, ovvero accordi tra Stato e Regioni per contenere la spesa entro limiti fisiologici, perseguire un equilibrio tra i costi della prevenzione, dei servizi ospedalieri e di quelli territoriali. Nel tempo la pratica del benchmarking, grazie ai cosiddetti piani di rientro in corso nelle Regioni in disequilibrio economico finanziario, ha prodotto significativi risultati nel contenimento dei disavanzi e nell’individuare le realtà più critiche». In che modo può risultare utile uno strumento di questo tipo per risanare il deficit di regioni come la Campania? «Il caso della Campania insegna come, nelle realtà meno virtuose, disavanzo economico e cattiva qualità dei servizi viaggiano di pari passo. Tuttavia è possibile cambiare soprattutto organizzando in modo più funzionale gli ospedali e chiudendo le strutture obsolete o pericolose e investendo nei servizi alla persona. I primi suc-


Angelo Lino Del Favero

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Per la sanità pubblica proponiamo un sostanziale cambio di paradigma con il passaggio dalla “compatibilità economica ed efficienza” a quello della “sostenibilità ed efficacia”

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cessi ottenuti sui tavoli di monitoraggio nazionali della giunta Caldoro stanno a dimostrare che vi sono tutti i presupposti per cambiare, che comunque occorre investire senza riserve su nuovi modelli organizzativi e gestionali, già testati e sperimentati non solo in Italia, ma anche nelle Regioni più avanzate europee. Il benchmark, inoltre, costringe le aziende sanitarie a dotarsi di sistemi contabili e informatici adeguati: senza conoscenza non si governa». In situazioni come quella campana, in che modo è possibile recuperare un controllo della spesa sanitaria? «Il federalismo e i Lea mettono le Regioni davanti a responsabilità nuove. In sostanza, esiste già un “nuovo” che va standardizzato, se non negli strumenti organizzativi, sicuramente nei risultati, nelle cure e nei servizi ai quali tutti i cittadini italiani devono poter accedere. Vi è poi il tema dei costi standard sui quali vi sono timori infondati che portino, di fatto, a una riduzione del finanziamento in sanità. Sulla base della mia esperienza posso smentire questa tesi perché non è la somma

dei costi standard che determina il finanziamento. Il finanziamento nazionale dedicato alla sanità è determinato dallo Stato, e quindi è lo Stato a decidere quanto assegnare alla sanità». Quali politiche occorre adottare nei confronti di regioni che presentano questi “buchi” di bilancio? «Da diversi anni Federsanità Anci propone per la sanità pubblica un sostanziale cambio di paradigma con il passaggio dalla “compatibilità economica ed efficienza” a quello della “sostenibilità ed efficacia”. In questo paradigma viene definito sostenibile un sistema sanitario che gestisce, in modo dinamico, il punto di equilibrio tra bisogni e risorse in modo da incrementare il “capitale salute”, ovvero garantire ai cittadini una qualità della vita migliore». In che modo potrebbe agire una riforma federalista sui sistemi sanitari regionali? «La riforma federalista introduce e rafforza, in primo luogo, principi di responsabilità di chi governa o gestisce il sistema sanitario; inoltre impone dei processi riorganizzativi che riducono gli sprechi, migliorano la sicurezza e la qualità dell’assistenza, riducendo l’esodo anomalo di pazienti verso il centro nord. Occorre, comunque, porre al centro delle politiche il cittadino, la possibilità di scegliere in un modello trasparente le strutture più qualificate e di bocciare, se necessario, gli amministratori inadeguati. Solo così si possono garantire livelli di assistenza equi in tutto il Paese e standard prestazionali europei. I costi standard tengono conto di più fattori economici, qualitativi, ambientali, demografici e, pertanto, ritengo che possano rappresentare un utile strumento di governo ed equità nell’accesso alle prestazioni». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 225


NATURALIZZAZIONE DEL PARTO

Il cesareo non come prima scelta

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are alla luce un bambino non è semplice, neanche con un parto cesareo, non sempre utile e innocuo come sembrerebbe. I ricercatori dell’Organizzazione mondiale della sanità hanno, infatti, osservato che la pratica chirurgica, spesso considerata come una scelta sicura al più naturale parto vaginale, ha in realtà comportato un aumento significativo della morbilità materna, cioè della frequenza di malattie nel campione di donne prese in esame. In Campania, regione con il più alto tasso di parti cesarei, presso l’Ospedale Evangelico Villa Betania di Napoli, divenuto negli anni un vero e proprio punto di riferimento soprattutto per i servizi offerti al reparto maternità, la scelta chirurgica viene contemplata solo in quei casi estremi in cui si rende necessaria. «L’obiettivo fondamentale del dipartimento materno-infantile è quello di valorizzare la qualità dell’esperienza del parto, favorendo una nascita serena, quanto più possibile demedicalizzata, in un ambiente idoneo a salvaguardare il benessere e la sicurezza per la madre e il neonato». L’incipit del dottor Pasquale Accardo, direttore generale di Villa Betania, annuncia il positivo resoconto dell’ormai consolidata promozione della “naturalizzazione” del parto promossa dal dottor Paolo Puggina, capo del dipartimento materno-infantile e direttore dell’unità di ginecologia e ostetricia. Il quale ribadisce che il taglio cesareo è giustificabile solo quando esistono esigenze precise e codificate. Le evidenze scientifiche riportate da tutte le maggiori società nazionali e internazionali dimostrano che il parto vaginale presenta minore morbilità e mortalità fetale e 226 • DOSSIER • CAMPANIA 2010

Nell’intera provincia di Napoli, il più basso indice di parti cesarei è registrato presso l’Ospedale Evangelico Villa Betania. Perché i dottori Paolo Puggina e Francesco Messina incentrano le prassi del dipartimento materno-infantile verso la “naturalizzazione” del parto Giulio Conti

materna rispetto al parto cesareo. In particolare il parto cesareo espone il neonato a complicanze respiratorie legate alla mancata compressione che fisiologicamente avviene durante il parto vaginale, costringendolo, talvolta, a una maggiore sosta in TIN. Nel 2009 Villa Betania ha registrato circa 1700 parti di cui solo il 35% con taglio cesareo; pur essendo in linea con la percentuale nazionale il dato è rilevante perché nettamente inferiore rispetto al 60% del tasso percentuale regionale. «Il calo degli interventi medici/chirurgici – afferma Puggina – è dimostrato anche dalla riduzione del numero di applicazioni di ventose ostetriche e delle episiotomie cui non è corrisposto l’aumento delle complicanze del parto». Presso l’unità di terapia intensiva neonatale (TIN) diretta dal dottor Francesco Messina,


Ospedale Evangelico Villa Betania

In apertura, infermiere pediatriche nell’unità di terapia intensiva neonatale dell’Ospedale Evangelico Villa Betania di Napoli. Qui, in alto, i dottori Francesco Messina, primario di neonatologia, e Paolo Puggina, capo del dipartimento materno-infantile e primario di ginecologia www.villabetania.org

«si utilizzano tutte le moderne tecnologie che consentono l’assistenza di neonati estremamente prematuri con insufficienza respiratoria, ventilazione meccanica ad alta frequenza e ossido nitrico». Dalla lettura della casistica del reparto si rileva inoltre «una certa omogeneità in termini di trend temporale della frequenza delle principali patologie ostetriche ma, tuttavia, si denota una rete di malformazioni fetali alla nascita inferiore rispetto a quello riportato nelle pubblicazioni internazionali», probabilmente conseguenza dell’attento monitoraggio delle gravidanze e del servizio di ecografia morfostrutturale offerto dalla struttura. I corsi di accompagnamento alla nascita sono condotti dall’ostetrica che «quale figura centrale nell’assistenza al travaglio e al parto fisiologico andrebbe rivalorizzata e non tenuta all’ombra dei chirurghi addetti al più richiesto parto cesareo». Dal 2003 presso Villa Betania è stato avviato l’ambulatorio dedicato alla gravidanza a rischio. «Qui assistiamo gratuitamente tutte le donne che presentano patologie inerenti la gravidanza come diabete o ipertensione gestazionale, difetti di crescita fetale, MPP, gravidanza gemellare e plurigemellare – afferma il dottor Messina – ma anche tutte quelle patologie che, precedenti la gravidanza, comportano pericolo per la prosecuzione o il compimento della stessa». La gestante in travaglio ha infatti la possibilità di usufruire di analgesia farmacologica e non farmacologica con il travaglio e parto in acqua e la possibilità di travagliare e partorire nelle posizioni libere. «È favorito il bonding, cioè il processo di attaccamento che si sviluppa subito dopo il

Nel 2009 Villa Betania ha registrato circa 1700 parti di cui solo il 35% con taglio cesareo

parto tra i genitori e il bambino, e il roomingin, ovvero la possibilità di tenere nella propria stanza di ospedale il figlio appena nato – spiega il dottor Messina –. Punto di partenza della nostra assistenza è la preparazione prenatale della donna e della coppia, con lo scopo di rendere la donna attiva e protagonista, di accettare il dolore, di vivere la nascita come esperienza, senza giudizi». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 227


CENTRI SPECIALIZZATI

Diagnostica e terapia Esigenze diagnostiche e terapeutiche vanno soddisfatte in centri specializzati capaci di offrire il massimo livello prestazionale. Il Centro Augusto di diagnostica per immagini e terapia fisica punta alla prevenzione e alla sinergia operativa degli specialisti. A colloquio con i dottori Tommaso Ricozzi e Claudio Riccio Adriana Zuccaro

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a cura delle patologie pone come fattore imprescindibile la prevenzione e la ricerca. E la richiesta di servizi diagnostico-terapeutici completi e qualificati implica la necessità di rivolgersi a strutture specialistiche, dotate di attrezzature tecnologicamente avanzate, professionisti esperti e specializzati. «In ognuna delle procedure necessarie alla definizione di una data diagnosi, così come per la pianificazione terapeutica, diviene fondamentale puntare innanzitutto alla prevenzione, fattore clou del costante percorso di ricerca di miglioramento della qualità della vita, in cui è implicito uno

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stato di salute ottimale». L’affermazione del dottor Tommaso Ricozzi, responsabile della gestione manageriale del Centro Augusto, struttura sanitaria specializzata in diagnostica per immagini e terapia fisica, sintetizza il fulcro operativo di tutte le attività svolte dal personale medico e parasanitario del centro. La professionalità e disponibilità degli specialisti, in particolare, ortopedici, endocrinologi e dermatologi che collaborano con il Centro Augusto, si avvale dalle più sofisticate attrezzature di diagnostica per immagini quali la tomografia computerizzata spirale (T.C.) e la risonanza magnetica articolare (RMA), insieme all’ecografia, all’eco-color-Doppler e al supporto di una radiologia digitalizzata. «Nello specifico – afferma il dottor Ricozzi –, per quanto riguarda la diagnostica senologica relativa alla mammella, siamo impegnati nella prevenzione, cura e ricerca, attraverso la visita senologica, la mammografia e l’ecografia, di noduli mammari sospetti ed eventualmente con prelievo bioptico effettuabile all’interno della nostra struttura». Lo stesso dicasi per la diagnostica endocrinologica che si avvale principalmente dell’apporto degli specialisti endocrinologi e dell’ecografia, allo scopo di prevenire o individuare le patologie tiroidee, statisticamente in costante incremento. Per garantire un’efficace azione terapeutica, al servizio di diagnostica per immagini è inoltre

In apertura, il dottor Tommaso Ricozzi, responsabile della gestione manageriale del Centro Augusto di diagnostica per immagini e terapia fisica con sede a Napoli www.centroaugusto.it


Tommaso Ricozzi e Claudio Riccio

annesso quello di terapia fisica e fisiokinesiterapia, con l’impiego di un cospicuo numero di apparecchiature elettromedicali, quali tecarterapia, magnetoterapia, laserterapia e pressoterapia. Se c’è però un ambito che rappresenta un po’ il fiore all’occhiello del Centro Augusto è l’interconnessione tra le attività diagnostiche applicate all’ortopedia e la sinergia operativa dei vari specialisti. «Grazie alla disponibilità diagnostica del centro siamo in grado di occuparci di varie patologie ortopediche – interviene il dottor Claudio Riccio, specialista in ortopedia e traumatologia –. Disponiamo ad esempio, di una risonanza magnetica specifica per le articolazioni e di una tac spirale che ci consente di ottenere un’ottima performance diagnostica, oltre a una radiologia digitale all’avanguardia». La collaborazione fra radiologo e ortopedico permette di finalizzare al meglio l’esame diagnostico per-

vizio di radiologia e quello di ortopedia avviato al Centro Augusto da qualche anno, a detta del dottor Riccio «sta dando ottimi risultati perché analizzando insieme ogni caso di nostra competenza, soprattutto nella fase diagnostica, riusciamo ad arrivare più velocemente a una diagnosi pressoché completa di cui abbiamo bisogno».È fondamentale il monitoraggio delle condizioni del paziente grazie alla sinergia professionale tra ortopedico, radio-

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A sinistra, il dottor Claudio Riccio, specialista in ortopedia e traumatologia. Sopra TSRM dottor Carmine Frasca e dottor Giuseppe Tortora responsabili della T.C. spirale e risonanza magnetica articolare

La collaborazione fra radiologo e ortopedico finalizza al meglio l’esame diagnostico perché non separa la fase prescrittiva e quella di realizzazione dell’esame

ché «non c’è discontinuità fra la fase prescrittiva e quella di realizzazione dell’esame così che il paziente in cura presso il nostro centro può ricevere una diagnosi completa, priva di quelle incongruenze diagnostiche che talvolta si verificano quando non sono presenti in sede entrambi gli specialisti». La sinergia tra il ser-

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logo e fisioterapista, con l’ausilio di attrezzature terapiche di alta affidabilità quali, ad esempio, la magneto-terapia, la laser-terapia e la tecar-terapia. «Quest’ultima è basata sulla stimolazione cellulare ed è particolarmente adatta alla cura di patologie muscolo-tendinee – spiega il dottor Riccio –. Infatti la tecar-terapia, originariamente utilizzata in traumatologia sportiva, successivamente è stata utilizzata anche per la cura di patologie infiammatorie e degenerative delle articolazioni, quali artriti e artrosi».

CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 229


RIABILITAZIONE

Tutte le risorse dell’ospedalità privata

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on è di certo un luogo comune quello che fotografa la realtà sanitaria del Mezzogiorno d’Italia in un bianco e nero di inadeguatezze e problematiche stantie. Ma, a dispetto di una generale condizione di arretratezza gestionale e di insufficienza dei servizi medico-sanitari, l’ospedalità privata conta picchi d’eccellenza che, se da un lato non colmano la carenza di risposte cui versa la generale realtà sanitaria, dall’altro, confermano la ricchezza di risorse, umane innanzitutto, poste in atto per il mantenimento del bene più prezioso, la salute. Tra gli esempi più rappresentativi della sanità campana “che funziona”, il Campolongo Hospital, fin dalla sua prima apertura quale Istituto Elio Ortopedico Ebolitano risalente al 1957, ha posto quale obiettivo primario di ognuna delle attività svolte al suo interno, «il raggiungimento del re-

Gianfranco Camisa è direttore generale del Campolongo Hospital, centro di medicina fisica e riabilitazione con sede a Eboli www.campolongohospital.it

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Impossibile negare le problematiche che affliggono la sanità campana. Ma i poli d’eccellenza non mancano. Tra questi, il Campolongo Hospital che persegue una filosofia di riabilitazione globale dei pazienti. A descriverla, il direttore generale del centro, Gianfranco Camisa Adriana Zuccaro

cupero della salute e della massima efficienza psico-fisica dei pazienti, per il miglioramento globale della qualità della vita». A ribadirlo, il dottor Gianfranco Camisa, direttore generale del Campolongo Hospital, fermo sostenitore di come l’impiego di nuove tecnologie e modelli operativi avanguardistici debba essere costantemente perseguito per raggiungere nuovi traguardi, soprattutto nel campo della riabilitazione e dell’ortopedia perché ambiti specialistici del Campolongo Hospital. In che modo si evolve l’assistenza riabilitativa rivolta ai pazienti del Campolongo Hospital? «Senza sosta. La continua evoluzione è perseguita in ogni ambito della riabilitazione. L’attuale organizzazione ha infatti richiesto nel corso degli anni, e richiede tuttora, un impegno non indifferente di risorse umane e tecnologiche capaci di mettere in gioco ogni possibilità professionale e strumentale per il conseguimento di risultati concretamente efficaci, dalla diagnosi alla cura della patologia del caso e alla riabilitazione globale del paziente». Secondo quale iter procedurale pianificate la terapia di una determinata affezione? «Lo standard di procedure rispecchia e segue le linee guida nazionali della riabilitazione riassu-


Gianfranco Camisa

Per le patologie ortopediche, e per i vari settori di intervento che vanno dalla chirurgia protesica alla chirurgia artroscopica, il Campolongo Hospital rappresenta un polo di eccellenza

mibili in un primo inquadramento diagnostico. A questo segue il progetto riabilitativo che prevede l’intervento del team multidisciplinare costituito dal fisiatra, neurologo, internista, psicologo e altri vari specialisti di ogni branca della medicina trattata presso il Campolongo Hospital. Una volta stabilito e confermato il progetto si redige un vero e proprio programma riabilitativo cui seguono la prognosi e la determinazione della durata del trattamento». Quali nuove esigenze vengono oggi espresse con maggiore incidenza nei confronti del sistema specialistico? «Sempre di più si avverte la necessità di assicurare trattamenti adeguati a pazienti critici in stato vegetativo o con insufficienza cardio-respiratoria, a pazienti post-chirurgici, tracheostomizzati o portatori di PEG, ovvero di Ga-

strostomia endoscopica percutanea, e a pazienti per i quali la malattia di base che ha richiesto l’intervento riabilitativo, rappresenta solo una parte di un quadro clinico molto più complesso, con numerose comorbilità. Il Campolongo Hospital è dotato di personale qualificato e di innovative tecnologie per dare risposte adeguate a questa tipologia di pazienti». Quanto la tecnologia e l’informatizzazione hanno inciso nell’evoluzione vissuta dalla struttura e dal sistema gestionale/organizzativo? «L’attuale utilizzo di una cartella clinica completamente informatizzata e l’aggiornamento tecnologico continuo – la struttura del Campolongo Hospital è stata dotata ad esempio di una Risonanza Magnetica di ultima generazione – sono la prova tangibile di una filosofia che per- CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 231


RIABILITAZIONE

In Campania e nel Mezzogiorno in generale, esistono realtà significative nel settore dell’ospedalità privata che non possono e non devono essere mortificate da valutazioni preconcette

segue l’avanzamento delle tecnologie e dell’informatizzazione come obiettivo prioritario». Quali sono le eccellenze che vantate in campo diagnostico? «Negli anni abbiamo accumulato risultati sempre migliori soprattutto grazie alla tecnologia nel campo della radiodiagnostica, nella diagnostica neurofisiologica e nel sistema di monitoraggio del paziente durante il ricovero». Quali sono le patologie o le problematiche più diffuse che avete riscontrato negli ultimi anni? «Le patologie prevalenti sono di ordine neurologico e cardiovascolare oltre che di tipo metabolico e respiratorio. Bisogna inoltre considerare tutta la patologia ortopedica, con i vari settori di intervento, dalla chirurgia protesica – anca, spalla e ginocchio – alla chirurgia artroscopica – spalla, ginocchio, gomito e polso – dove il Campolongo Hospital rappresenta un polo di eccellenza. Proprio per le peculiarità diagnostiche e le specialità riabilitative, sono molte le persone che si rivolgono alla nostra struttura». Un’apposita area del Campolongo Hospital è riservata all’addestramento alle cosiddette AVQ. Di cosa si tratta? «AVQ sta per “attività della vita quotidiana”. Con l’ausilio di speciali cucine, utensili e computer, il paziente viene rieducato a utilizzare al meglio le sue capacità, per recuperare un livello di autosufficienza ottimale sia nelle attività domestiche che in 232 • DOSSIER • CAMPANIA 2010

quelle lavorative. Inoltre, nelle ampie palestre del Campolongo Hospital, la rieducazione funzionale coinvolge un’ampia gamma di trattamenti, come la kinesiterapia, la rieducazione respiratoria, la logoterapia, la rieducazione neuro-motoria, l’ergoterapia, la terapia occupazionale e la terapia fisica. Viene così creato un percorso di rieducazione graduale e personalizzato». Quali speciali attività di rieducazione psicofisica eseguite? «Già alla sua nascita, l’allora Istituto Elio Ortopedico Ebolitano, disponeva di una piscina realizzata secondo i più avanzati criteri dell’epoca. Oggi il servizio di rieducazione in acqua del Campolongo Hospital comprende due grandi piscine per il trattamento di gruppo, oltre a vasche dedicate a specifici trattamenti individuali. Le piscine, dotate di tutti gli ausili tecnici più idonei per l’utilizzo da


Gianfranco Camisa

parte dei pazienti, sono inserite in ambienti vasti e luminosi. Ciò produce benefici effetti psicologici e consente ai soggetti e al personale di dedicarsi con piacevole tranquillità al trattamento in acqua». In Campania, l’offerta dei servizi di riabilitazione copre la domanda regionale? «La domanda che scaturisce dall’utenza regionale non è sufficientemente coperta soprattutto in alcuni settori specialistici. Per questo ritengo sia necessario un aumento di posti letto dedicati ad alcune patologie di pazienti, ad esempio, in coma, in stato vegetativo e in lungodegenze riabilitative. Con il tentativo di rispondere anche a tali esigenze, il Campolongo Hospital garantisce una riabilitazione multidisciplinare soprattutto per i pazienti affetti da pluripatologie e provenienti sia dalla nostra regione che da regioni limitrofe». Ritiene che le normative sanitarie in vigore richiedano riforme atte al miglioramento dei servizi sanitari al cittadino? «Le normative regionali sono spesso di difficile

interpretazione da parte del cittadino. Nella Regione Campania manca una sufficiente chiarezza nel campo della riabilitazione, sia sul livello dell’intervento riabilitativo, sia sui requisiti richiesti. La normativa, pertanto richiederebbe una semplificazione a garanzia degli utenti e dell’intero comparto della riabilitazione». Che tipo di resoconto si può redigere sulle condizioni attuali della sanità privata campana? «Possiamo tranquillamente affermare che l’ospedalità privata campana è di ottima qualità, ma viene, purtroppo, mortificata dalla grave crisi finanziaria che la Regione Campania ha da ormai troppi anni. La sanità campana privata richiede, pertanto, certezze sul piano strutturale e garanzie sul piano economico. In base poi alla realtà che pensiamo di aver delineato, riteniamo che anche in Campania e nel Mezzogiorno in generale, esistano realtà significative nel settore dell’ospedalità privata, che non possono e non devono essere mortificate da valutazioni preconcette». CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 233



Achille Bonito Oliva

I luoghi da rivivere Ama definirsi un “critico agrario”, ma dalla sua terra, al confine tra la Campania e la Basilicata, Achille Bonito Oliva, si è ben presto allontanato per inseguire le sue passioni: la poesia e l’arte. Grazie alla Certosa di Padula ha però riscoperto il fascino di questi luoghi Nike Giurlani

Q

uando sua madre gli chiese cosa volesse fare da grande, Achille Bonito Oliva rispose: “il bambino”. Sarà per questo che la sua vita è stata sempre improntata al vitalismo e al senso del gioco. Dal suo paese d’origine, Caggiano, ha sentito il bisogno di prendere presto le distanze. Forse sarà stato per il suo perenne senso di nomadismo, lo stesso che lo porta a non sentire nessuna città completamente sua. Oggi, quando non è in giro per lavoro, risiede a Roma e vive questa città come un premio, ma non rinnega certo le sue origini campane, anzi. Attraverso un viaggio a ritroso, il critico ripercorre i luoghi più cari, rivelando affascinanti mete al confine tra la Campania e la Basilicata per poi giungere fino a Napoli. Lei è nato a Caggiano, sull’Appennino lucano. Che cosa rappresenta per lei questo luogo? «La mia infanzia. Sono nato nel palazzo di famiglia, lo stesso dove poi sono stato battezzato e dove precedentemente si erano sposati i miei genitori. La famiglia di mio padre apparteneva

all’aristocrazia di campagna mentre quella di mia madre alla borghesia agraria. Il Vallo di Diano, dove si trova Caggiano, rappresentava il feudo della mia famiglia, per questo mi piace definirmi un critico agrario. Finite le scuole elementari ci trasferimmo a Napoli. D’estate, però, tornavamo a Caggiano e durante queste permanenze forzate mi sentivo spesso a disagio. Abituato, ormai, a una città di mare come Napoli trovavo difficoltà a inserirmi e a interagire con i ragazzi del posto. Iniziai, quindi, ad appassionarmi alla lettura, divorando un libro dietro l’altro, credo di essere diventato un intellettuale “per disperazione”. Questa sorta d’immobilità perenne del luogo mi spinse a prenderne ben presto le distanze. Caggiano divenne per me “il luogo dal quale andare via”, come direbbe Rimbaud». E non ha più sentito il bisogno di ritornare in questa terra? «Mi sono riconciliato con i luoghi della mia infanzia grazie alla Certosa di Padula, un luogo straordinario di 50 mila metri quadri che rappresentava l’unità amministrativa nel Medioevo, e che si caratterizza per la presenza di molti stili che vanno dal Trecento al Settecento. Questo com- CAMPANIA 2010 • DOSSIER • 237


GENIUS LOCI

plesso monumentale con il suo secolare parco è parco dove, dopo le lezioni, ci fermavamo a giodiventato lo sfondo per “Natura e Arte in Certosa: Ortus Artis e Fresco Bosco”. Ormai, infatti, da dieci anni organizzo mostre in questo luogo. Trovo meraviglioso come l’arte contemporanea riesca a legarsi perfettamente allo scenario storico del complesso. Grazie a questo evento sono riuscito a portare nella Certosa di Padula artisti di fama internazionale come Pistoletto, Cucchi, De Maria, Paladino, Chia, West, Mauri e numerosi altri. Ormai possiamo parlare di un ricco parco di opere che sono state lasciate dagli artisti in comodato d’uso, a tempo indeterminato, alla Certosa. Questo luogo “ai confini della realtà” si è aperto all’arte internazionale e allo stesso tempo mi ha fornito l’occasione per ritornare nella mia terra. È stato, quindi, un ritorno rafforzato dalla mia identità, dalla mia professionalità, un ritorno all’insegna della creatività e della fantasia critica». Del periodo trascorso a Napoli, quali sono i luoghi più cari? «Sicuramente la scuola Denza dei padri Barnabiti a Posillipo nel punto più alto e suggestivo di Napoli, un luogo privilegiato. Qui c’era un grande

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care a calcio. In questa città portai a termine i miei studi e dopo l’università, iniziai le mie prime prove da poeta visivo. Luogo simbolo di questi anni è stata sicuramente la libreria Guida Portalba. Qui nella saletta rossa, agli inizi degli anni 60, venivano grandi scrittori come Ginzburg, Moravia, Sanguineti, Argan, Brandi, Kerouac, Pasolini. Io ero un giovane intellettuale, che alla fine delle conferenze prendeva la parola e faceva dei lunghi interventi. Iniziai così a farmi notare e a essere apprezzato da questi grandi scrittori che spesso al termine delle conferenze mi coinvolgevano nelle loro cene. Napoli è una città complessa: vitale, ma precaria, allegra e allo stesso tempo lazzarona, nella quale bisogna inventarsi un mestiere assecondando le proprie vocazioni. Io mi inventai quella di poeta sperimentale, in seguito, però, abbracciai il mondo della prosa e, infine, iniziai a occuparmi d’arte. Nel 68, poi, mi trasferii a Roma». Di nuovo, però, il destino la riporterà a Napoli, per quale motivo? «Anche questa volta è stato un ritorno professionale perché sono stato chiamato da Bassolino


Achille Bonito Oliva

La famiglia di mio padre apparteneva all’aristocrazia di campagna mentre quella di mia madre alla borghesia agraria

In apertura, il critico d’arte Achille Bonito Oliva; a sinistra, una panoramica di Caggiano, situata sull’Appennino lucano

come consulente alla Regione per le arti. Insieme abbiamo promosso una serie di mostre in tutto il territorio regionale. Con Eduardo Cicelyn e Mario Colognato abbiamo creato il museo Madre, del quale, tuttora sono vicedirettore. Inoltre, sono stato il consulente per la metropolitana di Napoli, che grazie al mio contributo e a quello degli artisti che ho selezionato è diventata una sorta di museo d’arte obbligatorio». Un lato artistico di Napoli poco valorizzato e che invece meriterebbe più attenzione? «La musica, ma non quella napoletana “anima e core”, bensì, quella elettronica. Qui, infatti, c’è una validissima scuola. A Napoli, inoltre, ci sono musei molto interessanti, oltre al Madre, merita una visita anche il Pan. A Castel Sant’Elmo e a Capo di Monte, invece, vengono spesso organizzate mostre d’arte contemporanea». Quando ritorna a Napoli, quali sono le sue tappe obbligatorie? «L’Excelsior, il mio albergo preferito, caratterizzato da un’architettura di inizio 900 molto affascinante. Grazie alla sua posizione si può ammirare Castel dell’Ovo, un antico bastione situato nel vicino borgo marinaro e in lontananza Posillipo. Appena posso, però, mi concedo volentieri una passeggiata in via Caracciolo. Qui ho abitato per alcuni anni e ogni volta che la ripercorro, mi torna alla mente un episodio di quando ero ragazzo: mentre camminavo per questa strada, sono stato attratto da una bellissima musica. Si trattava della colona sonora del film “Il terzo uomo” con Orson Welles che ho avuto poi modo di vedere da grande». Quali sono gli artisti che hanno saputo reinterpretare la vera anima di Napoli? «Dall’arte antica a quella contemporanea ci sono molti esempi che potrei citare, uno su tutti l’im-

portante quadro di Caravaggio le “Sette opere di Misericordia”, che si trova in via dei Tribunali nel cuore della città. Del 500 potrei invece ricordare un pittore francese, chiamato Monsù Desiderio, che trasferitosi a Napoli realizzò molte vedute della città. Arrivando all’epoca attuale ci sono per esempio Francesco Clemente, Nicola De Maria, Mimmo Paladino, che appartengono alla Transavanguardia, movimento da me fondato intorno ai primi anni 80. Trovo che nelle loro opere ci sia una vis comica, un’energia, una vitalità, un’iconografia tipica di questa terra, penso per esempio alla luce mediterranea che si ritrova nelle opere di De Maria, o alla figurazione arcaica di Paladino o, infine, alle forme notturne di Clemente». Qual è il rapporto, invece, con la città di Salerno? «Qui ho insegnato Storia dell’arte contemporanea per dieci anni e, inoltre, è la città di origine di mia moglie. L’aspetto che più apprezzo di Salerno è che, conoscendola poco, posso godere dei vantaggi di una bellezza di superficie. La sensazione che mi trasmette è quella di un luogo industrioso, che si caratterizza per la presenza di un popolo sagace. Non a caso alle spalle c’è la lunga tradizione della scuola medica salernitana. E poi, quando sono in queste zone, ne approfitto per assaporare il piacere di passeggiare per la costiera amalfitana: Praiano, Maiori, Cannaverde, sono mete imperdibili». Quali sono i sapori e gli odori che le vengono in mente, se pensa a questi territori? «Un piatto che amo molto sono i tubettielli con piselli. Se, però, penso alla mia terra d’origine mi torna subito alla mente la sopressata, un salame che produceva la mia famiglia, tipico di quelle zone, senza grassi e che va mangiato senza pane».

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