Dossier Emilia Romagna 05 2010

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OSSIER

EMILIA ROMAGNA EDITORIALE

13

Raffaele Costa

L’INTERVENTO

15

Cosimo D’Arrigo Paolo Piccoli

ECONOMIA E FINANZA IN COPERTINA Emma Marcegaglia

18

L’ANALISI Anna Maria Artoni

24

FOCUS ECONOMIA Luigi Cremonini Elisa Astori Federica Guidi Corrado Storchi Marilena Ferrari Vetrerie Bormioli Nerio Alessandri

28

COMMERCIO Enrico Postacchini Nerio Nanni Carlo Sangalli

54

CONFINDUSTRIA Maurizio Marchesini Sergio Giglio Giovanni Torri Pietro Ferrari

65

PET ECONOMY Paolo Bacchilega Giovanni Semprini

76

TURISMO Andrea Babbi Alessandro Giorgetti Nicola Castaldi Zelio Dario Rondina

84

CONSULENZA DEL LAVORO Stefano Ronchini

90

FINANCIAL PLANNING Basta con la parcellizzazione

96

IL TRUST

98

SISTEMI DI GESTIONE

100

I GIOVANI IMPRENDITORI

102

L’ECONOMIA MODENESE Risolvere le criticità

104

L’ECONOMIA BOLOGNESE Gli ammortizzatori

106

COMUNICAZIONE UNICA

108

IL RUOLO DEL COMMERCIALISTA 110 Prevenire la crisi 10 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

NUOVE TECNOLOGIE Il digitale terrestre

114

IMPRESA E TECNOLOGIA Applicativi gestionali

116

MARCHI E BREVETTI Difesa tecnica e legale

118

FARE IMPRESA Lavorazione lamiera Nuovi Mercati

120


Sommario GIUSTIZIA

POLITICA LA CORSA DEL CARROCCIO Angelo Alessandri Giuliano Cazzola Roberto Tunioli Gianfranco Pasquino

126

RILANCIARE BOLOGNA Fabio Roversi Monaco

134

LISTA CIVICA Pietro Vignali

138

ISTRUZIONE Mariastella Gelmini

142

ESTERI Franco Frattini

144

BENI CULTURALI Sandro Bondi

148

SOLIDARIETÀ Patrizia Ravaioli Maria Teresa Letta

152

RIFORME Angelino Alfano

158

RISARCIRE IL DANNO Nicola Mazzacuva Carlo Federico Grosso

162

PROFESSIONE FORENSE Maurizio De Tilla

170

PROCESSO TELEMATICO Alessandro Verona

174

MISSIONI ALL’ESTERO Ignazio La Russa

178

GIUSTIZIA MILITARE

182

LOTTA ALLA DROGA Il ruolo degli infiltrati

184

I DIRITTI DEGLI IMMIGRATI

186

BENI IMMOBILI E INDUSTRIALI

222

LA CONCILIAZIONE Prospettive

188

INGEGNERIA E SOSTENIBILITÀ

224

DIRIMERE LE CONTROVERSIE

190

OSPEDALI SICURI Stefano Cencetti

228

PROPRIETÀ FONDIARIE

192 194

OBESITÀ Giorgio Calabrese Enrico Roda

232

LOCAZIONI NOTARIATO

196 CHIRURGIA REFRATTIVA

240

CHIRURGIA PLASTICA

242

ODONTOIATRIA

244

PROGETTAZIONE SOSTENIBILE 220

SANITÀ

TERRITORIO INFRASTRUTTURE Altero Matteoli Alessandro Ricci Johann Marzani

198

ENERGIA E AMBIENTE

CULTURA VOLANO DI SVILUPPO 212 Irene Pivetti

POLITICHE AMBIENTALI Stefania Prestigiacomo

DIMORE STORICHE Il rispetto per l’arte

INQUINAMENTO ATMOSFERICO 250 Gli effetti sul pianeta

RISTRUTTURAZIONE E RESTAURO

216

218

COSTRUZIONI E IMPATTO AMBIENTALE

246

253

EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 11


IN COPERTINA

IL VALORE DELL’IMPRESA Prima donna a varcare le porte di viale dell’Astronomia nel 1996 da presidente dei giovani di Confindustria, Emma Marcegaglia ha saputo conquistarsi la fiducia e il rispetto dei capitani d’impresa fino a meritarsi la poltrona di presidente degli industriali nel 2008. Grinta e senso del dovere sono i tratti distintivi con cui ieri affrontava le sfide dell’azienda di famiglia e oggi quelle delle imprese italiane di Giancarlo Mazzuca

È

la classica donna d’oggi con grande piglio manageriale che non ha però intaccato l’originaria vena di dolcezza che certo non guasta: quando Emma Marcegaglia, oggi a metà del suo mandato, divenne due anni fa, prima donna nella storia, presidente di Confindustria (con un voto plebiscitario e dopo il mitico Luca di Montezemolo), l’ho

subito ribattezzata Emma la dolce. Donna d’acciaio ma, appunto, di quello dolce. E oggi la “first lady” dell’impresa italiana, gestisce viale dell’Astronomia con la stessa grinta e la medesima determinazione dimostrate prima negli studi (laurea alla Bocconi di Milano in Economia aziendale con 110 e lode dopo aver seguito anche un corso in Business administration


Emma Marcegaglia

alla New York University) e poi alla guida del gruppo di famiglia assieme al padre Steno, alla madre Palmira e al fratello Antonio. Il suo modello di vita è sempre stato papà Steno che, dal nulla, è riuscito a creare un impero. «Mio padre», mi disse una giovanissima Emma quando, diversi anni fa, l’intervistai per il libro Eredi che scrissi con Paolo Mazzanti sui

rampolli d’oro del made in Italy, «può essere considerato il modello del vero imprenditore calvinista, tutto casa e lavoro». E, in effetti, la storia di Marcegaglia senior è significativa: figlio di un falegname veronese che, per mantenere la famiglia fu costretto a emigrare in Somalia durante la guerra, diventò prima il difensore degli oppressi, mettendosi dalla parte dei conta-

dini nelle cause di lavoro contro i proprietari terrieri della Bassa mantovana, e poi si trasformò in un “sciur Brambilla” rilevando una piccolissima azienda di tapparelle sull’orlo del fallimento assieme a un socio, un certo signor Garaffini: dalle tapparelle ai tubi, il cammino è stato incredibilmente breve. È stato insomma il vero “self made man” dopo avere co- EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 19


IN COPERTINA

Sopra, Emma Marcegaglia con il premier Silvio Berlusconi; sotto, insieme a Luca Cordero di Montezemolo; nella pagina a fianco, il presidente di Confindustria con Sergio Marchionne

minciato con un diploma da geometra mentre la moglie faticava in una trattoria di Gazoldo degli Ippoliti, il paesino del Mantovano che diventerà la culla dell’impero siderurgico di famiglia. Emma la dolce non è, dunque, nata nella bambagia, anzi: sa bene cosa significa faticare e, nella sua vita, ha attraversato anche un momento particolarmente drammatico. Accadde nel 1982: Steno fu rapito a Napoli, la città dove aveva appena avviato uno stabilimento. Si scoprì poi che i rapitori erano suoi operai. Ecco il diario di quella vicenda nel racconto della figlia: «Avevo 17 anni e frequentavo ancora il liceo: quel rapimento mi ha fatto diventare improvvisamente adulta. È stato un terribile choc, ricordo ancora mia madre distrutta dal dolore, le banche e gli amici che improvvisamente, salvo qualche eccezione, ci voltarono le spalle. Sono stati cinquanta giorni di paura, ma noi non abbiamo mai abbandonato 20 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

la speranza di ritrovare vivo papà che, in effetti, riuscì a fuggire miracolosamente dalla sua prigione in Aspromonte. Quella brutta storia è anche stata, per me e Antonio, la nostra gavetta, la nostra tremenda prova sul campo». Bastano queste parole di Emma per togliere i dubbi residui a coloro che sottovalutano ancora la sua grinta, il suo carattere deciso mimetizzato

da quello sguardo tenero. Del resto, per comprendere la determinazione manageriale del futuro presidente in gonnella della Confindustria, basta raccontare i suoi giochi da bambina: «Attorno ai cinque anni, giocavo con mio fratello all’ufficio: con bambole e orsacchiotti facevamo finta di fare gli industriali che vendevano grosse partite di coils». Emma, in-


Emma Marcegaglia

DA PARMA L’OBIETTIVO DEL 2 PER CENTO

E

rano oltre 6mila gli imprenditori presenti al convegno biennale di Confindustria tenutosi a Parma il 9 e il 10 Aprile 2010. Un’occasione in cui gli industriali, capitanati da Emma Marcegaglia, hanno voluto ribadire l’importanza di puntare alle riforme. Cambiamenti che dovranno far fronte a un quadro preoccupante per il sistema Italia. Ad emergere, dai dati esposti durante il convegno, è un’allarmante previsione relativa al Pil procapite per il 2014, che potrebbe raggiungere quota 10% rispetto a quello europeo. Italiani sempre più poveri, quindi, secondo le stime di Confindustria. Ma sbaglia chi crede che tale perdita sia un puro effetto della re-

somma, non perde tempo e dopo la laurea si rimbocca subito le maniche: «Mio padre aveva appena acquistato dal Credito Svizzero il centro turistico di Albarella che io conoscevo bene perché nella cittadina balneare veneta trascorrevo le mie vacanze estive da bambina. Papà mi affidò il compito di gestire il centro e mi resi subito conto che le cose non andavano per il verso

cente crisi economica. Il distacco dalle altre nazioni è iniziato nei primi anni novanta, secondo le rivelazioni del Fondo Monetario Internazionale. Non bisogna, però, osservare il bicchiere mezzo vuoto. Ricordiamoci che la nostra resta pur sempre una delle prime dieci economie al mondo e rappresenta uno degli sviluppi più rapidi e sorprendenti nella storia dell’occidente contemporaneo. Secondo la Marcegaglia il nostro Paese deve porsi la mission di far crescere il proprio prodotto interno lordo con un tasso pari ad almeno il 2% annuo. Intanto, nel primo trimestre del 2010, siamo cresciuti dello 0,5%. «L’obiettivo è lavorare per cambiare la logica di uno stato che carica costi

giusto: i funzionari di Albarella, che mi chiamavano “la bambina”, dovettero presto cambiare idea sul mio conto». “La bambina” sapeva il fatto suo e mise tutti in riga. Cosa che ha poi ripetuto quando, più tardi, divenne numero uno dei giovani della Confindustria e quando, nel 2008, puntò con successo al gradino più alto del palazzo dell’Eur

e inefficienze su imprese e cittadini. In altre parole colpire le spese inutili e i costi della politica» ha dichiarato dal palco della convention. Soprattutto, gli industriali, oltre a un alleggerimento del carico fiscale, chiedono investimenti in ricerca, innovazione e infrastrutture pari a 2,5 miliardi di euro. È intervenuto al convegno anche il presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet. «La ripresa in Europa è probabilmente incerta, e diseguale nelle diverse regioni, paesi e settori economici dell’Ue». E non ha avuto tutti i torti, visto che di lì a breve avrebbe affrontato alcune delle giornate più difficili vissute dall’economia del vecchio continente.

raccogliendo la pesante eredità del patron della Fiat e della Ferrari. Sempre di slancio e con entusiasmo, nonostante la crisi economica che ha costretto molte aziende italiane a ridimensionarsi (o chiudere) e a dispetto dei tantissimi operai costretti a restare senza lavoro. Pur avendo un buon rapporto con il governo Berlusconi (e, negli ultimi tempi, anche con un occhio ammiccante agli interessi bancari e non della Lega di Bossi), la Marcegaglia ha sempre rivendicato il suo ruolo indicando puntualmente le priorità di quel partito che predilige: l’Impresa SpA. Contenuta e “soft” nei toni ma molto determinata nella sostanza, l’ex “bambina”, in questi 24 mesi, ha così messo in riga tutti i politici continuando a chiedere provvedimenti a favore di quel mondo industriale che finalmente comincia ora a intravedere la luce in fondo al tunnel della recessione internazionale più grave dal 1929 EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 21


IN COPERTINA

Emma Marcegaglia tra il padre Steno, fondatore e presidente del Gruppo Marcegaglia, e il fratello Antonio, che riveste come lei il ruolo di amministratore delegato del gruppo che ha il suo quartier generale a Gazoldo degli Ippoliti, in provincia di Mantova

a oggi. Senza incertezze o dubbi e un ingegnere ferrarese deciso a ri-

All’inizio ho scontato, certe volte, di non essere presa troppo sul serio, ho scontato il fatto di essere femmina

22 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

soprattutto senza timori reverenziali nei confronti del Palazzo. Un impegno estenuante che ha affrontato senza tanti problemi. Neppure essere donna l’ha condizionata più di tanto. Mi disse: «Quando parlo di lavoro non ho bisogno di mettermi una maschera, sono molto caparbia. All’inizio ho scontato, certe volte, di non essere presa troppo sul serio, ho scontato il fatto di essere femmina. Ma papà mi ha sempre messo nelle stesse condizioni di mio fratello e così non mi sono mai fatta vincere dallo sconforto». Un impegno a 360 gradi, quello di Emma, che non le ha impedito di mettere su famiglia sposandosi con

manere nell’ombra perché mal gli si addice il ruolo di “principe consorte”. In che modo sia in grado di conciliare i tanti impegni è un mistero, ma fino a un certo punto. Basta rileggere quanto mi confessò tanti anni fa: «Per certi versi, essere donna facilita il lavoro di imprenditore perché i rapporti sono più naturali, al di là del “sex appeal” che ha certamente un peso. Soprattutto in Italia, dove la mentalità è ancora arretrata in questo campo, la donna deve avere un forte senso di identità e di autocoscienza delle proprie potenzialità nel gestire un’azienda». È proprio vero: per Emma Marcegaglia nulla è davvero legato al caso...



L’ANALISI

P

er la prima volta dopo diciotto mesi di previsioni negative prevalgono le aspettative di miglioramento, anche se il quadro complessivo rimane incerto e difficile». A marzo, infatti, ci sono stati i primi segnali di inversione di tendenza nelle dinamiche della produzione e anche l’indice di fiducia delle famiglie e delle imprese è in crescita, «ma tutto si è verificato a macchia di leopardo e non ha ancora prodotto risultati concreti e solidi sull’economia regionale». È un quadro lucido quello descritto da Anna Maria Artoni, che lascia intravedere i primi spiragli positivi per l’economia dell’Emilia Romagna, senza dimenticare le situazioni di criticità che permangono. E in questo quadro emerge un’altrettanto lucida previsione, «saranno le grandi e le medie imprese, votate all’export e internazionalizzate, a trainare la ripresa, ma i tempi di uscita dal tunnel sono ancora lunghi». In quali settori si aspetta un primo recupero? «Gli effetti della crisi mondiale hanno colpito i comparti manifatturieri più diffusi in Emilia Romagna, in particolare quelli più vocati alle esportazioni come il meccanico e il ceramico, e si sono poi estesi a settori meno aperti all’estero come l’edilizia e i servizi. Oggi la ripresa è avvertita con maggiore intensità nel settore chimico, farmaceutico e della carta. Anche la meccanica strumentale mostra primi segnali di recupero e tiene il comparto alimentare, che comunque era stato tra quelli meno toccati dalla crisi». Il rallentamento della domanda ha toccato le imprese di ogni dimensione. Chi saranno le prime a tirare un sospiro di sollievo? «Le imprese di piccole dimensioni hanno risentito fortemente anche sul fronte della liquidità, sia per quanto riguarda i pagamenti, 24 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

La ripresa parte in grande Per l’economia ci sono segnali positivi. Non solo nel settore chimico e farmaceutico, ma anche nel meccanico. E il futuro si gioca sulla green economy, sui servizi avanzati e sul turismo. L’analisi e gli obiettivi di Anna Maria Artoni Lara Mariani

Anna Maria Artoni presidente di Confindustria Emilia Romagna


Anna Maria Artoni

577 IMPRESE

Il numero delle imprese a partecipazione estera presenti in Emilia Romagna

sia per il rapporto non sempre facile con le banche. In questa difficile situazione le aziende hanno cercato di salvaguardare l'occupazione con tutti gli strumenti a disposizione, ma contemporaneamente hanno continuato a lavorare sulla qualità dei prodotti, delle reti di distribuzione, del servizio alla clientela, spingendo sull’acceleratore dell’export. E sono proprio i mercati esteri quelli che oggi offrono le maggiori chance di ripresa: saranno le grandi e le medie imprese, con una consolidata esperienza nell’esportazione, che traineranno la ripresa». E invece le piccole imprese sono pronte per andare all’estero? «Anche le imprese di minori dimensioni stanno sempre più guardando ai mercati

49.917 ADDETTI

Il numero degli impiegati nelle imprese a partecipazione estera

esteri come uno sbocco possibile per le loro produzioni. Il sistema Confindustria è impegnato a tutti i livelli per promuovere e rafforzare la presenza delle piccole aziende sui mercati, in particolare quelli emergenti e a maggior potenziale di sviluppo, con missioni e iniziative all’estero in collaborazione con la Regione. Abbiamo recentemente concluso con Fondirigenti e Federmanager un’iniziativa pilota molto innovativa, il Progetto Columbus, che ha avuto proprio l'obiettivo di inserire nelle Pmi manager esperti su mercati esteri». Però da alcuni studi di settore è emerso che recentemente l’Emilia Romagna si è dimostrata meno dinamica di altre regioni nell’affrontare la difficile congiuntura eco- EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 25


L’ ANALISI

STRUTTURA ECONOMICA E COMPETITIVA DELL’EMILIA ROMAGNA

per prospettare un sistema meno ingessato? «In questo scenario è indispensabile rimettere l’impresa al centro delle politiche nazionali e regionali: innovazione, ricerca, internazionalizzazione, formazione devono diventare priorità strategiche nelle scelte della politica e devono essere sostenute con adeguate risorse finanziarie. Ciò a maggior ragione in Emilia-Romagna, perché la crisi si è manifestata in una fase che aveva già visto i primi segnali di ristrutturazione del sistema produttivo regionale. Una trasformazione resa necessaria dai radicali mutamenti del contesto esterno con cui hanno dovuto fare i conti le imprese: il cambiamento del paradigma tecnologico, la globalizzazione, l’introdu26 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

94,30

94,96

In futuro dovremo puntare sempre più sui settori innovativi. Innanzitutto sulla green economy, ma anche sui servizi avanzati, sull’Ict e sul turismo

zione della moneta unica, l’aumento della concorrenza dei Paesi emergenti». Uno dei punti forti del tessuto imprenditoriale regionale è rappresentato dai settori innovativi, ma la capacità di questi di fare rete non è ancora adeguata. Quali proposte e strumenti metterete in campo per

Emilia Romagna

0,71

0,42

4,99

4,62

0,84 Rimini

Reggio Emilia

0,62

5,24

93,91

94,72 Ravenna

0,68

Piccole imprese Medie imprese Grandi imprese

nomica. Da quali basi si dovrebbe partire

4,66

94,72 Piacenza

0,68

4,48

94,48 Parma

Modena

0,78

0,72

5,73

4,84

93,50

93,99 5,29

0,48 Forlì

Ferrara

I grafici sono parte delle analisi messe a punto dal Gruppo di Lavoro The European HouseAmbrosetti per i lavori della community Emilia Romagna, attivato all'interno del Club Ambrosetti

Bologna

0,79

3,89

4,88

95,62

94,33

La distribuzione di piccole, medie e grandi imprese tra le Province (2005)


Anna Maria Artoni

LO SVILUPPO STRATEGICO DELLA REGIONE SU TUTTO IL TERRITORIO REGIONALE

Meccatronica Eco-building Agroalimentare

Robotica Energetica

Ambiente Micro & Nanotech Medicina Rigenerativa Nuovi materiali Design Costruzioni Energia Automazione

PC

Acque e suolo Biotecnologie Acustica e vibrazioni Beni culturali

FE

RE PR BO

RA MO Agroalimentare Farmaceutica Tracciabilità

FC Meccanica Nuovi materiali Medicina rigenerativa

Nautica Energia Restauro

RN

Tecnologie per la moda Life Cycle Technology

Avionica Agroalimentare Infomobilità

supportare “la rete” e quindi l’innovazione? «Possiamo pensare con fiducia al futuro solo accrescendo la qualità e il valore aggiunto delle produzioni, e quindi la conoscenza. Dovremo puntare sempre più a settori innovativi come la green economy, i servizi avanzati, ICT, il turismo. Tutto il sistema Confindustria si è mobilitato con decisione sul versante delle reti d’impresa, con iniziative e progetti specifici che hanno già dato risultati concreti. Anche lo straordinario successo che ha avuto il recente bando della Regione su questo tema dimostra come le imprese abbiano ormai compreso che solo aggregandosi, costituendo reti, lavorando in filiere, integrando le attività con i propri committenti, potranno continuare a sviluppare un sistema industriale che deve competere nel mondo». EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 27


FOCUS ECONOMIA

Un modello di espansione che ha conquistato il mondo Dalla Russia all’Africa passando per l’America del Nord e del Sud. Europa inclusa. Cresce il gruppo Cremonini che, ricorda il fondatore Luigi Cremonini, chiude il 2009 con un + 5%. E la prospettiva di nuovi investimenti e acquisizioni Rosaria Vecchioni

28 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

D

all’Inalca al gruppo Cremonini. «La nostra ricetta imprenditoriale è quasi semplice: per crescere serve innovare, quindi investire costantemente nello sviluppo. Ciò, per noi, significa dedicare ogni anno 80-90 milioni di euro in investimenti per nuovi impianti, acquisizioni». Una strategia senza dubbio vincente dal momento che, nonostante nel 2009 l’agroalimentare abbia subito una contrazione, «noi – annuncia Luigi Cremonini, fondatore e presidente dell’omonimo gruppo, tra i più importanti operatori europei nel settore alimentare per produzione, distribuzione al foodservice e ristorazione - abbiamo chiuso il bilancio con ricavi complessivi per


Luigi Cremonini

2,8 miliardi di euro (considerando il 100% del settore produzione), con una crescita del 5% rispetto all’anno precedente». Risultati frutto di scelte e, soprattutto, di investimenti degli anni precedenti, «nel 2009 abbiamo inaugurato un nuovo stabilimento in Russia e abbiamo finalizzato importanti contratti nella ristorazione a bordo treno europeo. Entrambi sono arrivati grazie a investimenti e progetti avviati tre-quattro anni prima». Ecco perché le cifre a sette zeri alla voce innovazione. Il vostro fatturato deriva per il 41% dalla produzione, per il 41% dalla distribuzione e per il 18% dalla ristorazione. Per il futuro, state valutando l’opportunità di uno sviluppo uniforme dei tre segmenti oppure di concentrarvi su uno solo? «Nel medio periodo vedo soprattutto una crescita nella ristorazione che presenta maggiori caratteristiche per svilupparsi, in Italia e all’estero. Nel 2009, questo settore ha rappresentato ricavi per 560 milioni di Euro e già prevediamo per il 2010 un obiettivo di circa 650 milioni di cui la metà realizzati all’estero». Come si articola la vostra strategia di espansione all’estero? «Nella produzione presidiamo da molti anni l’Europa, il mercato russo e vari paesi africani come l’Angola, la Repubblica Democratica del Congo, l’Algeria. Sono mercati in grande crescita, dove stiamo facendo investimenti, lavorando con società costituite con partner locali e che possono dare grandi soddisfazioni. In Europa, invece, siamo concentrati nel business della ristorazione a bordo treno nella quale, dopo gli ultimi contratti in Francia e Spagna, siamo diventati il primo operatore sui treni ad alta velocità». In Europa la zootecnia è deficitaria. Per potere continuare ad espandervi dopo l’accordo con Jbs, la campagna acquisti negli Stati Uniti e la fusione con la carioca Bertin, in quale direzione vi muoverete per garantirvi fonti costanti di approvvigionamento di carne? «Lei ha accennato all’accordo con Jbs: questo operatore, il più grande del mondo nel settore delle carni bovine, ha stretto con noi una joint venture acquisendo il 50% della produzione e la-

2,8 mld RICAVO

È il ricavo complessivo (+5%) con cui si è chiuso il bilancio 2009 del gruppo (considerando il 100% del settore produzione)

80 mln EURO

I fondi accantonati ogni anno in bilancio per nuovi impianti e acquisizioni

sciando a noi la governance della nuova Inalca Jbs. Questo accordo, rafforzato dalle acquisizioni internazionali fatte da Jbs ci garantisce grandi potenzialità nell’acquisto della materia prima. Abbiamo un accesso diretto ai grandi mercati sudamericani, australiani e nordamericani. Senza però perdere i legami con il nostro territorio: siamo strettamente relazionati con migliaia di allevatori della pianura Padana. E mi dispiace ogni volta che sento di una stalla che ha chiuso». A Mosca è recente l’inaugurazione di un nuovo impianto. «Questo stabilimento è frutto di una presenza in Russia ultraventennale. Per anni, abbiamo gestito una piattaforma di distribuzione di alimenti (quindi non solo carne) soprattutto italiani di alta qualità destinati a ristoranti, alberghi e catene di distribuzione russe. Da tempo, avevamo bisogno di struttura più grande ed efficiente a cui si è affiancata l’opportunità di costruire anche un impianto di produzione di hamburger destinati principalmente a McDonald’s che, in Russia, è in una fase di grande espansione. La Russia è il paese europeo dove si consuma maggiormente carne, ma dove la produzione di carne, soprattutto bovina, è molto scarsa. Il nuovo impianto ci permetterà quindi di servire meglio l’enorme mercato russo. Inoltre il Governo russo sta sti- EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 29


FOCUS ECONOMIA

molando la creazione ex novo della filiera. E noi stiamo facendo la nostra parte progettando anche la costruzione di macelli in aree a forte vocazione zootecnica». Europa, America: poi l’Africa? «Certo. Qui ci sono grandi paesi che stanno finalmente crescendo e dove la domanda di cibo di qualità e di proteine è molto elevata. Oltre all’Algeria, all’Angola (dove abbiamo la più grande struttura frigorifera del continente) e al Congo (sia Kinshasa che Brazzaville), puntiamo al Mozambico e alla Nigeria». In Italia c’è ancora possibile di margine di incremento? «Mentre nel settore della produzione registriamo una sostanziale stabilità, sicuramente c’è un grande spazio per la distribuzione dove operiamo con la Marr di Rimini. Questa azienda nel 2009 ha realizzato un fatturato di oltre 1,1 miliardi di euro e ha una quota di mercato di appena il 10%: i margini di crescita sono alti. Inoltre, anche la ristorazione ha molto spazio». Carne e non solo. E la ristorazione? «Sul fronte della ristorazione commerciale, lo sviluppo della catena di steakhouse Roadhouse Grill procede molto bene: a breve inaugureremo il ventesimo locale proprio a Modena e abbiamo in progetto diverse altre aperture come Bologna e Imola, tanto per rimanere nelle nostre zone. Nella ristorazione in concessione stiamo accelerando negli aeroporti e ora siamo in sette scali nazionali. Stiamo investendo nelle aree autostradali dove siamo oggi il secondo operatore nazionale e ci stiamo rafforzando nel business storico delle stazioni ferroviarie e infatti a breve apriremo bar nelle stazioni di Bolzano, Messina, Milano e Napoli. Il tutto sotto il cappello di Chef Express che da semplice marchio, dallo scorso anno, si è trasformata in spa controllata al 100% dalla holding Cremonini. Quindi una nuova struttura societaria adeguata allo sviluppo che ci aspettiamo nei prossimi anni». 30 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

Oggi è certamente più difficile fare impresa, soprattutto in un mercato maturo come quello europeo, ma se si lavora con impegno i risultati arrivano

Dall’Inalca al gruppo Cremonini, quanto è cambiato il suo modo di fare impresa? E soprattutto alla luce dei successi trentennali, esiste un ‘modello Cremonini’ di imprenditoria? «Oggi è certamente più difficile, soprattutto in un mercato maturo come quello europeo, ma se si lavora con impegno i risultati arrivano. Non vorrei sembrare banale, se di modello vogliamo parlare, dobbiamo riferirci a quello di un’intera generazione che si è trovata un paese distrutto dalla guerra, senza materie prime e che lavorando sodo, ha portato l’Italia a diventare una potenza economica. Le “difficoltà” di oggi, mi consenta, fanno un po’ sorridere».



FOCUS ECONOMIA

Dal cucchiaio alla città Un design eclettico e creativo quello che contraddistingue Driade, che vuole essere prima di tutto un «laboratorio estetico che svolge una personalissima ricerca nella sua globalità» racconta l’amministratore delegato Elisa Astori Nike Giurlani

D

al segno puro e architettonico di Antonia Astori, al neobarocco di Borek Sipek, al minimalismo di Enzo Mari, Toyo Ito, John Pawson, fino ad arrivare alle forme sensuali e scultoree di Ron Arad, alla poesia di Kazuyo Sejima e all’inconfondibile segno di Philippe Starck, creatore di umani desideri». Ecco chi è Driade, l’azienda di design di Fossadello di Caorso, in provincia di Piacenza. Come mette in evidenza l’amministratore delegato, Elisa Astori, la forza di questa azienda è l’eclettismo e la creatività. La continua ricerca di nuovi linguaggi, tendenze e materiali è finalizzata a indagare la casa nella sua globalità e complessità. Non un’anima, ma tante anime caratterizzano questa azienda che si avvale della collaborazione di importanti e qualificati design italiani e stranieri. «Driade vive una propria vita autonoma e compiuta, che riesce a essere ordinata oppure trasgressiva, neoborghese oppure rivoluzionariamente aristocratica – ribadisce Elisa Astori –secondo la sensibilità e il gusto di chi la sceglie». Crisi economica e design di qualità. Qual

32 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

L’amministratore delegato di Driade, Elisa Astori


Elisa Astori

A sinistra, il Salone del mobile di Milano 2010 e l’interno dell’azienda a Fossadello di Caorso; sotto, la poltrona Nemo realizzata da Fabio Novembre

è la soluzione proposta da Driade? «La creatività. Driade è un laboratorio estetico che svolge una personalissima ricerca nella sua globalità. La nostra filosofia parte dal presupposto che l’eclettismo, l’insieme delle culture, la curiosità e la sorpresa, rappresentino il senso vero della nostra epoca. In questa direzione continua la nostra ricerca di nuovi segni e materiali utilizzando alto artigianato e alta tecnologia». Nel mondo del design quello made in Italy riesce a reggere il confronto con quello estero? «Grazie a imprenditori visionari, che caratterizzano la maggior parte del tessuto imprenditoriale italiano, e alla fitta rete di artigiani di altissima qualità, che sono stati in grado di realizzarne i prodotti, l’Italia ha saputo, sin dal Quattrocento, sviluppare e produrre nel mondo, cultura, segni e grandi opere. Per quanto riguarda Driade, il 36% del nostro mercato rimane ancora oggi l’Italia, la restante fetta è rappresentata dal mercato estero». Driade è un’azienda italiana, che si avvale da tempo della collaborazione di design stranieri. Qual è la forza di questo scambio?

Tutti i prodotti Driade sono realizzati da fornitori esterni, presenti in tutto il mondo. In azienda l’ufficio tecnico si occupa dello sviluppo dei progetti mentre il reparto di logistica raccoglie e distribuisce i pezzi finiti

«Ciascuna delle molte anime di Driade vive una propria vita autonoma e compiuta, che riesce a essere ordinata oppure trasgressiva, neoborghese oppure rivoluzionariamente aristocratica, secondo la sensibilità e il gusto di chi la sceglie. Ciascuno, in questo modo, riesce a trovare una propria Driade nella quale identificarsi ». Dal Salone del mobile di Milano è emersa una nuova tendenza: stop a stanze fredde e settiche sì ad ambienti più accoglienti e avvolgenti. Come mai questo cambio di rotta? «La nostra visione si fonda, da sempre, sull’arte di abitare ed è contraddistinta dall’eclettismo: EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 33


FOCUS ECONOMIA

In alto a sinistra un’immagine del Salone del mobile di Milano 2010; in basso, la libreria realizzata da Jonathan Olivares; sotto, il lampadario Norma nato da un progetto di Borek Sipek

L’eclettismo, l’insieme delle culture, la curiosità e la sorpresa rappresentano il senso vero della nostra epoca

rappresenta la storia e il di-

venire di una passione. L’innata predisposizione all’ascolto e all’attenzione nel registrare i segni provenienti dall’esterno, rendono Driade un progetto orientato verso il futuro. L’eclettismo che contraddistingue la nostra azienda, unita alla ricerca di linguaggi antitetici, rendono le case Driade in sé uniche, innovative e speciali. Le nostre collezioni sono ricche di suggestioni differenti: si passa dal segno puro e architettonico

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di Antonia Astori al neobarocco di Borek Sipek, dal minimalismo di Enzo Mari, Toyo Ito, John Pawson alle forme sensuali e scultoree di Ron Arad, alla poesia di Kazuyo Sejima e all’inconfondibile segno di Philippe Starck, creatore di umani desideri». Quali sono le novità dei settori che caratterizzano Driade? «Le novità che abbiamo presentato all’ultimo Salone del Mobile sono molteplici per tutti e tre i nostri marchi: per “Driade” abbiamo proposto le nuove librerie e i nuovi contenitori Clay, Connor e Colbert di Antonia Astori, la libreria di Nicola De Ponti e quella di Jonathan Olivares, e, infine, la poltrona e il divano di Peter Emrys Roberts. Per “Driadestore”, la poltrona Nemo di Fabio Novembre, il progetto living con divano Grand Pliè, la poltrona Pliè e il tavolino Piaffè di Ludovica e Roberto Palomba e la lampada Zelight per interno ed esterno di Miki Astori. Per “Driadekosmo”, c’erano le meravigliose creazioni di Borek Sipek (lampadari Norma e Apollonio e i centritavola Orfeo ed Euridice), il servizo da tavola Tws Elizabeth, il centrotavola Together e il candelabro Raphael di Laudani&Romanelli. Ogni anno proponiamo nuovi prodotti che insieme concorrano a realizzare la casa dei sogni. Non c’è un settore privilegiato perché puntiamo nella casa nella sua globalità. Parafrasando Ernesto Natan Rogers, possiamo dire che proponiamo e realizziamo progetti “dal cucchiaio alla città”». Ritiene che la nuova frontiera del design sarà l’ecosostenibilità? «È un aspetto sul quale ci interroghiamo quotidianamente e rappresenta per noi una nuova sfida. Speriamo di poter dare al riguardo ottime risposte in futuro».



FOCUS ECONOMIA

L’azienda è un teatro dove si alternano scene diverse In un’azienda niente è immobile. Ogni giorno si profilano nuovi obiettivi da raggiungere. Perciò Federica Guidi, direttore generale di Ducati Energia, ama il suo lavoro. Ecco una giornata tipo dell’imprenditrice bolognese Francesca Druidi

36 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010


Federica Guidi

D

a piccola Federica Guidi avrebbe voluto fare il veterinario, in virtù del suo indiscusso amore per gli animali, in particolare per i cani. Ma la paura di vederli soffrire l’ha frenata. «È una professione – confessa – che comunque avrei praticato con la stessa spinta che oggi infondo nel mio lavoro». Presidente dei giovani imprenditori di Confindustria e direttore generale di Ducati Energia, Federica Guidi è rimasta affascinata dal mondo della fabbrica fin quando, da bambina, accompagnava suo padre, Guidalberto Guidi, alle Fonderie Corni. «Per me la fabbrica ha sempre identificato qualcosa di vivo, di dinamico». L’azienda, con i suoi ritmi e le sue sfide quotidiane, aderisce come un guanto al carattere di Federica Guidi, che non

Oggi dedico più tempo al coordinamento delle risorse, mantenendo un ruolo operativo connaturato al mio modo di fare

teme di agire anche sotto pressione. «La fab- In apertura, Federica direttore brica vuol dire improvvisare costantemente, Guidi, generale di Ducati gestire con rapidità le informazioni. E, certo, Energia e presidente giovani anche affrontare i problemi». Nell’aprirci le dei imprenditori porte della Ducati Energia, l’imprenditrice am- di Confindustria mette di essere uno dei presidenti dei giovani dal 2008 imprenditori che rimane meno a Roma. «Resto lo stretto necessario, preferisco spostarmi dalla Capitale di sera e arrivare a mezzanotte a Bologna però essere in azienda la mattina dopo. Lavoro meglio da qua, anche se mi occupo di Confindustria». Ricostruiamo la giornata tipo di Federica Guidi. A che ora è al lavoro? «Entro in azienda alle 8 circa. Negli ultimi tempi, mi capita di arrivare più tardi rispetto al solito: l’incarico in Confindustria ha modificato la logistica dei miei spostamenti e oggi è più discontinua la mia frequenza qui. Non faccio però pause durante la giornata. Di sera, esco di solito attorno alle 19.45». Come si articola il suo lavoro? «Analizzo e verifico i dati dei tabulati puntualmente ogni mattina in quanto offrono un ag- EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 37


FOCUS ECONOMIA

giornamento in tempo reale sulla situazione.

Dalla mia postazione, situata in un open space al centro dell’ufficio acquisti, seguo l’andamento dei diversi ambiti e mi occupo di tutto ciò che non sono riuscita a sistemare il giorno prima: trattare con un nuovo fornitore, verificare con l’ufficio tecnico i disegni per un prodotto in lancio. Spesso sono coinvolta sul fronte commerciale. Non manca poi un veloce controllo ai tre stabilimenti Ducati in Romania, Croazia e India. La giornata è poi scandita da molte riunioni: una volta le seguivo tutte, oggi inevitabilmente partecipo solo a quelle più urgenti. Rispetto al passato, il mio ruolo è cambiato».

Forse non sarei quello che sono oggi se non avessi avuto gli anni di movimento confindustriale alle spalle

38 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

In che modo? «Dedico più tempo al coordinamento delle risorse, mantenendo comunque un ruolo operativo, particolarmente connaturato al mio modo di fare. Del resto, non riuscirei ad assolvere questa funzione se non continuassi ad avere il polso sugli aspetti operativi dell’azienda». C’è una divisione con cui ha un rapporto privilegiato? «L’ufficio acquisti, non solo perché vi mantengo la mia scrivania, ma è lo spazio che più di tutti sento come il “mio” ufficio. Essendo stata per molti anni direttore del settore, e grazie anche al fatto che molte delle persone che vi lavorano hanno iniziato a collaborare con me 15 anni fa, ho sviluppato una quotidianità fatta di gesti e di sguardi al punto di riuscire a lavorare con loro senza ricorrere troppo al dialogo. Mi basta ascoltare il tono di una telefonata dall’altra parte della scrivania per individuare la presenza di un eventuale problema».


Federica Guidi

In generale, come si muove in azienda? «Mantengo il gusto di svolgere personalmente i passaggi necessari, perché questo mi offre la possibilità di essere dentro a tutti i meccanismi dell’azienda. Ho così la possibilità, sia rispetto a tutti i collaboratori e lavoratori, sia rispetto agli eventi che si susseguono, di non basarmi mai su informazioni filtrate». Nel momento in cui deve allontanarsi per impegni legati a Confindustria, come riesce a gestire le diverse attività? «Trascorrendo il tempo dei viaggi in treno al telefono, maledicendo le interruzioni dovute alle gallerie. E contattando, di volta in volta, le persone giuste in azienda, con le quali confrontarsi direttamente sulle questioni più urgenti e agire di conseguenza. È fondamentale contare su una buona segreteria di coordinamento che, dopo tanti anni, riesce a scremare con efficacia. In ogni caso, in azienda sanno di trovarmi sempre, non è mai accaduto che fossi

irreperibile per una decisione importante». In che modo l’impegno nei Giovani Imprenditori l’ha arricchita sotto il profilo umano e professionale? «Sono 15 anni che frequento il movimento. Questo percorso ha in qualche maniera accompagnato anche il mio ingresso in azienda. È una parte importantissima della mia vita che mi ha offerto l’opportunità di confrontarmi realmente con giovani imprenditori di tutta Italia, rappresentanti di realtà diverse, di imprese simili oppure molto diverse dalla mia. Giovani con i quali sono diventata amica e a cui a volte ho chiesto consigli e informazioni per importanti operazioni aziendali. È un mondo che ti forma, che abitua al confronto, che serve a smussare gli angoli del carattere e, nel mio caso, anche a superare la timidezza. Probabilmente non sarei quello che sono oggi, nel bene e nel male, se non avessi avuto questi anni di movimento alle spalle». EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 39




FOCUS ECONOMIA

Rinnovarsi con esperienza Il settore del packaging è strettamente collegato alla logica del marketing e non ammette rallentamenti nella corsa all’innovazione per stare al passo con le esigenze del mercato. Con questo principio Unifill è diventata protagonista nel mercato mondiale. Alberto Ninni svela i segreti del successo Stefano Marinelli

I

l 2009 è stato senza dubbio un anno catastrofico per l’industria del packaging, con gravi battute d’arresto soprattutto dell’export. Ma l’associazione di categoria Ucima, che ha avviato un monitoraggio costante sull’andamento del settore per valutare gli effetti della crisi, ha riportato dati incoraggianti per questo 2010, in particolare se si guarda al notevole aumento degli ordini provenienti dai Paesi stranieri. Con sicura soddisfazione di Unifill, che, dalla prima macchina, costruita nel 1981, per la produzione di monodosi farmaceutiche, chimiche e cosmetiche, all’invenzione del primo formaggino con stecchino al mondo, è diventata leader mondiale nella produzione di macchinari per packaging proprio grazie all’export. Senza mai abbandonare la ricerca dell’innovazione e della flessibilità, nemmeno nei momenti più difficili dell’economia internazionale. Unifill è tra i leader mondiali nella produzione di macchine per monodosi. Quali sono le vostre strategie? 42 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

Alberto Ninni, direttore vendite e marketing di Unifill


Alberto Ninni

4 mln EURO

La quota di fatturato di Unifill registrata nel 2009

«Abbiamo iniziato 30 anni fa come terzisti, poi, seguendo l’evoluzione del mercato, siamo passati dal confezionamento alla produzione di macchine, di cui oggi esportiamo il 95%, soprattutto in Cina. Lavoriamo su tutti i segmenti di mercato, dall’alimentare, al farmaceutico, al chimico, riuscendo a seguire tutti i mercati mondiali». Come riuscite a battere la concorrenza? «Con l’innovazione continua, cercando di essere sempre uno step avanti ai concorrenti. Le aziende cinesi che copiano le nostre macchine, imitano modelli di 10-12 anni fa. Il segreto è non fermarsi e innovare in continuazione». Dove trovate le idee che ispirano la produzione delle macchine? «Dalle richieste del mercato. La produzione delle macchine è diversa da quella del prodotto in sé. Chi si occupa di marketing di macchine deve valutare cosa è richiesto come packaging per il mercato. Se nel settore farmaceutico si punta più a risparmiare sul ma-

Lavoriamo su tutti i segmenti di mercato, dall’alimentare, al farmaceutico, al chimico, riuscendo a seguire tutti i mercati mondiali

teriale, come con il passaggio dal vetro alla plastica, che costa fino a 10 volte in meno, risolvendo anche i problemi di trasporto, nelle applicazioni alimentari l’aspetto del marketing è più importante. Puntiamo a fare un prodotto che ha un valore aggiunto notevole e il fatto di utilizzare un imballo innovativo sotto l’aspetto tecnologico è un punto di forza. Anche se il prodotto in sé non ha un valore aggiunto altissimo, investire nel packaging consente all’azienda di avere una confezione che la concorrenza non ha». Per la produzione del macchinario siete dotati anche di un ufficio tecnico? «Per assecondare le necessità di innovazione, EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 43


FOCUS ECONOMIA L’ALIMENTAZIONE DEI MOTORI DEL FUTURO

S

e il motore è il cuore di un’automobile, l’impianto di alimentazione può rappresentarne i polmoni, oggi più sani e purificati dalle scorie dei tradizionali carburanti petroliferi. Alternativi, più ecologici ed economici, gli impianti a gas hanno inaugurato la corsa verso traguardi ecocompatibili, ma passeranno ben presto il testimone a sistemi sempre meno inquinanti e, a parità di prestazioni delle auto a benzina, più leggeri per le tasche degli automobilisti e delle case automobilistiche. Leader mondiale nel settore dei componenti e dei sistemi di alimentazione alternativi a gpl e metano per autotrazione, la Landi Renzo, esemplifica le eccellenze del sistema produttivo della regione Emilia Romagna e le coniuga al futuro. Ma per Corrado Storchi, external relations manager e portavoce dell’azienda «il futuro non sarà cristallizzato in un’unica soluzione. Un ventaglio di

possibilità si legano a una direttrice principale, la graduale indipendenza dai carburanti di origine petrolifera». Nel raggiungimento di traguardi internazionali, quanto ha influito il radicamento al territorio emiliano-romagnolo? «Se escludiamo Torino, l’Emilia Romagna può essere definita la “motor-valley” italiana. Esiste quindi da decenni una miscela di passione e competenza che, ovviamente, ha contribuito a creare più distretti fortemente specializzati. L’appartenenza a questo territorio è di fatto il Dna del nostro attuale successo: un patrimonio “genetico” che però abbiamo saputo sviluppare diventando polo d’attrazione per un management qualificato di provenienza anche extra-regionale». Quali sono le strategie e le innovazioni che vi hanno permesso negli anni di scalare il mercato mondiale?

abbiamo un ufficio che aggiorna costante-

mente le macchine. Negli ultimi dieci anni, abbiamo prodotto 6-7 nuovi esemplari di macchine. L’importante è proporre soluzioni innovative, anche se non tutte possono avere lo stesso successo. Ridurre il consumo di materiale e aumentare l’efficienza sono obiettivi

«Abbiamo saputo intercettare i mercati ad alto potenziale nel momento stesso in cui essi stavano per esprimerlo. In secondo luogo, abbiamo sempre investito in ricerca e innovazione, mantenendo, anzi incrementando, il vantaggio competitivo che deriva dalla leadership tecnologica. Infine, da quando nel 2007 la società si è quotata in Borsa, non abbiamo esitato e non esiteremo a cogliere interessanti opportunità di crescita per linee esterne». Perché gli impianti prodotti dalla Landi vengono annoverati quali prodotti d’eccellenza della regione Emilia-Romagna? «La tecnologia italiana degli impianti a gas per autotrazione è leader nel mondo. Il Gruppo è leader mondiale di settore, con una quota di mercato che supera il 30%. Considerando il successo internazionale che l’eco-mobilità sta riscontrando, è normale che i nostri prodotti,

Mentre aziende di altri Paesi sono molto rigide, noi ci mettiamo a tavolino con il cliente e studiamo il progetto. Di principio non diciamo mai no

e sforzi continui che ci proponiamo di rispettare». Che tipo di indotto avete generato? «Noi tendiamo a fare tutto all’interno, eccetto la produzione stessa dei pezzi. In sede facciamo la progettazione e il disegno, poi queste indicazioni vengono segnalate all’esterno per la produzione fisica dei pezzi. Questo rende possibile una certa flessibilità. Lavorare con una struttura leggera consente di adattarci alle esigenze del mercato. Giocare con l’outsourcing ci permette, in sostanza, di poter stare sul mercato con facilità». 44 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010


Alberto Ninni

così caratterizzati dall’innovazione tecnologica, possano essere annoverati nel perimetro dell’eccellenza. Questo nostro costante impegno nell’innovazione sta in effetti producendo alcune importanti novità: tra queste, proporremo nel prossimo futuro dei sistemi per trasformare i motori diesel in dual fuel diesel-metano, con evidente risparmio sia dal punto di vista economico che ecologico». La recessione economica ha posto in crisi l’intero circuito produttivo mondiale. Qual è il resoconto dell’ultimo biennio in casa Landi? «I nostri ricavi crescono costantemente: se nel 2007 erano pari a 164 milioni di euro, nel 2008 erano cresciuti a 217 e nel 2009 a 267. Gli automobilisti hanno guardato con favore ad alimentazioni più economiche e la controprova di ciò è stato il progressivo aumento di modelli bi-fuel offerti dalle case automobilistiche». Qual è il sistema impiantistico attraverso cui

la Landi punta alla forma assoluta di mobilità ecocompatibile? «Il futuro non sarà cristallizzato in un’unica soluzione, ma piuttosto vedrà distendere un ventaglio di possibilità, tutte legate da una direttrice principale: la graduale indipendenza dai carburanti di origine petrolifera. Esiste, infatti, in molti Paesi l’esigenza di emanciparsi progressivamente dalle importazioni di petrolio e derivati. C’è poi una forte e condivisa sensibilità ecologica. Ecco perché è lecito immaginare un futuro nel quale il cittadino potrà scegliere tra auto alimentate a gas, con biocarburanti, elettriche, ibride, fuel cell». Quali sono i “numeri” della Landi Renzo? «Tra la capogruppo e le società controllate italiane ed estere, nel Gruppo operano un migliaio di dipendenti, ai quali dobbiamo aggiungerne altri 2.300 nell’indotto. Circa l’80% opera in Italia. Nel 2009 abbiamo investito in

Qual è l’ultimo progetto che state portando a termine? «Stiamo lavorando a un impianto molto grosso, di quasi 1 milione e mezzo di euro, per una grande azienda europea che produce formaggini. È un progetto molto ambizioso e ora siamo in fase di produzione dell’impianto. Questo progetto, purtroppo, non riguarda l’Italia, perchè il nostro Paese non è molto innovativo nel settore. Tutti i packaging che si vedono nei supermercati italiani sono prodotti all’estero, dalla Svizzera, alla Cina, al Sud America». Quali sono i vostri “numeri”? «Abbiamo in sede circa trenta addetti e un ufficio in Cina con personale tecnico, per seguire al meglio i clienti sul mercato locale. Poi lavoriamo tramite agenti esclusivi e non esclusivi su vari mercati in tutto il mondo. L’India, per esempio, richiede agenti esclusivi perché è un mercato molto fruttuoso. Su altri mercati disponiamo di agenti plurimandatari. Il 50% della nostra clientela, a livello di tutti i settori,

95% EXPORT

La quota della produzione di Unifill esportata all’estero, per la maggior parte in Cina

ricerca e sviluppo 7,5 milioni di euro. Stiamo costruendo, nell’area della capogruppo a Cavriago, un nuovo centro di ricerca e sviluppo, che sarà caratterizzato da un livello di eccellenza che ha pochi eguali in Europa».

è costituito da grosse multinazionali che utilizzano la nostra tecnologia, come Nestlè, Bayer, Kraft. Inoltre forniamo anche consulenza ad aziende medio piccole. Il nostro ultimo fatturato ammonta a circa 4 milioni di euro». Cosa avete in cantiere per quanto riguarda la ricerca? «Diversi progetti basati sull’innovazione e sul risparmio di materiale. Il nostro obiettivo è cercare di rendere gli impianti sempre più flessibili, per poter lavorare anche con materiali di non eccelsa qualità». Una stessa macchina quante tipologie di packaging può generare? «Una macchina lavora con stampi a modulo, per cui cambiando gli stampi si può produrre un flaconcino di 1ml o una bottiglia da 100 ml. Il livello di flessibilità della nostra tecnologia rende tutto possibile, al cambiare degli stampi si può modificare la forma e la dimensione della confezione. È possibile, inoltre, utilizzare materiale di diverso tipo, soffice o rigido a seconda delle esigenze del cliente». EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 45


FOCUS ECONOMIA

L’alto artigianato dalla bottega al museo C

Le origini storiche del made in Italy risiedono nell’arte di bottega. Insieme al patrimonio artistico e culturale, «promuovere l’artigianato contemporaneo significa anche salvaguardarlo». È questo l’impegno di Marilena Ferrari

hini su bozze a carboncino. Gesti dettati da una precisione millimetrica. Materiali impreziositi da procedimenti di estrema complessità. Le tradizioni ereditate dai grandi maestri dell’arte artigiana sono oggi la coscienza attiva di un patrimonio espresso nel concetto di Adriana Zuccaro made in Italy. Per tale ragione promuovere l’artigianato italiano, ancor di più se di altissima qualità, significa anche salvaguardarlo. «Gli artigiani rappresentano le origini storiche della nostra cultura artistica. E se si sopprime l’origine, si finisce col perdere anche il futuro». Editoria di pregio, artigianato d’eccellenza, arte contemporanea: il valore riconosciuto a ognuna delle opere della Casa d’Arte Marilena Ferrari risiede nel sapere coniugare la sapienza intellettuale a quella manuale perché «il fare è sempre unità di pensiero e azione». Qual è il fulcro attivo e comunicativo della Fondazione Marilena Ferrari? «La Fondazione è rivolta innanzitutto ai giovani ma in generale a un pubblico quanto più vasto possibile per promuovere il patrimonio artistico, l’arte e la tradizione artigianale. Per me la Fondazione rappresenta la chiusura di un cerchio, fonte di un prodotto elitario che mira ad essere maggiormente fruibile. Il prodotto è molto selettivo e costoso ma si pone l’obiettivo di operare una sorta di democratizzazione dell’arte e della cultura». Per una più alta valorizzazione del made in Italy, che ruolo bisognerebbe riconoscere all’artigianato? «Il concetto di made in Italy, a mio avviso, nasce proprio dalla tradizione artigianale che perciò va salvaguardata. Far lavorare gli artigiani significa mantenere in piedi secoli di storia artistico-culturale. Per questo selezioniamo sul territorio que-

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Marilena Ferrari

gli artigiani che ancor oggi utilizzano le tecniche antiche più autentiche; abbiamo anche recuperato molte botteghe per le quali creiamo la possibilità di continuare a lavorare. Per me i maestri artigiani sono fondamentali perché rappresentano le origini storiche del made in Italy. E se si sopprime l’origine si finisce col perdere anche il futuro». Nel progetto di realizzazione di una nuova opera d’arte, da dove parte l’idea e come si sviluppa? «È un lavoro lunghissimo. Abbiamo dei pilastri concettuali che sono patrimonio artistico, culturale italiano e valori come l’arte contemporanea sacra. Questo è lo schema di riferimento. La prima scelta ricade sul titolo dell’opera, sul concetto che vuole esprimere. Poi si sceglie l’artista e il fotografo di riferimento con cui si pianificano le tecniche di lavorazione. L’opera viene fuori a più mani proprio come nel concetto rinascimentale della bottega; l’artista fa prima delle prove con i materiali da usare, mantenendo sempre l’idea centrale dell’opera e l’argomento. Tra i temi trattati c’è la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la Divina commedia, l’Odissea e i grandi testi dell’umanità. Oltre all’artista giusto, il libro si costruisce assieme a una selezione di maestri artigiani con i quali si definisce il sapore complessivo che si vuole conferire dell’opera».

45 mln EURO

fatturato realizzato nell’ultimo anno

200

ARTIGIANI che ancor oggi utilizzano le tecniche antiche più autentiche

Quali sono le dinamiche di engagement attraverso cui selezionate e ponete all’opera i grandi maestri dell’artigianato contemporaneo? «Dopo i quasi trent’anni investiti in questo mestiere, credo di aver percorso centinaia di migliaia di chilometri per rintracciare i migliori. Vivono in luoghi stranissimi. Soprattutto in Toscana, in Umbria e nelle Marche c’è una concentrazione di alto artigianato. Sono inseriti comunque in ogni parte del nostro territorio e portano avanti specifiche tradizioni: a Carrara i marmi, a Venezia i tessuti, nelle Marche la carta e così via. Dietro c’è tutta la storia italiana. Noi ricerchiamo, in particolare, artigiani che recuperano antiche tecniche». Quali sono i cardini cui imperniate il fare impresa di, con e per la cultura? «Fondamentalmente vent’anni di esperienza. Non basta la possibilità di fare impresa se non c’è competenza; questa si affina con il tempo, la dedizione, la ricerca. I libri che realizziamo possono raggiungere un valore di 2 mila fino ai 300 mila euro. Per un libro utilizziamo anche 30 botteghe artigiane. Con il tempo alla competenza artistica si è aggiunta la capacità rivolta all’arte fotografica. Ed è davvero difficile mettere insieme questi due aspetti. Esistono poi tantissime tecniche di stampa che davvero in pochi conoscono. EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 47


FOCUS ECONOMIA

LA MULTINAZIONALE DELLO STILE ITALIANO

S

Un tocco che coniuga lo spirito artigianale con le più innovative delle tecnologie. Un grande gruppo multinazionale, tra le prime realtà produttive italiane e l’eccellenza del fare impresa parmense. Bormioli Rocco è tra i leader di mercato nei prodotti in vetro per la casa e per il mondo della ristorazione, ma è anche una realtà affermata nella fornitura di prodotti per il packaging in vetro e in plastica. Francesco De Bartolomeis, amministratore delegato della società, spiega l’importanza di saper seguire le tendenze del mercato. Quali strategie vi hanno permesso di scalare i mercati internazionali? «Il nostro approccio ai mercati internazionali è figlio della capacità di rappresentare nel mondo lo stile Italiano, senza mai dimenticarci la nostra matrice di grande marca popolare, che si traduce nel rendere accessibile a tutti il piacere di arredare la propria tavola con gusto. I nostri prodotti per la casa sono assolutamente consoni ai tempi, dove le giovani coppie prediligono cose belle, pratiche a prezzi accessibili». Dall’Emilia Romagna al resto del mondo, quanto ha influito il vostro storico radicamento al territorio? «Essere emiliani, e soprattutto italiani, ci investe dell’onere di rappresentare la cul-

tura del cibo e del vino italiano nel mondo con tutta la sua varietà eleganza e ricchezza di sensazioni che non potrebbero non essere accompagnate, da una cura altrettanto ricca nel valorizzarle sulle tavole di tutto il mondo». In che modo siete riusciti a vincere la concorrenza italiana del settore e a imporvi sul mercato? «Il nostro segreto è il continuo studio delle tendenze dei gusti e dell’evoluzione della cultura della tavola che accompagna ogni sviluppo di calici piatti o bicchieri e più in generale tutto il mondo della casa che accompagna la vita di ognuno di noi nel quotidiano». Che tipo di indotto avete generato sul territorio? «Con i nostri tre stabilimenti in EmiliaRomagna, ai quali si aggiunge l’Headquarters, abbiamo generato un indotto che coinvolge un numero di persone pari

a più del doppio dei dipendenti attivi sul territorio regionale, nei più diversi settori, dai Servizi logistici, Impiantistica, cooperative di confezionamento, Atelier di decorazione, eccetera». Qual è l’attuale realtà della Bormioli Rocco? «Contiamo più di 2.600 dipendenti di cui circa 800 in Emilia Romagna. Dei nostri siti produttivi in Europa, sei sono in Italia, due in Francia e uno in Spagna. Abbiamo filiali commerciali a Parigi, Madrid, HoehrGrenzhausen, New York, Mosca e Shanghai. Il fatturato ammonta a circa 500 milioni di euro».

La Fondazione è rivolta innanzitutto ai giovani ma in generale a un pubblico quanto più vasto possibile per promuovere il patrimonio artistico

48 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010


Quando si vede il nostro prodotto non si percepisce tutto il lavoro che c’è dietro. I nostri libri sono anche opere d’arte. Quando arriviamo alla fine di un libro, in pratica, abbiamo messo dentro seicento anni di storia». Come stimolare allora la curiosità della possibile committenza? «Stiamo mettendo a punto un sito per far conoscere e capire meglio le nostre opere. Quando si osserva una pagina stampata non si percepisce cosa c’è dietro. Abbiamo perciò filmato tutte le tecniche che concorrono alla realizzazione di un’opera e prepareremo un’enciclopedia multimediale su internet dove se qualcuno vuol capire come avviene un’incisione potrà visionarla dal vivo». Qual è la tiratura delle vostre opere? «Andiamo dalle 750 copie a una o due. Normalmente la nostra tiratura è limitata perché rappresenta un lavoro troppo impegnativo per gli artigiani; il limite delle mie opere è dato dalle capacità umane degli artigiani. Quando faccio invece dell’editoria di pregio e illustrata la tiratura può essere anche più ampia. Le persone però spesso non sanno il lavoro che c’è dietro ogni opera. La carta è completamente fatta a mano; per alcuni volumi poi, usiamo alcune tecniche come il cesello a punta di spillo. A volte ho preso i tessuti da un’antica bottega di Firenze, dove usano ancora tecniche del 700». Quale opera tra le tante può essere più esemplificativa dello stile di casa Ferrari? «È un’opera in soli due esemplari: Caterina de’ Medici regina e mecenate, che per me voleva essere un grande omaggio a questa donna del Rinascimento. Caterina de’ Medici è stata una figura straordinaria e in sostanza è stata la prima ad aver “sposato” il made in Italy. Ho reperito le lettere che lei scriveva dove ordinava i primi violini, le abbiamo fatte trascrivere su pergamena manualmente da una calligrafa con colori naturali. Abbiamo preso la ceramica di Ruta, pelli, incisioni in oro. Ho donato una delle due copie alla biblioteca di Washington, che è la più grande del mondo; Caterina de’ Medici regina e mecenate è

stata posta di fianco al Codice di Leonardo e ciò è stato motivo di grande orgoglio. I nostri libri, insomma, hanno principali finalità di ricerca e sviluppo più che di commercio». Quali sono state le ragioni che hanno portato al delisting della società? «La mia è un’impresa di cultura, e per poterla tenere in piedi bisogna gestire con grande equilibrio il lato economico. Da una parte non posso piegare la cultura al profitto, né posso piegare il profitto a una cultura troppo elitaria. Le ragioni del mercato borsistico oggi sono molto speculative e non avevano a che fare con la mia filosofia. Ci siamo quotati in Borsa nel 2000, con un segmento che si chiamava “nuovo mercato”, che la Borsa aveva aperto appositamente per aziende medio-piccole con business innovativo. Subito dopo l’avvento di internet tutte le imprese si sono aperte al mercato telematico, mentre noi coi libri fatti a mano siamo riusciti comunque a competere con loro. Il “nuovo mercato” poi è stato chiuso e sono finita nel listino generale. Per stare nel listino generale, in mezzo a grandi aziende multinazionali, avrei dovuto sopportare un impegno a pieno organico nel settore borsistico mentre ho preferito rimanere a occuparmi a tempo pieno solo di libri d’arte».

Vatlh ah Doch yoDS ghong vagh QaQ pengs, ach vatlh ah tIq ghIQS HIv loS ah Doch ghoms. Wa’ yuD meHloDnI’

EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 49


FOCUS ECONOMIA

La wellness valley romagnola Tredici filiali nel mondo con 1.600 dipendenti e 60 distributori esclusivi. Sono i numeri di Technogym, che da Gambettola esporta attrezzature sportive in 100 paesi del mondo e cresce con un ritmo del 40% l’anno. A spiegarli, il fondatore e presidente, Nerio Alessandri Andrea Costanza

U

na realtà aziendale in costante ascesa. Fiore all’occhiello del circuito produttivo emiliano-romagnolo, la Technogym ha raggiunto ogni segmento di mercato rivolto alla fornitura di attrezzature e servizi per il wellness e la riabilitazione. Con una quota di export pari all’87%, l’azienda oggi è attiva in oltre cento paesi nel mondo. «Da oltre vent’anni concen-

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triamo il nostro impegno lavorativo nella promozione del wellness, lo stile di vita basato su una regolare attività fisica, un’alimentazione equilibrata e un approccio mentale positivo». Così Nerio Alessandri, fondatore e presidente dell’azienda di Gambettola, spiega il successo di Technogym che, insieme alla filiera di settore, «ha fatto della Romagna una vera e propria wellness valley». La Technogym è divenuta una realtà imprenditoriale di rilievo internazionale. Quali i traguardi più importanti? «Dai primissimi esordi risalenti al 1983, siamo giunti a impiegare oltre 1.600 dipendenti, con un’età media di 32 anni, di cui circa 650 all’estero presso le 13 filiali in Europa, Stati Uniti, Asia, Medio Oriente, Australia e Sud America. Esportiamo l’87% della produzione in oltre 100 paesi e possiamo esprimere l’orgoglio di aver attrezzato 35 mila centri wellness e oltre 20 mila abitazioni nel mondo». Qual è il focus imprenditoriale da cui prende vita ogni progetto? «Ogni nuova iniziativa, studiata ad hoc per rispondere al meglio alla richiesta di mercato, punta sempre all’espressione di una vision innovativa capace di coniugare business e responsabilità sociale. Il wellness, infatti, rappresenta un’opportunità per tutti: per i governi che possono investire in una popolazione più sana diminuendo la spesa sociale, per le aziende che possono incrementare il livello di creatività e

In apertura, Nerio Alessandri, fondatore e presidente Technogym


Nerio Alessandri

c

La wellness valley romagnola è un modello da esportare per la qualità della vita, la prevenzione per la riduzione della spesa sanitaria e lo sviluppo produttivo economico

d

motivazione dei collaboratori e per le persone che possono migliorare il proprio stile di vita». Quanto è importante la ricerca per l’ideazione e la produzione di soluzioni innovative? «La ricerca e l’innovazione rappresentano il motore della crescita di Technogym. Il design, quale segno distintivo di Technogym, ha permesso all’azienda di ottenere importanti premi a livello internazionale, come il Red Dot Design Award, uno dei più prestigiosi riconoscimenti per l’alta qualità del design e la capacità

di coniugare estetica e funzionalità». Per quali importanti realtà sportive lavorate? «Le più prestigiose squadre sportive di tutto il mondo da anni collaborano con Technogym per la preparazione atletica dei loro campioni. Ciò è testimoniato dalla presenza di Technogym in Formula Uno, come fornitore ufficiale della Scuderia Ferrari; nel calcio a fianco di Juventus, Inter e Milan in Italia e Real Madrid, Chelsea e Ajax all’estero; nella vela, con Alinghi e Luna Rossa. Technogym è stata inoltre fornitore ufficiale dei Giochi Olimpici di Sydney 2000, Atene 2004, Torino 2006 e Pechino 2008. E saremo protagonisti anche ai prossimi mondiali del Sud Africa, dove allestiremo i centri di preparazione atletica di 16 delle 32 squadre partecipanti». Come si coniugano l’imprenditorialità e l’impegno sociale? «Attraverso “Technogym Social Choice” realizziamo numerosi progetti per migliorare la capacità motoria di anziani e disabili. Un ruolo sociale che mi ha condotto, già nel 2003, alla NEL MONDO costituzione della Wellness Foundation che fra Il numero di persone le proprie attività sociali include anche l’innoche ogni giorno vativo progetto di integrazione tra la cultura si allenano utilizzando aziendale e quella del territorio: la Romagna attrezzature come wellness valley, modello di riferimento inTechnogym ternazionale da esportare per la qualità della vita, la prevenzione per la riduzione della spesa sanitaria e lo sviluppo produttivo economico».

15 mln

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COMMERCIO

S

ono la versione petroniana di via Monte Napoleone o via Condotti: via Farini e Galleria Cavour ovvero lo shopping di rango. Da Louis Vuitton a Gucci, da Tiffany a Bulgari. Da Armani a Hermes a Yves Saint Laurent. «È la zona della gamma alta dove sono entrate la catene, in buona parte, internazionali. Avviene in molte città – osserva Enrico Postacchini, presidente Ascom Bologna, l’associazione che sotto le Due Torri riunisce i più bei nomi della moda (e non solo) –. Di norma, sono le aree più curate e meglio tenute perché, in genere, queste griffe si portano dietro una serie di investimenti cospicui». Di norma appunto. Perché l’eccezione è sempre in agguato. Ed è proprio a Bologna. Escludendo Milano o Roma, in pratica un altro pianeta commercialmente parlando, ma puntando il riflettore su Verona, «città di seconda fascia che se la gioca un po’ con noi», colpisce come, nella città di piazza delle Erbe, la situazione sia «molto meglio di Bologna perché lì le amministrazioni, di qualunque colore, hanno fatto una scelta: si sono preoccupate di premiare gli investimenti operati dai gruppi. I quali, quando scelgono una città, ne valutano una serie di caratteristiche, dalle fiere al turismo di affari, tali da giustificare l’intera operazione». E questo non è avvenuto anche per le Due Torri? Di certo qui le grandi case di moda non mancano. «Senza dubbio, ma la città è stata, in qualche modo, sopravvalutata. Forse si pensava che, alla luce di questi investimenti, potesse reagire se non di più almeno quanto Verona o Brescia. Dove le aree dell’alta gamma hanno fatto un salto qualitativo. Lì i grandi gruppi non solo sono rimasti, ma sono proliferati. A Bologna, no. Molti hanno aperto e poi sono tornati a casa. Forse si aspettavano risposte maggiori. Bologna segna il passo». Si riferisce forse ai graffiti sui muri, a una mobilità asfittica, a un arredo urbano inesistente, per non parlare del forte senso di insicurezza? 54 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

Enrico Postacchini, presidente Ascom Bologna

Griffe: Bologna segna il passo Sotto le Due Torri, molti grandi gruppi hanno aperto e poi sono tornati a casa, rileva il presidente dell’Ascom Enrico Postacchini. Al contrario a Verona, la situazione è «molto meglio perché lì le Amministrazioni hanno premiato gli investimenti dei gruppi» Alfonso Pellicola


Enrico Postacchini

«Le fioriere sono l’ultimo problema. Qui, in un certo qual modo, è sfuggita di mano la situazione. Soprattutto nella zona dell’alta gamma. Insomma si è perso un po’ il filo. E noi l’abbiamo sottolineato. Ad esempio, nel Quadrilatero i grandi gruppi trovano la location giusta. Con metrature importanti, ma il ritorno al metro quadro non è proporzionato. Va compreso che, quando Bologna diventa piazza appetibile per queste importanti realtà imprenditoriali, è un bene per la città, per la nostra economia perché, se non ci fossero, i negozi sarebbero vuoti. Ci sarebbe ancora più degrado. La griffe alza il livello». Ma così si uccide la bottega storica strangolata dai costi di gestione in crescita vertiginosa, a partire dagli affitti esorbitanti. «Gli strumenti in campo a loro tutela ci sono tutti. Dalle agevolazioni ai finanziamenti a tasso zero. È che non basta. Perché le proprietà, che hanno avuto una domanda esagerata, sono disposte ad aspettare, anche tenendo vuoto il locale, fino a che non arriva quello giusto».

È tutto inespresso perché è tutta la città che fa fatica ad arrivare al break even. C’è un sistema che in qualche modo ha messo la terza, invece, della quarta. Lavora a basso regime

EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 55


COMMERCIO QUADRILATERO COMMERCIALE: OCCORRE UN PIANO DI RILANCIO L’Antico Mercato di Mezzo, il cuore commerciale petroniano, soffre. Degrado e mobilità in affanno da un lato. Centri commerciali e outlet dall’altro sono, per Nerio Nani presidente del Consorzio dei commercianti del Quadrilatero, all’origine della malattia l commercio, sotto le Due Torri, è nato lì fra piazza Galvani e piazza Ravegnana. Due estremi, in passato già sede di mercato, che racchiudono l’Antico Mercato di Mezzo, modernizzato in Quadrilatero, «il più grosso ipermercato della città con un’offerta di prodotti che difficilmente la si può riscontrare altrove». Nerio Nanni il Quadrilatero lo vive. Sia perché presidente del consorzio che riunisce le circa 300 attività che vi operano, sia perché esso stesso titolare della secolare libreria Nanni sotto il portico della Morte. E quindi in pieno Mercato di Mezzo. Quadrilatero: una manciata di metri quadri in forte sofferenza «a causa del degrado, delle problematiche legate alla mobilità e alla mancanza di parcheggi». E perennemente sotto scacco degli affitti esorbitanti, una corsa, anzi una rincorsa che «an-

I

drebbe frenata normativamente, creando delle barriere. Perché se è solo il mercato a dettare le cifre, i grandi Gruppi saranno sempre favoriti e potranno occupare sempre le location più appetibili. Mentre invece le amministrazioni – osserva il presidente del consorzio –, il cui compito sarebbe di salvaguardate la tipicità e l’identità dei centri storici, dovrebbero far sì che ci fossero dei parametri che consentissero alle botteghe storiche di sopravvivere». Altrimenti, come è avvenuto in questi anni, si assiste ad una morìa di attività centenarie. Il Quadrilatero è, dunque, un luogo con un’identità da difendere perché «l’aggressività delle nuove attività, dalle grandi catene alle jeanserie fino ai fast food che qui aprono i battenti, ha portato un po’ a snaturare quella vocazione prettamente

commerciale preservatasi nei secoli». Nel Mercato di Mezzo, ricorda Nanni, «sono rimaste le vecchie attività alimentari come le antiche beccherie o le pescherie. Ma la cosa bella, che è anche la sua peculiarità, è che queste botteghe coesistono con le griffe più prestigiose. A cinquanta metri dalla pescheria troviamo Chanel, le gioiellerie. Questa varietà di offerta è la forza del Quadrilatero». Shopping, ma non solo. «Non possiamo vedere il Quadrilatero solo come un posto dove si va a fare la pesa. Perché è anche luogo di università, di banche, di antichi ospedali e di musei». Insomma di cultura. Ecco perché, sollecita Nanni, per quest’area andrebbe pensato un progetto organico di rilancio. «Bisogna creare un sistema di promozione dell’immagine. Come fanno in moltissime altre città e che a Bologna, forse,

E quindi come se ne esce? «Per esempio con un fondo pubblico-privato volto ad abbattere il peso delle locazioni per le attività “multi brand” che fanno ricerca di nuovi marchi». I colossi della moda cosa vi chiedono, dunque? «Di fare scelte più strutturate, più tecniche. Ci portano i riferimenti che hanno sulle altre piazze del mondo dove lavorano in un contesto urbano spesso più favorevole. Qui appunto non c’è lo stesso tipo di risultato. Per cui noi sollecitiamo le amministrazioni comunali a intraprendere i passi per mantenere questo sistema». A Palazzo d’Accursio, però non andate con le mani vuote. «Abbiamo portato proposte concrete: il progetto di una città basata sull’attrattiva commerciale. Abbiamo indicato, dall’A alla Z, ciò che va fatto: parcheggi al massimo a 300-400 metri dalle zone di interesse; parcheggi pertinenziali da 60 a 200 posti da ricavare in 60 aree sia esterne che centrali. Sul fronte mobilità, 56 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

8 mila ATTIVITÀ

Le realtà commerciali associate ad Ascom sotto le Due Torri


Enrico Postacchini

un po’ manca». Una strategia che deve fare i conti, in modo lucido, con una constatazione: «Noi siamo stati penalizzati dall’avvento della grande distribuzione che, di fatto, ha ammazzato le attività del centro perché gli investimenti più importanti, in termini di parcheggi e mobilità, sono stati fatti per loro». Così facendo si sono creati dei modelli di comportamento difficili ora da ribaltare. Sotto le Due Torri, si è soliti dire “Andiamo in piazza”, ma ora, in virtù dell’avvento di centri commerciali e outlet, «si sono creati differenti modelli di comportamento nello shopping. E ritornare indietro, è molto difficile. Soprattutto quando si sono distrutti i piccioli negozi non più in grado di sopportare una concorrenza così forte». Ciò «è successo anche qui». Ecco perché si deve lavorare ad ampio raggio, facendo leva sulle caratteristiche del Quadrilatero. Dallo shopping al commercio alla cultura. E poi «investimenti anche in termini di illuminazione, pavimentazione e telecamere. È una vita che chiediamo l’installazione di telecamere permanenti. Così come abbiamo contribuito, insieme al Comune, per la realizzazione di nuove illuminazione. I commercianti non si sono mai tirati indietro, finalizzando il loro impegno a riportare la gente in piazza» affinché Bologna non muoia.

presupponiamo un alleggerimento del traffico pubblico che non farà più capolinea sotto le Due Torri; i grossi autobus non arriveranno più in piazza, ma si fermeranno alle porte per tornare indietro. Da lì partiranno delle navette affidate a cooperative private. E poi c’è l’arredo urbano da rifare e da mantenere, la pulizia della città, l’illuminazione. Per non parlare del piano accoglienza: come attirare i turisti». E i graffiti che imbrattano ogni centimetro quadrato di muro in centro e in periferia? «Ascom è l’unica a essere partita davvero. Abbiamo già pulito parte del Quadrilatero e piazza Aldrovandi». La sicurezza è l’altra nota dolente? «Stiamo lavorando alla messa a norma di tutte le attività commerciali con i sistemi di videosorveglianza digitale ad alta definizione. L’investimento sarà a carico dei privati con contributo a fondo perduto della Camera di Commercio e il residuo a finanziamento agevolato. Mettere le telecamere dentro e fuori le attività automaticamente rinnova tutto il parco delle telecamere su strada».

Gli strumenti a tutela delle botteghe storiche ci sono tutti. Dalle agevolazioni ai finanziamenti a tasso zero

Guardando nel complesso a tutto il centro, rilevate delle potenzialità ancora non sviluppate? «È tutto inespresso perché è tutta la città che fa fatica ad arrivare al break even. C’è un sistema che in qualche modo ha messo la terza, invece, della quarta. Lavora a basso regime. È un sistema che non ha mai goduto, a dispetto di altre città, di flussi straordinari di clientela. Oggi non si possono più fare investimenti volti soltanto alla clientela locale. Non basta. Le attività di una certa dimensione reggono solo se hanno un sistema di flusso di persone extra residenti». EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 57


COMMERCIO

Il lusso sotto le Due Torri Nella Dotta, l’eleganza abita in Galleria Cavour «grazie al costante lavoro di più persone», spiega Leopolda Sassoli de’ Bianchi. La cui arma segreta, rivela Paride Ursino, presidente del Consorzio, «è di sapersi reinventare» Sabrina Mobili

L’ Sopra, la Galleria Cavour. Nel riquadro, la kermesse “Giardini e Terrazzi” che ha trasformato Galleria Cavour in un roseto fiorito

ultima stella a luglio. Quando Prada e Miu Miu sbarcheranno nel firmamento dello shopping sotto le Due Torri: Galleria Cavour. Da Louis Vuitton a Fendi, da Cartier a Gucci: non c’è griffe dell’haute couture che non abbia casa in Galleria, il cuore extralusso del Quadrilatero. «Il livello della Galleria è frutto del costante lavoro di più persone», rivela Leopolda Sassoli de’ Bianchi in qualità di amministratore della proprietà Sassoli. Una sorta di task force con le antenne tese, attenta a captare «le tendenze di altre “grandi” strade sia, in Italia, come via Montenapoleone a Milano o via Condotti a Roma sia, all’estero, come la Quinta Avenue a New York». E prestare massima attenzione a ogni più piccolo dettaglio. A cominciare dagli addobbi floreali. Così da rendere la Galleria immune da quel degrado che, invece, imperversa nel centro storico. «Qui – prosegue Sassoli de’ Bianchi – non ne abbiamo mai sofferto perché siamo stati sempre molto attenti a curare in maniera ordinata la galleria. Se compariva qualche graffito veniva prontamente eliminato». Quanto poi alla sicurezza, notata la sensazione

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di paura di chi vuole fare quattro passi, «abbiamo rafforzato la vigilanza privata. E, in sinergia, con il Comune abbiamo aperto un tavolo per segnalare il disagio. Così i bolognesi possono venire in Galleria per fare una passeggiata in tutta tranquillità, senza intaccare il piacere di frequentare questo luogo» tra caffè, ristoranti e grandi firme dell’alta moda. A far battere, però, il cuore della Galleria è il Consorzio delle attività che qui hanno la loro vetrina. Una realtà presieduta da Paride Ursino, la cui sfida quotidiana è il saper «reinventarsi», cogliendo le opportunità che «ci permettono di mantenere inalterati gli standard del lusso e ottenere così degli ottimi risultati». Ma è soprattutto il «lavoro sui servizi offerti che fa la differenza – osserva il presidente del Consorzio – e che fa si che un cliente non solo torni nelle nostre boutique, ma che, entrando in Galleria Cavour, abbia subito la percezione di trovarsi sempre nel cuore culturale pulsante della città. Infatti, in questi anni, ci siamo sempre contraddistinti per le anteprime, cercando di essere sempre attenti a ciò che culturalmente Bologna offre». Ecco, quindi, l’intervista-dibattito a Mo-


Galleria Cavour

ses Pendleton, il padre dei Momix o l’inserimento nel circuto Art First Off con istallazioni ad hoc in occasione di ArteFiera. Aprirsi alla città è, dunque, l’input di questo regno del lusso sempre molto appetito dai big che, rileva Ursino, «quando decidono di aprire il proprio punto vendita a Bologna e vogliono avere successo, non hanno luogo migliore in cui farlo se non in Galleria, il cui valore aggiunto rispetto a via Montenapoleone o via Condotti, è che è l’unica galleria “commerciale” italiana, forse anche europea, che accolga al suo interno i più importanti marchi della moda internazionale per di più in pieno centro storico, una location naturale protetta da antichi palazzi che riesce ad essere palcoscenico interattivo culturale con la città». Certo non mancano criticità. Per Ursino, la «Galleria ha ancora molte potenzialità inespresse. Il mio sogno è pensarla come una grande scatola magica dei desideri in cui rilassarsi (magari in una Spa), fare shopping, godersi una mostra e magari rilassarsi tra il verde di un giardino segreto. Il nostro obiettivo è continuare nell’ottica di un’apertura nei confronti

della città e delle istituzioni e soprattutto nel servizio da offrire ai nostri clienti che sono un bene prezioso da “coccolare e viziare”». Senza dubbio, per continuare a dare lustro a questo gioiello del tessuto economico cittadino, «occorrerebbe che l’Amministrazione la immaginasse come uno spazio culturale a disposizione della città e dei turisti, inserendolo nei percorsi turistici dello shopping – auspica il presidente –. Ciò non significa “globalizzare”, bensì immaginare Bologna in un’ottica di offerta non solo culinaria, ma aprirla a un turismo internazionale e farne assaporare l’enorme patrimonio artistico e culturale. Se andassi a Londra non potrei pensare di non andare da Harrods o Fortnum & Mason e a Parigi alla Galeries La Fayette. Fanno parte di un percorso obbligato». EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 59



• MAURIZIO MARCHESINI Presidente di Unindustria Bologna

• SERGIO GIGLIO Presidente di Confindustria Piacenza

• GIOVANNI TORRI Presidente di Confindustria Forlì-Cesena

• PIETRO FERRARI Presidente di Confindustria Modena

• PIERO PUGLIOLI Presidente di Confindustria Ferrara


CONFINDUSTRIA

Costruttori di prototipi N

on possiamo dire di esserci ancora messi dietro le spalle la crisi - spiega il presidente di Unindustria Bologna, Maurizio MarcheNon si può ancora parlare di crisi superata, sini - perché i segnali di ripresa che si affacma sono stati registrati risultati incoraggianti ciano sono ancora troppo timidi e discontinui per parlare di una netta inversione di tentra le imprese del territorio bolognese. denza». Nonostante tutto, però, «la ripresa si Maurizio Marchesini, presidente di Unindustria va consolidando, ma restano zone d’ombra fa il punto della situazione che purtroppo sono destinate a produrre i loro effetti sull’occupazione». Non tutte le Nike Giurlani imprese e, non tutti i settori, hanno risentito allo stesso modo della crisi. «Ci sono comparti dell’imprenditoria bolognese, come, ad esempio, quello del packaging, che hanno tenuto meglio di altri, sia in termini di export che di fatturato e di occupazione e si stanno mostrando più reattivi nel cogliere la ripresa». Come si sta muovendo Unindustria insieme alle industrie bolognesi in questa fase di uscita dalla crisi economica? «Stiamo sostenendo le imprese su più fronti, in vista della ripresa e per il rafforzamento della competitività. Innanzitutto l’innovazione, sia a livello di prodotto che di processo, ma anche messa la fuoco di nuove modalità di internazionalizzazione e di presenza sui mercati esteri emergenti. Inoltre, stiamo lavorando sulla capacità di trovare linguaggi nuovi e più efficaci per comunicare al mondo la qualità dei nostri prodotti e dei nostri servizi». E per quanto riguarda l’accesso al credito? «Da mesi ci stiamo adoperando perché non venga meno la liquidità in questa delicatissima fase, sia con importanti progetti messi a punto con un pool di istituti di credito, sia affiancando le singole aziende nel loro dialogo con le banche, sia, infine, con la creazione di un osservatorio banche». Un altro aspetto importante è sicuramente quello delle aggregazioni. 66 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010


Maurizio Marchesini

A sinistra il presidente di Unindustria Bologna, Maurizio Marchesini; a destra, la sede di Unindustria a Bologna

«La selettività della crisi ha posto in primo piano la questione della dimensione. Unire le forze è diventata la parola d’ordine. Per essere competitivi sui mercati internazionali occorre una struttura patrimoniale robusta e una capacità di integrare competenze diverse, ma complementari. Riguardo questo aspetto, con il sostegno di Unindustria, sono state create recentemente IS Bologna, 01 Wiring, ReteICT e, ultimo nato, RaceBo, primo contratto di rete in Italia tra le imprese manifatturiere, costituito da aziende dell’automotive». Quali interventi chiede Unindustria Bologna al Governo? Quale dovrà essere il ruolo degli imprenditori? «Siamo perfettamente allineati con le richieste del nostro presidente nazionale Emma Marcegaglia. Il Governo dovrebbe intervenire a sostegno dell’innovazione e nell’abbassamento della pressione fiscale sulle imprese, il prima possibile e, non appena il quadro macroeconomico e della finanza pubblica lo renderà fattibile. Quello del fisco è un tema che ci sta particolarmente a cuore e su cui ci siamo spesi anche a livello territoriale. Abbiamo presentato, infatti, una serie di proposte di politica fiscale e di gestione delle entrate per la città metropolitana di Bologna, con l’obiettivo di avviare un processo di rinnovamento in attuazione del federalismo fiscale. Inoltre abbiamo invitato le amministrazioni locali a lasciare invariato o ad abbassare il livello di imposizione fiscale sulle imprese. Un’altra spina nel fianco è la burocrazia, che rappresenta per le imprese un vero e proprio costo occulto, e va urgentemente

semplificata nel suo iter». Quali sono le prospettive per il futuro? «L’industria bolognese è legata alle produzioni ad alto valore aggiunto, perché abbiamo una naturale e storica propensione verso l’innovazione insieme alla capacità di progettare e trovare soluzioni personalizzate a cui applicare tecnologie sofisticate. Infine, disponiamo di risorse umane qualificate e specializzate che rappresentano un prezioso capitale per le nostre imprese. Dobbiamo, quindi, diventare “costruttori di prototipi”, cioè un punto di riferimento nel mondo per soluzioni e prodotti innovativi, portatori di quel know how tecnologico, di quella intelligenza e di quelle specializzazioni che sono un tratto distintivo del nostro fare impresa». EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 67


CONFINDUSTRIA

Rispettare l’ambiente per il bene comune

L’

Sotto, il presidente di Confindustria Piacenza, Sergio Giglio

Europa, attraverso lo Strategic energy tecnologies plan (Set plan), ha dato il via a un programma su cui vuole suscitare investimenti in ricerca e innovazione circa le energie rinnovabili per cinquanta miliardi di euro in dieci anni. Un passo in avanti enorme verso quella che è la dimensione del futuro. La strada da percorrere per raggiungere questo importante fine è quella della collaborazione e dei grandi programmi aggregativi, eliminando sovrapposizioni di competenze e stabilendo piani di lavoro precisi. A Piacenza hanno compreso bene tutto ciò, come spiega il presidente degli industriali piacentini Sergio Giglio. Come agiscono le imprese piacentine nei confronti del rispetto ambientale? «Le imprese piacentine sono state molto sensibili al rispetto ambientale. Anche oggi che è un

Il rispetto ambientale deve essere condiviso da tutti. Gli imprenditori piacentini hanno compreso l’importanza della questione, da un punto di vista sia del benessere cittadino sia dell’attrattiva sul mercato. La testimonianza di Sergio Giglio, presidente di Confindustria Piacenza Simona Cantelmi

momento di grande crisi in cui l’investimento per la parte ambientale potrebbe sembrare quasi superfluo, invece si continua a investire perché l’ambiente è un bene per tutti. Molte volte le aziende piacentine mettono a punto dei prodotti che hanno proprio come caratteristica la salvaguardia ambientale, quindi sono anche più appetibili sul mercato». Come vede la situazione del Lambro ora? «Il Lambro per noi incide in quanto arriva nel Po. C’è stato il grande problema dello sversamento del prodotto petrolifero, però è stato risolto e non dovrebbe più danneggiare le falde acquifere e alcune produzioni industriali agricole che potevano essere influenzate da tale problema». Confindustria Piacenza ha organizzato un seminario di approfondimento sui contenuti della nuova direttiva regionale in mate-


Sergio Giglio

15 mila

LAVORATORI

ria di emissioni in atmosfera. Com’è andata tale iniziativa e cosa pensa su questo tema? «Il seminario è nato grazie soprattutto alla sensibilità e alla ricerca fatta dagli imprenditori che hanno voluto capire quale impatto poteva avere questa nuova direttiva. I nostri uffici, cui è deputato il compito di verifica di tale nuova normativa e di divulgazione agli associati, hanno recepito le istanze di richiesta di chiarimenti da parte degli imprenditori. È dal 1968 che le imprese piacentine partecipano con un contributo all’amministrazione provinciale di Piacenza per controllare aria e altre emissioni tramite il sistema di monitoraggio, proprio perché i dati sono importantissimi per valutare l’impatto sull’ambiente. Un altro stimolo che viene dalla provincia riguarda le infrastrutture». In che senso? «Esse, paradossalmente, possono aiutare l’am-

Gli occupati del settore delle energie rinnovabili, secondo le ricerche di Asso Energie Future

165 KM

Il tronco TorinoPiacenza dell’Autostrada A21 Torino-Brescia costituisce un collegamento tra il Piemonte occidentale e l’Autostrada del Sole e segue di massima il tracciato della SS 10 Padana Inferiore

biente, perché Piacenza è un collo di bottiglia, l’autostrada passa in mezzo alla città e non è dotata di un collegamento Fiorenzuola-Castel San Giovanni che permetterebbe lo sgasamento della città. Abbiamo sempre chiesto il secondo ponte di Trebbia perché questo vorrebbe dire non far passare quarantacinquemila veicoli al giorno sul comune di Rottofreno. Le infrastrutture ben progettate e ben congeniate, quindi, potrebbero avere questa valenza di aiuto all’impatto ambientale. Le infrastrutture sono ancora incomplete, come la tangenziale, poi c’è l’esigenza di avere una metro leggera, parcheggi. Piacenza deve decidere se essere città dormitorio nei confronti di Milano o di supportarne lo sviluppo. La logistica esige oggi una regolamentazione non rinviabile. Occorre far spazio alla città che vive». Quali sono le iniziative che Confindustria EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 69


CONFINDUSTRIA

GREEN ECONOMY, SCELTA VINCENTE

L

a crisi economica sembra lentamente passare, ma i suoi effetti si fanno ancora sentire, soprattutto nella provincia di Forlì-Cesena, dove nei mesi di gennaio e febbraio di quest’anno la cassa integrazione è costata ben 28 milioni di euro, con tanti lavoratori costretti a rimanere a casa. È Confindustria Forlì-Cesena ad aver denunciato questi dati, ricavati attraverso un’indagine realizzata intervistando gli industriali della provincia sull’andamento rilevato nel semestre precedente e sulle previsioni su quello in corso. Il calo dei fatturati è rilevante nel Cesenate (-20%), minore nel Forlivese (-6%). Anche l’occupazione, purtroppo, è in calo (-2,4%). «È la prima volta che nel nostro territorio alla crisi produttiva si è sovrapposta la crisi

finanziaria – dichiara il presidente di Confindustria Forlì-Cesena Giovanni Torri – provocando danni rilevanti. Inoltre c’è l’aumento del costo del petrolio e dei suoi derivati e dei materiali dell’edilizia, e ciò di certo non aiuta. Si tratta di una vera emergenza e tutti si stanno rimboccando le maniche e tirando la cinghia». Sicuramente cercare soluzioni nuove può aiutare. Le aziende che investono nell’innovazione e fanno rete fra loro, infatti, riescono a stare bene sul mercato anche nella difficoltà, cercando anche di intercettare quelle possibilità di mercato fruttuose. Non per niente è il settore della cosiddetta “green economy” a essere quello che promette meglio, come testimoniano le aziende intervistate da Confindustria.

Anche in questo momento di crisi in cui l’investimento per la parte ambientale potrebbe sembrare superfluo, invece si continua a investire perché l’ambiente è un bene per tutti 70 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

ha in programma assieme alla Provincia per la qualità dell’aria? «Le nostre industrie sul valore di emissione nell’aria sono sempre risultate, come sostiene l’Arpa, nei valori ottimali previsti dalle normative vigenti. Abbiamo una continua collaborazione con l’assessorato all’ambiente, oggi rappresentato dall’assessore Allegri, per dare, anche nei programmi che riguarderanno anche il Ptcp (piano territoriale di coordinamento provinciale), una serie di proposte provinciali di continuo controllo e di rifornimento dati che vengono forniti dalla nostra organizzazione alla provincia». Come procede la promozione del fotovoltaico? «Il fotovoltaico sta andando molto bene. È appena stata autorizzata la realizzazione di un impianto fotovoltaico da un megawatt e mezzo. Proprio su questo tema abbiamo da poco promosso un convegno al Politecnico di Piacenza». L’attenzione alla questione ambientale ha quindi vari aspetti. «L’energia rinnovabile è un elemento, il risparmio energetico un altro, il risparmio delle emissioni un altro ancora, su cui occorre impegnarsi bene e con costanza. Ritengo anche che il nucleare sarà molto importante perché l’energia rinnovabile non potrà da sola essere sufficiente a sostenere tutti i consumi».


Pietro Ferrari

Le imprese devono pensare in grande I valori e l’etica delle piccole aziende vanno protetti, però queste non devono chiudersi nella loro realtà ma mettersi in rete e crescere, per navigare meglio nelle difficili acque del mercato globale. Parola di Pietro Ferrari, presidente di Confindustria Modena Simona Cantelmi

R

ivolgersi ai mercati esteri, soprattutto quelli emergenti, può essere un’importante possibilità di sviluppo, non solo per la singola impresa, ma anche per il territorio che la ospita. L’internazionalizzazione è certamente uno strumento per allontanare le difficoltà della recessione economica. «Il territorio modenese è da sempre vocato all’internazionalizzazione – spiega l’ingegner Pietro Ferrari, presidente di Confindustria Modena – tanto che nel 2008 abbiamo esportato per oltre 12 miliardi di euro, purtroppo abbiamo perso nel 2009 2 miliardi e 750 milioni. Questo non vuol dire che il territorio modenese non esporti più, ma resta uno dei punti di riferimento, fra i dieci o quindici locomotori del Paese per quanto riguarda l’internazionalizzazione. Le aziende si sono dotate di reti commerciali capaci di andare nelle parti del mondo dove i nostri manufatti sono più richiesti. Le imprese modenesi si sono rivolte ai partner storici, cioè Germania, il nostro primo paese

per esportazione, e Francia. Questi Paesi con la crisi hanno, però, ridotto l’import, di conseguenza le aziende locali stanno rivolgendosi ai mercati emergenti». Ciò non significa, però, che tali mercati emergenti, tra cui India e Cina, abbiano assorbito quello che mancava dal centro Europa, come tiene a precisare Ferrari. «La concentrazione di export è costituita principalmente dai territori del mercato comune per quantità e qualità di beni. La perdita su tali zone non è compensabile, perché l’export in occidente è circa il 53%, contro il 4-5% dell’export negli altri Paesi, quindi non c’è e non può esserci compensazione. È chiaro però che la crescita di questi paesi orientali va osservata con attenzione

A sinistra, Pietro Ferrari presidente di Confindustria Modena; sopra, lavoratori in Cina; nella pagina seguente, Bombay


CONFINDUSTRIA

per assicurarsi una fetta di mercato importante».

6,147 mila EXPORT

Valore delle esportazioni della provincia di Modena (gennaio-settembre 2009), secondo le elaborazioni Centro Studi e Statistica CCIAA Modena su dati Istat

Naturalmente i nuovi mercati internazionali possano rappresentare col tempo un’ulteriore possibilità di crescita per l’export italiano, grazie anche a un dispendio di investimenti importante. I rapporti con i partner stranieri, o potenziali tali, non vanno lasciati al caso, ma preparati e organizzati in missioni precise. «Spesso avviene che ci muoviamo seguendo contatti selezionati, perché le missioni generiche non portano a risultati concreti. Poi abbiamo la necessità – prosegue Ferrari – che gli incontri fatti all’estero vengano poi riportati con gli interessati qua in Italia. Ad esempio, capita che si vada in Cina, poi i buyer cinesi vogliono venire in Italia a conoscere personalmente le realtà». C’è un aspetto che sta particolarmente a cuore al presidente di Confindustria Modena, anche perché riguarda profondamente la connotazione del tessuto imprenditoriale emiliano. «Si sbaglia a enfatizzare il concetto di piccola impresa. Non sto parlando di un valore etico e morale, che c’è in qualunque attività compiuta dall’uomo. Bisogna considerare che la piccola impresa fa fatica in un mercato così ampio e farà sempre più fa-

72 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

La concentrazione di export è costituita principalmente dai territori del mercato comune, però i paesi orientali, in crescita, vanno osservati con attenzione per assicurarsi una fetta di mercato importante

tica, pertanto ritengo che le piccole imprese debbano mettersi in rete, collegarsi fra di loro, creare delle identità che abbiano una dimensione che può sopportare dei costi per avere delle filiali, delle reti commerciali, anche all’estero per esempio. Occorre stare attenti a non enfatizzare troppo la dimensione della piccola impresa. Per fare un paragone cestistico, è come si dicesse di un giocatore di bassa statura: “È alto 1 metro e 50 e avrà un grande successo in serie A”. Non è vero, la taglia minima è 1 metro e 87, se no la palla non la vedi mai. Bisogna capire che enfatizzare la piccola impresa è rischioso perché le piccole imprese devono crescere».



CONFINDUSTRIA

Infrastrutture e opportunità per il turismo Il territorio ferrarese è ricco di eccellenze culturali e paesaggistiche. Occorre che queste siano presentate al meglio ai turisti e facilmente raggiungibili da ogni parte del Paese. È necessario, quindi, un adeguamento della rete infrastrutturale, come sostiene il presidente di Unindustria Ferrara Piero Puglioli Simona Cantelmi

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errara è una città in fermento, propositiva, che durante tutto l’anno, ma soprattutto d’estate, si riempie di visitatori per i numerosi eventi culturali, artistici e musicali. Basta pensare alle innumerevoli mostre programmate al Palazzo dei Diamanti o alla manifestazione agostana e unica nel suo genere del Ferrara Buskers Festival. La città, però, è ancora affetta da carenze croniche, una su tutte riguarda le infrastrutture. Un miglioramento delle vie di comunicazione potrebbe favorire il collegamento fra le varie aree del territorio ferrarese e tra queste e il resto del Paese. Ne parla Piero Puglioli, presidente di Unindustria Ferrara. Quali sono i problemi del settore turistico e come fare per dare impulso a questo e sostenere le aziende che operano in tale campo? «È difficile riassumere in una risposta le difficoltà presenti in un settore di attività che per la nostra provincia potrebbe essere veramente strategico. Si potrebbero creare grandi opportunità, realizzando migliori sinergie fra città d’arte 74 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

A sinistra, il presidente di Unindustria Ferrara Piero Puglioli; sopra, la città di Ferrara; a fianco, tratto della Strada Statale 16


Piero Puglioli

e turismo balneare, oggi ancora poco sfruttate e certamente non favorite da collegamenti non sufficientemente adeguati. Occorre migliorare sia il coordinamento fra pubblico e privato, che porti a una più efficace programmazione delle grandi mostre e degli eventi in generale, sia la collaborazione fra gli stessi operatori turistici. È necessario soprattutto creare un “prodotto Ferrara”, ben definito e riconoscibile». Quali iniziative concrete servirebbero? «Per la costa occorre porre rimedio al diffuso degrado che, dal punto di vista dell’arredo urbano e non solo, colpisce alcune località, e alla cronica mancanza, a livello ricettivo, di strutture alberghiere. Non ho in mano la ricetta magica per migliorare la situazione, ma indubbiamente alcune cose si possono fare. Bisognerebbe semplificare i rapporti fra istituzioni e associazioni imprenditoriali per elaborare azioni d’intervento comuni sul territorio; poi, incrementare la formazione degli operatori, pubblici e privati, per migliorare la cultura dell’accoglienza, e puntare, anche tramite l’Apt regionale, su eventi fie-

-27% OSPITI STRANIERI Sono le ultime rilevazioni della Camera di Commercio per la provincia di Ferrara. Gli ospiti italiani sono 16-18% in meno

ristici europei che evidenzino le peculiarità della nostra provincia. Necessario sarebbe anche investire maggiormente sulle nuove forme di comunicazione, come i social network». Qual è la situazione delle infrastrutture e delle vie di comunicazione fra Ferrara e il resto della regione e altre zone del Paese? «La situazione infrastrutturale nella provincia di Ferrara presenta alcuni elementi di notevole criticità. La Strada Statale 16 che dovrebbe collegare la città con Ravenna, la zona portuale e il locale polo chimico, solo ora comincia a vedere i primi cantieri per i lavori di adeguamento. La bretella Ferrara-mare attende di essere rinnovata e trasformata in autostrada, ma per ora è ancora una vecchia superstrada a due corsie per senso di marcia, senza corsie di emergenza e nessun servizio lungo gli oltre 50 km del suo percorso. La nuova configurazione parrebbe finalmente dare risposta alle esigenze di due centri importanti della vita economica provinciale, cioè i lidi ferraresi e l’area industriale Sipro di San Giovanni di Ostellato». Come migliorare l’autostrada regionale Cispadana? «Questa dovrebbe costituire un importante asse di connessione tra l’autostrada A22 del Brennero e l'autostrada A13 Bologna-Padova, quindi una valida alternativa per le percorrenze autostradali che impegnano la A1. Al momento, però, è ancora un’incompleta strada statale. Rileverei comunque, in questo caso, l’importanza del nuovo progetto regionale che la individua come autostrada regionale. Inoltre vorrei ricordare che ancora non vi è traccia concreta della dorsale europea nord-sud E-55, il cui percorso interessa il territorio provinciale a est, a fianco della trafficata Statale Romea». EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 75


ANIMALI DOMESTICI

Pet economy un settore in salute

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tto milioni e mezzo di famiglie italiane possiedono almeno un animale domestico. Al primo posto troviamo i pesci (35%), perché poco impegnativi da accudire, seguono gli uccelli (28%), i gatti (17%), i cani (16%), sicuramente i più onerosi a livello di tempo e di costi per il loro mantenimento, e per finire i rettili (0,2%) che stanno riscontrando un aumento tra le mura domestiche. Il numero degli animali da compagnia risulta negli ultimi anni in netto aumento in Italia come in tutti i paesi sviluppati, raggiungendo tassi di crescita del 10%. Il giro d’affari che ruota attorno alle esigenze degli amici a quattro zampe dunque è ragguardevole. Dall’ultimo rapporto Assalco, l’associazione nazionale delle imprese per l’alimentazione e la cura degli animali di compagnia, emerge che il settore pet italiano, nel 2009, sia stato uno dei pochi in controtendenza in questi tempi di diffusa difficoltà per il mondo manifatturiero. Per quanto riguarda il mercato alimentare i numeri complessivi si attestano a dicembre 2009 sui 581,2 milioni di euro sul canale specializzato e 909,3 milioni sul canale Gdo, per un totale di 1.490,5 milioni di euro, corrispondenti a 495.800 tonnellate vendute. Ancora una volta la performance nel suo complesso è più che positiva, come dimostra la crescita annuale a valore del segmento dominante degli alimenti cane e gatto pari al +5,9. Diminuiscono le preparazioni fatte in casa. Il 50% delle famiglie, infatti, sceglie cibo industriale, secondo il parere dei veterinari più nutriente e bilanciato. Le spese però non si limitano solo al cibo. I prodotti per l’igiene, il benessere e la cura dei piccoli pet rappresentano una fetta del mer-

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Dai nuovi alimenti biologici agli accessori più ricercati, l’attenzione per gli animali domestici è aumentata costantemente negli anni. Paolo Bacchilega spiega le ultime tendenze in fatto di prodotti per animali Nicolò Mulas Marcello

Sotto, Paolo Bacchilega, titolare del Petmarket Quattrozampe di Bologna


Paolo Bacchilega

È cambiata l’esigenza dei clienti perché cercano prodotti più naturali con meno conservanti chimici e biologicamente più controllati

cato piuttosto consistente per un totale di 420 milioni di euro. Il 25% dei padroni di animali sceglie prodotti di qualità per i propri amici a quattro zampe a volte senza badare a spese nonostante il periodo di crisi e nonostante l’iva al 20% li classifichi come prodotti di lusso. Come sottolinea Paolo Bacchilega, titolare del Petmarket Quattrozampe a Bologna: «Stanno umanizzando molto gli animali quindi vanno cercando i profumi, gli shampoo, gli accessori a livello di abbigliamento, le magliette, le scarpette, il golfino, il guinzaglio alla moda». Il settore degli alimenti per cani e gatti è in continua crescita. Negli anni come è cambiato il mercato? «È cambiata l’esigenza dei clienti “umani” e di

conseguenza anche a quattro zampe perché cercano prodotti più naturali con meno conservanti chimici e biologicamente più controllati. Sono usciti prodotti più controllati, biologici e che soddisfano in parte le esigenze dei clienti». Quali sono i prodotti alimentari che maggiormente vengono richiesti dai clienti? «Per i cani sono richieste più crocchette, mentre per i gatti vanno di più le scatolette di patè o pezzettini di carne. Non ci sono particolari richieste di cibi singolari». Per quanto riguarda prodotti non alimentari quali rivestono il maggiore volume di affari? «Stanno umanizzando molto gli animali quindi vanno cercando i profumi, gli shampoo, gli accessori a livello di abbigliamento, le magliette, le scarpette, il golfino, il guinzaglio alla moda. Stanno sicuramente aumentando i clienti con richieste di questo tipo». Per quali tipi animali domestici in percentuale i vostri clienti vengono ad acqui-

1.490 EURO

L’indotto economico derivato dalla vendita dei prodotti alimentari per animali nel 2009

EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 77


ANIMALI DOMESTICI

UNA GUIDA SICURA

L'

uso del cane guida come sostegno morale e ausilio di mobilità per i non vedenti è antichissimo. Nelle grotte dell’era paleolitica è stato ritrovato un disegno raffigurante un cieco con il suo cane. La storia moderna del cane guida passa attraverso varie fasi nelle quali si cerca di concretizzare l’intuizione che il cane può diventare, se opportunamente istruito, un eccezionale strumento di mobilità. Nel corso degli anni lo studio del comportamento del cane ha permesso l’applicazione di nuovi con-

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cetti riferiti a tecniche educative e di addestramento che si sono evidenziate come le più idonee al raggiungimento degli obiettivi del servizio e soprattutto al rispetto delle peculiarità delle razze impiegate. I principali requisiti del lavoro del cane guida sono il concetto della linea retta, la stima del traffico, la capacità di evitare gli ostacoli, l'iniziativa e obbedienza e il comportamento sociale. L’addestramento base inizia generalmente intorno ai 12 mesi e si protrae per circa 5 mesi; al termine di questa fase il cane viene sottoposto a un ulteriore periodo della durata di 2 mesi di addestramento personalizzato secondo le esigenze di mobilità del non vedente cui sarà successivamente assegnato. Le razze maggiormente impegnate e adatte a questo tipo di attività sono: il Pastore tedesco, il Labrador retriever e il Golden retriever. Per comprendere le difficoltà insite in quest’attività basta pensare che in altri tipi di addestramento si sfrutta il corredo genetico dei soggetti in rapporto all’impiego che di essi si vuol fare, ma non esistendo una predisposizione genetica idonea a soddisfare i requisiti occorrenti per la preparazione del cane guida, l’addestramento viene interamente costruito sfruttando l’equilibrio delle doti caratteriali dell’animale cui viene instillato un crescente senso di responsabilità.

stare prodotti? «Nel mio negozio l’80% dei clienti sono proprietari di gatti, il 15% di cani, di piccola e media taglia poi seguono i padroni di uccellini e di roditori». Vi sono state rivolte richieste singolari da parte dei clienti riguardo ad accessori per i loro animali? «Sono richieste legate soprattutto ai trasportini per poter portare l’animale in moto, un articolo particolare perché solo una o due aziende lo producono e solo per animali di piccola taglia mentre c’è chi ha un cane di media taglia che viene a chiedere questo tipo di articolo. Ci è stato chiesto anche il passeggino come quello per bambini. Sono articoli che cerchiamo di ordinare quando ci vengono richiesti. Le case produttrici si stanno adeguando a questo tipo di domanda. I clienti spesso arrivano già informati sull’esistenza di questo tipo di articoli tramite internet, altri clienti vengono a richiedere se in commercio esiste qualcosa che soddisfi queste loro esigenze».



ANIMALI DOMESTICI

Nuove cure per gli amici a quattro zampe L’attenzione per la salute degli animali domestici è cresciuta nel tempo così come le tecniche veterinarie sempre più attente alle moderne tecnologie Nicolò Mulas Marcello

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a medicina veterinaria ha acquistato nel tempo sempre più importanza anche grazie alla crescente presenza di animali tra le mura domestiche. L’affetto per i piccoli amici a quattro zampe si manifesta sempre più spesso con l’attenzione alla loro salute per qualsiasi piccolo disturbo. Le tecniche veterinarie hanno subito un’evoluzione generale che a cominciare dall’ortopedia hanno fatto passi da gigante raggiungendo grandi risultati che si basano su accurati studi della biomeccanica. Come sottolinea Giovanni Semprini: «Chi oggi affronta un problema ortopedico si avvale di squadra, righello e goniometro o di complessi software dedicati e ragiona in termini di angoli, pianificando gli interventi analiticamente ancora prima di toccare il paziente in sala operatoria». Come è cambiata l’attenzione per la cura degli animali domestici nel tempo? «Si può affermare che l’evoluzione culturale ha portato ad un effettivo avvicinamento delle persone agli animali (una volta il cane stava fuori a fare la guardia, oggi vive molto all’interno della casa) ed una conseguente maggiore attenzione al suo stato di salute. Per fare un esempio potrei ricordare di una signora che un giorno mi telefonò tutta allarmata perché aveva trovato degli strani animaletti che si muovevano sotto le lenzuola del suo letto. Recatomi a casa sua constatai che non erano altro che centinaia di larve di pulci e che il cane dormiva con lei. Oggi infatti si fa molta attenzione al controllo dei parassiti». Ha notato l’aumento di particolari patologie negli animali domestici negli ultimi anni? «Si è assistito a un aumento delle diagnosi di

A sinistra, Giovanni Semprini, medico veterinario di Bologna


Giovanni Semprini

tumore negli animali d’affezione ma si ritiene che derivi più da un aumento della vita media nonché delle capacità diagnostiche a disposizione piuttosto che a problemi ambientali quali inquinamento o altro». Le tecniche veterinarie hanno avuto una grande evoluzione nel tempo. Ci può fare degli esempi? «Sicuramente l’evoluzione delle tecniche veterinarie è visibile nel campo dell’ortopedia, dove oggi tutto è basato sullo studio della biomeccanica. Chi oggi affronta un problema ortopedico si avvale di squadra, righello e goniometro o di complessi software dedicati e ragiona in termini di angoli, pianificando gli interventi analiticamente ancora prima di toccare il paziente in sala operatoria. Altre branche molto evolute sono l’anestesiologia, la diagnostica per immagini e la neurologia, ma in generale si può affermare che l’evoluzione è generale». Chi si rivolge a voi per la salute del proprio animale è sicuramente mosso dall’amore per gli animali, ma vi è mai capitato di dover soccorrere animali maltrattati? «Purtroppo sì, è capitato e si tratta di casi tri-

L’evoluzione delle tecniche veterinarie è visibile nel campo dell’ortopedia, dove oggi tutto è basato sullo studio della biomeccanica

sti, non facili da gestire anche per le implicazioni medico legali relative. Tuttavia i veterinari sono abituati al contatto con il pubblico e dotati in genere di buon senso e disponibilità. Questo porta spesso a trovare soluzioni valide per il benessere dei pazienti». Oltre a cani e gatti a quali altri tipi di animali, anche singolari, avete prestato le vostre cure? «Oggi è difficile parlare di animali singolari vista la varietà di specie che vivono nelle nostre case. Si lavora su un alano di 90 Kg come su un criceto russo di 28 gr (0,028 kg). Direi che la traumatologia può interessarsi anche della tartaruga di 3 kg che passando inosservata, se ne va in terrazza e infilandosi sotto le sbarre della balaustra precipita dal terzo piano danneggiando il cofano dell’auto parcheggiata. In questi casi può essere utile anche una buona assicurazione anche per questi animali».

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Vacanze evento sulle coste della regione L’Emilia Romagna, terra d’innovazione, di eccellenze e di tradizione è la protagonista del mercato turistico. Lo confermano Andrea Babbi, amministratore delegato dell’Apt Emilia Romagna e Alessandro Giorgetti, presidente regionale di Federalberghi Renata Gualtieri

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e località della Riviera dell’Emilia Romagna hanno un denominatore comune identificabile nella capacità di accogliere il turista con cordialità, cortesia e competenza, facendolo sentire al centro dell’attenzione. «Rimini, Riccione e Cattolica, così come Cesenatico – spiega Andrea Babbi, amministratore delegato Apt Emilia Romagna – oltre ad avere spiagge attrezzatissime e disporre di strutture ricettive in grado di soddisfare ogni esigenza, sono ca-

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ratterizzate da locali d’intrattenimento che attraggono migliaia di giovani proponendo novità di tendenza. Le località balneari della provincia di Ravenna si rivolgono a un turismo giovane e hanno grandi spiagge, molte delle quali attrezzate per attività sportive e per l’intrattenimento on the beach». Ma anche Comacchio e i suoi lidi non sono affatto in ombra, si differenziano solo dalle altre località della Riviera per tipologia di turismo, potendo sfruttare un minore numero di


Andrea Babbi, Alessandro Giorgetti

In apertura, il mare di Riccione; sopra, Alessandro Giorgetti, presidente di Federalberghi Emilia Romagna; qui a fianco, Andrea Babbi, amministratore delegato dell’Apt regionale

strutture alberghiere e un maggior numero di strutture ricettive riconducibili a seconde case e case in affitto. «La zona di Comacchio – continua Babbi – in pieno Delta del Po, può contare su un solido mercato turistico legato a camperisti e campeggiatori, potendo usufruire di vaste aree destinate a questo tipo di vacanza, anche per ciò che riguarda le esigenze dei diversamente abili. Non è un caso che in questa zona della Riviera sia nata l’associazione “Village for all”, la prima organizzazione a carattere nazionale che ha realizzato un network di villaggi e campeggi accessibili alle persone con particolari esigenze. I lidi di Comacchio sono anche in grado di proporre eccellenze dal punto di vista enogastronomico, certificate dal marchio europeo Dop e Igp: dalla coppia ferrarese, al dolce pampepato, dalle mille specialità legate all’anguilla al riso del Delta del Po». Al di là delle classifiche e dei primati, per il presidente Federalberghi Emilia Romagna Alessandro Giorgetti, «ci sono località dove c’è più attenzione rispetto per i parchi e una grande offerta per i bambini, perché godono di una clientela familiare, e ci sono località che hanno un forte clamore per la moda, sono molto avanzate e hanno un posizionamento

Per garantire la competitività delle imprese turistiche bisogna puntare sulla valorizzazione dei territori. Qui si gioca la campagna globale e internazionale

più alto. Per garantire la competitività delle imprese turistiche bisogna comunque puntare sulla valorizzazione dei territori. Noi miriamo a promuovere l’immagine dei territori nel loro complesso. È qui, infatti, che si gioca la campagna globale e internazionale. Siamo da sempre la regione dell’innovazione, in continuo work in progress, cerchiamo di essere sempre i primi ma ci devono mettere solo nelle condizioni di poterlo fare». L’impegno di Apt Emilia Romagna si svolge in collaborazione con tutti gli assessorati regionali interessati, in particolare con quelli al Turismo, alle Attività produttive, all’Agricoltura e alla Cultura ma anche agli operatori privati, generando forti sinergie. «Creiamo – precisa Andrea Babbi – un sistema di reazioni in EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 85


TURISMO

597 mila POSTI LETTO

totale posti letto tra alberghi, alloggi privati e campeggi nelle province della riviera adriatica

grado di coinvolgere operatori e amministra-

Sopra, la spiaggia di Comacchio; al centro, spazio giochi per bambini in uno degli stabilimenti della riviera adriatica; in basso, Rimini Tortuga Beach

tori in una prospettiva sussidiaria di sviluppo dell’offerta turistica. La nostra azione si svolge partecipando a fiere e workshop, anche attraverso cofinanziamenti, organizzando educational tour per operatori e stampa esteri, rafforzando l’azione di comunicazione e incentivando l’e-commerce. Attraverso l’utilizzo di testimonial legati al territorio, da Luca Toni a Paolo Cevoli passando per Alberto Tomba, ci proponiamo anche attraverso spot radio e tv di forte impatto. Nel 2008 abbiamo realizzato visitiemiliaromagna.com, il primo portale turistico dell’Emilia Romagna dedicato alle prenotazioni on line e nel settembre 2009 abbiamo creato un portale dedicato al Wine Food Festival che, in due mesi, ha raccolto oltre 1.000 richieste di pacchetti vacanza dedicati all’enogastronomia. In Germania è stato rinnovato il sito www.original-italienisch.de dove è presente una sezione di offerte di soggiorno». Un’offerta dunque adeguata alla domanda, e

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Andrea Babbi, Alessandro Giorgetti

Spiagge attrezzatissime e strutture ricettive per ogni esigenza, locali d’intrattenimento che attraggono migliaia di giovani e novità che fanno tendenza

risorse che non bastano mai. Quelle disponibili dalla regione sono state nell’ultimo periodo usate per il settore nel suo complesso e sono stati utilizzati 8 milioni di euro dalla legge regionale 40 e 25 milioni di euro provenienti dal fondo sociale europeo tra formazione e investimenti strutturali. «Continuiamo a chiedere alla regione – dichiara il presidente di Federalberghi – più attenzione sul tema delle infrastrutture, di rendere più agevoli gli spostamenti all’interno e una forte attenzione alla qualità ambientale che per noi diventa un elemento vincente. Su questo sono fondate tutte le politiche attive che abbiamo messo in

moto con le categorie rispetto all’attenzione all’ambiente, alla mobilità sostenibile e al risparmio energetico. La nostra località, che era la preferita del centro Europa è stata tagliata fuori dalla Tav e dal corridoio dell’Adriatico. Questo per noi è una grande lacuna. Cosi si è esclusi dal sistema europeo e del sistema nazionale del nord. Stiamo andando verso la strada giusta ma occorrono ancora risorse per poter essere competitivi col sistema internazionale». La nuova sfida per Andrea Babbi è rappresentata, invece, dall’Expo 2015 e dalle sue potenzialità in termini di sviluppo per le città d’arte e più in generale per l’offerta turistica regionale. «Bologna può trasformarsi nel fulcro del cosiddetto “prodotto a stella”, vale a dire la vacanza realizzata attraverso il soggiorno in una località base da cui si dipartono una serie d’escursioni, anche a largo raggio. Va poi monitorato con attenzione il ruolo che la nostra Riviera potrà avere in futuro nell’ambito dell’attività crocieristica, grazie anche al nuovo terminal crociere del porto di Ravenna a Porto Corsini. Non mancano le motivazioni per rendere sempre più protagonista del mercato turistico l’Emilia Romagna, una regione che per promuoversi punta su elementi innovativi pur non tradendo la propria storia e la propria tradizione e che si può ormai considerare la regione-evento italiana». I turisti stranieri provenienti da Germania e Russia sono quelli che maggiormente prediligono le coste emiliano romagnole. «Ci scelgono – conclude Andrea Babbi – per la qualità delle nostre proposte che tiene conto anche della convenienza e della trasversalità delle nostre eccellenze: l’enogastronomia, ad esempio, è il fil rouge di molte offerte turistiche. Lo abbiamo verificato attraverso il grande successo della prima edizione di Wine Food Festival: con i suoi 44 appuntamenti per i turisti del gusto, è nato per valorizzare il nostro ricco patrimonio enogastronomico, coprendo un periodo dell’anno, quello autunnale, da valorizzare ulteriormente, anche vista la ricchezza culturale e naturalistica del territorio». EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 87


TURISMO

Mare e turismo d’arte ma pochi alberghi Molti appartamenti, case-albergo e ottimi campeggi, fiore all’occhiello a livello nazionale ed europeo, pochi gli alberghi». Nicola Castaldi, presidente del Sindacato provinciale albergatori di Ferrara sottolinea le carenze del settore e gli aspetti da migliorare Renata Gualtieri

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n territorio estremamente variegato, moderne e accoglienti località balneari. Coste di sabbia finissima meta perfetta per le vacanze di un’intera famiglia, divertimento, attività sportiva per i ragazzi, relax e benessere garantito per tutti. «Ventisette chilometri di costa, tutta attrezzata con sette lidi diversificati l’uno dall’altro, permettono di offrire la spiaggia giusta per genitori e bambini come per le persone che vogliono tranquillità e vivere la natura e per i giovani c’è anche il lido più caotico». Nicola Castaldi, presidente del Sindacato provinciale degli albergatori ferraresi e un’ampia offerta turistica che soddisfa tutte le tipologie di turismo. Q u a l i sono i punti di forza dell’offerta turistica del lit o r a l e ferrarese? 88 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

«Abbiamo dalla nostra parte l’arte culinaria e la possibilità di effettuare un turismo naturalistico tra il Parco del Delta e le valli di Comacchio. Molto importante per il turista è il fatto di avere una proporzione ideale tra lido e spiaggia che permette di evitare il caos. Fiore all’occhiello della nostra proposta turistica è Comacchio, una bella cittadina che merita di essere frequentata sia d’estate che d’inverno». Quali sono le criticità ancora da risolvere per potenziare la proposta delle strutture alberghiere del litorale ferrarese? «Come Federalberghi abbiamo fatto una richiesta all’amministrazione pubblica per una miglioria dell’arredo urbano, cosa che è avvenuta per oltre la metà dei lidi, ma ancora non per tutti. Il turismo è sicuramente condizionato dalla carenza delle strutture alberghiere. Ci sono molti appartamenti, case-albergo e degli ottimi campeggi che sono il fiore all’occhiello a livello non solo nazionale, ma anche europeo. Campeggi che sono stati qualificati tra i primi d’Italia, che lavorano per tutto il periodo e propongono al turista un’offerta completa; alcuni sono dotati anche di strutture che consentono le cure termali interne e quindi sono in grado di soddisfare un po’ tutte le richieste. Quanto alla viabilità

A sinistra, Nicola Castaldi, presidente del sindacato provinciale degli albergatori di Ferrara; in alto, un’immagine di Comacchio


Nicola Castaldi

EMOZIONI TURISTICHE GARANTITE

S

5 mln TURISTI

È il totale delle presenze tra turisti italiani e stranieri nel comune di Comacchio nel periodo gennaio/dicembre 2009

abbiamo chiesto diverse volte che venga risistemato l’asse della statale romea perché comincia ad essere troppo trafficato». Sono previste interessanti novità per l’offerta alberghiera della stagione in corso? «In questo periodo di crisi si valutano le situazioni al momento, andando incontro alle varie esigenze del turismo. Programmare adesso è sempre un po’ difficile. Quando arrivano le varie richieste si cerca di affrontare tutte le varie problematiche che si presentano per incentivare il settore e far trascorrere una buona vacanza a tutti contenendo i costi e proponendo valide iniziative, con una preferenza per gli eventi sportivi». Le prenotazioni delle strutture alberghiere quali segnali danno per la stagione 2010? «I segnali sono abbastanza positivi al momento. È andata bene nel 2009 e si spera che

tabilimenti balneari con strutture adeguate al flusso turistico, personale qualificato e cordiale che negli anni ha saputo plasmarsi alle richieste del mercato turistico». Così Zelio Dario Rondina (nella foto), direttore della sede territoriale dell’Associazione commercianti Comacchio. Cosa spinge i turisti a scegliere i lidi ferraresi? «La bandiera blu d’Europa è garanzia della qualità delle acque, dell’ambiente e dei servizi turistici. Il Parco del Delta del Po, le oasi naturalistiche, le pinete secolari, Comacchio e le bellezze del litorale offrono la possibilità di escursioni di ogni tipo. I ristoranti della zona sono rinomati per le loro specialità e sempre più importanti sono le sagre». Quali sono le novità per il 2010 che interesseranno gli stabilimenti balneari della zona? «Per il 2010 gli stabilimenti balneari prevedono strutture e servizi confortevoli, per fidelizzare gli ospiti e rendere il servizio sempre più innovativo: linea wi-fi sotto l’ombrellone, corsi di ballo, laboratori di biologia marina per bambini con lezioni sul Parco Delta del Po e la sua fauna, birdwatching, serate sull’alimentazione per celiaci e sul biologico, happy hour, iniziative promozionali come “Emozioni Turistiche Garantite”, in collaborazione con la Camera di Commercio di Ferrara». Quanto è ancora necessario investire per avere strutture che rispondano alle esigenze di tutti? «La qualità delle strutture e dei servizi è ottima e in continuo miglioramento; gli operatori sono attenti al rispetto ambientale e allo sviluppo del turismo ecocompatibile con costruzioni che impiegano materiali di bioedilizia e impianti volti al risparmio energetico».

anche questo anno avvenga lo stesso. Si lavora con i mercati stranieri, con i paesi dell’Est e molto con la Germania. I periodi diversi di ferie quindi portano a un allungamento della stagione. Luglio è ancora un mese un po’ penalizzato, però sarà da valutare in corso di stagione perché, in questa situazione economica, avremo aziende che anticiperanno le ferie e forse ci sarà qualche novità positiva per il turismo». EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 89


CONSULENZA DEL LAVORO

Garanti di imprenditori e lavoratori Giovane, con un’importante quota rosa e costantemente aggiornata. La categoria dei consulenti del lavoro nel parmense rappresenta un perno tra imprese, istituzioni e sviluppo. A parlarne è il presidente del suo Consiglio Provinciale, Stefano Ronchini Andrea Moscariello

Stefano Ronchini, presidente dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro della provincia di Parma www.consulentilavoro.pr.it

90 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2010

artendo dal desiderio dell’ottenimento, prima di tutto culturale, di una nuova riconoscibilità tra gli attori economici italiani, i consulenti del lavoro affrontano uno dei passaggi storici più delicati dal 1979, anno in cui la legge 12 ne istituiva ufficialmente la professione. E mai come oggi sono le sedi provinciali, vero perno tra le peculiarità locali e le direttive del Consiglio Nazionale, a dover filtrare le necessità e le prospettive del mondo del lavoro. Non è un caso che la sede di Parma, da sempre una delle provincie più dinamiche e forti del Nord Italia, si stia dimostrando sempre più impegnata nel tentativo di rafforzare le competenze dei suoi rappresentati. Il suo presidente, Stefano Ronchini, traccia un primo, importante bilancio, relativo a questi primi trent’anni. «La nostra categoria dimostra di essere in continua crescita, gode di grande considerazione e di stima da parte della Pubblica amministrazione, in particolare dal Ministero del Welfare, ma più in generale da tutte le parti sociali che sono coinvolte nel mondo del lavoro». In tutto, in Italia sono circa 24mila gli iscritti agli ordini provinciali, i quali assistono oltre un milione di imprese occupandosi di circa 8 milioni di rapporti di lavoro. La sede di Parma rappresenta 204 iscritti e la fisionomia di questo gruppo è sintomo di una realtà decisamente più moderna rispetto ad altre sue “cugine”. «Nella nostra provincia i consulenti sono per la maggior parte giovani di età compresa tra i 30 e i 45 anni. E abbiamo una quota rosa in aumento, ormai in rappresentanza del 50% del totale degli iscritti». Soprattutto, in questi trent’anni i consulenti del lavoro hanno saputo imporsi nella vita delle aziende italiane. Fattore

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Stefano Ronchini

NUOVE OPPORTUNITÀ PER I DELEGATI DELLA FONDAZIONE LAVORO La Fondazione Consulenti per il Lavoro opera a supporto dei consulenti e delle imprese per il sostegno dell'occupazione. A parlarne è Pietro Boschi, membro del Consiglio di amministrazione

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on l’entrata in vigore della Legge Biagi e il completamento del pacchetto delle riforme, si è cercato di dare al Paese un mercato del lavoro moderno ed efficiente». A sostenerlo è Pietro Boschi, membro del consiglio di amministrazione della Fondazione Consulenti per il Lavoro. «Per la prima volta sono entrati sul mercato del lavoro soggetti privati chiamati ad affiancare quelli pubblici, con l’obiettivo primario di realizzare un efficace sistema di collocamento, che migliori la capacità di inserimento professionale dei disoccupati e di chi è in cerca di una prima occupazione». Un vero e proprio progetto di intermediazione, quello della fondazione, in cui i consulenti del lavoro dislocati sull’intero territorio nazionale svolgono un’attività di ricerca, selezione e ricollocazione del personale. L’obiettivo della fondazione pone moltissimi professionisti in stretto contatto con le nuove generazioni di consulenti. «Sono molti i giovani che si avvicinano alla nostra professione e che, successivamente, trovano sbocco all’interno della nostra categoria. La preparazione universitaria è insufficiente se non è accompagnata da un periodo

di tirocinio faticoso e intenso, che li deve portare non solo a sostenere l’esame di abilitazione, tra l’altro molto selettivo, ma soprattutto a svolgere un'attività professionale che richiede competenze di alto livello». Soprattutto cosa richiedono i consulenti che si rivolgono alla Fondazione? «I consulenti del lavoro sono professionisti molto sensibili all’evoluzione e ai cambiamenti del mercato. Alla Fondazione chiedono sostegno effettivo alle loro attività e un partner efficiente in grado di fornire servizi e formazione adeguata». Qual è il riscontro raccolto fino ad ora? «L’attività di ricerca e selezione del personale ha mantenuto il trend generale del mercato, con risultati alterni. Per ciò che riguarda la stipulazione di progetti e convenzioni di tirocinio, pur essendo agli inizi, dopo 5 mesi dall’attivazione del servizio il risultato è sicuramente superiore alle attese. Ottimi riscontri derivano dall’attività formativa. Quali i progetti e le iniziative più significative in serbo per il futuro? «La Fondazione Consulenti per il Lavoro è “attore polifunzionale del mercato del lavoro”, così è stata definita nella convenzione qua-

che, per molte altre categorie, in Italia ha impiegato molto più tempo a realizzarsi. Quali le ragioni? «Sicuramente abbiamo ottenuto una forte autorità nella gestione dei rapporti di lavoro. Ciò è stato favorito anche dalla capacità continua di innovarci, anche dal punto di vista tecnologico, di adeguarci a un mercato del lavoro che è in continua evoluzione. E soprattutto grazie alla continua formazione. Ricordo che per la nostra categoria l’aggiornamento è obbligatorio e continuo». In realtà alcuni rimarcano il fatto che il passaggio alla digitalizzazione non abbia comportato necessariamente una velocizzazione

dro stipulata con Italia lavoro spa (Ministero dell’Economia). Intendiamo modellare una struttura a supporto dei professionisti per affiancarli anche nelle attività di politica attiva sul territorio, quali la ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in mobilità, svantaggiati. Continuerà l’accreditamento come ente di formazione presso le regioni e proseguiremo nel divulgare le nostre attività partecipando a numerosi incontri fieristici, con particolare attenzione alle università, dove vogliamo porci come punto di raccordo con il mondo produttivo». www.fondazionelavoro.it

delle pratiche. «I rapporti quotidiani che noi Cdl abbiamo con le imprese, gli istituti previdenziali, le direzioni provinciali del lavoro e le agenzie delle entrate avvengono ormai tutti tramite via telematica. Di recente su tutto il territorio nazionale abbiamo anche attivato un documento personale di identità, con inserita una vera e propria smart card che ci permette di essere immediatamente riconosciuti ogni qualvolta colloquiamo con un istituto e di accedere ai loro archivi. E questi passaggi sono fondamentali. La rivoluzione telematica ha consentito alla Pa di archiviare digitalmente milioni di dati e, per quanto riguarda ›› EMILIA-ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 91


CONSULENZA DEL LAVORO

PREVIDENZA E PARI OPPORTUNITÀ NELL’AGENDA DELL’ANCL Alle soglie della riforma degli ordini, anche l’Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro guarda al futuro. Ecco gli obiettivi di Adele Borelli, presidente dell’Unione provinciale di Parma

L

a posizione dell’Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro rispetto alla riforma degli ordini è da considerarsi in linea con la nostra dirigenza, così come le aspettative espresse a tale riguardo». Così il presidente della sede parmense dell’Ancl, Adele Borelli, la quale intende fare luce sull’impegno e sulle aspettative che il sindacato unitario di categoria ripone verso i suoi iscritti. Quali gli obiettivi principali dell’Ancl? «Come indicato dal nostro statuto, l’Ancl punta a promuovere, rappresentare e tutelare i consulenti del lavoro, valorizzandone le funzioni professionali. Questo attraverso il co-

ordinamento di iniziative, la formazione permanente e favorendo il confronto con le istituzioni sui temi del lavoro e delle pari opportunità». Quale ruolo riveste a livello locale l’associazione? «In linea con gli obiettivi fissati, l’Ancl si colloca tra i primi interlocutori delle aziende in materia di formazione per la sicurezza sul lavoro. Accanto all’attività di costante aggiornamento sui temi trattati dalla categoria, l’impegno è quello di sensibilizzare e preparare lavoratori e datori di lavoro con eventi formativi e corsi. Ad oggi sono state oltre duemila le aziende del parmense che abbiamo assistito sul tema, per un totale di oltre tremila addetti formati». A proposito di formazione interna, su cosa vi state concentrando soprattutto? «Gli argomenti sono diversi e riguardano le normative in continua evoluzione. Al momento, in particolare, si sta dedicando spazio alla nostra previdenza, valutando eventuali modifiche allo statuto per adeguarlo ai nuovi scenari normativi». La sua, in particolare, è una categoria che vanta una forte rappresentatività femminile. E tra le mission dell’Ancl di Parma vi è una maggiore attenzione rivolta al tema delle pari opportunità. Quali i progetti più importanti?

›› la velocità degli adempimenti, devo dire che è aumentata sensibilmente. Forse dall’esterno questo non si riesce a percepire pienamente ma posso assicurare che nei nostri studi le procedure viaggiano in tempo reale grazie al costante aggiornamento, anche a livello informatico». E come si relaziona l’imprenditoria parmense con la sua categoria? «Gli imprenditori non sono più degli sprovveduti che non conoscono la normativa. Sono 92 • DOSSIER • EMILIA-ROMAGNA 2010

«In qualità di professionisti del settore poniamo particolare attenzione alla questione femminile che, ancora troppo spesso, rappresenta un nodo critico in termini di occupazione e di garanzie. La provincia di Parma da questo punto di vista si può dire un’isola felice: da anni ha raggiunto gli obietti di Lisbona che chiedevano entro il 2010 il 60% di occupazione femminile. In questo ambito l’Ancl si muove a stretto contatto con le istituzioni e affianca le aziende locali nel cogliere le opportunità messe sul piatto. Pensiamo, ad esempio, al Programma Obiettivo, che indica i criteri di valutazione per il finanziamento dei progetti volti a favorire la parità in base alla Legge 125/2001. In ambito regionale è inoltre attivo un gruppo di lavoro impegnato in un confronto con le istituzioni nazionali per riconsiderare la normativa sul lavoro con particolare riguardo all’occupazione femminile affinché gli obiettivi fissati possano nel concreto essere soddisfatti. A questo riguardo al congresso regionale di categoria, in programma a Rimini il 18 e 19 giugno, è atteso l’intervento del ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna, accanto a quello delle consulenti del lavoro coordinatrici del progetto Sonia Alvisi e Maria Teresa Conti». www.anclparma.it

persone preparate, spesso con importanti qualifiche, assistite da personale di alto profilo. Dal canto nostro siamo chiamati a consigliare positivamente le aziende, sempre nel rispetto della normativa, indicando le migliori strategie. Inoltre non possiamo limitarci ad avere rapporti con gli imprenditori. Dobbiamo essere un punto di riferimento anche per i lavoratori stessi». Gli stipendiati, però, come possono considerarvi soggetti “neutri”, vale a dire non sem-


Stefano Ronchini

pre e soltanto dalla parte dei datori di lavoro? «È compito nostro dimostrare un comportamento e una deontologia professionale che miri a far crescere nei lavoratori la consapevolezza che non stanno trattando con un nemico, ma con un professionista chiamato anche a far tutelare i loro diritti. L’idea secondo cui il consulente del lavoro è solo il consulente dell’azienda va superata». Marina Calderone ed Emma Marcegaglia ribadiscono l’importanza di abbassare il costo del lavoro. Quanto si avverte questo problema nella sua provincia? «Parma, pur registrando dati migliori rispetto a molte altre provincie del Nord, ovviamente soffre della crisi come ogni altra parte del territorio nazionale. Ma già da qualche anno siamo tutti consapevoli del fatto che occorrono degli accorgimenti e delle riforme fondamentali. Sia la Marcegaglia che la Calderone combattono una giusta battaglia sul costo del lavoro, sia dipendente che autonomo, in quanto rappresenta una palla al piede per la nostra economia e per il suo rilancio. Al tempo stesso, ritengo non si possa rimandare una riforma degli ammortizzatori sociali, la quale deve essere rivolta a tutti i settori produttivi, a tutte le imprese, senza distinzioni legate al settore merceologico o alle dimensioni».

Non si può rimandare la riforma degli ammortizzatori sociali, la quale deve essere rivolta a tutti i settori produttivi, a tutte le imprese, senza distinzioni legate al settore merceologico o alle dimensioni

Lei resterà in carica fino a Giugno 2011. Cosa caratterizzerà i prossimi mesi del consiglio provinciale da lei presieduto? «Continueremo a sposare una logica di grande trasparenza nei confronti dei colleghi, divulgando notizie, aggiornamenti e informazioni sull’operato del nostro consiglio. Abbiamo rafforzato tantissimo l’attività formativa a favore degli iscritti. Organizziamo incontri con cadenza mensile, puntando sulla qualità dei relatori e sugli argomenti di maggiore attualità. Nell’ultima seduta del consiglio provinciale abbiamo deliberato la costituzione della commissione di certificazione dei contratti di lavoro, così come previsto all’articolo 76 comma 1 lettera c-ter della Legge Biagi. Si tratta di un provvedimento molto importante che è ulteriormente ampliato dal “collegato lavoro”, attualmente in discussione in sede parlamentare, il quale prevede la possibilità, per le commissioni di certificazione costituite nelle sedi provinciali, di diventare anche conciliatrici delle controversie di lavoro». Se il provvedimento verrà confermato, e dunque convertito in legge, cosa comporterà? «Questa nuova funzione, che sarà disponibile per la nostra commissione di certificazione, arricchirà i consulenti di un ulteriore tassello: potremo effettivamente recitare attivamente un ruolo di deflazione nelle controversie nelle materie di lavoro. Attualmente una causa in questo ambito può durare in tutti i gradi di giudizio fino a 7 anni. Riuscire a certificare i contratti e attuare delle conciliazioni che permettano di ridurre il tempo e il numero dei contenziosi sarebbe già un passo molto importante». EMILIA-ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 93




LA CORSA DEL CARROCCIO

Un contatto costante con la gente I

n Emilia Romagna la Lega Nord guadagna sempre più terreno: Sassuolo, Fidenza, Bondeno, sono solo alcuni dei Con 180 mila voti in più rispetto alle precedenti elezioni comuni strappati alla Sinistra alle regionali, La Lega Nord s’impone come terzo partito ultime amministrative. Rispetto alle in una regione tradizionalmente di sinistra come Regionali del 2005 il Carroccio ha l’Emilia Romagna. Il presidente federale triplicato i voti passando dal 4,8% al 13,6%. Una vera e propria escalation Angelo Alessandri spiega cosa è cambiato che fa vacillare una regione tradizioNicolò Mulas Marcello nalmente rossa come l’Emilia Romagna. Ma cosa è cambiato nel panorama politico e sociale della regione? Cosa spinge sempre più Angelo Alessandri, presidente federale e coordinatore regionale Lega Nord elettori a votare Lega Nord? Il presidente federale e coordinatore regionale del partito Angelo Alessandri spiega che «questo stare tra la gente e dare anche delle risposte serie, pratiche e veloci era una pratica che una volta faceva il Pci, ma ormai da vent’anni la Sinistra si è dimenticata di farlo. Ora siamo noi a farlo». La Lega ha guadagnato sempre più terreno in Emilia-Romagna. Secondo lei cosa sta alla base di questi risultati? «C’è un grosso lavoro dietro. Da


Angelo Alessandri

Qui sopra, da sinistra, Palazzo Ducale di Sassuolo, il municipio di Bondeno e il municipio di Fidenza

quando Bossi ci chiese di passare dalla “Lega di protesta” alla “Lega di proposta” noi facemmo un’operazione seria su tutto il territorio. Fu un percorso lungo e chiesi ai nostri militanti di uscire da quella trincea nella quale c’eravamo chiusi. Provai a parlare con un linguaggio emiliano agli emiliani e il risultato si è visto perché guardando le ultime sei elezioni c’è stata una costante crescita di 3 punti alla volta. Dal 2001 che eravamo al 2,5% oggi siamo al 14%. Dall’altro lato c’è una valutazione sbagliata dei nostri avversari politici che hanno sempre creduto che la nostra forza politica sarebbe sparita invece la gente veniva a parlare con noi e non con loro. Un lavoro lungo quindi che però non è finito». Le percentuali più alte per la Lega alle ultime regionali si sono registrate a Piacenza con il 22% e a Parma con il 17,8%. Sono risultati che vi aspettavate dalla campagna elettorale? «Sì, anche se non mi credeva nes-

suno sono aspettative che si sono avverate, così come 15% a Modena e Reggio, il 14% a Ferrara e un aumento anche nella provincia più difficile che è Bologna dove abbiamo raggiunto quasi il 10%. Lo sentivo, ormai indovino l’umore elettorale delle persone. Girando tra la gente si ha la percezione sia di chi ti vota sia di chi avrà intenzione di votarti. Sapevo che sarebbe andata molto bene e le percentuali hanno confermato le aspettative». Il ministro Roberto Calderoli ha dichiarato di volere un sindaco leghista a Bologna. La tradizione politica della città sembra ben lontana da questa possibilità. Lei cosa ne pensa? «A Bologna abbiamo dimostrato con un ottimo risultato del 10% in città e in provincia di essere maturi per poterci assumere anche delle responsabilità. In questa logica l’anno prossimo ci sarà un confronto su tre capoluoghi di regione che vanno al voto, ovvero Milano, Torino e Bologna e come ha sottolineato Calde-

Provai a parlare con un linguaggio emiliano agli emiliani e il risultato si è visto perché guardando le ultime sei elezioni c’è stata una costante crescita di 3 punti alla volta

roli, perché non un sindaco leghista a Bologna? Oggi abbiamo molte persone di alto profilo che potrebbero essere ottimi amministratori della città. Noi metteremo sul campo dei nomi che possono essere all’altezza per vincere, con una condizione però, ovvero che si parta alla svelta e che da settembre parta la campagna elettorale. Noi vogliamo fare 7 o 8 mesi di vera campagna elettorale per costruire un sogno». EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 127


LA CORSA DEL CARROCCIO

L’AVANZATA DELLA LEGA? STESSE RESPONSABILITÀ DI PDL E PD «C’è anche un elettorato di sinistra che si rivolge alla Lega Nord perché è la forza politica che meglio coltiva le sue angosce e le sue preoccupazioni». L’analisi di Giuliano Cazzola Secondo alcuni il sistema economico-politico in Emilia Romagna non funziona più. È così? «È forse un po’ eccessivo affermare che il sistema economico non funziona più. Ci sono pur sempre standard di livello europeo. Anche in un periodo di crisi l’occupazione presenta tassi ancora sostenuti anche per quanto riguarda il lavoro delle donne. Il merito principale lo ha la società civile che ha un elevato grado di autonomia e di capacità di provvedere a se stessa. In ogni caso in Emilia Romagna è in crisi il modello socialdemocratico fondato su alti livelli di spesa pubblica e sulla diffusione dei servizi pubblici e della pubblica amministrazione». La conferma di Vasco Errani alla guida

della Regione per la terza volta costituisce una forza o una debolezza? «È sicuramente la prova che il gruppo dirigente del Pd è diviso tanto da aver bisogno di agitare le vecchie bandiere. Ormai sono ammalati di primarie, che sarà pure un metodo democratico, ma non quando a contrapporsi non sono diversi programmi, ma le ambizioni delle persone». I risultati raggiunti dalla Lega Nord alle ultime elezioni sono considerevoli. Cosa pensa di questo “fenomeno Lega”? «Il fenomeno dipende soprattutto della precarietà del Pdl, come forza politica organizzata e presente nel territorio. Il Pdl ha una forte leadership in Berlusconi, ma ha molte evidenti difficoltà come partito. Ma c’è anche un elettorato di sinistra che si ri-

volge alla Lega perché è la forza politica che meglio coltiva le sue angosce e le sue preoccupazioni. Prenda per esempio il federalismo. La Lega Nord lo presenta come una panacea per tutti i mali. Spesso mi ricordano mia nonna Virginia. Era una bracciante agricola socialista. Era solita affermare che con l’avvento del socialismo tutti i problemi sarebbero stati risolti. Si vede che è un problema di desinenze simili».

Una volta era la Sinistra a girare per le piazze dei paesi e fermarsi a parlare con la gente. Oggi è la Lega a farlo. Cosa è cambiato? «Noi stiamo continuando a farlo. È una formula semplice e così banale che però gli altri non fanno. Spesso si presentano l’ultimo mese a chiedere il voto ai cittadini mentre io sto facendo ancora adesso comizi tutti i giorni perché noi siamo in campagna elettorale 365 giorni all’anno. Arrivare al 14% sembrava una barzel-

letta se la raccontavamo cinque anni fa. Comunque è un altro punto di partenza, non un punto di arrivo. Questo stare tra la gente e dare anche delle risposte serie, pratiche e veloci era una pratica che una volta faceva il Pci, ma ormai da vent’anni la sinistra si è dimenticata di farlo». Subito dopo i risultati ottenuti in Emilia Romagna, alcuni esponenti del suo partito hanno avanzato la proposta di separare l’Emilia dalla Romagna, qual è la

c’è una valutazione sbagliata dei nostri avversari politici che hanno sempre creduto che la nostra forza politica sarebbe sparita invece la gente veniva a parlare con noi e non con loro 128 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

sua opinione in merito? «Personalmente non sono contrario ma credo che all’emiliano interessi poco. Non lo sentiamo come un problema. La regione ha già una storia federalista al proprio interno. I Ducati e le Signorie lungo la via Emilia sono stati dei centri di autonomia. L’Emilia in realtà è già una sorta di entità federale con una storia che corre lungo quest’asse. E la Romagna ha una sua storia con l’Esarcato poi la legazione papale. Io non so se per i romagnoli sia così vantaggioso creare una propria regione ma credo che sia legittimo in uno stato democratico e magari federalista che ci possa essere una scelta di questo genere affidata ai cittadini con un referendum».


Gianfranco Pasquino

I

n uno scenario politico come quello emiliano-romagnolo, tradizionalmente segnato dalla presenza capillare della sinistra, la scossa provocata dai risultati ottenuti dalla Lega Nord ha mosso un intenso dibattito politico. «La crescita della Lega è appena cominciata», sostiene Gianfranco Pasquino. «Ci sono praterie di cittadini insoddisfatti disposti a votare per chi è, non un funzionario di partito, pagato con i soldi delle cariche elettive, ma “uno di loro”». Perché la classe dirigente politica emiliano-romagnola non riesce a emergere a livello nazionale? «Raramente nel passato la classe politica regionale è stata particolarmente splendente. Infatti, tutti ricordano un grande sindaco Giuseppe Dozza (che non acquisì e neppure volle un ruolo nazionale), il suo antagonista di una sola campagna elettorale, Giuseppe Dossetti, e poco altro. Naturalmente, chi è più addentro potrebbe menzionare almeno un altro sindaco, Renato Zangheri, e qualche parlamentare democristiano, il non-emiliano Nino Andreatta, ma nessuna personalità carismatica. Gli anni novanta hanno visto l’esplosione degli emiliani in politica, in rigoroso ordine alfabetico: Pierferdinando Casini, Gianfranco Fini, Romano Prodi. Due di loro mi paiono ancora molto prominenti». Secondo lei alla base di questa sorta di stagnazione del Pd c’è un problema di leadership? «La meritata e quasi voluta stagna-

Funzionari di partito e strapuntini La stagnazione del Partito Democratico e l’avanzata della Lega Nord stanno dando segnali significativi per l’assetto politico regionale. Il politologo Gianfranco Pasquino fa il punto della situazione Nicolò Mulas Marcello

zione del Partito Democratico è il prodotto della nota legge della cooptazione (“vengono cooptati sempre coloro che sono meno bravi del cooptatore”) che produce declino sicuro e irreversibile accompagnato dall’arroganza dei potenti (“cooptiamo chi vogliamo noi tanto vinciamo lo stesso”). È anche un problema di leadership che non può emergere da piccoli burocrati che fanno il gioco delle quattro poltrone, scambiandosele e facendo carriera e che bloccano chiunque abbia idee originali che comportino conflitto e rischi (per le loro cariche). Non c’è dubbio che il Pd Gianfranco Pasquino, di Scienza sia giunto al suo punto più basso, professore Politica all’Università ma, forse, non dovremmo neanche di Bologna parlare di Partito Democratico, ma di un gruppo dirigente di ex comunisti che ha dato qualche strapuntino agli ex popolari, non ai migliori fra loro che, comunque, erano pochissimi e che si fa puntellare dalla Cgil». Una volta era la sinistra a girare per le piazze dei paesi e fermarsi a parlare con la gente. Oggi EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 129


LA CORSA DEL CARROCCIO

è la Lega a farlo. Cosa è cambiato? «I dirigenti e i militanti del Pd hanno smesso da tempo di “parlare con la gente”. Non saprebbero che cosa raccontare, se non i loro conflitti interpersonali e i loro rabberciamenti. Stanno chiusi nei loro bunker dove l’unico programma che sanno stilare è quello concernente gli organigrammi dai piccoli comuni fino, con qualche inconveniente, alla Regione. La pratica dell’organigramma è, infine, esplosa con lo scandalo del sindaco breve di Bologna e il commissariamento della città. La maggior parte dei responsabili sono già stati variamente recuperati in ruoli dove sbarcano il lunario e di più. Che cosa costoro potrebbero raccontare agli elettori? Le loro ambizioni e i loro trucchi personali? Questi trucchi li racconta la Lega (ma anche i grillini)». I risultati ottenuti dalla Lega alle ultime amministrative e alle regionali secondo lei sono voti rubati alla sinistra? «Quando si parla di voti, nessuno ruba niente. La Lega fa il suo mestiere e il ventre molle dell’Emilia Romagna e del suo elettorato, una volta compiaciuto, adesso un po’ disgustato, risponde. La crescita della Lega è appena cominciata. Ci sono praterie di cittadini insoddisfatti disposti a votare per chi è, non un funzionario di partito, pagato con i soldi delle cariche elet130 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

La Lega offre la possibilità di dare un voto “territoriale”, non ideologico, neanche troppo impegnativo, spesso per candidati che sono conosciuti e che, appena eletti, non spariscono

tive, ma “uno di loro” che faceva già attività in una delle tantissime associazioni locali e che adesso ha deciso di entrare in politica. Gli insoddisfatti voteranno allora per quelli che pensano che l’insicurezza non è un problema “psicologico” delle donne e degli uomini anziani, ma una realtà di scippi, di furti, di stupri. Per chi ritiene che qualche controllo sull’immigrazione e sugli immigrati abbia, insomma, senso e sia fattibile emarginando il tradi-

zionale permissivismo catto-comunista. Per chi crede che, qualche volta, la competenza dovrebbe contare di più della “parentela” con un partito, quel partito lì, al potere dal 1945. La mancanza di alternanza fa male, molto male. A tutti i livelli. E la Lega offre la possibilità di dare un voto “territoriale”, non ideologico, neanche troppo impegnativo, spesso per candidati che sono conosciuti e che, appena eletti, non spariscono».


Roberto Tunioli

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n un periodo di crisi economica in cui le imprese stanno cercando di rialzarsi dal difficile scenario che ha contraddistinto gli ultimi due anni. Il ruolo della politica potrebbe e dovrebbe costituire un mezzo per raggiungere risultati concreti e costituire un sistema-paese che aiuti tutti gli imprenditori e di conseguenza rimetta in moto l’economia. Ciò che si aspetta la gente è una classe dirigente politica che sappia dare regole precise, che contribuisca a creare un’amministrazione funzionante sia dal punto di vista economico-imprenditoriale, sia per quanto riguarda la gestione sociale. Il boom di voti registrati dalla Lega Nord fa capire come le prese di posizione ferme e le figure politiche che sono considerate carismatiche possono muovere gli animi dell’elettorato. Roberto Tunioli, ex amministratore delegato di Datalogic sostiene che «un certo sistema del Nord vuole rappresentare degli amministratori locali giovani, che stiano in mezzo alla gente e che lavorino. Oggi la Lega sta dando questa immagine e deve fare in modo che questa immagine abbia anche una sostanza in una moltiplicazione di capi di successo». Politica e imprenditoria. Qual è oggi il rapporto tra queste due sfere in Emilia Romagna? Cosa andrebbe fatto in più per aiutare gli imprenditori? «Il rischio è che gli imprenditori facciano i politici e i politici facciano gli imprenditori. L’imprenditore è colui che deve immaginarsi

Regole più certe per gli imprenditori «L’imprenditore deve continuare ad avere coraggio, che è una delle sue doti principali, e deve continuare a investire nelle sue caratteristiche». Questa è una delle ricette di Roberto Tunioli per l’imprenditoria Nicolò Mulas Marcello

un mercato e un futuro e cercare di portarlo avanti attraverso il lavoro proprio, dei propri collaboratori e dei mezzi che ha disposizione. L’imprenditore deve continuare ad avere coraggio e a investire nel valorizzare le risorse umane, cercare nuovi mercati e investire in ricerca e sviluppo. Chi ha seguito queste ricette sia in Italia che all’estero ha fatto progredire la propria azienda e il territorio. I politici, invece, devono occuparsi di dare regole certe dal punto di vista fiscale e legale. Soprattutto per l’internazionalizzazione, la classe politica può, attraverso gli investimenti, aiutare il sistema paese a essere percepito all’estero e accompagnarlo all’estero. Nel mondo noi italiani abbiamo una buona reputazione e molti sono gli italiani ai vertici

Roberto Tunioli, manager ed ex amministratore delegato Datalogic; nella pagina seguente, Palazzo d’Accursio, sede del Comune di Bologna

EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 131


LA CORSA DEL CARROCCIO

L’importante è che la politica abbia una memoria storica che se in certe scelte ha agevolato una classe sociale, in altre non può agevolare sempre le stesse

di organismi sia pubblici che privati. Aziende italiane, qui sconosciute, hanno capacità di leadership mondiale su alcuni prodotti e servizi. Finmeccanica, Eni, Enel potrebbero essere di traino a tante piccole e medie imprese». I risultati ottenuti dalla Lega alle recenti elezioni hanno dato una scossa al panorama politico. Cosa è cambiato? «Credo che questi risultati facciano parte di un filone a lungo periodo. Se noi eliminiamo le minime e le massime, quindi i momenti di estrema euforia e quelli di massima debolezza, vediamo che la Lega Nord è diventato il partito più anziano perché gli altri si sono dissolti o ricostituiti. La Lega sta portando avanti un percorso di lungo periodo che prima è stato conside132 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

rato un discorso di rottura, ma che col tempo è diventato un movimento dove vi sono persone che hanno un pensiero molto fine e soprattutto, quello che poi alla gente piace, è che vi siano degli esempi di buona amministrazione. In questo momento oggi la Lega può annoverare persone che a livello nazionale sono considerate delle icone come può essere il sindaco di Verona Flavio Tosi o l’ex sindaco di Treviso Giancarlo Gentilini. Inoltre, e su questo non c’è ombra di dubbio, un certo sistema del Nord vuole essere rappresentato da amministratori giovani, che stiano in mezzo alla gente e che lavorino. Oggi la Lega sta dando questa immagine e deve fare in modo che questa immagine abbia anche una sostanza in una moltiplicazione di

successo». Cosa si aspetta per Bologna? «Mi aspetto che si facciano cose di buon senso come vedo che sta facendo il commissario Cancellieri. Bisogna smettere di essere populisti dando ragione a tutti. Se tutti hanno ragione allora hanno tutti torto. La politica ha il dovere di fare delle scelte che sono sempre di compromesso. L’importante è che la politica abbia una memoria storica che se in certe scelte ha agevolato una classe sociale, in altre non può agevolare sempre le stesse. Il ruolo della politica è importantissimo per evitare che si facciano sempre scelte in senso unico. Mi aspetto che con il dopo Delbono e la scelta del nuovo sindaco si apra un percorso di lavoro, di scelte e di trasparenze».



RILANCIARE BOLOGNA

Tutte le opportunità della città della cultura Le potenzialità della cultura e del sistema fieristico di Bologna costituiscono un patrimonio da valorizzare. Attraverso il nuovo Piano industriale di BolognaFiere e il Museo della Città della Fondazione Carisbo. Come spiega il presidente di queste realtà, Fabio Roversi Monaco Francesca Druidi

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n anno per uscire dalla crisi e un pareggio ipotizzato nel 2011. Sono gli obiettivi prioritari del piano industriale presentato al Consiglio di amministrazione di BolognaFiere Group il 12 maggio scorso, a seguito dell’approvazione del bilancio chiuso al 31 dicembre 2009. In quello che è stato l’annus horribilis per l’economia mondiale, la congiuntura ha toccato in maniera particolarmente grave le piccole e medie imprese che hanno nelle fiere il loro riferimento principale. Anche BolognaFiere ha dovuto fare i conti con questo scenario, registrando un valore della produzione 2009 pari a 106,3 milioni di euro rispetto ai 134,1 nel 2008, con un margine operativo lordo sceso da 24,7 a 12,8 milioni di euro. A incidere soprattutto le performance negative di comparti produttivi trainanti e, nell’ambito del settore fieristico, la pe-

134 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

riodicità di alcune grandi manifestazioni come Eima. Il Piano 2011-2014 approvato dal Cda del Gruppo si prefigge di affrontare il quadro critico esistente attraverso l’adozione di una nuova linea gestionale. Come spiega Fabio Roversi Monaco, presidente di BolognaFiere e della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna, «la Capogruppo vedrà ridefinito il proprio ruolo in un assetto strutturale rinnovato e razionalizzato, anche con le opportune riduzioni di società controllate e collegate». Si prospetta un 2010 ancora difficile per il settore fieristico, nonostante gli incoraggianti risultati di Cosmoprof, Bologna Children’s Book Fair e Arte Fiera? «Il 2009 è stato un anno durissimo e la situazione è ancora estremamente difficoltosa. È vero però che nei primi cinque mesi del 2010 si è registrato un andamento positivo di tutte le ma-

Sotto, Fabio Roversi Monaco, presidente di BolognaFiere e di Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna. Sopra, immagine della Fiera del Libro per ragazzi 2010


Fabio Roversi Monaco

nifestazioni, sia come allargamento internazionale delle presenze, sia come numero di espositori e operatori. Questo induce a ben sperare, anche se le problematiche sono lungi dall’essere risolte. Con il Piano industriale presentato, tentiamo di indicare la direzione per una ripresa che dovrebbe portare al pareggio in bilancio nel momento in cui quest’ultimo verrà approvato nel 2012». Quali sono le linee guida del piano? «L’obiettivo è creare un “soggetto unico”, sia pure con articolazioni societarie, capace di salvaguardare il portfolio delle grandi manifestazioni, l’occupazione e il know-how interno che costituisce una delle ricchezze su cui punta BolognaFiere. Le leve su cui agire in questo scenario sono il dinamismo, la pro attività, la flessibilità e l’innovazione che permetteranno alla società, proiettata verso il futuro, di

cogliere tutte le opportunità disponibili. In questo la Fiera di Bologna è aiutata dalla sua dimensione, dall’ubicazione, dal rapporto con la città, dal suo ruolo di organizzatore diretto con uno specifico know how. Il Cda ha affermato, inoltre, la volontà di una riqualificazione immediata di alcune parti del complesso immobiliare della Fiera, che necessitano di restyling. BolognaFiere mira a essere un soggetto attivo nella prospettiva di grandi interventi di riqualificazione ambientale e urbanistica del territorio. Anche nella futura azione di riprogettazione del quartiere fieristico nell’ambito del masterplan del quadrante nord della città». Si tiene conto della sempre accesa competizione con l’ente fieristico milanese? «Nella competizione con la Fiera di Milano, non possiamo affermare che vinceremo. Certamente, facciamo

L’obiettivo è creare un “soggetto unico”, sia pure con articolazioni societarie, capace di salvaguardare il portfolio delle grandi manifestazioni,l’occupazione e il know-how interno

tutto quanto è necessario per mantenere la nostra specificità. Si tratta di un piano che tiene conto della situazione di estrema concorrenza che esiste, una concorrenza a mio avviso eccessiva». Puntando la lente di ingrandimento sul legame tra fiera e infrastrutture, rileva delle carenze? «Sotto il profilo fieristico, non credo si possano addurre particolari lamen- EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 135


© Mario Berardi

RILANCIARE BOLOGNA

tele. Anzi, nel corso degli ultimi tre- diversi punti di riferimento: non solo quattro anni BolognaFiere ha conseguito risultati che nessun altra fiera ha potuto neanche immaginare. Possiamo contare su un’uscita diretta dall’autostrada e sul nuovo parcheggio multipiano Michelino che è stato costruito. In questo modo l’ingolfamento causato dal traffico, problema gravissimo, appartiene ormai al passato grazie anche all’impegno dei predecessori». Lei è presidente della Fondazione Cassa di Risparmio, realtà culturale importante per Bologna. In quali progetti si concentrano i maggiori sforzi? «Importantissimo è il progetto relativo al Museo della Città realizzato e gestito dalla Fondazione, un percorso museale e culturale che si dipana per tutto il centro storico bolognese, con 136 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

Palazzo Pepoli Vecchio, che stiamo ormai ultimando, ma anche Palazzo Fava, il complesso di San Colombano, San Giorgio in Poggiale e San Michele in Bosco, la Chiesa di Santa Cristina e di Santa Maria della Vita. Si tratta di un discorso estremamente ampio, che individua il nostro impegno fondamentale per quanto concerne il programma della Fondazione. Sul fronte dell’attività erogativa, in questa fase riteniamo di dover privilegiare il profilo sociale. In base a una recente deliberazione, aiutiamo l’Università di Bologna a creare posti di ricercatore a tempo determinato. Siamo poi inseriti in un programma patrocinato anche dalla Federazione regionale delle Casse di Risparmio per il social housing. Operiamo, inoltre, attraverso la Caritas in numerose situa-

Qui sopra, un particolare della facciata di Casa Saraceni, sede della Fondazione Carisbo; In alto, la Chiesa di San Colombano e, nella pagina a fianco, la Chiesa di San Giorgio in Poggiale durante l’iniziativa “Bologna si rivela 2010”


Fabio Roversi Monaco

La Fondazione Carisbo sta sviluppando il Museo della Città affinché le possibilità culturali per le persone che vengono a visitare Bologna, e per i bolognesi stessi, vengano ampliate

© Foto Baruzzi

zioni di difficoltà e cerchiamo di incentivare quelle attività che consentono ai giovani di trovare lavoro». Il Museo della Città è destinato a incrementare le potenzialità di Bologna? «La Fondazione Carisbo sta espressamente sviluppando questo innovativo percorso affinché le possibilità culturali per le persone che vengono a visitare Bologna, e per i bolognesi stessi, vengano ampliate in maniera significativa. Questo ci aspettiamo e speriamo di riuscirci». Questi i focus fondamentali. «Sì, insieme alla collaborazione con il Comune e altre realtà per la liberazione di Bologna dal degrado che la colpisce: i graffiti, ma non soltanto quelli. Esistono criticità da risolvere anche nel cosiddetto arredo urbano: ad esempio, luoghi molto belli dove si

concentrano contenitori per l’immondizia. Tutti aspetti da rivedere, sempre in accordo con il Comune». Quanto conta oggi sviluppare un’azione sinergica tra diverse realtà culturali nell’ambito del tessuto sociale e produttivo di una città? «È un processo fondamentale, ma è anche uno dei passaggi più difficili da realizzare, poiché non si concretizza attraverso semplici manovre di vertice. Qualche esempio della nuova direttrice da seguire lo si può individuare in ciò che avviene durante Artefiera, la Fiera del libro per ragazzi o il Music Italy Show, dove la città è integrata nelle manifestazioni». Quali i vantaggi di queste operazioni? «Portare i giovani a valutare prospettive culturali innovative costi-

tuisce già di per sé un vantaggio impareggiabile, insieme al tentativo di salvaguardare l’immagine di Bologna come “città della cultura” e non della buona cucina: un titolo che le spetta di diritto almeno da mille anni. L’obiettivo è cercare di essere all’altezza del passato». Quali condizioni servirebbero al capoluogo per ritornare al dinamismo culturale che le era riconosciuto anni fa? «Una reale capacità di governo, scelte meditate e programmate, progetti di finanziamento di una serie di iniziative rimangono elementi fondamentali. È essenziale una buona amministrazione cittadina, caratterizzata da tempestività e capacità decisionale. Perché non è affatto vero che le migliori decisioni nascono da lunghi pensamenti». EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 137


LISTA CIVICA

L

e ultime elezioni regionali hanno consolidato in Emilia Romagna un’esigenza di civismo da parte della popolazione, con la quale il mondo politico è chiamato a confrontarsi nei futuri scenari di governance amministrativa. Nel mosaico di esperienze di guida civica registratesi a livello regionale, quella di Parma assume un ruolo peculiare: «Non so se esista un modello emiliano – afferma Pietro Vignali, sindaco di Parma – sicuramente il tentativo di rinnovare contenuti, forme e linguaggi della politica ha accomunato queste esperienze. Ma se noi ci fossimo limitati a dare voce a un sentimento di protesta, non avremmo costruito un percorso che dura da quindici anni». E nel rivendicare la bontà di quanto svolto fino ad ora, il primo cittadino annuncia l’apertura di «una fase nuova del civismo di Parma». Se e come ritiene che l’esperienza di governance a Parma della lista civica “Civiltà Parmigiana”, prima, e di “Impegno per Parma”, poi, abbia segnato il fenomeno politico rappresentato dalle liste civiche, soprattutto in un contesto regionale che tradizionalmente rappresenta una roccaforte della sinistra? «Il movimento ha semplicemente saputo leggere un bisogno che è sotto gli occhi di tutti: quello di una politica non ideologica, veramente riformista. Una politica finalmente utile ai cittadini. E i cittadini chiedono una politica che sappia amministrare bene la cosa pubblica. Questo significa, per chi amministra, mettere gli interessi della comunità prima degli interessi di parte e di partito. È questo che

138 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

Il movimento non si ferma L’esperienza del civismo a Parma. Dove, afferma il sindaco Pietro Vignali, «la differenza non la fanno i conti realizzati con il bilancino politico, ma i programmi che si vogliono sostenere» Francesca Druidi

Sotto, il sindaco di Parma, Pietro Vignali. A fianco, il Municipio cittadino

fa saltare tutti gli assetti, anche quelli più consolidati. Anche in un territorio come il nostro, che ha tradizionalmente e che ha ancora oggi un orientamento ben preciso. Ne è riprova il fatto che il centrosinistra negli ultimi quindici anni ha sempre vinto in tutte le elezioni politiche, regionali, provinciali, europee, tranne che in Comune». Nell’arco di esistenza di una lista

civica, si rischia di perdere di vista il fatto che questa nasca dal basso, da un movimento cittadino, finendo per accogliere uomini ed esperienze di altri partiti, anche nazionali? «Non penso sia una questione di etichette. Di etica forse sì, ma di etichette no. Piuttosto di uomini. Non di contenitori, ma di contenuti. Non ci siamo mai posti il problema della provenienza della no-


Pietro Vignali

Non stiamo lanciando un nuovo movimento civico, ma stiamo aprendo una fase nuova del civismo di Parma. Adeguata ai tempi che stiamo vivendo, alla società che cambia

stra classe dirigente, ma della sua capacità di interpretare coerentemente la nostra idea di civismo: mettersi al servizio della comunità. Noi non siamo contro la politica, né contro i partiti. Siamo contro chi mette gli interessi di parte davanti a quelli della comunità». In Emilia Romagna il modello di azione identificato dalle liste civiche ha ottenuto risultati importanti nell’ultimo decennio, oltre a Parma è sufficiente ricordare Bologna. Esiste a suo parere un tratto distintivo che ha caratterizzato queste esperienze? «Non so se esista un modello emiliano. Al di là delle differenze, che mi sembrano più di una, sicuramente il tentativo di rinnovare contenuti, forme e linguaggi della politica ha accomunato queste esperienze. Ma se noi ci fossimo limitati a dare voce a un sentimento di protesta, non avremmo costruito un percorso che dura da quindici anni. Nell’arco di questo periodo è cresciuta una classe diri-

gente diversa, che ha saputo esprimere una progettualità vera e originale. Alcuni elementi, come le esternalizzazioni, la domicialiarità dei servizi, il project financing, li abbiamo sviluppati per primi in Emilia dieci anni fa. Anche sul fronte delle politiche per la famiglia e della sicurezza urbana, siamo ancora una volta stati i primi. Non perché siamo più intelligenti degli altri, ma perché non siamo invischiati in logiche di schieramento». A suo parere, le liste civiche riescono a colmare le lacune che spesso la politica dei partiti genera a livello locale? Nel caso di Parma sta funzionando? «Non voglio generalizzare. Questo è il “modello Parma”, non so se

sia esportabile o se sia strettamente legato al nostro modo di essere, alla nostra identità. Vedo che però, almeno nella nostra provincia, questa esperienza si sta affermando con forza: oggi numerosi Comuni sono a guida civica. Qualche anno fa sarebbe stato impensabile. Vorrei però chiarire che ci occupiamo di politica per farne uno strumento al servizio della comunità, non viceversa. Purtroppo oggi i partiti spesso si prendono cura dei cittadini per finalità politiche. In maggioranza a Parma, per fortuna, il movimento civico ha come interlocutori esponenti locali dei partiti, Pdl e Udc, che hanno avuto il coraggio di sostenere un progetto che mette Parma davanti a tutto, anche ai legittimi interessi di parte. EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 139


LISTA CIVICA

Hanno scelto di fare un passo indie-

tro per farne fare dieci in avanti alla città». La sua lista non è appoggiata dalla Lega Nord. Vista la crescita dei consensi anche in Emilia Romagna del partito di Bossi, crede che cambierà qualcosa in questo senso a Parma? «Di solito i politici parlano di elettori, io preferisco preoccuparmi dei cittadini, di quello che posso fare per rispondere ai loro bisogni e per sostenere le loro speranze. Capisco che possa sembrare inusuale ma, anche se la Lega è in crescita, grazie soprattutto al lavoro del ministro Maroni e di amministratori attenti al territorio come Tosi a Verona, il problema per noi non è “Bossi sì” o “Bossi no”. Se guardiamo il peso elettorale dei partiti che sostengono la nostra amministrazione, non arriviamo al 40%. Eppure da più di un decennio, oltre il 50% 140 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

Il movimento ha semplicemente saputo leggere un bisogno che è sotto gli occhi di tutti: quello di una politica non ideologica, veramente riformista

dei parmigiani ci conferma la sua fiducia, e oggi i sondaggi di tutti gli istituti ci riconoscono un consenso di gran lunga superiore. Per quanto riguarda, quindi, alleanze presenti e future, possibili e impossibili, la differenza, per noi, non la fanno i conti realizzati con il bilancino politico ma i programmi e i progetti che si vogliono sostenere». Può anticipare quelle che saranno le fondamenta del nuovo movimento civico da lei guidato? «Direi in primo luogo gli interessi della città, la famiglia, la sicurezza, l’integrazione e la coesione sociale.

Sono le condizioni necessarie allo sviluppo e al benessere di una comunità. Noi, però, non stiamo lanciando un nuovo movimento civico, ma stiamo aprendo una fase nuova del civismo di Parma. Adeguata ai tempi che stiamo vivendo, alla società che cambia con grande velocità, ai bisogni, alle aspettative e alla voglia di partecipare dei parmigiani. La prerogativa del civismo è quella di mantenersi in sintonia con la comunità. Non mi dirà che oggi Parma è la stessa di quindici anni fa. Nemmeno il movimento civico può esserlo. Un movimento, si muove».



ESTERI

Il ruolo dell’Italia nello scacchiere internazionale In uno scenario dove, come sottolinea il ministro degli Esteri Franco Frattini, «il baricentro del potere internazionale si sta spostando dall’Atlantico al Pacifico», l’Italia si apre alla Cina, conservando sempre un ruolo attivo nella strategia di pacificazione del Medio Oriente. Ma la base di partenza resta il Mediterraneo Francesca Druidi

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Sopra, il ministro degli Esteri Franco Frattini nel suo studio alla Farnesina. Nella pagina a fianco, durante la Riunione dei Ministri degli Esteri in occasione del G8 Trieste

144 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

n una fase in cui a prevalere sono soprattutto i segnali di incertezza, come dimostra la drammatica crisi greca, l’Italia conferma il suo ruolo incisivo all’interno dell’Unione europea. Guardando, però, oltre i confini del Vecchio Continente: dalle dinamiche che attraversano il Medio Oriente alle nuove frontiere dei paesi del Far East. Ponte privilegiato di questo percorso è il Mediterraneo, che costituisce per l’Italia, e non solo, una vera e propria opportunità di sviluppo. «Il Mediterraneo, in virtù della sua economia e cultura – conferma il ministro degli Esteri Franco Frattini – ci offre grandi opportunità di sviluppo e di crescita sostenibile, ma è anche una grande sfida, che impone sforzi mirati e armonizzati, all’altezza dello straordinario dinamismo demografico e commerciale che caratterizza la sponda Sud, verso la quale l’Italia ha consolidato la posizione di

primo partner commerciale europeo e l’Unione europea quella di principale donatore». Quali sono le potenzialità che oggi caratterizzano la comunità economica del Mediterraneo? «Parlerei piuttosto di comunità economica dei cittadini del Mediterraneo. Stiamo lavorando, infatti, per costruire uno spazio euromediterraneo dove i protagonisti siano i giovani, le imprese, in particolare le piccole e medie, soggetti economici particolarmente adatti a creare ricchezza diffusa e mobilità sociale che devono, quindi, poter contare su condizioni favorevoli di sviluppo soprattutto sul piano infrastrutturale e dei servizi logistici e portuali. Siano le Regioni, che realizzano nei paesi mediterranei numerose iniziative, meritevoli di un coordinamento costante per favorire una proiezione internazionale efficace e coerente dell’Italia sull’area di nostro più immediato e rilevante interesse. Si


Foto di Antonio Scattolon

tratta di una priorità non solo economica, ma anche strategica, data la dimensione transnazionale di problemi come il controllo dell’emigrazione, la lotta al terrorismo, la sicurezza delle rotte marittime, gli approvvigionamenti energetici che confermano la centralità del Mediterraneo nelle dinamiche globali». A proposito di Unione europea, lei non è d’accordo per una soluzione di partenariato privilegiato dell’Ue con la Turchia. «Ha ragione, non sono per niente d’accordo. Io sono per l’adesione piena, non condivido le formule intermedie. So benissimo che la Turchia ha ancora una lunga strada da percorrere per arrivare a Bruxelles. Peraltro, il quadro attuale del suo processo di adesione all’Unione europea non è incoraggiante e alcune scelte di politica estera di Ankara suscitano comprensibili dubbi in varie capitali europee. Deve es-

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I vertici sono preceduti e seguiti da un intenso lavoro di preparazione diplomatica, che individua una preziosa fucina di confronto, consultazione e cooperazione per individuare i temi in agenda

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sere chiaro che la Turchia potrà giungere a destinazione solo se riuscirà a rispettare gli impegni e gli obblighi che si è assunta. Ma una cosa è la consapevolezza che il viaggio è difficile, altra cosa è mettere in discussione la meta, che sarebbe un errore gravissimo. L’ingresso della Turchia nell’Ue potrebbe avere la stessa forza simbolica, per i rapporti tra Occidente e Islam, che ha avuto la riappacificazione franco-tedesca o il crollo del muro di Berlino. L’ingresso di Ankara in Europa potrebbe essere letto da un lato come il segno della compatibilità tra Islam, democrazia e diritti umani e dall’altro come la capacità dell’Unione di sa-

per accogliere culture diverse senza tradire la propria identità. Un obiettivo storico fondamentale al quale non possiamo rinunciare». È ottimista rispetto alle prospettive di pacificazione nell’area medio-orientale? «L’amministrazione statunitense sta dimostrando impegno e tenacia per rilanciare il processo di pace in Medio Oriente. Il senatore Mitchell, con il quale mantengo contatti frequenti, non sta lesinando sforzi per ristabilire un clima di fiducia reciproca fra le parti in un quadro di garanzie internazionali. Vi è forte sintonia fra le posizioni americane e quelle dell’Unione europea come UU EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 145


Foto di Antonio Scattolon

ESTERI

UU mai si era registrata in passato. Il fronte arabo moderato sta dando prova, a sua volta, di grande saggezza e lungimiranza politica. È una combinazione di circostanze che non possiamo permetterci di sprecare. Forte del suo rapporto privilegiato sia con Israele che con il mondo arabo, l’Italia sta facendo la sua parte per spingere israeliani e palestinesi a uscire dallo stallo negoziale, a dimostrare di voler anteporre la pace a qualsiasi altro obiettivo. Quanto all’Afghanistan, in questi anni abbiamo realizzato progressi importanti su tre fronti strettamente collegati: sicurezza, economia e istituzioni. Continueremo a lavorare per costruire un Afghanistan stabile e democratico, restituito a se stesso e alla propria gente e che possa diventare, in prospettiva, anche “produttore di sicurezza” nel suo contesto regionale». 146 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

Come si delineano allo stato attuale i rapporti con le grandi potenze dell’Estremo Oriente, in particolare la Cina? «C’è un dato di fondo abbastanza chiaro: il baricentro del potere internazionale si sta spostando dall’Atlantico al Pacifico e il G20 sembra acquistare sempre maggiore peso, anche se il dibattito sui formati della governance globale rimane aperto. Tutto ciò significa che tanto l’Europa nel suo complesso, quanto i singoli Stati membri nell’elaborazione delle grandi scelte nazionali di politica estera, devono essere all’altezza di cambiamenti così profondi nel panorama internazionale. L’Europa deve essere più coesa e mostrarsi in grado di parlare con una voce sola. Deve esercitare la sua leadership e le sue responsabilità a tutto campo. Gli Stati membri devono sfruttare al meglio le opportunità

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Stiamo lavorando per avere più Italia in Cina e più Cina in Italia. Fra l’Expo di Shanghai e quello di Milano stiamo lavorando tutti, il mondo delle istituzioni e quello del fare, per raggiungere questi obiettivi

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offerte dalla globalizzazione. Mi fa piacere che citi il caso della Cina. Ribadisco un concetto che mi è molto caro: stiamo lavorando per avere più Italia in Cina e più Cina in Italia». In che modo? «Sono le imprese a chiederci di attuare iniziative concrete e di ampio respiro per avere più Italia in Cina. La Cina non è un problema per


Franco Frattini

A sinistra, Frattini durante la missione in Arabia Saudita; a destra, il padiglione italiano per l’Expo di Shanghai 2010 (Archivio Commissariato generale del governo per Expo Shanghai); sotto, un momento del G20 di Londra 2009

l’economia italiana, piuttosto è un immenso mercato che offre straordinarie possibilità di internazionalizzazione al nostro sistema produttivo, costituendo uno stimolo permanente alla diversificazione di processo e di prodotto. Già oggi sono moltissime le imprese italiane che fanno affari e hanno messo le proprie radici nelle aree di maggior sviluppo cinese. Ma è nostra intenzione avere anche più Cina in Italia. Più investimenti diretti da parte de-

gli imprenditori cinesi che da noi, ne sono convinto, possono trovare terreno fertile. E anche più turisti, più collaborazioni industriali nei comparti strategici e innovativi. Insomma, fra l’Expo di Shanghai e quello di Milano stiamo lavorando tutti, il mondo delle istituzioni e quello del fare, per raggiungere questi obiettivi». Vertici e forum internazionali non sempre garantiscono risoluzioni efficaci o esiti sperati. Quali sono le condizioni necessarie affinché assicurino risultati maggiormente determinanti per le traiettorie di sviluppo mondiali? «I vertici non si riducono alle cene di lavoro e alle photo opportunities. Sono preceduti e seguiti da un intenso lavoro di preparazione diplomatica, che individua una preziosa fucina di confronto, consultazione e cooperazione per

individuare i temi in agenda e mettere a punto posizioni comuni. È in questo lavoro, invisibile ma determinante, che risiede l’essenza di ogni vertice, i cui risultati non vanno misurati nell’immediato, ma più a lungo termine. E, mi creda, è molto importante che i massimi rappresentanti di Stati diversi – a seconda dei casi anche diversissimi – fra loro per identità, peso, interessi convergano su conclusioni condivise, che spesso, quanto meno negli appuntamenti che la comunità internazionale percepisce come importanti o decisivi, non sanciscono compromessi al ribasso, bensì impegni di alto profilo. In tutta franchezza, non nego che nel proscenio internazionale si svolgano talvolta anche eventi che consistono in un mare di chiacchiere. Ma non me ne chieda i dettagli, perché non ci vado». EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 147



IGNAZIO LA RUSSA Contenuti e finalità delle missioni estere a cui partecipa l’esercito italiano

MAURIZIO DE TILLA La riforma forense, la formazione e l’accesso alla professione. Ne parla il presidente dell’Oua

CARLO FEDERICO GROSSO Le fasi dibattimentali del processo per il crac Parmalat e le richieste dei risparmiatori


RISARCIRE IL DANNO

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on è più una disciplina ancillare dell’ordinamento, il diritto penale dell’economia. È cresciuta, diventando autonoma e facendo stabilmente ingresso nei corsi di laurea in giurisprudenza. «La sua importanza – osserva Nicola Mazzacuva, docente di Diritto penale dell’economia alla facoltà di Giurisprudenza dell’Alma Mater - è ormai comunemente avvertita non solo dagli studiosi delle discipline giuridiche e criminologiche, ma anche da quanti si occupano di problemi economici e finanziari». Certo le «sollecitazioni morali» che hanno spinto in questa direzione «emergono in tutta evidenza». Al pari «dell’allarme sociale che suole accompagnarsi alle forme convenzionali di criminalità e che – rileva l’accademico - si è palesato soprattutto in relazione ai noti scandali finanziari succedutisi (non solo in Italia) nei primi anni di questo millennio». Reati societari, dunque, oggetto nel 2001 di una riforma «che è stata criticata per l’incisivo intervento in tema di falso in bilancio. Le successive modifiche del 2005 – evidenzia Mazzacuva sono state di mera rimodulazione della nuova incriminazione che si ritiene tuttora carente sotto due profili. Il primo è relativo alla previsione di un illecito-base contravvenzionale, quindi di un reato ‘minore’ facilmente esposto alla prescrizione. Il secondo alle soglie quantitative, di rilevanza del falso, costruite in termini percentualistici (5% del risultato economico di esercizio e 1% del patrimonio netto) e non assoluti. Ciò, infatti, potrebbe avvantaggiare la grande impresa, consentendo la creazione di fondi neri di una certa entità, ma, comunque, non penalmente rilevanti in quanto appunto non superiori alle soglie di punibilità fissate in termini percentuali». Malgrado queste imperfezioni, «il nuovo diritto penale societario contempla anche fattispecie prima sconosciute come la corruzione privata e l’infedeltà patrimoniale ed è abbastanza vigile rispetto a fatti lesivi come quelli costituiti da manovre speculative sui titoli societari (aggiotag-

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Societas delinquerepotest Riformato nel 2001, il diritto penale dell’economia è oggi a tutti gli effetti una disciplina dell’ordinamento. «La sua importanza è ormai comunemente avvertita», osserva Nicola Mazzacuva, docente di Diritto penale dell’economia all’Alma Mater. Molte le novità introdotte a partire dalla responsabilità penale dell’impresa Elena Lucchi


Nicola Mazzacuva

gio)». Ma il vero sconvolgimento è avvenuto nel momento in cui il legislatore ha riconosciuto l’azienda quale soggetto direttamente responsabile per la commissione di reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio. In questo modo si sono spalancate le porte alla responsabilità “penale” dell’ente e non solo dell’imprenditore-persona fisica. «In effetti – nota l’avvocato - l’introduzione della responsabilità penale delle persone giuridiche ha rivoluzionato la nostra materia, che sino a questa importante innovazione era rimasta ancorata al principio societas delinquere non potest. Anche l’ente collettivo è, infatti, oggi responsabile per gli illeciti commessi dai suoi amministratori, da soggetti apicali, ovvero da soggetti a questi subordinati, e le sanzioni per l’ente non sono solo pecuniarie, ma anche interdittive. Peraltro, il meccanismo introdotto si ispira ad un’apprezzabile logica “premiale”: l’ente che collabora, adottando “modelli organizzativi” idonei ed efficaci per prevenire la commissione di reati all’interno dell’azienda, ottiene benefici significativi. Può evitare l’applicazione di sanzioni interdittive, ottenere riduzioni della sanzione pecuniaria, persino essere

L’introduzione della responsabilità penale delle persone giuridiche ha rivoluzionato la materia che, sino a questa importante innovazione, era rimasta ancorata al principio societas delinquere non potest

esente da responsabilità tout court». Questo ‘riconoscimento’ ha, tuttavia, comportato un notevole dislivello, non ancora colmato, su due fronti. In primis «tra lo statuto penale dell’impresa pubblica dove si applicano i più gravi reati dei pubblici agenti contro la pubblica amministrazione: peculato, corruzione e concussione. Ma anche dell’impresa privata dove i controlli penali sono minori». Secondo «tra la fase fisiologica e quella patologica della vita dell’impresa poiché, in quest’ultima fase, il rigore delle sanzioni penali per l’imprenditore insolvente responsabile di uno dei vari reati fallimentari sembra ancora particolarmente o forse eccessivamente accentuato». Nel complesso, in seno al diritto penale dell’economia permangono alcune criticità su cui sa- EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 163


RISARCIRE IL DANNO

rebbe auspicabile l’intervento del legislatore. «Il

sistema – per Mazzacuva - merita una razionalizzazione complessiva, soprattutto per rendere omogeneo lo statuto dell’impresa pubblica rispetto a quello dell’impresa privata, specie a fronte delle crescenti esperienze di partnership pubblico-private e dell’utilizzo ormai costante del modello societario a partecipazione pubblica, specie nella gestione dei servizi pubblici locali. Se dovessimo pensare a singole modifiche, forse l’introduzione di una fattispecie di corruzione privata “comune”, ossia non solo contestualizzata al diritto penale societario, costruita in modo da tutelare la concorrenza, potrebbe essere la riforma più opportuna da portare avanti». Qualora il Parlamento intervenga inevitabilmente dovrà fare i conti con l’Europa, il cui diritto a 27 stelle «incide molto e inciderà sempre di più, specie in un’ottica di progressiva armonizzazione delle sanzioni penali, promossa appunto in sede europea. Anche perché, di fatto, sembra ormai tramontata la tradizionale tesi che assumeva l’incompetenza penale della Comunità europea». Del resto, la politica criminale dei singoli Stati «è sempre più influenzata dalla produzione giuridica comunitaria non più solo nel settore del diritto penale dell’economia, dove si è persino parlato di “europeizzazione del diritto penale commerciale”. Il Trattato di Lisbona attribuisce espressamente competenze di armonizzazione in materia penale all’Unione europea, che dovranno comunque passare attraverso la mediazione della legge penale nazionale». Le ragioni di questa scelta, per il docente, «sono chiare: la criminalità non conosce confini, è fortemente agevolata dalla libera circolazione dei servizi e dei capitali, dall’abbattimento delle frontiere. Risposte localistiche e domestiche possono essere inefficaci, perciò servono risposte congiunte, specie per la criminalità transnazionale. Anche se c’è il problema, assolutamente prioritario e ineliminabile, di stabilire anzitutto le garanzie comuni: giusto processo, principio di

164 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

Il vero sconvolgimento è avvenuto quando il legislatore ha riconosciuto l’azienda responsabile per reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio

legalità/colpevolezza, un ambito con riferimento al quale le indicazioni più preziose stanno provenendo dalla ricchissima giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo». Europa, ma non solo. Anche perché le grandi società hanno sedi, oltre che negli Usa, anche in stati fiscalmente comodi. Il che potrebbe causare una sorta di ‘disparità’ legislativa. «È il problema dei “paradisi fiscali”. Anche in questo caso mi sembra che l’impegno delle organizzazioni internazionali stia producendo dei risultati: la black list dell’Ocse sulle cosiddette non-cooperative countries esercita una forte pressione e conduce spesso a modificare le legislazioni interne per assicurare maggior trasparenza».



LOTTA ALLA DROGA

Gli agenti provocatori l’impegno oltre la legge Le tutele e i limiti giuridici dell’azione sotto copertura. Il ruolo degli agenti infiltrati è diventato sempre più prezioso nella lotta alla droga. L’ordinamento giuridico, in materia, ha subito importanti evoluzioni. L’analisi di Claudia Pezzoni Ezio Petrillo

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l contrasto alle attività illegali, come lo spaccio di sostanze stupefacenti, necessita dell’azione preventiva di reparti speciali delle Forze dell’Ordine. L’agente provocatore, ovvero l’infiltrato sotto copertura, è una figura di estrema importanza, specie nella lotta alla criminalità organizzata. L’ordinamento giuridico ha subito evoluzioni sostanziali nel tempo, nell’ottica di una maggiore tutela degli agenti “talpa”, il cui lavoro, troppo spesso, è stato oggetto di accuse da parte dei collaboratori di giustizia. Claudia Pezzoni chiarisce, dal punto di vista legislativo, competenze e raggio d’azione degli agenti sotto copertura. Può spiegarci meglio in cosa consiste l’attività del “provocatore” e la sua importanza nel contrasto allo spaccio? «Si tratta di un lavoro molto particolare che comporta segretezza, lunghi periodi lontani dalle famiglie, rischi personali non indifferenti. Un buon agente deve ottenere la fiducia del Clan in cui vuole inserirsi, al fine di poter entrare in rapporti con i soggetti maggiormente rappresentativi, assumendosi a volte l’onere di decisioni importanti e imprevedibili. Parliamo sempre e comunque di ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti a unità specializzate antidroga presenti presso le diverse forze dell’ordine. Per tali operazioni occorrono competenza e preparazione specifica, sicuramente non adeguate per gli operatori più semplici». Il ruolo che svolge l’infiltrato, di vero e proprio complice delle attività criminali, come è stato tutelato dalla Legge? «L’art. 97 del DPR 309\90 delinea il compor-

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A sinistra, l’avvocato Claudia Pezzoni claudiapezzoni@libero.it


Il ruolo degli infiltrati

tamento dell’agente provocatore quale causa di giustificazione del suo operato che, penetrando all’interno dell’organizzazione dedita al traffico di stupefacenti, partecipa alla preparazione e all’esecuzione del reato in veste di un vero e proprio compartecipe. Vista la pericolosità di tale attività, lo Stato ha subordinato l’operato dell’Agente Provocatore a determinate cautele, decidendo espressamente l’ambito delle operazioni anticrimine che possono essere compiute sotto copertura». Quali sono state le modifiche più rilevanti della disciplina normativa che regola l’operato degli agenti provocatori? «La Legge 49\2006 ha valorizzato le attività sotto copertura ampliando, rispetto alla vecchia disciplina, le azioni simulate che un operatore di polizia può espletare sempre sotto

Un buon agente deve ottenere la fiducia del Clan in cui vuole inserirsi, al fine di poter entrare in rapporti con i soggetti maggiormente rappresentativi

l’esimente speciale. Infatti, prima di tale strumento, spesso si assisteva a deposizioni di imputati e, a volte, anche di collaboratori di giustizia, che gettavano ombre sull’operato degli agenti infiltrati, soprattutto in merito alle attività preparatorie all’acquisto di droga. Con la nuova normativa è possibile, per gli agenti, avere documenti falsi per agevolare la copertura, e, inoltre, essi possono avvalersi della collaborazione di soggetti operanti al di fuori delle Forze di Polizia. Viene altresì tutelata in modo rigoroso la riservatezza delle operazioni in corso allo scopo, evidente, di preservare l’incolumità dei soggetti operanti». Quali sono, invece, i limiti giuridici entro i quali deve agire, un agente sotto copertura? «Il primo di essi è la finalità dell’operazione, ovvero la raccolta degli elementi di prova. La corte di Cassazione ha più volte ribadito la distinzione tra attività volta all’ideazione del piano, seguita dall’esecuzione materiale di tipo marginale o causale. Solo nel primo caso risulta applicabile la scriminante dell’art. 51 c.p. (considera non punibile colui che abbia realizzato una condotta astrattamente sussumibile in una fattispecie di reato esercitando una facoltà riconosciutagli dall'ordinamento giuridico ndr)». Pone molti dubbi, invece, l’attività dell’agente provocatore che contatta uno spacciatore proponendogli l’acquisto di una partita di droga per poi coglierlo sul fatto. «In questo caso, la corte di Cassazione ha avuto diversi orientamenti; da una parte ha ritenuto tale operato un adempimento di un dovere di polizia giudiziaria. D’altra parte, in casi diversi, la Cassazione ha adottato un’interpretazione più restrittiva vedendo nell’opera prima descritta, una vera e propria istigazione al reato che non può far applicare la scriminante dell’art. 51 c.p. poiché è adempimento del dovere perseguire i reati commessi e non suscitare azioni criminali al fine di arrestarne gli autori». EMILIA-ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 185


Un nuovo assetto regionale Il ministro Matteoli analizza lo stato di strade, autostrade, ferrovie e aeroporti del Centro Italia. Tra progetti in corso d’opera e prossimi obiettivi per agevolare i collegamenti tra Nord e Sud Nike Giurlani

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’Emilia Romagna per la sua posizione strategica rappresenta un importante crocevia di collegamenti tra Nord e Sud. È per questo motivo che il ministro Altero Matteoli, punta a potenziare l’assetto trasportistico regionale. Tre gli obiettivi: «il nodo stradale e autostradale di Bologna caratterizzato dal passante autostradale, il nodo di Rastignano e il nodo di Casalecchio, il collegamento stradale Campogalliano-Sas-

suolo e, infine, l’asse autostradale Orte-Cesena (tratto E45)». Tra i progetti del ministro delle Infrastrutture e dei trasporti c’è anche il rilancio organico dell’offerta aeroportuale nell’area centrale del Paese. «È quasi pronto un lavoro che ritengo davvero valido e interessante, prodotto dall’Enac e dal ministero e finalizzato all’identificazione di un quadro conoscitivo della nostra offerta aeroportuale». Il presupposto di questo progetto è la realizzazione «di un

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Sotto, il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Altero Matteoli


Altero Matteoli

E45

AUTOSTRADA ORTE-CESENA verranno avviati presto lavori per riqualificare questo tratto stradale

“codice comportamentale” capace di annullare la carica di provincialismo che caratterizza spesso il comparto del trasporto aereo» fa presente il ministro. Qual è lo stato attuale delle infrastrutture del centro Italia? «Le opere legate alla variante di valico autostradale sono in fase di avanzata esecuzione, mentre le opere relative all’asse ferroviario Pontremolese, all’asse autostradale Livorno-Civitavecchia e all’asse autostradale Cisa sono tutte state approvate dal Cipe e in alcuni casi, come quello dell’asse Tirrenico, sono stati anche aperti i cantieri di alcuni lotti». Quali le iniziative più urgenti da portare a termine, in particolare in Emilia Ro-

magna? «Il nodo stradale e autostradale di Bologna caratterizzato dal passante autostradale, dal nodo di Rastignano e dal nodo di Casalecchio; il collegamento stradale Campogalliano-Sassuolo e l’asse autostradale Orte-Cesena. Per ognuno di tali obiettivi, oggi siamo in grado di poter fornire risposte concrete. Quanto prima definiremo una proposta per il nodo stradale e autostradale di Bologna; per quanto concerne il collegamento stradale Campogalliano-Sassuolo, il prossimo Cipe dovrebbe approvare il bando di gara per un project financing organico; per l’asse autostradale Orte-Cesena stiamo seguendo con le Regioni interessate la fase istruttoria della verifica di impatto

Le opere relative all’asse ferroviario Pontremolese, all’asse autostradale Livorno-Civitavecchia e all’asse autostradale Cisa sono tutte state approvate dal Cipe

ambientale per poter poi avviare la gara sulla base del progetto redatto dal promotore». Quali iniziative sono in programma per il rilancio organico dell’offerta aeroportuale nell’area centrale del Paese? In Emilia Romagna, in particolare, come sarà possibile coordinare le numerose realtà aeroportuali del territorio? «È quasi pronto un lavoro che ritengo davvero valido e interessante, prodotto dall’Enac e dal ministero e finalizzato al-

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INFRASTRUTTURE

l’identificazione di un quadro conoscitivo della nostra offerta aeroportuale. Un’esigenza questa che non poteva essere ulteriormente rinviata se si tiene conto che l’ultimo approccio programmatico al nostro sistema aeroportuale risaliva al 1986. Un simile quadro conoscitivo renderà possibile la stesura di un “codice comportamentale” capace di annullare la carica di provincialismo che caratterizza spesso il comparto del trasporto aereo; un limite concettuale, il “provincialismo”, antitetico a una modalità di trasporto che non può subire vincoli localistici.

Quanto prima avvieremo i confronti con le singole Regioni per dare consistenza funzionale all’offerta aeroportuale della Regione Emilia Romagna, un’offerta strategica per l’intero sistema Paese». Lei ha sottolineato la necessità di accorciare i tempi tra la presentazione del progetto e l’effettiva realizzazione di un’opera pubblica. Come sarà possibile? «L’obiettivo prioritario è quello di azzerare i tempi che intercorrono tra la seduta del Cipe, che approva l’intervento e la stesura della delibera, la sua registrazione da parte della

200 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

1986 MODIFICA Data dell’ultimo approccio programmatico al sistema aeroportuale italiano

Corte dei Conti, la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale e, quindi, il bando di gara. Quest’ultimo riguarda la prequalifica, l’aggiudicazione e la consegna dei lavori. Questo arco temporale, che spesso supera i 6-8 mesi, sicuramente può essere abbondantemente ridimensionato. Senza dubbio i commissari nominati per alcuni interventi, legati alle opere della Legge Obiettivo, hanno già prodotto concreti risultati, tuttavia ritengo che un monitoraggio efficace da parte di tutti i soggetti responsabili dei vari passaggi amministrativi possa davvero produrre risultati interessanti».



INFRASTRUTTURE

Bologna e Parma snodi chiave del trasporto Il sistema interportuale emiliano-romagnolo fa da traino di sviluppo per l’intera economia regionale. Alessandro Ricci e Johann Marzani analizzano esigenze e criticità del settore Ezio Petrillo

A

l centro dello sviluppo. L’Emilia Romagna è in una posizione strategica per il transito commerciale lungo le direttrici nordsud e Tirreno-Brennero. Parma e Bologna rappresentano due snodi fondamentali per il tragitto delle merci.

Non è un caso, dunque, che gli interporti delle città emiliane siano tra i primi dieci in Europa. Lo scalo commerciale bolognese è al quarto posto. Quello parmense all’ottavo. Tra infrastrutture da potenziare e nuovi progetti in cantiere, i presidenti delle società che gestiscono gli interporti,

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Alessandro Ricci e Johann Marzani, indicano le priorità più urgenti. «Nell’ottica di un potenziamento dei flussi commerciali – spiega Marzani, presidente dell’interporto di Parma – è in elaborazione il progetto Shuttle, il cui obiettivo è quello di diventare retro-porto di La Spezia e piat-

In alto, l’interporto di Bologna


Interporti regionali

taforma logistica di riferimento per i porti dell’Alto Tirreno, in accordo con autorità portuali, operatori e imprese». Precise anche le linee guida che provengono dalla società Interporto del capoluogo regionale. «Bologna deve consolidare la sua posizione nel contesto europeo – evidenzia Ricci –. In questo senso vanno potenziati i collegamenti diretti con le principali aree di riferimento per le nostre esportazioni. In tale direzione si muovono gli accordi sottoscritti nel corso del 2009 con le ferrovie lituane e con il gruppo Bayernhafen che gestisce diversi terminali in Baviera. Dobbiamo essere collegati con almeno quattro quadranti strategici per l’interscambio delle merci: Germania ed Europa centrale; Spagna e il Nord-Ovest d’Europa; Europa dell’Est e area Balcanica. Su queste quattro aree stiamo concentrando le nostre energie». Non mancano punti di criticità che riguardano, soprattutto, il sistema infrastrutturale della regione. «Assolutamente indispensabile – secondo Marzani –, è il potenziamento della linea ferroviaria che collega La Spezia e i porti dell’Alto Tirreno ai grandi snodi centro e nord-europei del traffico merci. Parlo del raddoppio della linea Pontremolese e della sua prosecuzione verso il valico del Brennero e, dunque, anche dell’elettrificazione del tratto di linea tra Parma e Suzzara». Un appello all’unicità del sistema di tra-

Bologna deve consolidare la sua posizione nel contesto Europeo. In questo senso vanno potenziati i collegamenti diretti con le principali aree di riferimento per le nostre esportazioni

sporto merci viene dallo scalo commerciale bolognese. «La nostra regione – sottolinea Ricci – oltre a due grandi interporti, dispone di una grande area logistica come Piacenza, un porto importante come Ravenna, un pluralità di scali merci non secondari come Dinazzano e Lugo. L’azienda ferroviaria regionale, per questi motivi, vuole dedicarsi con energia al cargo. Occorre, in questo

senso, che il sistema regionale ragioni con visione unitaria e agisca con sinergia. A mio avviso è giunto il momento di fare il passo decisivo verso un soggetto unico regionale che consenta al sistema emilianoromagnolo di competere davvero alla pari con le più sviluppate aree europee. Abbiamo criticità come l’eccessiva frammentazione degli scali merci ma, nel contempo, ci sono straordinarie eccel-

In basso, il presidente dell’interporto di Bologna, Alessandro Ricci


TRASPORTI

In basso, il presidente dello scalo parmense, Johann Marzani; di fianco l’interporto di Parma

Nel 2009 dall’interporto di Parma sono transitati circa 5 milioni di tonnellate di merci; di questi circa 1,3 milioni attraverso la modalità ferroviaria

lenze. La Regione, per i motivi citati sopra, ha sottoscritto con il gruppo Fs un piano di riorganizzazione degli scali merci e ha approvato una legge regionale che incentiva il trasporto ferroviario commerciale». Nonostante la crisi economica, in questi ultimi anni i numeri degli interporti emiliani riguardo alla quantità di merci in transito risultano di tutto rispetto. «I dati in nostro possesso – puntualizza Marzani –, disegnano un quadro di sostanziale tenuta del settore. Nel 2009 dall’interporto di Parma sono transitati circa 5 milioni di tonnellate di merci, di questi circa 1,3 milioni attraverso la modalità ferroviaria. Negli anni ci siamo focalizzati su 204 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

3,6 mln

TONNELLATE La quantità di merci transitate nell’interporto bolognese nel 2009

5 mln

TONNELLATE Il numero di merci che transitano sullo scalo parmense

quelle categorie merceologiche considerate strategiche. Tra cui, un posto di rilievo ha l’agroalimentare ma anche l’automotive e i prodotti derivati dal petrolio». Notevoli anche le cifre dello scalo di Bologna. «Nel corso del 2009 – illustra Ricci –, sono transitate attraverso Interporto Bologna oltre 3.600.000 tonnellate di merci di cui quasi 2.300.000 su gomma e oltre 1.300.000 su ferro. A questo bisogna aggiungere 3.453 treni transitati nel 2009 e una media di circa 4.000 passaggi di automezzi pesanti. La flessione del traffico rispetto al 2008 è dovuta principalmente alla crisi e, per quanto riguarda il ferroviario, anche alle scelte che Trenitalia ha

compiuto sul cargo». Uno sviluppo economico e infrastrutturale di un territorio, oggi, non può prescindere, inoltre, dalla tutela ambientale. «Una politica di incentivazione di modalità di trasporto a minore impatto ambientale – conclude Marzani –, oggi è una priorità. Come interporto abbiamo già nel passato sostenuto questo valore e continuiamo a farlo oggi, attraverso gli investimenti sull’intermodalità come l’elettrificazione della dorsale ferroviaria tra la stazione di Castel Guelfo e il terminal interno. Inoltre, stiamo avviando un progetto sulle energie alternative che risponde proprio alle esigenze di sostenibilità ambientale».



INFRASTRUTTURE

Il lungo binario del rilancio urbano S I bolognesi attendono da più di vent’anni una nuova stazione. Ma oggi non basta, a dover essere ricostruita è una vasta area cittadina su cui andrà a inserirsi l’ambizioso progetto dell’architetto Arata Isozaki. E il dibattito si accende

Andrea Moscariello

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crive Roger Cohen sul New York Times, che in Italia “C’è la tendenza a non finire le cose”. Questa riflessione parte da una mirabolante incredibile esperienza che ha portato il noto giornalista americano a confrontarsi con la stasi strutturale che attanaglia, da decenni, l’aeroporto di Firenze. E sorprende, non senza amaro in bocca, come talvolta questo


Stazione Centrale di Bologna

Ristrutturare questo nodo corrisponde all’obiettivo di rafforzare il ruolo del centro in un contesto ben più ampio di quello urbano o metropolitano

pensiero possa applicarsi a molte delle nostre infrastrutture. E Bologna ne è un esempio lampante. Casus belli capace di scatenare il dibattito tra politici, architetti, ingegneri e urbanisti è il nodo della stazione ferroviaria, un’area da cui transitano, in media, circa 159 mila persone al giorno. Tutti sappiamo che il capoluogo emiliano rappresenta un vero e proprio crocevia tra le

principali città italiane, oltre che un passante per l’Europa, pensiamo soltanto al collegamento verso Monaco di Baviera. Ebbene, quella che potrebbe rappresentare una delle stazioni più importanti del continente vanta innumerevoli gap, strutturali, logistici ed economici. Il cambiamento, però, pare essere vicino. L’ormai celebre progetto di restyling dell’architetto Arata Iso-

zaki, del valore di circa 340 milioni di euro, dovrebbe, secondo i piani, racchiudere qualcosa di ancora più ambizioso della bianca estetica concepita dal progettista giapponese. Innanzitutto l’opera di rinnovamento della stazione rientra in un più grande urban plan che punta al rilancio del quadrante Nord Ovest della città. Grandi Stazioni, società creata dal gruppo Fs, si è

Nelle immagini, alcuni render del progetto di Arata Isozaki che andrà a ridisegnare l’esterno e l’interno della stazione centrale bolognese

EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 207


INFRASTRUTTURE

FOCUS: IL PROGETTO

L

a nuova stazione ferroviaria di Bologna Centrale sarà il centro strategico e nevralgico di una rete di trasporti internazionale, che interesserà un movimento giornaliero di oltre 800 treni e di circa 180mila passeggeri. Al suo interno confluiranno le linee ferroviarie tradizionali, le nuove linee dell’alta velocità, il servizio ferroviario metropolitano, la metro tranvia, e il People Moover. I binari dell’AV (Bologna-Milano e Bologna-Firenze) scorreranno a una profondità di meno 24 metri nell’area che, attualmente, è occupata dagli ultimi 5 binari sul lato di via De Carracci. La nuova stazione AV comprenderà un grande vano sotterraneo di circa 650 metri di lunghezza e oltre 40 metri di larghezza. Il tutto articolato su 3 livelli. Il più pro-

fondo ospiterà i binari; quello intermedio, a meno 15 metri, ospiterà i servizi per i passeggeri; a meno 7 metri, invece, verrà predisposto il traffico dei veicoli e permetterà l’accesso ai parcheggi della stazione e della zona Salesiani. La progettazione è stata assegnata all’architetto Arata Isozaki (nella foto), a capo del gruppo di progetto formato da Ove Arup & Partners e dallo studio italiano M+T & Partners. Nella visione di Isozaki si ricostruisce la maglia urbana interrotta dalla ferrovia. Tutti gli edifici verranno realizzati di pari altezza, rapportata a quella delle costruzioni circostanti. Un vero tocco contemporaneo, lineare, che non aggredisce il preesistente ma, anzi, lo valorizza donandogli una nuova superficie sfruttabile dalla città.

presa in carico il restauro degli un collegamento rapido, circa

Sopra, Annamaria Cancellieri e Mario Cucinella. Nella pagina a fianco, in alto, Piazza Medaglie D’Oro a Bologna e, sotto, un render del progetto di mobilità People Moover

edifici storici affacciati su Piazza Medaglie D’Oro. Al tempo stesso, sotto il futuristico guscio di Isozaki, dovrebbero intersecarsi la nuova stazione dell’Alta Velocità e le linee della futura metrotranvia. All’esterno, invece, dovrebbe giungere la navetta automatica, il People Moover,

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7 minuti, che dalla centrale dovrà dirigere i passeggeri verso l’aeroporto, con fermata intermedia nel quartiere, anch’esso rinnovato, del Lazzaretto. I fondi, a dire il vero, ci sono già. E il comune non dovrebbe tirare la cinghia dato che derivano in parte da finanziamenti nazionali, in

parte da Fs, in particolare da Reti Ferroviarie Italiane, che gestirà la realizzazione dell’Alta Velocità. Ma perché il tutto è in ritardo, o stenta a partire? Come mai Bologna ha ottenuto le linee ad Alta Velocità prima ancora di una stazione appositamente loro dedicata? Secondo il commissario della città, Annamaria Cancellieri, «la realizzazione della stazione sotterranea sarà completata entro il 2012. Mentre le opere di riqualificazione termineranno entro tre anni, dunque nel 2013. Solo dopo il completamento di questi progetti sarà possibile avviare i lavori per la realizzazione degli edifici progettati da Isozaki». Molti, però, sono gli scetticismi riposti verso queste scadenze. A cominciare da chi, durante la giunta Guazzaloca, tra il 1999 e il 2004, si ado-


Stazione Centrale di Bologna

Accanirsi su Piazza Medaglie D’oro e sul viale rappresenterebbe un costo sproporzionato rispetto al risultato che ne deriverebbe

però per approvare il primo progetto, più e più volte rimaneggiato dai sindaci successivi. L’ingegner Giovanni Crocioni ne fu all’epoca il consulente strategico per il comune. «Accetto scommesse sul fatto che i lavori non finiranno prima del 2015» sostiene. Quello che, soprattutto, preoccupa Crocioni, è l’incompatibilità dei sistemi di metropolitana e di People Moover. Proprio sui sistemi e sui flussi di mobilità integrati si gioca in effetti il futuro della sostenibilità urbanistica. «Il People Moover non riuscirà a essere economicamente sostenibile. Prevede soltanto tre fermate e, di conseguenza, saranno pochi i passeggeri che ne compreranno il biglietto. Al tempo stesso, la metropolitana, così come concepita nell’ultimo piano dell’ex assessore Zamboni, non è pratica. Sor-

gendo a una profondità di 35 metri, quindi sotto le linee dell’alta velocità, implicherà una perdita di tempo per tutti coloro che, dalla metrò, dovranno andare a prendere un treno». Ed è sempre sull’economia del tempo che anche Giovanni Salizzoni, ex vice sindaco sotto la giunta Guazzaloca, pone

l’accento: «Scendere dal treno e prendere con due passi il metrò sarebbe una marcia in più per la città. Al contrario, costringere le persone a fare 2, 3 o 4 rampe di scale in profondità vuol dire condannarci a un’ingiustificabile perdita di tempo e, quindi, di competitività». Secondo l’architetto bolognese EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 209


INFRASTRUTTURE

E INTANTO BOLOGNA SI MOSTRA ALL’EXPO

L’intervento di Isozaki inserisce un segno contemporaneo nel paesaggio, un nuovo simbolo di sviluppo, senza impegnarne le caratteristiche paesaggistiche

Mario Cucinella, scettico sulla

realizzazione del metrò, «la metropolitana, a Bologna, probabilmente è uno di quei temi che non sarà mai al centro di un vero dibattito». Andando, invece, sul tema del rilancio dell’area urbana, Cucinella afferma che bisogna comunque stare attenti a «non aggredire quel viale e quella piazza su cui si affaccia la centrale. Accanirsi su quell’angolo rappresenterebbe un costo sproporzionato rispetto al risultato che ne deriverebbe». Per l’architetto è verso la zona Ovest, dove vi è più superficie libera, che occorre andare a creare un punto di incontro tra parcheggi, pullman, autobus, fermata del metrò e piste ciclabili. Crocioni, invece, è più prudente, e teme un’eccessiva esposizione verso l’area della Bolognina, il quartiere alle spalle della stazione, a discapito del centro storico, che rischierebbe così di restare escluso dal piano di rinnovo urbano. Su questo dice la sua anche Cancellieri, secondo la quale «L’idea di ristrutturare questo nodo di mobilità, corrisponde all’obiettivo di rafforzare il ruolo del centro

210 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

P

er la prima volta a un Expo universale è stata creata un’intera area rivolta alle migliori esperienze urbane del mondo. 15 ettari dedicati alle città del pianeta ritenute eccellenti in relazione alle tematiche dell’Expo di Shanghai. Tra queste anche Bologna, scelta da una giuria internazionale composta da membri dell’Unesco, della Banca Mondiale, architetti e urbanisti chiamati a selezionare circa 50 città da mostrare come esempi di eccellenza nel campo delle politiche urbane. Il capoluogo emiliano è stato inserito nell’area “Liveable City” (città vivibile) per 4 caratteristiche: cultura e creatività, innovazione tecnologica, inclusione sociale, trasformazioni urbanistiche e infrastrutturali. A concepire lo stand è il celebre designer Antonio Mastrorocco, del Consorzio Creativo Library & Loop. Al suo interno i visitatori potranno pedalare su cinque biciclette, scegliendo altrettanti itinerari per le vie della città, proposti attraverso video interattivi. Una visita virtuale tra i portici e le torri che intende raccontare la quotidianità e i simboli di Bologna, dalle sue bellezze antiche fino alle sue eccellenze produttive e imprenditoriali, testimoniate dai dieci monitor dell’Innovation District. Infine, nella Piazza, 36 metri quadrati di video, si raccontano le eccellenze istituzionali grazie al contributi dei principali attori di ogni settore, dalla Pubblica amministrazione all’Università, dalla Fiera al sistema sanitario.

della città in un contesto ben più ampio di quello urbano o metropolitano. Il collegamento che le nuove strutture realizzeranno tra il centro storico a sud e la Bolognina a nord creerà una saldatura tra due parti di città che così potranno costituire il vero centro di Bologna». Non solo, sempre per l’attuale vertice dell’amministrazione bolognese, le migliorie conseguenti l’attuazione del progetto saranno significative sul piano della mobilità, l’opera prevede la realizzazione di nuove infrastrutture per l’accesso, il parcheggio, l’attraversamento della zona e per i mezzi di trasporto pubblico, abbassando anche il livello del-

l’inquinamento atmosferico e acustico. Anche sul piano estetico, per il commissario «l’intervento di Isozaki inserisce un segno contemporaneo nel paesaggio della città, quindi un nuovo simbolo dello sviluppo urbano, senza impegnarne le caratteristiche paesaggistiche, il rapporto tra collina e pianura, le altezze degli edifici e delle torri della città». Il vantaggio che, secondo Cucinella, dovrebbe sfruttare il capoluogo emiliano, sta nel fatto che «Bologna parte da zero. Qui si può aprire uno scenario nuovo. È un’occasione di rilancio da cogliere per una città che sta lentamente e inesorabilmente guardando morire se stessa».



CULTURA VOLANO DI SVILUPPO

Identità in dialogo sull’Appennino Una serie di progetti legati al tema dell’identità intesa come patrimonio culturale, territoriale ed etnico. È il Festival delle identità, ideato da Irene Pivetti, che animerà la cittadina di Berceto, in provincia di Parma, per tutto il 2010. «Sarà un veicolo per gemellare realtà diverse accomunate da una comune radice» Concetta S. Gaggiano

C

’è una strada per dialogare restando fedeli alle proprie radici? C'è un modo per fare di un piccolo centro dell’Appennino parmense un crocevia di culture con un occhio di riguardo anche al turismo e allo sviluppo economico locale? Queste sono due delle domande, e delle sfide, a cui cercherà di rispondere il Festival delle identità, ideato e organizzato da Irene Pivetti e dalla sua Onlus Learn to be free in collaborazione con il Comune di Berceto, di cui l’ex presidente della Camera è assessore. «Il Festival sarà un grande evento internazionale dedicato alla cultura, al cinema, all’arte “delle identità” ma anche un’occasione per riflettere su queste problematiche quanto mai attuali nel nostro mondo sempre più globalizzato». Un’occasione in più per ap212 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

profondire la conoscenza di culture differenti, coinvolgendo la comunità locale e le imprese del territorio con l’obiettivo di sviluppare il dialogo e in contemporanea le eccellenze locali – economiche, turistiche, culturali – creando un ponte con New York, Malta, Londra, città in cui il festival sarà “esportato”

durante l’anno e in cui sono presenti importanti comunità bercetesi. Il programma del festival è suddiviso in più sezioni: cinema, cultura, sport, imprenditoria, moda, fotografia, alimentazione, visti nei loro rapporti con il tema dell’identità. Come è nata l’idea di organizzare un festival delle

A sinistra, Irene Pivetti; sopra, la cittadina di Berceto, in provincia di Parma


Irene Pivetti

L’IDENTITÀ ATTRAVERSO I POPOLI Grazie al Festival delle Identità, giovani e meno giovani torneranno a prendere coscienza delle loro tradizioni e radici. Mezzo privilegiato di questa analisi sarà l’audiovisivo l Festival delle Identità è un progetto internazionale promosso da Ltbf Onlus con il patrocinio dell’Onu, che si svolge da marzo a novembre 2010 e prevede un programma ricco di progetti culturali, sociali e imprenditoriali, legati al tema dell’identità, intesa come patrimonio di valori personali, sociali, culturali, territoriali, etnici, religiosi, di genere. Fondamentale è l’utilizzo dell’audiovisivo, «soprattutto per i giovani che molto spesso risucchiati dalla rete stanno perdendo il senso dell’individualità - spiega il produttore e regista Paolo Monaci – mentre con il mezzo audiovisivo stanno riscoprendo le tradizioni, le radici e la storia». All’interno della manifestazione è prevista una retrospettiva sugli indiani d’America alla luce del «gemellaggio di Berceto, istituito dall’allora assessore Lucchi che oggi è sindaco di Berceto, con i lakota che coinvolse molte persone e fu un evento molto importante - spiega il regista -. Da quel momento è nato un legame molto forte tra questi due popoli, che dura ancora oggi». La manifestazione prevede un programma molto vasto che coinvolgerà, in particolare, tre città: Berceto, Parma e Roma. «In concorso sono presenti lungometraggi e videoclip, mentre fuori concorso ci sono i documentari, con una sottosezione riguardante l’auto rappresentazione». Sarà presente anche un progetto riguardante il Cile, realizzato da «una regista e un tecnico che hanno vissuto a stretto contatto con una popolazione indigena cilena. Il loro scopo era quello di insegnare ai giovani del Sud America, ad usare la strumentazione audiovisiva per raccontare le loro storie». Mai prima d’ora in Italia era stato realizzato un esperimento di questo genere. Oltre al documentario girato in Cile saranno presentati quelli provenienti dalla «Francia, dall’America, dall’Africa, perché il leitmotiv è proprio il confronto tra l’identità dei popoli europei rispetto a quelli dell’America». L’obiettivo del festival è quindi «quello di creare una fabbrica del cinema in questi luoghi. Tra le prossime iniziative – conclude – c’è la volontà di sviluppare un film su Guareschi di cui abbiamo già i diritti e le cui riprese inizieranno nel 2011».

I

La manifestazione sarà un veicolo per gemellare realtà diverse accomunate da una comune radice

identità proprio a Berceto? «Tutto è nato da un’e-mail ricevuta dal presidente di un’associazione culturale di Berceto che mi ha scritto chiedendole di darle una mano a “vivacizzare” questo piccolo comune del parmense. Da qui abbiamo iniziato una proficua collaborazione. Soprattutto mi ha

colpito molto una curiosità che mi è stata raccontata: vent’anni fa Berceto ha fatto un gemellaggio con i Lakota. Allora mi sono chiesta: che cosa accomuna i bercetesi montanari con la tribù dei Lakota delle pianure del South Dakota? La risposta è l’identità di popolo e il legame con la propria terra. Lavorando su questi due importanti valori, abbiamo costruito un evento culturale, che avesse anche una qualche attrattiva turistica, su questo tema. Il Festival delle identità presenta iniziative di carattere turistico e culturale che si articolano durante

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CULTURA VOLANO DI SVILUPPO

IL VALORE DELLE IDEE Nasce il Premio Luigi Malerba per riconoscere il talento dei giovani e ritrovare le eccellenze in fuga all’estero

A

ll’interno del calendario del Festival delle Identità, tra fine ottobre e inizio novembre 2010, si terrà la I edizione “Premio Luigi Malerba di Narrativa e Sceneggiatura”.«È un progetto che è partito da una piccola idea e si sta espandendo enormemente anche fuori dai confini nazionali – come illustra la responsabile del premio, Rosanna Amadei -. Abbiamo voluto come nostri partner ambasciate e istituti di cultura stranieri con lo scopo di privilegiare progetti che di solito hanno poca visibilità perché inseriti in circuiti indipendenti o che non hanno mercato». E l’idea sembra piacere visto che «stiamo raccogliendo grandi entusiasmi da parte di molti Paesi». In considerazione della prolificità e della varietà della produzione di Luigi Malerba, ogni anno verrà individuata un’area legata alla sua produzione. Per questa prima

edizione è stato scelto il cinema. «L’iniziativa, oltre a rendere omaggio a uno dei più grandi scrittori italiani, vuole essere soprattutto un premio innovativo, volto a rendere giustizia al talento dei giovani di età non superiore ai 28 anni» compresi quelli residenti all’estero e gli stranieri di origine italiana, che desiderino coltivare le proprie radici e il legame con la terra di origine, cimentandosi nella scrittura di un’opera in lingua italiana. «La nostra volontà è dar loro la possibilità di esprimersi e farsi conoscere in un mondo che spesso chiude loro le porte». Ma c’è di più. Un altro aspetto importante è quello di «ricreare i legami con le comunità italiane che vivono all’estero: vogliamo esportare anche al di fuori dei nostri confini quello che di buono viene realizzato in Italia». A giudicare i progetti ci saranno, tra gli altri, «Irene Bi-

gnardi, Roberto Campari dell’Università di Parma, il direttore della Bim Distribuzione e molte altre personalità che credono fortemente in questa iniziativa». Uno dei prossimi obiettivi sarà quello coinvolgere anche le università. «Vogliamo riagganciare anche le eccellenze universitarie all’estero per riportarle in Italia».

tutto l’arco dell’anno dalla sono partecipare sia giovani dation conta 3.500 iscritti; primavera all’autunno con vari aspetti: la rassegna cinematografica, il premio letterario Luigi Malerba a cui pos-

214 • DOSSIER • EMILIA ROMAGNA 2010

che vivono in Italia sia italiani che vivono all’estero, sfilate di moda, una mostra fotografica, una rassegna musicale, oltre a manifestazioni enogastronomiche. Abbiamo pensato di riverberare questo festival al di fuori dei confini bercetesi con iniziative sia a Parma che a Roma, fino a New York, Malta, Londra». Perché la scelta di queste località e cosa verrà esportato? «Sono città in cui ci sono importanti comunità bercetesi: a New York la Berceto Foun-

andremo anche in Canada e in Argentina, dove pure sono numerose le persone originarie di Berceto, a recuperare questi legami sia portando qua pezzi di quella cultura, sia esportando tracce di questo territorio e di questo festival. La manifestazione sarà un veicolo per gemellare realtà diverse accomunate da una comune radice. Per quel che riguarda Malta il legame è la via Francigena, nella quale Berceto è inserita e di cui Malta rappresenta una tappa fondamentale per il pellegrinaggio».


Irene Pivetti

Sono convinta che non bisogna perdere il legame con le proprie radici se si vuole dialogare con gli altri popoli

Come si pone questo festival all’interno di una società che sembra poco incline all'integrazione tra culture diverse? «Io non credo che ci sia avversione ad aprirsi, penso invece che sia un momento molto favorevole per la globalizzazione che ci impone di aprirci a culture differenti e al dialogo tra “diversi”. Sono convinta che non bisogna perdere il legame con le proprie radici se si vuole dialogare con gli altri popoli. Siamo obbligati a confrontarci con un diverso che viene a volte anche da molto lontano. Ciò può avvenire soltanto se si è sicuri e solidi nella propria iden-

tità e questo è il senso anche del nostro festival che pone Berceto come crocevia di culture». Berceto si trova sulla via Francigena, oggetto di una rivalutazione turistica e culturale molto importante. Quanto può essere importante per lo sviluppo turistico locale? «Noi abbiamo puntato moltissimo su questo aspetto e proprio sulla scia del festival sono aumentate di molto le richieste di soggiorni turistici nel paese. Adesso bisogna costruire una rete di ricettività alberghiera adatta a ospitare

la crescente richiesta di turisti. Vista la mancanza di strutture sufficienti a soddisfare tutte le prenotazioni stiamo strutturando un sistema di reception centralizzata che gestirà le numerose richieste che arrivano». C’è una sensibilità delle imprese locali a voler collaborare con voi? «All’inizio non è stato semplice perché si fa fatica a immaginare che le cose possano andare in modo diverso da come siamo abituati a vederle. Noi non stiamo chiedendo una mano alle imprese locali, gliela stiamo offrendo».

In alto a sinistra, uno scorcio di Berceto; a destra la tribù dei Lakota; sopra il Tempio dei Tre Gioielli

EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 215



Il sistema regionale tra ricerca e qualità

GIORGIO CALABRESE L’importanza dell’educazione alimentare nella dieta dei più piccoli

ENRICO RODA Un gruppo di ricerca dell’ospedale Sant’Orsola di Bologna studia la merendina perfetta

STEFANO CENCETTI Il Policlinico di Modena capofila regionale del progetto per sale operatorie più sicure


OSPEDALI SICURI

C

on Safe Surgery Safe Life, la sicurezza entra in sala operatoria. Programma varato dall’Oms per ridurre i rischi in cui un paziente può incorrere quando finisce sotto i ferri, Safe Surgery Safe Life, in Italia, ha trovato terreno fertile nell’Azienda ospedaliero–universitaria di Modena che, già nel 2008, ha cominciato ad applicare i ‘suggerimenti’ dell’Oms. Arrivando così a diventare, oggi, punto di riferimento regionale nella sicurezza in sala operatoria. Con lungimiranza, il policlinico ha dunque aperto le porte delle sue sale al programma. «La nostra risposta - spiega Stefano Cencetti, direttore generale dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Modena – è motivata dall’alta percentuale dei volumi di attività chirurgica rispetto al totale dei ricoveri. Ciò impone una particolare attenzione, non tanto in termini di risorse impiegate e di performance, quanto per quel che riguarda gli aspetti della sicurezza e della qualità in sala operatoria». Dal momento che anche il più semplice intervento chirurgico comporta delle «complicità intrinseche dovute a numerosi fattori, dalle condizioni acute dei pazienti, al numero di persone e professionalità coinvolte, al livello tecnologico impiegato fino ai momenti critici che si possono avvicendare e alla necessità di lavorare in equipe». Tra l’altro, nota il direttore generale, in sala operatoria entrano «sempre più anziani: il 30% ha più di 65 anni, molti sono obesi e con fattori di rischio elevato e con pluripatologie, mentre, in base allo score anestesiologico il 15 % dei pazienti è a rischio elevato». Inevitabile, quindi, che l’ospedale modenese guardasse con attenzione all’Oms e al suo Safe Surgery Save Lives, «le cui linee guida, prodotte nel 2008, mettono in evidenza la necessità di diffondere raccomandazioni dirette sia agli operatori sanitari, sia ai manager aziendali. Con la necessità di allinearsi a standard di qualità per il miglioramento della qualità e della si-

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Sale operatorie più sicure Safe Surgery Safe Life è il programma dell’Oms per abbattere il rischio in sala operatoria. L’ Azienda ospedaliero–universitaria di Modena ne è capofila in regione. «La nostra risposta è motivata dall’alta percentuale dei volumi di attività chirurgica», spiega Stefano Cencetti, direttore generale dell’azienda Sandro Piccinini

Stefano Cencetti, direttore generale dell’Azienda ospedaliera universitaria di Modena

curezza in sala operatoria». Sulla base del programma dell’Organizzazione mondiale della sanità, il Ministero della Salute ha poi redatto il “Manuale sulla sicurezza in sala operatoria: raccomandazioni e check list”: 16 obiettivi specifici, 16 raccomandazioni, di cui 10 estrapolate dal documento dell’Oms e 6 elaborate dal ministero con il supporto di esperti del gruppo per la sicurezza dei pazienti». Come si articola il programma dell’Oms? «Safe Surgery Saves Life identifica gli standard di sicurezza che devono essere rispettati all’interno delle sale operatorie e prevede l’utilizzo di un semplice strumento di controllo il Surgical


Stefano Cencetti

Safety Check List che consente di verificare, in tre diversi momenti del processo chirurgico, se tali standard siano stati rispettati. Il valore aggiunto di questo ‘mezzo’ è rappresentato dal fatto che è estremamente semplice da utilizzare e dunque facilmente adattabile alle diverse realtà e contesti locali. Inoltre si tratta di uno strumento di controllo di tipo proattivo ovvero che consente di intercettare il pericolo prima che si verifichi l’evento avverso sul paziente. Qualunque deviazione viene infatti ricondotta allo standard di sicurezza prima che si proceda con l’esecuzione dell’intervento chirurgico». A quali ambiti chirurgici avete già applicato questa procedura? E quali i prossimi a cui verrà estesa? «Il progetto pilota che è in campo dal novembre 2008, ha coinvolto quattro Unità operative: due di Chirurgia generale, una di Otorinolaringoiatria e una di Chirurgia toracica. Nel prossimo anno, anche alla luce dell’avvio della rete regionale Sos.net, intendiamo estendere l’utilizzo della Check list a tutte le unità operative chirurgiche dell’azienda».

La Surgical Safety Check List è uno strumento di controllo di tipo proattivo che consente di intercettare il pericolo prima che si verifichi l’evento avverso sul paziente

Che conseguenze ha avuto, in termini di abbattimento del rischio, sulle vostre procedure chirurgiche l’attivazione dei 16 items? «Innanzitutto richiamiamo i risultati conseguiti in un anno di sperimentazione dal programma Oms e che sono stati presentati in maniera plenaria nel gennaio del 2009 e poi pubblicati sul New England Journal of Medicine. Nello studio sono stati confrontati più di 3.700 interventi con e senza somministrazione della check list. L’end point considerato dai ricercatori è stato il tasso medio di complicanze postoperatorie e la mortalità a trenta giorni dall'intervento chirurgico. I risultati raggiunti sono incoraggianti in quanto sia il tasso medio di mortalità che quello medio di complicanza postoperatorie si sono ridotti in

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OSPEDALI SICURI

maniera statisticamente significativa, passando

da un tasso medio di mortalità dell'1,5% a uno dello 0,8% e da uno medio di complicanze postoperatorie dell'11% al 7%». Quali saranno le conseguenze? «Quando il programma sarà a regime, quindi quando la check list sarà utilizzata in un numero di ospedali tali da coprire metà della popolazione terrestre, ogni anno verranno salvate circa 500.000 vite. I risultati preliminari del nostro studio pilota hanno evidenziato che la check list si dimostra un ottimo strumento per identificare le deviazioni dallo standard di sicurezza. Infatti su 1.600 interventi chirurgici monitorati a Modena, abbiamo registrato un 65% di non conformità che, grazie all’utilizzo della check list, sono state ricondotte nel 100% dei casi, allo standard di sicurezza». Quali i rischi più frequenti in sala? «La deviazione che abbiamo riscontrato più frequentemente è associata alla marcatura del sito chirurgico. In generale possiamo affermare che il maggior numero di deviazioni sono causate da difetti di natura organizzativa e di comunicazione del team. Ovviamente uno strumento come check list è una tutela per i pazienti, ma anche per gli operatori che sempre più spesso incorrono in sentenze e contenziosi di natura medico-legale. È anche per que-

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1.600 INTERVENTI

Operazioni chirurgiche monitorate attraverso la check list di Safe Surgery Safe Life

65% ERRORI

La percentuale di non conformità rilevate e ricondotte nel 100% dei casi allo standard di sicurezza

sto che abbiamo deciso di considerare la check list un documento sanitario a tutti gli effetti che viene inserito all’interno della cartella clinica del paziente». Quali le modifiche necessarie da apportare al programma per rendere ancora più sicure le sale operatorie? «La strategia vincente per determinare il successo di iniziative e progetti come questo è la condivisione degli obiettivi e delle finalità con tutte le figure professionali coinvolte. Altro elemento cardine è lo sviluppo un network capace di alimentare e diffondere la cultura della sicurezza. L’importanza di questo concetto è stato condiviso anche a livello regionale ed è stato il motore del progetto Sos.net». Si taglierà mai il traguardo della sala operatoria a rischio zero? «Purtroppo la natura probabilistica del rischio impedisce che questo possa essere completamente azzerato. Quello che possiamo fare è lavorare sodo per aumentare le conoscenze, la cultura e promuovere l’utilizzo di strumenti come la surgical safety check list che ci consentono di tenere sotto controllo il processo minimizzando il rischio e la gravità degli eventi avversi ad esso associati. Ciò al fine di garantire uno dei principali fondamenti della medicina primum non nocere».



OBESITÀ

Nasce in laboratorio la merendina perfetta

B

uona da mangiare e soprattutto salutare. Uscirà dal laboratorio della Gastroenterologia del policlinico Sant’Orsola Malpighi di Bologna, la merendina perfetta. Functional Food and Global Health è il programma scientifico che sfornerà il magico snack che non farà ingrassare, non causerà danni al cuore e soprattutto piacerà alle papille gustative di chi l’addenta. Una sperimentazione guidata da Enrico Roda, direttore dell’Unità operativa di Gastroenterologia del policlinico universitario, che coordinerà i 18 laboratori in cui i giovani cervelli metteranno a punto la meravigliosa ricetta. «Si tratta di creare un sistema tra due mondi che fino ad ora hanno operato autonomamente», osserva Roda. Capofila del progetto due laboratori, entrambi dell’Alma Mater: quello di Gastroenterologia afferente al dipartimento di Medicina clinica e quello di Chimica analitica e bioanalitica del dipartimento di Scienze farmaceutiche. «Il nostro scopo – spiega il gastroenterologo - sarà proporre nuovi cibi funzionali attivi nella prevenzione delle malattie croniche. Verranno isolate e sperimentate sostanze naturali, soprattutto del mondo vegetale, ad elevato valore nutraceutico. Tali sostanze verranno incorporate in cibi funzionali in modo da permetter loro di esercitare il massimo effetto benefico. Verranno anche ideate e messe a punto tecniche per misurare gli effetti fisiologici dei prodotti stessi». Come si articola il lavoro del team? «Il laboratorio di Gastroenterologia sarà soprattutto coinvolto nei trials clinici volti a dimostrare scientificamente la validità dei cibi

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Un team di giovani ricercatori, guidato dal gastroenterologo Enrico Roda, è già al lavoro, nel laboratorio del Sant’Orsola di Bologna per sfornare la merendina ‘perfetta’. Un programma ambizioso che, domani, potrebbe coinvolgere anche i gruppi industriali alimentari Erica Lazzari

Enrico Roda, direttore dell’Unità operativa di Gastroenterologia del policlinico universitario Sant’Orsola Malpighi di Bologna


Enrico Roda

L’obesità è un problema di salute pubblica nel quale coinvolgere, oltre ai singoli individui e alle strutture sanitarie, anche l’offerta alimentare da parte delle industrie

funzionali messi a punto durate il progetto. Quello di Chimica analitica e bioanalitica ha competenze e strumentazioni analitiche adatte a fornire un supporto a tutte le fasi dello sviluppo degli alimenti funzionali, sarà coinvolto nella fase di validazione clinica degli alimenti funzionali e si occuperà di parte della fase analitica legata a queste procedure». Perché si è dovuti entrare in laboratorio per pensare alla giusta merendina e non si è spinto l’acceleratore su una corretta alimentazione? «Non sono scelte alternative. Il concetto di alimentazione è cambiato. Quando l’offerta

di cibo era limitata, l’alimentazione era un modo per ottenere le calorie necessarie a svolgere un lavoro spesso fisicamente impegnativo. Oggi all’alimentazione si chiede anche di favorire il benessere dell’individuo. Ed è un mondo che solo ora iniziamo a conoscere. Inoltre, l’educazione alimentare indirizzata ai singoli soggetti non basta. Si pensi al problema dell’obesità. Gli interventi preventivi fino ad ora basati sulla responsabilità individuale si sono rivelati insufficienti. Alcuni studiosi ritengono più facile curare la maggior parte delle forme di cancro che guarire dall’obesità che ha una genesi multifattoriale. E “se i geni caricano il fucile è l’ambiente che preme il grilletto”». È, quindi, un problema di salute pubblica? «Esattamente e quindi bisogna coinvolgere, oltre ai singoli individui e alle strutture sanitarie, anche l’offerta alimentare da parte delle industrie. Senza dimenticare le modifiche necessarie negli ambienti di lavoro e nella mobilità urbana, ad esempio l’aumento di piste ciclabili. Prevediamo anche un programma di diffusione di comportamenti e stili di vita corretti, sia con interventi diretti che riguarderanno studi epidemiologici su diverse tipologie sociali, che sulla popolazione nel suo complesso. Particolare enfasi verrà data alla formazione di operatori delle industrie agroalimentari e di chiunque sia coinvolto nel promuovere la salute». Come deve essere la merendina perfetta? E soprattutto chi sono i fruitori ideali, solo EMILIA ROMAGNA 2010 • DOSSIER • 237


OBESITÀ

i bambini oppure anche gli adulti?

«Non parlerei di una singola merendina, ma di una scelta più vasta. Uno dei principi base dell’educazione alimentare è quella di variare il più possibile le scelte, tenendo ovviamente presenti i cibi da mangiare in abbondanza, come la verdura e la frutta, rispetto ai cibi da limitare. In questo modo si possono soddisfare i gusti di un ampio numero di persone di età diverse». Tagliare il traguardo dello snack salutare, può voler dire anche solleticare i grandi gruppi alimentari produttori. Ha notato un loro interesse per il suo progetto di ricerca? «Come ho già detto, penso che l’industria alimentare possa e debba essere coinvolta nei progetti rivolti ad un’alimentazione più sana. Ciò sta cominciando ad avvenire dietro la pressione di gruppi di opinione. Siamo an-

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LABORATORI lavorano al programma che vede coma capofila i laboratori di Gastroenterologia afferente al dipartimento di Medicina clinica e quello di Chimica analitica e bioanalitica del dipartimento di Scienze farmaceutiche dell’Alma Mater

cora agli inizi, ma spero che si possa instaurare un circolo virtuoso tra le richieste dei consumatori sempre più consapevoli del ruolo dell’alimentazione sulla propria salute e le scelte industriali. Si deve trattare però di benefici documentabili scientificamente e non si mera propaganda». Salutare non sembra far rima con buono. Come si può superare questo scoglio soprattutto per i più piccoli? «Le scelte alimentari non sono immutabili. Assieme all’attività fisica, la dieta mediterranea è riconosciuta efficace nel proteggere dalle malattie croniche. Studiata dagli anni ‘50-‘60, era diffusa fino ad allora sopratutto nel nostro meridione; sull’onda di mode e convinzioni errate è stata modificata da abitudini più proprie dei paesi anglosassoni che, al contrario, cercano ora di adottare ciò che noi stiamo dimenticando».



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