OSSIER EMILIA-ROMAGNA L’INTERVENTO..........................................11 Giovanni Sama Guido Carella
PRIMO PIANO IN COPERTINA.......................................14 Antonio Patuelli POLITICA ECONOMICA .....................20 Mario Guidi Ferruccio Dardanello Carlo Alberto Roncarati Federica Guidi ASSET STRATEGICI ...........................34 Roberto Luongo Giovanni Castellaneta Sergio Arzeni Gino Cocchi Alberto Vacchi Romano Volta
ECONOMIA E FINANZA CREDITO & IMPRESE ........................52 Giampiero Bergami Luigi Odorici Giulio Magagni Ilenia Sala Gianpiero Cabella COACHING..............................................70 Giovanna Giuffredi Gian Paolo Montali Simone Piperno Roberto Re CONSULENZA ......................................80 Stefano Normanni Adolfo Veneziani TECNOLOGIE.........................................90 Giorgio Solferini Sergio Fiorani INNOVAZIONE.......................................96 Michele Poggipolini Davide Macchiavelli Fabio Bastianini IMPRESA E SVILUPPO ....................102 Emanuele Orsini
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MODELLI D’IMPRESA .....................106 Bruno Conti Salvatore Filoni Matteo Brida Marco Rossi, Marcello Zanichelli e Roberto Grandi Cesare Vitelli Stefano Manfrinato Patrizia Piazzi Michela Rossi Paolo Valentini Massimiliano Vannini STRATEGIE ..........................................126 Ugo Girardi Alberto Zambianchi Andrea Molza EXPORT .................................................132 Giovanni Colonnesi Carmine Albanese Romeo Salvatori Monica Greci Carla Botti
Sommario INTERNAZIONALIZZAZIONE.........142 Simona Finelli Giorgio Lusardi Fabio Binacchi DONNE E IMPRESA .........................148 Silva Bernardoni Salomoni
RINNOVABILI ......................................170 Alberto Mazzoni
SANITÀ
ECOLOGIA INDUSTRIALE ...............172 Fabio Fazzini
CORSIE D’ECCELLENZA.................214 Isabella Seragnoli Francesco Ripa Di Meana
IMPRESA E AMBIENTE....................174 Antonio Balzani
LAVORO E FORMAZIONE ...............152 Andrea De Spirt Paolo Bonaretti Elisabetta D’Alessandro Salvatore Grillo
GESTIONE RIFIUTI.............................178 Gilberto Gherardi Fabio Colla
IL MERCATO DELL’ENERGIA........160 Giovanna e Cristiana Fantozzi
TERRITORIO
AMBIENTE
INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI ......................184 Paolo Buzzetti Massimo Rustico Marco Sangiorgio
POLITICHE ENERGETICHE ............162 Simone Togni Agostino Re Rebaudengo Costantino Calzoni e Michele Cattani
DERMATOLOGIA ONCOLOGICA ......................................218 Mariarosa Chiarantano
RUBRICHE TRA PARENTESI ...............................220 Massimiliano Dona
EDILIZIA ................................................194 Danilo Coronelli MATERIALI ...........................................198 Fausto Cocchi LOGISTICA ..........................................200 Claudio Villa e Vania Dordoni TURISMO .............................................206 Renzo Iorio Alessandro Giorgetti
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L’INTERVENTO
Il sistema locale di fronte alla crisi di Giovanni Sama, presidente della Compagnia delle Opere Bologna
l tessuto industriale dell’EmiliaRomagna è costituito principalmente di aziende medie e piccole: in questo periodo perdurante di grave crisi, è un limite cui siamo condannati o un’opportunità per ripartire? Tanti imprenditori hanno rischiato in questi anni di rimanere soli di fronte alla crisi, a volte chiusi in difesa di una posizione oramai non più difendibile, a volte spaventati dalle condizioni che cambiano continuamente. Ma, a osservare bene tante altre nostre pmi, sorprende la capacità che mostrano nell’affrontare con coraggio proprio i fronti più critici - ricerca e sviluppo di prodotti innovativi, nuovi mercati, processi operativi più efficienti - senza farsi scoraggiare dalle oggettive difficoltà, al punto che tante si stanno meritando il termine di “multinazionali tascabili”. Qual è allora il tratto distintivo di quegli imprenditori e manager che hanno affrontato e stanno affrontando in questo modo la crisi? Certamente la capacità di creare un
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network di relazioni con altre persone e aziende, frutto della scelta di investire tempo ed energie “al di fuori dei cancelli” della propria impresa. Non mi riferisco solo all’aspetto commerciale, per certi versi scontato, ma anche al sistema di relazioni con potenziali partner, associazioni, consulenti. Chiediamoci: qual è il vero valore delle relazioni che cerchiamo di sviluppare tutti i giorni? A pensarci bene, costituiscono una delle fonti privilegiate di “conoscenza”: conoscenza di come cambia il mercato, di come cambiano i clienti e i concorrenti. Conoscenza di quelle trasformazioni organizzative rispetto alle quali rimanere indietro significa oggi trovarsi rapidamente fuori gioco. Si pensi, ad esempio, a quanto siano critiche rispetto al passato le competenze necessarie a una rigorosa gestione finanziaria oppure quelle necessarie ad aumentare l’efficienza dei processi operativi. O ancora alle competenze necessarie a fare rete, dove la rete è lo strumento a volte indispensabile per superare i limiti di una sin-
gola organizzazione. Aspetti che in altri tempi si potevano forse trascurare, oggi diventano vitali. Per questo la Compagnia delle Opere dedica molte energie a promuovere l’incontro tra persone e imprenditori, non solo per favorire la ricerca di clienti, ma anche per offrire alle persone l’opportunità di vedere e conoscere le trasformazioni che le circondano, per meglio comprenderle e adeguarsi a esse. Per capire, ad esempio, come altri sono riusciti a internazionalizzare il proprio mercato senza grandi investimenti, magari al traino di clienti importanti. O come sono riusciti a rimettere in discussione il proprio prodotto o servizio fornito, oppure come hanno individuato nuove fonti di finanziamento per i propri progetti di sviluppo, anche utilizzando strumenti a disposizione in passato sconosciuti o snobbati. Ecco il suggerimento che possiamo cogliere osservando le aziende che sono più avanti: mai svolgere “da soli” il mestiere di manager o imprenditore. EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 11
L’INTERVENTO
Temporary manager: la lezione inglese di Guido Carella, presidente Manageritalia
mprese e istituzioni chiedono ai manager di contribuire a portare nel Paese innovazione, confronto con l’estero e quindi produttività e competitività. Giusto e sacrosanto. Ci vuole però anche un ambiente socio-economico che lo permetta. Nel Pubblico, slegando l’indirizzo della politica dalla gestione dei manager che, scelti per merito e valutati sui risultati, non devono dipendere da questa e guardare solo all’interesse comune. Nel privato è invece indubbia la carenza di manager, ma ancora piuttosto labile è poi la volontà di utilizzarli veramente. Così ci si nasconde dietro al costo, che stereotipando pochi eclatanti casi, si ritiene a torto eccessivo, e alla flessibilità, che conoscendo poco le realtà contrattuali si ritiene scarsa, mentre invece c’è eccome. Tra le tante ipotesi per aumentare la managerialità è oggi in voga il temporary manager. E qui l’anglismo ci mette del suo. Questa figura nasce in Uk e nel Nord Europa, dove chi finanzia le aziende vuole business plan seri e competenze capaci di implementarli. È un manager con forte competenza nella ristrutturazione di aziende e nello sviluppo di particolari mercati e azioni. L’azienda ne ha bisogno per cogliere opportunità sul mercato o ristrutturare. Ottenuti tali risultati, quel manager, che nel frattempo avrà sistemato e implementato le cose, spesso non ha più tanto da dare. Così può passare ad altre sfide. Al tempo stesso l’azienda si ritrova pronta a camminare con le sue gambe. Prerogativa del temporary manager è però una piena condivisione di intenti con la proprietà dell’azienda e, soprattutto, deleghe e poteri chiari per affrontare la difficile sfida e cogliere gli obiettivi. Ora, questa figura magica e salvifica è contrattualmente presente in Italia da decenni – oggi nel contratto dei dirigenti del terziario ha anche un articolo ad hoc – quello che manca è una vera domanda di manager di questo
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tipo, con questo ruolo e responsabilità. In Europa l’80 per cento delle imprese sono familiari. E l’Italia è il Paese con il più alto numero di Ceo appartenenti proprio alla famiglia titolare dell’azienda (84 per cento contro il 70 dell’Uk e il 62 della Francia) e soprattutto il management composto unicamente da familiari (66 per cento contro 35 in Spagna, 28 in Germania, 26 in Francia e 10 in Uk, dati Efige 2012). Allora ben venga il temporary manager, ma nell’accezione anglosassone, con deleghe, poteri e libertà di agire reali. E non in quella italica, dove spesso è un consulente “messo in naftalina”, un consigliere sporadico spesso non ascoltato. Ma soprattutto ben venga il tempo dei manager, che entrino nelle tante aziende che ne sono prive per affiancare, anche a tempo, l’imprenditore e i suoi familiari. E instillare in quell’azienda competenza e capacità di gestione manageriale. Solo da una forte sinergia tra imprenditori e manager troveremo la spinta per migliorare innovazione, produttività, competitività e organizzazione delle tante e virtuose Pmi che ci possono ridare crescita e sviluppo. EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 13
IN COPERTINA
RESPONSABILITÀ E CONFRONTO, LA VIA ETICA PER LA RIPRESA In un quadro caratterizzato dall’incertezza e dall’entrata in vigore di norme che cambieranno il modo di fare banca, l’Abi volta pagina con la presidenza di Antonio Patuelli. L’unione bancaria europea e il sostegno alla crescita del Paese sono le sfide prioritarie per il prossimo futuro Francesca Druidi
rediamo e operiamo per banche assolutamente indipendenti, distanti e distinte dalla politica e da ogni rischio di interferenze e di interessi in conflitto». Con questa dichiarazione di intenti, Antonio Patuelli ha assunto la presidenza dell’Associazione bancaria italiana il 31 gennaio scorso, in seguito alle dimissioni di Giuseppe Mussari dovute allo scandalo che ha travolto Monte dei Paschi di Siena. Imprenditore agricolo, giornalista e banchiere (presidente della Cassa di risparmio di Ravenna), nominato cavaliere del lavoro nel 2009, Antonio Patuelli è
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stato eletto per acclamazione dal comitato esecutivo dell’associazione bancaria. Ne prende la guida in un momento delicatissimo per l’Italia, in cui la parola incertezza domina a livello economico, istituzionale e sociale. Nelle sue prime dichiarazioni ufficiali, il neo presidente ha voluto rassicurare sulla solidità delle banche italiane, sottolineando come l’affaire Mps rappresenti un caso isolato nel complessivo e variegato mondo bancario nazionale, costituito da quasi 700 realtà. Che, ha aggiunto Patuelli, hanno saputo affrontare la congiuntura economica negativa meglio di istituti di credito di altri paesi europei, con o
senza l’euro. Il numero uno dell’Abi sollecita però una ripresa maggiormente rivolta all’etica e al diritto. «Abbiamo forte consapevolezza della gravità dei problemi nei quali operano in Italia famiglie e imprese – ha sottolineato – occorre avere sempre responsabilità sociale. Occorre sviluppare un circuito virtuoso di solidità delle banche e di sensibilità sociali anche attraverso i milioni di azionisti delle banche italiane, nelle diverse forme societarie, in mutualità, cooperazione e che nelle Spa permettono impegni sociali diretti e indiretti tramite le fondazioni». Il rilancio della produttività, il recupero del Pil e dell’occupazione,
Antonio Patuelli
Antonio Patuelli, presidente dell’Associazione bancaria italiana
la tutela del risparmio e la stabilità finanziaria, identificano obiettivi prioritari per l’Abi, che invoca però semplificazioni normative e burocratiche per migliorare l’accesso al credito e garantire alle banche condizioni competitive con quelle registrate in Europa. Nelle direttrici del programma per il prossimo biennio, emerge innanzitutto la forte volontà di riaffermare la centralità del ruolo degli istituti di credito italiani a supporto delle imprese e delle famiglie. «L’attenzione – ha ribadito il presidente – deve essere innanzitutto rivolta alle decine di milioni di risparmiatori, dei quali gran parte è azionista diretta o in-
diretta delle banche, alle centinaia di migliaia di bancari e alle loro rappresentanze». Uno dei primi passaggi del neo presidente è stato quello di richiamare i top manager e i dirigenti delle banche italiane ad aderire tempestivamente al Fondo nazionale per il sostegno dell’occupazione nel settore del credito (Foc), con il versamento del 4 per cento della retribuzione fissa netta, dopo aver registrato un contributo insufficiente rispetto alle attese. L’azione dell’Abi si proietta sul fronte internazionale, così come su quello domestico, con la consapevolezza dell’esistenza di due fattori - il peggioramento della repu-
tazione delle banche e l’instabilità del quadro economico - pronti a incidere con effetti di portata imprevedibile. Fuori dai confini nazionali, l’Abi intensificherà la rappresentanza dei suoi associati nelle sedi istituzionali europee, con l’obiettivo di presidiare le normative di prossima adozione e sostenere la formazione dell’Unione bancaria, accentrando le funzioni di vigilanza presso la Banca centrale europea. Punto cruciale indicato da Antonio Patuelli è proprio la realizzazione di «un vero mercato unico bancario, attraverso la messa a punto di una serie di regole non più solo armonizzate fra legislazioni nazionali, ma final- EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 15
IN COPERTINA
L’Abi sosterrà la formazione dell’Unione bancaria, con l’accentramento delle funzioni di vigilanza presso la Banca centrale europea
mente definite e anche “gestite” in
forma del tutto unificata (normativa di vigilanza, fondo per la gestione delle crisi bancarie, fondo di tutela dei depositanti)». In uno scenario che, almeno fino al 2014, si prevede turbolento e critico, l’associazione sarà sul fronte interno impegnata soprattutto a sostenere la ripresa economica. Qualsiasi orizzonte di crescita passa, secondo l’Abi, dal contributo al potenziamento infrastrutturale del Paese e in particolar modo dal ribilanciamento della pressione fiscale, da attuare tramite una riduzione della spesa pubblica mirata più a eliminare inefficienze che non a tagliare in modo indiscriminato. Le linee guida tracciate dalla presidenza Patuelli si dimostrano in continuità con il precedente programma per quanto riguarda il confronto con imprese e consumatori, ma rilevano anche la volontà di attuare un deciso cambiamento di passo
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A destra, la sede della Banca Centrale europea a Francoforte
sul versante della comunicazione, ribattendo colpo su colpo a quella che viene definita una vera e propria “offensiva su media, tv e stampa” per recuperare credibilità e reputazione. Una sfida che riguarderà anche l’arena digitale rappresentata dai social network. L’Abi punta a una comunicazione
il più possibile chiara ed efficace, per ricostruire, come si evince dalle linee programmatiche, “un’immagine di banche che in concorrenza fra loro nella diversità dimensionale, di forma giuridica e di assetti prioritari, costituiscono un elemento di solidità dell’Italia, un sostegno stabile alle
Antonio Patuelli
imprese e alle famiglie e un partner affidabile alla pubblica amministrazione”. Tassello fondamentale sarà il dialogo con le forze istituzionali e politiche, teso a individuare “soluzioni che, anche attraverso la rimozione delle numerose penalizzazioni cui oggi sono soggette le banche italiane, possano liberare risorse per l’erogazione del credito e il finanziamento della crescita”. Tra i principali temi strategici che le banche saranno chiamate ad affrontare, spiccano il rafforzamento del presidio della regolamentazione internazionale e comunitaria, in particolare il recepimento di Basilea 3, la riforma fiscale e l’agenda digitale delle imprese bancarie. Collaborazione sarà la parola d’ordine nei rapporti con le associazioni imprenditoriali. «L’Abi consoliderà lo sforzo finora intrapreso e che ha consentito di affermare l’idea che le imprese bancarie e le imprese produttive non si muovono su fronti contrapposti, ma perseguono interessi comuni, per cui il buon andamento dell’attività delle prime riverbera i suoi effetti sulle seconde e viceversa». Proseguirà anche il confronto con i consumatori, “valorizzando la convergenza di interessi sperimentata con successo nell’iniziativa Trasparenza semplice”. Sarà, infine, necessario avviare una profonda discussione a proposito delle relazioni industriali, andando a individuare soluzioni mirate al recupero della produttività. EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 17
POLITICA ECONOMICA
Sostenere il made in Italy agricolo Favorire l’export attraverso l’aggregazione delle imprese agricole e la promozione dei prodotti. Adoperandosi per politiche di settore sempre più condivise a livello nazionale. L’opinione di Mario Guidi, presidente di Confagricoltura Francesca Druidi
rande slancio per l’export agroalimentare che, nel 2012, ha mostrato una crescita del 5,4 per cento. Le imprese del settore guardano, infatti, oltre confine per bilanciare la contrazione dei consumi interni. Mario Guidi, presidente di Confagricoltura, delinea gli orizzonti di sviluppo per il comparto sul fronte dell’internazionalizzazione. Quali sono i mercati e le prospettive per il commercio estero nell’agroalimentare? «Le esportazioni del settore sono quelle che hanno registrato la performance migliore tra i vari comparti. L’agroalimentare pesa per quasi il 10 per cento sull’export nazionale complessivo. Con i suoi quasi 30 miliardi di valore aggiunto, l’agricoltura italiana primeggia in Europa. Il potenziale di questo settore nel mondo è, dunque, enorme: siamo primi per olio, vino e ortofrutta. Se, come credo, gli stili di consumo che ricalcano la dieta mediterranea prenderanno sempre più piede, per le nostre produzioni si aprono frontiere immense. I mercati mondiali in espansione sono soprattutto quelli dei cosiddetti Brics
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Da sinistra, Mario Guidi insieme al coordinatore degli assessori regionali all’Agricoltura, Dario Stefàno, e alla chef tedesca Sarah Wiener durante un evento organizzato a Berlino da Confagricoltura e Camera di Commercio italiana per la Germania
(Russia, Brasile, Cina e India). Secondo Nomisma, il reddito pro-capite tra il 2010 e il 2015 in Russia e Cina praticamente raddoppierà, mentre in India aumenterà di oltre il 70 per cento. Per la Cina, oltre alla crescita dei consumi di carne, vino e ortofrutta, si prevede che entro il 2017 più di 60 milioni di persone disporranno di oltre 30mila dollari di potere d’acquisto. Non va, comunque, trascurata l’importanza anche dei mercati tradizionali al-
l’interno dell’Unione europea, tra i quali il primo è la Germania, che sono altamente recettivi per il nostro Paese e dove non dobbiamo perdere quote, ma anzi coglierne tutte le opportunità». Quali strategie stanno attuando le imprese? «La bilancia commerciale è migliorata e siamo di nuovo sotto gli otto miliardi di euro di sbilancio import/export, come non accadeva dal 2009. Le nostre imprese stanno pun-
Mario Guidi
tando fortemente sull’export, una strada obbligata a fronte della diminuzione dei consumi interni. È questa la strategia per recuperare valore. Ad esempio, i dati sulle esportazioni ci dicono che il futuro del vino italiano è sempre più fuori dei confini nazionali. Questo significa che non è più il tempo dei vini “a chilometri zero”, ma di etichette che abbiano il giusto posizionamento sugli scaffali della distribuzione internazionale». Come muoversi in generale? «Occorre proiettarsi in una dimensione più globale, trasformando in opportunità ciò che altri spesso vedono come rischio. Per fare questo, è necessario accrescere i momenti di relazione “business oriented” con gli operatori esteri per consolidare le quote di mercato acquisite e per conquistarne di nuove. Poi serve mettersi in rete, per aumentare la propria capacità competitiva in termini di volumi, di servizi e di capacità di promozione. Confagricoltura sta lavorando su
nuove forme di contratti di rete, che danno la possibilità di candidarsi anche in progetti di promozione internazionale. Certamente, sono necessarie adeguate politiche di accompagnamento e la nostra organizzazione è quotidianamente impegnata in tal senso». Le imprese agricole stanno accentuando il processo di integrazione e di internazionalizzazione per compensare con l’export la flessione del mercato nazionale. Come sta andando? «I loro sforzi stanno dando buoni frutti e, quest’anno, le premesse di rafforzarci sono buone. È un fenomeno inevitabile e auspicabile per tutti. All’intensificazione delle attività di internazionalizzazione corrisponde, infatti, un maggiore interscambio, più investimenti diretti in una direzione e nell’altra e, in ultima analisi, una maggiore crescita economica complessiva. A volte, però, rileviamo comportamenti poco coerenti da parte delle
istituzioni, come ad esempio è accaduto con il recente provvedimento per favorire la costituzione dei consorzi per l’internazionalizzazione che ha, di fatto, escluso le imprese agricole e di buona parte dell’agroalimentare. È un non senso che Confagricoltura insisterà per far correggere». In che modo l’associazione supporta e sostiene lo slancio oltre confine delle realtà del settore? «Confagricoltura è punto di riferimento per gli operatori esteri che intendono venire in contatto con le imprese agricole. Sviluppiamo specifici progetti per favorire la promozione all’export dei prodotti agricoli e agroalimentari italiani, per supportare gli imprenditori agricoli che intendono fare investimenti diretti all’estero e per offrire servizi connessi e assistenza alle imprese. Organizziamo incontri diretti di affari programmati tra aziende italiane e buyer esteri, missioni di incoming di importatori e decisori di acquisto esteri nelle aziende agricole italiane e missioni di imprenditori italiani interessati agli investimenti diretti all’estero, in particolare nei mercati emergenti». In vista della formazione del EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 21
POLITICA ECONOMICA
Confagricoltura sviluppa specifici progetti per favorire la promozione all’export dei prodotti agricoli e agroalimentari italiani
nuovo governo, ha proposto un rettamente le risorse sui fattori stra- sorse pubbliche e i fondi europei hub per lo sviluppo dell’agroalimentare piuttosto che un tradizionale ministero. «Lo abbiamo detto al nostro incontro di Agrinetwork. Ci vuole maggiore considerazione per il settore agricolo nel suo complesso che vale il 17 per cento del Pil nazionale con quel che c’è a monte e a valle del processo produttivo. Il “modello ministero”, come luogo in cui regolare la redistribuzione di risorse, non serve più. Occorrono dicasteri con una funzione diversa e nuova, che facciano da snodo permettendo di condividere le conoscenze, favorire la collaborazione tra imprese, coordinare i progetti territoriali, allocare cor22 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2013
tegici, tagliare drasticamente la burocrazia. Le Regioni devono essere al servizio di questa strategia di maggiore efficienza. Anche se le realtà sono diverse, non possiamo più permetterci politiche agroalimentari non coordinate». Quali sono le priorità su cui occorre lavorare? «La creazione del valore si va spostando dai prodotti ai processi e l’obiettivo è quello di creare un settore agroalimentare che faccia network, che avvii contratti di rete, occasioni di crescita, come sistema integrato. È intorno al concetto di sviluppo che ruota il rilancio del settore e la ripresa del Paese. Le ri-
vanno canalizzati e non dispersi. Confagricoltura propone 25 grandi progetti territoriali, uno o due per regione, di rilevante impatto, che integrino attori di comparti diversi, determinando lo sviluppo di un’offerta complessiva e innovativa, oltre a opportunità di internazionalizzazione. Ad esempio, il Mezzogiorno può ripartire proprio grazie al settore agroalimentare. E occorre dare alle pmi un percorso rapido di evoluzione. È un problema di strumenti, tra i quali abbiamo indicato nuove regole per la successione, incentivi per le strutture societarie, anche miste, facilitazioni per l’aggregazione».
Ferruccio Dardanello
Promuovere il marchio Italia Superare l’approccio localistico che fino a ieri animava le strategie di penetrazione nei mercati internazionali per affacciarsi sulla scena estera con un piano di attività congiunto all’insegna del made in Italy. L’analisi di Ferruccio Dardanello Giacomo Govoni
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uando si siede ai tavoli istituzionali o in occasione degli incontri pubblici in cui è chiamato a intervenire, Ferruccio Dardanello non perde occasione per ricordarlo: dopo Coca Cola e Visa, «il made in Italy oggi è il terzo brand più conosciuto al mondo». Su questo fattore chiave, secondo il presidente di Unioncamere, è ora di scommettere senza indugi, per dare nuovo impulso al commercio internazionale delle nostre imprese e promuovere il marchio Italia nel mondo. «Finora il Paese degli 8.000 campanili – osserva Dardanello – ha sempre promosso il feudo locale, le tipicità dei territori, pensando che giacché i mercati internazionali chiedevano prodotti tipici locali la loro promozione andasse fatta ciascuno per conto proprio. Noi invece, ormai da quattro anni, stiamo lavorando per far sì che, rispettando le tipicità e le produzioni dei mille luoghi d’Italia, le azioni per incrementare
la penetrazione dei nostri marchi all’estero vengano fatte congiuntamente, evitando una sterile competizione tra realtà che invece sono complementari». Attraverso quali iniziative il sistema camerale si sta impegnando sul fronte della promozione congiunta del made in Italy? «Attraverso una strada semplice che si è rivelata vincente: una Camera di commercio specializzata su un determinato paese estero o su un determinato comparto produttivo svolge il ruolo di capofila per tutto il sistema nazionale, promuovendo - anche per conto delle altre Camere - le imprese di quei distretti, di quelle filiere, i loro consorzi e le varie organizzazioni di categoria. A dimostrazione che, se si lavora bene, c’è spazio per tutti». La promozione è uno degli asset che compone la strategia nazionale per l’internazionalizzazione, di cui avete avviato la cabina di regia alcuni mesi fa.
Sulla base di quali sinergie si è snodata? «Fino a ieri era mancata anche la più semplice condivisione delle iniziative e delle strategie del sistema pubblico e privato. Il sistema camerale, lo dico con una punta di orgoglio, era uno dei pochissimi soggetti nazionali a programmare assieme alle imprese e attivare per tempo gli strumenti e le iniziative per promuovere le aziende all’estero, assieme agli altri attori locali, dalle fiere alle missioni, dalla formazione all’incoming. Ma non poteva certo essere sufficiente. Oggi con le novità introdotte, quali la nuova agenzia Ice, la cabina di regia e soprattutto lo spirito nuovo che anima tutti gli attori del made in Italy, abbiamo gli strumenti per un coordinamento fattivo e concreto». Quali i passi mossi finora a livello operativo? «Un primo obiettivo è già stato raggiunto: Camere di commercio e Ice, a cui presto si uniranno anche le as- EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 23
POLITICA ECONOMICA
+2,8% LA CRESCITA DELLE ESPORTAZIONI REGISTRATA DAL SISTEMA IMPRENDITORIALE ITALIANO SULLA BASE DEGLI ORDINATIVI NEL 2012
sociazioni e le Regioni, hanno scritto esempio, per garantire una migliore graduatorie nazionali dell’export. un piano di attività congiunto, allo scopo di evitare sovrapposizioni e rendere più efficiente l’intervento pubblico. Ma questo non basta: occorre arrivare a una messa in comune di risorse e di mezzi, non solo in termini di iniziative all’estero, ma a tutto tondo: penso al tema delle fiere internazionali, agli strumenti finanziari, alla formazione, al Mezzogiorno, al consolidamento di chi esporta solo saltuariamente all’estero, alle 70mila nuove potenziali imprese esportatrici che ancora sono restie a varcare i confini nazionali. È questo il lavoro che dovremo fare con il nuovo governo che si appresta a guidare il Paese». Il governo, appunto. In termini di politiche di rilancio del sistema produttivo italiano all’estero, quali azioni prioritarie chiederete al prossimo esecutivo? «Certamente serve un’azione più coordinata fra i vari attori. Ad
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presenza nelle manifestazioni fieristiche internazionali, anche attraverso i contratti di rete. Serve un raccordo più efficace del mondo del credito con le pmi, rafforzando e rendendo più efficienti i confidi. Occorre una formazione più qualificata, a partire dalle scuole e dalle università, per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro incoraggiando l’inserimento di giovani qualificati, anche con appositi incentivi, nelle professioni più innovative, dal marketing internazionale alle nuove tecnologie, più difficili da trovare nelle imprese di piccole dimensioni. E serve, infine, un piano concordato con le regioni del Sud che già ora, in molti casi, grazie al made in Italy sta riuscendo ad affermarsi su tanti mercati esteri». Un piano, quest’ultimo, che ridurrebbe il gap con le regioni settentrionali, ancora in cima alle
Come il Piemonte, che nel 2012 ha ammortizzato la paralisi del mercato interno puntando sull’internazionalizzazione. È così? «In base alla fotografia sullo sviluppo del commercio piemontese all’estero scattata in chiusura del terzo trimestre 2012, il sistema produttivo regionale ha consolidato il quarto posto nazionale in termini di beni e servizi esportati, con una quota del 10,1 per cento sulle esportazioni complessive italiane. Una buona tenuta che si riflette anche nel valore dell’export piemontese realizzato fino a settembre, quantificabile in 29,4 miliardi di euro e in una crescita del 3,4 per cento, inferiore solo dello 0,1 per cento rispetto alla media nazionale. A dimostrazione che, in un contesto così fragile, le imprese piemontesi cercano di resistere alla crisi rafforzando le loro posizioni sulla scena internazionale».
POLITICA ECONOMICA
L’ora della ripresa si allontana Produzione in calo, tessuto imprenditoriale che perde addetti e ferite del sisma non ancora sanate. Cambiano i vertici di molte istituzioni della regione. Per l’economia emiliano-romagnola il 2013 sarà un altro anno di incertezza Giacomo Govoni
o “sciame sismico” della crisi tiene sulla corda il sistema economico regionale. Secondo il quadro più recente dipinto da Unioncamere Emilia Romagna, i tempi per una schiarita all’orizzonte dell’economia non sono ancora maturi, per via di un 2012 che ha lasciato in eredità una serie di indicatori velati dalle nubi della recessione. Primo su tutti il Pil, scivolato del 2,6 per cento rispetto al 2011 e che nell’anno in corso minaccia di inabissarsi ai livelli minimi toccati al culmine della crisi nel 2009. In base alla diagnosi formulata dal centro studi camerale, il ritorno a una stagione di ripresa della produttività resta un miraggio, che la contrazione dei consumi del 3,3 per cento stimata per quest’anno non contribuisce a fugare. Per non parlare dell’ultima indagine definitiva, aggiornata al terzo trimestre 2012, in cui la produzione dell’industria emiliano-romagnola registra una flessione del 4,7 per cento rispetto all’analogo periodo del 2011 e del 3,6 per cento in rapporto al trimestre precedente. In un anno di complessivo arretramento, contraddistinto da una dinamica degli ordinativi interni stimata in calo di un ulteriore 3,7 per cento, a farne le spese
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è stata la consistenza del tessuto industriale, allentata da un tasso di imprese attive sceso tendenzialmente dell’1,1 per cento e da un comparto manifatturiero entrato in una spirale recessiva. Un’erosione che il presidente di Confindustria Emilia Romagna, Maurizio Marchesini, imputa principalmente alla morsa fiscale da cui le imprese territoriali hanno assoluta necessità di liberarsi: «È ora di procedere all’eliminazione progressiva del costo del lavoro dalla base imponibile Irap – sottolinea Marchesini – tagliando di 11 punti gli oneri sociali che gravano sulle imprese manifatturiere. Sul fronte dell’energia, invece, è necessario ridurre del 30 per cento le componenti parafiscali della bolletta
per le imprese manifatturiere. E infine, premiare con sgravi chi impiega manodopera». OCCUPAZIONE IN CADUTA LIBERA «Serve subito un patto per gli investimenti per il rilancio della manifattura» rimarcava nei mesi scorsi il presidente regionale degli industriali, in relazione al traguardo di 1,8 milioni di posti di lavoro in più che Confindustria nazionale conta di tagliare entro il 2018. Una sferzata lanciata all’indomani di un trimestre, il primo del 2012, che in Emilia Romagna aveva toccato il picco di disoccupazione più basso dell’ultimo ventennio, con una quota del 7,3 per cento. Nella seconda metà dell’anno la si-
Il quadro regionale
LE NUOVE GENERAZIONI ARRANCANO Foto Elisabetta Baracchi
Nel saldo delle imprese scomparse in Emilia Romagna nel 2012 spiccano le realtà guidate dai giovani, in significativa flessione. Elena Salda analizza il fenomeno nel Modenese adono sotto le bordate della recessione, al ritmo di quasi 200 al mese. Nel panorama economico emiliano-romagnolo, a scontare le maggiori perdite è la compagine delle imprese giovanili. Ben 2.334, secondo il centro studi regionale di Unioncamere, quelle sparite nel 2012, di cui la metà concentrate nel settore delle costruzioni. «In Italia – osserva Elena Salda (nella foto), presidente dei giovani imprenditori di Confindustria Modena – manca una politica industriale che investa nel valore dell’impresa e nei giovani. Il senso di incertezza in cui vivono le nuove generazioni non può di certo favorire la crescita».
C tuazione non è migliorata di molto e i dati del 2012 divulgati di recente da Istat, consegnano alla regione un tasso di disoccupazione del 7,1 per cento. Più basso della quota nazionale fissata a 10,7 punti percentuali, ma pur sempre tra i valori più alti registrati dal 1995 a oggi. In questo caso, tuttavia, non vanno dimenticati gli effetti del terremoto, che stanno ancora pesando su quei comuni situati nelle province di Modena, Ferrara, Reggio Emilia e Bologna, nei quali si concentra oltre il 30 per cento del totale delle assunzioni in regione. In ogni caso, il tasso del 2,8 per cento registrato nel 2007, di questi tempi sembra solo un lontano ricordo. LA NOTA LIETA: L’EXPORT Per trovare uno sprazzo di luce in un panorama che non promette ripartenze a breve termine, occorre volgere lo sguardo oltre i confini nazionali. Di segno positivo, infatti, sono gli indici di esportazioni generati dal sistema produttivo regionale fino a settembre 2012, con un volume di scambi pari a 37 miliardi di euro, in crescita del 3,4 per cento rispetto all’analoga congiuntura del 2011. Un incremento moderato, che riguarda principalmente le industrie meccani-
Qual è il quadro modenese in questo senso?
«Anche a Modena le imprese giovanili subiscono più delle altre le difficoltà del fare impresa. E gli imprenditori giovani, nella maggior parte dei casi preparati, soffrono più drammaticamente i problemi di cui è afflitto tutto il mondo imprenditoriale: un’eccessiva burocrazia, i mancati pagamenti da parte della Pa, l’enorme peso fiscale sulle aziende e sui lavoratori. Senza dimenticare la difficoltà d’accesso al credito: ai giovani imprenditori viene sempre richiesta una serie di garanzie supplementari». Con quali strumenti state contrastando gli ostacoli al rilancio industriale locale?
«In linea con la nostra mission, stiamo investendo sui giovani attraverso percorsi formativi di alto profilo su tematiche manageriali, economiche e finanziarie, come l’innovazione e l’energia. Da quest’anno, in particolare, stiamo lavorando alla creazione del club Modena Eagle investors che avrà l’obiettivo di selezionare e, speriamo, di finanziare nuove start-up». In quali settori lo scenario industriale
modenese lascia intravedere gli orizzonti migliori per i giovani?
«L’ambito dove si riscontra maggior fermento e un numero rilevante di start-up è quello dell’It, settore che continua a dare prospettive di crescita e sviluppo. Importante per il nostro territorio è anche il comparto del biomedicale e del farmaceutico, in cui operano anche giovani aziende spesso nate come spin-off universitari. Sicuramente più in affanno settori come la meccanica, la ceramica e l’alimentare. Qualche segnale positivo giunge dal tessile-abbigliamento e in generale dalle aziende internazionalizzate e con forte vocazione all’export, all’interno delle quali sono soprattutto i giovani a seguire i mercati esteri». Il vostro gruppo si è speso molto a sostegno di iniziative post sisma. Quali progetti vi hanno visti protagonisti e che frutti hanno dato?
«Subito dopo le terribili scosse, il gruppo giovani di Modena si è attivato per dare supporto agli amici e colleghi terremotati. Dapprima con aiuti per far fronte alle necessità urgenti, poi aprendo un forum nel quale far convergere richieste e offerte di aiuto che in quei giorni arrivavano da tutt’Italia. In estate, grazie alla collaborazione di tutti i gruppi provinciali degli under 40 della regione, abbiamo effettuato una maratona televisiva per raccogliere fondi destinati all’acquisto di materiale didattico per quattro scuole colpite. In seguito, il gruppo modenese ha selezionato un progetto di pubblica utilità da sostenere grazie al contributo economico di Confindustria Modena, insieme alle aziende associate, e dal Club dei 15 dell’associazione degli industriali: un progetto innovativo di co-housing, che a San Felice sul Panaro vedrà realizzarsi una casa per anziani parzialmente autosufficienti». - GG
EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 27
POLITICA ECONOMICA
IL MERCATO DEL LAVORO Previsione per l’Emilia Romagna e l’Italia. Tassi di variazione percentuali su valori concatenati, anno di riferimento 2000 FORZE DI LAVORO
OCCUPATI
Emilia-Romagna
Emilia-Romagna
Italia
Italia
2012
2,4 1,8
0
1,2
2012 0,6
2012
2013
-0,6
2013 0
-1,2
2013
Fonte: Unioncamere E.R. - Prometeia, scenario economico provinciale, dicembre 2012
che, elettriche e mezzi di trasporto
(+5,7 per cento), ma esclude comparti importanti come quello alimentare, in discesa, e l’industria del legno, stazionaria rispetto allo stesso periodo del 2011. Per quanto si mantenga al di sopra dell’andamento nazionale, attestato al +1,8 per cento, la crescita dell’export regionale risulta tuttavia meno elevata rispetto agli andamenti del 2011, e anzi, è in calo negli ultimi mesi del 2012 a causa dei contraccolpi del rallentamento degli scambi mondiali. Un invito a frenare gli entusiasmi peraltro, giunge dagli ordinativi esteri registrati in questi mesi, rimasti al di sotto del livello delle esportazioni correnti. Non a caso, «tra le attività prioritarie e urgenti nel nostro piano strategico – osserva il prossimo presidente della Camera di commercio di Bologna Giorgio Tabellini – vi è il supporto all’internazionalizzazione delle imprese, che tenga conto dell’evoluzione globale che hanno avuto i mercati di riferimento per il tessuto produttivo bolognese. Oltre alla formazione a favore degli imprenditori interessati ai mercati esteri, bisogna convogliare le risorse economiche provenienti da banche e istituzioni nazionali e comunitarie verso le aziende che puntano sull’export».
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CAMBI DI POLTRONA E oltre a quello con l’economia, il capoluogo emiliano si prepara anche a un altro cruciale appuntamento: il rinnovo dei vertici di alcune importanti istituzioni cittadine che avrà una ricaduta sulle future strategie economiche bolognesi e, di conseguenza, sull’intero sistema produttivo regionale. Uno dei volti è appunto Giorgio Tabellini, ex presidente degli artigiani bo-
lognesi che si appresta a diventare numero uno dell’ente camerale. Contestualmente al passaggio di consegne alla Mercanzia con l’uscita di Bruno Filetti, ci sarà il cambio al vertice di altri importanti organi, quali Ascom, che rinnoverà la guida entro il 30 giugno, la Fondazione Carisbo e l’Interporto, da circa quarant’anni hub nevralgico per lo sviluppo economico e la competitività del territorio.
POLITICA ECONOMICA
Insieme per ricreare lavoro e fiducia Il volto dell’economia emiliano-romagnola porta i segni della difficile fase che sta attraversando. Carlo Alberto Roncarati analizza i contorni di un momento che sta pregiudicando soprattutto la tenuta delle piccole imprese Giacomo Govoni
er descrivere in maniera sintetica la stagione economica che l’Emilia Romagna sta cercando di mettersi alle spalle, qualcuno ha anche parlato di “terremoto industriale”. Una definizione calzante, perché traduce sia la paralisi produttiva generata dal sisma nei territori ad altissima densità imprenditoriale compresi nell’area del cratere, sia la scossa subita l’anno scorso dal valore aggiunto del settore industriale emiliano-
P
romagnolo, sceso del 6,6 per cento e in ribasso di un ulteriore uno per cento nel 2013. «Il 2012 – osserva Carlo Alberto Roncarati, presidente regionale di Unioncamere – è stato un anno difficile per l’economia della regione, stretta tra la crisi internazionale e il terremoto. Il comparto manifatturiero è entrato in una spirale recessiva che ha interessato produzione, fatturato e ordini per l’industria in senso stretto». Gli indicatori sull’andamento
produttivo regionale riportano quasi tutti il segno meno. In quali altri comparti questo trend risulta più marcato? «Nel settore delle costruzioni, in difficoltà da oltre quattro anni, ancora non si vede l’uscita: il volume d’affari ha subìto un’ulteriore diminuzione e le difficoltà maggiori hanno riguardato le imprese più strutturate, colpite dalla frenata delle opere pubbliche. Il commercio al dettaglio ha registrato flessioni nelle vendite come mai avvenuto negli ultimi dieci anni, in correlazione con un andamento assai depresso dei consumi e dei redditi. L’agricoltura, a sua volta, a causa anche della siccità estiva, accusa una perdita importante e stenta a mantenere livelli di redditività soddisfacenti». Il sisma ha avuto un impatto pesante sull’intero tessuto economico regionale. Quali strategie sono in corso e quali risorse in campo per mitigarne gli effetti?
Carlo Alberto Roncarati, presidente di Unioncamere Emilia Romagna
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Carlo Alberto Roncarati
La ricostruzione dopo il sisma sarà più veloce rispetto alle precedenti, ma non potrà comunque considerarsi conclusa fino al 2019
«Nell’area colpita si produce circa il 2 per cento del Pil nazionale. È pertanto evidente come i danni alle strutture e il blocco produttivo abbiano inciso gravemente sull’intera economia del Paese. Il governo ha accolto le richieste avanzate dalla Regione: il risarcimento arriva fino al 100 per cento dei danni subìti. Per gli interventi di ricostruzione l’Emilia Romagna può contare complessivamente su circa 9 miliardi di euro». Quanto ci vorrà ancora per cancellare gli effetti del terremoto? «Sarà una ricostruzione più veloce rispetto all’esperienza di altri territori colpiti da un sisma, ma non potrà comunque considerarsi conclusa fino al 2019 secondo l’ipotesi formulata da uno studio Ervet Prometeia commissionato da Regione e Unioncamere Emilia Romagna. Quanto è accaduto in risposta ai drammatici eventi sismici ci ha già insegnato però che è possibile rialzarsi, ritrovando la coesione e la solidarietà come valori fondanti per affrontare questa profonda crisi strutturale. Insieme è quindi la parola chiave per af-
frontare il futuro». Le previsioni stimano la perdita ulteriore di posti di lavoro. Attraverso quali interventi si dovrà lavorare nel 2013 per tamponare questa emorragia occupazionale? «Dopo anni di crisi il tessuto produttivo appare provato. Molte imprese sono costrette alla resa e l’occupazione risente di questo contesto, soprattutto quello creato dalle microimprese con meno di 10 addetti. La priorità delle priorità è il lavoro nel contesto di un impegno che deve ricreare fiducia. Come istituzioni dobbiamo rigenerare entusiasmo attraverso uno sforzo comune per accompagnare le imprese sotto vari profili: dall’accesso al credito, alla semplificazione amministrativa, all’internazionalizzazione, all’innovazione, a favorire la nascita di reti per creare la massa critica utile ad affrontare il mercato». A fare le spese di questa recessione sono in particolare i giovani. «È necessario studiare un pacchetto di iniziative in grado di stimolare la domanda lavorativa e arginare il drammatico fenomeno
della disoccupazione giovanile secondo tre direttrici: rimuovere gli ostacoli di accesso al sistema delle opportunità, individuare nuovi canali di dialogo per recepire istanze spesso inespresse, costruire un contesto favorevole alla valorizzazione del merito e della creatività». Come vi state mobilitando in su questo versante? «Il sostegno ai giovani è una delle priorità assolute per il sistema camerale, sulla base della considerazione che nessuno dei processi individuati per incidere strutturalmente sull’economia del territorio potrà produrre i propri effetti senza il coinvolgimento delle nuove generazioni. A questo riguardo, si sono dimostrati strumenti efficaci i bandi con finanziamento di alcune voci di spesa per l’avvio di nuove attività d’impresa. I giovani che hanno risposto sono stati pronti a mettersi in gioco e a scommettere su loro stessi, contando sulle proprie competenze e le proprie abilità, guardando al mercato e prendendo su di sé, consapevolmente, il rischio di fare impresa». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 31
ASSET STRATEGICI POLITICA ECONOMICA
Nuove generazioni e cambi al vertice Nelle successioni agli incarichi di prestigio, difficilmente compaiono nella rosa dei papabili candidati sui quarant’anni, tanto meno donne. «Un giovane non è per definizione sempre migliore – sottolinea Federica Guidi – ma sotto i cinquant’anni testimonia la vitalità di un sistema che si rigenera» Elisa Fiocchi Federica Guidi, direttore dell’ufficio acquisti e della logistica del gruppo Ducati Energia
l 2013 si apre all’insegna dei grandi cambi al vertice nei maggiori centri di potere della città di Bologna. È il caso della Camera di commercio, della Fondazione Carisbo, di Ascom e dell’Interporto che stanno vagliando i nomi dei papabili presidenti seguendo criteri e soluzioni che non sempre concedono spazio alla classe imprenditoriale intermedia, quella che dal punto di vista anagrafico aprirebbe il campo a un ricambio generazionale di cui oggi tanto si parla all’interno delle istituzioni pubbliche e in politica. In lizza per la Fondazione, ad esempio, scorrono i nomi di Gianguido Sacchi Morsiani, classe 1934, avvocato e già presidente della Cassa di risparmio di Bologna dal 1980 al 2004, Filippo Sassoli de Bianchi, già presidente di Carisbo, Leone Si-
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bani e Romano Volta, entrambi classe 1937, Gianfranco Ragonesi, presidente di Confartigianato e da anni consigliere di amministrazione di BolognaFiere, Piero Gnudi, ministro uscente del Governo Monti e già numero uno di Enel, Gianandrea Rocco di Torrepadula, classe 1943 e già presidente degli industriali. «Da quello che ho percepito, i nomi proposti sono eccellenti da un punto di vista personale, anche se la rosa appare sempre molto ristretta e il dato anagrafico è oggettivo». Con queste parole Federica Guidi apre un’ampia riflessione sui futuri cambi al vertice che muoveranno le pedine dell’economia bolognese, una donna che è da sempre in contatto con le giovani realtà imprenditoriali - nel 2008 è salita alla presidenza dei giovani di Confidustria - e oggi ricopre il ruolo di di-
rettore dell’ufficio acquisti e della logistica del gruppo Ducati Energia. «Mi piacerebbe ogni tanto sentire una rosa di nomi compresi tra i quaranta e i cinquant’anni, perchè mi sembrerebbe di vivere in un paese più moderno». A quali condizioni, a suo avviso, un cambio al vertice si trasforma in una reale occasione di rinnovamento e sviluppo per il territorio? «Il momento attuale è molto complesso e proprio in questa fase possono nascere energie nuove, anche da un punto di vista anagrafico. Non mi reputo un’appassionata del tema della rottamazione e del problema di genere a tutti i costi, tuttavia, sarebbe bello vedere in questo paese e a tutti i livelli, una rosa di giovani e nuove personalità proposte per incarichi di prestigio. Un giovane non è per definizione
Federica Guidi
Se nel mondo delle imprese c’è più spazio per i giovani, in quello pubblico e politico c’è ancora tanto da fare
sempre migliore ma sotto i cinquant’anni rappresenta un segnale di vitalità di un sistema che si rigenera. Questo non vuol essere un giudizio di merito su qualcuno in particolare, ma rimango perplessa dinanzi a rose di nomi che appartengono sempre a un determinato ambito che si connota anche per una questione anagrafica». La definizione di un limite massimo di età per ricoprire ruoli guida negli enti pubblici e ai vertici delle aziende potrebbe essere uno strumento utile in tutela delle giovani candidature? «Non sono favorevole a strumenti coercitivi ma abbiamo avuto l’esempio di un Papa che si è dimesso credo che ci sia un vento di rinnovamento significativo che si sta affermando in questo paese Non è possibile che i quarantenni
di oggi siano tutti inadeguati a ricoprire certi incarichi». All’interno di Ducati Energia, attraverso quali criteri di valutazione avviene la valorizzazione dei giovani talenti e la “scalata” aziendale? «Chi ha un ruolo dirigenziale oggi è entrato in Ducati da laureato o diplomato e ha scalato le posizioni fino a diventare un dirigente o un quadro. L’età media si è abbassata notevolmente con un personale di 25-30 anni e dirigenti attorno ai cinquant’anni. Siamo un’azienda che ha scelto di crescere molto per carriera interna, con un turnover molto basso e con una prima linea direzionale che non supera i cinquant’anni». Sempre parlando di ricambi generazionali e nuove opportunità per i giovani, ritiene che qualcosa sia cambiata da quando era presi-
dente dei giovani imprenditori di Confindustria o il paese è ancora troppo agganciato a determinate strutture? «Alcune delle aziende che ho conosciuto in quegli anni hanno compiuto un notevole ricambio generazionale e sono convinta che di questi esempi ce ne siano più di quelli che emergono. Purtroppo la società italiana si mantiene ancora molto bloccata e le ultimissime vicende politiche lo hanno dimostrato: quando Matteo Renzi usa il termine poco gentile della “rottamazione” solleva un problema molto attuale. L’esperienza non può essere considerato l’unico criterio che sembra oggi gestire la scelta delle successioni. E se nel mondo delle imprese c’è più spazio per i giovani, in quello pubblico e politico c’è ancora tanto da fare». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 33
ASSET STRATEGICI
Obiettivo export Nuovi accordi commerciali e una visione d’insieme più sistemica per la nuova Agenzia Ice, che accompagna le aziende italiane verso la sfida dei mercati esteri, medicina per uscire dalla malattia della stagnazione interna Teresa Bellemo
entre l’import crolla dell’11 per cento e si ferma intorno ai 30 miliardi di euro, i dati export 2012 del sistema Italia sono positivi. Fino a settembre 2012, infatti, il dato nazionale ha toccato l’importante quota di 400 miliardi di euro. È su questo terreno che la nuova Agenzia Ice, cerca di trovare le giuste sinergie per favorire ancora di più le aziende italiane che vogliono intraprendere un’apertura verso i mercati esteri. Le novità per l’Agenzia sono innanzitutto delle competenze più
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estese, soprattutto nel piano degli investimenti esteri e in quello dell’internazionalizzazione, ponendo particolare attenzione verso quelle aziende che non fanno necessariamente parte di settori strategici per il nostro Paese. Sono settori nuovi, in crescita, come le green energy, la protezione dell’ambiente, le bio e le nanotecnologie, le infrastrutture e le tecnologie per il restauro. Roberto Luongo, direttore generale dell’Ice, sottolinea come si siano rinnovati anche i vettori di sviluppo. «Abbiamo revisionato la nostra presenza investendo in quei mer-
cati a crescita più sostenuta, come l’Africa sub-sahariana con l’apertura di uffici in Mozambico, Etiopia, e in Angola; come il Qatar, la Colombia. La nostra presenza dunque non è soltanto orientata verso i Brics, ma anche verso il Vietnam, l’Indonesia, la Malesia, il Messico, dove la crescita del Pil consente uno spazio maggiore di sviluppo». Quali sono oggi i principali vettori di sviluppo per l’internazionalizzazione delle aziende italiane? «Oltre ai paesi appena elencati, che corrispondono alle nuove direttrici,
Roberto Luongo
esiste un altro bacino, più consolidato. A differenza dei nostri principali competitor come Germania, Francia e Regno Unito, che hanno una media di 50mila aziende esportatrici, l’Italia ne ha più di 200mila. La nostra attività, dunque, deve agire in modo da radicare tutte queste imprese, molte delle quali piccole e affaticate dalla stagnazione del mercato interno. L’export delle piccole imprese non si rivolge subito alla Cina o alla Russia ma ai paesi vicini, per questo anche qui deve esserci una presenza di sistema molto forte. Questo lavoro lo facciamo insieme ai ministeri dello Svi-
Roberto Luongo, direttore generale dell’Agenzia Ice
luppo economico e degli Affari esteri, alle Camere di commercio e alla cabina di regia dell’Internazionalizzazione, la grande novità che ha fatto nascere questa Agenzia Ice». Quanto è importante l’internazionalizzazione per le aziende italiane in un momento come questo? «Nei giorni scorsi abbiamo lanciato il nuovo piano nazionale dell’export, settore che influisce per oltre il 30 per cento sul Pil italiano. Ice intende aumentare tale quota perché ci rendiamo conto che è questa la direttrice che consentirà di migliorare le prestazioni delle nostre aziende, messe a dura prova dalla crisi. Nei prossimi anni contiamo di arrivare a 600 miliardi di export in beni e servizi. Come fare? Bisogna innanzitutto tenere conto del lavoro sul territorio, quindi collaborare con Camere di commercio e Unioncamere, ma anche sfruttare il nostro rapporto privilegiato con le ambasciate all’estero. Per quanto riguarda le strategie serve riuscire a mettere a fattor comune le risorse, punto debole del recente passato dell’Ice, troppo spesso spezzettate in una moltitudine di iniziative a pioggia». Avete siglato sinergie e protocolli d’intesa con altri enti per promuovere le nostre attività economiche all’estero? «In questi primi mesi di attività della nuova agenzia abbiamo collaborato con
Unioncamere, Farnesina, Linea imprese Italia, Cna. Siamo all’interno di questo sistema che dimostra grande attivismo e volontà di mettere in comune energie e idee. Ice in questo scenario ha il ruolo di pivot, mettendo insieme tutte queste attività comportandosi come l’agenzia di marketing internazionale del sistema Italia». La crisi economica ha colpito moltissimo il settore delle costruzioni. Quanto l’estero può essere un modo per uscire dalla crisi? Quali i progetti su questo fronte? «Abbiamo un rapporto più che ottimo con Ance. Negli ultimi tre anni insieme abbiamo svolto un lavoro di presenza sui mercati internazionali come Polonia, Turchia, Romania, Croazia, dove abbiamo aiutato le pmi italiane del settore a inserirsi. Le grandi aziende, invece, sono già all’estero dove operano da leader e vengono assistite dall’Ance in maniera diversa e specifica. Il nostro ruolo centrale è essere con loro sui mercati internazionali per garantire tutti quei progetti che possono rivelarsi profittevoli. A marzo saremo presenti anche al Mipim di Cannes, dove la partecipazione dell’Italia punterà soprattutto all’attrazione di investimenti nel campo immobiliare e nella ristrutturazione, un settore molto fruibile per l’Italia e per le sue imprese edili. Nelle tecnologie per il restauro, infatti, l’Italia dovrebbe essere leader, in quanto le nostre imprese possono godere del nostro grandissimo patrimonio culturale che è, o dovrebbe essere, in continua ristrutturazione». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 35
ASSET STRATEGICI
Internazionalizzarsi tra rischi e opportunità Con il rallentamento del mercato interno è fondamentale guardare altrove. Il presidente di Sace, Giovanni Castellaneta, invita le imprese che decinono di operare all’estero a un’accurata valutazione dei rischi e a tutelarsi attraverso soluzioni assicurative pensate per le pmi Renata Gualtieri
e strategie per riportare l’economia italiana su un percorso di crescita devono inevitabilmente passare attraverso un rafforzamento della capacità delle imprese di presidiare i mercati esteri, puntando sull’export per controbilanciare la debolezza della domanda interna. Ma i nuovi mercati non sono appannaggio solo delle imprese di grandi dimensioni. Anche le pmi ormai si spingono lontano, spesso al seguito di grandi gruppi industriali ma spesso anche in autonomia, provando a fare un salto di qualità importante che richiede notevoli investimenti, know how e capacità di valutare e gestire le criticità. Le imprese sanno bene che quando si opera all’estero è sempre importante individuare, comprendere e valutare i rischi di varia natura relativi alla controparte e, nel caso di export o investimenti, al Paese di destinazione. In molti casi, infatti, si tratta di problemi che potrebbero esporre l’azienda a tensioni finanziarie e comprometterne la solidità. In questo ambito è attivo Sace, gruppo assicurativo-fi-
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nanziario partecipato al 100% dal ministero dell’Economia, che opera nell’export credit, nell’assicurazione del credito, nella protezione degli investimenti. «Con Sace – sottolinea il presidente Giovanni Castellaneta – le imprese possono ottenere un’accurata valutazione dei rischi e scegliere tra diverse soluzioni assicurative ad hoc: dall’assicurazione del credito alle garanzie per facilitare l’accesso ai finanziamenti, dalla protezione degli investimenti al factoring, dalle cauzioni alle polizze per coprire i rischi della costruzione». Quali sono i rischi per chi vuole crescere all’estero e come interviene Sace? Giovanni Castellaneta, presidente di Sace «Mentre le imprese esportatrici sono più sensibili ai rischi connessi all’affidabilità delle controparti, come quelli di hanno però scosso questa percemancato pagamento, gli investitori zione e rimesso in discussione sono più sensibili ai rischi connessi l’approccio alla valutazione dei alla sicurezza del contesto opera- rischi. Per questo Sace ha elabotivo, come l’instabilità normativa rato nuovi strumenti con cui le e la violenza politica. Avvenimenti aziende possono ottenere una letcome quelli della Primavera araba tura del rischio paese più realistica
Giovanni Castellaneta
e funzionale alle valutazioni di business. Mediante un sistema di consultazione interattivo gli operatori economici possono visualizzare i diversi rating di rischio direttamente sul sito di Sace, selezionando il paese d’interesse, la propria attività, il tipo di controparte con cui intendono operare o l’evento di rischio in cui potrebbero incorrere. Immettendo più dettagli nel sistema, possono inoltre richiedere pareri preliminari personalizzati su transazioni specifiche». Negli ultimi anni si è notato un rinnovato interesse delle pmi verso strumenti come l’assicurazione del credito. «Quello che un tempo veniva considerato un mero costo oggi è diventato un investimento strategico per proteggersi dal mancato pagamento e stabilizzare i flussi di
cassa, diventare più competitive e offrire ai propri clienti migliori termini di pagamento e per migliorare l’accesso al credito a condizioni competitive. Assicurando i propri crediti, l’impresa mette al sicuro il fatturato e rafforza il proprio merito creditizio. Nella stessa direzione vanno le nostre garanzie finanziarie che, mitigando il profilo dei rischi dell’impresa, facilitano l’erogazione di prestiti alle imprese da parte del sistema bancario, come testimonia il programma “Internazionalizzazione delle pmi”, in collaborazione con il sistema bancario, promosso da Sace per sostenere i progetti d’internazionalizzazione delle pmi italiane, mettendo a loro disposizione credit facility garantite per finanziare i piani di sviluppo all’estero. Nell’ambito delle convenzioni bancarie sinora siglate,
abbiamo già garantito 1,7 miliardi di euro di finanziamenti in favore di circa 2.600 imprese, in prevalenza pmi. A oggi abbiamo ancora 1,4 miliardi di finanziamenti disponibili e stiamo lavorando a un sostanziale rafforzamento del programma». Quante sono le aziende del Sud che aspirano ad accrescere la loro competitività all’estero? «Nel Mezzogiorno seguiamo oltre 3.000 imprese, prevalentemente pmi, grazie anche alla presenza diretta sul territorio attraverso la nostra sede di Roma, un ufficio a Bari - punto di contatto per le imprese di Puglia, Basilicata, Calabria, Molise - e un Sace point a Napoli dedicato alle imprese campane. Le imprese della Sardegna e della Sicilia sono invece direttamente gestite dalla sede di Roma. Al Sud si trovano tante testimonianze EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 37
ASSET STRATEGICI
I mercati più interessanti su cui espandersi sono gli Stati Uniti, la Svizzera, i Bric, ma anche i paesi emergenti come Indonesia, Filippine, Malesia, Cile, Nigeria, Angola e Qatar
di un made in Italy che ha capacità Liguori, Costruzioni Solari e Sicep». «Tra domanda debole, ritardi nei di competere e vincere all’estero, contribuendo allo sviluppo del sistema Paese. Sto pensando alle due A del made in Italy, abbigliamento e alimentare, in cui il Meridione vanta esempi di eccellenza, ma anche ad altri settori, dallo shipping alle tecnologie per la produzione di energia da fonti rinnovabili. In questi anni abbiamo supportato finanziariamente i piani di sviluppo di società come Doria, la più grande azienda del settore agroalimentare nel Sud, e realtà note del settore moda come Meltin’Pot e Primadonna; abbiamo assicurato contro i rischi politici le attività di gruppi come Pietro Barbaro e Marnavi, protagonisti nel trasporto su acqua nei mercati emergenti. Ma abbiamo anche sostenuto numerose transazioni e progetti all’estero di pmi come il Pastificio 38 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2013
Quali i mercati più interessanti su cui espandersi? «La complessità del contesto globale impone alle nostre imprese un ulteriore sforzo di diversificazione delle destinazioni, privilegiando un approccio più selettivo. Nei prossimi anni non bisognerà sottovalutare la ripresa dei mercati avanzati, che continueranno a generare le migliori opportunità per il nostro export. Sto parlando di paesi come gli Stati Uniti, ma anche la Svizzera. Oltre ai soliti mercati ad alto potenziale ormai noti, come i Bric, vediamo nuove opportunità da paesi emergenti come Indonesia, Filippine, Malesia, Cile, Nigeria, Angola e Qatar». Con quale obiettivo nasce l’iniziativa “Pmi no stop”, a chi si rivolge e cosa prevede?
pagamenti e stretta del credito, la situazione si sta facendo particolarmente dura per molte imprese italiane, specialmente per le pmi. Per affrontarla, i nostri strumenti assicurativo-finanziari sono un prezioso alleato. Per questo Sace ha deciso di renderli più accessibili a chi ne ha più bisogno, con un’offerta commerciale riservata solo alle imprese più piccole, Pmi no stop appunto, riservata alle aziende con fatturato inferiore a 50 milioni di euro o meno di 250 dipendenti. Con questa iniziativa, le imprese potranno sostenere i propri piani di crescita contando su sei linee di prodotto, condizioni commerciali particolarmente vantaggiose, servizi di assistenza dedicati e personalizzati e una rete di uffici in Italia e all’estero a misura di pmi».
Sergio Arzeni
Segnali incoraggianti sul fronte estero «Le imprese che riescono a reagire meglio alla crisi non sono solo quelle che esportano, ma anche quelle che investono oltre confine». Sergio Arzeni indica cosa frena la competitività del nostro Paese e individua nell’associazionismo un’opportunità per chi decide di guardare fuori dall’Italia Renata Gualtieri
on lo scoppio della crisi sono molte le aziende che falliscono. E tanti sono i fattori che pesano sullo sviluppo delle pmi. Il lavoro recente dell’Ocse sull’erosione della base contributiva e il trasferimento dei profitti verso paradisi fiscali, come quello sul finanziamento delle pmi, dimostrano ad esempio che le piccole aziende pagano in proporzione più tasse delle grandi e tassi d’interesse sui prestiti più alti, quando riescono a ottenerli. Non solo, le amministrazioni pubbliche hanno tendenza a pagare più sollecitamente i grandi che non i piccoli, specie in certi settori come la grande distribuzione, pagano in ritardo le fatture delle pmi. «Questi sono handicap strutturali che le pmi hanno in tutti i Paesi – commenta Sergio Arzeni, direttore del Centro per l’imprenditorialità, le piccole e medie imprese e lo sviluppo locale dell’Ocse – ma che per certi versi in Italia sono più acuti». Quali i passi indispensabili nel programma di sviluppo specie delle piccole imprese? «La cosa più urgente che la politica deve fare per le piccole imprese è ap-
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Sopra, Sergio Arzeni, direttore del Centro per l’imprenditorialità, le piccole e medie imprese e lo sviluppo locale dell’Ocse
plicare alla lettera la direttiva europea e pagare le fatture, in primis ai piccoli, entro 30 giorni. Questo introdurrebbe un circolo virtuoso nel sistema e ridurrebbe lo spread di competitività con la Germania, dove il fenomeno del ritardo dei pagamenti è molto più basso e gli imprenditori possono contare sul flusso di cassa interno per finanziarsi, ricorrendo meno alle banche. In questo modo, risparmiando
sugli interessi, hanno più risorse per investimenti». Quello che colpisce dell’Italia, in confronto anche ad altri paesi europei, è che il costo del lavoro è aumentato anche durante la crisi. «Ciò non vuol dire però che i salari siano aumentati, anzi quelli italiani restano tra i più bassi nell’area Ocse; quello che è aumentato negli ultimi dieci anni, inclusi gli ultimi cinque di EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 39
ASSET STRATEGICI
crisi, è la tassazione del lavoro. Il costo del lavoro è cresciuto del 45 per cento in Italia negli ultimi 15 anni, mentre in Germania meno del 10 per cento. Anche questo spiega la diversa competitività attuale dei due Paesi. L’incremento dei costi indiretti sul lavoro fa sì che le imprese abbiano sempre meno risorse da investire su ricerca e innovazione, e questo ha un impatto negativo sulla produttività del lavoro. Dal 2005 a oggi, la produttività del lavoro in Italia è rimasta sostanzialmente invariata, mentre è aumentata dell’8 per cento in Germania, del 4 per cento in Francia e del 19 per cento in paesi emergenti dell’Europa dell’Est come la Polonia. La bassa produttività è anche una conseguenza della sproporzionata presenza di micro imprese in Italia in confronto agli altri maggiori Paesi europei». È l’internazionalizzazione la risposta ai problemi di competitività delle nostre imprese? «Le imprese che riescono a reagire meglio alla crisi non sono solo quelle che esportano, ma anche quelle che investono all’estero. Solo a Shanghai ci sono 4mila fabbriche italiane che vanno bene. E nonostante l’alto costo dell’energia, che in Italia è del 40 per cento più alto che in Francia, le pmi aggregate nei distretti industriali hanno generato dei surplus commerciali importanti che ancora tengono in piedi il Paese: erano 59 miliardi di euro nel 2007, prima della crisi della Lehman Brothers, e 49 miliardi di euro nel 2011». L’associazionismo è un’opportunità per le piccole imprese che decidono di guardare all’estero? Come si possono conciliare internazionalizzazione e sviluppo locale? «Il successo del fenomeno dei distretti 40 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2013
COSTO DEL LAVORO UNITARIO IN ALCUNI PAESI DELL’AEREA EURO
Fonte: OECD Economic Outlook, n. 91, 2012
industriali si fonda su una logica di sviluppo locale, sulla capacità di mettersi in rete, sulla forza dell’associazionismo che è un modo come un altro per parlare di capitale sociale. È tuttavia vero che il sistema produttivo italiano soffre del cosiddetto “nanismo”, la piccola taglia delle imprese e degli ostacoli strutturali frapposti alla loro crescita. Ma ci sono dei segnali incoraggianti sul fronte dell’internazionalizzazione. Per esempio il portale “Made in Italy” rappresenta un utile strumento per aiutare le pmi italiane a vendere i loro prodotti nel mondo. Vent’anni fa migliaia di piccole imprese di Treviso hanno investito in massa a Timisoara in Romania come un gruppo compatto e l’operazione ha avuto successo. L’Italia potrebbe utilizzare in modo più efficace la diaspora italiana per la propria proiezione commerciale in Nord e Sud America o in Australia e trarre vantaggio dall’immigrazione per conquistare i mercati del Nord Africa, dell’Est Europa, della Cina o delle Filippine». Quali le prospettive per il Mezzogiorno? «Il Mezzogiorno ha delle prospettive
di crescita fenomenali perché parte da posizioni più basse rispetto al Nord, perché ha una popolazione più giovane e possiede una grande capacità in termini di creatività e imprenditorialità. La condizione essenziale però è che vinca la legalità. Gli studi più recenti di Srm, centro di ricerca di Intesa San Paolo, indicano che la crescita media annua dell’export delle regioni meridionali negli ultimi 5 anni è stata più che doppia della media nazionale e continuerà a crescere nei prossimi anni. Un migliaio d’imprese italiane opera oggi in Turchia generando un fatturato di circa 15 miliardi di euro. Israele, con sette milioni di abitanti, ha più società quotate alla borsa di New York che tutta l’Europa con mezzo miliardo di abitanti. Sono convinto che collaborazioni tecnologiche fra Mezzogiorno e Israele possano essere sviluppate con profitto. Tanto più se finalmente saranno impiegate bene le risorse della nuova programmazione europea 2014-2020. Tuttavia, per giocare la carta del Mediterraneo occorre conoscere bene le lingue, l’inglese anzitutto, e poi il turco, l’ebraico, l’arabo, il francese».
ASSET STRATEGICI
Per internazionalizzare serve gioco di squadra L’espansione internazionale è sempre più un fattore di competitività. Ma serve programmare interventi coordinati e condivisi da tutti i soggetti coinvolti. A spiegarlo è Gino Cocchi, consigliere per l’internazionalizzazione di Confindustria Emilia Romagna Francesca Druidi
export si conferma forza trainante del sistema economico emiliano-romagnolo. In base all’indagine congiunturale relativa al terzo trimestre del 2012, le esportazioni regionali crescono del 3,4 per cento rispetto allo stesso periodo del 2011. La tendenza risulta positiva sia nel confronto con il trimestre precedente (+1,9 per cento) che rispetto all’andamento nazionale (+1,8 per cento). E proprio perché l’export e l’internazionalizzazione costituiscono leve quanto mai strategiche è importante fare il punto su quali politiche siano necessarie per sostenerle nel lungo periodo. Un quadro della situazione è offerto da Gino Cocchi, consigliere per l’internazionalizzazione di Confindustria regionale. L’Emilia Romagna ha mantenuto le proprie posizioni in termini di capacità di export, nonostante il generale quadro critico. «Sì, anche nell’anno appena trascorso abbiamo rappresentato il 13 per cento dell’export nazionale. Siamo la prima regione in Italia per export pro capite (quasi 10.000 euro), la seconda per valore assoluto, insieme al
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Veneto e dopo la Lombardia. Siamo anche la seconda regione per sviluppo commerciale verso i mercati emergenti, ai quali si rivolge oggi il 30 per cento del nostro export, con quote crescenti nel prossimo futuro. In questa fase recessiva e di contrazione della domanda interna, ci aspettiamo che il prossimo governo attribuisca all’internazionalizzazione un valore sempre più prioritario in termini di strumenti e risorse». Come valuta l’ipotesi di riaccentramento verso lo Stato della competenza delle Regioni in tema di promozione del commercio estero? E quale dovrebbe essere il raggio d’azione di Stato, Regioni e associazioni di settore per favorire l’internazionalizzazione, ma senza sovrapposizioni? «L’ipotesi di riaccentramento verso lo Stato rappresenta un passo indietro rispetto alla riforma del Titolo V, che rischierebbe di pregiudicare i servizi e le opportunità che le Regioni stanno mettendo a disposizione sul territorio a favore di tante pmi. Al governo spetta il compito di indicare le priorità strategiche e le linee guida
Gino Cocchi, consigliere di Confindustria Emilia Romagna per l’internazionalizzazione
Gino Cocchi
Nel 2013 Confindustria Emilia Romagna realizzerà quindici nuovi progetti, in particolare verso i mercati dei Bricst, Kenya, Marocco e alcuni paesi europei
nel cui ambito le Regioni promuovono le proprie misure e iniziative. Per sostenere il made in Italy nel mondo è indispensabile “fare squadra”, con una programmazione condivisa che attui a livello nazionale le grandi azioni di diplomazia commerciale, a livello settoriale le grandi iniziative soprattutto di tipo fieristico e, a livello regionale, servizi e iniziative capaci di garantire alle pmi un’assistenza continuativa e di qualità in risposta alle loro esigenze». La sfida è quella di rendere più efficace l’azione degli attori pubblici che sostengono l’internazionalizzazione, come l’Ice e il sistema camerale. Quali gli aspetti più problematici sui quali intervenire? «Siamo di fronte a una grande sfida: quella di avviare una serie di riforme strutturali in grado di rendere più efficienti e migliorare i livelli qualitativi delle nostre istituzioni, in primis
l’importante riforma dell’Ice. È importante, da questo punto di vista, proseguire nel rafforzamento delle sedi estere nei mercati a più forte tasso di sviluppo. Sul lato delle risorse destinate annualmente ai programmi promozionali, è sempre più necessaria l’azione di coordinamento della cabina di regia nazionale verso tutti i soggetti attuatori di iniziative sull’internazionalizzazione». Un altro punto centrale è quello di attivare investimenti dall’estero. «Anche l’obiettivo di attirare più investimenti dall’estero deve essere messo al centro delle politiche industriali. L’Emilia Romagna rappresenta un sistema con ampie opportunità di attrazione di investimenti, come è stato evidenziato anche da una recente indagine del Financial Times, che ha messo la nostra regione al primo posto in Italia per “business attractiveness”». Il progetto di internazionalizza-
zione di Confindustria Emilia Romagna, portato avanti di concerto con la Regione, prevede programmi di formazione e missioni all’estero. Quali sono i principali obiettivi per il 2013? «Dal 2011 realizziamo un importante progetto interassociativo regionale per promuovere strategie e percorsi strutturati e organici di insediamento commerciale e produttivo sui mercati esteri, con particolare riferimento alle piccole e medie imprese. Abbiamo realizzato in questi anni oltre 600 progetti di formazione e di aggiornamento sul commercio estero, centinaia di missioni e incontri b2b all’estero, con il coinvolgimento di oltre 100 aggregazioni composte da oltre 1000 imprese, nella forma di Ati e reti di imprese. Nel 2013 realizzeremo quindici nuovi progetti, in particolare verso i mercati Bricst, Kenya, Marocco e alcuni paesi europei». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 43
ASSET STRATEGICI
Sempre più internazionale «Proseguire nella crescita sia per linee interne che esterne». Il Gruppo Ima, come illustra il patron Alberto Vacchi, procede nel suo piano di sviluppo in Italia e all’estero, grazie anche ad acquisizioni strategiche Francesca Druidi
internazionalizzazione rappresenta una prioritaria exit strategy dalla recessione per le imprese. Questa leva, unita all’innovazione, può garantire oggi a una realtà produttiva di aggredire i mercati internazionali, generando valore e incrementando la propria competitività. Ne è un esempio l’attività del Gruppo Ima, player mondiale nella progettazione e produzione di macchine automatiche per il processo e il confezionamento di prodotti farmaceutici, cosmetici, alimentari, tè e caffè. Il presidente e amministratore delegato Alberto Vacchi, anche a capo degli industriali bolognesi, non si ferma a commentare il buono stato di salute della società, ma entra nel dettaglio delle sue strategie di espansione internazionale, illustrandone le prospettive di crescita. Le stime del consuntivo 2012 segnalano ottimi risultati sul fronte dei ricavi (734,3 milioni di euro, con +9,7 per cento rispetto ai 669,2 milioni al 31 dicembre 2011), della redditività e del portafoglio ordini. Quali sono i fattori che hanno inciso maggiormente su questa
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Alberto Vacchi, presidente e amministratore delegato del Gruppo Ima
Alberto Vacchi
performance? «L’ottima performance del Gruppo nel 2012 è stata raggiunta grazie all’andamento molto positivo delle vendite di macchine automatiche verso i settori farmaceutico e food. Agli ottimi risultati hanno contribuito gli investimenti effettuati sia nell’innovazione di prodotto basti pensare che il 5 per cento circa dei ricavi consolidati è destinato a ricerca e sviluppo, con più di mille brevetti depositati nel mondo - sia in acquisizioni strategiche, in particolare nel settore del packaging alimentare di nicchia. L’elevata quota di export rappresenta un altro fattore importante per la crescita e la competitività del Gruppo. Anche le prospettive per il 2013 sono positive, a conferma delle scelte strategiche e degli investimenti intrapresi negli ultimi
tre anni». Ima è presente sui mercati internazionali da decenni attraverso joint-venture e sedi produttive oltre confine. Come si declina la mappa dell’internazionalizzazione per il Gruppo? «Il Gruppo è presente in oltre 70 paesi, sostenuto da un’ampia rete commerciale e si avvale di 21 stabilimenti di produzione tra Italia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, India e Cina. La quota di export, che ha superato nel 2011 il 91 per cento, con ottimi risultati in Cina e India, dovrebbe attestarsi nel 2012 intorno al 94 per cento. L’impegno sui Bric continua a essere rilevante ed è volto a rafforzare la presenza del Gruppo in questi paesi, che presentano buone prospettive di crescita. Certamente importanti sono anche America
del Nord e sud-est asiatico. Ima resta però sempre e comunque ancorata al suo territorio. Con il cervello guarda al mondo, ma il suo cuore resta a Bologna e questo è un grande valore». Il Gruppo ha recentemente acquisito una partecipazione nel Gruppo Ilapak. Avete previsto ulteriori operazioni o aperture, sia commerciali che produttive nel prossimo futuro? Seguendo quali strategie? «Le acquisizioni degli ultimi tre anni hanno riguardato in particolare il settore del packaging alimentare di nicchia (Gima e Gruppo Corazza). Grazie alla collaborazione Ima-Sacmi è, inoltre, nato il primo polo italiano per il packaging del cioccolato. L’accordo siglato nel 2011 prevede, infatti, la condivisione della società EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 45
ASSET STRATEGICI
Con il cervello Ima guarda al mondo, ma il suo cuore resta a Bologna e questo è un grande valore
Cmh dedicata all’industria del cioccolato. Si inserisce sempre nell’ambito alimentare la recente acquisizione di una partecipazione del 40 per cento nel Gruppo svizzero Ilapak, che produce macchine confezionatrici per il packaging primario nel settore food. Questo segmento presenta grandi potenzialità di crescita e una buona redditività, oltre a quella già in essere nel settore delle macchine per il confezionamento di tè in sacchetti filtro. Anche il business farmaceutico, dove Ima vanta una leadership acquisita, è previsto in crescita, grazie all’ampia gamma di soluzioni offerte e alla continua ricerca di soluzioni innovative. Riguarda proprio il settore farmaceutico la recente acquisizione messa a segno, attraverso la controllata cinese Ima Life Beijing, del 59 per cento delle quote della società Shanghai Tianyan pharma46 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2013
La sede storica di Ima a Ozzano dell’Emilia, in provincia di Bologna
ceutical machinery, con sede a Shanghai». Con quali obiettivi? «La società cinese, nonostante la recente costituzione, è dotata di grande esperienza nella progettazione, commercializzazione e assistenza tecnica nel settore della fornitura completa di sistemi per il riempimento, in ambiente sterile, per prodotti farmaceutici liquidi e polveri e di sistemi di lavaggio e sterilizzazione. La strategia del Gruppo è quella di proseguire nella crescita sia per linee interne sia per linee esterne, in linea con un percorso che, da oltre cinquant’anni, vede Ima protagonista sui mercati internazionali». Ha evidenziato come l’azienda sia sì globale ma con un saldo legame con il territorio di provenienza. In che modo si esplicita questo rapporto? «La nostra fortuna è stata quella di
nascere in un territorio vocato: la provincia di Bologna ospita, infatti, la maggior parte dei produttori italiani di macchine automatiche per il packaging. Il successo della cosiddetta “packaging valley” è da attribuire alla grande tradizione meccanica, all’alta tecnologia e all’estrema flessibilità dei produttori, che possono contare su un ampio network di fornitori altamente specializzati, in uno scambio continuo di know-how. Inoltre, i produttori italiani di macchine automatiche per il packaging, sia pmi che grandi aziende, hanno sempre avuto una forte vocazione all’export. La meccanica è il vero settore italiano dove misurare la competitività. E il saper fare nella meccanica di precisione è un capitale territoriale. Naturalmente, il territorio significa anche altre realtà industriali con cui interagire, con cui creare alleanze per crescere».
Romano Volta
Espansione in ottica glocal Presenza diretta nei mercati emergenti ma anche in quelli maturi. Prodotti customizzati sulle specifiche esigenze dei clienti. È l’evoluzione dell’internazionalizzazione secondo Datalogic, presieduta da Romano Volta Francesca Druidi
iù di 2.400 dipendenti nel mondo, distribuiti in 30 paesi tra Europa, nord e sud America, Asia e Oceania. Bastano questi dati per inquadrare la dimensione internazionale di Datalogic, leader nei mercati dell’automazione industriale e dell’acquisizione automatica dei dati, grazie alla fornitura di soluzioni avanzate per innumerevoli applicazioni rivolte ai settori retail, trasporti e logistica, all’industria manifatturiera e alla sanità. Il gruppo, che ha il suo quartier generale a Lippo di Calderara di Reno, in provincia di Bologna, ha festeggiato lo scorso ottobre i 40 anni dalla nascita e ha chiuso il 2012 a 462,3 milioni di euro, con un aumento dei ricavi di vendita dell’8,6 per cento rispetto ai 425,5 registrati nel 2011, e un incremento dell’Ebitda a 62,7 milioni
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di euro (59,2 quelli dell’esercizio precedente). L’intenzione di Datalogic è però quella di non sedersi sui risultati acquisiti, ma di crescere ulteriormente attraverso un piano industriale che, come illustra il presidente e ceo Romano Volta, vede tra i principali driver di crescita l’espansione internazionale. Le strategie di internazionalizzazione variano in base ai due mercati di riferimento del gruppo: l’automatic data capture e l’industrial automation. Quali sono le prospettive di azione in questi due segmenti? «Per quanto riguarda il mercato Adc, che ricordo comprende i segmenti del pos retail, lettori di codici a barre per il mercato retail, degli hand held scanner (lettori manuali) e dei mobile computer, l’obiettivo è di crescere a tassi su-
periori rispetto a quelli di mercato grazie a due fattori: il potenziamento dell’offerta di prodotto e soluzioni tecnologiche; la rafforzata struttura di distribuzione, totalmente focalizzata sui clienti del mercato Adc e operativa da gennaio 2012. Uno degli scopi primari del nostro piano industriale è l’aumento della penetrazione nel mercato nord americano e in quelli delle aree a più elevata crescita come Cina, sud-est asiatico, America latina ed Europa dell’est. Perciò abbiamo predisposto un piano strutturato che prevede l’offerta di una gamma di prodotti mirata alla soddisfazione dei bisogni dei clienti operanti nei mercati emergenti e alle loro specifiche esigenze». Quali, invece, le direttrici da perseguire nel segmento dell’Industrial automation? EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 47
ASSET STRATEGICI
L’interno della sede produttiva Datalogic di Trnava, in Slovacchia
«Anche in questo mercato estre- raddoppiare la presenza nel mer- crementando così la relazione e, mamente frammentato Datalogic si prefigge di crescere a tassi superiori a quelli di mercato, facendo leva anche sulla completa integrazione delle società americane acquisite, Accu-Sort systems e Ppt vision, completata nel corso del 2012. Per quanto riguarda l’espansione internazionale, l’obiettivo è di crescere in paesi maturi, quali nord America ed Europa, e in altri in forte crescita come Turchia, sud America e in Asia, principalmente in Cina e Corea». Quali sono state le ragioni dell’acquisizione di Ppt vision e di Accu-Sort systems? «Rafforzare la nostra presenza nel ricco mercato del Nord America. Grazie a Ppt vision, Datalogic potrà aggredire sempre più il promettente settore dell’innovativa tecnologia machine vision. AccuSort systems ci ha permesso di
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cato dell’automazione industriale, di acquisire un’indiscussa leadership nel settore transportation & logistics, in particolare nel settore postale, conquistando la prima posizione nel mondo nel segmento degli industrial bar code scanner, con una quota di mercato pari al 31 per cento». È stato di recente aperto un ufficio a Dubai. Sono in programma ulteriori operazioni sul fronte dell’internazionalizzazione? «L’apertura dell’ufficio di Dubai rientra in un progetto più ampio e strategico che prevede l’espansione nei mercati emergenti, quelli che registrano un più alto ritmo di crescita, e il sostegno in loco del nostro business. L’obiettivo della sede di Dubai è promuovere i prodotti Datalogic nella regione del Medio Oriente, lavorando in stretto contatto con i partner, in-
quindi, la soddisfazione degli “end user”. Più in generale, posso dire che i dossier per nuove operazioni internazionali, come le acquisizioni o le aperture di nuovi mercati, sono sempre all’ordine del giorno in Datalogic, nell’ottica di garantire l’espansione nei mercati emergenti». Mercati sempre più rilevanti. «Nel 2012 nel settore dell’automazione industriale abbiamo registrato con estrema soddisfazione la crescita a due cifre delle vendite nei mercati di Cina e Corea, dove abbiamo recentemente aperto filiali di vendita con nostra presenza diretta. Infine, stiamo perseguendo con successo la politica di customizzazione del prodotto per le esigenze specifiche dei clienti in mercati in forte crescita, come quelli asiatici. A questo proposito, per il mercato Adc
Romano Volta
La sede di Accu-Sort Systems, acquisita da Datalogic, a Telford negli Usa
L’acquisizione di Accu-Sort Systems ci ha permesso di raddoppiare la presenza nel mercato dell’automazione industriale
abbiamo registrato nel 2012 lo straordinario successo di un nostro nuovo lettore imaging 1D, studiato specificatamente per le esigenze dei mercati emergenti, che nel giro di pochi mesi ha raggiunto eccezionali livelli di vendita grazie all’ottimo rapporto qualità-prezzo». Puntando alla crescita in una dimensione globalizzata e competitiva, quali fattori sviluppare? «I prodotti eccellenti e la soddisfazione dei bisogni dei clienti sono il motore propulsivo del lavoro quotidiano di tutti, assieme alla passione che da sempre contraddistingue le persone che lavorano in Datalogic. Nel 2012 abbiamo realizzato anche investi-
menti strutturali, raggruppando le iniziative di Ricerca e sviluppo per la parte di ricerca tecnologica, con una forte focalizzazione sul portafoglio brevetti e sulla ricerca di medio-lungo termine, nella nuova piattaforma tecnologica IP Tech (Intellectual property & technology), vera e propria fucina per lo sviluppo tecnologico». Il vostro impegno su questi temi è costante: investite in r&d circa il 7 per cento del fatturato annuo. «Questo ci permette ogni anno di lanciare sul mercato innumerevoli prodotti, pensati in una logica glocal, ovvero progettati a livello globale e customizzati in base alle esigenze specifiche. I nostri investimenti sono, inoltre, rivolti alla
tutela dei nostri prodotti e tecnologie, grazie a una attività costante di sviluppo del portafoglio brevetti: nel solo 2012, i brevetti depositati sono stati oltre 100. Datalogic ha, inoltre, ottenuto oltre 1 milione di euro di contributi nell’ambito di due progetti finanziati dalla Regione Emilia Romagna, denominati Vialab e ICube. L’idea presentata, che rientra nel settore della vision machine dove stiamo investendo importanti risorse, ha superato una dura selezione (quasi 100 le domande pervenute) ed è stata approvata per l’alto contenuto innovativo e per il coinvolgimento di partner qualificati come l’Università di Bologna». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 49
CREDITO & IMPRESE
IL CREDITO ALLE IMPRESE
Secondo i dati della Banca d’Italia, a giugno del 2012 i prestiti degli istituti di credito alle imprese dell’Emilia Romagna si sono ridotti del 4,5 per cento rispetto allo stesso mese del 2011, mentre si registrava un calo dello 0,3 per cento alla fine del 2011. La contrazione dei finanziamenti ha riguardato le imprese di tutte le classi dimensionali, risultando più intenso per quelle piccole. Tali andamenti hanno coinciso con una dinamica crescente dei tassi di interesse sui prestiti alle imprese, che ha risentito anche degli effetti della crisi dei debiti sovrani: i tassi applicati ai finanziamenti a breve termine superavano in giugno il corrispondente dato di dicembre, +35 punti base, mentre quelli sui prestiti a scadenza protratta sono tornati sui livelli di fine 2011 dopo essere aumentati in marzo. EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 53
CREDITO & IMPRESE
ATTENZIONE AL TERRITORIO E SVILUPPO DI NUOVI CANALI Diventare punto di riferimento per le imprese che puntano a implementare il proprio business all’estero e alla crescita sul territorio. Giampiero Bergami, regional manager dell’area centro-nord di Unicredit, illustra il piano di intervento, partendo da innovazione e aggregazioni Renata Gualtieri
nicredit ha assunto l’impegno fino al 2015 di mettere a disposizione 9 miliardi di euro per le imprese del centro-nord e accompagnare 3.500 aziende di questo territorio nel percorso di internazionalizzazione. Nell’ambito del piano portato avanti dal Gruppo, parte di queste risorse è destinata in particolare allo sviluppo dell’Emilia Romagna. «Nel momento in cui abbiamo lanciato il progetto la scorsa primavera – spiega Giampiero Bergami – abbiamo pensato di destinare circa 5 miliardi di euro alle imprese emiliano-romagnole. Si tratta di fondi che saranno impiegati per il rafforzamento patrimoniale, per il supporto diretto all’innovazione e per il finanziamento e l’ottimizzazione del capitale circolante, utilizzando anche lo stru-
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mento dei Consorzi fidi». In Emilia Romagna il Gruppo ha erogato, nel 2012, quasi 2 miliardi di euro di nuova finanza. A ciò si aggiunge il dato relativo alle imprese della regione accompagnate all’estero lo scorso anno: oltre 1.000 aziende. Al di là dei numeri, quale sarà l’impegno concreto per continuare a essere “partner del territorio”? E quale il piano di intervento per supportare le imprese nel loro percorso di crescita? «La linea di azione è composita: supportare i piani di crescita delle imprese, sostenerle con azioni mirate come l’anticipo dei crediti da parte della pubblica amministrazione e il finanziamento del circolante. Ancora, incentivare l’export, nella convinzione che la ricerca di nuovi mercati può essere una valida strategia di uscita dalla crisi e che la ca-
Giampiero Bergami, regional manager dell’area centro-nord del gruppo Unicredit
La digitalizzazione sta modificando le strategie del sistema bancario e le nuove tecnologie stanno portando a uno scambio continuo e bidirezionale di informazioni tra banca e clienti
ratteristica di Unicredit, ovvero essere un grande gruppo internazionale con solide e storiche radici in Italia, ci rende punto di riferimento per le aziende locali che vogliono avviare o implementare il proprio business all’estero. Da anni l’istituto lavora per la realizzazione di una rete internazionale di supporto all’imprenditoria italiana. In particolare, dal 2012, abbiamo deciso di avviare il progetto Unicredit international per consolidare e rendere ancora più fruibili da parte dei clienti i servizi che siamo in grado di offrire grazie all’unicità della nostra rete e della nostra esperienza internazionale. Il progetto si fonda su quattro pilastri: conoscenza dei mercati; ricerca di controparti di business all’estero; nuovi prodotti dedicati, che arricchiscono la gamma degli strumenti destinati alle aziende che operano
con l’estero; consulenza specializzata in Italia e oltre confine». L’Emilia Romagna è la terza regione d’Italia, dopo Toscana e Lombardia, per numero di contratti di rete. Con quali prodotti e progetti specifici Unicredit punterà a incentivare ulteriormente questa tipologia di aggregazione produttiva? «Il Gruppo punta su un nuovo modello di servizio con un unico gestore e un unico deliberante creditizio che approfondiscono la conoscenza del programma di rete con gli imprenditori e mettono a disposizione consulenza, prodotti e una valutazione del merito creditizio unica e globale. Offriamo servizi a supporto di network di imprese, con particolare riferimento a internazionalizzazione, credito agevolato, finanza, supporto legale e fiscale; lavoriamo alla co- EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 55
CREDITO & IMPRESE
Unicredit ha dato il via a un intervento finanziario speciale dedicato alle imprese, pmi in particolare, che hanno scelto di aggregarsi. Si tratta del finanziamento Bond delle reti
stituzione di tavoli di ascolto permanente zato, insieme al consorzio Aster, la “mapdedicati a tutte le parti interessate per elaborare insieme proposte e suggerimenti per banche, imprese e legislatori. Per dare maggiore concretezza al suo impegno nei confronti del contratto di rete, la banca ha inoltre dato il via a un intervento finanziario speciale dedicato alle imprese, pmi in particolare, che hanno scelto di aggregarsi. Si tratta del finanziamento “Bond delle reti”, nato dalla cooperazione di Cassa depositi e prestiti, Fondo centrale di garanzia, Confidi, associazioni di categoria e enti territoriali». È nell’innovazione il futuro delle aziende e dello sviluppo economico del Paese. Quanto crede l’istituto in questa opportunità e con quali prodotti dedicati e iniziative mirate si impegnerà a dare supporto a realtà concretamente innovative tra le imprese dell’Emilia Romagna? «L’innovazione è senza dubbio una delle chiavi di volta non solo per superare la crisi, ma anche e soprattutto per la realizzazione di un business di successo. È un tema importante che il nostro Gruppo stimola e supporta con prodotti finanziari esplicitamente dedicati al sostegno dell’innovazione e con svariate iniziative. Ad esempio, il Talento delle idee, un concorso indetto insieme ai giovani imprenditori di Confindustria per valorizzare le migliori idee innovative in Italia. Per quanto riguarda l’Emilia Romagna abbiamo realiz-
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patura” delle aziende regionali impegnate sul fronte dell’innovazione e della ricerca: il risultato è un prezioso patrimonio comune di imprese virtuose che operano nel nostro territorio». Quanti finanziamenti sono stati destinati a supporto di start-up ad alto contenuto tecnologico e a nuove imprese guidate da giovani in regione? E come l’innovazione intervenie nel rapporto tra banca e clientela? «Abbiamo erogato nel 2012 alle imprese dell’Emilia Romagna più di 360 milioni e 200mila euro per interventi dedicati all’innovazione e alla nuova imprenditoria. Per quanto riguarda l’innovazione, stiamo lavorando intensamente anche come banca. La digitalizzazione sta modificando le strategie del sistema bancario. In particolare, le nuove tecnologie stanno portando a uno scambio continuo e bidirezionale di informazioni tra banca e cliente. Per quanto riguarda l’Emilia Romagna, riscontriamo che più dell’87 per cento dei prelievi e l’86 per cento dei bonifici viene effettuato su canali alternativi allo sportello tradizionale e un numero elevatissimo di versamenti, il 48 per cento, e di operazioni di pagamento, 64 per cento, avviene tramite canali automatici o digitali. In regione sono oltre 1.700 i clienti che hanno portato a termine operazioni di acquisto di quasi 15mila prodotti finanziari online».
Luigi Odorici, amministratore delegato della Banca popolare dell’Emilia Romagna
CREDITO SÌ, MA CON PRUDENZA «Sosteniamo tutte le iniziative meritevoli per la qualità del progetto imprenditoriale proposto». E l’efficienza di chi fa impresa, per l’amministratore delegato del Gruppo Bper Luigi Odorici, si misura sulla vocazione all’export e sul potenziale innovativo Renata Gualtieri
nche in un momento di forte crisi economica si possono sviluppare sinergie positive nel rapporto banche imprese, purché gli aspetti più problematici siano trasformati in opportunità. Negli ultimi anni il sistema bancario è stato in grado di finanziare importanti progetti aziendali, anche in carenza di capitali da parte degli azionisti. Questo ha permesso alle aziende meglio strutturate e più innovative di aggredire i mercati esteri, mantenendosi competitive. È chiaro che se i fatturati decrescono, alcune tipologie di impresa hanno il problema di sostenere il servizio del debito acceso per lo sviluppo. «In generale le banche intervengono con flessibilità, concedendo dilazioni nel pagamento dei mutui, nuova finanza e prodotti innovativi. Tutto ciò – precisa l’amministratore delegato del Gruppo Bper Luigi Odorici – tenendo però ben presente qual è
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la mission dell’intermediario finanziario: raccogliere denaro e prestarlo con la ragionevole aspettativa di vederlo restituito». Quali strumenti e prodotti finanziari mette a disposizione Bper per aiutare le imprese a superare il difficile momento che stanno affrontando? «Abbiamo messo a punto una serie di prodotti con provvista dedicata, agevolazioni e garanzie pubbliche, grazie anche all’assistenza fornita da agenzie e società pubblico-private nazionali e internazionali: Banca del Mezzogiorno-Mediocredito centrale, Banca europea per gli investimenti e altri. Si tratta di prodotti finanziari a condizioni vantaggiose, sia in termini di durata che di costi dell’operazione. Inoltre, Bper ha rafforzato le collaborazioni con le associazioni imprenditoriali in tutte le aree di riferimento, Emilia Romagna compresa, definendo plafond di finanziamenti dedi- EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 57
CREDITO & IMPRESE
Siamo tra gli istituti bancari che hanno appoggiato di più, sul piano operativo e su quello finanziario, le imprese colpite dal sisma
cati, con condizioni particolari e con per- porto totale superiore a 50 milioni. Bper, corsi di valutazione che vedono la collaborazione delle stesse associazioni. Sul fronte dell’assistenza all’export sosteniamo le imprese anche con prodotti e servizi frutto della collaborazione con società pubbliche primarie, come Sace, che possono favorire le sfide d’espansione». Come continua l’impegno di Bper per il finanziamento delle imprese colpite dal sisma? «Siamo tra gli istituti bancari che hanno più appoggiato, sul piano operativo e su quello finanziario, le imprese colpite dal sisma. Il giorno dopo la prima scossa abbiamo stanziato un importante plafond, 200 milioni, da destinare a finanziamenti con un tasso particolarmente agevolato, l’1,5 per cento. A oggi le operazioni concluse sono oltre un migliaio, per un im-
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inoltre, svolge il ruolo di banca di appoggio per tutte le attività di erogazione dei contributi pubblici. Molte imprese dei nostri territori sono riuscite a riattivare produzioni e operatività a un livello in linea con quello precedente proprio grazie alla loro intraprendenza e al sostegno garantito dal nostro istituto». Ha chiesto maggiore selettività nella concessione di finanziamenti. Come va valutata la validità di un’iniziativa imprenditoriale e quali sono i rischi nell’erogazione di credito da parte delle banche? «Occorre un atteggiamento più mirato, con un’attenzione particolare ai settori dell’economia che presentano rischiosità gestibili. Inoltre, è in atto un serrato processo di omologazione delle regole, che
impone comportamenti scientifici nell’erogazione del credito. Il supporto richiesto è concentrato sulle ristrutturazioni del debito, mentre mancano o sono molto limitate le richieste di finanziamento per investimenti. Ma le banche, quando i fondamentali e i vincoli normativi lo consentono, non si tirano indietro. Bper ha mantenuto lo scorso anno un livello di impieghi stabile rispetto ai dati 2011, a testimonianza del suo ruolo storico di banca di riferimento del territorio. La crisi, però, ha provocato un generale deterioramento della qualità del credito, specie per quanto riguarda le pmi. Di fronte a questo scenario il Gruppo Bper ha adottato un approccio valutativo estremamente prudente accelerando il percorso di rigore nella politica degli accantonamenti e in coerenza con le
indicazioni dell’Autorità di vigilanza abbiamo innalzato le coperture sui crediti deteriorati per riportarle tendenzialmente verso i livelli pre-crisi». Quali cambiamenti si aspetta nei prossimi anni? «Il rapporto delle banche con imprese e privati sarà sempre di più basato sullo sviluppo dei canali telematici e informatici, mentre i contatti diretti diventeranno meno frequenti e più improntati a un profilo di consulenza. Nel settore corporate, ad esempio, i nuovi strumenti telematici permetteranno alla banca di assumere dati cruciali per avere un quadro aggiornato del profilo economicopatrimoniale delle aziende, delle loro strategie industriali, di come sono posizionate nel settore di appartenenza. Tutto ciò si tradurrà in un miglior servizio». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 59
CREDITO & IMPRESE
SOSTEGNO ALL’ECONOMIA REALE Non chiudere i rubinetti del credito è il modo migliore per dimostrare fiducia agli imprenditori e alle famiglie del territorio. «È il nostro modo di dire – commenta il presidente di Emil Banca, Giulio Magagni – che noi ci siamo» Renata Gualtieri
ltre alla congiuntura economica ancora negativa, l’economia emiliana sta scontando le conseguenze del devastate sisma che nel maggio scorso ha messo in ginocchio parte consistente dell’industria locale. «In una condizione così difficile – spiega il presidente di Emil Banca Giulio Magagni – ci siamo messi subito al lavoro, facendo rete con le associazioni di categoria e gli enti locali, attivandoci in tantissime iniziative di solidarietà e destinando 60 milioni di euro per i crediti a privati e aziende a un tasso inferiore al 1,5 per cento». Nonostante le tante difficoltà oggettive però gli impieghi del 2012 sono rimasti sullo stesso livello dell’anno precedente. È stato siglato un accordo per il sostegno alle microimprese dell’Emilia Romagna. Ideatori e finanziatori del progetto sono stati il Fondo europeo per gli investimenti ed Emil
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Banca. Cosa prevede l’accordo e quale sarà l’impegno da parte dei due soggetti? «Grazie alla provvista di 2 milioni di euro messi a disposizione dalla Commissione europea e un altro milione da noi, Emil Banca potrà erogare prestiti fino a 25mila euro a oltre 150 imprese in fase di start-up o di espansione per un totale di 3 milioni di euro. La provvista europea ci aiuta a reperire liquidità per concedere prestiti a imprese con meno di 10 dipendenti o 2 milioni di fatturato. In tutta Europa sono 23 i progetti simili, in Italia solo altri due. È significativo che due delle tre banche scelte siano banche di credito cooperativo che, a detta dello stesso Fei, sono le più adatte a questo tipo di progetti perché da sempre si occupano solo ed esclusivamente di economia reale». Ha dichiarato che Emil Banca considera il microcredito uno strumento fondamentale
Giulio Magagni, presidente di Emil Banca, della Federazione regionale delle Bcc, di Iccrea holding e membro dell’Abi
Contribuiamo a costruire scenari di significato per i giovani e abbiamo bisogno di garantirci per il futuro una clientela che sappia riconoscere la nostra identità differente
per superare le difficoltà economiche, soprattutto se accompagnato da una seria azione di educazione al risparmio. Come si arriva a ciò e quali saranno i prodotti finanziari messi a disposizione delle microimprese? «I prodotti relativi al microcredito sono due e per entrambi non sono richieste garanzie reali. Il “Mutuo vantaggio” si rivolge a microimprese del commercio, dell’artigianato e dell’agricoltura per investimenti strumentali, incremento occupazionale e per il finanziamento del capitale circolante. Il “Mutuo rinascita”, che rispetto al primo ha tassi più bassi e una durata più lunga, è riservato alle microimprese, di tutti i settori, con sede nei comuni colpiti dal sisma per interventi di ricostruzione, avvio e ripresa attività. La nostra esperienza nel campo del microcredito rivolto alle famiglie o alle persone in temporanea difficoltà economica ci dimo-
stra che anche soggetti non bancabili, se seguiti e aiutati, riescono a rispettare i propri impegni. Per questo crediamo che lavorare in sinergia con le associazioni di categoria, e una corretta valutazione delle esigenze delle microimprese, possa contribuire alla buona riuscita anche di questo progetto». Che successo sta riscuotendo il progetto YouTu e quali le proposte innovative sviluppate per affrontare in maniera completa e articolata la relazione tra la banca e i giovani? «Il nostro è stato in primo luogo un investimento sulle persone del quale stiamo già raccogliendo i frutti. Sia dal punto di vista aziendale, grazie alla crescita professionale e alla responsabilizzazione dei dipendenti più giovani, sia dal punto di vista commerciale, con tanti ragazzi giovani che sono entrati a far parte della famiglia Emil Banca. Nel 2012, infatti, sono stati EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 61
CREDITO & IMPRESE
In collaborazione con l’associazione di promozione sociale Fare lavoro, abbiamo messo in campo un progetto per finanziare l’avvio d’impresa da parte degli under 35
ben mille i nuovi conti corrente YouTu in collaborazione con l’associazione di proaperti, che corrispondono a circa il 12,5 per cento di tutti i rapporti accesi lo scorso anno. Ma il successo di YouTu va ben oltre quelli che sono i suoi ottimi risultati economici. Come Bcc abbiamo il dovere di contribuire a costruire scenari di significato per i giovani e abbiamo bisogno di garantirci per il futuro una clientela che sappia riconoscere la nostra identità differente, che sappia distinguerci fra i tanti e possa scegliere non solo sulla base di parametri di prezzo». Quali i prodotti e servizi finanziari offerti da Emil Banca a sostegno delle start up guidate da giovani? «Oltre ai prodotti realizzati assieme al Fei,
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mozione sociale Fare lavoro, abbiamo messo in campo un progetto per finanziare l’avvio d’impresa da parte degli under 35. Anche in questo caso l’erogazione del prestito è accompagnata da un tutoraggio e un sostegno professionale ai neo imprenditori che coinvolge anche la Fondazione Dalle Fabbriche. Sappiamo che i primi anni di vita delle imprese sono quelli più difficili e per questo anche nel 2013 e per questo anche nel 2013 abbiamo destinato cinque milioni di euro al progetto Starter, un pacchetto di servizi messo in campo con Cna e rivolto alle imprese in fase di startup che unisce consulenza finanziaria, consulenza economica e servizi bancari».
CREDITO & IMPRESE
UN’IMPRESA POSSIBILE La tavola rotonda, organizzata il 21 marzo dai giovani imprenditori di Unindustria Bologna, sarà l’occasione per un confronto sulla corretta gestione finanziaria dell’impresa finalizzata al miglioramento del rapporto con la banca. Lo spiega la relatrice Ilenia Sala Renata Gualtieri
l convegno “Banca e impresa: un lavoro di squadra possibile” nasce come un vero e proprio percorso formativo che i giovani industriali di Unindustria Bologna vogliono proporre alle imprese associate ed è il prosieguo di una serie di iniziative, tra cui il convegno “È il momento di osare” tenutosi lo scorso giugno, realizzati per mantenere vivo il dialogo tra banche e imprese, con l’obiettivo di riuscire a siglare un “patto d’onore” per fronteggiare la crisi e sostenere le eccellenze del territorio. «Abbiamo bisogno di banche che facciano le banche, finanziando imprenditori seri e aziende sane, ma soprattutto – sottolinea Ilenia Sala, consigliere del Gruppo giovani imprenditori di Unindustria Bologna – applicando tassi sostenibili. Se le banche non faranno la loro parte per accompagnare la crescita delle imprese, questi addebiti finiranno per sopprimere definitivamente gran parte delle aziende. Per questo motivo, il tema
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del pricing e del merito creditizio sarà un punto fermo sulla nostra agenda, pur comprendendo le regole che gli istituti di credito devono applicare». Come è possibile ottimizzare la collaborazione e sfruttare il “lavoro di squadra” per superare le difficoltà che il mondo del credito e delle imprese stanno affrontando? «Come prima cosa è fondamentale che gli imprenditori conoscano gli strumenti necessari per un corretto approccio con gli istituti bancari. Non dobbiamo assumere atteggiamenti passivi e rinunciatari, o peggio arrenderci all’idea che l’applicazione di tassi e condizioni bancarie particolarmente gravose per le aziende siano una consuetudine di questo periodo di congiuntura economica, ma dobbiamo denunciare quei comportamenti restrittivi, oltremodo severi, che non siano giustificati da una particolare situazione d’impresa».
Ilenia Sala, consigliere del Gruppo giovani imprenditori di Unindustria Bologna
Su cosa si deve basare una corretta comunicazione? E quanto è complicato far comprendere alle banche le necessità degli imprenditori? «Occorre prestare grande attenzione alla gestione delle relazioni con la banca, alla quale non vanno fatti mancare elementi documentali utili a testimoniare la vita dell’impresa: il suo andamento, le dimensioni, i punti di forza e le eventuali criticità. Acquisire una maggiore dimestichezza con gli strumenti di lettura dell’attività aziendale può dare l’impressione di appesantirci, ma nel lungo periodo pagherà, perché fornisce elementi di maggiore comprensione tra imprese e istituti di credito e rafforza la reciproca fiducia. Mettiamo i nostri interlocutori finanziari in grado di toccare con mano la fiducia e l’impegno di chi crede nella propria azienda. L’imprenditore deve ricapitalizzare. Questo tra tutti è il modo migliore per porre all’angolo le diffidenze». Quali le principali difficoltà che incontrano oggi gli imprenditori nell’accesso al credito? «Una delle maggiori difficoltà è data dalla mancanza di comunicazione tra l’impresa e l’istituto bancario. È importante che l’imprenditore predisponga un business plan utile a se stesso per verificare la sostenibilità
economica del progetto imprenditoriale, da presentare ai finanziatori per illustrare il progetto e dimostrarne la validità sotto il profilo economico. La banca, dal canto suo, dovrebbe limitare la richiesta di garanzie a fronte della concessione di finanziamento: è indubbio, infatti, che le condizioni poste in essere dalle banche sono particolarmente gravose per le imprese». Come giudica il supporto delle banche del territorio alle start-up giovanili? «Considerando il perdurare della crisi economica e l’elevato costo del denaro è evidente che un giovane che intende avviare una nuova attività imprenditoriale non ha vita facile. La banca difficilmente finanzia le nuove imprese senza adeguate garanzie. Pertanto risulta più facile reperire risorse finanziarie alternative, tra le quali occorre menzionare l’evoluzione del crowdfunding in Italia. Sarà, infatti, presto possibile per le start-up innovative la raccolta di capitali attraverso portali online (equity crowd-funding). Potranno così finanziare il proprio progetto d’impresa emettendo strumenti finanziari offerti ai finanziatori tramite portali dedicati agli iscritti nel registro Consob. La strada è tutta in salita, ma dobbiamo precorrerla insieme alle banche con reciproca fiducia». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 65
CREDITO E IMPRESE
All’impresa non resta che finanziarsi da sola La frenata del credito e la carenza di liquidità sono tra i problemi più gravi che affliggono le Pmi italiane. Per contrastare il credit crunch le aziende rispondono contando solo sulle loro forze. Il caso della Electro System descritto da Gianpiero Cabella Marco Tedeschi
i complica l’accesso al credito per le Pmi. Dopo la lunga fase di credit crunch del recente passato, in prospettiva sarà sempre più difficile ottenerlo: secondo Morgan Stanley, le banche italiane dovranno ridurre i propri attivi per oltre 200 miliardi di euro nei prossimi 2-3 anni. Una ri-
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Alcune schede elettroniche e componenti realizzati dalla Electro System di Imola (BO) www.electrosystem.com
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sposta a questa realtà complicata viene da quelle aziende che sono riuscite, nonostante tutto, a chiudere in positivo anche il 2012. «La nostra – spiega Gianpiero Cabella, titolare della Electro System di Imola - è stata sempre una politica di risparmio, questo ci ha portato a non essere vincolati da finanziamenti esterni. Tutto ciò si è rivelato molto lungimirante. In questo periodo infatti le banche sono alquanto restie a concedere dei finanziamenti alle piccole e medie imprese che si ritrovano, pertanto, a dover contare solo sulle proprie capacità e forze». Negli ultimi dodici mesi Electro System, come molte altre realtà, ha dovuto confrontarsi con una crisi generale che non ha risparmiato nessun settore. Neanche quello dell’elettronica di qualità, settore in cui l’azienda di Imola, in provincia di Bologna, eccelle da più di trent’anni accanto al settore gaming, fornendo servizi in conto terzi, che spaziano dall'ideazione alla progettazione e realizzazione di schede elettroniche e cablaggi professionali destinati all’automazione industriale, nonché schede gioco destinate agli apparecchi da intrattenimento. «Sono stati dei mesi molto duri, in cui abbiamo cercato di destreggiarci in una crisi che non sembra avere una fine - specifica Cabella – in ogni caso, a dispetto della situazione generale, dobbiamo registrare un incremento significativo nella parte industry. Di fianco alla
Gianpiero Cabella
parte gaming, sempre attiva, siamo infatti riusciti a migliorare e puntare sulla produzione. Questo grazie soprattutto a nuovi committenti arrivati tramite il passaparola, che è quanto ci da maggiore soddisfazione». Il consolidamento della parte industry si deve principalmente agli investimenti che sono stati realizzati all'interno dell’azienda imolese. «Si tratta di investimenti interni, che hanno interessato soprattutto il profilo tecnologico. Abbiamo cambiato interamente il parco macchine, migliorando l’efficienza tecnologica dal punto di vista del montaggio, dell’ispezione e del controllo. Il tutto per raggiungere un buon livello di qualità. Caratteristica fondamentale per restare competitivi. Parliamo all'incirca di un milione e mezzo di investimenti che guardano alla qualità generale». Una cifra significativa, che non ha richiesto però interventi di finanziamenti esterni. «Si tratta – prosegue Cabella – di investimenti che provengono tutti dalle nostre finanze interne. Solo per un macchinario, molto costoso e specifico, abbiamo fatto un leasing. Per il resto abbiamo contato solo e soltanto sulle nostre forze».
Abbiamo migliorato l'efficienza tecnologica dal punto di vista del montaggio, dell’ispezione e del controllo
Forze che si rendono necessarie soprattutto in un mercato complesso come quello dell'elettronica. «Noi abbiamo sempre cercato di fornire ai nostri committenti un supporto produttivo completo e autonomo, mettendo a disposizione del mercato della subfornitura le nostre esperienze, competenze e professionalità, e utilizzando le migliori tecniche di progettazione e costruzione, una logistica di produzione efficace, un magazzino completo di componenti e adeguate risorse. Noi infatti abbiamo sempre puntato su richieste tailor made. Per questo la realtà in cui ci troviamo parla di manodopera interna specifica per il nostro settore. Una manodopera che si è specializzata su realizzazioni complesse che puntano tutto sulla qualità. La nostra azienda – specifica Cabella – non ha mai puntato su una produzione di
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CREDITO E IMPRESE
Per far ripartire l’economia bisogna far girare il denaro. Se blocchiamo il denaro non andiamo da nessuna parte
massa, anche vista la grandezza della nostra
Immagini relative a due fasi dell’ispezione ottica automatica (AOI) . Da sinistra, l’acquisizione e, a seguire, la lettura dei dati, con rilevamento di eventuali errori
struttura ma sempre di più sulla qualità. Ci rivolgiamo alle aziende che sono in grado di realizzare un’elettronica complessa e che hanno una produzione di lotti che può andare dai 50 ai 100 pezzi al mese. Le realtà con le quali collaboriamo puntano tutto sulla qualità del prodotto». Una qualità che viene ottenuta dal lavoro congiunto di macchinari altamente tecnologici e di personale specializzato. «Questo per noi è il vero problema. Reperire personale qualificato non sempre è facile. A tal proposito abbiamo realizzato un investimento cospicuo anche sul personale; è stato necessario formarlo e renderlo adeguato ai cambiamenti che si sono susseguiti in ambito tecnologico. Non è infatti stato sufficiente cambiare e aggiornare le macchine. Di pari passo è stato indispensabile rendere il personale qualificato e più adeguato rispetto a quello che era agli inizi dell’attività, quando l’unico compito che aveva era quello di assemblare le schede. Oggi bisogna
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lavorare con macchine in cui tutto è gestito dal computer, e per farlo bisogna poter contare su manodopera qualificata». In questo contesto, il mercato di riferimento di Electro System resta l’Italia. «È nel nostro Paese che si trovano tutti i committenti principali, che poi ovviamente esportano anche all’estero. Per un domani ci piacerebbe espanderci anche oltre confine, ma è necessario poter contare su risorse adeguate e strutture giuste». Come Pmi dell’imolese, Electro System ha ben chiaro quale possa essere la situazione delle aziende italiane se la situazione generale dell’economia non imbocca la strada del cambiamento. «Nel nostro tessuto imprenditoriale locale, ovvero la zona di Imola, osserviamo una situazione molto chiara. Siamo arrivati a un punto in cui le piccole e medie imprese sono sotto il torchio del fisco e di altri costi indispensabili. La competitività delle aziende locali purtroppo si perde in questa situazione. Molto spesso il cliente si rivolge a strutture non troppo lontane dall’Italia solo e soltanto perché possono garantire costi decisamente inferiori. Per questo motivo dobbiamo assolutamente continuare a puntare sulla qualità e non sulla quantità. La mia opinione – conclude Cabella – è che per far ripartire l’economia bisogna far girare il denaro. Se il denaro lo blocchiamo non andiamo da nessuna parte».
COACHING
Il successo delle soft skills «Il coaching può aiutare le imprese a costruire e valorizzare un’identità aziendale unica e specifica – spiega Giovanna Giuffredi – allineando mission e vision in modo congruo» Elisa Fiocchi
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Giovanna Giuffredi
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a disciplina del coaching affonda le sue radici nelle neuroscienze e nel business management e, attraverso un progetto di crescita mirato, vuole facilitare il cambiamento seguendo un percorso autorigenerativo. In Italia è una pratica relativamente nuova mentre negli Stati Uniti s’è affermata da oltre vent’anni e numerosi studi ne hanno convalidato l’efficacia sul miglioramento delle performance individuali, relazionali e di produttività: le cosiddette “soft skills”. «Ne beneficiano di circa l’80 per cento», afferma la psicologa e life, business, corporate coach, Giovanna Giuffredi, commentando i dati emersi dalla ricerca effettuata dall’American management association sul coaching in contesto aziendale e in una chiave previsionale 2008-2018. I principali ambiti d’intervento, scorrendo poi le analisi dell’International coach federation del 2011, riguardano lo stile della leadership, la comunicazione, la valorizzazione delle persone, il team bulding, l’orientamento alle soluzioni, l’organizzazione, la pianificazione del lavoro, il time management e il work-life balance. Proprio quei requisiti su cui oggi si concentrano gli interessi delle aziende nella selezione dei futuri manager. In una fase di crisi e di forti cambiamenti, quali caratteristiche risultano vincenti in un candidato per farsi assumere? «Le soft skills sono sempre più apprezzate. Le competenze strettamente professionali si possono maturare con la formazione e con l’esperienza, mentre altre competenze legate agli atteggiamenti mentali, al modo di relazionarsi e di lavorare con gli altri, quando non sono doti naturali, si possono sviluppare con un attento lavoro su di sé o con un supporto esterno. Oggi le aziende cercano persone proattive, in grado di prendersi delle responsabilità, pronte a impegnarsi per raggiungere gli obiettivi, con atteggiamento collaborativo, orientate alle soluzioni, disposte a mettersi in gioco e a crescere, disponibili a viaggiare, ai cambiamenti, creative, aperte alle innovazioni, proiettate verso risultati
condivisi, in grado di valorizzare gli altri, di apprendere dalle esperienze». Su quali precisi aspetti interviene il coaching per aiutare chi è in cerca di lavoro? «Esistono percorsi di career coaching specifici, nei quali si lavora su diversi fronti. Da un lato, si agisce per facilitare la valorizzazione delle caratteristiche e delle risorse personali, anche con un bilancio delle competenze, degli interessi, dei talenti, dei valori, del livello di aspirazione e delle esperienze pregresse. Dall’altro, si affianca il cliente per trovare le informazioni utili e necessarie e mettere a punto una strategia per cercare attivamente un’occupazione. Si può lavorare per affrontare al meglio un colloquio di
lavoro o per esplorare le aree di mercato verso Giovanna Giuffredi, cui rivolgersi, per trovare i canali più funzio- psicologa, professional certified nali alla ricerca stessa del lavoro o per scrivere coach Icf, presidente di Life coach Italy un buon curriculum». Su quali elementi punta, invece, la formazione manageriale per creare negli imprenditori sfiduciati un ambiente favorevole al business? «È dimostrato che lo sviluppo di coach abilities apporta grandi benefici sia sul piano relazionale che di gestione dei processi aziendali. Intendo la capacità di creare un clima di lavoro sereno e funzionale, collaborativo e sfidante se necessario, basato sulla fiducia nelle potenzia- EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 71
COACHING
Oggi le aziende cercano persone proattive, in grado di prendersi delle responsabilità, pronte a impegnarsi per raggiungere gli obiettivi, con atteggiamento collaborativo, orientate alle soluzioni
lità delle persone; la capacità di ascoltare con renderli fluidi ed efficaci. Si tratta di far attenzione ed empatia le persone, di saper porre correttamente le domande per favorire la ricerca di soluzioni, di utilizzare un linguaggio specifico e diretto, favorendo il dialogo in modo assertivo; di focalizzare obiettivi e pianificare strategie gestionali funzionali alle persone, al team e all’azienda; di sostenere e stimolare la crescita delle persone e la consapevolezza di ciò che ha favorito i risultati ottenuti e di quali strategie permetteranno di ottenere quelli desiderati». Quale tipo di imprenditorialità, anche attraverso il coaching, si va prefigurando nei prossimi anni in linea con il piano europeo “Imprenditoria 2020”? «Le aziende del futuro dovranno misurarsi con un mercato globale sempre più competitivo. Il coaching può aiutare una realtà imprenditoriale a costruire e valorizzare un’identità aziendale unica e specifica, allineando mission e vision per rendere i prodotti riconoscibili e appetibili per il loro valore intrinseco. È necessario lavorare sulle persone, ma anche sui processi gestionali per
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emergere l’unicità delle persone, valorizzare le differenze e integrarle per avere gruppi creativi, funzionali e proiettati al successo di obiettivi condivisi. Il coaching, inoltre, accelera i processi decisionali, aspetto che in prospettiva farà la differenza tra chi cercherà di adattarsi al mercato che cambia e chi saprà cambiare il mercato». Come sta cambiando l’approccio dei manager ai workshop e ai corsi di formazione? «Le persone non cercano più solo contenuti. Il contesto formativo oggi ha sempre più un carattere laboratoriale ed esperienziale nel quale sperimentarsi. Se l’ambiente è favorevole a valorizzare le prove e anche gli errori in chiave d’apprendimento, senza giudizio, i risultati sono ottimali. Un taglio coaching, inoltre, facilita l’utilizzo dei contenuti dei percorsi formativi in chiave applicativa. È importante che le persone tornino nei propri ambiti professionali con le idee chiare su cosa cambiare e come, sviluppando una sorta di action plan in modo realistico, individuando indicatori di risultato da raggiungere».
Gian Paolo Montali
Superare i conflitti da spogliatoio «Lo sport è una metafora di forte appeal sulle persone» racconta Gian Paolo Montali. L’ex allenatore di volley oggi insegna a grandi società come Juventus, Unilever e Microsoft a essere pragmatiche e a vincere con il gioco di squadra Elisa Fiocchi
«È
possibile insegnare a un tacchino a salire in cima a un albero, però per quel lavoro sarebbe meglio assumere uno scoiattolo». Con questa frase Gian Paolo Montali introduce il titolo del suo libro “Scoiattoli e tacchini”, una testimonianza diretta di come si può vincere con il gioco di squadra, anche grazie alle esperienze che hanno scandito i suoi venticinque anni di carriera da allenatore di volley, i cinque scudetti e le quindici coppe alzate, il traguardo raggiunto di un mondiale e delle Olimpiadi. «È un libro in controtendenza rispetto a quelli classici che si occupano del coaching – spiega Montali – perché racconto episodi accaduti e in questo campo fa molta differenza ascoltare una persona che le cose le ha fatte veramente e non un coach improvvisato che non ha mai gestito organizzazioni o condotto team alla vittoria». Il vero segreto? Non è vincere una volta ma continuare a farlo. Come si diventa professionisti vincenti attraverso il gioco di squadra? «Il vero vantaggio competitivo di continuare a vincere, anche nei momenti di maggiore criticità, consiste nel convincere le persone che non hanno nulla in comune l’uno con l’altra - età, pelle, lingua, religione e stipendi diversi - a giocare insieme e passarsi la palla. Convincerli che se si vuole vincere come squadra, qualcuna di queste persone dovrà ogni tanto rinunciare a qualcosa di proprio a vantaggio di uno dei compagni».
Gian Paolo Montali, membro del comitato scientifico e docente presso la Business school del Sole 24 Ore, docente del master in Strategia e pianificazione eventi sportivi presso l’Università di San Marino e Parma
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COACHING
L’attuale fase di congiuntura economica ha cambiato le aspettative degli imprenditori? «In questi ultimi anni importanti aziende si sono rivolte a me per una consulenza perché la nostra società si trova ad affrontare situazioni di criticità e c’è paura, anche terrore, del cambiamento. Ciò che invece le persone sono chiamate a cogliere oggi è proprio l’opportunità del cambiamento in termini di crescita e di arricchimento delle proprie conoscenze. Le aziende hanno bisogno di persone con le idee chiare, che sappiano gestire i forti cambiamenti e abbiano la capacità di convincere gli altri che per soddisfare i propri bisogni personali nel mondo del lavoro, acquisire nuovi privilegi ma soprattutto mantenerli, devono fare vincere la propria squadra». Lei sostiene il coaching indipendente: quali vantaggi offre? «È molto importante e risulta vincente per la sua forma indipendente e trasversale. Facciamo un esempio: se una persona che ha lavorato nelle comunicazioni è inserita in
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un’azienda del medesimo settore, trovandosi ad analizzare dieci problemi individuerà otto o nove soluzioni simili a quelle dei suoi colleghi. Se invece si prende una persona estranea al settore all’interno di questo gruppo di lavoro, potrà dire sette cose di nessuna importanza ma esporne tre che fino a ieri gli occhi degli altri non erano in grado di vedere». L’Italia ha recepito questo messaggio trasversale? «L’idea di avere un coaching indipendente non è ancora ben capita mentre è proprio da questa apertura a 360 gradi che si trovano gli strumenti per andare avanti da soli. Coloro che fanno coaching e formazione offrono troppo spesso un appoggio quasi medico al proprio cliente, mentre sono sufficienti anche pochi interventi, ma mirati per ampliare le vedute e gli orizzonti. Chi occupa un ruolo di vertice in un’azienda ha certamente le competenze ma probabilmente le ha smarrite, esattamente come quando si entra in casa con le proprie chiavi e prima di uscire
Gian Paolo Montali
Spesso le persone si presentano con i migliori master e università in giro per il mondo, ma poi in fase di confronto questa preparazione non emerge
non le si trovano più. Eppure sappiamo con certezza che sono all’interno dell’abitazione». Quali sono allora i campanelli d’allarme nella selezione di un candidato? «Quando sono chiamato ad analizzare candidati per i posti di comando, mi accorgo come spesso le persone si presentano con i migliori master e università in giro per il mondo, ma poi in fase di confronto questa preparazione non emerge. Molto spesso, infatti, chi partecipa a questi corsi ha lo stesso atteggiamento di Charlie Brown in una delle sue strisce dove dice “datemi un’altra giornata sulla quale rotolarmi”. I giovani di oggi fanno la stessa cosa: “datemi un altro master sul quale rotolarmi, lo inserisco sul curriculum così un’azienda sicuramente mi assumerà”. Ma così facendo non si sviluppa un forte senso di autoresponsabilizzazione verso ciò che si è chiamati a fare, tanto meno ci si applica per le cose che si stanno facendo». Da queste mancanze nascono i maggiori problemi per le aziende? «Molti difficoltà di problem solving si origi-
nano in questo modo. Ci sono persone ai posti di comando che non sono capaci di prendere decisioni, soprattutto oggi, che ci sono periodi di tensione e di cambiamento. Tra le altre criticità si riscontrano problemi di organizzazione, mancanza di gioco di squadra e gestione dei conflitti e delle leadership. Bisogna dunque insegnare alle persone a essere pragmatiche e lucide perché perdere la lucidità nel posto di lavoro significa perdere competenze a discapito dell’organizzazione. In questo settore, invece, ci sono troppe figure che fanno girare l’aria e offrono consulenze concentrandosi troppo sull’aspetto emozionale che certamente è importante ma non è il solo». Esiste il profilo di un candidato e di un manager ideale? «Ci sono due parametri su cui maggiormente insisto quando un’azienda è a caccia di un capo carismatico. Non mi concentro unicamente sulle alchimie tecniche o tattiche o cerco una competenza particolare, la differenza sta nell’area della capacità di motivare e di gestire la comunicazione. Fare in modo, cioè, che queste due cose arrivino ai giocatori nel modo giusto creando empatia. In sintesi, bisogna dimostrarsi capaci in merito alle competenze, senza le quali si perde di credibilità, e dimostrare anche l’abilità di saper comunicare e motivare». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 75
COACHING
Metodo e creatività «Il suo successo nasce dalla capacità di supportare le aziende nelle sfide e nei cambiamenti complessi» spiega Simone Piperno. «La percentuale di manager e imprenditori che vi ricorre è più che raddoppiata negli ultimi anni, quelli della crisi» Elisa Fiocchi
I Simone Piperno, giornalista e formatore nell’ambito della comunicazione personale e del web marketing
l coaching è ormai considerato uno dei più efficaci metodi di intervento per il cambiamento all’interno dei processi aziendali e per la crescita delle persone. Le diverse forme in cui viene adottato questo metodo di allenamento mirano essenzialmente al raggiungimento degli obiettivi, all’elevazione degli standard di performance e a una formazione che renda l’organizzazione, o la persona, autonoma di procedere con gli strumenti e i metodi acquisiti nel corso del training. Nel libro “Il coaching creativo”, che il giornalista e formatore Simone Piperno ha redatto assieme a Maria Rita Parsi e a Massimo Del Monte, la metodologia d’intervento cura in particolare il processo di pensiero creativo e mette a disposizione dei professionisti del settore una raccolta di tecniche d’intervento non solo nell’ambito del coaching ma anche in quello della consulenza psicologica e in alcuni casi nella psicoterapia individuale e di gruppo. «Si tratta di un approccio formativo, creativo e multidimensionale, costituito da specifiche fasi – racconta l’autore – da una serie di procedure e da tecniche che hanno l’obiettivo di aiutare persone, gruppi di lavoro, aziende e organizzazioni a elevare le performance e arricchire il potenziale umano». In che cosa consiste la metodologia del coaching creativo? «Integra il coaching con il valore aggiunto offerto dallo sviluppo del processo creativo, che permette di incrementare il livello di moti-
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vazione, di propensione al cambiamento e al lavoro di squadra. Una delle finalità è stimolare e mappare le risorse creative del cliente, di organizzarle adeguatamente per poi rielaborarle e rimodellarle in funzione dei suoi obiettivi. I passi successivi conducono alla definizione di un piano di azione e di autosviluppo che verrà monitorato e misurato in collaborazione con il coach». Quali sono i modelli di riferimento da seguire in un primo approccio alla disciplina? «Le nostre basi teoriche sono quelle dell’analisi transazionale, della programmazione neurolinguistica, della psicologia umanistica, degli studi sulle neuroscienze sul processo creativo, l’intelligenza emotiva e il problem solving inventivo. L’interesse per le neuroscienze nasce dalla volontà di fornire validazione scientifica alle tecniche e ai modelli di intervento che utilizziamo». Il crollo di certezze dovuto alla crisi economica, ha in qualche modo influenzato il ruolo del coach e le tecniche d’intervento? «In un momento in cui diminuiscono le ri-
Simone Piperno
Dirigenti e imprenditori utilizzano il coaching per motivare i collaboratori e comunicare in modo più efficace, creativo e coinvolgente
sorse, i ritmi di lavoro sono più intensi e i cambiamenti radicali, l’investimento nel coaching costituisce un “risparmio” a medio termine, perché permette di ottimizzare ruoli e risorse, riorganizzare processi e attività e motivare il personale. Le organizzazioni ricorrono sempre di più a una formazione personalizzata, capace di trovare nuove idee percorribili e di valorizzare le potenzialità dei professionisti in azienda, vero motore del cambiamento». Quale profilo aziendale oggi investe maggiormente sul coaching e la formazione manageriale? E con quali obiettivi? «La percentuale di manager e imprenditori che vi ricorrono è più che raddoppiata negli ultimi anni, quelli della crisi, sebbene siamo ancora lontani alle dimensioni dei mercati più sviluppati. Dirigenti e imprenditori utilizzano il coaching come supporto personale per trovare strategie di leadership, motivare i collaboratori e comunicare in modo più efficace, creativo e coinvolgente. Con alcune pmi stiamo sviluppando attività di change management, partendo dagli obiettivi aziendali e costruendo progetti, coerenti con le esigenze e le criticità affrontate dal personale.
Per le piccole imprese supportiamo l’imprenditore nell’elaborazione di nuove strategie e nella crescita della motivazione del personale, per incrementare le performance e i risultati. Inoltre, una parte importante del nostro lavoro si svolge in partnership con un importante centro di formazione manageriale per supportare dirigenti che hanno perso il lavoro attraverso percorsi di career coaching». In generale, gli italiani si dimostrano più allenati ai cambiamenti rispetto al passato o esistono ancora abitudini socio-culturali che frenano il successo in ambito professionale? «Notiamo una trasformazione costante nell’approccio dei nostri clienti alle tematiche della formazione e del coaching; le persone stanno superando preclusioni e comportamenti difensivi, spinti dalla curiosità verso le potenzialità di questi metodi. Durante le sessioni di team coaching, notiamo come l’approccio delle persone si modifichi in modo evidente durante il percorso, dal momento in cui ci prendiamo cura delle loro aspettative e motivazioni, costruendo i percorsi non soltanto sulla base delle strategie del dirigente o dell’imprenditore, ma anche sugli obiettivi dei collaboratori. I visi diventano meno tesi, gli sguardi rilassati e la fiducia cresce, permettendo a tutti di dare il massimo e raggiungere i risultati sperati».
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COACHING
Come cogliere il cambiamento In Italia solo il 10 per cento di chi lavora in azienda ha frequentato un corso sulle soft skills: «Proprio nei momenti di crisi bisogna investire sulle persone e sulle risorse. Le aziende che lo fanno sono guidate da manager lungimiranti e moderni». Lo spiega Roberto Re Elisa Fiocchi
L’
A destra, Roberto Re, presidente e master trainer di Hrd training group
obiettivo di ogni corso che si svolge alla Hrd training group è far crescere le persone come individui e mettere tutti i partecipanti nelle condizioni di arricchirsi profondamente attraverso l’applicazione sul campo e all’istante dei concetti e delle informazioni acquisite. «Una delle tematiche più importanti che affrontiamo» spiega Roberto Re, coach e presidente della società, «consiste nell’approccio al cambiamento e alla sua gestione esterna e interna, cioè come lo si vive e come lo faccio vivere a chi mi circonda». Nei suoi corsi, a cui hanno partecipato oltre 200mila persone, si perfeziona anche la gestione di sé, «ovvero il saper coniugare la vita personale con quella professionale, perché senza equilibrio è difficile potersi gestire». Aspetti, insomma, particolarmente attuali in una società che affronta la crisi economica e impone ritmi sempre più serrati. L’errore comune è precipitare nelle domande sbagliate: che cosa devo fare? Quando mai ne usciremo fuori? «Oppure – ricorda Re – ci si può chiedere come utilizzare le risorse che ognuno di noi possiede per ottenere buoni risultati». Perchè la metafora della palestra è calzante in un periodo socio-economico come quello attuale? «Se ho un personal trainer che mi segue, m’allenerò meglio ricevendo un feedback esterno che mi permette di avere un’arma in più. Se questo trainer è bravo e capace e mi consente di vedere ciò che mi sfugge, guardando le cose in modo diverso, offrendomi le giuste indicazioni, fa ancora più la differenza». Quali caratteristiche vincenti attraggono
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oggi le aziende? «L’atteggiamento e l’attitudine del candidato sono più importanti rispetto alle competenze che risultano più facili da acquisire. Una persona che s’inserisce nel team, deve essere in grado di portare soluzioni e non problemi, energia positiva e collaborazione. Nei momenti di stress, dove la tensione è più alta e le relazioni diventano più difficili, chi ha questa capacità ha un’arma in più degli altri». La pratica del coaching quali miglioramenti reali ha dimostrato di apportare alla produttività del personale? «Riprendo l’esempio della palestra. In un mondo in cui ci si muove di meno e c’è più stress, frequentare un centro sportivo è diventato molto importante. Trent’anni fa, ad esempio, non ci andava nessuno, mentre oggi è uno stimolo in più; le persone si rendono conto che questa vita pressante ci chiede qualche strumento e conoscenza maggiore rispetto al passato». Come nel concreto interviene il coach? «Un buon coach deve fare in modo che la persona sfrutti al meglio il suo potenziale e si faccia le domande giuste per stimolare i pensieri giusti. Le domande che ci facciamo, infatti, influenzano i pensieri che ci facciamo e le risposte che, alla fine, troviamo. Un buon coach aiuta dunque le persone a fare i pensieri più giusti e più produttivi per sé, sulla base dei risultati che vuole ottenere».
Roberto Re
Quali sono gli errori più comuni che commettono i candidati in fase di colloquio? «L’errore di base è rimanere agganciati alla vecchia mentalità cioè ho preso un bel voto, sono molto preparato e mi merito di essere assunto. Se è questo che mi aspetto, sbaglio. Il secondo errore non è cosa dimostrare ma cosa dovrei essere, e purtroppo i ragazzi di oggi se per certi versi sono avanti anni luce rispetto al passato, fanno i conti con un aspetto limitante: aver avuto una vita troppo facile che non li aiuta dal punto di vista dello spessore emozionale e della gestione delle difficoltà. Proprio ciò che un’azienda si aspetta oggi. Non a caso, gli attuali colloqui prevedono sempre di più una serie di test attitudinali o di stage nei quali emerge come una persona si comporta in determinate situazioni». Quali aziende oggi investono sul coaching e la formazione manageriale? «Quando c’è crisi, le aziende tendono a non inve-
stire ed è quanto di più sbagliato si possa fare, perchè proprio in questi momenti bisogna puntare sulle persone e sulle risorse. Le aziende che scelgono invece di investire sono quelle guidate da manager più lungimiranti e anche più moderni, cioè svincolati dai vecchi schemi. Quarant’anni fa non c’erano i preparatori atletici nello staff delle squadre di calcio, ma oggi ne fanno parte ed è meglio averli nel team». Le aziende italiane hanno colto l’importanza del coaching aziendale? «Da un dato statistico emerso dall’analisi delle persone che lavorano nelle aziende italiane in diverse posizioni è emerso che solo il 60 per cento di loro ha frequentato almeno un corso di formazione, quindi il restante 40 risulta, da questo punto di vista, un analfabeta. Ma la cosa più interessante è che solo il 10 per cento ha frequentato un corso riguardante le soft skills, cioè, la comunicazione, la leadership e la gestione delle risorse. È un dato che fa riflettere: nel nord Europa lo scenario sarebbe stato l’opposto. L’Italia è indietro di vent’anni». Quale tipo di imprenditorialità si va prefigurando nei prossimi anni? «Oggi cresci e migliori o soccombi. Le persone mentalmente avanti trovano altre risorse, soluzioni e idee mentre chi rimane ancorato al passato viene spazzato via perchè la velocità del cambiamento è tale da non permettere di rimanere indietro. Se un’azienda come la Kodak è fallita perchè non si è resa conto che il mercato delle macchine fotografiche stava cambiando, figuriamoci il piccolo imprenditore». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 79
Quando impareremo a tutelare l’economia reale? Stefano Normanni incide il corpo del sistema Italia, alla ricerca di una possibile cura della malattia. Le diagnosi si moltiplicano, mentre ci si addentra nel mondo caleidoscopico delle Pmi nostrane. «La crisi nasce da scelte finanziarie prese in “mondi” lontani dalla nostra ossatura industriale» Remo Monreale
ai come in questo periodo la classe imprenditrice si è dimostrata bisognosa, da sostenere e da indirizzare. L’Italia, rispetto ai paesi stranieri, paga il dazio di un’economia sorretta da un enorme numero di aziende sottodimensionate, di conseguenza poco competitive
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sui mercati esteri e i cui direttivi dimostrano spesso poca cultura manageriale. Un’analisi che trova d’accordo molti analisti, nonostante le numerose pieghe che compongono la crisi. In questo contesto le società di consulenza professionale rappresentano, nel peggiore dei casi, quanto meno uno strumento prezioso per una disamina
Stefano Normanni
Il dottor Stefano Normanni, titolare dell’omonimo studio con sede a Imola (BO) www.normanni.com
che si voglia approfondita. Tra queste lo studio Normanni, guidato da Stefano Normanni, è un caso raro di studio professionale nato inizialmente con una funzione di sola consulenza contabile e fiscale, divenuto successivamente società per azioni (Stevenandpartners Spa). «Purtroppo – analizza Normanni – va ricordato che la crisi non nasce nella cosiddetta “economia reale”, ma da scelte finanziarie scellerate, che traggono origine da “mondi” lontani dalla nostra ossatura economica e industriale, costituita da Pmi. Certamente la cultura d’impresa e la managerialità sono deficit che vanno colmati, e in qualche caso le aziende si sono sviluppate ben oltre la comprensione del fenomeno senza essere tutelate e indirizzate nel giusto senso. Ma i segnali dagli imprenditori ci sono stati e talvolta sono stati anche decisi e perentori. Eppure, al “grido d’aiuto” quasi mai è seguita la risposta politica adeguata: non un piano industriale né un progetto di tutela delle aziende esportatrici». Che cosa ha rappresentato il 2012 per la Steven&Partners? Quali sono stati i risultati e gli obiettivi conseguiti più rilevanti? «L’anno appena trascorso è stato un anno di transizione. La società ha ultimato il trasferimento nei nuovi uffici, presso il complesso Imola Forum, e ha concentrato e potenziato presso la nuova sede impianti, tecnologie e dotazioni informatiche. Avremmo potuto investire maggiori risorse, ma il “ciclone” che ha investito il Paese non ci ha permesso distrazioni. Alcuni dei nostri clienti hanno chiuso, ma a molti abbiamo evitato la stessa sorte, proprio perché la nostra attenzione è stata esclusivamente dedicata a piani e strategie commerciali, finanziarie e logistiche, con l’unico fine di salvare aziende e strutture con spalle solide. L’impegno è stato pressante e ha
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IL NUMERO COMPLESSIVO DELLE IMPRESE RIVOLTESI ALLO STUDIO NORMANNI PER CONSULENZA E CONTABILITÀ AZIENDALE
coinvolto l’intera struttura: in più occasioni ho smesso la mia veste di professionista per star vicino umanamente a imprenditori e piccoli artigiani, improvvisamente di fronte a decisioni per certi versi irrevocabili e da prendere in breve tempo. In ogni caso, siamo riusciti a mantenere margini soddisfacenti e ad ampliare ancora la platea di aziende che si sono rivolte a noi per l’ampia gamma di servizi offerti». Quali sono state le linee guida che vi hanno permesso questi risultati? «Non ci siamo fermati all’impianto contabile. Dobbiamo entrare in sinergia con l’imprenditore, dobbiamo tutelare i suoi progetti e aiutarlo a realizzarli, dobbiamo tutelare il loro know- EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 81
CONSULENZA
LA CONSULENZA A PORTATA DI CLICK i chiama Circolare per l’Impresa e segna il tentativo di sfruttare, quanto più è possibile, l’esperienza accumulata in anni di consulenza, con le nuove tecnologie a disposizione. Nato in seno alla Steven&Partners, una costola dello studio Normanni, il nuovo strumento multimediale è stato pensato per offrire numerosi servizi. A parlarne è lo stesso titolare dello studio, il dottor Stefano Normanni, all’interno del settore da più di vent’anni. «La Circolare per l’Impresa – dice Normanni – rappresenta il nuovo servizio informativo on line creato da Steven & Partner con il particolare intento di soddisfare le esigenze di informazione delle Pmi. Più precisamente possiamo dire che l’obiettivo finale è di supportare l’imprenditore nelle scelte strategiche e di gestione quotidiana dell’azienda attraverso un’informazione selezionata e catalogata in diversi ambiti disciplinari». Uno dei maggiori vantaggi del web sta, com’è noto, nella velocità in cui le informazioni possono essere divulgate. Un aspetto su cui la Steven&Partners ha decisamente puntato. «Con un solo click – dice Normanni –, l’imprenditore o il suo collaboratore possono accedere ad un “cruscotto” informativo on line aggiornato su base settimanale, che fornisce le più recenti novità ripartite nelle seguenti rubriche: Business opportunity e Finanza agevolata, Internazionalizzazione per l'impresa, Scenari di settore, Economia e Finanza, Diritto, Società e Fiscom, Lavoro e previdenza. Inoltre, sono disponibili anche una serie di interventi di approfondimento periodici predisposti da alcuni dei migliori esperti del settore, erogati con le medesime modalità on line, e dedicati agli argomenti di maggior rilievo del periodo».
S
how e diffonderlo con le dovute cautele, dob-
biamo preservare le aziende sane di questo paese e promuovere lo sviluppo di quelle che hanno buone possibilità di presa sui mercati». Uno dei fattori maggiormente critici sta nel rapporto tra banche e imprese. Quali sono i
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problemi maggiori che lei osserva sul territorio regionale? «Non basta dire che le banche “non fanno più il loro mestiere”, e cioè l’erogazione del credito a imprese e famiglie. Bisogna anche considerare da un lato l’estrema diffidenza maturata dagli Istituti di credito di questo Paese nei riguardi della platea di imprenditori, e dall’altro, il “malessere” finanziario che ha travolto le stesse banche (come i titoli tossici). La congiuntura ha dato origine a una “crisi nella crisi”. Le raccomandazioni della Banca d’Italia erano state chiare: le banche non dovevano chiudere le porte ma continuare a finanziare le imprese. Così purtroppo non è stato». Chi ha fatto le spese di questa chiusura? «È un problema che ha colpito tutti, indiscriminatamente. Anche da noi la crisi sta provocando danni ingenti, talvolta il diniego a piccole
Stefano Normanni
I segnali delle aziende sono stati decisi. Ma al “grido d’aiuto” quasi mai è seguita una risposta politica adeguata
iniezioni di liquidità da parte delle banche non fa altro che aggravare definitivamente situazioni che, forse, potevano essere risanate. Il problema della liquidità è certamente quello più sentito, a volte per il pagamento degli stipendi, per saldare i fornitori o versare il canone di locazione del capannone. Occorre che le banche si “avvicinino” con più fiducia al territorio, ne sostengano il tessuto sano, anche attraverso nuovi strumenti di credito. Non possono lasciare solo l’imprenditore in questo momento». Su cosa occorre fare leva affinché si possa allentare la stretta creditizia? «Occorre tornare alla politica del credito legata al territorio, se siamo in Emilia-Romagna non possiamo guardare ad altre realtà, alla realtà Nazionale: occorre dare risposte qui, in sede locale, abbandonando per un momento indici e parametri validi per tutto il Paese e definire sul posto il senso e l’entità dell’intervento: una sorta di “federalismo del credito” (inteso nel senso più alto del termine). Questa potrebbe essere una
prima risposta, il resto deve arrivare da strumenti di credito più elastici, non stringenti come quelli attuali, bisogna diluire scadenze, allentare la morsa sulle garanzie». E che ruolo può ricoprire una realtà come la vostra? «In questo campo il nostro intervento purtroppo è limitato proprio dal muro sollevato dalle banche. Come professionista posso presentare piani e strategie dettagliati, ma la valutazione bancaria in questo Paese è ancora molto legata a fattori personali. In sostanza, di fronte ad un piano industriale significativo e importante, ciò che farà la differenza sarà la caratura dell’imprenditore o dei soci della società, sarà l’aggravante dell’età del giovane imprenditore. Insomma, il piano potrebbe essere perfetto, ma, paradossalmente, per le banche potrebbe non essere sufficiente. Ecco bisognerebbe uscire da quest’ottica personale e avere uno sguardo più ampio». Quali gli errori più frequenti in cui cadono le Pmi nel presentare i loro progetti agli istituti di credito? «A volte sono errori, a volte sono vere e proprie ingenuità, ed è qui che il nostro intervento può essere determinante. Il più delle volte i progetti si soffermano su risultati certi e immediati (o presunti tali), sulla sicurezza della riuscita dell’iniziativa. Secondo me, è questo l’errore più frequente. Le banche preferiscono il respiro lungo. Un progetto, per esser tale, deve dimostrarlo nel tempo, negli anni. Una performance positiva sul lungo periodo è certamente da preferirsi al risultato immediato. Non esiste un progetto perfetto, ma progetti perfettibili certamente sì. Nel nostro piccolo, sollecitiamo l’imprenditore a mi- EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 83
CONSULENZA
surarsi con risultati sul lungo
periodo, un periodo in cui l’azienda deve crescere e svilupparsi». Tra i progetti della Steven & Partners, anche lo sviluppo di un nuovo network per i professionisti. «I nostri partner, grazie alla nostra struttura, possono diventare un punto di riferimento primario per il sistema economico locale, mantenendo però la propria autonomia. Noi offriamo loro un supporto, una struttura avanzata. Oltre all’opportunità di confrontarsi con decine di altri colleghi. L’obiettivo è creare una squadra capace di incrementare e migliorare il proprio business, ottimizzando e diversificando i servizi offerti ai clienti, riducendo i costi di gestione. Non a caso, abbiamo denominato il network “Associazione di competenze per un sistema competitivo”. I professionisti potranno offrire tutta una serie di consulenze che, attualmente, per struttura organizzativa o perché oberati dalle scadenze e dalle continue richieste dei clienti, non riescono a offrire».
Non esiste un progetto perfetto, ma progetti perfettibili certamente sì. Noi sollecitiamo l’imprenditore a misurarsi con risultati sul lungo periodo 84 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2013
Quali vantaggi comporta essere una delle poche realtà italiane, del mondo della consulenza professionale, strutturata come società per azioni? «Certamente la nostra forza risiede in primis nel radicamento sul territorio emiliano-romagnolo, anche se abbiamo esperienze extra-regionali. La nostra struttura si compone di collaboratori esperti e costantemente aggiornati, oltre alle collaborazioni esterne (legali, tributaristi, consulenti del lavoro, e altri). Il vantaggio immediato è la differenziazione dei servizi e delle prestazioni. Normalmente, invece, lo studio professionale si ferma alla prestazione di uno o più servizi. Quindi, chi si rivolge a noi non deve preoccuparsi di trovare un legale di fiducia cui affidare il proprio contenzioso giuridico, non deve cercare un tributarista per il contenzioso fiscale: noi siamo tutto questo. E anche di più».
CONSULENZA
Danni ignorati, le imprese e gli enti locali dovrebbero attivarsi Le imprese e gli enti pubblici potrebbero recuperare importanti somme per danni di bilancio derivati dall’assenza di un dipendente causata da terzi. Adolfo Veneziani spiega in quali casi, a quali condizioni e con quali strumenti Manlio Teodoro
siste una categoria di crediti, lontana dai riflettori, eppure non meno importante dal punto di vista economico. Si tratta del recupero crediti per danni derivati da cause di terzi e che però riverberano i loro effetti negativi sui bilanci sia delle imprese private, sia
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su quelli degli enti pubblici. Ecco alcuni esempi. Se una persona fisica può subire danni materiali, biologici, lesioni patrimoniali o morali, le aziende, oltre danni al patrimonio, possono subire danni per l’assenza di un dipendente che è però stata causata da terzi. E questo vale anche per gli enti pub-
Adolfo Veneziani
blichi, che come le imprese private sono costrette a corrispondere salari e stipendi in assenza forzata del dipendente, operaio impiegato o dirigente. Secondo i dati raccolti da Adolfo Veneziani, consulente per le imprese e titolare di Assinet, società di recupero sinistri stradali, danni diversi e crediti: «Un’azienda con 4mila dipendenti che esercita correttamente i propri diritti potrebbe incassare dall’assicurazione o dal diretto responsabile del danno, per ogni anno, una somma che può arrivare a 200mila euro». Ma qual è la situazione in generale? «L’80 per cento delle aziende non esercita questi diritti. Fanno eccezione gli Enti Statali. Paradossalmente si può quindi affermare che per quest’ordine di questioni lo Stato sia più efficiente dei privati, tuttavia si discostano da questa generalizzazione alcune grandi imprese». Veneziani prosegue spiegando quali motivazioni si trovano alla base di queste carenze fra le strutture private e gli Enti locali. «Le motivazioni sono le più disparate. Alcuni sostengono di ignorare il problema, altri di aver provato ad avviare una pratica di recupero, senza però ottenere risultati. Altri ancora sono convinti che si tratti di una richiesta addirittura illecita. Esiste poi una resistenza a svolgere nuove funzioni, mai esercitate prima. È vero che l’esercizio di questi diritti, prima del 1993, veniva respinto dalla giustizia ordinaria, seb-
L’80 per cento delle aziende non esercita i diritti per i danni di sinistri causati da terzi nei confronti dei dipendenti
bene con argomentazioni spesso poco convincenti. In seguito è stato riconosciuto, e oggi è un punto fermo, che l’impresa o il datore di lavoro, corrispondendo salari e stipendi in assenza forzata della prestazione di lavoro, subiscono un danno effettivo e hanno diritto al risarcimento. Aggiungo che privati, aziende ed enti locali dovrebbero tenere sempre presente che qualsiasi certificato medico pervenuto è una cambiale passiva con numerose scadenze, per ultima quella del Tfr. In tale ottica occorre sapere che quel certificato è conseguenza della colpa di terzi». Cosa motiva dunque il disinteresse delle imprese? «Innanzitutto perché per occuparsi direttamente della questione dovrebbero istituire degli uffici preposti. Proprio per la complessità delle operazioni recupero, però, esistono società come la nostra, che forniscono tutta l’assistenza necessaria e chiedono un compenso soltanto a esito raggiunto. E, naturalmente, prima di avviare il processo, la nostra società analizza la situazione debitoria, verificando tutti i casi e individuando quelli casi possono essere prossimi alla prescrizione e quindi procedere alla messa in mora del debitore o della sua compagnia di assicurazione. In questo modo è possibile predisporre una griglia di osservazione e avere in evidenza fin dall’inizio i casi da seguire e quantificare i danni realmente patiti e recuperabili».
La società di recupero sinistri stradali, danni diversi e crediti Assinet ha sede a Piacenza www.assinet.net
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TECNOLOGIE
Identificazione automatica, un costo o un’opportunità? È un campo che acquista sempre più credito anche in Italia, nonostante le molte problematiche che inibiscono gli investimenti. Giorgio Solferini si addentra nel tema Auto-ID, tra nuove opportunità e vecchie resistenze. «Sono sempre di più le categorie che richiedono queste soluzioni» Renato Ferretti
osto o investimento? Quando un prodotto è realizzato per migliorare le performance delle altre attività d’impresa, il suo destino commerciale è inesorabilmente legato alla cultura imprenditoriale che incontra: chi non ne comprenderà i vantaggi continuerà a vederlo come una spesa che si può evitare. «E in Italia non sono in pochi, c’è ancora molto
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da fare». A sostenerlo è Giorgio Solferini, presidente dell’Alfacod con sede a Bologna, da anni nel campo dell’identificazione automatica (o AIDC). «È quell’attività – spiega Solferini – che permette a certi processi aziendali di utilizzare degli strumenti elettronici per raccogliere in modo più veloce e più preciso i dati, rispetto a quanto farebbe l’uomo».
Giorgio Solferini
Giorgio Solferini, presidente dell’Alfacod con sede a Bologna www.alfacod.it
Una definizione che da sola basta a far intuire le possibilità di miglioramento di gestione per certi settori. «In realtà sono sempre di più le categorie che richiedono le nostre soluzioni hardware e software: annoveriamo clienti sia piccoli che grandi, dal manufatturiero al logistico, al commerciale, ma anche il terziario e quindi le aziende di servizi. Insomma, ovunque ci sia bisogno di raccolta dei dati e soprattutto quando questa debba avvenire in movimento. Sicuramente la logistica è uno dei settori più importanti per noi, insieme a quelli con problemi di gestione merci in magazzini. Ultimamente il manufatturiero sta crescendo come comparto di riferimento per le nostre realizzazioni, in particolare per le attività legate al processo di controllo avanzamento di produzione. Inoltre stanno aumentando anche le flotte di camion e automezzi per consegne o ritiro merce, oppure raccolta di ordini, che si rivolgono a noi». In termini numerici, quindi, che performance avete riscontrato dopo questi incrementi? «Positiva, nonostante la difficoltà operativa che siamo costretti ad affrontare a causa della crisi economica. Bisogna precisare che la specializzazione è un valore molto richiesto soprattutto nei periodi in cui le spese devono essere più contenute. In questo periodo le aziende spendono il meno possibile? Vuol dire che cercano il valore e la più alta redditività nei propri investimenti. E noi diamo un’opportunità di crescita. In definitiva, quindi, possiamo cogliere degli aspetti vantaggiosi nella crisi. Ma per mantenere certi livelli è necessario dimostrarsi all’altezza: significa investire sulla competenza e mantenere il livello di risposta ottenuto fi-
27 mln
27 anni
IL FATTURATO COMPLESSIVO DEL GRUPPO BOLOGNESE ALFACOD, REGISTRATO ALLA CHIUSURA DEL BILANCIO 2012
L’ESPERIENZA CHE L’ALFACOD PUÒ VANTARE NEL SETTORE DELL’IDENTIFICAZIONE AUTOMATICA
nora. Contiamo molto sulla nostra esperienza: operiamo in questo settore da oltre 27 anni, e gli sforzi fatti fin dall’inizio sul nostro core business ci hanno permesso una struttura aziendale che pochi possono vantare». A proposito di concorrenza, qual è il tema scottante degli ultimi tempi all’interno nel vostro campo? «La raccolta dei dati in mobilità è l’argomento più discusso. Intendo sia la mobilità interna alle fabbriche o ai magazzini, quindi la raccolta del dato attraverso il computer, sia quella che noi definiamo outdoor, quindi raccolta di dati ovunque si trovi l’operatore: in un camion, all’interno di stabilimenti di aziende clienti, ma anche in un’autoambu- EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 91
TECNOLOGIE
PER UNA CULTURA DELL’AUTO-ID el 2008 è nata l’Accademia Italiana dell’AIDC, da un’idea di Giorgio Solferini, presidente dell’Alfacod. «Si tratta – spiega Solferini – di una struttura totalmente “no profit” nata allo scopo di divulgare, attraverso seminari e iniziative di scambio e di conoscenza fra gli addetti ai lavori, la cultura tecnica in materia d’identificazione automatica, oggi sempre più pervasiva. È nata dalla consapevolezza della mancanza di una cultura depositata del nostro settore. Questa era appannaggio solo delle aziende specializzate come l’Alfacod. Per questo mi sono sentito in dovere di trasmettere le nostre conoscenze, oltre a cogliere un beneficio di ritorno nella divulgazione dell’importanza che l’AIDC può avere. L’impegno in questo progetto è stato dei più intensi: abbiamo creato una sala meeting che può accogliere 75 persone, l’abbiamo strutturata con tutte le tecnologie Hi-Fi per la voce e proiezioni, e da allora abbiamo creato un’ottantina di eventi con una partecipazione di circa 1500 persone».
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lanza. Quello che offriamo in questo senso
sono prodotti professionali e non “consumer”, come tablet o smartphone che pure possono raccogliere dati. A differenza di questi ultimi, i nostri prodotti sono nati con l’obiettivo intrinseco di essere robusti, affidabili e con una altissima stabilità della piattaforma, cioè garantiamo che non diventino obsoleti in tempi brevi: in altre parole assicuriamo la compatibilità anche con le installazioni più vecchie». Come cambia in concreto la vita quotidiana dei lavoratori che ne usufruiscono? «Si prenda l’esempio del vecchio equipaggiamento per le flotte dei tecnici, come quelli
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che prestano attività esterne alla propria azienda: prima usavano strumenti tradizionali, come cataloghi, block notes e telefoni. Oggi, invece, con un piccolo terminale portatile possono collegarsi ai database di cui hanno bisogno, oppure collegarsi con l’azienda e quindi scambiare tutti i dati disponibili con la sede. Non si tratta di un piccolo cambiamento, se si considera la capacità di processazione che i centri di elaborazione dati, interni alle aziende, spesso hanno. L’operatore porta con sé solo un piccolo strumento, con un display, una tastiera e un lettore di codici a barre, e comunica la richiesta senza errori alla sede, che in tempi brevissimi risponde dando lo stretto necessario per far svolgere così il compito nel modo più veloce e qualitativo. Ma in Italia tutto questo dovrebbe essere compreso da un numero maggiore di aziende: non tutti colgono le opportunità dell’identificazione automatica». Sembra di capire che riscontrate delle
Giorgio Solferini
Oggi, con un piccolo terminale portatile, ci si può collegare in tempo reale ai database presenti in azienda
differenze nella diffusione delle soluzioni di AIDC fra il mercato italiano e quello europeo. Quali sono i fattori che le determinano? «Credo che siano dovute in buona parte alla tipologia del tessuto industriale. Qui sono moltissime le piccole e micro-aziende, cosa che non avviene all’estero. Cambiando le dimensioni spesso cambia la mentalità nell’approccio aziendale, risultando in definitiva un elemento frenante in Italia. In più gli imprenditori italiani sono oberati dai costi, quindi lo slancio agli investimenti è certamente inibito». Voi siete i fondatori dell’Accademia italiana dell’AIDC. Che importanza ha e che ritorni ha ottenuto? «L’Accademia è uno strumento per far capire l’importanza della tecnologia legata all’AIDC nel modo più semplice. Lo sforzo che abbiamo profuso per fondarla ha dato i suoi frutti: oggi l’Accademia sostituisce, anche se non del tutto, le fiere, perché la qualità delle relazioni al suo interno è notevolmente migliore rispetto a quelle create in contesti fie-
ristici. Per questo motivo l’abbiamo scelto come nostro principale mezzo comunicativo per i contatti con i clienti. Inoltre, l’Accademia ha fatto parlare di sé permettendoci di entrare a far parte di tavoli molto importanti, come quello nazionale contro la contraffazione. Siamo stati chiamati da clienti che volevano fare summit con loro clienti. Infine, abbiamo una relazione con la GS1 Italy|Indicod Ecr, l’istituzione italiana che si occupa dei codici a barre nella grande distribuzione, uno degli organismi più forti del settore». Quali sono le prospettive, gli investimenti programmati e gli obiettivi per il 2013? «Noi siamo impegnati e riteniamo di avere grandi opportunità oltre alle competenze giuste, in più possiamo dire di avere una visione e una mission molto chiare. Parto dalla convinzione che per gli imprenditori che danno valore alle proprie soluzioni sono importanti i fornitori concreti che sanno lavorare in team e che hanno ben presente lo scenario economico e tecnologico. Noi pensiamo di poter ricoprire questo ruolo». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 93
TECNOLOGIE
Più tutela per i brevetti Può un’azienda che investe in tecnologia definirsi tutelata sul fronte dei brevetti a livello nazionale e internazionale? Ne parliamo con Sergio Fiorani, amministratore di Unical, titolare di 50 brevetti depositati Marco Tedeschi
l fenomeno della contraffazione dei brevetti incide tantissimo nel nostro livello di competitività. Nell’attuale momento economico mondiale le aziende indipendenti dai grandi gruppi, devono necessariamente differenziarsi in termini di tecnologia e qualità per riuscire ad essere competitive. Per questo è indispensabile che vengano tutelate maggiormente da leggi». A spiegare la situazione è Sergio Fiorani,amministratore della Unical, con sede principale in Caorso. 50 brevetti depositati per la realtà piacentina che dagli anni settanta progetta e produce gruppi termici civili e industriali, oltre a sistemi di condizionamento, garantendo comfort, sicurezza, minori consumi
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energetici ed elevato rispetto dell’ambiente. Oltre a un’assistenza significativa grazie ai suoi 300 centri d’assistenza dislocati sul territorio. Su quali novità vi state concentrando in questo periodo? «Stiamo lavorando su prodotti che riteniamo importanti per il futuro, abbiamo depositato due ulteriori richieste di brevetti ed altre due verranno depositate a breve per prodotti che sarà possibile sviluppare entro il 2015. Si tratta d’investimenti significativi dato che il riconoscimento di un brevetto comporta diverse fasi: un'intensa attività progettuale, consecutiva a quella inventiva, la creazione della documentazione brevettuale per il deposito della domanda
Sergio Fiorani
Sergio Fiorani è amministratore della Unical Spa di Caorso (PC) www.unicalag.it
Un'azienda che investe economicamente e che opera verso la tecnologia, necessita di regole chiare per poter definire la propria strategia
e spesso importanti investimenti in attrezzature specifiche per la produzione della parte brevettata. L’aspetto più significativo però è rappresentato dal fatto che contiamo più di 30 tecnici che operano nella ricerca e sviluppo». Quali sono le criticità maggiori che una realtà come la vostra incontra a livello internazionale nel proteggere le proprie tecnologie? «Le maggiori criticità sono date dal fatto che, per difendere un brevetto riconosciuto a livello europeo e internazionale, occorre proferire grandi energie in termini economici e di tempo da dedicare all'attività difensiva. Un brevetto infatti può essere messo in discussione anche dopo 10 o 15 anni dal suo deposito e quindi dal riconoscimento della parte inventiva. Un'azienda che si trova a difendere i propri diritti in tal senso deve necessariamente spendere tanto tempo e denaro sperando poi di trovare la parte legale sufficientemente formata tecnicamente da essere in grado di giudicare la situazione in modo corretto». Quali ulteriori strumenti vi occorrerebbero per tutelare maggiormente i brevetti? «Sarebbe auspicabile spendere anche più tempo in fase di analisi del brevetto ma, una volta riconosciuto lo stesso, questo deve essere difficil-
mente discutibile. Un'azienda che investe economicamente e che opera verso la tecnologia, necessita di regole chiare per poter definire la propria strategia basata su fondamenta salde e pilastri stabili». Su quali presupposti strategici e con quali obiettivi si è iniziato il 2013? «Veniamo da un 2012 dove, specialmente nella seconda parte, abbiamo recuperato in termini di fatturato arrivando a incrementare quello dell'anno precedente e, per i tempi che viviamo, siamo moderatamente soddisfatti. Il 2013 è partito con grande entusiasmo, direi sempre necessario per essere convincenti sul mercato con obiettivi commerciali chiari, importanti e che intendiamo perseguire. Intendiamo orientare le nostre vendite verso coloro che oggi acquistano un prodotto inseguendo anche la qualità del prodotto stesso. In tempi difficili dal punto di vista economico come gli attuali, riteniamo che il cliente debba essere interessato a sostituire il suo "vecchio" prodotto con un prodotto di qualità, volto sempre al risparmio energetico e che non si orienti a sostituire il prodotto essendo unicamente motivato/invogliato da un'offerta o un prezzo». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 95
INNOVAZIONE
La prima moto stradale con telaio in titanio Appena 130 kg per un’innovativa moto da strada, realizzata a partire dall’esperienza maturata in oltre 60 anni di corse. Michele Poggipolini tira le somme di un anno positivo per Ncr, azienda del Gruppo Poggipolini, specializzata nella progettazione e produzione di moto esclusive Manlio Teodoro
entre il mercato dell’auto continua a segnare record negativi sul fronte delle vendite – meno 19,87 per cento rispetto al 2011 (fonte: ministero delle Infrastrutture e dei trasporti) –, una delle punte di diamante della produzione motociclistica emiliana ha chiuso il 2012 con una crescita di fatturato del 30 per cento – dato notevole se paragonato all’incremento registrato da Fiat, che ha frenato allo 0,2 per cento. La spiegazione di questa controtendenza è da collocare però quasi interamente all’estero. Come spiega infatti Michele Poggipolini, Ceo di Ncr e Business development manager della Poggipolini di San Lazzaro di Savena: «la crescita di Ncr è stata possibile grazie all’export e all’andamento positivo dei nostri due mercati principali: Usa e Nord Europa. Ed è stata rafforzata dallo sviluppo sostenuto dei mercati asiatici. Infatti, non solo il Giappone, ma anche Taiwan, Thailandia e Australia hanno mostrato ottime performance nel 2012». Ncr, oltre a costruire moto su ordinazione, produce accessori per la personalizzazione delle moto Ducati. Ed è proprio in questo mercato che ha segnato il proprio incremento in maniera netta. Tuttavia la novità per il 2013 è la messa in produzione della Ncr M4, la prima moto al mondo omologata con il telaio in titanio. Quale percorso vi ha portato alla messa in
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96 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2013
produzione di questa nuova moto? «Il processo di sviluppo è stato avviato nel 2005, quando abbiamo iniziato la produzione della nostra prima moto, la Ncr Millona. Questa – realizzata artigianalmente e su misura per ogni cliente – si poneva come la prima moto pronto corsa per gli appassionati e per i gentleman che nel weekend vogliono divertirsi in pista. La Millona da subito si contraddistinse per essere una delle migliori moto da corsa, leggerissima con i suoi soli 125 kg di peso e ben 130 cavalli di potenza, accompagnati da una ricca dotazione tecnologica». Come siete passati dalla Millona alla M4? «In sette anni la Millona è stata perfezionata, grazie allo sviluppo interno fatto in pista e ai campionati vinti in Italia, Europa, Usa e in tanti altri paesi nel mondo. Così, all’inizio del 2011, insieme al mio socio e designer, Joe Ippoliti, abbiamo deciso di realizzare una nuova moto, stradale questa volta, basata geometricamente sulla Millona, ma completamente rinnovata. Ncr
Michele Poggipolini
+30% INCREMENTO DI FATTURATO REGISTRATO NEL 2012. NCR È PRESENTE IN 16 PAESI CON OLTRE 20 DEALERS M4 è la prima moto stradale al mondo a pesare 130 kg e a essere costruita con un telaio realizzato in titanio. Il motore è il Ducati 1100EVO. Inoltre, il 90 per cento dei componenti è stato ridisegnato e riprogettato. Questo ha permesso alla moto di essere superleggera e altamente performante. Caratteristiche che ci consentono di affermare questa sarà la moto da guidare più divertente al mondo. Abbiamo già ottenuto ottimi riscontri da parte degli appassionati, i mercati più interessanti si confermano Europa e Usa. Tuttavia, per il momento, sarà realizzata esclusivamente in serie limitata, soltanto cinquanta pezzi all’anno». Il vostro gruppo si colloca nel cuore della Motor Valley. Quali rapporti intrattenete con gli altri grandi marchi delle due e delle quattro ruote?
«Il gruppo Poggipolini è stato fondato da mio nonno Calisto nel 1950 a Bologna e da sempre fornisce il mondo delle corse. Oggi lavoriamo per i più importanti team di Formula 1, per le più prestigiose aziende dell’automotive e siamo qualificati e certificati in aeronautica. I nostri principali clienti sono Ferrari, Lamborghini, Porsche, McLaren, Bugatti, Agusta-Westland, Alenia. Ncr è nata nel 1967 e ha contribuito alla storia sportiva di Ducati. Da quando l’abbiamo acquisita, abbiamo iniziato ad applicare la nostra tecnologia e la nostra forte passione per l’eccellenza e le corse in tutti i nostri progetti. Per questo motivo le nostre moto rappresentano una forte garanzia di qualità per i nostri clienti, il miglior risultato possibile fra tecnologia e passione emiliana per i motori». Quali sono le prospettive e gli obiettivi per il 2013? «Consolidare la crescita e la distribuzione degli accessori Ncr nel mondo e iniziare la produzione della nostra prima moto stradale. Questo ultimo obiettivo rappresenterà per noi una sfida importante. Crediamo nei prodotti di eccellenza, nella qualità e nella cura maniacale per ogni dettaglio, la più vera espressione del made in Italy. Sono questi fattori che ci consentono di essere oggi così forti all’estero».
Michele Poggipolini, Ceo di Ncr e Business development manager della Poggipolini Srl di San Lazzaro di Savena (BO) www.ncrfactory.com
EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 97
INNOVAZIONE
Design e tecnologia per il caffè Il consumo mondiale di caffè si sta orientando verso il porzionato. Davide Macchiavelli presenta il progetto di un’innovativa capsula per caffè. Un risultato del family business italiano e della capacità di fare rete per affrontare sul mercato globale i colossi multinazionali del settore Luca Càvera
on 4 miliardi di tazzine consumate al giorno in tutto il mondo, il caffè si colloca come la seconda bevanda più apprezzata dopo l’acqua. Questo per dare la misura delle dimensioni del business, che non a caso è controllato da multinazionali che vi investono forti risorse, umane ed economiche. La tendenza attuale nel consumo di caffè si sta orientando verso il porzionato. Creare un mercato delle capsule significa progettare un contenitore ideale – la capsula vuota –, trovare le giuste miscele di caffè per riempirla e realizzare una macchina per utilizzarla. Questa sfida, che si gioca sul design, sull’aroma e sulla tecnologia è stata raccolta in Italia da Macchiavelli, azienda fondata 40 anni fa da Giuseppe Macchiavelli, che ha alle spalle decenni di esperienza nel settore delle materie plastiche e che ha sviluppato il proprio know how realizzando prodotti per il settore tecnico, medicale e alimentare. Ed è proprio nell’alimentare e nel caffè che Macchiavelli – in partnership con la società Casa del Caffè Vergnano – ha realizzato il suo ultimo progetto, creando la capsula commercializzata sotto il marchio Èspresso. «Questa – spiega
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+17% CRESCITA REALIZZATA DA MACCHIAVELLI SRL NEL 2012 GRAZIE ALLA PRODUZIONE DELLE CAPSULE 98 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2013
Davide Macchiavelli, titolare dell’azienda di San Lazzaro di Savena – nasce dalla creatività di Raffaele Rondelli, il nostro direttore della ricerca e sviluppo. Alla base del lavoro di progettazione c’è stata un’attenta ricerca per non violare alcun brevetto degli altri produttori. In questo siamo anche riusciti a ottenere il brevetto europeo». La componente più innovativa della capsula è rappresentata da un sistema di valvole per l’apertura, l’ingresso dell’acqua e all’uscita del caffè. «Siamo riusciti a realizzare un ottimo concetto di idraulica, capace di sfruttare al meglio poco più di 5 grammi di caffè. Inoltre, la capsula è compatibile anche con altre macchine di produttori concorrenti ed è costituita di un materiale biodegradabile secondo la direttiva europea 94/62 – una nostra tecnologia riconosciuta con il marchio Biodè».
Davide Macchiavelli
Impianti produttivi della Macchiavelli Srl di San Lazzaro di Savena (BO) www.macchiavelligroup.com
Siamo riusciti a realizzare un ottimo concetto di idraulica, capace di sfruttare al meglio poco più di cinque grammi di caffè
Grazie alla nuova capsula Èspresso e al miglioramento delle vendite dei nostri prodotti standard Macchiavelli ha chiuso il 2012 con un importante incremento di fatturato, al quale è corrisposto un incremento degli utili. «Le prospettive sulla capacità di penetrazione del progetto Èspresso sono superiori a quelle dei principali competitor internazionali. Il suo successo è dato dalla qualità e dalla facilità di reperimento sugli scaffali della grande distribuzione nazionale ed europea e, presto, in quelli di tutto il globo. Ma è stato anche un successo dal punto di vista di fare sistema. Infatti, grazie a questa soluzione è stato possibile organizzare e far sviluppare un family business, ovvero una cordata di imprese familiari. Queste si sono focalizzate sulla qualità e sull’at-
tenzione del mercato per i prodotti di largo consumo che viaggiano accompagnati da una precisa tracciabilità d’origine – differentemente dalle multinazionali che investono capitali per generare grandi volumi nei consumi, però quasi esclusivamente attraverso gli investimenti pubblicitari». Al contrario, gli investimenti che contano per aziende come Macchiavelli sono quelli nelle tecnologie e nell’innovazione. «Gli investimenti in ricerca e sviluppo rappresentano mediamente dal 10 al 15 per cento rispetto al nostro fatturato. E questa scelta è certamente un fattore caratterizzante della nostra società rispetto ai vari competitor. Su questo fronte attualmente stiamo lavorando allo sviluppo di un nuovo sistema di capsule, unico al mondo, che con un solo formato riuscirà a erogare in modo performante tutte le referenze del beverage – caffè all’americana, cappuccino, espresso, tisane e altre. Inoltre, questo nuovo sistema sarà reso compatibile, in alcuni territori esteri, con un brand molto importante». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 99
La ricostruzione in Emilia riparte dal legno
A Finale Emilia, FederlegnoArredo, con più di 70 imprese, enti pubblici e progettisti, ha realizzato un nuovo complesso scolastico in legno di 1.600 metri quadrati. Che dal 6 aprile, giorno dell’inaugurazione, sarà in grado di ospitare 240 bambini dai due ai sei anni. La parola a Emanuele Orsini Cristiano Fieramonti
l 20 e il 29 maggio 2012 due violente scosse di grado 5.9 e 5.8 della scala Richter hanno segnato profondamente la quotidianità degli abitanti di Emilia Romagna e Lombardia. A Finale Emilia, piccolo comune del modenese di circa 16mila abitanti, uno dei paesi più colpiti dal terremoto, la maggior parte delle strutture, in particolare scuole, palazzi storici e chiese, hanno subito forti danni. E, dopo il terremoto, non hanno più avuto la possibilità di riprendere le normali attività. L’Asilo Sacro Cuore, storica scuola di Finale Emilia che ospitava 160 bambini dai tre ai sei
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Emanuele Orsini, consigliere incaricato Gruppo Case ed Edifici a Struttura di Legno di Assolegno/FederlegnoArredo www.federlegnoarredo.it
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Emanuele Orsini
ANCHE MARRIONAUD PER L’ASILO DI FINALE seguito del violento terremoto che ha colpito profondamente gli abitanti di Emilia Romagna e Lombardia, le Profumerie Marrionaud hanno deciso di sostenere il progetto di ricostruzione dell’asilo di Finale Emilia. Nel periodo natalizio (dal 7 dicembre 2012 al 06 gennaio 2013) nei 120 punti vendita nazionali sono stati venduti quasi 4mila leoncini di peluche e una parte dei ricavi è stata devoluta a questa causa. Grazie anche a Marrionaud 240 bambini hanno così potuto lasciare i locali scolastici temporanei e abbracciare il nuovo Sacro Cuore.
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anni, è stata una delle strutture maggiormente danneggiate dal sisma, riportando danni irreparabili. «Fin dai primi momenti, FederlegnoArredo è entrata in contatto con la Protezione Civile e le autorità pubbliche locali per capire come poter contribuire all’emergenza di queste aree» spiega Emanuele Orsini, consigliere incaricato Gruppo Case ed Edifici a Struttura di Legno di Assolegno/FederlegnoArredo. Quali le priorità di questo intervento? «Nel dialogo con la comunità locale è emersa l’esigenza di concentrare i primi sforzi della ricostruzione sugli edifici scolastici di Finale Emilia. Tra questi, in particolare, l’Asilo Sacro Cuore è stato individuato come quello maggiormente bisognoso di un intervento. Da qui la scelta di FederlegnoArredo, con Made expo e Cosmit, di impegnarsi nel progetto di costruzione di un nuovo complesso scolastico Sacro Cuore, con l’obiettivo di completare il nuovo edificio, che rappresenta
L’esperienza di Finale Emilia può essere considerata il primo vero esempio di rete di impresa nel nostro settore
una delle più grandi opere donate in tutta la ricostruzione dell’Emilia Romagna, entro la fine del 2012 e cioè dopo soli sei mesi e mezzo di lavoro. Viste le elezioni di febbraio, e per evitare quindi che l’iniziativa venisse usata da qualcuno per motivi elettorali, abbiamo deciso di spostare l’inaugurazione al 6 aprile». Il vostro progetto ha raccolto il sostegno di numerose aziende. «Il progetto ha raccolto un ampio sostegno da parte di molti partner in tutta Italia, e si è dimostrato una straordinaria e concreta opportunità di fare rete tra aziende e di collaborazione tra settore pubblico e privato. Grande in particolare è l’entusiasmo che ha accompagnato le moltissime imprese della filiera legno-arredo, che si sono impegnate direttamente nel sostegno dell’iniziativa, testimoniando, in un momento di grande difficoltà economica, che è sempre possibile essere protagonisti nella costruzione di una società più umana. L’iniziativa ha raccolto anche recentemente l’attenzione di tante realtà del mondo economico, associativo, produttivo e dello spettacolo». La particolarità di questa struttura è quella di essere stata interamente realizzata in legno. «Fondamentale nella buona riuscita del pro- EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 103
IMPRESA E SVILUPPO
RIPARTIRE SI PUÒ a ripreso in pieno l’attività dopo sole quattro settimane dal terremoto che ha sconvolto l’Emilia. È la storia di Budri, azienda divenuta negli anni sinonimo di eccellenza nel settore dell’intarsio in marmo e ambasciatrice del made in Italy nel mondo. L’azienda subisce danni per 6 milioni di euro, i capannoni a Mirandola rimangono irrimediabilmente danneggiati. Gian Marco Budri (nella foto), amministratore delegato dell’azienda, ricorda cosa significhi veder crollare in una manciata di minuti quanto è stato costruito in cinquant’anni di attività: «Il terremoto è stata un’esperienza molto forte, che però ci ha fatto crescere. Quando la mattina mi sono reso conto che l’azienda era stata distrutta, ho immediatamente preso una decisione. Trasferire l’attività vicino a Verona». Assieme ai suoi 30 dipendenti, Budri fa il pendolare ogni giorno da Mirandola a Cavaion Veronese, 240 chilometri al giorno tra andata e ritorno. Nel frattempo gira il mondo per tranquillizzare i suoi clienti. Il 29 giugno 2012, a un mese esatto dal sisma, l’azienda ha festeggiato la ripresa dell’attività produttiva. Alla fine di quest’anno, tornerà a produrre nella sede storica, a Mirandola.
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getto è stata la scelta operata da FederlegnoArredo di realizzare il nuovo complesso scolastico con strutture portanti in legno, un sistema costruttivo che sta conoscendo un crescente successo, sia in Italia sia all’estero, e che offre numerosi vantaggi competitivi».
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Quali? «È antisismico, altamente ecologico e permette un elevato risparmio energetico, oltre a essere particolarmente indicato in situazioni di emergenza che necessitano di tempi di realizzazione brevi, come l’esperienza del progetto del nuovo Sacro Cuore ha dimostrato. Il risultato è una struttura monoplanare di oltre 1.600 metri quadrati, realizzata interamente in legno coniugando tre diversi metodi costruttivi: pannelli X-Lam, pannelli a telaio, sistema MHM - Massive Holz Mauer. Una volta terminato, il nuovo complesso scolastico sarà in grado di ospitare fino a 240 bambini da due a sei anni, suddivisi tra le due sezioni di nido e le sei sezioni di scuola materna». L’esperienza di Finale potrebbe fare da apripista per altre collaborazioni tra aziende del settore? «Assolutamente sì. Questo può essere considerato il primo vero esempio di rete di impresa nel nostro settore. E ritengo che potrebbe essere riproposta per partecipare ai bandi previsti per l’Expo 2015».
MODELLI D’IMPRESA
Non “dimentichiamo” il manifatturiero e aziende che nel 2012 sono cresciute, sono quelle che hanno legato il loro destino all’estero. In varie forme. Alcune hanno mantenuto la produzione in Italia e incrementato l’export. Altre hanno delocalizzato e investito nei paesi in via di sviluppo. Altre si sono trovate a cedere la propria eccellenza a multinazionali straniere. Esiste un’alternativa a queste opzioni? Secondo Bruno Conti, presidente di Sefa Holding Group, società cui fanno capo tre importanti realtà dell’acciaio e leghe speciali: Sefa Acciai, Sefa Acciai Lavorazioni Meccaniche e Titanium Int’ Group «occorre incentivare lo sviluppo delle nostre eccellenze oltre i confini nazionali, assecondando i criteri della globalizzazione, ma, simultaneamente, promuovendo e sostenendo il tessuto delle attività storiche del nostro paese – queste ultime, infatti, hanno per vocazione un’importante percentuale del loro fatturato nel mercato interno».
L Nella pagina accanto, Bruno Conti, presidente della Sefa Holding Group Spa di Sala Bolognese (BO) www.sefaholding.it
La globalizzazione è una sfida che non possiamo perdere. Però non dobbiamo sacrificare alle logiche dei mercati internazionali le tante realtà cresciute e radicate nel territorio, che hanno costruito la ricchezza della regione. La ricetta per lo sviluppo di Bruno Conti Luca Càvera
Attraverso quali scelte, a livello istituzionale, è possibile favorire quest’ultimo aspetto? «Favorire l’accesso al credito alle aziende manifatturiere è certamente un esempio. Questo potrebbe fra le altre cose sostenere le aziende, che avrebbero la possibilità di investire in macchinari avanzati ein nuove giovani risorse umane per essere competitive nel mercato globale. Invece, almeno dal 2008 in poi, chi ci amministra sembra aver dimenticato l’esistenza del comparto manifatturiero, che invece è di grande importanza, proprio perché ha sempre prodotto la ricchezza, soprattutto nella nostra regione, che se ben am-
Bruno Conti
ministrata potrà essere il traino per la crescita dell’intero sistema paese. È l’industria manifatturiera che ha incentivato l’avvio di tante piccole attività che hanno arricchito il nostro territorio. Un altro settore in cui poi si dovrebbe tornare a investire è quello delle materie prime». Su questo punto cosa si potrebbe fare, dato che il nostro paese non dispone di grandi risorse? «È verissimo, questo paese non ha materie prime e per questo si trova a dipendere dall’estero – dalle sue logiche e dai suoi prezzi. Non a caso oggi assistiamo ai sintomi di un collasso, con i magazzini delle imprese sottoscorta. E anche questo incide sullo sviluppo del manifatturiero. Sempre più infatti nel nostro settore registriamo la tendenza a diventare meri prestatori d’opera e si moltiplicano gli esempi di acquisto di ore di manodopera italiana qualificata da parte di aziende tedesche, che se da una parte ci danno lavoro, dall’altra stabiliscono tutte le regole del gioco. Tanto più perché la nostra specializzazione è il risultato di una lunga formazione culturale e tecnica maturata in anni di ricerca e di esperienza generazionale e quindi difficilmente quantificabile». Il vostro gruppo quali scelte ha fatto per non restare indietro rispetto alle sfide poste dal mercato? «Abbiamo deciso di puntare sulla diversificazione, quindi non più solo ed esclusivamente acciaio. Questo processo è iniziato già a metà degli anni Novanta, quando abbiamo investito in una struttura operativa come Sefa Acciai Lavorazioni Meccaniche, che oggi come allora ha lo scopo di fornire non più la materia prima grezza, bensì in parte già lavorata, venendo incontro alle esigenze di alcuni importanti partner, anche di questo stesso territorio. Più recente è stata poi l’acquisizione di Titanium Int’ Group (Tig), che ci ha permesso di offrire materie prime con maggiore valore aggiunto. Acquisita alla fine degli anni Novanta e impegnata esclusivamente nella fornitura di titanio e leghe di nichel per i settori militare, aeronautico, medicale, automotive, ra-
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Occorre incentivare lo sviluppo delle nostre eccellenze oltre i confini nazionali, ma anche sostenere e promuovere le attività storiche del nostro paese
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cing e parzialmente nel packaging, già dopo un decennio Tig, grazie all’implementazione del gestionale SAP e all’adozione di un rigido sistema qualità, ha potuto ottenere quattro certificazioni aeronautiche e undici certificazioni come fornitore qualificato, che le hanno consentito di conseguire ricavi per quasi 14 milioni di euro». Quali strategie avete avviato per Tig dopo questi considerevoli risultati? «Negli ultimi dieci anni abbiamo dotato la struttura delle più moderne attrezzature da taglio, come macchine segatrici, due impianti di taglio ad acqua, marcatura prodotti per la tracciabilità degli stessi e gestione a tre dimensioni dei profili, magazzini completamente robotizzati per la movimentazione e lo stoccaggio e una nuovissima struttura di oltre 3mila metri quadrati, che ci ha permesso di servire i più importanti produttori aeronautici a livello italiano, europeo e del bacino del Mediterraneo». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 107
MODELLI D’IMPRESA
Salvaguardiamo le buone imprese e aziende manifatturiere non sono sufficientemente tutelate e quello che dovrebbe essere l’orgoglio del made in Italy si sta letteralmente svendendo alle multinazionali estere, lacerando la rete di piccole medie imprese sulle quali l’Italia si è sempre appoggiata». È questo l’allarme lanciato da Salvatore Filoni, titolare della Effe Due Srl di San Michele Tiorre in provincia di Parma, azienda specializzata in lavorazioni meccaniche conto terzi. «La situazione del mercato è attualmente molto critica – continua Filoni –, caratterizzata da una forte incertezza legata
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Il rilancio deve partire dal manifatturiero. Ed è tempo che le istituzioni prendano provvedimenti per valorizzare un settore che da sempre è l’orgoglio del made in Italy. L’analisi di Salvatore Filoni Carlo Gherardini
principalmente alla difficile situazione finanziaria e alle altissime tasse sul lavoro. È ora che le istituzioni prendano effettivamente coscienza di quella che è la situazione del Paese e che introducano provvedimenti che vadano oltre il semplice scontro politico, ma si muovano per l’interesse comune, salvaguardando la parte “buona” dell’Italia, cioè quella che crea ricchezza». Nonostante la difficilissima congiuntura, l’azienda di Filoni nell’ultimo anno è riuscita sostanzialmente a mantenere gli stessi risultati del 2011, un buon traguardo vista l’attuale situazione economica. «Le maggiori criticità – afferma Filoni – oggi sono legate al peggioramento delle condizioni di lavoro, che dettano tempi di produzione davvero troppo brevi e che non permettono alle aziende di organizzarsi nella maniera più efficiente. Inoltre, i tempi dei pagamenti sono davvero troppo lunghi, e non danno certezza sul rientro della liquidità legata al cash flow». A Una fase di lavoro all’interno della Effe Due Srl di San Michele Tiorre (PR). Nell’altra pagina alcune serie in acciaio www.effeduesrl.biz questo quadro, si aggiunge il 108 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2013
Salvatore Filoni
difficilissimo accesso al credito, che non agevola di certo la fluidità del lavoro. «Credo che bisognerebbe senz’altro cambiare il sistema delle banche, ma anche quello delle imprese: troppo spesso l’imprenditore non capisce quali sono le priorità. Storicamente, nei momenti di crescita economica generale, le aziende sono state spesso impoverite, invece di venire rese indipendenti puntando sulla solidità della struttura e investendo perché il surplus in possesso in quel momento fosse mantenuto anche per il futuro». La prerogativa di Effe Due è la fidelizzazione del cliente, per questo l’azienda si è strutturata in modo da offrire servizi che vanno dalla produzione di particolari tracciabili, alla garanzia di avere un prodotto certificato Ce, allo stoccaggio per conto del cliente, a piccoli pre-montaggi che permettono l’abbattimento dei costi interni. Particolarmente importante per la realtà aziendale è l’investimento in nuove tecnologie: «La nostra azienda è modernamente organizzata e sempre attrezzata con macchinari di ultima ge-
Le prospettive realistiche che ci poniamo sono quelle di crescita nel settore delle energie e in nuove aree geografiche
nerazione. Ultimamente abbiamo acquistato un tornio Mazak Integrex E410H multitask e due centri di lavoro Micron HPM 800U multipallet a 5 assi. Grazie a queste macchine si ottengono performance migliori soprattutto in termini di precisione e qualità». L’azienda è conosciuta in tutta l’Emilia Romagna per l’ottima combinazione qualità/prezzo su piccole e medie serie e principalmente nel settore alimentare. «Per questo motivo i materiali che prediligiamo sono gli acciai speciali, come l’inox e il duplex fino ad arrivare al titanio. Siamo comunque attivi anche in altri campi, e sempre in cerca di nuove produzioni di alta precisione a cui dedicare la nostra passione per la meccanica». Attualmente Effe Due lavora soprattutto in Italia e in Europa nel food and beverage, settori di punta della zona parmense, ma è particolarmente attiva anche nel settore chimico e in quello meccanico. «In futuro vorremmo ampliarci ulteriormente. Le prospettive realistiche che ci poniamo sono quelle di crescita puntando su nuovi mercati, in particolare il settore delle energie e l’automotive, e nuove aree geografiche all’estero».
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MODELLI D’IMPRESA
Piccole e medie imprese, dietro le quinte della crisi Matteo Brida scava nei meccanismi produttivi e commerciali che impongono alle piccole e medie imprese italiane di puntare sulla qualità, pena l’uscita dal mercato. «Soluzione: protocolli verdi che livellino le condizioni di partenza» Remo Monreale
Matteo Brida, Quality System Manager e uno dei quattro titolari della L.S.C. con sede a Monteveglio (BO). Nelle altre foto, un centro di lavoro e il reparto tornitura matteo.brida@lscsrl.it
a probabilità di successo delle Pmi italiane è ancorata alla loro capacità di mantenere standard qualitativi sempre ai massimi livelli. Non si può definire una regola basata su dati incontrovertibili, ma è la tendenza che la maggior parte degli analisti ha finora fotografato all’interno del mercato. Le cause che, considerate le gravi flessioni nei diversi settori, determinano quello che può essere definito il successo delle aziende a obiettivo “alta qualità” sono meno immediate di quanto si possa pensare. Nella panoramica di Matteo Brida, uno dei quattro titolari delle officine meccaniche di precisione L.S.C., ci sono più spunti che indicano i meccanismi profondi alla base del fenomeno. «L’ultimo biennio ha sintetizzato alla perfezione il concetto di oscilla-
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zione del mercato: periodi di calma si sono intervallati a mesi di picchi, pari ai livelli del 2007. Un andamento di questo tipo non favorisce il lavoro degli imprenditori: si deve disporre di personale e di capacità produttive in grado di assorbire le richieste di urgenza nei momenti in cui aumenta la domanda, ma al contempo bisogna investire con cautela in modo da limitare l’influenza delle spese fisse nei periodi di calma. In queste condizioni non è facile strutturarsi e programmare gli investimenti». La vostra esperienza da imprenditori che soluzione suggerisce? «Sono convinto che, per quanto ci riguarda, la competitività possa essere mantenuta puntando su due punti cardine: flessibilità produttiva e lavorazioni “di nicchia”. La prima può aumentare sfruttando sistemi multipallet tecnologicamente avanzati e affidabili, in modo da ridurre al minimo i tempi di setup. Per lavorazioni “di nicchia” intendo lavori relativamente più complessi, magari spalmati in lotti medio-piccoli ma ripetitivi, che richiedano uno standard qualitativo elevato: penso che per le piccole imprese sarà sempre più difficile mantenersi competitivi su grandi lotti». Si deduce che anche la vostra azienda insista in un mercato di nicchia.
Matteo Brida
«La nostra attività consiste nell’eseguire lavorazioni meccaniche di precisione su specifica del cliente. Sostanzialmente il cliente ci fornisce il materiale grezzo e il disegno del finito, mentre noi implementiamo il ciclo di lavoro: avendo torni e centri di lavoro riusciamo ad essere sufficientemente autonomi. La maggior parte dei clienti rientra nel settore dell’oleodinamica/movimento terra: il core business è rappresentato dalle lavorazioni di motori oleodinamici, corpi pompanti, componenti di assali, distributori e scatole per riduttori». Quali provvedimenti dovrebbero essere presi per rilanciare il settore? «A mio avviso si sta sottovalutando il fatto che molte aziende abbiano trasferito parte della produzione all’estero. In questo modo i paesi emergenti hanno acquisito il know how sufficiente a eseguire gran parte delle lavorazioni meccaniche, oltretutto in contesti nei quali il costo del lavoro e la pressione fiscale sono ben lontani dai nostri. Per questo a livello europeo potrebbe essere interessante sviluppare dei “protocolli verdi”, ossia richiedere che i prodotti importati siano fabbricati nel rispetto di normative sulla sicurezza, sui diritti dei lavoratori e antinquinamento simili a quelle in Occidente. Si garantirebbero, così, sia un aumento della
La competitività può essere mantenuta puntando su flessibilità produttiva e lavorazioni “di nicchia”
qualità della vita di tutti i lavoratori, sia un livellamento delle “condizioni di partenza” delle aziende: emergerebbero le imprese che lavorano e che fanno lavorare meglio, anziché quelle che lavorano a meno, a scapito dei dipendenti e del pianeta. Gli imprenditori italiani dovrebbero vedere i paesi emergenti come mercato, ma per renderlo possibile la politica dovrebbe seguire questa filosofia e non anteporre gli interessi dell’economia bancaria». Che piani avete per il prossimo futuro? «Puntiamo su sviluppo e innovazione: snellire e raffinare i processi produttivi è uno dei nostri principali obiettivi per il 2013, così come mantenere un parco macchine sempre tecnologicamente avanzato. In quest’ottica abbiamo investito parecchie risorse, avendo acquistato un impianto automatizzato a elevate prestazioni, che sarà installato a maggio». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 111
MODELLI D’IMPRESA
Meno tasse uguale più investimenti Strette nella morsa della pressione fiscale le imprese italiane faticano a rinvestire gli utili. Ma è proprio l’aggiornamento tecnologico a mantenere un’impresa competitiva. Il punto di Marco Rossi, Marcello Zanichelli e Roberto Grandi Carlo Gherardini
a pressione fiscale non allenta la morsa sulle imprese italiane. E, paradossalmente, le aziende che operano in un territorio virtuoso come l’Emilia Romagna, regione che da sola vale il 9 per cento del Pil nazionale, sono tra le più colpite. L’Emilia Romagna, infatti, insieme a Lombardia e Veneto è tra le aree più penalizzate dalla tassazione, come ha evidenziato la Cna regionale che ha realizzato un apposito Osservatorio per monitorare il rap-
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112 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2013
porto tra le imprese e la finanza pubblica territoriale. In questo scenario, le piccole e medie aziende si trovano a fare i conti con una realtà sempre più complessa che lascia intravedere poca fiducia nel futuro e auspicano un intervento veloce e mirato da parte delle istituzioni. «Credo che l’unico modo per permettere un rilancio delle imprese italiane – afferma Marco Rossi, titolare insieme a Marcello Zanichelli e Roberto Grandi della Meccanica Rossi di Monteveglio (BO) – sia diminuire la tassazione, in modo da poter garantire innanzitutto buste paghe più alte, riconoscendo così il valore del lavoro. Anche i lavori eseguiti all’estero, inoltre, dovrebbero essere gestiti meglio, tassando equamente prodotti e materie prime». L’azienda bolognese, nonostante le difficoltà della crisi, è riuscita a tenere bene il mercato ma lamenta quale maggiore criticità con cui si è dovuta confrontare nell’ultimo biennio proprio l’esagerata tassazione, che ha pesato anche sull’utile lasciato in azienda. «La pressione fiscale, ovviamente, rende sempre più difficile attuare anche i piani di investimento mirati all’aggiornamento e al rinnovamento tecnologico, aspetto sul quale la nostra azienda punta da
Marco Rossi, Marcello Zanichelli e Roberto Grandi
In apertura, una fase di lavoro all’interno della Meccanica Rossi di Monteveglio (BO). A lato, dettaglio di fresatura www.officinarossi.it
sempre – spiega Rossi –. Abbiamo cominciato l’attività intraprendendo lavorazioni di tornitura di precisione, poi, per aumentare le tipologie di lavorazione, abbiamo investito sui centri di lavoro, specializzandoci nei lavori di fresatura e foratura che oggi sono diventati le nostre punte di diamante». Punto di forza della Meccanica Rossi è proprio lo studio e la costruzione dell’attrezzatura più idonea per la realizzazione finale del prodotto richiesto dal cliente: «seguiamo i nostri committenti nella scelta della più adeguata lavorazione e dei materiali idonei per soddisfare al meglio le specifiche esigenze – continua Zanichelli –. A questo scopo, una parte ingente del nostro fatturato viene reinvestito nell’acquisto di nuove attrezzature che permettono lavorazioni precise e veloci. Questo continuo evolversi permette alla Meccanica Rossi di lavorare materiali di taglio o da fusione fino a portare il particolare al completamento, abbattendo così i costi di spostamento o di spedizioni di materiali». L’azienda si rivolge a un target diversificato, composto principalmente dalle aziende cartiere e dai settori oleodinamica e movimento terra. «Le nostre tecnologie e il controllo da parte di personale esperto, ci permettono di realizzare lavorazioni di piccole e medie serie in tempi estremamente utili». Proprio quello del personale è un altro aspetto di fondamentale importanza per la Meccanica Rossi: «Se l’esperienza dello staff permette un controllo accurato dei prodotti lavorati – afferma Grandi –, d’altra parte l’azienda crede molto nelle persone: la nostra scelta imprenditoriale è quella di investire proprio sulla crescita professionale dei nostri dipendenti partendo dal contratto di apprendistato fino ad arrivare al livello di operaio specializzato. L’obiettivo è quello di formare il personale sulla base del nostro modo di lavorare, per avere in tempi brevi professionisti indipendenti, in modo da garantire così la
Per aumentare le tipologie di lavorazione, abbiamo investito sui centri di lavoro, specializzandoci nei lavori di fresatura e foratura
qualità e l’ottimizzazione del lavoro». Nonostante le difficoltà del momento attuale, i titolari della Meccanica Rossi guardano avanti con fiducia: «Abbiamo rilevato l’azienda nel 2008, dopo l’improvvisa scomparsa di Luigi Rossi che la fondò negli anni 70 e ci ha trasmesso preziosi insegnamenti e fiducia nelle potenzialità di questa impresa. Ci auguriamo che finalmente da quest’anno possa registrarsi una ripresa economica, nonché un più facile accesso al credito, almeno per quelle aziende che negli anni hanno dimostrato solidità e serietà. Il nostro obiettivo è continuare a investire sull’aggiornamento tecnologico, su macchinari a controllo di qualità e di produzione per garantire lavori ancora più precisi e veloci». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 113
MODELLI D’IMPRESA
Investiamo sul know how Le grandi produzioni per lo stampaggio delle materie plastiche si sono spostate all’estero. In Italia però è rimasta la produzione a elevato livello tecnologico. Il quadro del settore secondo Cesare Vitelli Manlio Teodoro
un decennio ormai che il settore plastico italiano soffre una crisi di fatturato. Come spiega Cesare Vitelli, titolare della Gierre Stampi, che progetta e realizza stampi a iniezione per materie plastiche, destinati alla produzione di articoli tecnici per settori come auto, moto, medicale ed elettrodomestico: «Oggi la maggior parte delle produzioni di stampi e lo stampaggio avvengono all’estero, in particolare in Cina, Tunisia, Polonia. Questi paesi sono fortemente concorrenziali per la produzione e lo stampaggio di ingenti quantità di prodotto. Ed è per questo che, per esempio, nel campo degli elettrodomestici, dei casalinghi, dei giocattoli e dell’hi-tech questi
È
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paesi hanno assunto un ruolo di primo piano. Ciò che spinge le aziende ad affidarsi a partner esteri è certamente il prezzo minore, ma anche la velocità di realizzazione, possibile solo in impianti di alta capacità produttiva». Quello che caratterizza invece le aziende italiane come Gierre sono le produzioni su piccola scala e a elevato contenuto tecnico. «Per questo tipo di stampi, nonostante il prezzo non possa essere paragonabile a quello offerto dai competitor stranieri, rivolgersi a questi ultimi sarebbe una scelta antieconomica, anche alla luce dei problemi e dei relativi costi di trasporto. È grazie a questi fattori e al nostro know how che riusciamo a mantenerci in una posizione importante all’interno del panorama delle aziende di costruzione stampi e stampaggio termoplastici. E anche se siamo una piccola realtà, stiamo continuando a espanderci anche in questa fase di crisi. Infatti, dal 2000, quando abbiamo avviato la realizzazione di stampi esclusivamente per la termoformatura senza tecnologia avanzata, abbiamo sviluppato il know how necessario per realizzare stampi a iniezione di elevata complessità. Attualmente, poi, l’aumento del volume di affari, nonostante il periodo avverso, è dovuto ai continui investimenti tecnologici e all’impegno costante di tutte le maestranze. Per rispondere alle richieste odierne e future dei nostri partner abbiamo strutturato un ufficio tecnico interno, in modo da sostenere le necessità progettuali dei clienti. E abbiamo inoltre acquistato una partecipazione in un’azienda
Cesare Vitelli
A fianco, il centro produttivo della Gierre Stampi Srl di Calderara di Reno (Bologna) www.gierrestampi.com
storica bolognese, Lairt, specializzata in stampaggio di materie plastiche, eleggendola a partner preferenziale per la realizzazione delle commesse». Ma quali sono le maggiori difficoltà delle aziende italiane del settore, al di là del problema legato alla concorrenza estera? «Le criticità sono quelle comuni ad aziende appartenenti anche ad altri settori e derivano da un sistema paese privo di una visione di sviluppo industriale. La crescita è frenata poi dagli innumerevoli “balzelli” che gravano sui bilanci delle aziende, dalla stretta creditizia, che rende impossibili anche i progetti più promettenti, e dalla speculazione edilizia, alla quale si deve la persistente onerosità degli immobili più adatti all’implementazione di impianti per grosse produzioni. La piccola e media impresa italiana deve inoltre confrontarsi con una domanda di efficienza produttiva che impone tempi sempre più ristretti, che finiscono per contrapporre gli stessi operatori della filiera in una corsa continua al soddisfacimento dell’esigenza consumistica. Non da ultimo, è anche veramente difficile oggi trovare personale specializzato. E questo pure in un bacino a vocazione produttiva come Bologna. Ma la formazione scolastica, e professionale, è carente e non può essere colmata dalla formazione impartita dall’impresa al neoassunto o allo stagista, perché questo comporterebbe costi difficilmente sostenibili, soprattutto in questo momento». In questo scenario, è dunque spontaneo chiedersi se ci sia ancora spazio per una piccola
In questi anni abbiamo sviluppato il know how necessario per realizzare stampi a iniezione di elevata complessità
impresa in un settore così difficile e altamente concorrenziale. Questa è la risposta che fornisce Vitelli: «Oggi quello che conta è la qualità del prodotto. Ma non solo. Il committente ha bisogno di un servizio a 360 gradi, che vada dalla progettazione alla realizzazione dello stampo, fino alla produzione del componente stampato – e, a volte, pre-assemblato. Le piccole imprese devono quindi necessariamente puntare sull’alta specializzazione, sviluppando sinergie con altri operatori del settore, in modo da far fronte alle esigenze di un mercato dinamico e in continua evoluzione». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 115
MODELLI D’IMPRESA
Dal valore della marca a quello del contenuto Consumatori più consapevoli, alta qualità e packaging vincente. Stefano Manfrinato illustra gli elementi di una crescita in doppia cifra nel settore della cosmesi. «In più, una sana inquietudine spinge verso soluzioni sempre nuove» Renato Ferretti
ulle strategie che derivano dalla sua applicazione sono nati successi straordinari così come disastri aziendali. Tanto basta a non farne una scienza esatta, eppure c’è chi è convinto di poter sfruttarne le potenzialità a pieno, per controllare e intervenire sul settore di riferimento. Si parla di marketing e il caso di Stefano Manfrinato e la Harbor che da trent’anni produce cosmetici, è emblematico del “potere” che si nasconde in questo ramo dell’economia. «Noi non viviamo di spinta promozionale, ma facciamo attività di crescita sui prodotti a scaffale, la nostra pubblicità è questa. Il collante tra noi e il consumatore è la qualità, prima di tutto. Ma bisogna anche capire come cambia il contesto del mercato e quali sono i desideri dei possibili acquirenti». Come premessa risulta quasi poco realistica: in un comparto produttivo dove la pubblicità è sempre stato uno strumento di primo piano, affidarsi esclusivamente alle proprie analisi e decisioni di marketing non sembra affatto sufficiente, soprattutto considerando il cinque per cento di flessione (fonte: Npd) che l’intero settore ha registrato nell’ultimo periodo. «Invece, la Harbor – dice Manfrinato – continua a crescere in doppia cifra. L’ultimo dato si riferisce alla differenza da Gennaio a Febbraio 2013 verso lo stesso periodo del 2012: ab-
S
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Stefano Manfrinato
In apertura una fase di produzione dei cosmetici all’interno della Harbor Srl di Ozzano dell’Emilia (BO). A destra, alcuni prodotti www.harboritalia.it
biamo il 47 per cento in più». Come si spiega? Manfrinato accetta di entrare nel dettaglio, e spiega come non sia solo un calcolo scientifico a permettere certi risultati: anche la scienza ha bisogno di intuizione. «Bisogna considerare – continua – che non abbiamo aumentato il prezzo al pubblico. Poi, definiti i target di consumatrici, abbiamo individuato una strategia composta da tre obiettivi: far entrare il prodotto in relazione con il consumatore fin da una prima occhiata (quindi attraverso il packaging), ottenere un valore percepito più alto rispetto al prezzo reale, ottenere l’attenzione di chi bada più al contenuto che alla marca. I nostri consumatori sanno di comprare un principio attivo e non una marca. Ovviamente un’immagine di qualità non può poi essere delusa dopo l’uso, quindi ricerchiamo lo standard massimo disponibile: non utilizziamo, per esempio, tutte le sostanze cosiddette “demonizzate”, come oli minerali, paraffine, petrolati e coloranti. Non a caso nel 2008 abbiamo ottenuto la certificazione Icea per la produzione biologica». Dunque, secondo Manfrinato negli anni scorsi abbiamo assistito a un capovolgimento, dal valore della marca a quello del contenuto. «Un passo avanti impressionante da parte dei consumatori. Penso che sia legato alle tante informazioni facilmente reperibili online. Questo sta alla base, per esempio, del marchio Intra che abbiamo dedicato a consumatrici giovani, dai venti ai trentacinque anni, che si tengono aggiornate visitando internet frequentemente. Il modello cui ci rivolgiamo ha a cuore la tutela ambientale, vuole solo prodotti naturali e sta attenta alla composizione di ciò che compra. Per questo sull’etichetta frontale è riportata la percentuale dell’ingrediente principale presente nella formula, con l’indicazione “ol-
+66% LA CRESCITA DEL FATTURATO DELLA HARBOR REGISTRATA A CHIUSURA DEL BILANCIO 2012 RISPETTO AL 2011
tre il 98 per cento d’ingredienti naturali”». A completare la veloce panoramica sullo studio della Harbor, è il marchio Phytorelax «dedicato a donne più mature – continua Manfrinato – con una disponibilità economica discreta. Loro comprano per sé, ma poi destinano gli stessi prodotti a tutta la famiglia: questo tipo di cosmetici ha caratteristiche più spiccatamente curative e formano una gamma più articolata di prodotti: mentre per la linea “giovane” abbiamo confezionato solo bagnoschiuma, creme corpo e acque profumate, il marchio Phytorelax propone anche oli e creme per il viso, gel doccia e molti altri, senza contare tutti i nostri prodotti specifici per la cura dei capelli». Oltre alle operazioni di marketing, la strategia aziendale non sottovaluta i rapporti con l’estero, in Usa, Canada e Inghilterra e le relazioni con i clienti italiani partner che lo stesso Manfrinato definisce eccezionali. «Infine – conclude – possiamo vantarci di una sana inquietudine, che ci stimola sempre a cercare nuove soluzioni. Internet, per esempio, rappresenta una risorsa da esplorare per capire i nuovi bisogni e le richieste da parte dei consumatori». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 117
MODELLI D’IMPRESA
Manifattura per l’alta moda, il comparto tiene dati raccolti da Adaci-Markit segnano che a gennaio 2013 il tasso di contrazione della produzione manifatturiera italiana ha rallentato la sua corsa verso il basso. Ciò è spiegabile grazie a un leggero aumento della quota di export, che però di contro conferma la debolezza del mercato nazionale, nel quale infatti continuano a decrescere significativamente i livelli di occupazione. Queste le statistiche. Per quanto riguarda le cause e le possibili vie di uscita, secondo Patrizia Piazzi, titolare della Renometal, produttrice di accessori metallici per la pelletteria e l’alta moda firmata Italia: «L’attuale situazione del settore manifatturiero nel nostro paese, come per ogni altro settore, ha sicuramente risentito del pesante periodo di crisi internazionale. Tuttavia è indubitabile
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Patrizia Piazzi, titolare della Renometal Srl di San Giovanni in Persiceto (BO), insieme ai figli Marco e Valentina Lucchetti www.renometal.it
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Artigianalità come sinonimo di alto livello qualitativo. Tecnologia come garanzia di una progettazione accurata di ogni particolare. Patrizia Piazzi racconta la sua esperienza di collaborazione con i grandi stilisti italiani per la realizzazione di accessori metallici Manlio Teodoro
che esista un problema interno di consumi in stallo. Per questo ritengo che le istituzioni dovrebbero avviare delle politiche per favorire il riequilibrio fra domanda e offerta, così da permettere alle aziende e al mercato di lavorare in perfetta concorrenza». Nonostante Renometal abbia come proprio mercato di riferimento, per il 90 per cento, quello italiano, il fatturato dell’azienda risulta in continua crescita e questo grazie al fatto che produce accessori per le più importanti case di moda italiane ed estere. «I maggiori risultati conseguiti sono stati il frutto della collaborazione di persone specializzate e avanzate tecnologie. Queste ultime ci permettono di ottenere un prodotto di elevata qualità made in Italy. In questo modo trasformiamo in realtà i disegni e la creatività degli stilisti, a partire dalla lavorazione della materia prima, costituita solitamente da ottone o zama. Il prodotto viene così concretizzato attraverso diverse fasi di lavorazione. La progettazione dell’accessorio richiede uno studio tecnico preciso, per questo si inizia nel reparto prototipazione e modelleria, dove tutti i particolari vengono creati a partire direttamente dal disegno tecnico
Patrizia Piazzi
dello stilista. Si passa poi alla realizzazione vera e propria, dove è fondamentale l’apporto di moderne attrezzature di ultima generazione a controllo computerizzato, un avanzato sistema Cad-Cam e collaboratori tecnicamente all’avanguardia nel settore meccanico. Infine, concluso il processo di lavorazione, tutti gli articoli vengono sottoposti a un accurato controllo qualità, perché devono rispondere agli standard elevatissimi che ci impongono gli stilisti. Investire in nuove tecnologie, ma anche sulle risorse umane, è quindi fondamentale per la nostra attività produttiva, che ha l’imperativo assoluto di doversi mantenere al passo con l’evoluzione creativa della moda». La conferma di Renometal come partner delle griffe, rispetto agli altri concorrenti sul mercato – anche esteri –, è così garantita dalla capacità di fornire un prodotto finito e curato con una meticolosità ancora artigianale, piuttosto che la serialità standardizzata verso il basso delle produzioni di massa. «La nostra azienda – afferma la signora Piazzi in conclusione – è stata fondata nel 1988 a San Giovanni in Persiceto, in provincia di Bologna, a opera e per volontà di Aldo Mazzanti, come frutto dell’esperienza e della creatività del socio fondatore. Con il passare degli anni, la nostra corsa verso il perfezionamento
Trasformiamo in realtà la creatività degli stilisti, a partire dalla lavorazione della materia prima: ottone o zama
del prodotto ci ha portati a specializzarci nella progettazione e realizzazione di particolari di minuteria sempre più sofisticati. Lavorare per il lusso è sempre una sfida. Però le nostre aspettative per il 2013 sono positive. I nostri obiettivi non sono cambiati: qualità, cura del cliente, rimanere sempre aggiornati sulle nuove modalità produttive e impegno costante nel tempo».
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MODELLI D’IMPRESA
Gli imballaggi per l’ortofrutta sono più sostenibili Grazie all’investimento dei produttori di materie plastiche per soluzioni che garantiscano il riutilizzo e il riciclo, le cassette utilizzate nel settore ortofrutticolo rappresentano una quota bassissima sul totale dei rifiuti non recuperabili. La parola a Michela Rossi Manlio Teodoro
dati dimostrano che gli imballaggi in plastica per l’ortofrutta rappresentano appena l’1 per cento del totale dei rifiuti prodotti. Questo anche perché sono realizzati con materiali facilmente riciclabili. In ciò ha avuto un ruolo importante l’attenzione dei produttori, che hanno posto come priorità il rispetto dell’ambiente. Uno di questi produttori è la società Rossi Fratelli srl di Polesine
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Parmense, specializzata principalmente nello stampaggio di cassette per il settore agricolo, però presente anche nel settore caseario, industriale e in altri minori. «Il nostro obiettivo – spiega Michela Rossi, titolare dell’azienda – è garantire ai nostri partner un prodotto di qualità che rispetti pienamente le normative vigenti. E che sia all’avanguardia sotto il profilo dell’attenzione verso il processo tecnolo-
Nella pagina accanto fase di lavoro all’interno della Rossi Srl di Polesine Parmense (PR) www.rossifratellisrl.it
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Michela Rossi
gico e della salvaguardia ambientale. Abbiamo scelto di impostare la nostra crescita in maniera sostenibile. Andando sul dato concreto, la nostra azienda utilizza, per il raffreddamento dell’acqua delle presse e degli stampi, un circuito chiuso, abbiamo introdotto il fotovoltaico e i nostri prodotti sono tutti riutilizzabili e riciclabili. Questa scelta netta non ci ha impedito di conservare il livello di competitività precedentemente raggiunto sul mercato globale». Quanto affermato dalla titolare è il fondamento del successo competitivo della Rossi, che investe infatti importanti risorse nello studio e nella progettazione di nuovi metodi per rendere il processo produttivo più efficiente. «L’innovazione e la collaborazione sono le due parole in grado di rappresentare al meglio il sistema in cui è strutturata la nostra organizzazione. E questo perché siamo convinti che alla base di un’impresa sana e capace di creare ricchezza ci debba essere una buona comunicazione interna, l’appoggio dei collaboratori e quell’entusiasmo creativo che spinge a realizzare nuovi progetti da portare sul mercato. Fra questi, l’ultima innovazione tecnologica che abbiamo sviluppato, collaudato e introdotto – risultato di un’intesa collaborativa con alcuni nostri partner – è stata la realizzazione di un sistema in mould labeling. Questo esegue il controllo della numerazione in progressivo dei pezzi stampati tramite sofisticati lettori ottici posizionati a bordo macchina». Ma questo è solo uno degli esempi dell’avanzamento tecnologico raggiunto dalla società. Come spiega ancora Michela Rossi: «All’interno del nostro stabilimento stampiamo utilizzando esclusivamente presse a iniezione, mentre la maggior parte del lavoro è automatizzata e affi-
La scelta di perseguire lo sviluppo sostenibile non ci ha impedito di conservare il livello di competitività precedentemente raggiunto sul mercato globale
data a dei robot, ad assemblatrici e tampografie e a nastri trasportatori. L’apporto umano è limitato alla raccolta dei manufatti finiti alla fine del processo, che gli addetti trasferiscono sui pallet». Dal punto di vista del raggio d’azione, gli interessi dell’azienda di Polesine Parmense si concentrano principalmente sul mercato nazionale. «Tuttavia – aggiunge la signora Rossi – siamo presenti anche in Nord Africa e in alcuni paesi europei. Sotto il profilo, poi, delle migliori risposte in termini commerciali, queste, attualmente giungono dai nuovi paesi emergenti dell’Africa non mediterranea. Grazie ai risultati ottenuti sul fronte delle esportazioni, ci riteniamo abbastanza soddisfatti di come è stato chiuso il bilancio 2012. Abbiamo praticamente registrato una stabilità nei volumi di vendita. Per quanto riguarda il 2013, invece, alla luce degli investimenti tecnologici che abbiamo messo in campo, prevediamo e contiamo di mettere a bilancio un incremento dei volumi e quindi del fatturato». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 121
MODELLI D’IMPRESA
L’automotive implementa i servizi fronte di un calo di fatturato che ha raggiunto anche punte del 30-40 per cento fra i nostri partner, il contenimento della flessione del bilancio 2012 entro il 5 per cento, rispetto al 2011, lo consideriamo come un dato comunque favorevole. Soprattutto se inserito nel contesto di crisi globale che l’anno scorso ha colpito i più svariati settori. Oltretutto, nonostante le condizioni di mercato siano rimaste pressoché invariate, nel primo trimestre 2013 siamo già riusciti a registrare un leggero incremento (2 per cento)». È questo il quadro che fa Paolo Valentini, titolare della Balestri, società di San Benedetto Val di Sambro, sull’Appennino tosco-emiliano, realtà industriale all’avanguardia nel trattamento superficiale delle leghe di allu-
«A
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La strategia per il contenimento degli effetti della crisi portata avanti da Paolo Valentini, che non ha rinunciato all’investimento nello sviluppo sostenibile e a fare progetti per il futuro Valerio Germanico
minio e che ha come settore di riferimento quello dell’automotive. «La flessione di fatturato della quale abbiamo risentito nel 2012 ha la sua causa principale nella situazione di relativa incertezza in cui si trovano tanto il mercato interno quanto quello estero, che nei casi peggiori sono addirittura immobili. A fronte di questo stato di cose, tuttavia, in questi anni, la nostra realtà è riuscita a reagire, ampliando il raggio di azione, instaurando nuove partnership – oggi siamo presenti su tutta Bologna e provincia, sulla zona di Modena, Reggio
Paolo Valentini
Paolo Valentini, titolare della Balestri Spa con sede a San Benedetto Val di Sambro (BO). Nell’altra immagine, uno degli impianti di ossidazione info@balestrispa.com
Emilia e Parma, fino ad arrivare alla zona di Pesaro – e investire nell’implementazione di nuovi comparti, dedicati a servizi come il ritiro e la consegna dei prodotti con nostri mezzi. Questa implementazione è stata importante anche per venire incontro alle nuove esigenze del mercato, che si sono manifestate soprattutto in una maggiore richiesta di competitività nei prezzi e di elasticità nella gestione dei tempi produttivi – anche per questo abbiamo fatto in modo che le nostre produzioni si sviluppino nell’arco di ventiquattro ore dalla ricezione dei prodotti da lavorare». L’attività principale della Balestri consiste nel gestire l’integrità di tutto il ciclo dei trattamenti superficiali su componenti in alluminio: dalla fase della preparazione delle superfici mediante pulitura meccanica, sabbiatura e burattatura fino all’eventuale personalizzazione dopo il trattamento di ossidazione anodica. «La personalizzazione avviene mediante serigrafie classiche, tampografie o processi a inchiostro per assorbimento, tuttavia utilizziamo anche procedure che sfruttano complesse incisioni chimiche a più fasi di anodizzazione e serigrafia. Questa impostazione dei nostri reparti ha fatto sì che in questo ultimo decennio l’azienda si sia spinta oltre l’offerta dei classici trattamenti, realizzando prodotti finiti di primo equipaggiamento per il settore automotive. Mentre per quanto riguarda il reparto serigrafico-tranciatura, siamo specializzati nella produzione di targhe metalliche in alluminio, ottone e acciaio, etichette in Pvc, resinati, pannelli e nella produzione di scatolari per elettronica». Benché questa non sia una fase in cui sono disponibili risorse da destinare alle attività di ri-
La personalizzazione avviene mediante serigrafie classiche o processi a inchiostro per assorbimento
cerca e sviluppo e all’innovazione, la società sta valutando, per il medio periodo, di investire nell’ampliamento del reparto meccanico. «In particolare per l’inserimento di un laser per la lavorazione delle lamiere e di una pressa semiautomatica per l’inserimento di perni, torrette e altri elementi metallici su scatolari per elettronica di nostra produzione. Inoltre, vorremmo avviare una nuova linea di lavaggio per il reparto serigrafico che utilizzi solventi ecologici» Questa scelta si inserisce coerentemente con l’impostazione – orientata allo sviluppo sostenibile – che l’azienda ha assunto nell’ultimo quinquennio. «Negli anni scorsi abbiamo investito notevoli risorse per ridurre l’impatto ambientale della nostra produzione e per orientarci verso il risparmio energetico. Fra gli interventi più rilevanti: abbiamo sostituito l’impianto termico di vecchia tecnologia a olio combustibile con una caldaia di nuovissima generazione ad altissima modulazione con combustibile metano, installato un impianto fotovoltaico da 99 kW e sono stati sostituiti i forni di asciugatura della linea di ossidazione con forni di nuova generazione con tecnologia inverter». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 123
STRATEGIE
La parola d’ordine è collaborare Quando le aziende sono troppo piccole per contare all’estero basta organizzarsi: la rete permette la diffusione di expertise e al contempo la figura del temporary manager segue l’imprenditore lungo tutto il progetto. Una strategia che ha già visto protagoniste 54 aziende emiliano-romagnole Teresa Bellemo
L
a crisi spinge a sperimentare nuove modalità di produzione e di aggregazione. Su queste basi si fondano i nuovi progetti per l’export del territorio, che nel 2012 ha particolarmente risentito sia della congiuntura economica che del terremoto che ha colpito l’Emilia lo scorso maggio. Nonostante ciò, sono i nuovi mercati a essere la base per il rilancio produttivo ed è su questa consapevolezza che i contratti di rete stanno avendo particolare successo, proprio perché consentono di stare assieme per at-
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tuare un progetto comune, senza ridurre l’autonomia decisionale delle singole imprese. L’ingresso nelle aziende di figure come quella del temporary export manager, poi, costituisce una valida risposta a carenze manageriali legate alla ridotta dimensione e consente di competere più efficacemente nel mercato globale. Fronte sul quale Ugo Girardi, segretario generale di Unioncamere Emilia Romagna, esprime soddisfazione. «All’inizio di novembre del 2012 dalla fotografia scattata da Info Camere risultano registrate presso gli enti camerali dell’Emilia
Ugo Girardi
Romagna 312 imprese aggregate in 79 contratti di rete. In molti casi, il programma comune è finalizzato alla penetrazione nei mercati esteri». L’export regionale ha segnato un +0,6 per cento, molto più basso della media nazionale. Quanto ha pesato il terremoto su questi risultati? «Come documenta Ervet nel Rapporto 2012 sull’economia dell’Emilia Romagna realizzato da Unioncamere e Regione, gli eventi sismici hanno colpito un’area dove si concentrano rispettivamente il 2 per cento del Pil nazionale e il 25,4 per cento (12,2 miliardi di euro) delle esportazioni dell’Emilia Romagna. Quello che ha colpito l’Emilia sarà ricordato come il primo “terremoto industriale”, per l’elevatissima densità delle imprese presenti nell’area dell’epicentro. Tra le aree colpite rientra, ad esempio, quella tra Mirandola e Medolla, il più rilevante distretto europeo del bio-medicale, con quasi 300 aziende e un flusso di export di 339 milioni di euro. Assai orientate al commercio estero sono anche la filiera del tessile-abbigliamento gravitante tra Carpi e Cavezzo, con un terzo del giro d’affari originato dall’export, e quella della ceramica localizzata tra Camposanto e Finale Emilia. Nel complesso, ammontano a tre miliardi di euro i danni diretti delle 10mila aziende colpite dal sisma». Languono quasi tutte le direttrici dell’export, paesi Brics inclusi, salvo la Russia. Si segnala però un rialzo del 24,6 per cento verso gli Stati Uniti. Quali le motivazioni di questo risultato? «Ha contribuito di certo il rallentamento del commercio estero, nel 2011 si era registrato infatti l’8,6 per cento in più. L’Osservatorio sull’internazionalizzazione, attivato da sistema camerale e dalla Regione, evidenzia che gli Stati Uniti sono il terzo paese di sbocco dell’export regionale, dietro a Germania e Francia. Negli ultimi anni le imprese dell’Emilia Romagna si sono orientate verso i mercati con maggiori ritmi di crescita: la Cina e la Russia sono entrate infatti nella top ten dei partner commerciali dell’Emilia Romagna. Le istituzioni hanno accompagnato il riposizionamento delle imprese nello scenario internazionale. Le Camere di Commercio hanno garantito l’operatività a livello provinciale dello Sportello regio-
nale per l’internazionalizzazione coordinato dalla Regione. Nel 2012, tuttavia, si è registrata la frenata dell’economia dei Paesi emergenti, con andamenti altalenanti soprattutto in India e Brasile. Gli Stati Uniti, invece, hanno trainato, negli ultimi mesi del 2012, il commercio internazionale, grazie all’azione della Fed, a prezzi più bassi per gas naturale e petrolio e alla “rinascita manifatturiera”, imperniata sulla partnership tra pubblico e privato». In cosa consiste il progetto “Le vie nei mercati esteri per le pmi”? «Dal 2008 le imprese della regione che affrontano i mercati esteri sono aumentate del 12 per cento, 24mila unità in valore assoluto. Il progetto intende rafforzare questa tendenza, ampliando a un tempo la quota di fatturato estero delle aziende che esportano sporadicamente. Con l’iniziativa sperimentale Temporary network manager, che rientra in “Deliziando”, progetto di collaborazione con l’assessorato regionale all’Agricoltura, si intende in particolare promuovere aggregazioni tra imprese per elevare la managerialità nei percorsi di internazionalizzazione della filiera agroalimentare, promuovendo con la necessaria massa critica i prodotti con denominazione d’origine e qualità regolamentata. Le iniziative su scala regionale si collegano al “Progetto matricole” varato da Unioncamere nazionale, che punta in 3 anni a far salire a 30mila il numero delle aziende italiane esportatrici. Per l’Emilia Romagna l’obiettivo è portare 3mila imprese a muoversi verso i mercati esteri».
Ugo Girardi, segretario generale di Unioncamere Emilia Romagna
EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 127
STRATEGIE
L’esperienza al servizio delle aziende Da sei anni la Camera di Commercio di Forlì e Cesena porta avanti il progetto sui temporary export manager, che aiuta a vincere la sfida dell’internazionalizzazione ma unisce anche università e mondo del lavoro Teresa Bellemo
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Alberto Zambianchi, presidente della Camera di Commercio di Forlì-Cesena
e il mercato interno langue, serve guardare a quello estero. Per farlo, però, non tutte le aziende sono sufficientemente autonome e indipendenti. È questo l’assunto che soggiace al progetto Temporary export manager, una strategia articolata su più iniziative, tutte mirate ad accrescere il numero delle imprese locali che operano all’estero e la quota export del fatturato prodotto nella provincia. Ideato dalla Camera di Commercio di Forlì-Cesena nel 2007 con l’obiettivo di strutturare, potenziandola, la funzione del marketing internazionale nelle aziende, nel novembre 2012 è stato scelto da una commissione nazionale istituita da Unioncamere come “buona pratica nazionale”, assieme ad altri otto progetti selezionati su 132 candidature. In sostanza, questo progetto affianca gli imprenditori a manager specializzati, dedicati temporaneamente al raggiungimento di specifici obiettivi aziendali. A questo binomio sono state aggiunte anche giovani risorse, sempre supportate da un esperto senior. È, quindi, nato un modello innovativo e consolidato, in termini sia di strategie di internazionalizzazione sia di inserimento occupazionale. «Per questo – sottolinea Alberto Zambianchi, presidente della Camera di commercio di Forlì e Cesena – dal 2009 abbiamo reso partecipe di tale iniziativa le altre camere emilianoromagnole, mettendo a loro disposizione il background conoscitivo e le metodologie utilizzate». Ne parliamo con il presidente.
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Qual è stata la risposta delle aziende a questa iniziativa? Quali i risultati dal punto di vista pratico? «Nel 2012 si è conclusa la quarta annualità del progetto che ha visto negli anni l’adesione di decine di imprese. I risultati negli anni hanno toccato le opportunità occupazionali per giovani laureati, oltre l’80 per cento dei tirocinanti ha ricevuto una proposta di lavoro dall’impresa ospitante. Il progetto ha inoltre consolidato una rete per lo sviluppo territoriale tra le istituzioni coinvolte, tra cui la Camera di commercio, il polo di Forlì dell’Università di Bologna, le associazioni di categoria e altre strutture del territorio. Infine, un fondamentale asse virtuoso tra il mondo della scuola e il mondo del lavoro, ovvero il contatto diretto tra imprese e mondo universitario: molte aziende hanno sperimentato la realtà dei tirocini, venendo a conoscenza di uno strumento che prima non era particolarmente utilizzato».
Alberto Zambianchi
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Il vero vantaggio competitivo consiste nel trasmettere all’imprenditore competenze e strumenti tali da poter poi essere utilizzati in totale autonomia
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Oltre all’export, quali sono i settori che potrebbero avere giovamento dalla figura del temporary manager? «La nostra iniziativa ha fatto crescere le opportunità di aggregazione commerciale e industriale fra le imprese appartenenti alla stessa filiera come strategia di penetrazione nei mercati esteri. Dopo questa esperienza basata sull’aggregazione delle imprese, in alcuni casi c’è stata la prosecuzione spontanea della collaborazione fra le imprese stesse. Voglio citare lo “Start-up per l’Internazionalizzazione” che nel 2012 ha portato a un dossier specialistico per l’attivazione di un ufficio estero condiviso da parte di alcune aziende del settore moda. Sembra quindi evidente che questa modalità progettuale sia valida anche per altri modelli di business di rete. Il supporto esterno di un manager esperto, affiancato da una risorsa junior, si presta anche ad ambiti diversi perché il vero vantaggio competitivo consiste nel trasmettere all’imprenditore competenze e strumenti tali da poter poi essere utilizzati in totale autonomia». Come vengono individuate le aziende partecipanti? «Abbiamo presentato l’iniziativa a tutto il sistema imprenditoriale della provincia e dato ampia pubblicità sia sul sito che attraverso eventi pubblici, ri-
presi dai media locali. Le aziende interessate hanno poi presentato candidature tramite company profile, in cui sono descritte struttura aziendale e tipo di attività, con particolare riferimento all’azione commerciale già svolta con l’estero e soprattutto l’idea progettuale da sviluppare nel corso del progetto stesso. Le candidature sono vagliate da funzionari camerali e dall’esperto, in seguito con i rappresentanti dell’impresa viene effettuato un colloquio che fa emergere i fattori motivazionali, di fattibilità ed efficacia dell’intervento identificato dal progetto rispetto agli obiettivi». Ci può raccontare un caso di successo grazie alla figura del temporary manager? «Certamente quella di Fase Engineering. Qui il junior export manager è stato inserito all’interno dell’organico aziendale per un periodo di sei mesi, durante il quale ha affinato le sue conoscenze sulle dinamiche del mercato indiano e sui prodotti e servizi commercializzati dall’azienda, in questo caso la progettazione e l’installazione di impianti fotovoltaici. Sotto la supervisione del senior export manager è stato possibile per il junior manager impostare le prime strategie di penetrazione nel mercato. Grazie al lavoro svolto, Fase Engineering è stata poi selezionata per una missione asiatica in collaborazione con la Camera di commercio. Al momento l’azienda ha positivamente concluso la trattativa per un impianto fotovoltaico in India da 1,5 Mwp che sarà realizzato presso un’importante azienda leader del suo settore». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 129
STRATEGIE
Se il manager è a tempo
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Andrea Molza presidente di Federmanager Bologna
volte, nel migliore dei casi, succede che un’unica soluzione vada bene per più problemi. E nell’attuale contesto di crisi economica le difficoltà sono evidenti su più fronti. Da una parte, le aziende faticano a conservare le proprie quote di mercato e a ottenere credito per rinnovare il loro parco prodotti e le loro prospettive di mercato. Dall’altra, o meglio in conseguenza, molti lavoratori perdono la propria occupazione perché non più indispensabili. Tra questi non ci sono soltanto operai o impiegati nei servizi, ma anche professionisti “eccellenti” che per molti anni non hanno risentito delle difficoltà occupazionali che iniziavano a essere presenti già nel 2007. Molti manager infatti si stanno ritrovando senza un contratto in un momento in cui si fa particolare difficoltà a ritrovare collocazione proprio a causa delle ristrettezze dei portafogli aziendali. È su queste basi che si è trovata una soluzione per questo duplice problema. La figura del temporary manager evita al professionista di perdere la sua competitività a causa di uno stop troppo lungo e aiuta le aziende a iniziare percorsi nuovi proprio nell’ottica di non perdere quote di mercato e di trovare nuovi sbocchi. Su questo binario Federmanager Bologna ha promosso Columbus, un progetto che nell’arco di due edizioni è riuscito a diventare un concreto strumento di riposizionamento per manager inoccupati e ha portato risultati di livello tramite un matching tra aziende del territorio che dovevano internazionalizzarsi e manager momentaneamente inoccupati. Ne parliamo con Andrea Molza, presidente di Federmanager Bologna.
In un momento in cui è complesso guardare al lungo termine, anche le figure dirigenziali si adattano. Nasce così la figura del temporary manager, che offre la sua consulenza alle imprese per farle ripartire Teresa Bellemo
Quali sono le maggiori necessità che avete riscontrato nelle aziende? «Molto spesso, per le nostre pmi, il problema di internazionalizzare è da affrontare a monte. Alcune aziende pensano che aver partecipato a una fiera e aver venduto in quella sede qualcosa sia internazionalizzare, non hanno idee chiare sul creare una rete commerciale, che tipo di rete preferire, gestire problemi di assistenza e di ricambi. L’aiuto che un manager può e deve dare preliminarmente è fondamentale anche per far capire in che termini bisogna approcciare il mercato estero partendo dalla domanda: mi conviene, la mia struttura se lo può permettere? Solo dopo è giusto accettare la sfida, evitando di spendere senza una reale possibilità di ritorno». La crisi economica ha colpito anche i ruoli manageriali. Quanto il concetto di temporary può aiutare a limitare i periodi di inattività di queste figure altamente qualificate? «Noi consigliamo, se il ruolo è interessante, di accettare piuttosto che aspettare posizioni come dipendente che oggi si rivelano sempre meno possibili. La gravità della crisi porta a una seria riflessione chiarificatrice: il dirigente per contratto e per approccio è un temporary in quanto può essere sempre lasciato a casa. Ieri a differenza di oggi c’erano maggiori tutele economiche e, a fronte di un mer-
Andrea Molza
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Il dirigente per approccio è temporary. Ieri però c’erano maggiori tutele economiche e, a fronte di un mercato in crescita, una minore mobilità
cato in crescita, una minore mobilità. La crisi morde e spesso i manager vedono scomparire la propria azienda: nel 2012 solo a Bologna abbiamo firmato 197 conciliazioni che ci portano a ipotizzare che ci siano almeno 600 manager a casa. Ora chi si ricolloca come temporary non va solo a ricoprire il ruolo classico, ma anche quello di realizzatore in breve tempo di un forte cambiamento». Quali sono dunque i nuovi percorsi per i manager? «Attualmente si tende ad assumere temporary manager per diverse tipologie di incarichi e funzioni: dai tradizionali ruoli (amministratore delegato per la risoluzione di crisi aziendali, passaggi generazionali) a progetti di ristrutturazione anche di una singola funzione aziendale (logistica, finance, It, export manager). Sebbene alcune aziende preferiscano utilizzare contratti diretti di collaborazione si può passare attraverso società specializzate come Cdi Manager, le quali permettono sia una ampia scelta di professionalità sia, in alcune regioni e per determinate dimensioni aziendali, di poter partecipare a bandi pubblici e di poter ottenere fino al 60 per cento di finanziamento a fondo perduto sul costo aziendale del temporary. Il manager inoccupato, inoltre, può trovare nell’attività a tempo
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un modo nuovo per mantenere aggiornate le proprie competenze e per restare attivamente nel mercato del lavoro». Qual è la percentuale di assunzione da parte delle aziende dei manager dopo la collaborazione? «Anche in questo caso è difficile dare un ritorno preciso, se l'azienda ha modo (e budget sufficiente) spesso chiede di poter continuare la collaborazione, non sempre attraverso un’assunzione diretta. Col Columbus una percentuale rilevante ha continuato anche dopo il progetto con formule per lo più a termine». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 131
EXPORT
Si sposta all’estero la domanda di alluminio Le quotazioni dell’alluminio restano basse e la domanda scarsa. E gli ostacoli maggiori per il settore non riguardano solo la salute finanziaria delle imprese ma anche la capacità di accesso al credito. Il punto di Giovanni Colonnesi Lorenzo Brenna
alluminio viene impiegato nell'industria aeronautica, in quella automobilistica, nautica e meccanica, nei trasporti, nell'imballaggio, nel settore delle costruzioni e per i cavi elettrici. La domanda di alluminio è forte soprattutto in Asia, con Cina e Giappone che la fanno a padrone e negli Stati Uniti. L'industria europea delle trasformazioni e dell'impiego di alluminio sta risentendo del momento di difficoltà economica globale. I bassi prezzi del metallo, con costi energetici sempre molto
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Fasi di lavoro e dettagli di produzione della Almet Italia Srl di Bologna www.almetitalia.it
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alti in Europa, hanno provocato tagli di produzione, che durano ormai da due anni. Nonostante i tagli le quotazioni dell’alluminio restano basse a causa della scarsa domanda. Le difficoltà del settore hanno comportato una maggior frammentazione della clientela e la necessità di una maggior presenza sul territorio. È il caso di Almet Italia, azienda specializzata distribuzione di semilavorati e componenti in alluminio per l'industria. «Gli ostacoli maggiori riguardano la salute finanziaria dei nostri clienti - afferma
Giovanni Colonnesi
Giovanni Colonnesi, direttore generale di Almet Italia - anzi, più che la salute finanziaria, che ovviamente è deteriorata dalla fine del 2008, è la capacità di accesso al credito. La nostra risposta a queste difficoltà consiste nel relazionarci direttamente con la clientela, affrontare insieme i problemi per avere un partenariato più solido possibile. Non ci siamo chiusi ma, prendendo anche decisioni dure, siamo stati molto aperti e schietti con i committenti storici». Nonostante le generali ristrettezze economiche e quelle particolari che colpiscono il settore dei metalli Almet Italia è riuscita a mantenere costante il fatturato. «L’azienda ha sostanzialmente mantenuto le posizioni del 2011. Il risultato più importante della società è stato la capacità di cambiare la sua “pelle”, ovvero la base clienti. Per contrastare la diminuzione dei volumi che la recessione economica ha portato, l’azienda è riuscita a spostarsi su una fascia di clientela più vasta e variegata in modo tale da contrastare l’inevitabile riduzione che i nostri clienti storici hanno avuto. Abbiamo sempre rifornito grossi clienti, in alcune zone ora siamo passati a rifornire clientela medio-piccola, con un servizio per noi più impegnativo ma che ci ha permesso di mantenere il passo dello scorso anno. La nostra società crede molto nella conoscenza e nella presenza sul mercato, abbiamo una forza di vendita molto radicata e capillare. Nonostante le nuove tendenze contrattuali noi crediamo nella gestione diretta delle persone, molte delle quali hanno un’anzianità in azienda molto importante. Il fatto di avere esperienze pregresse con multinazionali ha fatto sì che la competenza tecnica della nostra forza vendite sia superiore alla media».
50 MLN
FATTURATO IN EURO CONSEGUITO DALLA ALMET ITALIA NEL 2012, SUI LIVELLI DELL’ANNO PRECEDENTE NONOSTANTE LA CONGIUNTURA NEGATIVA
Come già accennato l’allumino viene utilizzato in numerosi ambiti, abbiamo chiesto a Giovanni Colonnesi in quale tra i principali comparti la sua azienda ripone le maggiori aspettative per il 2013. «È difficile dare una risposta precisa. Sono convinto personalmente che sia l’industria, soprattutto quella che esporta». Dal 2009 Almet Italia ha acquisito anche la Metalli Marchelli. Questo passo ha consentito all’azienda di essere ancora più vicina ai clienti. «Oggi siamo in grado di proporre un’offerta che non è solo legata all’allumino - conferma Colonnesi ma anche a quelli che noi definiamo “altri metalli”, ossia acciaio, bronzo, ottone. Il cliente ha la possibilità di accedere ad una vasta gamma che è difficile trovare in altre realtà italiane». La ricetta per continuare a essere competitivi e rimettere in moto l’economia sembra semplice. «L’accesso al credito cambierà la situazione di molti clienti, abbiamo a che fare quotidianamente con aziende che, malgrado la difficoltà finanziaria, non hanno perso l’inventiva, hanno bisogno di qualcuno che creda nei loro progetti». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 133
EXPORT
Ferrovie, la scommessa è l’export Nel comparto, il pubblico spende sempre meno e i privati sono costretti a guardare oltre confine. Un cambio strategico forzato descritto da Carmine Albanese, che indica i possibili sviluppi. «È necessario fare fronte comune» Renato Ferretti
li investimenti in opere pubbliche rimangono in caduta libera, e con loro sono trascinate tutte le aziende più o meno direttamente connesse a interventi infrastrutturali. Una realtà che ha affossato l’edilizia, per la verità un problema non solo italiano, e che non ha mancato di colpire anche settori come quello ferroviario. Con le parole di Carmine Albanese, da anni nell’ambito delle attrezzature ferroviarie e oleodinamiche con la sua Geatech, si chiariscono le condizioni dello scenario attuale e quello che gli addetti ai lavori si aspettano nei prossimi mesi. «Se parliamo del mercato italiano – dice Albanese – si deve considerare un meno sessanta per cento per quanto riguarda la manutenzione sui binari, dovuto al taglio che Rfi ha operato sul bud-
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get. Questo come è ovvio ha colpito indirettamente anche noi che forniamo principalmente attrezzature e ricambi». Così si è reso indispensabile guardare all’estero. «L’export è in effetti l’unica soluzione praticabile, perché anche i paesi più piccoli dispongono di ferrovie: in teoria il mercato è enorme, anche per noi che eravamo abituati a lavorare per clienti italiani. Ma non è così semplice come può sembrare. Presentare la propria proposta fuori dai confini nazionali richiede dei costi di gestione, distribuzione e comunicazione consistenti: in questo Geatech paga lo scotto di essere un’azienda piccola». Cosa vi ha aiutato a rimanere operativi? «Da una parte, il nostro livello di specializzazione è tale per cui esistono pochissime società come la nostra nel mondo: in sostanza è un mercato di nicchia. Dall’altra, abbiamo preso decisioni, fin da dieci anni fa, che si sono rivelate vincenti nel tempo e abbiamo fatto
Carmine Albanese
Carmine Albanese, titolare della Geatech con sede ad Altedo (BO). Nelle altre immagini, alcune fasi di produzione dell’azienda www.geatech.it
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LA FLESSIONE DEGLI INVESTIMENTI IN OPERE PUBBLICHE REGISTRATA NEL SETTORE FERROVIARIO
investimenti in comunicazione di cui ora raccogliamo i frutti. In particolare si tratta di pubblicazioni su riviste specializzate straniere e fiere all’estero, come in India, Cina, Brasile, ma anche in Europa. Questo ci ha permesso di lavorare in Tunisia, in Sudafrica, in Australia e in una ventina di altri paesi. Il problema che dobbiamo affrontare ora consiste nella sporadicità delle commesse che vengono dall’estero, perciò abbiamo continuato a partecipare agli appalti pubblici in Italia, e in alcuni casi abbiamo vinto. Ci stiamo organizzando per rendere più stabile il nostro export». Cosa avete in mente? «Collaborazioni anche con aziende concorrenti, o partnership con società più strutturate della nostra per sviluppare l’attività commerciale. Come accennavo prima, abbiamo partecipato a molte fiere nel corso degli ultimi dieci anni: le aziende straniere, tedesche, francesi e americane, erano riunite in consorzi per essere più appetibili ai potenziali clienti. Noi italiani
invece ci presentiamo da soli, affrontando costi spropositati, e senza poter coprire l’offerta di un consorzio. Ho provato a chiedere ad altre ditte italiane, ma la mentalità che deriva dal nostro tessuto industriale non permette questo tipo di sinergie». Vuol dire essere condannati a contare solo sulle proprie forze. «Non è detto che in futuro non si riesca, ma per il momento è questa la situazione. Perciò tutta l’attività di progettazione e produzione dipende solo da noi, e nonostante questo riusciamo ad avere una gamma di prodotti tra le più articolate a livello mondiale. Costruiamo e vendiamo ricambi per rincalzatrici, risanatrici, profilatrici e treni di rinnovamento; catene di scavo per risanatrici, martelli Bti per rincalzatrici, lubrificanti speciali Bechem per scambi e organi di trasmissione, strumenti di misura Graw per binari, scambi, assali, rodiggi e bordini. Per non parlare di tutta la serie di prodotti che commercializziamo». Quanto ha inciso su questo la vostra attività di ricerca? «Abbiamo sempre cercato di fare cose nuove, progettando anche in piena crisi. Tutti gli anni destiniamo il cinque per cento del fatturato alla costruzione e alla progettazione di macchinari nuovi: sono gli investimenti che ci hanno permesso di sopravvivere». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 135
EXPORT
Lavoro e produttività le regole devono cambiare L’industria italiana attende ancora le riforme strutturali. Lo dice l’Ocse, lo confermano gli imprenditori. L’opinione di Romeo Salvatori, titolare di un’impresa meccanica che continua a investire Manlio Teodoro
l rapporto Ocse 2012 sull’andamento dell’economia italiana parla chiaro. Per migliorare la produttività sono necessarie riforme strutturali del mercato del lavoro e dei beni, dell’innovazione, dell’istruzione e dell’efficienza del settore pubblico. E non soltanto a livello nazionale, ma anche a livello locale. Soltanto un’azione combinata di interventi su tutti questi pilastri del sistema paese potrà permettere un’inversione di tendenza. Uno dei nodi fondamentali evidenziati dal rapporto è quello del costo del lavoro. Quest’ultimo, infatti, è schiacciato da un’ecces-
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Un momento del processo produttivo della Mas Srl di Imola. Nella pagina accanto, una piattaforma prodotta dall’azienda www.massrl.com
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siva pressione fiscale, fattore che contribuisce fortemente a frenare la competitività sia delle singole realtà imprenditoriali che dell’economia nazionale nel suo insieme, soprattutto rispetto a quanto accade nel mondo. A riprova dell’incidenza che il cosiddetto “cuneo fiscale” ha sulla vita delle imprese c’è il fatto che anche le realtà che hanno visto crescere il numero delle commesse non sono riuscite a realizzare una crescita in linea con le prospettive. È quello che è accaduto alla Mas di Romeo Salvatori, azienda meccanica specializzata nella produzione di macchine di lappatura progressive e a espansione – macchine
Romeo Salvatori
esportate in tutto il mondo e impiegate soprattutto nei settori della refrigerazione, idraulica e automotive. «Siamo esportatori e il paese in cui lavoriamo maggiormente è la Cina, che al momento rappresenta circa l’85 per cento del nostro mercato di macchine per lappatura fori. Lavoriamo poi anche con la Germania e in misura ridotta con altri paesi, mentre per quanto riguarda l’Italia, da due anni siamo fermi, a fronte di un 2008 in cui le vendite si attestavano intorno al 60-70 per cento della produzione. Da allora a oggi il fatturato è sempre stato al di sotto delle effettive possibilità, passando da 12,7 milioni di euro a 10 milioni nel 2012 – con un crollo nel 2009, quando abbiamo chiuso a quota 8,7 milioni. Nonostante questo non abbiamo mai rinunciato a investire e anzi abbiamo sempre destinato il 15 per cento del fatturato all’innovazione e, in particolare, stiamo ultimando l’ampliamento dello stabilimento, che raggiungerà gli 8.500 metri quadrati coperti – spazio che ci permetterà di intraprendere attività di completamento per conto terzi delle nostre produzioni meccaniche di precisione di medie e grandi dimensioni». Se nelle parole di Salvatori è evidente la voglia di non arrendersi, questa non può che scontrarsi con le criticità. «Importanti prospettive si erano delineate anche all’inizio del 2012, ma sono naufragate contro uno scoglio insormontabile: un aumento delle commesse a fronte della difficoltà a effettuare le consegne nei tempi previsti, causata soprattutto dall’incertezza sulla presenza del personale. Questa incertezza dipende dalle dinamiche del mondo del lavoro italiano e dalle sue regole sindacali, che hanno un peso e un potere consistente e condizionano la
Il paese in cui lavoriamo maggiormente è la Cina, che al momento rappresenta circa l’85 per cento del nostro mercato di macchine per lappatura fori
vita delle aziende. Pertanto per incrementare la produttività è necessaria una sostanziale e consistente modifica del contratto nazionale di lavoro, che determini un rapporto più equo fra produzione e prestazioni del personale. Solo se verranno fatti dei sacrifici da parte di tutti – anche piccoli sacrifici, però utili –, sarà possibile invertire la tendenza verso il declino». Salvatori fa degli esempi concreti dei problemi che oggi vive un’impresa. «Oggi un’azienda paga 2.240 ore, di cui solo circa 1.600 sono quelle di lavoro effettivo. Ciò comporta costi troppo elevati a fronte degli effettivi risultati finali. Per superare questa insostenibilità occorre una giusta commisurazione tra i diritti e i doveri, che combinata con una riduzione della tassazione sul lavoro, renderebbe anche possibile gratificare maggiormente il dipendente. In questo modo avremmo in tempi brevi una crescita della produttività, della competitività e anche dei consumi, grazie alla maggiore liquidità disponibile». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 137
EXPORT
Una risposta funzionale alle richieste di mercato Sopperire a una mancanza di mercato diventando un punto di riferimento nel settore. In Italia e all’estero. Monica Greci ripercorre la storia della Imeta, da 50 anni impegnata nella produzione di ricambi per aggraffatrici Emanuela Caruso
Alcune fasi di analisi e produzione alla Imeta Srl di Parma www.imetasrl.com
a partire dagli anni 60 che nel settore della scatola si nota una certa difficoltà dei produttori nel reperire parti di ricambio per le aggraffatrici, ovvero le apparecchiature indispensabili per realizzare scatole, barattoli, lattine e qualsiasi altro contenitore in metallo. Ed è sempre negli anni 60 che l’attenta analisi di mercato di Gian Paolo Greci, allora commerciale della Superbox – oggi parte del gruppo Crown – lo spinge a voler coprire questo gap e a buttarsi
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nella mischia con l’intento di diventare produttore di parti di ricambio e attrezzature per tutti i modelli di macchine dei vari costruttori di aggraffatrici. Grazie a questo slancio imprenditoriale, 50 anni fa a Parma nasce la Società Imeta, attualmente guidata da Monica e Guerrino Greci, figli del fondatore. «Da sempre il core business dell’azienda è l’aggraffatura, la scienza dell’aggraffatura – spiega Guerrino Greci, Amministratore Imeta –. Progettiamo produciamo commercializziamo mandrini, rolline, attrezzature complete per il cambio formato. Fondamentali sono la continua attenzione e ricerca di materiali, tecnologie, trattamenti oltre a un archivio di 1800 profili per fornire la migliore soluzione al cliente e la chiusura ideale di ogni contenitore» Negli anni l’azienda si è concentrata nell’ampliamento della gamma dei prodotti – rivolti principalmente a scatolifici, conservifici, industrie per bevande – fornendo particolari di stampi e stampi completi, settori di nervatura, attrez-
Monica Greci
zature per bordatrici, curlingatrici, con una particolare attenzione alle aggraffatrici di cui, come spiega Greci, «possiamo oggi fare la riconversione/revisione completa a nuovo. Una possibilità frutto di un’intensa fase di studio e analisi che attinge idee e creatività anche da un data base di oltre 60.000 disegni». L’obiettivo è «rispondere con efficienza e rapidità alle richieste della committenza, cogliendo in pieno le sue necessità, studiando, sperimentando e progettando la miglior soluzione possibile. I nostri prodotti sono di nicchia, non di largo consumo, quindi unici e personalizzati. Per realizzarli sono necessari un elevato grado di specializzazione e una precisione maniacale». «Al di là dell’importanza di tecnologie e macchinari – interviene Monica Greci – in un’azienda come la nostra rimangono fondamentali le persone, con le loro capacità, la loro partecipazione ai vari progetti, e la loro consapevolezza di valere, di essere parte di qualcosa e per questo di dover lavorare seriamente». Oggi Imeta è conosciuta a livello mondiale, essendo presente tanto in Italia ed Europa quanto nei paesi extraeuropei. E oggi intende allargare ulteriormente il suo raggio d’azione. «Nell’ultimo periodo stiamo migliorando la nostra penetrazione negli USA e in Russia - sottolinea Monica Greci -. Al
20 mila PEZZI LA QUANTITÀ DI PARTICOLARI SPECIFICI, COME ROLLINE E MANDRINI, REALIZZATI OGNI ANNO DALLA IMETA SRL
contempo stiamo studiando la situazione di altri mercati allettanti e dalle buone prospettive dove, però, è più difficile inserirsi, anche a causa dei dazi all’importazione o della concorrenza sui prezzi». Facendo una panoramica delle prospettive per l’anno da poco cominciato, Monica Greci conclude spiegando che la società parmigiana spera di definire il 2013 come un anno di stabilizzazione dei risultati ottenuti durante il triennio precedente, nel corso del quale si è registrata una crescita costante, «così da poter sfruttare appieno il nostro potenziale aziendale, sconfiggendo il momento di generale stagnazione e di scarsa propensione all’investimento da parte del bacino d’utenza». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 139
INTERNAZIONALIZZAZIONE
Il ricamo e le nuove sfide che la moda impone Come sta cambiando il mercato della moda. Come reagiscono le aziende italiane di fronte alle due scelte: lusso o low cost? L’analisi e le risposte di Simona Finelli, a capo di un’azienda che fa ancora risultati con il ricamo a mano Valerio Germanico
l settore tessile-abbigliamento è attualmente polarizzato verso due estremi. Da un lato i marchi del lusso e i loro trend di crescita sostenuti, soprattutto grazie all’affermazione nei paesi emergenti. Dall’altro il consolidamento di marchi con collezioni offerte a prezzi molto contenuti. Chi si è collocato tra questi due estremi ha visto progressivamente diminuire le vendite ed erodersi i margini, fino a rendere obbligatoria una profonda e rapida revisione del modello di business». Questa l’analisi dello scenario odierno del settore moda che traccia Simona Finelli, titolare di Rilievi Group di Bologna, azienda che esporta in tutto il mondo ricami a mano per l’abbigliamento, la pelletteria e le calzature. Che prosegue: «La crisi globale ha ridisegnato i contorni del business e reso più impegnativa la competizione per i nostri partner. Da noi si aspettano una proposta continua di idee e spunti innovativi, la capacità di interpretazione immediata degli input stilistici, rapidità, eccellenza manifattu-
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Simona Finelli, titolare di Rilievi Group Srl di Bologna. Nelle altre immagini, lo show room e un dettaglio di lavorazione www.rilievi.com
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riera e un supporto attento nei momenti più impegnativi, come durante le sfilate. Ma non solo. Saper pianificare la produzione, gestire una logistica avanzata, soddisfare le certificazioni internazionali, operare con sistemi di approvvigionamento globale». Nonostante le crescenti esigenze richieste dal mercato, i risultati 2012, per Rilievi, sono stati positivi. «Lo scorso anno siamo riusciti a recuperare la strada persa negli anni per noi più difficili, il 2010 e il 2011. Abbiamo saputo leggere quello che accadeva sul mercato. La polarizzazione ci ha imposto delle scelte nette. Ci siamo resi conto che il nostro asset era il sapere artigianale di altissimo livello, abbiamo tenuto duro e rinunciato a ridimensionamenti che avrebbero compromesso le potenzialità future. Siamo riusciti a cogliere l’onda e adesso, addirittura, abbiamo difficoltà a soddisfare tutte le richieste nonostante l’inserimento di molte nuove risorse». Alla base del successo dell’azienda c’è stata la scelta di non delocalizzare, bensì di som-
Simona Finelli
Un terzo del nostro personale si dedica alla ricerca, sia in Italia sia all’estero, di nuove tecniche, nuovi materiali e nuove lavorazioni su materiali tradizionali
mare la linea di produzione estera a quella italiana, scelta che risale a oltre vent’anni fa. «I nostri partner chiedevano prodotti di qualità, però con costi più bassi, compatibili con le fasce di prezzo delle loro seconde linee. Così aggiungemmo la forza produttiva dell’India – dove c’è una forte tradizione sul ricamo a mano – alla nostra produzione italiana, che tuttavia non abbiamo mai voluto abbandonare. La vera sfida è stata quindi quella di aggiungere alla manualità indiana la cura e la qualità italiana, oltre a livelli di servizio all’altezza dello scenario attuale, per mantenere coerenza e omogeneità con le nostre produzioni precedenti. Per ottenere tutto ciò non bastava un semplice rapporto cliente-fornitore, ma una stretta partnership con programmi e obiettivi comuni. Oggi possiamo dire di esserci riusciti. E il tutto con la certezza che i nostri prodotti sono realizzati in condizioni di lavoro ottimali, escludendo qualsiasi rischio di lavoro minorile». La chiave, tuttavia, non è solo la produ-
zione, ma anche la ricerca e sviluppo. «Un terzo del nostro personale si dedica alla ricerca, sia in Italia sia all’estero, di nuove tecniche, nuovi materiali, nuove lavorazioni su materiali tradizionali – sotto questo profilo un tema importante è l’ecosostenibilità. A me piace pensare la nostra rete produttiva internazionale in termini di co-developement, perché in realtà quello che mettiamo a disposizione dei partner è un team che sviluppa ricerca secondo indirizzi e finalità customizzati». In conclusione, Simona Finelli indica le prospettive per il futuro: «Il trend di crescita dei brand del lusso sui mercati emergenti resterà sostenuto ancora per i prossimi 3-5 anni, mentre sui mercati tradizionali bisogna prendere atto di un progressivo mutamento del modello di consumo. In questo scenario, vogliamo giocare un ruolo importante, rafforzando il legame con i brand in grado di sfruttare al meglio i nostri punti di forza, sia a livello nazionale che internazionale». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 143
INTERNAZIONALIZZAZIONE
Pmi, tutto pronto per il mercato globale Il punto, con Giorgio Lusardi, sul processo di internazionalizzazione in atto nel tessuto industriale italiano. Una strategia dispendiosa, ma per molti settori irrinunciabile Remo Monreale
olo con l’export siamo riusciti a sopperire alla flessione». Quella di Giorgio Lusardi, direttore generale della Maller Spa, è un’affermazione sempre più frequente tra gli imprenditori italiani: la distinzione dei mercati in base ai confini nazionali è destinata a dissolversi. Attrezzarsi per il mercato globale può non essere semplice, soprattutto se si considera la concorrenza di paesi in cui i costi per le aziende sono nettamente inferiori. «Si prendano in considerazione le nostre attività – continua Lusardi – e cioè la produzione di pannelli per camper e caravan, fino a due anni fa il nostro core business, e la realizzazione di pannelli con laminati per il mondo del mobile e dell’arredo. La ricerca e l’in-
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Giorgio Lusardi, direttore generale della Maller Spa con sede a San Polo di Torrile (PR). Nelle altre immagini, fasi di produzione www.maller.it
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Giorgio Lusardi
novazione e la qualità ci hanno permesso di inserire la nostra azienda nei mercati esteri». È iniziata quindi una sorta di corsa all’export e all’internazionalizzazione. «In generale è evidente un preoccupante deterioramento del patrimonio delle aziende e una scarsa liquidità a seguito della dilatazione dei pagamenti e delle progressive insolvenze. L’effetto domino che si crea spinge sempre di più a dover internazionalizzare. Pur di sopravvivere molte società vendono sottocosto, impedendo anche la più misera redditività. I motivi sono molti, uno di questi sicuramente il costo del lavoro esagerato, il costo del trasporto abnorme, i costi indiretti, le insolvenze e una burocrazia ingessante». Nello specifico, nel vostro settore cosa è successo? «Il comparto del camper e del caravan ha subito una contrazione fortissima nei volumi d’affari, che noi abbiamo registrato intorno al trenta per cento solo negli ultimi due anni. Anche per noi, quindi, si è reso indispensabile puntare su export e nuovi prodotti: da quest’anno intensificheremo gli investimenti in ricerca di nuova clientela all’estero per raggiungere quote di mercato importanti tanto da generare il 50 per cento del nostro fatturato fuori confine». Quali nuove esigenze credete vadano intercettate e rispettate per garantire la competitività sul mercato estero? «Quello che richiedono i nostri clienti sono la velocità di consegna e la qualità del prodotto. Per questo motivo abbiamo sviluppato un sistema di controllo interno per la produzione “on time”: aumento delle quantità di prodotto ma con non conformità rilevate bassissime. Riguardo al semilavorato del mobile abbiamo siglato delle par-
-58% LA DIMINUZIONE DEL NUMERO DI IMMATRICOLAZIONI PER CAMPER E CARAVAN REGISTRATE DAL 2009 AL 2012
tnership con produttori importanti italiani, tra cui la Cleaf, produttrice di decorativi in esclusiva, la quale ci pone in un mercato protetto dalla politica del prezzo, offrendo cosi ai nostri clienti prodotti sempre più esclusivi e di nicchia. Tutto questo ci permetterà di stuzzicare l’interesse di altri paesi: i decorativi in questione, infatti, sono stati molto apprezzati in Germania in Inghilterra e in altri paesi. Inoltre stiamo già collaborando in Australia, Francia, Spagna e in alcuni paesi dell’Est europeo. Abbiamo avuto anche qualche approccio con il Nord America. In futuro si potrà parlare anche di Estremo Oriente». Ha indicato ricerca e innovazione come la chiave per uscire dal contesto nazionale. Quanto pesa sul vostro bilancio e che novità avete in programma? «Investiamo l’8 per cento del nostro fatturato per lo sviluppo di nuovi prodotti , ma anche nel tentativo di migliorare il processo produttivo. Uno dei nostri piani prevede di aggiornare la produzione, nel prossimo triennio, perfezionando alcuni impianti, La ricerca e l’innovazione sono come quelli inseriti, per esemstate la chiave che ci ha permesso pio, nel processo d’incollatura dei laminati o sulla produdi conquistare l’estero zione di pannelli con misure più personalizzate».
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INTERNAZIONALIZZAZIONE
Impianti industriali, l’altra faccia della crisi L’evoluzione di un’impresa parmigiana che da punto di riferimento per le realtà del territorio è riuscita a imporsi sul mercato globale della produzione di impianti per l’industria del caffè. L’esperienza di Fabio Binacchi Luca Càvera
critta in cinese la parola crisi è composta da due caratteri. Uno rappresenta il pericolo e l’altro l’opportunità». Fabio Binacchi, imprenditore parmigiano, prende a prestito queste parole del presidente statunitense John Fitzgerald Kennedy, che a suo avviso sono la migliore descrizione del modus operandi della sua impresa, la Opem, specializzata nella produzione di impianti per l’industria del caffè. E l’opportunità è evidente nei dati, con un 2012 che ha visto crescere il fatturato di Opem del 38 per cento. Con le parole di Binacchi: «Non abbiamo mai conosciuto la crisi. Abbiamo sempre cercato di dare lavoro alle aziende del territorio, motivando i dipendenti e i collaboratori esterni e facendo costantemente formazione. Non abbiamo mai conosciuto la crisi, se non quella di operare in un’Italia inadeguata a proteggere e dare slancio alla sua industria. Siamo cresciuti esclusivamente con le nostre idee, la nostra ricerca e la nostra passione». Siete tra i principali attori della produzione di impianti per l’industria del caffè. Quali sono le dinamiche di questo mercato, oggi? «Il settore del caffè è in continuo fermento. I
«S Nella pagina accanto, Fabio Binacchi, presidente della Opem Spa di Parma www.opem.it
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torrefattori hanno molta fantasia e hanno bisogno di aziende manifatturiere che concretizzino i loro progetti. Vogliono impianti sempre tecnologicamente diversi e innovativi. E che soprattutto esprimano il massimo in termini di produttività e affidabilità – che sono le vere prerogative di qualità per un impianto industriale destinato a grandi produzioni. Per rispondere a queste esigenze e selezionare e impiegare al meglio le più recenti tecnologie presenti sul mercato, investiamo nella ricerca ed eseguiamo test prestazionali all’interno dei nostri laboratori meccanici ed elettronici. A fianco a tanta tecnologia, tuttavia, continuiamo a tenere viva la cura artigiana per i dettagli e i particolari, che sono spesso il fattore che fa la vera differenza».
Fabio Binacchi
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Siamo cresciuti esclusivamente con le nostre idee, la nostra ricerca e la nostra passione
Come siete passati al mercato globale? «Venivamo da un’esperienza nel mondo degli impianti per pastifici e lavoravamo per le più grandi imprese del territorio. L’incontro con il settore caffè è avvenuto negli anni Ottanta, prima con gli impianti per il confezionamento che sfruttavano diverse tipologie di packaging – bobine di film, sottovuoto, brick pack. La vera svolta però è arrivata con i sistemi per la produzione delle cialde. Parlo di svolta perché il nostro primo committente era un’importante multinazionale americana, che ci chiedeva di produrre impianti ad alta produzione di cialde di caffè». Com’è stato confrontarsi con una realtà così grande?
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«È stato un momento decisivo per capire noi stessi, ci rendemmo conto che non eravamo ancora sufficientemente strutturati e formati. Però anche in quel caso siamo stati sufficientemente capaci e coraggiosi da capire che era un’opportunità da cogliere, per crescere. Investimmo in formazione riuscendo così a collocarci all’altezza della situazione. Tanto che quando i concorrenti iniziarono ad alzare la testa, ormai noi eravamo i protagonisti e il mercato era nostro, soprattutto in Germania, dove esistono le più grandi torrefazioni europee». Quale evoluzione avete seguito negli anni successivi? «In seguito, all’inizio degli anni Novanta abbiamo iniziato a studiare impianti per capsule di caffè, solubili e bevande calde, ripetendo lo stesso successo avuto con le cialde. Anche in questo caso fu una grande azienda americana a darci fiducia e a farci entrare a pieno titolo negli Stati Uniti con degli impianti per la produzione di capsule K cup, in grado di realizzare 750 pezzi al minuto. Grazie a questa importante referenza riusciamo a essere ancora una volta protagonisti in questo settore». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 147
DONNA E IMPRESA
Produrre innovazione Non si ferma il commercio dei ricambi dell’iniezione diesel. Si guarda ai nuovi scenari aperti dal common rail. Puntando su prodotti made in Italy. L’esperienza di Silva Bernardoni Salomoni Valeria Garuti
ggi la risorsa primaria per l’Italia si chiama export. Le imprese sono chiamate sempre più a puntare su ricerca e innovazione e sui processi di internazionalizzazione per far fronte alle sfide imposte, in termini di competitività, da un’economia che evolve a velocità siderali. La Dtm Ricambi, specializzata in ricambi per pompe a iniezione diesel per autovetture, camion, trattori e settore nautico, ha fatto dell’apertura ai mercati globali la sua leva strategica: da piccola attività artigianale, fondata nel 1978, è cresciuta fino a costruire una solida rete di vendita a livello mondiale. E se nel 2011 l’azienda ha festeggiato i trent’anni di attività con un evento internazionale, invitando i distributori dai cinque continenti, il fatturato del 2012 ha registrato un importante incremento. «In tempi di crisi – spiega la presidente della Dtm Ricambi Silva Bernardoni Salomoni – il nostro settore è favorito dall’esigenza di non ricorrere al nuovo, ma di riparare». Quali sono le prospettive di sviluppo del settore? «La diffusione dei sistemi di iniezione elettronica diesel common rail sta incentivando la progettazione e la produzione di nuovi prodotti finalizzati proprio alla riparazione del common rail. È un segmento sul quale intendiamo
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Nella pagina accanto Silva Bernardoni Salomoni, presidente della Dtm Ricambi Srl di Bologna A seguire, il reparto produttivo dell’azienda www.stardiesel.com
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puntare e rappresenta per l’azienda un’ulteriore sfida, considerando che già il nostro magazzino dispone di 15mila articoli. Lavorando, infatti, su molte tipologie di motore, e dunque in funzione di più impieghi, uno degli obiettivi è quello di mantenere una gamma di prodotti completa. In più, ci stiamo concentrando sull’ampliamento dei prodotti del settore nautico, considerando che anche le grandi compagnie di navigazione impiegano motori diesel. In generale, la nostra priorità è quella di non essere chiusi e obsoleti, ma sempre ben attenti e ricettivi nei confronti delle nuove esigenze del mercato». Come producete innovazione? «L’innovazione individua una voce molto im-
portante nell’ambito della nostra azienda. La fase di studio, di progettazione, di valutazione e di test viene effettuata direttamente da noi, internamente. A dirigere la parte tecnica è mio marito Franco Salomoni, affiancato da nostro figlio Nico, dai disegnatori e dall’assistenza tecnica». Come avete raggiunto i mercati esteri? «Tra gli anni 80 e 90, abbiamo assemblato i ricambi sfusi in kit di riparazione studiati per il mono-utilizzo: non era più necessario per i clienti acquistare quantitativi consistenti di materiale che poi non avrebbero utilizzato e che sarebbe rimasto a inventario per anni. L’idea è stata un successo. Il secondo passo è stato quello di creare uno specifico logo “Star” depositato in tutto il mercato europeo ed extra-Ue, dove ope-
L’idea di assemblare i ricambi sfusi in kit di riparazione studiati per il mono-utilizzo è stata un successo: abbiamo depositato il nostro logo in tutto il mercato europeo ed extra-Ue
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DONNA E IMPRESA
rano i distributori ufficiali. Questo logo ha
comportato notevoli investimenti di partenza per gli stampi necessari a imprimere il logo sui prodotti stessi». Quale fattore è stato decisivo nel processo di internazionalizzazione? «Dal 1994 partecipiamo con successo alla fiera Automechanika di Francoforte, il più importante appuntamento mondiale del settore automotore. La presenza dell’azienda alla fiera ha rappresentato un vero e proprio trampolino di lancio e ci ha consentito di acquisire, nel corso di questi anni, una clientela distribuita in tutto il mondo». Come opera la rete di vendita? «Preferiamo fare riferimento a un unico distributore in una nazione, il quale a sua volta gestisce la struttura di agenti che vende ai ripara-
Ci stiamo concentrando sull’ampliamento dei prodotti del settore nautico, considerando che oggi anche le grandi compagnie di navigazione impiegano motori diesel 150 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2013
tori. Copriamo tutta l’Europa – sono in forte crescita i paesi dell’Europa dell’Est – e la Turchia. Vendiamo anche in Corea, Iran, Malesia, Africa, Australia, America del Sud e Messico. Per il momento siamo tagliati fuori dagli Stati Uniti perché lì si utilizzano macchinari, veicoli e attrezzature del tutto peculiari che non rendono conveniente la concorrenza con le case madri americane». Negli ultimi due anni, il vostro logo è stato contraffatto. Dove è accaduto nello specifico? «Abbiamo registrato casi di contraffazione in Marocco, nell’area della Bosnia-Erzegovina e in Cina, in conseguenza dei quali stiamo agendo tramite vie legali. A segnalare gli episodi è stato il servizio di sorveglianza mondiale messo a punto, per le nostre categorie merceologiche di riferimento, dall’ufficio dello studio marchi. Per quanto questi casi non siano di certo piacevoli da gestire, lasciano emergere quanto il made in Italy sia ancora un fattore importante e di successo nel mondo. Nonostante il prezzo dei nostri prodotti sia più alto rispetto a quello dei nostri competitor, ciò che fa la differenza è la qualità del know how italiano, che si traduce in risultati e qualità garantiti».
LAVORO E FORMAZIONE
Una piattaforma d’incontro tra domanda e offerta Un network per semplificare il modo in cui professionisti e aziende si rapportano con il mondo del lavoro. È questa l’idea che muove Jobyourlife, start-up creata da Andrea De Spirt e dai suoi soci Nicolò Mulas Marcello
N Andrea De Spirt, fondatore di Jobyourlife
ell’era di Internet le idee per migliorare l’offerta di servizi si moltiplicano quotidianamente. In Italia da qualche anno è nato un progetto tanto semplice quanto vincente, che si propone di mettere in comunicazione aziende e giovani attraverso un network basato sulle proprie competenze: «L’idea – spiega Andrea De Spirt, fondatore di Jobyourlife – è quella di un network dove sia facile trovare le figure professionali di cui si ha bisogno». Come possiamo definire la piattaforma Jobyourlife? «Jobyourlife è uno strumento web che unisce un modo nuovo e semplice di fare network professionale per le persone a un sistema innovativo di recruiting per le aziende, utilizzando per la prima volta, nel mondo del lavoro online, gli strumenti di localizzazione per facilitare la ricerca di candidati e opportunità. L’obiettivo è che, mentre i nostri utenti creano il loro network professionale, le aziende propongano posizioni lavorative adatte alle loro competenze». Com’è nata l’idea? «L’idea ha avuto la sua prima nascita circa un anno fa quando, data la mia voglia di creare una mia azienda, mi ero messo alla ricerca di programmatori che potessero aiutarmi, ac-
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corgendomi così di quanto in realtà fosse complicato, anche se i servizi messi a disposizione erano e sono molti. E questa difficoltà è stata la prima scintilla per l’idea, quella di un network che facilitasse la ricerca di figure professionali. La seconda nascita è avvenuta con l’entrata nel team di Francesco Fonte e, subito dopo, di Pietro Stracquadanio, due programmatori e soci. Con loro abbiamo deciso di cambiare e semplificare il modo in cui professionisti e aziende si rapportano con il mondo del lavoro online». Qual è la risposta degli utenti? «Estremamente positiva: c’è sì fame di lavoro, ma c’è altrettanto voglia di strumenti
Andrea De Spirt
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Anche se il periodo attuale di crisi economica non è dei migliori per offrire lavoro, abbiamo avuto riscontri positivi
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utili e senza penombre per trovarne uno. Chi si affaccia per la prima volta al mondo del lavoro o chi ne cerca uno da tanti mesi ha bisogno di chiarezza, non di passare le notti a candidarsi ad annunci su siti che nemmeno funzionano. La chiave del successo di Jobyourlife è stata la sua immediatezza. Quello che leggi quando entri è: “Inizia a creare il tuo network professionale e presto saranno le aziende a trovare te”». Valorizzare le proprie passioni è lo spirito che muove questo sito. In questo periodo di crisi economica e di carenza di lavoro, è ancora possibile seguire le proprie passioni? «La passione nel trovare un lavoro sì. Nella prima versione di Jobyourlife ci eravamo basati molto su quello che una persona sapeva fare anche al di fuori del proprio curriculum. In quella nuova - uscita da poco - abbiamo voluto puntare più sulla concretezza, sull’utilità effettiva, distaccandoci per il momento dalle passioni di vita e puntando sull’offerta concreta di opportunità a chi il lavoro lo cerca davvero da troppo tempo e con troppe difficoltà. Anche se il periodo attuale di crisi economica non è sicuramente dei migliori per offrire lavoro, abbiamo
avuto riscontri positivi da grandi realtà aziendali internazionali che a breve inizieranno a utilizzare il servizio proprio per la semplicità che garantiamo nella ricerca dei candidati ideali alle loro esigenze». Cosa avete in programma per il futuro? State pensando a nuove funzioni? «Da qualche mese è entrato nel consiglio di amministrazione Lorenzo Mecocci, che per anni ha lavorato come manager delle risorse umane in grandi società. Con lui stiamo strutturando, presso l’acceleratore d’impresa del Politenico di Milano dove siamo incubati, un piano di crescita che comprende il raggiungimento, nel giro di due anni, delle più grandi realtà aziendali italiane abbonate al nostro servizio per offrire posti di lavoro ai nostri utenti. Per quanto riguarda, invece, la parte degli utenti sarà in continuo sviluppo proprio per offrire uno strumento professionale sempre più ampio e utile; verrà integrato un servizio di domande e risposte interno, la possibilità di visionare le pagine delle aziende iscritte, e molto altro. Inoltre, da poco, abbiamo iniziato a pensare a un app per Iphone in modo da offrire ulteriori vantaggi con la localizzazione». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 153
LAVORO E FORMAZIONE
Nuovi orizzonti tecnologici Le grandi aziende internazionali, ma oggi anche le pmi, guardano con interesse allo sviluppo del settore Ict di cui l’Emilia Romagna rappresenta un polo di eccellenza. «I cluster – spiega Paolo Bonaretti – determineranno le priorità italiane nell’ambito della ricerca internazionale e nel progetto Horizon 2020» Elisa Fiocchi
L Paolo Bonaretti, direttore generale di Aster
e imprese, le università e i centri di ricerca dell’Emilia Romagna sono stati selezionati all’interno del bando “Cluster tecnologici nazionali” per i progetti di ricerca di sei settori su cui il governo ha deciso di puntare e sui quali saranno convogliati finanziamenti per 368 milioni di euro. «Abbiamo raggiunto il maggior numero di soggetti partecipanti perché siamo stati in grado di operare insieme – spiega Paolo Bonaretti, direttore generale di Aster, consorzio tra Regione, Cnr, Enea e associazione locali di categoria – raggiungendo una massa critica superiore anche a territori più importanti dal punto di vista del peso numerico e finanziario». Un progresso che il consorzio ha costruito negli ultimi dieci anni grazie al miglioramento delle interazioni tra il mondo accademico e quello industriale che oggi, attraverso i nuovi cluster tecnologici, porterà al settore della ricerca territoriale finanziamenti per oltre 40 milioni di euro. Gli importi per l’Ict sono cresciuti del 130 per cento dal 2009: ciò significa che il tessuto imprenditoriale ha cominciato a cogliere le potenzialità della sinergia con le università? «I rapporti sono notevolmente aumentati negli ultimi anni ma si può ancora migliorare. In particolare, esiste una maggiore consapevolezza da parte delle università e dei centri di ricerca che si sono tutti attrezzati con strutture dedicate al rapporto con le imprese e il territorio per facilitare i rapporti contrattuali che un tempo variavano a seconda del dipar-
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In Emilia Romagna sono presenti le più importanti imprese che lavorano nel campo dei motori di ricerca semantici
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timento; anche le imprese hanno dato il loro contributo interiorizzando personale di alta qualificazione che mantiene stretti rapporti con le università e dunque è in grado di dialogare con il sistema della ricerca». Quali imprese oggi investono nell’Ict? «L’Italia parte dalle retrovie nella diffusione dell’Ict nel tessuto industriale, ma siamo confortati dai recenti dati. C’è, infatti, un segmento di imprese attive sui mercati internazionali che hanno fatto grandissimi investimenti e continuano tuttora a investire anche in segmenti molto sofisticati, come nel riconoscimento delle immagini e nei sistemi di sicurezza. In Emilia Romagna sono presenti le più importanti imprese che la-
Paolo Bonaretti
vorano nel campo dei motori di ricerca semantici, ma anche nella diffusione delle tecnologie più abbordabili come i social network, che si stanno diffondendo nei settori più esposti alla concorrenza internazionale».
Quale sviluppo industriale la ricerca sarà in grado di produrre sul territorio nei prossimi anni? «I cluster costituiscono quella piattaforma internazionale che determinerà le priorità italiane nell’ambito della ricerca internazionale e nel progetto Horizon 2020, il programma settennale che la Commissione europea varerà a partire dall’anno prossimo. Attraverso questi cluster si offre la possibilità alle imprese e ai centri di ricerca partecipanti di accedere a determinati canali e di migliorare le performance dal punto di vista dell’acquisizione dei fondi europei, che in questo momento non
sono particolarmente brillanti. In contemporanea, si può contare sul sostegno dei grandi filoni di ricerca a cui partecipano le imprese e che seguono le traiettorie di innovazione più rilevanti nei diversi settori». A quali grandi progetti saranno poi destinate le risorse? «Nel settore delle scienze della vita, ad esempio, dove si studia il passaggio dalla medicina farmacologica alla medicina rigenerativa e che prevede la cura delle malattie croniche attraverso l’aggiustamento dei “pezzi” che si rompono. L’Emilia Romagna porta avanti un progetto in cui si sono impegnate le più grosse self factory d’Italia, come il Centro di medicina rigenerativa di Modena e l’Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna, allo scopo di sviluppare nuove tecnologie. Poi esiste anche anche il cluster Fabbrica intelligente di Bologna, che studia quelle forme di innovazione che rendono intelligente una fabbrica non solo nel campo dell’automazione e dell’Ict, ma anche nella virtual phisical production, aspetto che consente alle imprese di essere più competitive sui mercati internazionali». L’importo annuo dei contratti di ricerca con le imprese è passato dai 2 milioni del 2009 ai 4,7 di quest’anno per l’Ict. Come sono formulati e con quali finalità? «Sono tutti contratti tra università, centri di ricerca e imprese. Alcuni godono di finanziamenti pubblici, europei, nazionali e internazionali, altri sono pagati direttamente dalle imprese. Nei primi, la dimensione dei contratti è attorno ai 60-70mila euro e hanno una durata che varia dai 18 ai 24 mesi. Quelli finanziati dalle imprese, senza aiuti, si aggirano attorno ai 40-50mila euro e durano all’incirca un anno». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 155
LAVORO E FORMAZIONE
Cultura tecnica, patrimonio da salvare «Oggi le aziende ci chiedono di aggiornare le competenze dei propri dipendenti in tutti i principali ambiti tecnici di riferimento: dall’automazione industriale alla meccatronica, alla saldatura». Ne parla Elisabetta D’Alessandro Elisa Fiocchi
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el 1990 le tabelle dell’Istat parlavano di 1,3 milioni di studenti iscritti agli istituti tecnici, un vero boom, salvo poi stabilirne il crollo nel 2010, quando le richieste sono scese a quota 900mila, in linea con un paese economicamente fermo. In questi anni di transizione, a dirottare le scelte verso i licei arriva un nuovo modello scolastico che avanza negli anni Settanta - incentrato sullo studio teorico nelle aule - cementando l’idea di un profilo più alto della cultura umanistica rispetto al sapere tecnico. Il cambio di rotta si riverbera ben presto anche sulle aziende che negli ultimi vent’anni, per restare competitive, aumentano dal 12 al 22 per cento la quota di tecnici sul totale occupati, mentre in contemporanea sui banchi di scuola, avviene il sorpasso dei licei su Itis e professionali. Basti pensare che nel 1990, il 46,6 per cento degli iscritti alle secondarie frequentava le tecniche e il 31,3 per cento i licei, percentuali poi praticamente rovesciatesi nel 2010. Il rischio attuale è di disperdere quel patrimonio di manualità che ha garantito il successo di molti distretti industriali italiani e che ha permesso all’Emilia Romagna di raggiungere livelli di eccellenza in ambito manifatturiero. Proprio in questa direzione vanno interpretati i recenti finanziamenti che confluiranno nelle casse della Fondazione Aldini Valeriani di Bologna, nata nel 1997 con l’obiettivo di creare un centro di eccellenza per lo sviluppo della
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GIOVANI TECNICI CERCASI A Bologna aumenta la richiesta di meccanici, elettrotecnici, termotecnici e grafici. «Ma gli istituti tecnici non sono in grado di soddisfarla adeguatamente» spiega Salvatore Grillo iovani tecnici. Sono queste le figure professionali che non conoscono la crisi occupazionale e che, in Emilia Romagna, rientrano in una categoria “introvabile” a detta delle aziende che reclutano nel settore. Per avere un quadro Salvatore Grillo, preside dell’istituto tecnico Aldini Valeriani chiaro della situazione basta osservare le attuali richieste di periti meccanici, che sfiorano oggi il 40 per cento del totale, un ritmo troppo alto da seguire anche per un grande istituto tecnico come l’Aldini Valeriani di Bologna. «A fronte di richieste che annualmente si sono aggirate intorno alle 400 unità, di cui circa 170 meccanici – racconta il preside Salvatore Grillo – i nostri diplomati sono stati in media 150, di cui una settantina meccanici».
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Elisabetta D’Alessandro
cultura tecnica e la promozione dell’innovazione tecnologica. Dopo mesi di resistenze e rinvii, è stato finalmente possibile impostare un nuovo piano di rilancio economico grazie non solo al sostegno finanziario del Comune di Bologna e degli industriali, ma anche dell’appoggio, giunto in extremis, dell’ente camerale che ha sbloccato un contributo di centomila euro. «Lo definirei più un piano di riposizionamento – afferma Elisabetta D’Alessandro, direttrice della Fondazione – un progetto che necessariamente dovrà tenere conto della storia di questo brand che è sinonimo di eccellenza della cultura tecnica». Proprio tra i corridoi della Fondazione Aldini Valeriani sono state passate generazioni di imprenditori, come quella dei Bonfiglioli e dei Maccaferri, e nell’ultimo anno si sono svolti seicento corsi che nel futuro potrebbero raggiungere i «4mila progetti complessivi che interesseranno 14/15mila possibili discenti». Con i finanziamenti in arrivo, la dirigenza
sarà dunque chiamata a ripianare il buco di bilancio e stringere forti sinergie territoriali. «Abbiamo già intrapreso importanti relazioni con il mondo delle aziende, con il T3Lab, il Liam e il Crit, oltre ai frequenti scambi con l’Università di Bologna». Ma gli orizzonti sono destinati ad allargarsi perchè oggi le realtà imprenditoriali ricercano profili con conoscenze trasversali che vanno dall’ambito manageriale, al problem solving, a competenze specifiche nell’ambito dell’information technology. E su questi nuovi criteri di selezione, la Fondazione dovrà rispondere con attività innovative che valorizzino il made in Italy e che tengano conto anche della concorrenza internazionale. «Abbiamo già in essere rapporti con importanti realtà formative della Germania, degli Stati Uniti e dell’Inghilterra – conclude D’Alessandro – perché riteniamo che il confronto con realtà straniere possa essere utile a formare profili vincenti anche all’estero».
La mancanza di tali figure professionali va attribuita anche al sistema scolastico che ha moltiplicato l’offerta di licei? «Il fatto che solo poche ragazze proseguono gli studi nell’istruzione tecnologica è oggi incomprensibile, come se ancora permanesse l’idea malsana sotto il profilo sociale che le ragazze devono frequentare i licei e le magistrali perché possono fare solo determinati mestieri. È altresì vero che l’offerta dei licei, almeno nei numeri, è spropositata e per nulla rispondente alle necessità di sviluppo futuro, se sono vere le linee economiche che spingono verso la manifattura». Giudica sufficiente il numero di imprese dell’Emilia Romagna che stanno investendo nell’ambito della formazione? «La situazione è molto diversificata tra le province. In quella di Bologna manca quasi completamente un rapporto continuo e organico tra i quattro pilastri della società della conoscenza: imprese, università, istruzione e formazione. Spesso iniziative lodevoli restano isolate, coinvolgono pochi attori, mancano di continuità e soprattutto non sono in grado di autogenerare apprendimento e formazione continua, scambi organici e avvio di progetti cooperativi». Htech è un laboratorio finanziato dall’americana Haas con 200mila euro di macchinari a controllo numerico per
la produzione meccanica di precisione. È un modello formativo all’avanguardia? «Se in Europa esistono già 70 centri Haas e in Italia ve n’è solo uno significa che alcuni modelli formativi non hanno mai attecchito nel sistema generalista dell’istruzione italiana. Questo sistema permette quotidianamente ai giovani di sperimentare e appropriarsi delle tecniche del problem solving e posing; di sviluppare progetti congiunti tra scuola, formazione, impresa e università attraverso l’utilizzo comune del laboratorio per la realizzazione di componenti; di approfondire argomenti per tesi di laurea e, laddove fosse possibile, di interfacciarsi con altri laboratori e la possibilità per le piccole aziende di poter usufruire di spazi didattici per l’aggiornamento delle proprie maestranze». Attraverso quali future sinergie e nuovi laboratori formativi sarà possibile rendere più appetibile l’istituto tecnico? «Stiamo lavorando per la realizzazione di laboratori d’eccellenza nell’ambito dell’automotive e del motion control e contiamo nel prossimo anno di inaugurare laboratori creativi che introducano i giovani ai nuovi linguaggi rendendoli protagonisti del proprio futuro. Nei prossimi mesi saranno poi sviluppate nuove partnership con piccole e medie aziende e consolidate quelle in essere con Ducati, Ima, Gd, Marchesini, Sacmi e altre ancora».
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POLITICHE ENERGETICHE
Il vento delle semplificazioni «Negli ultimi anni i vari governi hanno contribuito a bloccare uno dei pochi settori che può ancora dare in Italia sviluppo tecnologico, innovazione, industria e occupazione». Il presidente dell’Anev, Simone Togni, invita a puntare l’attenzione sull’eolico, penalizzato dalla burocrazia e dalla mancanza di regole certe Renata Gualtieri
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n recente studio Ernst & Young sul mercato delle rinnovabili mostra un calo della percentuale di investimenti nel settore in Italia, che fa slittare il Paese dal 5° al 9° posto nella classifica dei mercati più appetibili. «I ripetuti interventi sui sistemi d’incentivazione degli ultimi anni, tutti retroattivi per di più, che vanno dall’introduzione dell’Imu al taglio degli incentivi del 22 per cento, dalla Robin tax all’introduzione dall’1 gennaio 2013 della delibera sugli sbilanciamenti – dichiara Simone Togni – hanno di fatto reso molto rischioso investire in fonti rinnovabili in Italia, e inoltre poco conveniente, quindi
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non mi sorprende tale slittamento». Stringendo sull’eolico, si nota come questo segmento meriterebbe più attenzioni e invece sia stato penalizzato, nonostante il contributo occupazionale di circa 40mila addetti al 2012, l’alta valenza tecnologica dell’industria eolica italiana e l’apporto ambientale di tutto rilievo. Come è possibile arginare questa fuga di capitali e su quali interventi occorre puntare? «Per riportare il nostro Paese a essere attrattivo per gli imprenditori nazionali e internazionali, serve un intervento drastico di semplificazione e di stabilizzazione del quadro normativo e regolatorio. A nostro avviso, centrale è la necessaria azione di
sfoltimento della burocrazia che allunga fino a cinque anni il periodo per un’autorizzazione e di un quadro di regole certe e non modificabili retroattivamente». Che anno è stato il 2012 per l’eolico in Italia, quante nuove installazioni sono state effettuate e cosa si aspetta per il 2013? «Il 2012 è stato un anno significativo in quanto sono stati installati oltre 1.200 Mw, ciò ha permesso di raggiungere gli 8.144 Mw totali. Tuttavia, come sanno gli addetti ai lavori, tale dato è falsato dal fatto che il nuovo sistema di sostegno alle rinnovabili, basato su aste e registri e che esprime incentivi ulteriormente ridotti, è entrato
Simone Togni Simone Togni, presidente dell’Associazione nazionale energia del vento
in vigore nel 2013 e quindi tutti i progetti autorizzati e realizzabili sono stati costruiti nel 2012 per beneficiare del vecchio sistema. Il 2013, pertanto, vedrà un drastico stop con installazioni che non supereranno il 50 per cento di quelle dell’anno passato, il tutto a grave danno per il settore». Come giudica il sostegno delle istituzioni al settore? Come spera che interverrà il nuovo governo e su quali criticità? «Negli ultimi anni i vari esecutivi che si sono succeduti hanno agito troppo per l’immagine e poco per il settore, spesso lasciandosi guidare dai suggerimenti di chi le rinnovabili le
osteggia per motivi vari, non comprendendo tuttavia che così facendo si andava a bloccare uno dei pochissimi settori che può ancora dare in Italia sviluppo tecnologico, innovazione, industria e occupazione. Il prossimo governo speriamo possa avere la forza di svincolarsi da vecchie logiche e portare avanti un’azione vera di riduzione dei costi e di sviluppo delle rinnovabili. Questo è possibile solo rivedendo il paradigma dei sostegni a tali fonti, che deve passare dall’incentivo all’energia elettrica prodotta alle agevolazioni fiscali e al supporto alla realizzazione dell’infrastruttura energetica. Questo contempererebbe alle diverse esigenze riducendo i costi per il sistema, rilanciando le infrastrutture, aggirando il problema del ricorso al credito che sappiamo essere difficilissimo in questo periodo. Quindi l’auspicio è che il nuovo esecutivo sappia cosa fare e lo faccia». A fine 2012 dichiarava in aumento il numero delle aziende che decidono di associarsi all’Anev. Quante sono oggi e qual è il loro contributo per risolvere
problemi di carattere tecnico, amministrativo e normativo che coinvolgono un settore che ha grandi potenzialità in termini di occupazione e benefici economici per il Paese? «Oggi la situazione associativa è complessa, la crisi mondiale e la situazione nazionale stanno mettendo in difficoltà le medie e le piccole aziende, non risparmiando neppure le grandi. Tuttavia l’Anev ha mantenuto un numero di associati uguale a quello dell’anno scorso, con alcuni ricambi tra aziende che hanno smesso di fare eolico e qualche dinamica nuova realtà che si affaccia. L’associazione sta facendo corpo per cercare di resistere al momento di difficoltà, reagendo con l’istituzione di nuovi gruppi di lavoro sull’innovazione tecnologica e sulla sicurezza delle manutenzioni, che si aggiungono e completano i settori su cui l’Anev si propone come soggetto di riferimento per le istituzioni. Nostro compito deve essere, quindi, ancor di più quello di consentire al settore di raggiungere il potenziale tecnico del Paese nel modo più efficiente possibile». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 163
POLITICHE ENERGETICHE
Un’occasione da non perdere da nord a sud «Occorre varare una politica industriale che, coinvolgendo anche il sistema creditizio, privilegi e sostenga la filiera». Agostino Re Rebaudengo, presidente di Aper, illustra il notevole potenziale di crescita che le rinnovabili ancora hanno nel nostro Paese Renata Gualtieri
«L’ Sopra, Agostino Re Rebaudengo, presidente dell’Associazione produttori energia rinnovabile
Italia delle rinnovabili ha mille volti». Nel nostro Paese, infatti, abbiamo imprese di grandi dimensioni che già hanno intrapreso strategie d’internazionalizzazione o che rappresentano filiali di player multinazionali e una moltitudine di pmi sorte con lo sviluppo del settore degli ultimi anni. «Queste ultime – commenta il presidente di Aper Agostino Re Rebaudengo – dovranno valutare strategie di aggregazione al fine di consolidare i risultati raggiunti e avere una struttura organizzativa e patri-
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moniale che possa permettere una crescita internazionale». Le rinnovabili continueranno, in ogni modo, a essere una straordinaria occasione per il Paese, e in particolare per il Meridione, dove è concentrata la maggior parte del patrimonio nazionale di energia pulita in termini di sole e vento. Viceversa le bioenergie hanno maggiori potenzialità al Nord, grazie a una più elevata densità di imprese agrozootecniche e dell’industria alimentare. «Ma anche per le fonti più mature potranno esserci opportunità: per l’idroelettrico, storicamente concentrato nelle regioni alpine, potrebbe cre-
scere ulteriormente il segmento dei piccoli impianti ad acqua fluente; per il geotermico, localizzato a oggi esclusivamente in Toscana, ci sono interessanti potenzialità in Campania e Sicilia soprattutto». Puntare sulle fonti energetiche rinnovabili può rappresentare un’occasione per creare nuova occupazione e uscire dall’attuale crisi? «Le energie rinnovabili si caratterizzano, senza eccezioni, per un maggior impiego di lavoratori per unità di energia elettrica prodotta rispetto alle fossili. Riconvertire il comparto energetico da fossile a rinnovabile
Agostino Re Rebaudengo
significa quindi, a parità di produzione, incrementare il numero complessivo di addetti del comparto energetico rispetto a oggi, riducendo al contempo il salatissimo conto - 60 miliardi di euro nel 2011 - che paghiamo tutti gli anni ai paesi produttori di gas, petrolio e carbone. Vuol dire rispondere alle preoccupazioni dei sindacati in merito alle attuali difficoltà del segmento tradizionale termoelettrico, con diversi impianti obsoleti a rischio chiusura, in seguito all’esplosione delle rinnovabili. Nei prossimi anni vi sarà un’inevitabile transizione, in cui, a differenza di altre crisi industriali che hanno creato solo disoccupati, avremo una crescita dell’occupazione sia quantitativa che qualitativa». Quali le criticità del settore e quali dovrebbero essere i principali punti chiave della strategia energetica nazionale nei prossimi anni? «Il settore si trova indubbia-
mente in un momento d’incertezza. I decreti emanati dal ministero dello Sviluppo economico nello scorso mese di luglio hanno impresso una netta inversione di marcia nelle politiche di sviluppo. Nonostante ciò, nella Strategia energetica nazionale presentata nel 2012 si prevede una forte crescita delle rinnovabili elettriche al 2020, dando vita così a un vero e proprio cortocircuito tra intenzioni e strumenti attuativi. Il prossimo governo dovrà quindi fare chiarezza, ci auspichiamo una volta per tutte, sull’importanza strategica che hanno per il nostro Paese. Lo stiamo chiedendo attraverso il nostro documento “Azioni per lo sviluppo delle rinnovabili elettriche in Italia” in cui proponiamo 26 azioni prioritarie: dalla revisione dei regimi autorizzativi e di sostegno allo sviluppo della mobilità elettrica, passando per una rimodulazione della ricerca pubblica e privata».
Tra le diverse tipologie di rinnovabili su quali si dovrebbe puntare con maggiore decisione nel nostro Paese, quali sono quelle in crescita e quali quelle che hanno ancora un alto potenziale da sviluppare? «Come già avvenuto in passato per gli impianti idroelettrici e geotermici, esiste oggi in Italia una filiera, sviluppatasi a seguito degli eccellenti risultati degli ultimi anni, in grado di produrre ed esportare componenti per molte fonti, dal solare all’eolico, fino alle bioenergie. Occorre varare una politica industriale, considerati i notevoli potenziali di crescita che le nuove rinnovabili ancora hanno nel nostro Paese, che, coinvolgendo anche il sistema creditizio, privilegi e sostenga la filiera delle rinnovabili quale strumento concreto di rilancio della manifattura italiana e l’esportazione dei suoi prodotti». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 165
POLITICHE ENERGETICHE
Qual è l’impatto delle fonti
rinnovabili sulla bolletta energetica? «Il costo annuale della bolletta elettrica per una famiglia tipo è aumentato del 55 per cento nell’ultimo decennio, in gran parte a causa degli incrementi nei prezzi internazionali di gas, carbone e petrolio. Solo una piccola parte degli aumenti è dovuta alle politiche d’incentivazione per lo sviluppo delle rinnovabili. Peraltro, contrariamente a quanto dicono i detrattori, le rinnovabili danno un beneficio attualizzato a oggi di circa 50 miliardi di euro. Ricordo, inoltre, che sulla bolletta elettrica continuano a gravare diverse altre voci, oltre all’energia e al sostegno alle rinnovabili, quali il servizio d’interrompibilità che remunera i soggetti energivori che accettano eventuali distacchi temporanei o, ancora, una serie di agevolazioni di costo per le grandi imprese. Come previsto anche dalla Strategia energetica nazio-
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Le energie rinnovabili si caratterizzano per un maggior impiego di lavoratori per unità di energia elettrica prodotta rispetto alle fossili
nale, occorrerà effettuare un check complessivo di queste politiche, al fine di verificarne efficienza ed efficacia e forse “ripulire la bolletta”». Quali sono i Paesi dove la green economy è più in fermento? Quali i mercati più interessanti per investire? E quale importanza possono rivestire le reti d’impresa nella green energy? «Le imprese che vorranno continuare a vivere dovranno prendere la classica valigetta e andare a esplorare i mercati elettrici esteri. Le possibilità non mancano, la green economy è in grande fermento in moltissimi Paesi, dai soliti noti emergenti come Brasile e Sud America, Cina e India, ad altri
magari non particolarmente attraenti per altre tipologie d’investimento, ma dalle risorse rinnovabili ingenti, come quelli della sponda sud del Mediterraneo. Senza dimenticare l’est europeo, l’area balcanica e il Medio Oriente. Aper è vicina in questo cammino dei suoi associati, che necessiteranno di un supporto istituzionale, finanziario e di consulenza. A tal fine stiamo promuovendo lo strumento della rete d’imprese, un contratto che consente di mettere in comune attività e risorse, senza metter mano alla struttura giuridica dei soggetti partecipanti, che potrebbe ben adattarsi sia alle fasi di esplorazione che d’investimento diretto».
ENERGIA
Esportare ecosostenibilità La tecnologia idroelettrica italiana non è profeta in patria. Però trova grandi riscontri all’estero. Soprattutto nelle economie emergenti. Costantino Calzoni e Michele Cattani tracciano la geografia dell’attuale mercato dell’energia generata con l’acqua Luca Càvera
l settore delle energie rinnovabili ha registrato un boom negli ultimi anni. Tuttavia per quel che riguarda il mercato dell’energia idroelettrica, benché sia in fermento, le opportunità sono pressoché tutte concentrate all’estero». Questo, a grandi linee, il quadro che Costantino Calzoni, presidente della Calzoni Hydro – società di progettazione, costruzione e installazione e manutenzione di impianti idroelettrici e dei re-
«I Michele Cattani, project manager della Calzoni Hydro Spa di Zola Predosa (BO). Accanto, team dell’azienda al lavoro e un loro impianto idroelettrico www.calzonihydro.it
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lativi sistemi di regolazione, automazione e controllo – fa del momento storico ed economico sotto il profilo di riferimento. «Non a caso – prosegue – negli anni recenti abbiamo registrato un notevole incremento delle attività sopratutto nell’area del Nord Africa (Algeria, Tunisia e Marocco), così come nel Centro Sud dello stesso continente, aree nelle quali siamo diventanti una realtà importante». Qual è invece lo scenario nel nostro paese? C.C.: «Le opportunità sono sempre più scarse. E in più l’esasperazione della competizione sui prezzi, affiancata a strumenti finanziari inadeguati, rende mercato locale difficile e poco redditizio. Senza alcun dubbio anche all’estero c’è una crescente pressione sul fattore prezzo. Per questo, per non sacrificare la qualità, i nostri sforzi si concentrano sia nella progettazione, sia in una meticolosa e attenta ricerca di fornitori che concilino le esigenze economico-finanziarie con quelle tecniche e di puntualità». Nel recente passato siete stati impegnati in Africa.
Quali saranno i prossimi obiettivi? M.C.: «La nostra attenzione si sta concentrando fortemente verso il mercato sudamericano, area nella quale stiamo investendo molte risorse attraverso un’energica azione commerciale e avvalendoci di numerosi agenti e ingegneri che agiscono in loco, nel tentativo di comprendere e aggredire questo mercato, che sebbene sia così distante, promette importanti prospettive di crescita. Un dato a supporto delle nostre aspettative è rappresentato dal fatto che nel 2012 il 20 per cento del totale delle offerte emesse sono arrivate proprio dal Sud America. E per questo saremo presenti con uno stand al XXIX Seminário nacional de grandes barragens, che si terrà vicino a Recife nello stato del Pernambuco, nel Nord Est del Brasile, il prossimo aprile». In termini più generali, quale valutazione può dare del 2012? C.C.: «Lo scorso anno ci ha premiato
Costantino Calzoni e Michele Cattani
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I prossimi anni premieranno ancora gli sforzi per la diffusione delle tecnologie che producono energia pulita
con un risultato positivo. Però quello che per noi è più importante è che, anche in un periodo di generale difficoltà, il portafoglio ordinativi ci consente una visibilità che oltrepassa quella dell’anno in corso. Dall’altra parte, l’aspetto più critico, che ci ha penalizzato maggiormente, è stato ed è senza dubbio il rapporto col mondo finanziario. Le difficoltà nell’accesso al credito sono crescenti e salvo rare eccezioni, anche di fronte ai nostri successi, gli istituti di credito faticano a voler condividere il rischio imprenditoriale».
L’idroelettrico è un settore consolidato rispetto ad altre rinnovabili. Questo ha un riscontro sul fronte degli interventi sugli impianti esistenti? M.C.: «Le attività di manutenzione ordinaria e straordinaria sono senza dubbio una voce importante nel nostro fatturato, perché ci consentono di mantenere un legame diretto con il cliente che è indispensabile per promuovere le nostre qualità e garantirci una posizione di vantaggio anche sugli impianti di nuova realizzazione. Inoltre, non bisogna sottovalutare la marginalità che questo tipo di interventi consente, anche perché si opera spesso su prodotti a suo tempo progettati su nostri disegni».
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Quali sono le prospettive per il medio e lungo periodo, sia in termini di andamento del mercato che del vostro business? C.C.: «Ritengo che i prossimi anni premieranno ancora gli sforzi che le aziende stanno sostenendo per favorire la diffusione delle tecnologie per la produzione di energia pulita. Per quanto riguarda la nostra realtà, il nostro obiettivo resta il consolidamento della posizione sul mercato e, dove possibile, l’ampliamento progressivo dei confini della nostra area di riferimento e delle collaborazioni. L’unico vero problema, oggi, è soltanto quello di riuscire a non soccombere di fronte alla crisi». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 169
RINNOVABILI
Sinergie e reti nel modello green Il caso di una sinergia creata non solo per unire le forze ma per ottenere una maggiore competitività nella sfera della green energy che è ormai fin troppo gremita. L’analisi di Alberto Mazzoni Remo Monreale
“isola” delle green energy si può dire ormai piuttosto affollata. In un settore come quello dell’impiantistica, in sofferenza a causa della grave flessione edilizia, non sono stati pochi quelli che hanno guardato alle rinnovabili e al risparmio energetico come un’opportunità irrinunciabile. Per questo motivo, dopo i facili entusiasmi iniziali, il giro di vite degli ultimi conti energia e l’affollamento di aziende operanti nell’ambito, è divento d’obbligo distinguersi. Alberto Mazzoni, titolare della Logo Service di Piacenza, spiega la strategia studiata insieme alla Electric Power per ottenere il livello più alto per gli impianti. «L’obiettivo della sinergia tra le due società – spiega Mazzoni – era quello di unire le forze contro la crisi economica per essere più competitivi. È nata, così, una collaborazione costante che ci ha permesso di elevare al massimo grado la
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qualità della nostra proposta: in particolare realizziamo impianti tecnici, elettrici, termici, di contenimento dell’energia; svolgiamo attività di main contractor in quello che sono i processi e progetti legati a questo tipo di soluzione». Le due imprese piacentine possono vantare un andamento positivo, considerando le condizioni del settore. «Il
bilancio è soddisfacente: negli otto anni scorsi abbiamo lavorato per privati e con pubbliche amministrazioni, sfruttando le nostre capacità in materia di impianti di rinnovabili e risparmio energetico. Quindi il fatturato di entrambe le imprese si è attestato intorno al milione e mezzo di euro, rimanendo stabile nel triennio. Certo non è stato semplice raggiun-
Alberto Mazzoni
Sotto, un dispositivo prodotto dalla Logo Service di Piacenza e un pannello operatore. Al centro, sistema di pannelli fotovoltaici www.logoserviceimpianti.eu
gere questo traguardo: abbiamo fatto progettazione e realizzazione d’impianti, ma anche project financing, andando in cerca di investitori
quando non eravamo in grado di affrontare i costi da soli. Abbiamo cercato di individuare i punti di carenza nelle aziende esaminate, proponendo e realizzando soluzioni e quindi cercando anche i fondi che potessero finanziare queste attività». Se la strategia che ha portato alla sinergia è stata vincente, allo stesso modo sono stati decisivi gli investimenti fatti
nel tempo che hanno permesso di acquisire competenze anche piuttosto rare. «Investiamo dal sette all’otto per cento del fatturato in ricerca, strumentazione e formazione: è stato questo a tenerci a galla durante la fase recessiva. Puntiamo alla manutenzione degli impianti fotovoltaici, gestendo il servizio a 360 gradi». Logo Service ed Electtric Power propongono programmi di manutenzione predittiva, ordinaria e straordinaria sfruttando le migliori tecnologie presenti sul mercato: controllo e monitoraggio da remoto, termografia e analisi non distruttiva sui materiali; si eseguono analisi strumentali per la ricerca dei guasti e/o le anomalie dei sistemi utilizzando apparecchiature tra le più complete che il mercato possa offrire. Al momento, la Logo Service sta progettando un impianto di trigenerazione presso un insediamento produttivo nella provincia di Piacenza. «È un impianto – spiega Mazzoni – di produzione di energia elettrica da motore alimentato a gas metano. Successivamente si recupera energia termica per il riscaldamento e poi produciamo freddo trasformando l’energia termica con un assorbitore».
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Stiamo realizzando un impianto di trigenerazione che produce di energia elettrica da motore alimentato a gas metano
Sulle prospettive future, Mazzoni si dimostra cautamente ottimista e indica gli obiettivi: «Sviluppare ancora l’impiantistica ad alta efficienza energetica è un dovere. In più stiamo allargando il nostro raggio d’azione anche nei paesi emergenti».
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ECOLOGIA INDUSTRIALE
Il filtropressa e l’inquinamento dell’acqua Applicare le tecnologie ecosostenibili, che oggi si integrano nelle più diverse linee industriali. Fabio Fazzini presenta le potenzialità del filtropressa Manlio Teodoro
a tutela delle acque è un tema strettamente legato alle procedure di smaltimento dei rifiuti urbani, industriali e chimici. Sono passati 37 anni dall’introduzione della prima norma che ha disciplinato gli scarichi (legge Merli). In questo periodo un contributo determinante a limitare l’inquinamento delle acque è venuto
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dalla tecnologia della filtropressa, un sistema che impedisce alle sospensioni contenute nelle acque di scarico di entrare nell’ecosistema. Come spiega Fabio Fazzini: «In linea di principio, il filtropressa trova applicazione ogniqualvolta sia necessario o utile separare una fase solida da una fase liquida. Questa tecnologia è in competizione con altre tipologie di macchine
che eseguono gli stessi compiti – per esempio, filtri sottovuoto, macchine centrifughe, filtri a nastro. Tuttavia, da un confronto effettuato fra dispositivi di centrifugazione, filtrazione e sedimentazione per la rimozione delle sospensioni solide dalle acque reflue, il filtropressa si è costantemente affermato il macchinario più semplice e razionale, in grado di garantire
Fabio Fazzini
Filtri Fazzini Srl di Cotignola (RA) www.filtrifazzini.it
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Fra diversi sistemi, il filtropressa è il macchinario più razionale per la rimozione delle sospensioni solide dalle acque reflue
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risultati di gran lunga migliori rispetto ai sistemi concorrenti. Sia in termini di efficacia rispetto ai costi sia in termini di eco compatibilità. E inoltre richiede un investimento di capitale molto più limitato, sostenibile da qualsiasi realtà industriale». Fabio e Gabriele Fazzini sono i titolari della Filtri Fazzini di Cotignola, nel ravennate, azienda che si è sviluppata di pari passo alle linee guida impostate dalla legge Merli. «Certamente ogni macchina ha il suo campo di applicazione ideale. Quello del filtropressa è senza dubbio lo smaltimento dei fanghi provenienti dalla depurazione delle acque reflue industriali (organici, inorganici, misti), che risultano dalle lavorazioni di galvanizzazione dei metalli, tessitura, chimica generale, lavorazione degli alimenti, ceramica, siderurgia. In queste categorie di impianti, l’efficacia della macchina è data da una filtrazione a elevato potenziale di drenaggio e dall’utilizzo di vagli speciali e trat-
tamenti preliminari nell’impianto di depurazione che precede la filtropressa. L’obiettivo sinergico di questi elementi è consentire la separazione completa degli agenti inquinanti dalle acque reflue. Tanto che l’acqua risultante è perfettamente trasparente e depurata. E inoltre, in aggiunta al fatto che l’operazione di disidratazione può anche essere effettuata in maniera totalmente indipendente dalle condizioni climatiche, i filtripressa sono le macchine che assicurano la massima efficienza nella riduzione del volume dei fanghi, garantendo notevoli risparmi in termini di spazio, costi e smaltimento, abbassando così i costi di gestione». Grazie all’efficienza delle proprie tecnologie, Filtri Fazzini è diventata negli anni un punto di riferimento nell’ambito dell’ecologia industriale e si è affermata e specializzata nella progettazione e realizzazione di sistemi di filtrazione con filtropressa, potenziando e allargando il suo parco macchine:
dalle macchine manuali e semiautomatiche fino a quelle completamente automatiche, che non necessitano di operatore. «Le nostre applicazioni si sono affermate parallelamente sia a tutela dell’ambiente e sia a beneficio dell’impianto industriale, laddove venga richiesta una filtrazione di processo. Inoltre, collaborando con società private di engineering ed enti pubblici siamo riusciti a trovare le migliori soluzioni possibili a diverse problematiche legate ai rifiuti inquinanti (liquidi e semiliquidi) e al riciclaggio delle sostanze riutilizzabili, assicurando così vantaggi considerevoli in termini economici e, al tempo stesso, proteggendo e mantenendo inalterato l’ambiente naturale in cui viviamo». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 173
IMPRESA E AMBIENTE
Industria e territorio, l’integrazione possibile Un’integrazione nel contesto territoriale passa attraverso l’analisi puntuale dei possibili rischi, in alcuni casi altissimi. Antonio Balzani introduce i problemi relativi all’inquinamento industriale e ambientale. E le possibili soluzioni Remo Monreale
on ci sono attività che non comportino inquinamento e dunque il nostro impegno». Antonio Balzani introduce così il campo di attività in cui opera da ventiquattro anni. Con altri quattordici professionisti, tra cui addetti operativi chimici, biologi, tecno-
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Fasi di lavoro della Interstudio Tecniche e Ambiente Srl, che ha sede a Parma. Nella pagina accanto, un operatore durante la verifica di captazione www.interstudioambiente.it
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logi, informatici, la sua Interstudio Tecniche e Ambiente si occupa del controllo dell’inquinamento industriale e ambientale di aria, acqua e suolo da rifiuti, rumore, e in ambienti industriali e non. Un compito tutt’altro che semplice, soprattutto se si considerano la necessaria conoscenza dei cicli produttivi e la difficoltà di
organizzare il prelievo, fondamentale rispetto l’analisi, afferma Balzani. «Questo – spiega – è un punto dolente dei laboratori di routine, operanti negli stessi settori di controllo, anche dell’ambiente. La formazione settoriale e specifica continua, l’altissima specializzazione ed esperienza dei tecnici e delle squadre operative, ha reso l’In-
Antonio Balzani
terstudio un punto di riferimento d’eccellenza in un mercato di nicchia. La nostra proposta è rivolta a chi desidera acquisire dati, non solo sul rispetto dei limiti imposti, ma soprattutto desidera dati di efficacia ed efficienza, realistici, sul funzionamento di impianti o relativi a situazioni problematiche da affrontare». Uno degli obiettivi principali per Balzani è dunque aiutare l’industria a integrarsi con il territorio. «Ci proponiamo – continua il titolare dell’Interstudio – di agire come accompagnatori delle aziende sulla strada del miglioramento tecnologico e produttivo, dell’inserimento nell’ambiente e nel contesto antropico, della conformità legislativa e del suo mantenimento nel tempo. L’obiettivo coincide con la riduzione dei pericoli e dei rischi per la salute delle persone e delle cose, siano essi lavoratori o abitanti. In questo senso, anche se seguiamo prevalentemente grandi realtà produttive, non è importante la dimensione, quanto la qualità della problematica e delle soluzioni disponibili. Queste sono individuate mediante la determinazione di dati analitici veritieri, confrontate con i clienti e se condivise, applicate con il massimo successo documentabile. Il supporto al conseguimento delle autorizzazioni, settoriali, integrate, ridotte, complete, provinciali o comu-
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L’integrazione tra impresa e ambiente si ottiene con il controllo dell’inquinamento di aria, acqua e suolo
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nali, necessarie all’esistenza produttiva è un’attività costante così come la valutazione del rischio per i lavoratori e la loro formazione». Balzani poi, si addentra nello specifico della materia. «Interstudio – continua – si occupa di individuare ed evidenziare i problemi e le priorità, e solo in un secondo momento di ricercare e proporre soluzioni possibili. Per ogni intervento sono valutate e concordate previo sopralluogo e studio della particolare situazione, le caratteristiche tecniche specifiche, nonché la strumentazione idonea all’esecuzione. La strumentazione di prelievo e misura ampia e specializzata, permette di operare effettuando i controlli necessari nei tempi più brevi, massimizzando l’efficacia». Nella descrizione più dettagliata dell’attività, il titolare del-
l’azienda parmigiana non può evitare di considerare anche un certo fenomeno di cattiva concorrenza. Acquisire clienti e mantenerli nel tempo prevede la fiducia che deriva dal confronto diretto, dalle capacità operative, dai mezzi disponibili e dal tempo necessario e impegnato. La concorrenza è limitata a operatori che offrono servizi di livello qualitativo equivalente. «Noi operiamo sempre anche nei controlli periodici routinari, con gli stessi criteri di attenzione verifica e veritiera determinazione; in questo caso però la necessità che prevale spesso su quella di risultati reali, è soddisfatta dalla carta e dai numeri utili. Ci confrontiamo allora con una concorrenza che rispondendo all’esigenza di risparmio immediato delle aziende non è sempre corretta. EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 175
GESTIONE RIFIUTI
Rifiuti, tra burocrazia e pregiudizi Gilberto Gherardi affronta l’annoso problema dei rifiuti, inquadrando la situazione al di fuori delle polemiche mediatiche. «La burocrazia impedisce le soluzioni. Giornali e tv non aiutano» Renato Ferretti
uno di quei segmenti dell’economia fuori dalla logica delle tendenze momentanee: produciamo scarti e non smetteremo mai di farlo. Per questo motivo, forte di una decennale esperienza nella raccolta, trasporto, gestione, trattamento, smaltimento e recupero di rifiuti pericolosi e non, Gilberto Gherardi, titolare della bolognese Eco. Ser. S.r.l., può affermare con sicurezza: «Il settore dell’ambiente e quello dei servizi connessi possono generare investimenti e opportunità di lavoro. Ma dobbiamo essere messi in condizioni di potere svolgere il lavoro in un contesto normativo chiaro e semplice, all’interno di linee guida definite e stabili» In questo quadro, per l’azienda di Villanova di Castenaso (BO) si possono registrare risultati ottenuti, nonostante siano presenti problemi ancora da risolvere. «Il fatturato 2012 – continua Gherardi – si è chiuso poco sotto
È
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i tre milioni e mezzo di euro. Per una piccola azienda come la nostra, nel contesto, rappresenta sicuramente un risultato soddisfacente. Le nostre sono difficoltà di natura finanziaria, perché i tempi stabiliti per riscuotere i crediti sono sistematicamente disattesi. Di contro, l’erario arriva sempre puntuale a riscuotere Iva, contributi e imposte. Inoltre ci si è ritrovati a dover affrontare quella bella “trovata” del Sistri, un megasistema di controllo che avrebbe ulteriormente aggravato di costi le aziende, come la nostra, rispettose delle regole». Il titolare della Eco. Ser. passa poi a illustrare le principali
esigenze nel settore. «Le piccole e medie imprese hanno bisogno di essere indirizzate in materia di rifiuti e insieme a loro va trovata la soluzione più appropriata, evitando costi impossibili e cercando di superare la burocrazia estenuante. La mia azienda, attraverso tutto il suo personale e con due figure commerciali preparate e disponibili, dà quotidianamente questo servizio. Inoltre Eco. Ser. aderisce al Consorzio Astra di Faenza assieme ad altre imprese che erogano servizi nel settore ambientale, unitamente ad altri impianti di recupero e smaltimento. Riusciamo in questo modo a soddisfare anche le
Gilberto Gherardi
Fasi di lavoro in Eco Ser Srl che ha sede a Villanova di Castenaso (BO) www.eco-ser.it
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Le Pmi hanno bisogno di essere indirizzate in materia di rifiuti e insieme a loro va trovata la soluzione più appropriata
grandi esigenze e a essere concorrenziali nelle gare degli appalti pubblici. Per cui dove non arriva Eco. Ser. arriva il consorzio Astra ». Le imprese che operano nel campo dei rifiuti sono spesso viste come la prima causa dei problemi. «Purtroppo molte imprese – spiega Gherardi – del settore dei rifiuti non si sono comportate e non si comportano correttamente. Quando questi fatti emergono, sono trattati dalla stampa e dai media con molto clamore, che genera preoccupazione nell’opinione pubblica e anche nelle imprese aumenta la diffidenza. Così gli operatori preparati e seri soffrono doppia-
mente questa concorrenza sleale. Devo aggiungere che in Italia siamo bravissimi a introdurre continuamente norme e adempimenti complicati, a volte inutili». Per affrontare le difficoltà descritte, Gherardi ha in mente strategie precise. «Vogliamo impegnarci in sinergie con analoghe aziende della zona – conclude – , al fine di migliorare la risposta al cliente e ridurre ulteriormente alcuni costi fissi. Bisognerebbe puntare, per quanto difficile sia, a un cambiamento della mentalità. Invece, in nome della tutela dell’ambiente o talvolta per mancanza d’informazione, è impedita ogni soluzione nazionale e territoriale a problemi gravi di smaltimento, che invece abbiamo. Un esempio per tutti: l’amianto. L’eternit, in particolare, è ancora
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presente in grandi quantità negli edifici e nelle infrastrutture. La Comunità Europea ha fissato il termine dello smaltimento entro il 2023. A questo si sono aggiunte le tante richieste, da parte degli attori all’interno del comparto, per la realizzazione tempestiva di centri di stoccaggio definitivo. Ciononostante in Italia farsi autorizzare per discariche, realizzate nel rispetto degli innumerevoli adempimenti, è quasi impossibile. Così l’amianto da noi rimosso poi è smaltito quasi tutto all’estero, ora soprattutto in Germania. Risultato: costi ingenti da sostenere, conseguenti risorse che vanno nelle tasche del paese che riceve i rifiuti, camion che girano per l’Europa aumentando traffico su strada e le emissioni di CO2 in atmosfera». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 179
GESTIONE RIFIUTI
L’Emilia Romagna e i rifiuti Dalla contrazione della produzione al problema della tracciabilità, dalla filiera minacciosamente lunga all’importanza dell’export: il punto sullo smaltimento, in Italia e in Emilia-Romagna, di Fabio Colla Renato Ferretti
l tema continua a far discutere. Quello dei rifiuti è un aspetto dell’economia che appare sempre meno trascurabile: ha un forte impatto sulla stessa produzione, di cui non è più la semplice conclusione. Il Report Rifiuti 2012 realizzato da Regione Emilia-Romagna evidenzia un calo della produzione dei rifiuti in regione del 5 per cento. Ciò nonostante l’Emilia-Romagna continua a essere uno dei territori che produce più rifiuti. I rifiuti urbani occupano il 23 per cento, mentre il rimanente 77 per cento è costituito dai rifiuti speciali provenienti dalle attività commerciali e dal terziario. Sul contesto emiliano il punto di vista di Fabio Colla, presidente ed amministratore delegato dell’Alfarec, è netto. «La produzione di rifiuti superiore alla media nazionale – dice Colla – è la conseguenza di consumi pro capite altrettanto superiori ai livelli medi e, pertanto, non è auspicabile un’ulteriore ri-
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duzione: la contrazione dell’attività produttiva industriale e artigianale ha raggiunto livelli più che allarmanti». La tendenza registrata finora, quindi, ha poco di rassicurante. «Le prospettive sono quelle di un mercato in forte contrazione – continua Colla –, quindi sempre meno società attive nella produzione dei beni e quindi dei rifiuti. Non mancano, però, realtà industriali che incrementano le loro produzioni: bisogna individuarle offrendo loro un
miglioramento del servizio. Infatti, risulta sempre più importante effettuare e dimostrare il corretto smaltimento dei rifiuti. I produttori devono porre in essere tutte le azioni necessarie per avere un controllo della conclusione del ciclo: una tracciabilità che possa dimostrare la puntuale rispondenza alla normativa di tutte le fasi. Chi non lo considera espone la propria azienda ad un rischio altissimo». Con queste premesse diventa decisivo risolvere il problema
Fabio Colla
della tracciabilità. «La soluzione è la stessa con cui si dovrebbe risolvere il problema economico: accorciare al massimo la filiera, cercando quindi di riunire quante più figure possibili nel proprio referente, escludendo sia le intermediazioni dirette sia quelle indirette. Per questo motivo bisogna conoscere e poter documentare la destinazione ultima dei propri rifiuti: questo atteggiamento, peraltro, ha un risvolto economico rilevante, specialmente sul lungo periodo e nel caso di ingenti quantità di rifiuti». In un contesto come quello descritto è cruciale la fidelizzazione verso i fornitori tecnici. «Quello che ci ha permesso di ottenere la fiducia dei nostri clienti, da una parte è la compagine societaria e i vertici aziendali invariati dalla fondazione. Dall’altra tutto il
personale, periodicamente informato e soprattutto formato in merito alle buone pratiche di smaltimento. Infine, la flessibilità e la disponibilità, mai però disgiunte dalla preparazione e dalla preventiva acquisizione della dotazione di mezzi e di conoscenza: insomma la non improvvisazione». I partner affidabili e qualificati, anche se non direttamente coinvolti in un rapporto di collaborazione, sono per Colla un altro aspetto da non sottovalutare. «Un interlocutore di questo tipo consente un reciproco travaso di informazioni e di cultura del lavoro. Nel caso contrario la relazione è a senso unico e mette a repentaglio l’organizzazione, soprattutto dal punto di vista commerciale. Le nostre collaborazioni ci permettono di progettare e
673 kg LA PRODUZIONE ANNUA DI RIFIUTI PER ABITANTE IN EMILIA-ROMAGNA CONTRO LA MEDIA NAZIONALE DI 533 KG
realizzare interventi di rimozione eternit. Inoltre siamo attenti alle esigenze tecniche ed economiche del privato cittadino, che solleviamo, quando possibile, dalle incombenze burocratiche. Uno dei punti di forza dell’Alfarec è l’export. «Considerando che esportiamo rifiuti da dodici anni verso l’Austria, la Francia e la Germania, grazie alla diretta relazione con le società estere, principali destinatarie dei rifiuti difficilmente smaltibili in Italia, possiamo offrire condizioni economiche estremamente vantaggiose».
Fasi di lavoro in Alfarec Spa che ha sede a Pianoro (BO) www.alfarec.it
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INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI
Piccoli cantieri per far risorgere l’edilizia Con l’inizio del 2013 si apre una stagione che potrebbe lasciare tracce significative nella fisionomia urbana italiana. Muove i primi passi il Piano città, da cui Paolo Buzzetti si attende molto, soprattutto in chiave di rilancio economico del sistema edilizio nazionale Giacomo Govoni
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n ammontare di 318 milioni di euro di fondi assegnati che consentiranno ai 28 progetti vincitori di attivare investimenti per 4,4 miliardi di euro. Sono i primi numeri prodotti dal Piano città, al varo ufficiale da metà gennaio scorso con lo sblocco dei finanziamenti utili da parte del governo, a cui si aggiungono anche le risorse messe a disposizione dal fondo per l’edilizia sociale di Cassa depositi e prestiti. Dalla seconda metà del 2013, secondo le stime, si cominceranno a mettere in moto i cantieri che per il sistema italiano delle costruzioni potrebbero rappresentare l’alba di una nuova stagione. «Abbiamo lanciato l’idea del Piano città un anno fa – commenta Paolo Buzzetti, presidente di Ance nazionale – per dare all’Italia quel piano di rigenerazione urbana che mancava da 20 anni e oggi possiamo dire che il primo grande passo è stato fatto».
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Paolo Buzzetti, presidente dell’Associazione nazionale costruttori edili
Paolo Buzzetti
Un provvedimento che potrebbe prefigurare nuovi scenari, in primis per il comparto edilizio. Quali obiettivi si pone? «L’intento è quello di riqualificare i centri urbani e recuperare le periferie attraverso interventi di demolizione e ricostruzione, non solo sostituendo singoli edifici ma anche recuperando ampie parti di città, come già da tempo avviene in Europa». Va detto che a fronte di 28 proposte accettate, più di 450 avanzate dai Comuni sono state respinte. Come sopperire a questa criticità, figlia evidentemente di un deficit di risorse? «È fondamentale che il nuovo governo dia seguito a questo primo passo ponendo al centro dell’attenzione le politiche per la città e dotando il piano di un finanziamento più corposo. Noi proponiamo l’utilizzo dei due miliardi di euro all’anno previsti dai fondi strutturali e Fas per la realizzazione delle politiche urbane». Lei ha affermato di recente che le costruzioni sono al centro di una massiccia deindustrializzazione. Quali sono
Proponiamo l’utilizzo dei due miliardi di euro l’anno previsti dai fondi strutturali e Fas per la realizzazione delle politiche urbane
i contorni più allarmanti di questo trend? «Difficile dire se sia più allarmante che migliaia di imprese edili chiudano perché la Pa non paga lavori regolarmente eseguiti, che il credit crunch continui a strangolare imprese e famiglie o che in Italia non ci sia ancora un programma di investimenti per la messa in sicurezza del territorio e per la riqualificazione e l’ammodernamento del patrimonio scolastico. Certo è che i primi a fare le spese del collasso di questo settore sono le imprese: dal 2008 hanno perso il posto 360mila persone, 550mila se consideriamo l’indotto». Un quadro con tante ombre e pochissime luci. «Trovare delle soluzioni a questi problemi riteniamo sia una condizione indispensabile per il rilancio dell’economia italiana. Non si può ignorare la crisi di un settore che acquista beni e
servizi dall’80 per cento dei settori economici in Italia e che per ogni miliardo investito genera una ricaduta di 3,374 miliardi di euro. L’attività produttiva è tornata ai livelli di 40 anni fa, gli investimenti in costruzioni, al netto degli interventi di ristrutturazione, sono diminuiti in 5 anni del 38 per cento e i dati sono di mese in mese più preoccupanti, in tutti i comparti, dalla produzione di nuove abitazioni all’edilizia non residenziale. Abbiamo toccato il fondo e ora dobbiamo assolutamente invertire la rotta». C’è da far fronte a un 2012 che ha visto la domanda di mutui ridursi in modo radicale. Quanto è prioritario intervenire su questo terreno? «In realtà a esser crollata non è la domanda, ma il numero di mutui erogati dalle banche, che nel 2012 si è dimezzato. Sicuramente l’estrema incer- EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 185
INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI
tezza del quadro economico, questo binario? le difficili prospettive del mercato del lavoro e la flessione del reddito disponibile scoraggia e rinvia gli investimenti delle famiglie, ma al momento in Italia non ci sono segnali che facciano pensare a una bolla immobiliare. Al contrario, i dati mostrano che esiste una domanda insoddisfatta di circa 596mila abitazioni. Non va dimenticato che l’acquisto della casa è stato e sarà sempre il sogno degli italiani: dobbiamo solo dare la possibilità alle famiglie di avverarlo». Una buona programmazione di riqualificazione edilizia dell’esistente, in quest’ottica, potrebbe rivelarsi efficace. Altre possibili strade? «Noi pensiamo che una delle soluzioni sia promuovere nuovi strumenti finanziari in grado di riattivare il circuito del credito, i cosiddetti Casa bond. Questa proposta prevede il coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti e di altri investitori istituzionali nell’acquisto delle obbligazioni a medio-lunga scadenza emesse dalle banche per finanziare i mutui delle famiglie sia per l’acquisto della prima casa che per la ristrutturazione». Una delle leve su cui vengono risposte molte speranze anche in ottica di rilancio delle costruzioni è la diffusione dell’housing sociale. Come si sta procedendo su
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«L’edilizia sociale necessita di interventi mirati che in Italia mancano da decenni. Regioni e Comuni hanno provato, a modo loro, a risolvere il problema anche attraverso soluzioni forzate, come la realizzazione obbligatoria di alloggi sociali a carico delle imprese private nell’ambito di iniziative edificatorie. Ma questa non può essere la soluzione: non si può chiedere ai privati di fare welfare. Piuttosto i Comuni dovrebbero assicurare la disponibilità di aree o immobili da recuperare in tempi certi, a costo (quasi) zero e a condizioni che consentano di realizzare un prodotto comunque di qualità. Guardiamo con interesse allo strumento dei fondi immobiliari che però fatica ad avviarsi. Servono anche misure per potenziare l’offerta di case per l’affitto con incentivi, anche fiscali, soprattutto se si applica un canone sostenibile. Occorre, infine, riattivare i canali di credito a favore delle famiglie soprattutto per l’acquisto della prima casa». Inutile sottolineare il peso dell’Imu sulle vicende che interessano il presente e il futuro del settore. «L’aumento della pressione fiscale sulla casa, dovuta anche all’introduzione di questa imposta, combinato alla restrizione del credito, sta avendo un effetto devastante sul mer-
Dal 2008 nel settore delle costruzioni hanno perso il posto di lavoro 360mila persone, 550mila se consideriamo l’indotto
cato immobiliare, alle prese con un vero e proprio blocco delle compravendite. All’Imu andrebbero apportate alcune modifiche per raggiungere un livello accettabile di equità e attivare l’offerta di case in affitto. Ad esempio, andrebbe resa progressiva in modo che chi ha di più paghi di più. Inoltre, andrebbe assolutamente eliminata per gli im-
Paolo Buzzetti
mobili costruiti dalle imprese e non ancora venduti. In questo caso si tratta di una tassa su beni prodotti dalle imprese prima ancora di essere venduti, cosa che non accade in nessun altro settore industriale». Quale strategia politica dovrà adottare il prossimo esecutivo in questo senso? «La nostra richiesta è quella di agire subito seguendo l’esempio di Stati Uniti, Francia e Germania, che hanno puntato su edilizia e mercato immobiliare per rilanciare l’economia. Le scelte politiche fatte in Italia, nonostante gli sforzi positivi del ministro Passera e del viceministro Ciaccia, non sono andate in questa direzione e i risultati drammatici sono sotto gli occhi di tutti».
Ultimamente l’abbiamo sentita esprimere preoccupazione per infiltrazioni di operatori sleali nel mondo delle costruzioni. Teme che anche il Piano città possa incoraggiare questo fenomeno? E come vi state muovendo per arginarlo? «Il tentativo delle organizzazioni criminali di intercettare gli importanti flussi finanziari destinati agli investimenti in costruzioni, pubblici e privati, potrebbe non risparmiare il Piano città. L’Ance proseguirà l’intensa azione che da anni porta avanti per contrastare le infiltrazioni criminali nell’economia. Un’azione che, ricordo, ha prodotto buoni risultati. È proprio su una proposta dell’Ance, infatti, che nella legge anticorruzione è stata prevista la costituzione delle white list, ovvero degli elenchi prefettizi dei fornitori a più alto rischio di infiltrazione mafiosa per i quali sia escluso il tentativo di infiltrazione mafiosa. Un importante passo in avanti che, tuttavia, andrebbe completato prevedendo l'obbligatorietà dell’iscrizione alle liste come, peraltro, previsto per la ricostruzione del terremoto in Emilia Romagna. Del resto, l’esperienza relativa alle white list facoltative, come accaduto in Abruzzo, non sta producendo risultati significativi». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 187
INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI
La forza dell’edilizia è oltre confine Nonostante la domanda superi l’offerta, il settore costruzioni affronta un periodo particolarmente complesso. Ma è al mercato estero, che apprezza da sempre il know-how italiano, che bisogna guardare per tornare a crescere Teresa Bellemo
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l settore delle costruzioni sta affrontando un momento di forte difficoltà che colpisce soprattutto le piccole imprese. Nonostante questo, dai dati dell’analisi Ance dello scorso dicembre emerge che non vi sono segnali per una bolla immobiliare nel settore residenziale, contrariamente a quanto è avvenuto in altri Paesi. A confermarlo, una recente ricerca del Censis che mette a confronto l’andamento della domanda espressa, rappresentata dalla propensione delle famiglie ad acquistare un’abitazione (907mila famiglie), con le transazioni effettuate (485mila). Nonostante la rilevante caduta delle compravendite residenziali e la riduzione della propensione all’acquisto, permane una domanda non soddisfatta di dimensioni rilevanti (circa 44 milioni di mq). Ma sono le attività oltre confine a rendere solide le imprese del settore, permettendo loro di poter credere in una ripresa a breve tempo. Oggi, infatti, le attività estere rappresentano il 53,8 per cento del totale e superano per
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il terzo anno consecutivo la quota del mercato italiano. Dal 2004 al 2011 il business all’estero è cresciuto a un ritmo del 15 per cento l’anno, mentre il fatturato prodotto in Italia è aumentato soltanto dello 0,4. Ne parliamo con Massimo Rustico, ministro plenipotenziario distaccato presso l’Ance. Com’è la situazione immobiliare italiana? C’è il rischio di una bolla? «La fase negativa dell’attuale ciclo immobiliare in Italia peggiora ulteriormente. Le compravendite registrano, nei primi nove mesi del 2012, una significativa diminuzione tendenziale del 23,9 per cento. La domanda immobiliare rimane debole per l’estrema incertezza che scoraggia e rinvia le decisioni di investimento delle famiglie, per le difficili prospet-
tive del mercato del lavoro e per la flessione del reddito disponibile. Un altro fattore è il blocco del circuito finanziario a mediolungo termine che rende estremamente difficile per le famiglie accedere ai mutui per l'acquisto della casa». Il mercato italiano sta vivendo una brusca frenata. Quanto l’estero può aiutare il comparto a riprendersi? «Il nostro sistema di imprese è presente in 86 Paesi perché forte di competenze, capacità organizzative e manageriali e si conferma tra i più competitivi all’estero. Da una parte, infatti, troviamo le imprese di costruzione italiane già fortemente radicate nei mercati esteri. Dall’altro, quelle pmi ancora orientate all’Italia che ora però stanno iniziando a internazio-
Massimo Rustico
Massimo Rustico, ministro plenipotenziario distaccato presso l’Ance
I mercati ci sono e Ance fa molto per coglierli, anche grazie alla sinergia con la Farnesina e la sua rete diplomatica
nalizzare proprio per far fronte alle fortissime difficoltà del settore. Secondo i dati sulla presenza all’estero delle imprese italiane di costruzione, il 2011 si è confermato il sesto anno consecutivo di crescita, con una significativa espansione del business sia in termini di fatturato che di nuove commesse acquisite. Nel 2011 il fatturato estero è stato di oltre 7,8 miliardi di euro, una volta e mezzo quello realizzato nel 2004 e sono stati firmati 239 nuovi contratti del valore complessivo di 12,5 miliardi di euro». Quali i Paesi più promettenti da questo punto di vista? «Le nostre pmi operano prioritariamente con i paesi del Mediterraneo e dell’est Europa. L’Algeria è un valido partner per il settore dell’habitat e per il settore delle infrastrutture. La Libia invece in futuro sarà uno dei mercati di maggiore inte-
resse, viste le rilevanti risorse che verranno messe a disposizione per la ricostruzione del Paese. Insomma, i mercati ci sono, serve coglierli e su questo fronte facciamo molto, anche grazie a una crescente sinergia con la Farnesina e la sua rete diplomatica. Dovremo fare sforzi aggiuntivi sui territori meno battuti: se il Sud America è il mercato principale (circa il 30 per cento dell’intero fatturato estero), dovremo puntare con una chiara strategia di penetrazione ad esempio all’area dell’Asean, che registra forti tassi di crescita, ma anche all’Australia, Canada, Indonesia, Sud Africa, che rappresentano mercati importanti, dove le infrastrutture legate al settore minerario sono per noi di grande interesse». Le piccole aziende faticano a uscire dai confini nazionali, come fare per favorirle e quali sono le capacità neces-
sarie perché questo avvenga? «Oggi le pmi italiane guardano con accresciuto interesse ai mercati esteri e non si sottraggono alle sfide competitive imposte dalla globalizzazione. Ance sta facendo un grande sforzo per supportare la loro presenza sui mercati internazionali organizzando varie missioni nei mercati dell’Area mediterranea e dell’Europa centro-orientale. I mercati esteri richiedono competenze integrate che coinvolgono la fase propositiva degli interventi, la capacità progettuale, realizzativa, finanziaria e gestionale. È quindi fondamentale per le pmi aggregarsi attivando forme di mutuo sostegno, siano esse di natura consortile, reti d’impresa, associazioni temporanee in modo da poter avere la dimensione e creare l’adeguata economia di scala. Oggi le pmi devono affacciarsi all’estero e presentarsi con proposte innovative».
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INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI
Fondi per housing sociale e rigenerazione urbana Alla piena attuazione del Piano città e alla valorizzazione della sua dimensione sociale concorre in misura significativa anche Cassa depositi e prestiti, che mette in campo un fondo specifico per l’abitare sostenibile. Lo spiega Marco Sangiorgio Giacomo Govoni
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all’analisi della dinamica abitativa registrata nell’ultimo quinquennio in Italia, un dato colpisce più di ogni altro: l’inesorabile allargamento di quella fascia intermedia di famiglie, esclusa dall’accesso ai bandi di edilizia popolare, ma non abbastanza agiata da permettersi abitazioni a prezzi di mercato. A questa fascia, figlia di una crisi globale che si riflette sul mercato immobiliare, si rivolge in particolare il fondo investimenti per l’abitare istituito e gestito da Cassa depositi e prestiti attraverso la Cdp investimenti Sgr, società costituita 4 anni fa con il preciso intento di incrementare l’offerta di alloggi sociali sul territorio italiano. «Attualmente sugli oltre 2 miliardi di euro del patrimonio del fondo – spiega il direttore generale della società Marco Sangiorgio – sono state assunte delibere d’investimento, vincolanti e non vincolanti,
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per 600 milioni di euro, che riguardano 17 fondi immobiliari locali gestiti da 10 società di gestione del risparmio». La vostra piattaforma orienta in maniera specifica gli sforzi sull’edilizia privata sociale. Quali linee d’investimento sono già in moto? «In 13 di questi 17 fondi, abbiamo preso delibere d’investimento definitive per circa 330 milioni, relative a 89 progetti. Oltre a questi fondi, entro il primo semestre di quest’anno, dovrebbero risultare attivi altri 3 fondi promossi da enti locali. Sono, infatti, in via di finalizzazione da parte della Provincia autonoma di Trento, della Regione Sardegna e della Regione Siciliana le gare per individuare Sgr chiamate a istituire i fondi locali di social housing. Inoltre, a livello nazionale, abbiamo una pipeline di possibili investimenti di circa 3 miliardi di euro». Il volume di risorse che gestite è uno strumento cru-
ciale anche in chiave Piano città. Qual è il vostro grado di mobilitazione su questo terreno? «In qualità di osservatori, abbiamo partecipato ai lavori della cabina di regia, istituita dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. La cabina aveva lo scopo di valutare i progetti, soprattutto in un’ottica di coordinamento con altri finanziamenti, nella prospettiva di fare delle risorse del Piano città un volano per un programma più ampio di investimenti, pubblici e privati. Il nostro ruolo di osservatori, che non ha interferito in alcun modo con la dinamica pubblicistica d’assegnazione dei contributi, era finalizzato proprio a individuare progetti di social housing potenzialmente idonei agli investimenti del Fia. Al momento ci è difficile valutare il numero di progetti su cui potremo intervenire: possiamo però sottolineare di aver già avviato le prime interlocu-
Marco Sangiorgio
Gli 89 progetti deliberati, di cui 33 in corso di realizzazione o già ultimati, sono localizzati nelle regioni del nord e, parzialmente, del centro
Marco Sangiorgio, direttore generale di Cassa depositi e prestiti investimenti sgr
zioni con i Comuni dove crediamo ci siano progetti compatibili con le finalità di investimento del Fia e sostenibili dal punto di vista sociale e finanziario». Quanto può pesare la diffusione del social housing nello sviluppo futuro delle città? «Il social housing può contribuire alla riqualificazione delle città, non soltanto per l’incremento dell’offerta abitativa per le fasce di popolazione più in difficoltà, ma anche per la sua componente social, attraverso la realizzazione di servizi destinati ai nuovi residenti e ai quartieri, nonché attraverso programmi di integrazione e accompagnamento sociale. Quello della gestione sociale è un tema particolarmente importante per il buon successo delle iniziative e, in una prospettiva più ampia, per lo sviluppo di città più sostenibili». Come promuoverne il modello? «Per quanto ci riguarda, assegniamo particolare importanza all’individuazione di gestori che, oltre a svolgere le tradizionali attività di property e facility, promuovano attività di accompagnamento e responsabilizzazione degli inquilini nella conduzione degli immobili e del quartiere e sappiano svolgere funzioni di media-
zione sociale e culturale volte a prevenire conflitti e tensioni all’interno delle comunità e con la proprietà degli immobili. Siamo convinti, infatti, che nel lungo periodo la gestione sociale, in termini di partecipazione alla qualità della vita del quartiere, si rifletta anche sulla qualità della manutenzione dei manufatti e sulla percezione della qualità della convivenza del quartiere». L’ultimo progetto che vi vede protagonisti, riguarda il bando di assegnazione di 98 alloggi a canone sostenibile a Parma. Quali analoghi progetti avete in agenda e che territori interesseranno? «Gli 89 progetti deliberati, di cui 33 in corso di realizzazione o già ultimati, sono localizzati nelle regioni del nord e, parzialmente, del centro. Entro l’anno, pensiamo di poter deliberare i primi investimenti anche nelle regioni del sud, a partire dalla Sardegna e dalla Sicilia, dove sono in via di finalizzazione i bandi di selezione delle Sgr. Per fare un esempio concreto, uno dei progetti che per noi rappresenta bene le caratteristiche che il social housing dovrebbe possedere è in via Cenni a Milano, promosso da Polaris Sgr per conto del Fondo Fil, uno dei 13 fondi in cui il Fia ha già investito». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 191
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Per quali peculiarità si fa apprezzare? «Il progetto, selezionato con un concorso di architettura e sviluppato su un modello gestionale all’avanguardia, presenta un’offerta di alloggi molto articolata per giovani single, giovani coppie, anziani, nonché spazi di uso comune e di servizi rivolti anche al quartiere. Inoltre, grazie alle soluzioni costruttive adottate (ampio ricorso al legno) permetterà un consumo medio annuo per un appartamento di 100 mq inferiore a 300 euro, contro i 1.000/1.500 spesi mediamente per riscaldare gli edifici in Italia. Uno degli aspetti qualificanti dell’intervento è la presenza di un
600mln
L’AMMONTARE DI INVESTIMENTI GIÀ DELIBERATI SUL TOTALE DEL FONDO, RELATIVI A 17 FONDI IMMOBILIARI LOCALI GESTITI DA 10 SGR
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modello gestionale all'avanguardia che coadiuva il lavoro di gestione degli alloggi con il coordinamento delle attività della comunità». Vi siete detti pronti a diventare un veicolo per i Comuni che vogliono vendere immobili del proprio patrimonio. Su cosa state orientando i vostri investimenti in questo ambito? «A fine 2012, per supportare il processo di dismissione di immobili pubblici, abbiamo istituito il Fondo investimenti per la valorizzazione, un fondo comune d’investimento immobiliare chiuso, riservato a investitori qualificati. Il Fiv Plus ha un patrimonio obiettivo di 1 miliardo di euro, a oggi sottoscritto per 250 milioni dalla
Cassa depositi e prestiti. Il suo modello di funzionamento prevede che, sulla base di uno studio di fattibilità predisposto da Cdpi Sgr e dell’impegno all’acquisto al prezzo stabilito sulla base dello stesso, l’ente pubblico possa svolgere una procedura di dismissione pubblica. Solo se la gara va deserta, diviene efficace l’impegno all’acquisto dell’immobile formulato da Cdpi e l’ente può concludere con il Fiv Plus la vendita al prezzo prefissato. Lo scorso 8 febbraio abbiamo avviato la prima operazione, presentando alla fondazione Irccs Ca’ Granda-Ospedale maggiore Policlinico di Milano, un impegno all’acquisto di due immobili per circa 17 milioni di euro».
EDILIZIA
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Danilo Coronelli
Manutenzioni edili, un caso fuori dal coro Un processo di crescita inversamente proporzionale rispetto al trend di mercato. Danilo Coronelli presenta i risultati di una strategia che ha portato la Osi3 a moltiplicare il fatturato nonostante la crisi dell’edilizia Luca Càvera
n’ a z i e n d a non può limitarsi a consolidare il fatturato. Perché non siamo più negli anni in cui il sistema economico garantiva un mercato stabile e costante. Mi riferisco, per esempio, alle nuove normative Cee Iso 2001, alla legge 626, Soa e al decreto 145 del 2012. Un’azienda che non si allinea a queste direttive è automaticamente esclusa da importanti fette di mercato. Pertanto, a ogni azione che un imprenditore intraprende, corrisponde una scelta economica per il mercato di riferimento e un condizionamento per la crescita futura». Sono queste alcune delle riflessioni che Danilo Coronelli, amministratore unico della Osi3 ha posto nel fulcro della gestione manageriale della società, specializzata in manutenzioni, servizi e lavori presso banche, presidi ospedalieri, case di cura, ambienti istituzionali, assicurazioni e supermercati.
«U
Quale impronta ha scelto di dare alla società? «La scelta è stata quella di spostare in avanti la linea dell’orizzonte. Uscire dalla logica delle piccole realizzazioni e anche dai confini del nostro territorio di origine. Attualmente, infatti, operiamo in tutto il Centro Nord, da Firenze a Trieste, sia con servizi di manutenzione ordinaria, sia attraverso l’aggiudicazione di gare private relative a lavori di ristrutturazione. I risultati sono scritti nero su bianco nei bilanci degli ultimi sei anni. Dal 2006 al 2012 siamo passati da un fatturato di 600mila euro a 5 milioni. E questo processo di crescita è stato possibile, nonostante un contesto di mercato non favorevole e in progressivo deterioramento, grazie alle relazioni intrattenute con i principali partner, che ci hanno consentito l’acquisizione di una quota sempre maggiore di commesse. Crescita e competitività per noi hanno significato anche mantenere bassi i costi e venire incon-
tro alle esigenze dei committenti, soprattutto in termini di tempistiche dei pagamenti. Un Danilo Coronelli, costo, questo, che finora siamo presidente del Cda della Osi3 Srl di San Lazzaro riusciti a sostenere grazie alla di Savena (BO). In apertura, intervento crescita del fatturato». In concreto, quali strategie realizzato su Via Rizzoli (Bologna) operative, gestionali e com- www.ositre.it merciali si sono rivelate utili per garantirvi questa crescita? «La qualità è stata sicuramente la chiave di volta. Naturalmente sono molti i problemi che si presentano in ogni cantiere: tempi di consegna, costi, il ri- EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 195
EDILIZIA
+733%
CRESCITA DI FATTURATO OTTENUTA DALLA OSI3 SRL NEL PERIODO 2006-2012, PASSANDO DA 600MILA A OLTRE 5 MILIONI DI EURO
spetto delle norme sulla sicu-
Intervento realizzato presso la Galleria Protti (Trieste)
rezza, il monitoraggio della merce. Abbiamo puntato a non trascurare nessuno di questi fattori e di attenerci alle normative, soprattutto sul fronte della sicurezza. Qualità quindi anche per quanto riguarda le competenze del personale. All’alto livello di preparazione che pretendiamo dai nostri tecnici corrispondono assunzioni regolari, compensi adeguati alle capacità e benefit aziendali. Inoltre abbiamo puntato sull’assunzione di giovani, che hanno fatto il loro ingresso in azienda attraverso corsi di apprendistato evolutisi poi in assunzioni. Questo ci ha permesso anche di abbassare l’età media del nostro personale, che oggi è di circa trent’anni». Quindi un percorso costellato di scelte che hanno sempre dato i loro frutti. «Esattamente. Inoltre, anche alcune scelte che all’inizio potevano apparire limitanti, sul lungo periodo si sono rivelate strategiche per sostenere la crescita. Una fra queste, il non avere mai spinto nel settore dell’edilizia privata, neanche negli anni del boom. Se all’epoca abbiamo pagato que-
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sto con un fatturato più basso, quando il mercato delle vendite immobiliari è crollato non ne siamo stati colpiti. Un’altra scelta che abbiamo fatto fin dall’inizio è stata quella di ampliare l’area di intervento nel settore meccanico. Questo ci ha permesso di eseguire direttamente lavori complessi e di essere competitivi nei confronti di aziende che invece subappaltano queste lavorazioni. Il risvolto della medaglia è stato un aumento dei costi per il personale, ma non ci siamo tirati indietro, neanche di fronte a commesse che venivano da territori lontani dal nostro e che potevano far lievitare i costi gestionali». Come riuscite a coniugare la riduzione dei costi e, al tempo stesso, a rispettare i
parametri di sicurezza ed efficienza? «Abbiamo sempre puntato sull’efficienza dei processi utilizzando i sistemi informatici e le procedure Iso. Cerchiamo di sfruttare quei pochi contributi messi a disposizione per il nostro settore. Mi riferisco ai contributi di Fondoimpresa che finanziano la sicurezza sul lavoro. Inoltre prestiamo la massima attenzione al controllo delle commesse nel comitato tecnico. Nonostante questa attenzione, capita a volte che la commessa vada in perdita, anche perché in alcune occasioni tagliare su alcune voci di spesa – per esempio, il trasporto – è risultato negativo: se i lavori hanno carattere di urgenza, non possiamo permetterci dei ritardi».
Danilo Coronelli
Su quali committenze siete orientati? «Il nostro target include sia l’utenza privata che gli enti pubblici. Naturalmente questi ultimi agiscono attraverso le gare e i bandi, ma oltre al prezzo hanno come parametri di riferimento anche la progettazione, la qualità del lavoro, la sicurezza, la preparazione dei tecnici e i rapporti professionali. Attualmente, poi, le migliori prospettive di business derivano, più che da un settore specifico, dalla capacità del committente di rispettare i tempi di pagamento senza ricorrere a contestazioni al solo fine di ritardare il pagamento – perché purtroppo questa è diventata in Italia una prassi consolidata, nella quale ottengono un benefit soltanto gli avvocati». Come giudicate le politiche assunte dagli istituti bancari nei confronti delle imprese? «Naturalmente occorre dare credito alle imprese, però occorre anche che ci sia maggiore liquidità nel sistema, affinché sia il cliente che il fornitore possano rispettare gli impegni nei pagamenti. Le banche do-
Oggi le migliori prospettive di business derivano, più che da un settore specifico, dalla capacità del committente di rispettare i tempi di pagamento
vrebbero dare credito agli investimenti per lo sviluppo delle aziende sane. Oggi invece queste si limitano ad anticipare i pagamenti. E quando questa dinamica diventa la consuetudine si traduce esclusivamente in un aumento del costo del denaro». Quale 2013 si prospetta per Osi3 e quali sono gli obiettivi di medio periodo? «Nei prossimi mesi inizieremo a lavorare in alcuni importanti cantieri meccanici ed elettrici in Liguria, Lombardia, Friuli, Veneto ed Emilia Romagna. Nello stesso tempo la nostra area preventivazione sta realizzando numerose offerte, che speriamo almeno in parte possano andare a buon fine. Dunque vogliamo pensare in positivo – credo sia l’unico modo
per andare oltre i problemi quotidiani causati da politiche sorde rispetto ai bisogni delle imprese. E vogliamo restare costantemente con i piedi per terra, per rapportarci con il territorio e i committenti, che pongono ogni giorno problemi concreti, che noi cerchiamo di risolvere. Per quanto riguarda il medio periodo e i prossimi anni, vogliamo provare a spostarci oltre confine per realizzare interventi su impianti a basso impatto ambientale. Confrontarci in cantiere con aziende estere sarebbe sicuramente un modo per allargare la nostra visione del lavoro e dei rapporti con le persone – anche perché in Italia esiste un approccio standardizzato che non sempre porta verso l’innovazione e lo sviluppo». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 197
LOGISTICA
Logistica per la chimica, criticità e prospettive Le difficoltà per gli operatori del trasporto su gomma negli anni della crisi. Claudio Villa e Vania Dordoni presentano i risultati di un anno di tenuta per il Consorzio Autotrasportatori di Piacenza Valerio Germanico
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Claudio Villa e Vania Dordoni
autotrasporto è in sofferenza fin dagli esordi dell’attuale crisi economica. Quest’ultima infatti ha accentuato i problemi sottotraccia. Fra questi quello storico della frammentarietà, che ha sempre caratterizzato un settore che comprende piccoli imprenditori e artigiani, che proprio in quanto piccoli e non organizzati, risultano particolarmente vulnerabili nei momenti di difficoltà generale, sotto ogni punto di vista: dall’insolvenza dei committenti all’accesso al credito. Per far fronte e prevenire, creando un “paracadute” per le imprese, nel piacentino, da oltre cinquant’anni esiste una struttura di aggregazione che coniuga l’esperienza e l’attaccamento al lavoro del piccolo artigiano alla professionalità della gestione commerciale e finanziaria di una grande azienda privata. Si tratta del Consorzio Autotrasportatori di Piacenza (Conap), specializzato nel trasporto di prodotti chimici liquidi sfusi destinati all’industria, settore in cui è fra le aziende leader. Con committenti in tutta Europa, 57 autotrasportatori associati, una flotta di oltre 200 mezzi e circa altrettanti dipendenti, Conap
L’
si colloca altresì come la principale realtà di Federtrasporti. Di quest’ultima è vicepresidente Claudio Villa, che ricopre anche la carica di presidente in Conap, lavorando in équipe con Vania Dordoni, che dirige la gestione commerciale e il responsabile amministrativo Ernesto Devoti. Tirando le somme del 2012, che anno è stato per il Consorzio? CLAUDIO VILLA: «Abbiamo mantenuto il livello di fatturato e anzi siamo riusciti a ottenere un incrementato del 2 per cento – che, considerando la congiuntura economica attuale, è senza dubbio un risultato positivo. La conferma del fatturato era uno dei due principali obiettivi, insieme al mantenimento del numero di associati ed entrambi i traguardi sono stati raggiunti. Naturalmente non sono mancate le criticità. Le maggiori sono state rappre- Claudio Villa, presidente sentate, da una parte, dal ri- della Conap Srl di Fiorenzuola D’Arda (PC) schio insolvenza di alcuni pic- www.conaptrasporti.it coli committenti, che comunque costituiscono una quota minuscola del nostro portafoglio – che per politica aziendale annovera quasi esclusivamente grandi aziende e multinazionali. Dall’altra, dalle richieste di riduzione tariffaria EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 201
LOGISTICA
LA COOPERATIVA l Consorzio Autotrasportatori di Piacenza (Conap) nasce mezzo secolo fa a Fiorenzuola D’Arda (PC), dove ancora oggi si trova la sede principale, alla quale si è aggiunta una filiale, fondamentale dal punto di vista logistico, ad Arluno (MI). A portare alla nascita del Consorzio è stata l’iniziativa di alcuni autotrasportatori artigiani del territorio piacentino – che poi nel 1976 gli hanno dato la forma di cooperativa. L’obiettivo iniziale era stato quello di sottrarsi all’egemonia degli intermediatori per gestire in proprio le commesse e i contratti di trasporto, in particolare nel settore dei prodotti petroliferi e dei carburanti. A partire dagli anni Ottanta Conap avvia un processo di diversificazione, entrando nel trasporto dei prodotti chimici liquidi sfusi, che oggi rappresenta il core business dell’azienda, al quale si sono aggiunte nicchie di prodotti specialistici che richiedono attrezzature tecniche e formazione ad hoc.
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di alcuni committenti, che stra forza. Senza contare l’elehanno tentato di cavalcare la crisi riducendo i compensi per i fornitori. Di fronte a queste richieste abbiamo scelto di assumere il rischio di perdere alcuni clienti minori, piuttosto che lavorare sotto costo». Attraverso quale strategia siete riusciti a confermare la posizione di mercato? C. V.: «Abbiamo compreso per tempo che si sarebbe entrati in una crisi a lungo termine. Ci siamo quindi mossi con lungimiranza, finanziariamente e commercialmente, per cercare alternative al calo dell’industria nazionale, ampliando il traffico internazionale. L’aver governato la crisi è stata la no-
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mento cardine su cui ci fondiamo: la mutualità, che è la vera energia di una cooperativa come la nostra». VANIA DORDONI: «Essenzialmente abbiamo puntato su di un ingente investimento nei mezzi e nelle attività collaterali al trasporto, ovvero servizi accessori. Fra questi, stazioni di lavaggio cisterne e un deposito tank container. Inoltre, presso la nostra filiale di Arluno, nel milanese, gestiamo da anni una stazione di lavaggio per la bonifica delle cisterne – struttura certificata a livello europeo. L’offerta di questi servizi è un ambito in cui abbiamo intenzione di investire ancora, sia autonomamente sia
in società con altri attori. Oltre a questo, il successo è stato determinato dalle nostre strategie commerciali, con le quali abbiamo puntato a occupare il mercato di nicchia dei prodotti chimici specialistici. Nicchia nella quale siamo diventati uno dei principali attori a livello nazionale e internazionale, offrendo un’attrezzatura di alto livello insieme a una solida preparazione nel trasporto di sostanze particolari». Oltre al trasporto, le aziende ricercano dei partner logistici capaci di offrire più servizi integrati. In tal senso qual è la politica e il modus operandi di Conap? C. V.: «In generale, per conquistare il mercato dei trasporti occorre offrire servizi di alto livello, con una competenza e un know how tali che consentano di risolvere qualsiasi complicazione per il cliente, il tutto a costi competitivi. È poi necessario, specialmente nel settore chimico, promuovere una cultura della sicurezza, che passa attraverso l’esclusione di quei piccolissimi trasportatori che offrono tariffe stracciate solo grazie alla completa assenza di una struttura aziendale e di politiche sulla sicurezza. Per quanto riguarda il Consorzio, gestiamo direttamente il trasporto in Italia e l’imbarco dei contenitori su
Claudio Villa e Vania Dordoni
Vania Dordoni, responsabile della gestione commerciale di Conap
Abbiamo compreso per tempo che stava per iniziare una crisi a lungo termine. Ci siamo quindi mossi con lungimiranza per governarla
treno o su nave. In più, in collaborazione con partner che si occupano di trasporti all’estero e dell’organizzazione ferroviaria o navale, offriamo un servizio di trasporti intermodali che si sviluppa lungo le principali direttrici europee e transoceaniche». Il tema della sicurezza procede a fianco a quello della sostenibilità ambientale. Come gestite questi aspetti? V. D.: «Già da tre anni siamo membri del programma europeo Responsible Care. È un
progetto che raccoglie le principali industrie chimiche europee e gli operatori logistici del settore intorno a un codice etico comune che prevede la tutela ambientale come obiettivo-quadro nello svolgimento della propria professione e si traduce in una serie di attività preventive e di mitigazione dell’impatto ambientale. Responsible Care è anche un logo con marchio registrato che consente alla committenza di identificare i trasportatori che vi aderiscono».
Quali sono le prospettive di bilancio, gli obiettivi, i progetti e i nuovi investimenti che vi attendono nel 2013? C. V.: «Attualmente stiamo ristrutturando la nostra stazione di lavaggio di Arluno, con l’obiettivo di migliorare le condizioni di sicurezza per gli operatori. Stiamo inoltre ultimando i progetti per la realizzazione di nuovi impianti di bonifica. Nel corso del 2013, per quanto riguarda il servizio di trasporto, tenteremo naturalmente di incrementare il fatturato e di consolidare la posizione raggiunta sul mercato, anche puntando sull’ormai acquisita specializzazione nel trasporto di prodotti chimici di nicchia. Guardando però al lungo periodo, investiremo soprattutto sullo sviluppo e il potenziamento delle attività collaterali, in particolare stiamo elaborando alcuni progetti per l’apertura o la gestione di nuove stazioni di lavaggio». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 203
TURISMO
Il turismo va in rete Se l’Italia è al quinto posto della classifica dei paesi più visitati i motivi sono molteplici. Per questo il nuovo piano strategico intende fare sintesi per rilanciare un settore che potrebbe trainare l’intera economia nazionale Teresa Bellemo
I Sopra, Renzo Iorio, presidente di Federturismo
l ministro per gli Affari regionali, il turismo e lo sport Piero Gnudi ha presentato lo scorso gennaio il primo piano strategico per lo sviluppo del turismo in Italia. Il documento illustra un’approfondita analisi dei punti di vulnerabilità del settore, indicando sette linee guida e 61 azioni specifiche da concretizzare in un periodo che va tra i 3 mesi e i 5 anni. Ma, oltre al piano, perché il nostro turismo torni a crescere servono anche un
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ministero con portafoglio, un lavoro sinergico e di rete con le Regioni e campagne promozionali efficaci perché, se nel 2010 i turisti nel mondo erano 890 milioni, nel 2020 saranno 1 miliardo e 350 milioni, di cui la metà proveniente da Paesi emergenti. Renzo Iorio, presidente di Federturismo, condivide il piano e rilancia: «Dobbiamo capire che per riuscire a riconquistare quelle quote di mercato che ci stanno sfuggendo e per realizzare condi-
zioni di contesto favorevoli a una vera politica turistica nazionale è indispensabile presentarsi uniti e ampliare l’attività di dialogo con le istituzioni e con le altre organizzazioni di rappresentanza». Quali sono i punti più importanti del nuovo piano strategico per lo sviluppo del turismo? «La presentazione di questo documento rappresenta un importante segnale di attenzione del governo verso un settore chiave dell’economia
Renzo Iorio
IDENTIKIT DEL VIAGGIATORE econdo i recenti dati Istat, nel 2012 i viaggi con pernottamento effettuati in Italia e all’estero dagli italiani sono stati 78 milioni e 703mila. Rispetto all’anno precedente la riduzione è stata del 5,7 per cento. Rimangono stabili sia l’ammontare dei pernottamenti con 501 milioni e 59.000 notti, sia la durata media dei viaggi, 6,4 notti. I viaggi di vacanza registrano il calo più significativo con un calo del 5,3 per cento. Rispetto al 2011, si riduce leggermente la quota di persone che mediamente viaggiano in un trimestre, dal 23,6 per cento del 2011 al 23,2 del 2012. Ma tra i residenti è al Centro la flessione più decisa, con il -5,6 per cento. Risultano stabili anche il numero medio di viaggi procapite 1,3 e le durate medie dei viaggi di vacanza e di lavoro, rispettivamente 6,9 e 2,9 notti. Il periodo estivo mostra una sostanziale stabilità rispetto al 2011 sia nell’ammontare complessivo dei viaggi e dei turisti, sia nella durata media delle vacanze lunghe. Si conferma una minor propensione a viaggiare dei residenti nel Mezzogiorno. I viaggi con mete italiane subiscono un calo dell’8,3 per cento mentre quelli verso l’estero mostrano una sostanziale stabilità, con un aumento dei flussi diretti verso i paesi extra-europei, +31,4 per cento. Diminuiscono le vacanze in montagna, -20,7 per cento, e le visite a città o località d’arte, -18,9 per cento, mentre aumentano le vacanze al lago, campagna e collina +52,5 per cento. Risultano in flessione le vacanze lunghe in albergo, -16,9 per cento, e quelle brevi in abitazioni di proprietà, -24 per cento. Restano invariati i viaggi nelle strutture ricettive collettive e negli alloggi privati. La prenotazione diretta si conferma la modalità di organizzazione preferita dal 52,7 dei viaggiatori e l’auto resta il principale mezzo di trasporto ed è utilizzata nel 60,5 per cento dei viaggi.
S
nazionale. Il Piano è un primo passo su cui articolare interventi per riguadagnare le quote di mercato che l’industria turistica italiana ha perso negli ultimi anni. Innanzitutto c’è la necessità di un coordinamento delle politiche turistiche tra Regioni e governo centrale, semplificando la governance territoriale del turismo e per questo trovo necessario il rilancio dell’Enit che, a mio avviso, deve essere l’unico ente di promozione nazionale. È altrettanto prioritario stimolare la riqualificazione edilizia e urbanistica delle strutture ricettive, intervenire sui trasporti e sulle infrastrutture; infine, ridare centralità alla formazione professionale della scuola secondaria per creare una diffusa competenza e cultura dell’accoglienza nelle nuove genera-
zioni che si affacciano nel mondo del lavoro». L’obiettivo del piano sembra essere quello di accentrare la politica turistica per fare sistema in maniera più efficiente. Oggi che la maggior parte delle politiche turistiche sono in mano alle Regioni, c’è uno spreco di risorse? «Indubbiamente sì. Occorre innanzitutto semplificare e chiarire il quadro di governance: 13mila enti che si occupano a vario titolo di turismo sono troppi, inefficienti e inefficaci. Va quindi superata la competenza esclusiva delle Regioni, con una chiara suddivisione dei ruoli, dando competenza strategica allo Stato e snellendo la microgovernance locale. Inoltre, occorre metter mano a un sistema che disperde ri-
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TURISMO
Il nostro deficit competitivo è da imputarsi alla scarsa efficacia delle politiche di promozione
sorse mentre molte imprese e alla mancanza di coordina- l’industria turistica, modifisul territorio rischiano la chiusura. Si tratta di un impegno fondamentale che il nuovo governo dovrà assumersi». L’Italia è considerata da molti “il paese più bello del mondo”, ma è al quinto posto nella classifica dei paesi più visitati. Quali sono dunque i punti di debolezza a livello comunicativo e a livello imprenditoriale? «Nonostante la domanda turistica mondiale sia in costante aumento, con circa un miliardo di arrivi internazionali ogni anno, l’Italia cattura quote sempre minori di flussi turistici. È evidente che una parte rilevante di tale deficit competitivo è da imputarsi alla scarsa efficacia delle politiche di promozione e di quelle di attrazione del Paese
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mento tra le iniziative degli enti e degli operatori turistici. Dobbiamo, tra l’altro, risolvere al più presto la scarsa percezione del prodotto-destinazione, il vero male che attanaglia il turismo italiano. Per farlo, potrebbe risultare utile segmentare i mercati, innovare la metodologia del linguaggio online, rafforzare il brand e impostare una comunicazione più coerente ed integrata». Le nuove tecnologie hanno in qualche modo rivoluzionato il turismo. Come continuare a proporre qualità in una realtà iper-concorrenziale? Come usarle per aumentare il turismo in Italia, magari dai Paesi emergenti? «Negli ultimi anni le nuove tecnologie hanno trasformato
cando i comportamenti dei consumatori e innovando la catena del valore del settore; hanno cambiato l’interazione tra domanda e offerta dei servizi turistici, imponendo anche ai grandi operatori una revisione delle politiche dei prezzi. La chiave di volta per rilanciare l’industria turistica italiana è dunque razionalizzare l’informazione, farla viaggiare nelle giuste direzioni, sfruttando le potenzialità del web e puntando allo sviluppo di un turismo interattivo. Per competere sui mercati internazionali, gli operatori italiani devono compiere un salto tecnologico, dotandosi di infrastrutture e competenze, per poter offrire prodotti e servizi secondo le modalità richieste dal mercato».
TURISMO
Una nuova politica dell’ospitalità Le attività del settore hanno bisogno di forti cambiamenti e di una concreta spinta verso la modernità. È questa la strada per riuscire ad attrarre nuove forme di turismo e vettori da nuovi paesi. Per non perdere competitività Teresa Bellemo
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A destra, il presidente di Federalberghi Emilia Romagna, Alessandro Giorgetti
l turismo può diventare uno degli asset più importanti del nostro Paese, che da secoli è amato da visitatori di tutto il mondo. Uno dei punti del nuovo piano nazionale del turismo per l’Italia prevede per questo la riqualificazione delle strutture ricettive, un punto fondamentale soprattutto nell’ottica di accogliere turisti da tutti quei paesi che oggi hanno un’interessante economia emergente. Oltre al consolidamento del settore, la competizione turistica si fa anche nel territorio ed è qui che si devono affrontare le difficoltà maggiori a causa della forte disparità infrastrutturale tra le varie aree del Paese. Quest’ultimo, non a caso, è un altro degli intenti del piano nazionale ma, secondo il presidente di Federalberghi Emilia Romagna Alessandro Giorgetti, il comparto ha bisogno di un deciso intervento su più aspetti. La
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concorrenza dei mercati internazionali vede l’Italia svantaggiata per i costi dell’energia, del lavoro, dei trasporti che si rivelano un gap incolmabile per le attività. «Per questo abbiamo proposto distretti a burocrazia zero per attivare normative che agevolino la riqualificazione delle imprese nelle zone ad alta densità ricettiva». L’obiettivo è dunque ottenere autorizzazioni più rapide e un piano urbanistico che superi i limiti della legislazione ferma al decreto ministeriale 1444 del 1968. «Dal punto di vista finanziario invece servono politiche di credito di imposta e la costituzione di un fondo specifico per l’attivazione di mutui almeno trentennali. Per le imprese che non sono più in condizioni di rimanere sul mercato potrebbero essere necessari facilitazioni in uscita e per l’accorpamento». Le normative italiane inquadrano in maniera molto
diversa alberghi, agriturismi e bed&breakfast. Quanto queste differenze oggi sono reali e quali sono le difficoltà per gli hotel a rimanere competitivi? «Anche la legislazione dell’Emilia Romagna ha inquadrato in maniera differente gli agriturismi e i b&b, che sono esercitati in forma non imprenditoriale rispetto agli alberghi, e infatti sono modalità di soggiorno molto diverse fra loro. L’importante è che le regole che gli albergatori devono rispettare in materia di lavoro, fisco, sicurezza, igiene e sanità siano rispettate anche da queste altre forme di ricettività. Non possono esserci regole diverse che, in mancanza di adeguati controlli, danno luogo a fenomeni di concorrenza sleale». In questo periodo Air b&b, un social network che rende i privati ospiti a loro volta, sta avendo enorme successo. Quanto il web ha modificato il modo di fare acco-
Alessandro Giorgetti
glienza da parte degli hotel? «Questa modalità non è in contrasto con l’offerta alberghiera, sono solo modi diversi di trascorrere le vacanze. Personalmente non lo considero un modo di fare turismo, ma piuttosto un modo che segue la logica della visita ai parenti. È comunque vero che le imprese turistiche hanno l’obiettivo di ampliare la gamma dei beni e servizi da offrire alla clientela: il nostro è un cliente moderno, informato, consapevole ed esigente; si aspetta di ricevere una pluralità di servizi. Per questo le strutture alberghiere dovrebbero poter vendere prodotti e servizi complementari. Creatività, passione e tecnologia sono alcune delle parole chiave che consentono di scegliere tra migliaia di proposte diverse, capaci di soddisfare tutte le esigenze e tutte le tasche». In Italia il numero di grandi catene alberghiere nazionali è basso. Quando, se-
Ora le imprese turistiche hanno l’obiettivo di ampliare la gamma dei beni e servizi
condo lei, è iniziato questo scollamento rispetto ad altri paesi che, invece, hanno investito su questa via, approfittando dei suoi vantaggi? La grandezza delle imprese turistiche può anche rivelarsi una componente negativa? «Non sono in grado di valutare se il numero delle catene alberghiere italiane è sufficiente per il mercato italiano e non credo che possa essere considerata una negatività né un fattore vincente la loro dimensione. Sicuramente la loro espansione non è stata agevolata né dal lato
fiscale né da incentivazioni concrete. Esistono però delle strutture alberghiere che fanno riferimento allo stesso gruppo proprietario. Ritengo che dare un servizio di buona qualità standardizzato a un numero elevato di clienti crei meccanismi di controllo e dei costi aggiuntivi che possono anche diminuire il valore aggiunto dato dalla dimensione. È indubbio che per competere sul mercato internazionale del turismo, avere una dimensione di 5060 camere dà l’opportunità di intercettare la domanda organizzata, ma assicurando continuità di occupazione, anche i piccoli alberghi possono operare con successo sul mercato, grazie a internet».
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CORSIE D’ECCELLENZA
Un approccio palliativo per i malati «L’offerta di cure palliative oncologiche dell’Ausl di Bologna si preoccupa di rendere effettiva la centralità dei pazienti nei percorsi di cura e assistenza». Francesco Ripa Di Meana illustra i benefici di queste terapie sulla qualità della vita Nicolò Mulas Marcello
N A destra, Francesco Ripa Di Meana, direttore generale Ausl Bologna
el mondo occidentale le patologie oncologiche costituiscono, insieme a quelle cardiovascolari, una delle principali cause di decessi, arrivando a costituire il 70 per cento della mortalità complessiva. Alla presenza di sintomi somatici si associano bisogni psicologici, sociali e spirituali che devono essere affrontati con un approccio palliativo per raggiungere la migliore qualità di vita per il malato e la famiglia. «Più la presa in carico del malato è tempestiva, globale e coordinata – spiega Francesco Ripa Di Meana, direttore generale dell’Ausl di Bologna – migliori sono i risultati e migliore, ragionevolmente, la qualità della vita». Com’è strutturata l’offerta di cure palliative della Azienda Usl di Bologna? «L’offerta di cure palliative è ampia. Nel nostro territorio sono presenti, accanto alle oncologie (in rete con quelle dell’Azienda ospedaliero-universitaria e dell’Istituto ortopedico Rizzoli) e all’assistenza domiciliare integrata gestita dai medici di medicina generale, iniziative rilevanti con importanti soggetti del terzo settore, come l’Ant e la Fondazione “Hospice Maria Teresa Chiantore Seragnoli” nel ruolo di protagonisti. Altri soggetti di questo mondo che collaborano con noi sono l’Associazione Nelson Frigatti, che lavora con i medici di medicina generale nelle attività di assistenza domiciliare e l’Associazione italiana leucemie, che assiste al domicilio i pa-
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zienti con malattie ematologiche. Un’offerta integrata che si preoccupa di rendere effettiva la centralità dei pazienti nei percorsi di cura e assistenza, garantisce una presa in carico completa, si preoccupa della qualità della vita e utilizza le competenze multidisciplinari di medici palliativisti, medici di famiglia, oncologi, terapisti del dolore, psicologi, infermieri, fisioterapisti, assistenti sociali, operatori socio-sanitari». Quanti assistiti seguite? «Nel 2011 sono state 738 le persone ricoverate in hospice, una o più volte, 2.289 quelle seguite in assistenza domiciliare, 289 delle quali sia al domicilio che in hospice, per un totale di 2.738. Nel 2012 questo numero è cresciuto ancora, con 865 persone ricoverate in hospice e 2.299 seguite in assistenza domiciliare, 332 di queste assistite in entrambi i setting assistenziali, per un totale di 2.832». Come è cambiata la qualità della vita delle persone malate di cancro? «Per una persona colpita da tumore la qualità della vita è legata, per quanto ci riguarda più da vicino, alla qualità della assistenza che siamo in gradi di assicurarle. Più la presa in carico è tempestiva, globale e coordinata, migliori sono i risultati e migliore, ragionevolmente, la qualità della vita. L’innovazione più significativa è rappresentata oggi dall’avvio dei Percorsi diagnostico terapeutico assistenziali (Pdta) per le
Francesco Ripa Di Meana
L'OFFERTA A BOLOGNA LE CURE PALLIATIVE Le cure palliative sono definite dall’Organizzazione mondiale della sanità come “la presa in carico globale (care) attiva di quei malati la cui malattia di base non risponde più ai trattamenti specifici curativi (cure). Fondamentale è il controllo del dolore e degli altri sintomi, e la capacità di affrontare i problemi psicologici, sociali e spirituali. Obiettivo delle cure palliative è il raggiungimento della migliore qualità di vita possibile per i malati e per le loro famiglie. Molti aspetti dell’approccio palliativo sono applicabili anche più precocemente nel corso della malattia”. Le cure non accelerano né ritardano la morte, provvedono al sollievo dal dolore e dagli altri disturbi, integrano gli aspetti psicologici e spirituali dell’assistenza, aiutano i pazienti a vivere in maniera attiva, sostengono i familiari. Le cure palliative mettono al centro, quindi, il benessere e la qualità della vita della persona e della sua rete di relazioni.
patologie oncologiche, che assicurano la migliore sequenza temporale e spaziale delle attività di cura ed assistenza per un paziente oncologico. I percorsi per le patologie oncologiche prevedono la presa in carico precoce e completa del malato e della famiglia, anche da parte dei palliativisti, con garanzie di attivazione tempestiva di tutti i nodi della rete in caso di cambiamenti clinici rapidi o improvvisi. A tutt’oggi sono stati avviati il percorso per il tumore della mammella, del polmone, del colon e per il tumore cerebrale, con un ruolo essenziale per le cure palliative, proprio in relazione alla cura di tutti gli aspetti collegati alla qualità della vita, anche quando la malattia diventa inguaribile».
GLI HOSPICE Nel territorio dell’Azienda Usl di Bologna sono in funzione tre hospice. L’Hospice di Bentivoglio, della Fondazione Hospice MTC Seràgnoli, è una struttura privata accreditata con 30 posti letto, attiva dal 2002, con la quale l’Ausl bolognese ha un contratto di fornitura. Il secondo hospice è collocato presso l’ospedale Bellaria, dotato di 13 posti letto, è stato attivato nel 2007 ed è gestito in convenzione dalla stessa Fondazione Hospice MTC Seràgnoli. La rete si è completata nel 2012 con l’attivazione dei 15 posti letto presso l’hospice territoriale del distretto di Casalecchio, anch’esso gestito dalla Fondazione Hospice MTC Seràgnoli. Già dal 2002 l’offerta, in termini di posti letto per abitante, era superiore a quella regionale (0,37 per 10mila abitanti, rispetto allo 0,25 su scala regionale). Nel 2007, con l’attivazione del secondo hospice, l’offerta è passata a 0,50 posti letto ogni 10mila abitanti, superando la media nazionale (0,31). Con l’attivazione nel 2012 dell’hospice di Casalecchio si è arrivati a 0,67 posti letto ogni 10mila abitanti. I REPARTI DI ONCOLOGIA I posti letto nelle oncologie garantiscono un’offerta di 0,14 per mille abitanti, superiore a quella regionale, anche in considerazione della presenza di alcuni centri di riferimento per l’intera regione. È il risultato di azioni che il sistema sanitario bolognese ha messo in atto per il perseguimento di un equilibrio tra concentrazione (trattamenti a maggior grado di complessità o di supporto tecnologico ad alto costo) e distribuzione dei servizi presso le strutture di prossimità (servizi a minor complessità e impatto tecnologico), che hanno portato a una rete che oggi conta 122 posti letto per pazienti oncologici, 52 dei quali (20 in regime ordinario e 32 in day hospital) nei nove ospedali dell’Azienda Usl di Bologna, 58 (25 ordinari e 33 in day hospital) nell’Azienda ospedaliero-universitaria Policlinico S. Orsola Malpighi e 12 (tutti ordinari) nell’Istituto ortopedico Rizzoli.
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CORSIE D’ECCELLENZA
Cure palliative e impegno sociale Un personale altamente qualificato per un’assistenza di fondamentale importanza. Gli hospice per malati inguaribili sono una realtà consolidata per il territorio bolognese. Isabella Seragnoli racconta come si sposano impegno etico e professionalità Nicolò Mulas Marcello
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el 2012 la Fondazione Hospice ha celebrato il decennale dell’apertura della struttura di Bentivoglio che ha segnato un traguardo importante sia per l’attività svolta dall’ente nell’ambito delle cure palliative sia per l’evoluzione che questa cultura ha avuto negli ultimi dieci anni in Italia. «Quando l’Hospice Benivoglio ha visto la luce – spiega Isabella Seragnoli, presidente della Fondazione Hospice – ne esistevano solo altri cinque in Italia, oggi sono 190 le strutture mirate alla cura dei malati inguaribili». L’hospice di Bentivoglio è stato creato nel 2001 per fornire assistenza gratuita ai malati oncologici terminali. È possibile fare un bilancio delle attività di questo polo? «L’Hospice Bentivoglio, accreditato con il servizio sanitario nazionale, è stato sin dalla sua creazione all’avanguardia: il primo in Ita-
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lia a essere costruito appositamente per l’accoglienza gratuita dei pazienti in fase avanzata e progressiva, progettando l’edificio in base alle necessità di cura cui era destinato. Un’équipe multidisciplinare di altissima qualità è stata determinante per caratterizzare la struttura come un luogo di eccellenza nel panorama italiano, soprattutto in un momento in cui anche a livello istituzionale non vi era alcun riferimento in materia di cure palliative. Solo nel 2010 con la legge 38 è stato definitivamente riconosciuto a livello legislativo il ruolo indispensabile delle cure palliative per garantire la dignità della persona nella fase avanzata della malattia. Oggi le nostre strutture sono tre, l’Hospice di Bentivoglio, il reparto Hospice dell’ospedale Bellaria e una residenza per anziani a Casalecchio di Reno. Esse coprono il fabbisogno dell’intera provincia di Bologna con 58 po-
Isabella Seragnoli
Isabella Seragnoli, presidente della Fondazione Hospice Seragnoli. Sotto, il Campus Seragnoli a Bentivoglio (BO)
sti letto, una media di 0,67 posti letto ogni 10mila abitanti, a fronte di una media regionale di 0,61 e nazionale di 0,31». Per offrire assistenza ai malati terminali occorre un alto grado di professionalità. In che modo è attiva la Fondazione Seragnoli per quanto riguarda la formazione e la ricerca? «Lavorare con i malati inguaribili richiede un impegno etico e spirituale che non ha eguali, associato a un’altissima professionalità. Queste sono le caratteristiche che contraddistinguono le equipe che operano nei nostri hospice, a cui va la mia gratitudine. Per stimolare un costante miglioramento nell’assistenza e per un aggiornamento continuo delle pratiche cliniche, la Fondazione Hospice nel 2006 è stata tra i fondatori dell’Accademia delle scienze di medicina palliativa assieme alla Fondazione Isabella Seragnoli e alla Fondazione Carisbo. Questo ha permesso da un lato lo sviluppo di percorsi di istruzione universitaria, con il master in Medicina palliativa in collaborazione con l’Università di Bologna, dall’altro la possibilità di formare in modo continuativo gli operatori che già lavorano in hospice, affinché siano sempre pronti a rispondere alle sfide dei tempi. Dal 2007 al 2011, circa 1.800 discenti hanno partecipato ai programmi formativi dell’accademia e grazie ad aziende, fondazioni ed enti, parte di un network di solidarietà, sono state rese disponibili borse di studio. L’accademia si trova a Bentivoglio
e forma, insieme all’hospice e alle residenze che ospitano i partecipanti ai programmi di ricerca e formazione nazionali e internazionali, il primo campus in Europa interamente dedicato alla medicina palliativa che unisce assistenza, formazione, ricerca e accoglienza». Quali novità per il futuro? «Dobbiamo continuare a lavorare per un maggior riconoscimento della sussidiarietà tra pubblico e privato e creare opportunità perché anche le realtà non profit riescano a raggiungere una sostenibilità economica. Nell’ambito delle cure palliative è importante raggiungere una maggiore efficienza della rete assistenziale in collaborazione con l’Ausl, integrando sempre di più gli hospice con tutti i servizi sanitari, i professionisti coinvolti e in particolare con il sistema delle cure domiciliari. La fondazione inoltre, sempre in questo ambito, sta collaborando con le istituzioni per lo sviluppo, fra gli altri, di importanti progetti che fanno fronte a bisogni della Comunità a livello locale e regionale. In particolare, mi riferisco al progetto di realizzazione di un hospice pediatrico di riferimento regionale privato non profit accreditato dal sistema sanitario nazionale. La struttura rientra nel piano di realizzazione di una specifica rete di servizi per garantire al bambino e alla sua famiglia il diritto di accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, recentemente deliberato dalla Regione, in linea con l’accordo Stato-Regioni». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 217
TRA PARENTESI Massimiliano Dona, segretario generale dell’Unione nazionale consumatori
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UN POTENTE STRUMENTO PER I CONSUMATORI 220 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2013
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a tempo anche in Italia si parla di class action, un istituto giuridico di matrice americana che aiuta i consumatori ad attivare un’azione collettiva per chiedere il risarcimento di un danno plurimo. Meno di un mese fa nel nostro Paese è stata vinta la prima. Già in passato il Codacons aveva vinto una class action contro la pubblica amministrazione ma si trattava di una azione di classe spuria, cioè quel tipo di procedimento contro la Pa che non comporta però il risarcimento di un danno. Quella vinta recentemente invece è una class action contro un privato, un tour operator. «La sentenza del Tribunale di Napoli – spiega Massimiliano Dona, segretario generale dell’Unione nazionale consumatori – ha riconosciuto il risarcimento del danno a un gruppo di turisti che avevano subìto un pregiudizio da vacanza rovinata durante un soggiorno a Zanzibar». Possiamo trarre un bilancio dei risultati ottenuti grazie a questo
strumento per quanto riguarda i diritti dei consumatori? «Nonostante questa buona notizia, il bilancio rimane purtroppo negativo perché lo strumento che è nell’articolo 140 bis del Codice del consumo, ha subìto una lunghissima gestazione e la sua entrata in vigore è stata rimandata due volte allo scopo di edulcorare la normativa. Oggi possiamo dire che in Italia c’è la class action, ma non funziona come dovrebbe. La differenza rispetto a quella americana è fondamentalmente questa: in Italia per quanto riguarda il meccanismo delle adesioni, il consumatore che vuole ottenere il risarcimento del danno deve dichiarare di voler partecipare al procedimento. Negli Stati Uniti, invece, funziona all’inverso, sono automaticamente tutti compresi nella class action, tranne chi decide di non partecipare. Questo sistema si chiama opt out, mentre il nostro sistema si chiama opt in. Il problema fondamentale è che
l’azione di classe funziona se ci sono i numeri giusti». Attualmente sono in atto class action importanti a livello nazionale? «Ce ne sono alcune pendenti, ma i tempi e le sorti di questi giudizi dimostrano come questo strumento non funzioni a dovere. Anche altre associazioni oltre alla nostra hanno iniziato class action, una ad esempio nei confronti delle banche, ma sono finite senza risultati. Altroconsumo ne aveva iniziata una contro il canone Rai ma è stata respinta in primo grado». Qual è l’attività dell’Unione nazionale consumatori per la tutela dei diritti collettivi dei cittadini? «Guardando all’azione di classe, monitoriamo le scorrettezze del mercato. Quindi il danno plurimo o seriale che giustifica poi l’attivazione di un’azione collettiva deriva proprio da tutti gli inganni che genera il mass market. Per quanto riguarda le nostre principali aree di intervento possiamo annoverare la telefonia, il settore energetico e il
variegato mondo di internet, che va dalle classiche “catene di Sant’Antonio” via email fino al commercio elettronico. Infine, ci occupiamo anche dei prodotti difettosi o di casi in cui il consumatore acquista un prodotto che non corrisponde alle aspettative. Ne sono un esempio i recenti casi di carne di cavallo in prodotti nel cui contenuto è specificato un altro tipo di carne». Come può un cittadino aderire a una class action e come può informarsi su quelle in atto? «Purtroppo anche sotto questo aspetto si denota una scarsa informazione e consapevolezza dei cittadini. Le class action americane vivono proprio su questo aspetto. In Italia, da un lato, c’è un problema di
scarsa cultura verso questi strumenti, dall’altro, i nostri strumenti non sono tali da riuscire a coinvolgere ampie fasce della popolazione. Nessuna delle associazioni italiane in questo settore ha le risorse necessarie per informare, ad esempio sui giornali, delle class action in atto. Ci siamo attrezzati però inaugurando un sito tematico che ha riscosso un buon successo, si chiama www.classaction.it, dove sono raccontate le azioni in essere e vengono dati aggiornamenti per quelle che stiamo svolgendo. Le class action funzioneranno meglio quando i cittadini saranno più padroni delle loro scelte consapevoli e quando le associazioni saranno più brave a comunicare i procedimenti in corso». EMILIA-ROMAGNA 2013 • DOSSIER • 221