SICILIA
OSSIER
In allegato al quotidiano Il
Giornale
SICILIA Registrazione: Tribunale di Bologna n. 7578 del 22-09-2004
POLITICA ECONOMIA MANAGEMENT
MARCELLO DELL’UTRI
Per realizzare il Buon Governo occorrono talento e volontà
STEFANIA PRESTIGIACOMO
Il vero ambientalismo parte dal fare
VITTORIO SGARBI
La mia Salemi sarà una città ideale STUDI LEGALI
GOLFARELLI EDITORE
Avvocato Piero Amara
RENATO SCHIFANI Riforme costituzionali. Dialogo tra le parti. Maggior equilibrio tra i poteri dello Stato. Il presidente del Senato indica le priorità del Paese. E anticipa la tabella di marcia del governo
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COPERTINA IL VENTO DEL CAMBIAMENTO
Renato Schifani
LAVORIAMO PER L’ITALIA DELLA COESIONE Finalmente ci sono le premesse per ridisegnare l’assetto del Paese. Il presidente del Senato invita a cogliere l’opportunità di dialogo e di confronto tra le parti. Con l’obiettivo di inaugurare una legislatura costituente. Dalla riforma della Giustizia al federalismo fiscale, ecco le priorità di un autunno che sa di primavera ANDREA PIETROBELLI
na legislatura all’insegna del dialogo e delle riforme condivise. Per superare le tensioni che da più di dieci anni attanagliano la politica italiana e dare finalmente avvio concreto a una fase costituente. Non ha dubbi il presidente del Senato, Renato Schifani, che guarda con ottimismo il momento storico che l’Italia sta attraversando. «Percepiamo tutti – spiega convinto – che il vento della Storia spinge in questa direzione». Un corso che, però, è necessario che sia accompagnato da una ferma volontà politica. L’Italia può e deve lasciarsi alle spalle il clima di scontro e cominciare a lavorare sulle reali necessità dei cittadini. Come avviene in ogni altro Paese che si dica normale. «Ci sarebbe da chiedersi che cosa noi italiani intendiamo per Paese normale – si chiede ironico –. Ma questo forse è un tema più sociologico che politico. Certo, in termini di benessere morale e materiale abbiamo idee chiare e condivise e questa potrebbe essere una ragione in più per evitare sterili polemiche e rimboccarci le maniche per costruire una nazione nella quale identificarci e vivere bene».
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© STEFANO CAROFEI / AGF
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UOMO DEL DIALOGO Renato Schifani, presidente del Senato della Repubblica. Dal 2001 al 2008 è stato capogruppo dei senatori di Forza Italia
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PRESIDENTE Schifani nell’aula di Palazzo Madama nel momento della sua elezione a seconda carica dello stato, avvenuta al primo scrutinio il 29 aprile 2008
COPERTINA «SVILUPPO E LEGALITÀ SONO LE PAROLE CHIAVE LEGATE ALLA MIA TERRA. E NON DA ORA. DEVO DIRE CHE GUARDO CON RAGIONEVOLE OTTIMISMO AL FUTURO NON LONTANO DELLA SICILIA»
Presidente, dopo un momento iniziale di apertura tra le parti, sembra che la politica sia ricaduta nel solito muro contro muro. Si tratta di una fase passeggera oppure quella dell’“eterna rissa” è per il Paese una maledizione? «Credo fermamente nella possibilità del dialogo sulle riforme, condivise almeno da una larga parte dell’opposizione. Ci credo. È il tema che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano tiene al primo punto della sua agenda ideale e su cui non risparmia di richiamare l’attenzione delle parti politiche. Del resto, accanto al centrodestra che ha fatto delle riforme il cuore del proprio programma, anche il Pd mostra di possedere nel suo Dna la spinta riformatrice e Walter Veltroni ha confermato, anche di recente, l’esistenza di spazi di confronto. Oggi, dopo avere superato alcune prevedibili, ma inevitabili, conflittualità, possiamo ben sperare che si avvii quel tempo nuovo invocato soprattutto dagli italiani. Quanto all’“eterna rissa”, penso che siano ormai pochi coloro che possano ritenerla utile al Paese o, più semplicemente, alle fortune di una parte politica. Del resto lo scenario partitico si è semplificato e, di conseguenza, le posizioni sono più chiare per tutti. Insomma, la politica è veramente sotto la lente d’ingrandimento dei cittadini e ciò fa crescere il senso di responsabilità». A suo parere il clima di conflittualità quanto ha indebolito negli italiani il senso dello Stato e delle istituzioni? «La sfiducia generica nei confronti di chi esercita il potere è una componente umana storica e, quindi, comprensibile. In Italia, però, abbiamo vissuto un lungo periodo di radicalizzazione dello scontro tra le parti che, se da un lato ha spinto i partiti alle recenti scelte di chiarezza, semplificazione e responsabilità, dall’altro ha finito con l’avvantaggiare i professionisti dell’antipolitica e cioè coloro che traggono profitto personale dalla moltiplicazione della sfiducia. Come sempre, invece, sarebbe utile diffondere equilibrio di giudizio e scrupolo nella conoscenza dei fatti reali. Credo, comunque, che la stagione di una rinnovata fiducia tra cittadini e istituzioni sia iniziata. Anche grazie al presidente Napolitano». Crede che lo stato di necessità che stiamo vivendo, peggiorato dalla crisi economica internazionale, farà superare le attuali divergenze? «Nessuno, neanche l’interlocutore più estremista, può desiderare un’Italia nel baratro. E la situazione economica mondiale è talmente incerta che la “chiamata” alla salvezza della collettività accomuna tutti gli uo-
mini responsabili e cioè la stragrande maggioranza. Le riforme sono in Italia uno strumento di sviluppo non più rinviabile e su questa considerazione si basa la mia certezza sul percorso che ci aspetta. Non dimentichiamo che il cittadino è elettore il giorno in cui si reca alle urne. Poi, da qualunque parte politica stia, esige le soluzioni ai propri problemi, siano essi individuali o collettivi. Oggi più che mai le istituzioni sono consapevoli di essere al servizio di queste esigenze, perché viviamo una crisi veramente palpabile e per uscirne occorre il concorso di tutti». La Giustizia è tornata a essere uno dei temi principali del dibattito politico. Intanto il Lodo Alfano è legge dello Stato. Crede che l’immunità per le quattro più alte cariche della Repubblica abbia finalmente normalizzato il rapporto tra i poteri? «Il cosiddetto Lodo Alfano ha soprattutto garantito continuità d’azione all’esecutivo e ha evitato quindi che la governabilità potesse dipendere da ingerenze esterne non direttamente politiche. Ciò è una salvaguardia per la democrazia, per le scelte democratiche dei cittadini. Certo, il tema è stato conflittuale, ma alla fine anche questo passaggio si può considerare propedeutico ad affrontare con più serenità l’imminente stagione delle riforme». Quali sono i motivi e le tappe che hanno portato a questa anomalia nel rapporto tra magistratura e politica? «Come sappiamo, tutto partì dalla funzione di supplenza della politica che, a seguito dell’esplosione-implosione dei partiti nei primi anni ’90, la magistratura si trovò a svolgere in Italia. I fatti successivi sono noti e desidero passarvi sopra. Ribadisco, invece, che poiché è obiettivo della politica creare armonia reale tra i poteri, questa non penalizzerà certo la magistratura. Il tema, posso dirlo con consapevolezza, non nasce oggi. Da tempo, infatti, tutte la parti politiche, tranne alcune frange, avvertono l’esigenza di una riforma costituzionale del Csm. Il tema è delicato e presenta diverse possibili soluzioni. L’obiettivo, comunque, è affrancare il Csm dalle storture cagionate dall’influenza della politica». Quali saranno le direzioni da prendere per raggiungere questo risultato? «La naturale positiva conseguenza della riforma del Csm sarebbe la separazione delle carriere che, in verità e grazie alla legge in vigore, sta già cominciando a realizzarsi. Inoltre, accanto a questi obiettivi, si allinea l’esigenza di nuove norme, da approvare con una maggioranza qualificata, sull’obbligatorietà dell’azione penale, che oggi è SICILIA 2008 | DOSSIER
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soltanto sulla carta. E infine, ma non meno importanti, ci sono gli obiettivi da tutti auspicati e relativi sia all’insopportabile e iniqua durata dei processi che alla certezza della pena, oltre agli indispensabili interventi per una nuova edilizia carceraria. Ecco, quella della Giustizia è tra le riforme su cui necessariamente dovrà essere trovato un vero dialogo tra maggioranza e opposizione, o almeno parte di essa». Più in generale, quali sono in questo momento le reali urgenze del Paese? «I temi dell’economia e quindi del lavoro assorbono gran parte dell’impegno. Ma abbiamo già visto come si siano già affrontati altri nodi urgenti come la sicurezza. Tra breve, inoltre, saranno in Aula le grandi riforme del federalismo e della Giustizia. Sono temi per lo più comuni anche al programma del Pd e per questa ragione ho espresso ed esprimo grande fiducia in un dialogo proficuo tra i partiti». E quelle della sua Sicilia? «Sviluppo e legalità sono le parole chiave legate alla mia terra. E non da ora. Devo dire che guardo con ragionevole ottimismo al futuro non lontano della Sicilia. La lotta alla mafia ha raggiunto negli ultimi anni traguardi veramente importanti sia con la cattura dei latitanti ai vertici di Cosa nostra sia grazie alla coscienza antimafia che ormai permea attivamente la società siciliana, anche in quella parte più esposta ai rischi e alle vessazioni che è l’imprenditoria. La politica sta sostenendo magistratura e Forze dell’ordine con l’adozione di nuove norme a danno dei patrimoni dei boss con il 41bis ancora più severo, con le nuove iniziative della Commissione antimafia e con l’intensificazione della tutela del territorio». E per quanto riguarda lo sviluppo economico dell’Isola? «In Sicilia è finita la stagione della passiva attesa delle risorse e si è avviata quella della razionalizzazione produttiva. Su questo fronte, anche le Grandi Opere avranno un ruolo di primo piano. Penso certamente al Ponte DOSSIER | SICILIA 2008
sullo Stretto, ma anche a tutti gli altri progetti indispensabili per rendere più attraente investire in Sicilia. Il governo, dopo il definanziamento adottato nella scorsa legislatura, ha già avviato il processo di recupero dei fondi relativi. Insomma, entro pochi anni potremmo dire che l’Isola è il cuore, non soltanto geografico e culturale, dell’Euromediterraneo». Sempre durante il suo discorso di insediamento lei ha parlato della questione settentrionale e di quella meridionale come due sfide prioritarie del nostro Paese. In quali termini potrà essere realizzato un efficace federalismo fiscale senza che si allarghi drasticamente il gap tra Nord e Sud? «Lo sviluppo complessivo e stabile dell’Italia passa dalla grande partita del federalismo. Abbiamo la consapevolezza che si tratta di ridisegnare il Paese, da un lato senza togliergli nulla di quanto conquistato, dall’altro aprendo scenari alla nuova economia. Ecco perché è indispensabile acquisire da subito una nuova mentalità e credo che si sia veramente sulla strada giusta. Il Nord rivendica giustamente il riconoscimento della sua capacita produttiva. Il Sud non chiede più assistenzialismo, ma infrastrutture e questo il governo lo ha recepito. La politica, di conseguenza, dovrà garantire al Mezzogiorno quell’efficienza amministrativa diffusa la cui carenza in passato ha fatto pagare costi alti. Il federalismo fiscale è una sfida che è obbligatorio vincere e come tale comporta un’elevatissima assunzione di responsabilità. Mi si permetta infine, da siciliano, una riflessione direi interessata: se la Sicilia potesse contare per intero sui redditi prodotti nel proprio territorio, sarebbe una regione in attivo. Di conseguenza credo che anche su questo tema la sua classe dirigente debba far sentire senza incertezze la propria voce». Presidente, le priorità del Paese sono tante e necessitano di scelte responsabili urgenti. Ma lei dove si vede tra 10 anni? «A commentare con lei com’è andata».
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POLITICA Enrico La Loggia
PROTAGONISTA Enrico La Loggia, 61 anni, è nato in Sicilia in provincia di Palermo. Parlamentare del Pdl, dal 2001 al 2005 è stato ministro agli Affari Regionali nel III Governo Berlusconi DOSSIER | SICILIA 2008
© PAOLO TRE/A3/CONTRASTO
POLITICA
LA STRADA VIRTUOSA VERSO IL FEDERALISMO La riforma dell’ordinamento dello Stato in senso federale. Una priorità da realizzare con equilibrio e saggezza. Per garantire i diritti di tutti i cittadini. Queste le indicazioni di Enrico La Loggia, deputato Pdl e componente della Commissione Affari Costituzionali MARILENA SPATARO
icopre incarichi istituzionali da trentatré anni. Da quando nel 1985 fu eletto nelle file della Dc in Consiglio comunale a Palermo. Ma la politica fa parte del suo Dna. Enrico la Loggia, oggi deputato del Pdl è, infatti, figlio di Giuseppe uno dei padri dell’autonomia siciliana e nipote di Enrico, autore di un importantissimo articolo dello Statuto siciliano che istituiva il “fondo di solidarietà nazionale”. Tuttora risiede a Palermo, dove negli anni, ha esercitato la professione forense, ricoprendo anche la cattedra di docente di Contabilità di Stato presso la Facoltà di Giurisprudenza nell’Università della città siciliana. In politica ha otte-
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nuto incarichi prestigiosi, anche di governo, tra cui quello di ministro degli Affari Regionali nel III Esecutivo Berlusconi. Le competenze professionali in materia giuridica hanno permesso all’onorevole La Loggia di farsi appassionato promotore in sede istituzionale di più iniziative legislative. In modo particolare il suo nome è legato alla legge 131 concepita per chiarire i confini della competenza legislativa statale e regionale e per ridefinire la sussidiarietà verticale tra lo Stato e tutti gli altri enti territoriali, una legge questa che, nell’ottica riformista di oggi, va assunta come un esempio «che dimostra come si possa dialogare senza cedere sui principi. Una buona base su cui si
può costruire molto, non tutto, sul rapporto tra Stato, Regioni e istituzioni locali». Alla luce della sua esperienza di politico e delle sue competenze di uomo di legge e di profondo conoscitore dei meccanismi sociali delle regioni, pensa che oggi i tempi siano maturi per varare le riforma dello Stato in senso federale? «Assolutamente sì. Direi che siamo in ritardo rispetto a una riforma necessaria per l’ordinato sviluppo del nostro Paese. Tutte le Regioni potranno giovarsene e lo Stato potrà con più agilità e maggiore rapidità occuparsi dei compiti che la Costituzione ritiene indispensabili per la nostra società».
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POLITICA Enrico La Loggia
©Mauro Scrobogna / Lapresse
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Enrico La Loggia è avvocato cassazionista e docente universitario presso la Facoltà di Giurisprudenza di Palermo. È figlio e nipote di due famosi politici siciliani. Nella foto accanto con alcuni volti noti della politica italiana
Quali sono in materia di riforme i provvedimenti da varare con la massima urgenza? Pensa anche lei, come la Lega, che sul federalismo fiscale non si possa più tergiversare? «Sono d’accordo, ma dobbiamo avere la consapevolezza che su queste riforme si gioca l’avvenire del nostro Paese. Occorre avere coraggio per realizzare una così forte innovazione nel nostro ordinamento, ma anche equilibrio per garantire i diritti di tutti i cittadini». Quanto al federalismo, fino a qualche anno fa c’era chi lo metteva in contrapposizione all’unità nazionale. Ritiene che quella visione sia superata? «Non c’è possibilità di contrapposizione. Noi vogliamo realizzare il federalismo perché è la naturale evoluzione del nostro ordinamento in sintonia con le esigenze, i bisogni e i diritti dei nostri cittadini». Per evitare che la riforma in senso federalista avvantaggi solo le regioni del Nord, accrescendo il gap economico nei confronti delle regioni meridionali, cosa bisogna fare? «Usare equilibrio e saggezza. Virtù rare ma indispensabili per garantire tutti gli italiani. Le regioni settentrionali per proseguire nel loro ruolo di motore economico del Paese. Quelle del Sud per utilizzare appieno le proprie risorse e mettersi in corsa per raggiungere finalmente la media delle altre regioni». Secondo lei servono anche altre riforme pensate esclusivamente per il Mezzogiorno? «È necessario liberare le regioni meridionali dal fardello delle infrastrutture non realizzate e dei servizi, insoddisfacenti non sempre competitivi. Se non cresce anDOSSIER | SICILIA 2008
che il Sud, il nostro Paese rischia di fermarsi». La recente chiusura del dialogo tra maggioranza e opposizione a causa dei noti provvedimenti dell’esecutivo in materia di giustizia, può essere d’ostacolo al varo delle riforme? «C’è stata molta polemica e poca sostanza. I problemi affrontati richiedono soluzioni urgenti. La domanda che sorge spontanea è come sia possibile che, a causa di un’inchiesta giudiziaria assolutamente infondata come avvenne nel ’94, cada un governo vanificando così la scelta della maggioranza dei cittadini. La risposta più ragionevole è che si sia trattato di un’anomalia cui in qualche modo bisogna ovviare affinché quello che è accaduto non accada mai più. Se si re-
cupera il senso di responsabilità ogni confronto è possibile nell’interesse del Paese». Quali sono stati i motivi che hanno impedito alla sua parte politica, durante le legislature in cui è stata al governo, di realizzare le grandi riforme? «Non vi è stata nessuna tergiversazione. Si è realizzata una scelta politica dell’opposizione di allora, troppo orientata dall’antiberlusconismo e fortemente condizionata dalla sua ala giustizialista, che aveva come fine solo l’annientamento personale e politico dell’avversario. Lo abbiamo visto con le riforme che siamo riusciti a fare. Appena tornato al governo, il centrosinistra supportato dalla sinistra massimalista si è affrettato a cambiare quello che di buono e di genuino
«È NECESSARIO LIBERARE LE REGIONI MERIDIONALI DAL FARDELLO DELLE INFRASTRUTTURE NON REALIZZATE E DEI SERVIZI NON SEMPRE COMPETITIVI E INSODDISFACENTI. SE NON CRESCE ANCHE IL SUD, IL NOSTRO PAESE RISCHIA DI FERMARSI»
avevamo fatto per il bene del Paese. Poi, perché non riconoscerlo, non sempre tutti i partiti della nostra coalizione erano coesi nell’azione riformatrice del nostro governo». Cosa è cambiato, da allora, nel nostro Paese? «La differenza è grande e sostanziale. Ora abbiamo una maggioranza omogenea che sostiene un governo forte e coeso». Fino a che punto possedere la maggioranza nelle due Camere può essere rassicurante nell’affrontare il percorso che porta alle riforme? «Senza dubbio c’è una significativa autosufficienza tale da assicurare un percorso più sereno verso le riforme, ma ritengo che sia sempre utile cercare il confronto anche se c’è un limite a tutto».
Ammesso che tecnicamente sia possibile avviarle senza dover ricorrere alle larghe intese, ritiene che politicamente questo sarebbe corretto? «Non solo è corretto, ma correttissimo, anche se si corre il rischio del referendum come abbiamo visto già nel 2006». Può dirci su quali materie e su quali provvedimenti attualmente si stanno impegnando i membri della Commissione per le Riforme costituzionali di cui lei fa parte? «Stiamo facendo un grande lavoro mirato alla riforma della legge elettorale per le prossime elezioni europee. Stiamo anche esaminando il provvedimento che riguarda l’istituzione della nuova Commissione antimafia e fornendo i pareri
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POLITICA
indispensabili sui provvedimenti più rilevanti adottati dal governo». Quanto incidono concretamente sulla futura legislazione i lavori di questa Commissione? «La prima Commissione è il luogo naturale di discussione e di valutazione delle riforme costituzionali, ma anche delle leggi che si scrivono per organizzare e far funzionare nel migliore dei modi il Paese». In Commissione si riesce a lavorare con serenità, baipassando le eventuali tensioni della politica nazionale? «Quasi sempre sì. Le polemiche politiche non influiscono più di tanto sui lavori della Commissione, dove ci sono molti parlamentari che sanno distinguere il merito dalla polemica politica». SICILIA 2008 | DOSSIER
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SFIDE Vittorio Sgarbi
NUOVI GARIBALDINI PRONTI PER L’IMPRESA Una tradizione interreligiosa da valorizzare. In chiave di dialogo tra le tre grandi culture della civiltà mediterranea. Con uno straordinario patrimonio storico e artistico. Il piccolo centro siciliano di Salemi, sotto la guida di Vittorio Sgarbi, si candida a diventare Città ideale MARILENA SPATARO
ittorio Sgarbi come Giuseppe Garibaldi. Dal Nord è sbarcato in Sicilia. Eletto nel giugno scorso sindaco di Salemi, in provincia di Trapani, guiderà per cinque anni la cittadina simbolo dell’unità nazionale, proclamata nel 1860 prima Capitale d’Italia dall’eroe dei due mondi che qui aveva issato il tricolore. Reduce della mal digerita revoca da assessore alla Cultura di Milano, anche se poi, una volta reintegrato nell’incarico con sentenza del Tar della Lombardia, ha rinunciato per mantenere
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l’impegno assunto con i suoi elettori siciliani, il noto critico d’arte nutre progetti «garibaldini» per Salemi e per tutta l’isola. Ad affiancarlo nell’entusiasmante impresa che punta «a valorizzare il patrimonio artistico e culturale della Sicilia per riunificarla, anche culturalmente, al resto d’Italia» ha chiamato un nutrito drappello di luogotenenti illustri. Un nome per tutti: Oliviero Toscani, genio incontrastato dello “scatto” pubblicitario, come assessore alla Creatività e ai Diritti umani. «Con lui abbiamo ideato una campagna di
propaganda di una tale forza sulle iniziative che intendiamo promuovere da fare invidia all’Expo di Milano» giura il neo sindaco di Salemi». Come nasce la decisione di candidarsi a Sindaco di Salemi? «La mia decisione è stata favorita da Letizia Moratti, il sindaco di Milano, che ha interrotto i nostri rapporti per scipparmi una parte dell’attività che era stata programmata ma ancora non realizzata. Rimango, comunque, a Milano per un altro anno e mezzo per l’attività relativa all’organizzazione delle mo-
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CAPITANO Vittorio Sgarbi dal mese di giugno è sindaco di Salemi. Nella foto, in Piazza Alicia ritratto con un gruppo di suoi nuovi concittadini
«SALEMI È UNA CERNIERA DOVE È POSSIBILE IMMAGINARE ANCHE UN DIALOGO TRA CULTURE DIVERSE, SOPRATTUTTO CON IL MONDO ARABO»
stre d’arte. In questi frangenti ho trovato un momento di pausa, durante la quale si è inserita la proposta di candidatura a sindaco di Salemi da parte dell’area politica d’ispirazione democristiana. La mia valutazione è avvenuta d’istinto, quando mancavano due giorni alla chiusura delle liste. A Salemi mi sono reso conto che da
parte dei cittadini le aspettative nei miei confronti erano alte. Questo mi ha colpito molto, soprattutto perché arrivava da una terra tanto spesso indicata come una riserva di voti di mafia. Pensare che ci fosse il desiderio di un gesto liberatorio mi ha dato qualche buona ragione per impegnarmi a fondo nella campagna elettorale. Al ballottag-
gio i miei voti sono aumentati, portandomi a diventare sindaco. Ecco come è andata». Nel ’96 dopo la sua sconfitta alle Politiche in Veneto ha avuto parole dure nei confronti dei veneti. Lei uomo del Nord per nascita e formazione, se l’aspettava di essere premiato dal Sud? «L’insidia nel caso del Veneto è stata tutta nel sistema elettorale d’allora, veramente aberrante. Nonostante, in quell’occasione, mi sia indignato, successivamente fui eletto proprio in un collegio del Veneto. Comunque il sistema elettorale migliore, dove non c’è alcun inganno, è quello per l’elezione del sindaco in quanto consente che questi venga scelto prevalentemente per le proprie doti personali. Tuttora il sistema per le Politiche è sbagliato, perché permette che spesso si venga eletti non per i propri meriti, ma per le protezioni, mentre i personaggi di valore, fossero anche Nobel o Einstein, se messi nella lista sbagliata, non hanno alcuna probabilità di farcela». Su questa sua elezione ha pesato di più il personaggio famoso o più il progetto politico-amministrativo della sua coalizione? «La coalizione ha seguito il mio SICILIA 2008 | DOSSIER
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SFIDE Vittorio Sgarbi
PRIMA SEDUTA Il noto critico d’arte Vittorio Sgarbi in occasione della prima seduta consiliare dopo l’insediamento a sindaco di Salemi, cittadina della Valle del Belice in Provincia di Trapani. A sinistra, l’assessore alla Creatività e Diritti umani, Oliviero Toscani. Nella pagina accanto, a partire da sinistra, gli assessori: Caterina Bivona, Giuseppe Ilardi e Bernardo Tortorici
progetto e io sono stato eletto in virtù della mia notorietà. Che un personaggio proveniente dalla Sicilia sia eletto sindaco in una città del Nord è una cosa, ma che una persona del Nord venga eletta in Sicilia è qualcosa di anomalo. Spero sia visto come un episodio che dimostri una forma di disponibilità, un atteggiamento non razzista». Come intende amministrare in questi cinque anni? «È chiaro che il luogo, sia per la sua storia e sia per le memorie di Garibaldi, mi dà motivi sufficienti d’impegno. Salemi ha inoltre una forte valenza simbolica legata alla presenza sul suo territorio di tre quartieri ispirati a diverse religioni: ebraismo, islamismo e cristianesimo. Un elemento di originalità che fa di questa cittadina una cerniera dove è possibile immaginare anche un dialogo tra culture e, quindi anche con il mondo arabo, DOSSIER | SICILIA 2008
i cui i rapporti in questi anni sono stati, invece, improntati alla violenza e allo scontro». Appena eletto ha affermato che farà rimuovere gli impianti eolici dal suo comune per motivi estetici. Non teme di suscitare polemiche tra i cittadini e le proteste degli ecologisti? «I cittadini sono d’accordo con me. Gli ecologisti non vogliono capire che non serve ottenere i fondi europei e regionali per finanziare in un piccolo comune opere immonde come le pale eoliche, che distruggono un paesaggio incontaminato. Se si pensa che le pale eoliche di cui parliamo sono dietro il tempio di Segesta, si può capire meglio la mia indignazione e la mia decisione di rimuoverle. Si tratta di uno scempio che non solo fa schifo, ma che grida proprio vendetta. Oltretutto sono inutili perché producono un fabbisogno asso-
lutamente insoddisfacente rispetto alle necessità. Sono andato di persona a vedere come hanno martoriato Salemi e dintorni. Ho già fatto queste campagne per il Molise e per altre zone che sono state violate allo stesso modo. Si tratta di una mia battaglia storica che conduco appoggiato da Italia Nostra». Come intende conciliare le esigenze estetiche con quelle legate all’economia e alla produttività? «Il problema di Salemi è la mancanza di infrastrutture, e, soprattutto, la mancanza di opportunità di lavoro. Bisognerebbe che qui si creasse un turismo sofisticato come quello di Capri. Il problema della Sicilia è, comunque, difficilmente risolvibile da una persona sola. La contraddizione tra estetica e produttività è facilmente superabile. Essendo Salemi vicina a Segesta, Selinunte ed Erice l’estetica può essere utile per tra-
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«CHE UN PERSONAGGIO PROVENIENTE DALLA SICILIA SIA ELETTO SINDACO IN UNA CITTÀ DEL NORD È UNA COSA, MA CHE UNA PERSONA DEL NORD VENGA ELETTA IN SICILIA È QUALCOSA DI ANOMALO»
sformare in un luogo colto e adatto a un turismo sofisticato, una località già ricco di bellezze artistiche e naturali. È chiaro che il lavoro non si può importare se non creando occasioni attraverso il turismo. Certo, le piccole dimensioni della cittadina, come per la maggior parte dei centri siciliani, difficilmente forniscono armi efficaci per creare uno sviluppo generalizzato». Ce la farà in questi cinque anni a trasformare Salemi in un’eccellenza culturale che sia un esempio anche per gli altri enti locali italiani? «Questo è l’obiettivo su cui ho iniziato a lavorare. Intorno a Salemi si è creata una curiosità che prima non c’era. Alcuni personaggi del mondo della cultura hanno già chiesto di raggiungermi per organizzare iniziative in città». Pensa di riuscire a capire i meccanismi della cultura della gente
del Sud? Si trasferirà in Sicilia? «Ho fatto molte campagne elettorali in Sicilia e qui ho rapporti di lavoro e consulenze da parecchio tempo. Sono anche alto commissario per i lavori di recupero della villa di Piazza Armerina e della Cattedrale di Noto. Per ora ho preso casa a Roma, poi sistemerò una qualche area abbandonata per andare ad abitare giù, in Sicilia». Cosa ne pensa della proposta dell’assessore alla Cultura siciliano, Antonello Antinoro, di privatizzare la Valle dei Templi? «Il termine privatizzazione spaventa sempre i perbenisti, io ne ho suggerito un altro. Personalmente avevo intrapreso un rapporto su Piazza Armerina con il Fai. Se davanti all’impresa privata c’è il nome dell’ente Fai, che da sempre fa meglio dello Stato e delle Regioni, si ha una garanzia certa. Ad Antinoro ho suggerito questa cor-
rezione. Non può essere un privato tramite una gara o un concorso indiscriminati a provvedere alla tutela del bene artistico, c’è il rischio che poi sfrutti quel luogo. Deve essere qualcuno che, proteggendolo, ne tragga beneficio. Da una parte abbiamo il paradosso di una recinzione dell’area dei Templi realizzata dalla Sopraintendenza, su indicazione del solito designer, che fa schifo, dall’altra abbiamo tutta la recinzione dell’area della Kolymbreta realizzata dal Fai che è un esempio di eleganza». È vero che ricoprirà l’incarico come consulente nel Comune di Roma? «C’è questa ipotesi. La mia presenza a Roma potrebbe essere un utile collegamento con la Sicilia, per trovare una legislazione sui beni culturali che riunifichi l’Isola all’Italia. Un progetto garibaldino per l’appunto».
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FORMAZIONE Nino Germanà
UNA SCUOLA PIÙ VICINA ALLE IMPRESE
Maggiori risorse finanziarie e umane. Revisione dei contenuti e dell’efficacia dei programmi scolastici. Valutazione rigorosa per docenti e dirigenti. Ripristino dei valori sociali, degli strumenti di disciplina. E, perché no, del voto in condotta come mezzo di valutazione. Queste le linee guida indicate dal deputato Nino Germanà per rilanciare l’offerta formativa in Sicilia GIUSI BREGA
a scuola di oggi ha bisogno di risorse maggiori e di un organico più consistente per poter fronteggiare i problemi oggettivi come quelli del sostegno, del disagio giovanile, della dispersione scolastica. «I tagli effettuati nel settore della Pubblica istruzione hanno messo in ginocchio la già pesante situazione delle scuole siciliane e messinesi in particolare». A sottolinearlo è Nino Germanà, già assessore alla Pubblica Istruzione della Provincia Regionale di Messina e oggi deputato del Pdl. Indubbiamente, tutto questo ha arrecato un forte danno all’offerta formativa e all’organizzazione del servizio scolastico. «Per evitare che si determini una battuta d’arresto nella qualità dell’offerta formativa nelle scuole siciliane – continua Germanà – occorre destinare più fondi all’istruzione per poter garantire organici stabili e classi poco numerose, poiché i tagli indiscriminati aggravano i problemi già esistenti».
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Qual è la situazione delle istituzioni scolastiche in Sicilia? «Avendo condotto l’assessorato alla Pubblica Istruzione presso la Provincia regionale di Messina, conosco perfettamente quali sono le mancanze di cui oggi soffrono le istituzioni scolastiche: locali angusti e spazi ridotti e mancanza di risorse adeguate per poter portare avanti progetti che vadano al di là del mero insegnamento. Il mio impegno anche oggi, e forse anche più di prima, è quello di garantire un’adeguata istruzione ai giovani, attraverso il reperimento di risorse finanziarie e umane. Per far sì che tutti possano trovarsi nella condizione più vantaggiosa possibile per poter svolgere al meglio il proprio compito». In relazione alle recenti proposte del ministro Mariastella Gelmini, secondo lei è utile rispolverare vecchi strumenti per riportare ordine e disciplina nelle scuole? «Ritengo che sarebbe opportuno
ristabilire ordine e basarsi su valutazioni di merito. Ciò può realizzarsi soltanto se il docente ripristina valori sociali, valutando non solo le qualità dei ragazzi ma inserendoli anche nel loro contesto. Sono favorevole riguardo alla proposta del ministro Gelmini di ripristinare il voto in condotta come strumento di valutazione. Credo, infatti, che possa fungere da deterrente a fenomeni di bullismo e di sopraffazione nei confronti dei più deboli. Sono ben disposto anche all’uso del grembiule. Potrebbe arginare la tendenza di mostrarsi a tutti i costi con abbigliamento griffato e poco adatto agli ambienti scolastici, luoghi simbolo di educazione e confronto tra coetanei. Pertanto se ciò può ristabilire eguaglianza tra le diverse classi sociali, ben venga. Si tratta solo di disciplina, quella che ultimamente latita nelle scuole». Quali sono a suo avviso i punti deboli e i punti forti della scuola italiana?
FORMAZIONE
«IL MIO IMPEGNO È GARANTIRE UN’ADEGUATA ISTRUZIONE AI GIOVANI ATTRAVERSO IL REPERIMENTO DI RISORSE FINANZIARIE E UMANE»
EX ASSESSORE Nino Germanà è stato assessore alla Pubblica Istruzione della Provincia Regionale di Messina
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FORMAZIONE Nino Germanà
«Punti forti sono sicuramente legalità e giustizia, meritocrazia e gratificazione. I punti deboli sono rappresentati dalla scarsa attitudine della classe docente, sia al Nord che al Sud, di sottoporsi a valutazione. Occorre, infatti, un controllo più rigoroso sia per i docenti che per i dirigenti. Riguardo all’emergenza educativa, è opportuno che le famiglie svolgano un ruolo preponderante e propedeutico a quello che sarà poi continuato e portato avanti dalle istituzioni scolastiche». La precedente riforma del sistema scolastico varata dall’allora ministro Letizia Moratti prevedeva tre “i”: inglese, internet, impresa. Oggi si è aggiunta la quarta “i” di italiano. Questa offerta è in grado di soddisfare le competenze richieste dal mondo economico? «Formare ragazzi competenti riguardo le nuove tecnologie e che conoscano almeno una lingua straniera soddisferebbe la richiesta delle imprese. Per questo sarebbe utile e opportuno realizzare la riforma delle “4 i”, soprattutto nel territorio siciliano che lamenta la chiusura di tante piccole e medie DOSSIER | SICILIA 2008
«FORMARE RAGAZZI CAPACI E PREPARATI AL MONDO DEL LAVORO SODDISFEREBBE LA RICHIESTA DI PROFESSIONALITÀ DELLE IMPRESE»
aziende anche a conduzione familiare. Per poter reclutare docenti che abbiano esperienza con questo tipo di programma, occorrerebbero maggiori risorse per portare avanti programmi formativi più adeguati che prevedano l’uso continuo ed approfondito dei computer e lo studio della lingua straniera, non soltanto a livello didattico. Inoltre, l’esigenza di aggiungere la
quarta “i”, l’italiano, pone i riflettori sul fatto che gli studenti di oggi sono meno preparati persino nelle materie basilari». Pensa che si possa contare sulle nuove generazioni per dare una svolta al futuro della regione? «Oggi chi cresce nella società moderna fa fatica ad affidarsi a un futuro migliore. Proprio in un clima di modernità si sono persi i valori
FORMAZIONE
FIGLIO D’ARTE Nino Germanà, 32 anni, ha coordinato per anni la segreteria politica del padre, già senatore e deputato di Forza Italia, Basilio Germanà. Nino ne ha preso il posto alla Camera, affermandosi come il più giovane parlamentare messinese di questa legislatura. Accanto, in alto, Germanà con il ministro Bondi
dell’educazione, della disciplina, dell’integrità, del rispetto, della solidarietà per concentrarsi solo sull’individualismo. Non bisogna però generalizzare: ci sono anche giovani che si impegnano, studiano, coltivano i propri interessi, e che possono prendere in mano le redini del futuro del Paese. Con la convinzione che perseverando e credendo in ciò che si fa, si possono ottenere risultati esaltanti». Si sono però moltiplicati i casi di bullismo nelle scuole, si è abbassata l’età in cui si fa uso di droghe. È la scuola a dover intervenire o la famiglia? «Purtroppo il fenomeno del bullismo è sempre più diffuso nelle
scuole e non solo. Credo sia strettamente connesso all’uso spropositato e spasmodico di droghe da parte di ragazzi sempre più giovani. Le nuove generazioni soffrono di crisi di identità, di mancanza di autostima e di orgoglio. Tanto è che ricorrono all’uso di droghe, per provare sensazioni sconosciute e per ritrovare una collocazione all’interno di una società che a loro va sempre più stretta. Da qui si origina il fenomeno del bullismo nelle scuole, che pone gli studenti al centro dell’attenzione dei mass-media e della collettività. Sicuramente sia la scuola che la famiglia hanno l’obbligo di intervenire, ognuna secondo le proprie
sfere di competenza, creando anche una sinergia di intenti affinché ci possa essere il recupero di questi, purtroppo non isolati, casi seri e difficili». Lei è un deputato poco più che trentenne. Come giudica il rapporto che i giovani siciliani hanno con la politica? «Ormai la politica, anche nelle fasce dei più giovani, rappresenta la quotidianità. È un atteggiamento che si riscontra anche tra i giovani siciliani che hanno instaurato con la politica un rapporto di confronto. Penso sia un tipo di approccio che hanno sviluppato un po’ tutte le nuove generazioni, da Nord a Sud». Cosa pensa dell’opportunità di istituire dei corsi di formazione politica anche nelle scuole? «Esiste già l’abitudine di leggere i quotidiani durante le lezioni. Ciò può essere positivo poiché stimola la criticità e la crescita razionale. Discutere dei problemi del mondo e quindi anche di politica è giusto purché ciò non avvenga sotto forma di lavaggio del cervello. Rischio possibile dal momento che la politica viene vissuta sempre secondo ottiche di parte». SICILIA 2008 | DOSSIER
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INTRAPRENDENTE Alessandro Alfano, segretario generale di Unioncamere Sicilia, nel suo studio a Palermo
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ISCRITTO AL PARTITO DEL CAMBIAMENTO «Riuscire a fare rete: è questa l'arma vincente». Alessandro Alfano, segretario generale di Unioncamere Sicilia, traccia il profilo di uno stile imprenditoriale capace di sostenere le eccellenze dell’Isola DANIELA PANOSETTI
isogna mettere il cuore nelle proprie azioni. Bisogna crederci, provare a raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi. Altrimenti, prima o poi, qualsiasi lavoro si rivela ripetitivo e inutile». A parlare è Alessandro Alfano, segretario generale di Unioncamere Sicilia, nonché fratello di Angelino, attuale ministro della Giustizia. E basterebbero queste poche parole a spiegare come mai chi lavora con lui, come chi lo conosce da sempre, lo descrive come uno spirito schietto ed eclettico, un concentrato di operatività ed entusiasmo. Sempre attivo, sempre pronto a lasciarsi guidare verso nuovi terreni. Ma è soprattutto la sua fulminante carriera professionale a raccontarne l’intraprendenza. A poco più di trent’anni, Alfano ha già al suo attivo diversi incarichi: fino al 2006 è stato prima consulente per il governo e per varie multinazionali, poi coordinatore regionale di Confcommercio Sicilia e direttore generale di Confcommercio Agrigento. Al momento, tuttavia, la maggior
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«LA SICILIA È UNA TERRA CHE SA RESTITUIRE LE ENERGIE CHE VI SI SPENDONO» parte delle sue intense giornate è presa dagli innumerevoli impegni politico-istituzionali legati al ruolo che riveste in Unioncamere. Un’opportunità in cui ha creduto fortemente sin dall’inizio. Tanto da lasciare Confcommercio ai vertici della carriera. «La mia esperienza nasce nel contesto delle grandi aziende private – spiega – dove i concetti basilari sono stimoli e obiettivi. Ed è con questo spirito che ho accettato la sfida di rilanciare l’associazione delle Camere di Commercio». Per la sua età lei può vantare una carriera invidiabile. Che cosa l’ha guidata nelle scelte fatte fino a ora? «Istinto e passione. Provo sempre a dare il meglio di me, senza mai risparmiarmi. Mi appassiono a
quello che faccio e non credo si possa riuscire a operare bene agendo soltanto con conoscenza, razionalità ed esperienza. La passione deriva proprio dalle scelte, o anche dalle priorità. Ed è così che entra in campo l’istinto, quella sensazione inspiegabile, irrazionale, che detta di fare una scelta piuttosto che un’altra, solo perché si avverte il senso di una sfida che darà risultati e successi». È cresciuto in una famiglia da sempre impegnata in politica, ma ha scelto una strada diversa. Quanto ha contribuito tutto ciò alla sua formazione umana e professionale? «Provengo, è vero, dalle aziende private. Da un’esperienza in cui vige il principio di concretezza. Pertanto mi piace coniugare questo aspetto del mondo imprenditoriale con l’arte di relazionarsi con gli altri che è propria della politica. Ho scelto, insomma, una sintesi tra questi due mondi». Il suo ruolo in Unioncamere implica una grande capacità di meSICILIA 2008 | DOSSIER
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SUCCESSI Prima di accettare l’attuale incarico per Unioncamere, Alessandro Alfano (qui durante l’ultimo forum PA svoltosi a Roma) è stato consulente per varie multinazionali e successivamente direttore generale di Confcommercio Sicilia
diazione e di dialogo con il mondo politico. Come si riesce a tradurre il linguaggio imprenditoriale in quello istituzionale, e viceversa? «La politica è nel mio Dna, non saprei dispensare consigli: non esistono misteri o segreti che potrei rivelare. Potrei affermare scherzosamente che il mio è un “difetto congenito”». Lei è anche giornalista. Cosa rende efficace un progetto di comunicazione d’impresa? «L'impegno costante in un’attività, i problemi da risolvere, gli obiettivi da raggiungere sono immersi in una quotidianità fatta di tanti pensieri e azioni. E spesso ci si dimentica dell’importanza di comunicare i processi di cambiamento, i benefici che ne derivano e i progetti che si portano a compimento. Senza una buona comunicazione, capace di far percepire in modo diretto questi risultati, è quasi come non esistere. Questo può succedere in DOSSIER | SICILIA 2008
un’azienda, come in un’amministrazione pubblica o in un partito politico». Quali sono i pro e contro del fare impresa in Sicilia? «Rischio di sostenere un’ovvietà, ma la verità è che l’imprenditoria siciliana soffre di carenza infrastrutturale, ma si trova in un territorio dalle potenzialità inespresse: risorse immense, che hanno dato grandi soddisfazioni alle imprese italiane che hanno investito, con successo, nell’Isola. Con la “primavera siciliana”, il mondo delle imprese per la prima volta si sta impegnando in una lotta durissima contro la mafia. È l’unica regione che ha dato negli ultimi anni segnali concreti di crescita, sia da un punto di vista economico, nella gran voglia di far impresa, che culturale. E ancora molte sono le sue risorse». Quanto costa intraprendere una nuova attività in Sicilia, in termini di capitale non solo finanziario, ma anche umano?
«L’imprenditoria siciliana non manca di idee, anche innovative, e ha perfino il coraggio di investire in una contingenza economica non certo favorevole. Però la Sicilia è una terra che sa restituire le energie che vi si spendono. Quindi non è il semplice amore del rischio, ma la fiducia nel successo che spinge le imprese». Ci sono delle qualità particolari che un imprenditore deve avere per avere successo in Sicilia? «Sì, deve saper dialogare. È un lavoro di grande comunicazione: deve infondere fiducia e saper entrare in sintonia. Tolta la “scorza” di diffidenza, il siciliano è uno che sa spendersi per un’idea, per un’azienda, per la propria terra». Nel fare impresa conta più l’istinto o la razionalità? «Ambedue allo stesso modo. Ponderatezza sì, ma senza eccessi. Bisogna anche farsi dominare da quelle sensazioni positive, che non ci si sa spiegare razionalmente».
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«MI PIACE CONIUGARE LA CONCRETEZZA IMPRENDITORIALE CON L'ARTE POLITICA DI RELAZIONARSI AGLI ALTRI. HO SCELTO UNA SINTESI TRA I DUE MONDI» Essere giovani, nell’attività manageriale, aiuta o può creare degli impedimenti? «L’entusiasmo giovanile è il valore aggiunto. Hai ancora intatto il tuo credo, vivi per ideali di perfezione. La giovane età può anche essere caDOSSIER | SICILIA 2008
gione di attacchi strumentali o di minimizzazioni a opera di chi non vede di buon occhio novità e cambiamenti. Ma è facile dimostrare quanto non voler progredire sia un non-sense per l’imprenditoria». A suo parere, l’immagine del manager e in generale la concezione dell’imprenditorialità in Sicilia ha bisogno di un rinnovamento? «Stiamo vivendo un rapido processo di cambiamento, ma partiamo svantaggiati da un gap generazionale che stiamo cercando di colmare con nuova linfa vitale, in grado di farci correre più veloce e di cui non mancano esempi anche a livello nazionale, in campo sia politico che im-
prenditoriale e associativo. Il rinnovamento, insomma, è partito. Ma rispetto al cambiamento della mentalità di una cultura, siamo ancora al “giorno dopo”». È stato definito un precursore per la sua capacità di guardare oltre il presente. Cosa vede nel suo futuro e in quello dell’impresa siciliana? «Un maggior trasferimento di know how. Mi piacerebbe insegnare ai giovani ad aver fiducia. Penso ai numerosi cervelli che in Sicilia si stanno formando e che possono domani ricoprire ruoli cruciali nel processo di rinnovamento e di sviluppo di questa nostra Isola».
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STRATEGIE Fidimpresa
UN SOSTEGNO CONCRETO ALLE NOSTRE IMPRESE Con la fusione delle strutture di Catania, Siracusa, Ragusa, Enna e Trapani, FidimpresaConfidi di Sicilia diventa un interlocutore fondamentale per il sistema bancario e le Pmi. Le considerazioni dell’amministratore delegato Seby Costanzo LAURA FEDERICI
rescono i Confidi siciliani. E danno vita a un’aggregazione che si propone di portare la società a un ruolo sempre più attivo nello sviluppo industriale del territorio regionale, in particolare nelle province di Catania, Siracusa, Ragusa, Enna e Trapani. I confidi, letteralmente “consorzio di garanzia collettiva fidi”, da decenni so-
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stengono in tutta Italia le Pmi nelle loro relazioni con il sistema bancario. Si fanno garanti per le aziende, agevolano e migliorano l’accesso al credito. Un ruolo ancora più prezioso in Sicilia, dove spesso il rapporto tra istituti di credito e piccole e medie imprese non è semplice. Alla fine dello scorso anno è stata così annunciata la creazione di FidimpresaConfidi di Sicilia. E la crescita dimensionale ha aperto nuovi orizzonti. Fidimpresa, avendo ampiamente superato il limite di 75 milioni di attività finanziaria, si iscriverà il prossimo anno nell’elenco speciale degli intermediari finanziari, come p r e v e d e l’articolo 107 del Testo unico bancario (Tub). La struttura avrà
così la possibilità di offrire maggiori servizi ai soci. «Potremo assistere le imprese con garanzie più ampie — spiega Seby Costanzo, amministratore delegato di Fidimpresa — con fideiussioni a garanzia degli investimenti e con servizi finanziari alternativi». E sulle trasformazioni in atto, l’amministratore delegato aggiunge: «Cambierà il sistema di controllo interno, saremo un po’ più banca e potremo offrire ai nostri soci, e non solo, garanzie di primo livello sia per quanto riguarda gli affidamenti bancari che nella gestione dei rapporti con l’erario. Inoltre offriremo programmi speciali di
STRATEGIE
PLURISETTORIALE A Fidimpresa-Confidi di Sicilia aderiscono aziende dell’industria, del settore edile e del terziario come il commercio e il turismo. Nella pagina accanto, Seby Costanzo, amministratore delegato di Fidimpresa-Confidi di Sicilia
investimenti assistiti da finanziamenti pubblici, e lavoreremo per il miglioramento delle classificazioni di merito creditizio». Come sono andate le attività di Fidimpresa-Confidi di Sicilia in questo primo semestre 2008? «Fidimpresa sta crescendo a vista d’occhio, grazie al rafforzamento e alla professionalizzazione della struttura, ma soprattutto grazie al processo di integrazione at-
tuato da Catania con le province di Enna, Ragusa, Siracusa, Trapani in un’unica struttura. Ovviamente ciò ha comportato un incremento del volume di attività finanziaria e il raggiungimento di una massa critica tale da permettere la nostra trasformazione in un confidi 107. A quel punto potremo assistere le imprese con garanzie più ampie, con fideiussioni a garanzia degli
investimenti, con servizi finanziari alternativi». Quale settore industriale sta chiedendo più finanziamenti? «In genere tutte le imprese industriali stanno avvertendo la necessità di ripianificare il proprio indebitamento con il sistema bancario, quindi vengono richieste garanzie per rimodulare le condizioni delle linee di credito. Non registriamo contrazioni rileSICILIA 2008 | DOSSIER
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STRATEGIE Fidimpresa
INTERPROVINCIALE Nella foto i rappresentanti dei Confidi provinciali, Giuseppe Curella (Confidi Ragusa), Davide Durante (Confidi Trapani), Seby Costanzo (Fidimpresa), Enzo Singarella (Fidien) e Giovanni Catalano (dir. Confindustria Sicilia). In basso il periodico Confidiamoci.it che da settembre sarà distribuito ai soci di Fidimpresa, come organo d’informazione economica e finanziaria per le imprese siciliane
Un interlocutore più forte Con la nascita di Fidimpresa-Confidi di Sicilia aumentano i vantaggi per le Pmi L’aggregazione dei cinque confidi provinciali, di Catania, Siracusa, Ragusa, Enna e Trapani ha cambiato la struttura dell’anello di congiunzione tra istituti di credito, nazionali, e Pmi, realtà molto legate al territorio. «Fidimpresa nasce dal Confidi Catania che l’anno scorso ha cambiato pelle per diventare Confidi di Sicilia — spiega Seby Costanzo, amministratore delegato di Fidimpresa — con il chiaro intento di assumere una dimensione più a carattere regionale. I confidi di Enna, Ragusa, Siracusa e Trapani hanno creduto in questo progetto e si sono fusi per incorporazione in Fidimpresa. Altri consorzi hanno richiesto di aderire all’iniziativa». Fidimpresa, dopo questo processo di aggregazione, conta oltre 1.000 soci, vanta un patrimonio di circa 20 milioni di euro e linee di credito garantite per oltre 250 milioni di euro. Insomma, rappresenta uno dei primi confidi d’Italia del sistema Confindustriale. «La nostra organizzazione — continua Costanzo — conta su filiali in ogni provincia, con un comitato tecnico composto da imprenditori che assicurano un contatto diretto e continuo con il territorio, garantendo, quindi, la nostra principale caratteristica di conoscenza delle imprese. Fidimpresa si propone, quindi, come strumento economico di grande utilità per le imprese, alle quali viene garantito un maggiore accesso al credito e alle migliori condizioni, così come è di grande interesse per il sistema bancario che ne apprezza il valore aggiunto al proprio sano sviluppo».
vanti sugli investimenti che ora vengono programmati con maggiore attenzione e dettaglio rispetto a qualche anno fa, ma certamente ciò che più viene richiesto in questo ultimo periodo è il consolidamento di debiti a breve termine verso il medio termine». Da mesi i tassi sono in crescita. Sono aumentati i casi di insolvenza? «Il tasso di insolvenza del nostro DOSSIER | SICILIA 2008
Consorzio fidi, per fortuna, è bassissimo. E ciò è frutto di una attenta politica basata sulla conoscenza dei programmi delle imprese e soprattutto della conoscenza diretta degli imprenditori. Nell’ultimo anno abbiamo rafforzato l’assistenza alle imprese offrendo un servizio teso al miglioramento dei loro rating qualitativi, che le banche spesso non sono in grado di valutare. La nostra strategia valutativa punta
sull’analisi dei rischi di gestione dell’impresa, più che a quelli economico-finanziari». Nel 2007 si è ulteriormente definito l’assetto del sistema bancario italiano, con alcune fusioni societarie. Come cambierà il rapporto di Fidimpresa con le banche? «Il rapporto con gli istituti di credito è un argomento, per noi, sempre all’ordine del giorno. La negoziazione delle condizioni e
STRATEGIE
Nuovo ruolo in Federconfidi Costanzo, amministratore delegato Fidimpresa, entra nel Consiglio Direttivo Lo scorso luglio Federconfidi, l’associazione che riunisce i confidi di area Confindustria, si è riunito a Roma per la sua assemblea annuale. Francesco Bellotti è stato riconfermato presidente, mentre Seby Costanzo, amministratore delegato di Fidimpresa — Confidi di Sicilia, è entrato nel Consiglio Direttivo per il triennio 2008-2011. Federconfidi, la Federazione tra i consorzi di garanzia collettiva dei fidi, rappresenta oltre 60.000 pmi italiane. Al suo interno è in atto una profonda trasformazione, grazie all’accorpamento tra i confidi provinciali, la loro crescita dimensionale e l’acquisizione di ulteriori capacità operative. Una serie di mutamenti che nel 2009 dovrebbe permettere l’iscrizione nell’elenco speciale degli intermediari vigilati da Banca d’Italia di tredici Confidi industriali italiani, tra cui Fidimpresa- Confidi di Sicilia. «Queste strutture — ha affermato Bellotti — costituiscono una parte rilevante della Federazione e rappresentano un vanto per l’intero sistema produttivo. L’esperienza, l’inventiva di chi oggi guida i nostri Confidi consentiranno di vincere le sfide per la crescita e l’efficienza». Nella stessa occasione Italo Candido, presidente del Confidi Palermo, ha ricevuto l’incarico per il coordinamento dei processi di formazione del sistema.
«NOI RAGIONEREMO DA BANCA E CON LA MENTALITÀ DEGLI IMPRENDITORI CERCANDO DI INTERPRETARE AL MEGLIO LE ESIGENZE DEI NOSTRI INTERLOCUTORI» delle convenzioni è il valore aggiunto che i confidi possono offrire alle imprese socie, e ciò sta avvenendo coerentemente alle esigenze del sistema bancario di allinearsi ai modelli di Basilea2. Quando si sarà completato il totale riassetto, la concentrazione delle banche costituirà un salto di qualità. Tuttavia, emergono anche motivi di criticità poiché, proprio per effetto delle regole di Basilea2, dovrà essere sempre bilanciato il rapporto tra impieghi e raccolta (ovvero prestiti e depositi), e su questo aspetto soffriranno particolarmente gli istituti di credito minori. Per esempio, Unicredit, come anche Intesa San Paolo, stanno dichiarando un modello organizzativo che appare adeguato e innovativo, ma saranno i fatti e le variabili economiche a chiarire, nel prossimo futuro, la capacità di assistere adeguatamente le imprese, tenuto conto che non sembra esserci una forte riduzione degli impieghi,
ma una attenzione sui costi della raccolta. Noi ragioneremo da banca e con la mentalità degli imprenditori cercando di interpretare al meglio le esigenze dei nostri interlocutori per i quali ci sforziamo di migliorarne la relazione». La Banca del Sud di cui si è parlato negli ultimi mesi potrebbe essere uno strumento utile? «Stiamo vivendo una forte crisi finanziaria a tutti i livelli e credo che, purtroppo, ce la porteremo dietro per un po’ di tempo. Sarà necessario puntare sulla qualità degli uomini che, storicamente, sono stati la migliore risorsa da cui possiamo trarre vantaggio. Una Banca del Sud, sostenuta da un’azione governativa sia a livello nazionale che regionale, può favorire il sostegno alle imprese che hanno i numeri per crescere. La condizione necessaria, però, è che si badi appunto alla qualità degli uomini in campo, piuttosto che alle corporazioni di colore poli-
tico, magari con il contributo forte del mondo imprenditoriale a tutti i livelli. Non serve nulla che venga “calato dall’alto” ma un sostegno che colmi le inefficienze di cui siamo sempre più vittime». Le banche apprezzano il ruolo dei confidi? «In occasione dell’assemblea di Federconfidi, il direttore centrale dell’Abi Domenico Santececca ha sostenuto che il valore più grande dei confidi è quello di facilitare il colloquio tra le banche e le imprese. Sono convinto che questo, insieme a un’attività di consulenza abbia maggiore importanza rispetto alla garanzia stessa». Con il decreto del 9 novembre scorso, il ministero dell’Economia e delle Finanze ha stabilito i requisiti per l’iscrizione dei confidi nell’elenco speciale degli intermediari finanziari. Cosa potrebbe cambiare per i soci di Fidimpresa? «La nuova normativa prevede che i confidi che superano un volume di garanzie maggiore ai 75 milioni di euro debbano evolversi in confidi 107, iscrivendosi nell’elenco speciale degli intermediari finanziari. Cambierà il SICILIA 2008 | DOSSIER
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STRATEGIE Fidimpresa
Una trasformazione in atto Le prospettive dopo il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze
AL LAVORO Una riunione del Consiglio di amministrazione di Fidimpresa, costituitasi alla fine del 2007
In Sicilia il sistema dei Confidi è rappresentato I NUMERI DI FIDIMPRESA da circa 30 soggetti ri31/12/06 31/12/07 30/06/08 12/2008 conosciuti dalla Regione Linee di credito deliberate (in mln euro) 90 174 250 320 Siciliana. FidimpresaPatrimonio (in mln euro) 6 13,5 20 24 Confidi di Sicilia, con la fusione dei cinque ConNumero dei soci 400 720 1.070 1.400 fidi, è diventato una Fonte: Fidimpresa delle realtà maggiori. In futuro potrebbe ampliare le sue attività. Infatti, il 9 novembre 2007 il ministero dell’Economia e delle Finanze ha approvato il decreto che fissa i requiLA STRUTTURA DI FIDIMPRESA siti che i confidi devono avere per iscriversi all’albo speciale deNumero di banche convenzionate 15 gli intermediari finanziari, come previsto dall’articolo 107 del testo unico bancario. In dettaglio, è previsto che i confidi supeNumero di filiali rino il volume di attività finanziaria di 75 milioni di euro. I conSede di Catania fidi devono anche soddisfare le condizioni sull’organizzazione Fonte: Fidimpresa, agg. al 30 giugno 2008 amministrativa e contabile e sui controlli interni. Dal 2009 dovrebbe poter essere possibile iscriversi nell’elenco speciale. A quel punto, potrebbe ulteriormente ampliarsi il raggio di azione di un confidi 107. Infatti, secondo quanto previsto dalla Finanziaria 2008, i confidi dovrebbero poter assistere le imprese nel loro rapporto con il fisco. Quattro le aree di azione: l’esecuzione dei rimborsi Iva, gli accertamento con adesione, la conciliazione giudiziale nel processo tributario e i pagamenti dilazionati nella riscossione a seguito di iscrizione a ruolo. Un ruolo simile a quello di una banca, ancora virtuale, ma che dovrebbe diventare operativo dal prossimo anno.
sistema di controllo interno, saremo un po’ più banca e potremo offrire ai nostri soci maggiori e migliori garanzie. Insomma, un confidi 107 potrà essere uno strumento molto importante per le imprese virtuose». Cosa si aspetta, invece, dalla nuova amministrazione regionale? DOSSIER | SICILIA 2008
«La Regione Siciliana può fare molto per sostenere il nostro lavoro e le nostre imprese, ma serve una attenzione più forte verso i Consorzi fidi attraverso il finanziamento delle leggi di supporto all’integrazione dei fondi rischi e uno snellimento degli adempimenti burocratici secondo un modello di maggiore efficacia e
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controllo, con l’intento di lavorare per uno scopo comune che è il sostegno alle imprese. Soffriamo del ritardo di ben quattro anni sull’erogazione dei contributi previsti dalla legge e, mi permetto di sottolineare che la certezza delle legittime aspettative rappresenta un elemento essenziale per la vita delle imprese».
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FONDAZIONI Medidea
IL THINK TANK DEL MEDITERRANEO Intensificare la cooperazione tra i Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum. È questa la mission della neonata Fondaziona Medidea. Obiettivi, sfide e progetti spiegati dal presidente Giuseppe Pisanu FRANCESCO MATTEUZZI
ul Mediterraneo si affacciano oggi 25 Paesi di tre diversi continenti. I loro 80 porti fanno da base per 2.000 collegamenti, i quali ogni anno consentono il transito di 750 milioni di tonnellate di merci e vari milioni di persone. Ogni giorno sono 250 le petroliere che si spostano lungo una di queste rotte, trasportando il 20% del greggio mondiale. Cifre impressionanti e destinate ad aumentare ulteriormente nel prossimo futuro. E in tutto questo, grazie anche alla sua posizione, l’Italia si trova a occupare un ruolo privilegiato. «Se guardiamo al nostro Sud come a una piattaforma — spiega il senatore Giuseppe Pisanu, presidente della Fondazione Medidea, un organismo dedicato a intensificare la cooperazione internazionale nel Mediterraneo — vediamo delinearsi una nuova, storica opportunità per sostenere lo sviluppo generale del nostro Paese e sciogliere i nodi più tenaci della questione Meridionale. L’Italia deve interpretare sempre meglio il suo naturale ruolo di protagonista
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delle relazioni transmediterranee, valorizzando appieno la specifica vocazione geografica, storico-culturale ed economica del Mezzogiorno e delle isole». Presidente, qual è la mission della Fondazione Medidea? «Sostenere con idee nuove la rinascita del Mediterraneo nella riorganizzazione dello sviluppo globale e valorizzare il ruolo dell’Italia nelle relazioni economiche, sociali, culturali e politiche che interessano questo mare». In che modo l'attività della Fondazione si inserisce in quella dell’Unione Mediterranea lanciata lo scorso 13 luglio a Parigi? «Si tratta di cose diverse, ma affini. L’Unione Mediterranea è una proposta politica ancora in fase di elaborazione e investe le competenze degli Stati. Medidea è soltanto una fondazione che si muove sulla stessa linea ideale per preparare il terreno alle grandi decisioni politiche». Attraverso quali strumenti Medidea intende perseguire i propri obiettivi? «Essenzialmente con la promo-
zione di incontri e partenariati di studio e formazione, collaborando con Università, centri di ricerca e istituzioni analoghe in Italia e all'estero». Il Sud dell’Italia come una piattaforma mediterranea. È questo ciò di cui lei ha parlato nel suo discorso di presentazione della Fondazione. Un’opportunità per risolvere la questione Meridionale? «Sì, credo che sia un’occasione storica, perché il Mezzogiorno è in grado di intercettare quote importanti degli enormi flussi di merci, capitali, persone e idee che oggi attraversano e sempre più attraverseranno il Mediterraneo. È necessario però che questa piattaforma venga attrezzata con investimenti massicci sulla scuola, le infrastrutture e la sicurezza». Come è sfruttato oggi questo vantaggio dall’economia locale? Si potrebbe fare di più? «Si può fare molto di più adottando una strategia unitaria di sviluppo del Mezzogiorno e concentrando la spesa pubblica sugli obiettivi strategici. Dobbiamo fare del Sud continentale e insulare
FONDAZIONI PIATTAFORMA SUD Giuseppe Pisanu presidente della Fondazione Medidea, laboratorio di idee per lo sviluppo dei mercati appartenenti al bacino mediterraneo
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FONDAZIONI Medidea
COOPERAZIONE Il pubblico che ha partecipato alla conferenza stampa di presentazione della Fondazione Medidea lo scorso luglio a Roma
una macroregione che sia la tempo stesso una piattaforma mediterranea». Quali sono i Paesi mediterranei con cui sono più attivi i rapporti commerciali italiani? E quali possono diventare nel tempo mercati economicamente rilevanti? «Il Mediterraneo ha un vastissimo entroterra che si estende ben al di là dei Paesi che vi si affacciano. L’area interessa tre diversi continenti, costituendo qualcosa di unitario. E proprio a questa vasta area dobbiamo guardare comprendendo nello stesso orizzonte le possibilità economiche e commerDOSSIER | SICILIA 2008
ciali. Per fare un esempio, la Germania in Europa, la Libia in Africa, la Turchia e l’Iran nel vicino Oriente. Tutti questi Stati e molti altri ancora sono per noi interlocutori importantissimi». Quali sono i settori forti degli scambi? «Come è noto siamo tra i maggiori esportatori mondiali di abbigliamento, cuoio, mobili, meccanica, alimentari di qualità, mentre importiamo materie prime, energia e tecnologie avanzate». Come potrebbe cambiare l’economia nazionale se il Mezzogiorno diventasse a tutti gli effetti una portaerei economica
del Mediterraneo? «Più che di portaerei, parlerei di hub, di una grande area di snodo specialmente per i traffici marittimi tra le nuove potenze economiche dell’Oceano Pacifico e dell’Oceano Indiano, la cosiddetta “Cindia”, e l’Europa». Lei ha parlato anche di “approccio mediterraneo” ad alcuni problemi che affliggono l’area. Che cosa intende? «Si tratta di problemi comuni a tutti i Paesi rivieraschi e che possiamo risolvere soltanto con decisioni e sforzi comuni». La conoscenza è la via principale per la convivenza pacifica.
FONDAZIONI
«IL NOSTRO SUD È UNA PIATTAFORMA SUL MEDITERRANEO UN’OPPORTUNITÀ PER SOSTENERE LO SVILUPPO DEL PAESE»
Quali strade possono essere battute per avvicinare le culture che si affacciano sul Mare Nostrum? «La strada è quella del dialogo e della cooperazione tra gli Stati e i popoli che hanno dato vita alle tre grandi civiltà mediterranee e alle tre grandi religioni monoteistiche, per costruire insieme pace e sviluppo». Il Meridione può rivestire il ruolo di mediatore tra Paesi del Mediterraneo ed Europa? «Potrebbe essere uno dei grandi mediatori per conto dell’Italia, proprio in virtù della sua storia, della sua cultura e della sua naturale vocazione mediterranea».
E dal punto di vista squisitamente culturale, esistono ancora tratti comuni della civiltà mediterranea? «Le tre culture del “piccolo mare delle grandi civiltà”, quella romano-cristiana, quella islamica e quella greco-orientale, si sono a lungo aspramente combattute, ma hanno anche saputo convivere e arricchirsi reciprocamente. Forse questo è il momento storico più favorevole anche per la riunificazione, come diceva La Pira, dei tre rami della famiglia di Abramo: l’ebraismo, il cristianesimo e l’Islam. Su queste basi si può costruire una pace stabile e
duratura». La politica nazionale non ha trovato una soluzione agli sbarchi illegali sulle nostre coste; c’è chi punta su accordi transnazionali e chi invoca un maggior controllo delle acque. Secondo lei quale dovrebbe essere la strada? «C’è una sola strada: quella dell’accordo tra i Paesi di origine dei migranti, i Paesi di transito e quelli di arrivo. È necessario procedere con intelligenza e umanità Il fenomeno è internazionale, anzi intercontinentale e solo su questa scala può essere definitivamente risolto». SICILIA 2008 | DOSSIER
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L’ALTRA SPONDA È SEMPRE PIÙ VICINA Costi da rivedere, contratti da aggiornare e stesura del progetto definitivo. Poi saranno inaugurati i cantieri del Ponte sullo Stretto di Messina, tornato a essere una priorità nell’agenda politica italiana. Pietro Ciucci, amministratore delegato della società concessionaria dell’opera, fa il punto sull’iter del progetto SARAH SAGRIPANTI
RECORD MONDIALE Sopra, un rendering del Ponte visto dalla Calabria, che sarà il ponte sospeso più lungo al mondo. Sotto, la sezione longitudinale: 3.300 metri di campata centrale, 382,60 metri di altezza per le torri, 5.300 metri di lunghezza dei cavi tra gli ancoraggi, 60 metri la larghezza dell’impalcato sospeso. Nell’altra pagina, Pietro Ciucci, ad di Stretto di Messina Spa
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GRANDI OPERE
n’opera della quale si parla ormai da decenni, con opinioni estremamente divergenti; perché in merito al Ponte sullo Stretto di Messina, come su tutte le grandi opere che ambiscono a segnare epoche e territori, pare impossibile trovare una posizione unanimemente condivisa. Nelle previsioni dei detrattori, il Ponte, opera inutile e costosa, sarà l’ennesimo cantiere aperto e incompiuto che offende il nostro Meridione. Secondo i suoi fautori, sarà al contrario l’opera che porterà nel mondo l’onore italiano, divenendo simbolo delle nostre capacità ingegneristiche e della nostra modernità, oltre naturalmente a produrre tutta una serie di vantaggi per lo sviluppo infrastrutturale ed economico del territorio. Stessa divergenza d’opinione tra le forze politiche italiane, tanto che con l’alternarsi dei governi l’opera è stata di volta in volta ritenuta prioritaria o accantonata. Nel 2003 il secondo Governo Berlusconi diede una forte spinta alla realizzazione, attuando la gara d’appalto per la sua costruzione e istituendo un apposito fondo economico. Il successivo Governo di centrosinistra, al contrario, abbandonò definitivamente l’idea, destinando i soldi già stanziati alla realizzazione di interventi infrastrutturali in Calabria e Sicilia. Con il ritorno del centrodestra, l’opera è tornata immediatamente nell’agenda politica. Dando un taglio netto rispetto al passato, il presidente Berlusconi ha rilanciato il progetto, che in breve è stato di nuovo inserito tra le opere prioritarie. Allo stato attuale, dunque, il progetto sembra essere posizionato sui blocchi di partenza. «Prevediamo l’apertura dei cantieri a metà 2010 e l’apertura al traffico nel 2016» dichiara Pietro Ciucci, amministratore delegato della Stretto di Messina Spa, società concessionaria per la realizzazione dell’opera, che solo fino a qualche mese fa era a rischio scioglimento. Ora però le cose sono cambiate: «C’è una grande determinazione da parte del governo e del ministro alle Infrastrutture Matteoli affinché l’opera venga realizzata». Ma quali saranno i prossimi passi da fare? Sicuramente redigere il progetto definitivo, compito che spetta alla cordata di imprese guidata da Impregilo, vincitrice dell’appalto. A questo proposito, tiene a precisare Pietro Ciucci, «non è necessaria una nuova gara per l’individuazione di un altro contraente generale, rimanendo valido l’affidamento contrattualizzato nel marzo 2006. L’obiettivo è concludere entro quest’anno le attività propedeutiche, per dare a gennaio 2009 l’ordine di inizio attività per predisporre il progetto definitivo». Entro il 2008, quindi, è necessario aggiornare i corrispettivi del contratto, la convenzione tra la Stretto di Messina e il ministero delle Infrastrutture e il piano finanziario per la realizzazione dell’opera.
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NUOVO PANORAMA Sopra dall’alto, un rendering del ponte visto da Santa Trada in Calabria e la corografia dei collegamenti stradali e ferroviari. Nell’altra pagina, sezioni longitudinale e trasversale della torre
Partendo dalla questione economica, quali sono le prospettive di aggiornamento per i costi dell’opera? «Il progetto del Ponte e dei circa 40 chilometri di raccordi approvato dal Cipe nel 2003 aveva un costo complessivo di 4,6 miliardi di euro. L’opera è stata messa a gara con una base d’asta di 4,4 miliardi, al netto dei costi per il project management e il monitoraggio ambientale aggiudicati per un valore di 150 milioni, ed è stata contrattualizzata nel 2006 a 3,9 miliardi. Il fabbisogno complessivo, che comprende tra l’altro gli oneri finanziari, gli accantonamenti rischi, gli aggiornamenti dei costi delle materie prime, era stato calcolato in via largamente prudenziale in 6 miliardi di euro. Stando alle valutazioni preliminari svolte, il valore aggiornato non dovrebbe discostarsi in maniera significativa». Come sarà strutturato il piano finanziario per reperire la cifra necessaria? «Le modalità del precedente piano finanziario sono tutt’ora valide: il 40 per cento del fabbisogno sarà coperto con l’aumento di capitale della società DOSSIER | SICILIA 2008
Stretto di Messina e il restante 60 tramite finanziamenti da reperire sui mercati nazionali e internazionali dei capitali secondo lo schema tipico del project finance. Diverse modalità potranno essere esaminate secondo le indicazioni del governo». Ma si farà carico dell’aumento di capitale della Stretto di Messina? «Tali risorse dovranno essere individuate in sostituzione dei fondi ex Fintecna in precedenza destinati al Ponte e poi versati al bilancio dello Stato per altri scopi. Si tratta di un aumento di capitale di circa 2,2 miliardi di euro: tra le ipotesi allo studio, ci potrebbe essere un intervento dello Stato, tramite gli azionisti della Stretto di Messina. Il punto fondamentale è che non si tratterebbe di contributi pubblici a fondo perduto. Infatti il capitale di rischio che gli azionisti immetterebbero nell’iniziativa rappresenta un investimento imprenditoriale. Anche se tale capitale proviene da società a controllo pubblico, il suo impiego discende da analisi tecniche di investimento ed è disciplinato da logiche tipicamente privatistiche di mercato. Queste risorse do-
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E l’ambiente? Il monitore ambientale valuta l’impatto ambientale, territoriale e sociale del Ponte Possono dormire sonni tranquilli gli ambientalisti preoccupati dell’impatto che il Ponte avrà sull’ecosistema dello Stretto di Messina. Oltre alla positiva valutazione di impatto ambientale già assegnata al progetto preliminare, la società Stretto di Messina ha previsto di affidare a un soggetto esterno il monitoraggio ambientale dell’opera, che sarà realizzato nella fase ante operam, durante i cantieri e dopo la loro conclusione. «L’attività – spiega Ciucci – non riguarda solo le aree interessate dai lavori, ma comprende gli effetti ambientali, territoriali e sociali in un contesto molto più esteso: un’area di 36 chilometri quadrati». Gli studi già iniziati riguardano eventuali interferenze del Ponte con i flussi migratori dei cetacei e dei volatili. «Per i cetacei – continua – abbiamo realizzato un’indagine in quattro campagne stagionali; contestualmente è stato svolto un monitoraggio sulla qualità delle acque. Per l’avifauna, nel 2005 abbiamo condotto uno studio con la supervisione scientifica dell’Istituto nazionale della Fauna selvatica».
vranno essere rimborsate e remunerate con rendimenti di mercato da parte della Stretto di Messina tramite i flussi di cassa generati dai pedaggi sul Ponte». Come saranno coinvolti i privati nell’operazione di finanziamento? «Primari istituti bancari internazionali hanno lavorato con la società per strutturare l’avvio della raccolta dei capitali, che sarà rivolta esclusivamente a operatori istituzionali nazionali e internazionali. I risultati ottenuti dalle analisi finanziarie evidenziano la capacità del progetto di assicurare agli azionisti e ai finanziatori, pur in assenza di qualsiasi contributo
pubblico a fondo perduto, un rendimento adeguato in tutti gli scenari trasportistici considerati». Esiste il rischio che l’opera non venga termina per mancanza di fondi? «È impegno della società garantire la disponibilità finanziaria necessaria a coprire l’intero fabbisogno per la realizzazione dell’opera, quindi i 6 miliardi di euro, prima dell’apertura dei cantieri. Questo perché la strategia finanziaria si pone l’obiettivo di escludere ogni rischio che una volta avviati i lavori l’opera possa rimanere incompiuta per mancanza di risorse». Una delle questioni che la costruzione del Ponte SICILIA 2008 | DOSSIER
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Un progetto sociale Per Altero Matteoli, ministro delle Infrastrutture, il Ponte rappresenterà un volano per lo sviluppo del Sud SARAH SAGRIPANTI
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iprendere là dove aveva lasciato: è questo l’imperativo del Governo Berlusconi per le infrastrutture e il Ponte sullo Stretto è uno di quei motori da far ripartire». Forte di questa convinzione, tra le sue prime azioni come ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli ha inviato una lettera a Pietro Ciucci comunicando l’intenzione del governo di rimettere in moto l’iter per la realizzazione dell’opera. In un quadro generale di forte rilancio del progetto, poi, il Consiglio dei ministri ha incluso il Ponte di Messina tra le opere prioritarie dell’allegato Infrastrutture del Dpef, definitivamente approvato dal Cipe e dalla Conferenza Unificata Stato-Regioni. Ministro, perché il Ponte sullo Stretto rappresenta una priorità per l’Italia? «I vantaggi principali sono radicati nella sua natura di grande opera, strategica per il fatto di essere un manufatto d’importanza determinante per l’intero Paese e un volano per altre opere nel Sud. L’opera, infatti, non va pensata come fine a se stessa. Realizzare strade e altre infrastrutture in Sicilia è un obbligo e se si realizza il Ponte l’obbligo diventa doppio: di seguito verranno costruite anche le altre opere necessarie alla Sicilia. L’Italia deve pensare in grande se vuole competere con il resto del mondo e il Ponte si inserisce in questo programma». Ma quali sono le principali motivazioni economiche a supporto della sua realizzazione? «Dal punto di vista economico, la piccola e media impresa ha bisogno di materie prime, di finire il prodotto e consegnarlo, e la carenza infrastrutturale del nostro Paese, se non risanata, finisce inevitabilmente per apportare costi aggiuntivi, gravando così sul prezzo del prodotto. Il Ponte offrirà, dunque, un contributo importante per il rilancio dell’economia delle regioni meridionali, e non solo. Si tratterebbe, poi, di un’opera sociale, utile soprattutto per sviluppare le ferrovie in Sicilia, visto che è difficile pensare a treni veloci nell’Isola senza una continuità con il Continente. Ciò darebbe anche un forte slancio al turismo, incrementando il numero di presenze e di visitatori sul territorio. La costruzione
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dell’infrastruttura consentirebbe, inoltre, la realizzazione di un’unica area metropolitana tra le città di Reggio Calabria e Messina, che di fatto aspirerebbero a diventare una vera grande metropoli». Quali saranno le risorse finanziarie per la realizzazione del Ponte? «Le risorse statali a fondo perduto dovrebbero ammontare a circa un miliardo di euro. Poi ci saranno i fondi di Anas e di Rfi (azionisti rispettivamente con l’81,8 e il 13 percento della società Stretto di Messina, ndr). Tali risorse sono da considerarsi investimenti recuperabili e, con ogni probabilità, anche remunerabili nel lungo periodo. Le rimanenti risorse, pari al 60 per cento del costo complessivo dell’opera, saranno trovate con la finanza di progetto e reperite sui mercati internazionali». Per la quota di finanziamento pubblico, è possibile pensare a fondi europei, dopo che nel 2004 il Ponte era stato bocciato dall’Europarlamento come opera di interesse comunitario? «Sicuramente faremo un’agenda delle priorità in collaborazione con l’Unione europea, alla quale riproporremo di partecipare alla corresponsione dei fondi necessari per finanziare l’opera. Poi, non bisogna dimenticare che il ponte è parte fondamentale del progetto del cosiddetto Corridoio 1 europeo». All’epoca l’Europa segnalò due punti da affrontare per poter affermare l’interesse comunitario dell’opera. Una nuova valutazione ambientale e un’analisi costi-benefici. Se si dovesse ripresentare lo stesso dubbio, è possibile rivedere tali documenti? «La valutazione di impatto ambientale, prevista dalla normativa europea, oltre che da quella italiana, è già stata espletata sul progetto preliminare del Ponte e sarà conclusa nel corso dell’esame di valutazione del progetto definitivo dell’opera. Mi preme sottolineare che durante tutto il corso dell’iter dell’opera ci sarà il massimo colloquio con il territorio, i cittadini siciliani e calabresi, e le amministrazioni locali, anche per le ulteriori opere di accompagnamento che dovranno essere in seguito progettate».
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Chi fa cosa Secondo il modello del project management, la Stretto di Messina Spa mantiene i compiti di indirizzo e alta sorveglianza, mentre sono affidati al project manager controllo e verifica della progettazione definitiva, esecutiva e della realizzazione. - Project management consultant è Parsons transportation group (Usa) - General contractor, soggetto che realizza l’opera, è l’Ati guidata Impregilo Spa. La progettazione spetta alle danesi Cowi A/S e Sund & Baelt A/S e la canadese Buckland & Taylor Ltd - Monitore ambientale è l’Ati guidata da Fenice Spa - Broker assicurativo è Marsh Spa
solleva è quella relativa alla forte presenza di criminalità organizzata nelle zone coinvolte. Quali azioni di contrasto avete previsto? «Nell’esecuzione di progetti impegnativi come questo, la chiave di volta è sempre stata un attento monitoraggio delle operazioni legate ai cantieri e la completa trasparenza e chiarezza degli atti amministrativi. Le istituzioni centrali hanno attivato una serie di iniziative mirate a istituire raccordi permanenti tra le nostre polizie e i servizi di intelligence con la Direzione investigativa antimafia e in particolare con le Direzioni di Messina e Reggio Calabria. L’obiettivo è prevenire ogni potenziale forma d’infiltrazione e condizionamento da parte della criminalità organizzata, permettendo di effettuare investimenti in sicurezza». La società Stretto di Messina ha anche siglato un protocollo con il Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere. Cosa prevede? «Il protocollo disciplina l’attività di monitoraggio finalizzata alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose nelle transazioni finanziarie relative alla realizzazione del Ponte sullo Stretto e dei suoi collega-
VIABILITÀ Sopra, sezione dell’impalcato: dall’esterno, le due corsie indipendenti per veicoli di servizio e pedoni, le due sezioni viarie su ruota, la sezione ferroviaria con due binari. Nell’altra pagina, il ministro delle Infrastrutture e Trasporti Altero Matteoli
menti. Il monitoraggio riguarderà il reperimento in Italia e all’estero delle risorse finanziarie e il loro successivo rimborso, nonché tutti i pagamenti eseguiti a favore del general contractor e degli affidatari e sub-affidatari, che tra l’altro hanno assunto gli stessi obblighi». Come funzionerà concretamente? «Il principale obiettivo del protocollo è la tracciabilità dei movimenti finanziari, ovvero di introiti e pagamenti relativi alla realizzazione dell’opera. Per questo stabilisce l’attivazione di un apposito flusso informativo tra la concessionaria Stretto di Messina, il general contractor, gli affidatari e i sub-affidatari e la Direzione investigativa antimafia, quale organo di analisi e investigazione finanziaria. Si tratta di un sistema che oggi viene applicato alla realizzazione di grandi opere e, in alcuni casi, come in Calabria, ha ispirato la nuova legge regionale sugli appalti». Dai rapporti dell’Antimafia risulta che i pericoli di infiltrazione riguardano anche le attività di cantiere, come la movimentazione della terra e il reclutamento della manovalanza. Quali azioni prevedete? «Oltre alle precauzioni previste per legge, abbiamo attivato una serie di contromisure che faranno dei cantieri dei luoghi di lavoro all’avanguardia. È previsto un sistema di “fleet management” che comprende il controllo satellitare di tutti i mezzi terrestri e navali, in modo da monitorare in tempo reale chi guida, cosa trasporta e dove lo trasporta. A questo si aggiunge un sistema di riconoscimento elettronico per tutti gli addetti ai lavori e la presenza di caserme della Guardia di Finanza all’interno dei cantieri. Infine, abbiamo firmato con i sindacati un protocollo con funzione anche di anticriminalità». SICILIA 2008 | DOSSIER
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VISTI DA VICINO
IN PRIMA LINEA Salvo Sottile, 35 anni, palermitano. Fa il giornalista da quando aveva 17 anni. Dopo un’esperienza di 10 anni in Sicilia, è stato chiamato da Enrico Mentana a Roma. Il suo sogno? Una Sicilia libera dalla mafia e sotto il profilo economico
LA MIA TERRA È PRONTA A CAMBIARE Trentacinque anni di cui 17 passati da giornalista. Una lunga esperienza in Sicilia e poi il grande salto. Verso Roma e la redazione del Tg5. Salvo Sottile guarda alla sua terra da osservatore distante e ne dà un’immagine positiva LAURA PASOTTI
uando ho iniziato a fare questo mestiere Palermo stava vivendo uno dei suoi periodi più difficili. Mi capitava anche di scrivere 50 pezzi al giorno tra collegamenti in diretta e reportage». Era il 1992 e Salvo Sottile si imponeva all’attenzione del pubblico con i suoi servizi sulle stragi di Capaci e di via d’Amelio. Era in atto un attacco frontale nei confronti dello Stato, la Sicilia era «un posto al centro del mondo» e Salvo Sottile era lì per raccontarlo, per portare «per mano i telespettatori alla scoperta degli eventi». Coinvolgere il pubblico. Era questo il suo sogno di bambino che, guardando il telegiornale, non si
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sentiva sufficientemente “trasportato” dentro la notizia. Un sogno che Sottile ha ancora oggi che è diventato il volto del Tg5 delle 13 (che conduce insieme a Barbara Pedri). Perché «in questo mestiere — ammette il giornalista — non si finisce mai di imparare». Ha solo 35 anni Salvo Sottile ma “vanta” già 17 anni di esperienza alle spalle, prima in Sicilia sulle pagine dei quotidiani locali e con Telecolor video 3 (che forniva immagini dell’isola in esclusiva a Mediaset) poi a Roma. Poi nel Tg5, voluto da Enrico Mentana, a cui è ritornato dopo un breve passaggio a SkyTv. Lei ha iniziato a fare questo me-
stiere giovanissimo. Quali difficoltà ha incontrato? «Ho iniziato nel 1990 scrivendo per piccoli giornali locali, poi sono approdato in una Tv privata che forniva immagini a Canale5. Eravamo i “regionali”, quelli che forniscono servizi al network coprendo una determinata regione. Mi occupavo di nera, giravo per gli ospedali, ho fatto il percorso che fanno tutti i cronisti. Con Canale 5 ho iniziato con un contratto da informatore e poi sono arrivati i primi servizi. La difficoltà? Forse è stata quella di fare una vita completamente diversa dai miei coetanei. E dover fare i conti con qualcosa di molto più grande di me». SICILIA 2008 | DOSSIER
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AL LAVORO Due immagini di Salvo Sottile. In alto, durante un servizio per Telecolor 3, l’emittente siciliana che forniva immagini in esclusiva a Mediaset. A destra, durante l’edizione delle 13 del Tg5
Enrico Mentana le diede fiducia. «Credo abbia apprezzato le 13 ore di servizio continuato sulla strage di via d’Amelio, che il Tg5 mostrò per primo in Italia. Mentana mi ha insegnato a usare lo strumento televisivo. Allora Canale5 era una Tv pionieristica. Per “battere” la Rai, un carrozzone ingessato che si muoveva con la velocità di un elefante, dovevamo essere più elastici. Essere in pochi è stata la nostra forza. Così siamo riusciti a coprire la maggior parte degli eventi con una rapidità sorprendente. Nel 1992 Canale 5 era un bagliore nel cielo del panorama televisivo». E poi ha puntato su un giovane che aveva una conoscenza diretta del territorio. «Ero giovane ed ero cresciuto a Palermo. Conoscevo bene la città e sapevo come muovermi. Ma le difficoltà ci sono state e anche parecchie. DOSSIER | SICILIA 2008
Anche perché io non ero come tutti gli altri inviati che arrivavano in Sicilia, scrivevano e se ne andavano. Io vivevo lì. Quando l’emergenza era finita, i riflettori si spegnevano e tutti andavano via, io mi ritrovavo a fare i conti con gli effetti delle notizie di cui scrivevo». Che tipo di conseguenze? «Mi capitava di essere fermato per la strada da persone che mi dicevano di cambiare lavoro. Altre volte gli attacchi erano più velati. Quando facevo servizi su Totò Riina e Bernardo Provenzano, c’era gente che andava da mia madre, che ha un laboratorio di analisi cliniche, a chiedere contributi per gli ex detenuti. Una forma blanda di pizzo. Era quello il tessuto locale con cui, all’epoca, dovevo fare i conti». E oggi, qual è la situazione di Palermo? Crede che ci sia un maggio-
re senso della legalità nei giovani? «Sono nate una serie di realtà importanti, come il cartello “Addio Pizzo”. La mafia non è certo stata sconfitta e, rispetto agli anni Novanta, è tornata a “covare sotto la cenere”. Ma oggi c’è la consapevolezza che in un modo o nell’altro il nemico si può battere. Lo vedo a Palermo che oggi ha il respiro di una città internazionale, oserei dire mitteleuropea se non fosse un assurdo geografico. La gente è più fiduciosa e i giovani sono più maturi e consapevoli di quanto non fossi io all’inizio». Guardando al suo percorso professionale, sicuramente molto diverso da quello di molti giovani siciliani, possiamo dire che lei è uno che “ce l’ha fatta”. «Io ce l’ho fatta perché me ne sono andato. E devo ringraziare Mentana che, dopo avermi tenuto a “ba-
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INVIATO Sottile in Afghanistan durante la guerra. La sua prima esperienza all’estero per Canale5 prima di approdare alla redazione romana del Tg5. Dopo un breve passaggio a SkyTv, Salvo Sottile è tornato a condurre l’edizione delle 13 insieme a Barbara Pedri
gnomaria” per 10 anni nel capoluogo siciliano, mi ha mandato in Afghanistan e poi mi ha portato a Roma perché potessi confrontarmi con qualcosa di diverso dalla mafia e dalla Sicilia. E oggi sono al Tg5 delle 13. Ma ai ragazzi che mi chiedono consigli su questo mestiere, io lo sconsiglio. È troppo inflazionato. C’è molta offerta e pochissima domanda». Quanti sono i giovani siciliani che possono dire lo stesso? «La mia generazione era convinta che per trovare lavoro l’unica soluzione fosse lasciare l’isola. E anche la mia esperienza va in quella direzione. Oggi non la penso più così. Anche in Sicilia può nascere qualcosa di buono. Non c’è più la cappa che soggiogava Palermo e che impediva di alzare la saracinesca di un negozio perché due minuti dopo avevi già alla porta quelli che ti chiedevano il pizzo. Qualcosa sta cambiando. Non ci sono grandi prospettive, è vero, ma negli ultimi anni si è innescato un meccanismo di sviluppo concreto che fa leva sul turismo. Finalmente si è capito che una delle più grandi risorse DOSSIER | SICILIA 2008
di questa regione è il suo territorio». Crisi economica, mancanza di sbocchi per i giovani, abusivismo edilizio, mafia. Della Sicilia in Tv si vede sempre e soltanto un’immagine negativa. Quella che ci sta dando lei invece è diversa. «Io credo che sia possibile dare un’immagine diversa della Sicilia perché oggi è cambiata rispetto a 17 anni fa. Palermo è stata fatta a “polpette” dalla mafia. Ma credo che oggi sia cresciuta e stia finalmente diventando una parte importante di questo Paese. È più matura e si sta finalmente liberando di tutti i pregiudizi che in passato le hanno impedito di entrare a pieno diritto nel mondo dell’economia». Ma lei pensa mai di tornare a vivere nell’isola? «Ci vado spesso, ma non tornerei a viverci perché avrei la sensazione di fare un passo indietro. La vita però è come una ruota, sono partito da lì e mi piacerebbe tornare lì un giorno quando avrò finito di fare le cose che devo fare. Tornarci da “osservatore distante”. Essere fuori mi permette di guardare il luogo da cui proven-
go con occhi diversi. E anche con una certa nostalgia. E quando torno, è bello riscoprire le cose e vedere come sono cambiate. In positivo». Dove si vede tra dieci anni? «Da nessuna parte. Francamente non so rispondere a questa domanda. In 17 anni la mia vita ha preso percorsi inaspettati rispetto a quelli che avevo immaginato da ragazzo. L’unica cosa che mi auguro è di essere sereno e, quando la vita e il lavoro me lo permetteranno, tornare nella mia terra». E quale Sicilia vorrebbe vedere tra 10 anni? «Vorrei una Sicilia che non abbia nulla da invidiare alle altre regioni italiane, dove la gente possa lavorare senza il terrore di guardarsi negli occhi per paura di scorgere nello sguardo di un amico o di un vicino la preoccupazione per qualcosa che non si poteva raccontare. Questo è il mio sogno. Immagino una terra libera dal punto di vista economico, libera dalla morsa della mafia, libera di esprimersi e accogliere il mondo senza paura di essere additata come esempio negativo».
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ASPETTANDO UNA GIUSTIZIA GIUSTA Superare la legislazione sui pentiti. E ogni normativa nata sull’onda emotiva di eventi e contingenze storiche. Perché la civiltà di un Paese si misura dalle sue leggi. Che mai, in democrazia, devono mettere a rischio libertà e garanzie individuali. Questi sono i valori per cui si batte l’avvocato Giuseppe Lipera MARILENA SPATARO
entitismo e collaboratori di giustizia. Uno strumento legale sfruttato a fondo dalla magistratura nelle indagini per combattere il terrorismo e la criminalità organizzata. E su cui fin dal tempo della sua adozione il dibattito si è fatto acceso. Contrapponendo, in un serrato confronto di idee e, a volte di reciproche accuse, i “garantisti” ai “giustizialisti”, due correnti di opinione trasversali agli schieramenti politici tradizionali. E nella zona grigia una folta schiera di avvocati che ogni giorno nei palazzi di giustizia si affanna per trovare soluzioni concrete a una serie di storture processuali e giudiziarie generate nella prassi quotidiana da questa legislazione. E della cui degenerazione il caso più eclatante è stato quello di Enzo Tortora, famoso showman televisivo che restò vittima di un errore giudiziario in seguito alle accuse di un pentito appartenente alla camorra che lo accusò di spaccio di droga. Una vicenda che si concluse, dopo una
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dolorosa detenzione, con la totale assoluzione. Un altro caso controverso è quello legato a Bruno Contrada, ex capo della polizia di Palermo e poi numero tre del Sisde, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa dopo le accuse dei pentiti. Un processo, il suo, che continua a dividere l’opinione pubblica e che il prossimo ottobre sarà soggetto a una revisione. E sebbene ancora non s’intraveda la fine di questo lungo e complicato caso giudiziario, i legali di Contrada, convinti della sua innocenza, vanno avanti decisi per ottenerne «il trionfo della verità». Come spiega Giuseppe Lipera, noto penalista catanese e difensore dell’ex ufficiale del Sisde. Che indica, attraverso una lucida disamina di questo caso, le strategie necessarie per uscire dall’impasse di una giustizia sempre meno “giusta”. Quali sono gli aspetti più problematici della legge sui pentiti? «Secondo me bisognerebbe tornare al passato, a quando era il mare-
sciallo dei Carabinieri o il commissario di Polizia ad avere un rapporto “pregiudiziale” con il confidente il quale, in cambio di qualche “favore”, forniva delle notizie criminis, che successivamente, attraverso un lavoro di investigazione, venivano elevate prima a carico d’indizio e successivamente di prova. Allora si gridava allo scandalo sebbene si trattasse di un’attività d’intelligence. Adesso che quell’attività, con la legge sui pentiti, si è istituzionalizzata e che a svolgerla sono i Pm, tutto viene visto come regolare. Ma in realtà non lo è. Non sono pregiudizievolmente contro i pentiti, ma contro l’utilizzo della dichiarazione accusatoria che proviene da un ex criminale reo confesso come prova acquisita senza la necessaria attività di riscontro. Purtroppo in Italia, per facilitare tali attività, spesso si cade in questo errore. Anche rispetto alle intercettazioni telefoniche, su cui c’è un acceso dibattito in corso, la penso allo stesso modo. Che l’intercettazione telefonica dia
L’OPINIONE
FORMAZIONE Giuseppe Lipera, 53 anni, è nato a Catania dove da oltre 30 anni esercita la professione d’avvocato. Formatosi alla scuola del pensiero libero di Mauro Mellini e sulle letture di Pietro Calamandrei, si è battuto fin da giovane per una “giustizia giusta”
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L’OPINIONE Giuseppe Lipera
«CREDO CHE IL SACRIFICIO DI ENZO TORTORA SIA SERVITO AL REFERENDUM SULLA GIUSTIZIA QUANDO IL 90% DEGLI ITALIANI VOTÒ PER LA RESPONSABILITÀ DEL GIUDICE»
uno spunto investigativo è assolutamente legittimo, ma considerarla come una prova di responsabilità diventa pericoloso per la libertà dei cittadini. Basta una telefonata interpretata male per rischiare l’arresto di una persona. Della quale, magari dopo anni e anni, si stabilisce l’innocenza. Queste leggi in sé non sono sbagliate, ma lo è l’uso spregiudicato che la magistratura fa dell’acquisizione della prova». Quello di Enzo Tortora è sicuramente un clamoroso caso di errore giudiziario. Vale lo stesso per Bruno Contrada? «Sono entrambi errori giudiziari eclatanti perché hanno riguardato personaggi famosi, ed è opportuno che servano da monito. Credo che il sacrificio di Tortora sia servito al referendum sulla giustizia. Il 90% degli italiani votò per la responsabilità del giudice. In merito è stata DOSSIER | SICILIA 2008
promulgata una leggina solo per accontentare l’opinione pubblica, ma che nei fatti è rimasta assolutamente inattuata. Mai sentito di un magistrato condannato. Il caso Contrada farà storia. E la sua peculiarità non sta solo in una sentenza di primo grado di condanna e di una di secondo grado di assoluzione, il che significa che per tutta la vita il ragionevole dubbio dell’innocenza rimane. Se ne esaminiamo l’imputazione, infatti, ci accorgiamo che per accusare Bruno Contrada si combinano due norme del codice penale che non sono nate per essere combinate, il 110 per il concorso esterno e il 416 bis per l’associazione a delinquere di stampo mafioso. Si tratta di un’aberrazione giuridica, un vero pasticcio». È possibile che l’ex numero tre del Sisde sia rimasto vittima un
complotto? «Non credo a questa ipotesi. I fatti per i quali Contrada venne processato risalgono a prima che diventasse dirigente del Sisde, al periodo in cui era capo della squadra mobile di Palermo. Può invece accadere che un’indagine nasca o per una telefonata interpretata male, o per uno scritto anonimo. Poi però tutto prende una certa piega perché si incontra un inquirente che la pensa in un determinato modo e non si accorge di essere di fronte a una bufala, a una polpetta avvelenata. Magari altri magistrati avrebbero percorso una strada diversa». Contrada dal carcere è recentemente passato agli arresti domiciliari. Pensa che si riuscirà a dimostrare anche la sua innocenza? «Io l’ho conosciuto soltanto sei mesi fa, e avendo letto gli atti processuali mi sono accorto che in questo
L’OPINIONE
Impegno civile e carriera Nato a Catania nel 1955, e qui laureatosi in giovanissima età, l’avvocato Giuseppe Lipera è balzato agli onori della cronaca in varie occasioni. A renderlo famoso, innanzitutto, una serie di “ provocatorie”’ iniziative pubbliche organizzate dall’associazione “ Avvocatura e Progresso” da lui fondata con alcuni giovani colleghi nella sua città. Vari i personaggi del mondo della cultura e del pensiero libero che a turno vi hanno aderito, partecipando a pubblici dibattiti sulla “giustizia giusta”. Indimenticabile l’incontro del 1985 tenutosi a Catania e al quale, tra gli altri, prese parte anche Enzo Tortora, in quel momento europarlamentare ma ancora reduce del terribile errore giudiziario che lo tenne, innocente, in galera per parecchio tempo, prima della totale assoluzione. Ma la principale attività dell’avvocato Lipera che lo ha reso altrettanto famoso tra l’opinione pubblica, è quella di penalista di successo. Sue la difesa in alcuni dei casi giudiziari più discussi degli ultimi anni. Uno per tutti: il processo all’ex numero tre del Sisde Bruno Contrada. Per lui, ormai anziano e malato, l’avvocato Lipera, dopo una lunga battaglia, di recente, è riuscito a ottenere gli arresti domiciliari. Ma, non per questo rinuncia a puntare all’assoluzione. E come nel suo stile non demorde, annunciando che continuerà la sua lotta per ottenerla a tutti i costi e per rendere giustizia al suo assistito, ma anche, in nome «del trionfo della verità».
caso giudiziario qualcosa non funzionava bene se sono servite 18 udienze per fare una requisitoria. Sono in tribunale dalla mattina alla sera da oltre 30 anni e non posso non notarlo. Avere ottenuto la detenzione domiciliare è un contentino, ma per Contrada, un sessantasettenne ormai stanco e malato, questo significa almeno poter morire in un luogo a lui familiare. Per arrivare alla sua assoluzione faremo di tutto, ma temo che il tempo ci sarà tiranno». Parlando di sistema giudiziario, cosa pensa della proposta sulla separazione delle carriere? «Una volta le indagini le svolgevano i carabinieri e i commissari di pubblica sicurezza, adesso le svolgono direttamente i pubblici ministeri. Oggi esiste un fenomeno che io chiamo “parcellizzazione delle responsabilità”. Il Pm fa la richiesta di ordinanza di custodia cautelare sapendo già che l’esaminerà il Gip. Secondo i dati statistici queste richieste vengono fuori con estrema facilità, di contro il Gip si fida della valutazione del Pm. Mentre nelle cause civili in cui come controparte c’è l’avvocatura dello Stato il giudice è super partes, nel processo penale questo non accade quasi mai. Ritengo che per risolvere il
problema la soluzione non stia tanto nella separazione delle cariche, ma nel modo di reclutare i magistrati. Chi giudica deve essere, infatti, una persona dotata di equilibrio. In Inghilterra, nazione unanimemente considerata patria del diritto, questo problema è stato risolto ponendo, come requisiti minimi per accedere alla magistratura, il superamento del quarantesimo anno d’età e l’aver svolto un’attività forense di 15 anni. Probabilmente in Italia un simile provvedimento farebbe gridare allo scandalo e sarebbe interpretato come attentato all’autonomia della magistratura». Lei si è pronunciato più volte contro il carcere duro. Cosa pensa dell’annunciato inasprimento del 41 bis? «Il 41 bis dell’ordinamento penitenziario e 416 bis del codice penale nascono in Italia sull’onda emotiva dell’omicidio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Bisogna smettere però di promulgare leggi in questi contesti. Già con la sola imputazione può scattare il 41 bis. Non si può riservare un trattamento così incivile a una persona che solo ipoteticamente ha commesso un crimine. Occorre usare tutti gli strumenti necessari per evitare che il criminale continui a ope-
rare attraverso i suoi “amici”, rispondendo non con la ferocia o la repressione, ma attraverso equipe di psicologi e assistenti sociali che assolvano al dettato costituzionale della rieducazione carceraria. Da noi il carcere è un ateneo per il crimine: se si entra ladri si esce rapinatori, se rapinatori killer, se killer capomafia. Questa è la realtà». Qual è il suo parere, invece, sul recente indulto? «In Italia per dare corda ai sanculotti e ai giustizialisti non si sono fatti indulti per circa 20 anni, mentre nel passato c’era un indultino ogni 5-6 anni e l’amnistia per i reati bagatellari. Bisognerebbe tornare a questo. L’indulto di tre anni forse è esagerato. Ma il vero scandalo è che vadano avanti processi inutili, le cui pene rientrano nell’indulto». E della tanto richiesta riforma della giustizia? «Credo che sia necessario tenere lontano i docenti universitari che nel 90% dei casi non hanno mai varcato la soglia di un palazzo di giustizia. Per una buona riforma si devono sentire i magistrati, quelli non ideologizzati e che lavorano sodo, e, attraverso l’Ordine, gli avvocati che ogni mattina sono in tribunale. In trincea». SICILIA 2008 | DOSSIER
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ECCO IL MIO AMBIENTALISMO DEL FARE La tutela ambientale non contraddice per forza lo sviluppo economico. Nelle vesti di ministro, Stefania Prestigiacomo ha avviato un percorso operativo per affrontare tutte le questioni irrisolte SARAH SAGRIPANTI
verdi in Italia sono diventati, con gli anni, un recinto politico caratterizzato dai “no”, più che dalla proposizione di un modello di sviluppo concreto e sostenibile anche economicamente. Una politica che è stata sconfitta dai fatti e dagli elettori. È il momento di voltare pagina». Stefania Prestigiacomo ci sta provando a cambiare pagina, nonostante le difficoltà. Da sempre quello del ministro dell’Ambiente è infatti un ruolo scomodo, combattuto tra le esigenze di tutela ambientale e le richieste di non frenare lo sviluppo economico del Paese. Ma la terza via esiste ed è quella, appunto, nelle parole di Prestigiacomo, di uno «sviluppo concreto e sostenibile, che coniughi difesa ambientale e vantaggio economico». È questo il principio che ha ispirato i programmi di attività del ministro, che nei primi mesi del suo dicastero si è mossa subito
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per risolvere le questioni più urgenti, affrontate con scelte concrete: l’accordo per le compensazioni ambientali in Campania, firmato a luglio scorso, il provvedimento, contro le eco-mafie e quello, approvato in agosto, per una revisione del Codice ambientale, che risponda ad esigenze di riordino, razionalizzazione e snellimento delle normative. La stessa esigenza di razionalizzazione che ha ispirato la riforma della Commissione Via-Vas. Ma nell’agenda autunnale del ministro sono segnati in rosso altri temi improrogabili: la questione energetica e la raccolta differenziata dei rifiuti. Ministro, la sua attività si ispira dichiaratamente ai temi dell’ambientalismo del fare. Che cosa significa per lei questo concetto? «È la risposta all’ambientalismo “del no”, quello per il quale la protezione della natura quasi esclude l’uomo da intere porzioni di territo-
DECISA Stefania Prestigiacomo, siracusana, è ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio
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ISTITUZIONALE A destra, il ministro al suo esordio internazionale in compagnia dei ministri dell’ambiente di Gran Bretagna, Canada, Francia, Germania, Giappone, Russia e Usa, partecipanti al G8 Ambiente tenutosi a Kobe lo scorso maggio. Nella pagina accanto, in compagnia di Daniela Santanché
rio e impedisce lo sviluppo di un concreto rapporto tra produzione di ricchezza e corretto comportamento ambientale. L’ambientalismo del fare, come lo intendo io, è la consapevolezza degli individui, degli enti, delle imprese e di tutte le parti sociali che qualsiasi intervento fatto per accrescere le capacità di sviluppo del Paese comporta dei costi in termini ambientali. Costi che vanno limitati e ripagati con tutti gli interventi necessari». È possibile coniugare la difesa dell’ambiente con il vantaggio economico? «Certamente. Quando riusciremo a far passare l’idea che riutilizzare un bene, sfruttarlo fino in fondo prima di gettarlo via e poi riciclarne le parti ancora buone è un comportamento utile, allora gli italiani si accorgeranno che dall’efficienza energetica, dalla raccolta differenziata e dal riciclaggio delle materie prime viene un guadagno concreto e un concretissimo risparmio. E ne derivano anche occasioni di occupazione e di messa in rete delle attività produttive. Solo allora potrà crescere maggiormente la sensibilità sociale verso questi temi». Quali sono le priorità che affronterà in autunno? «Riguardano soprattutto il discorso DOSSIER | SICILIA 2008
su efficienza energetica e raccolta differenziata. Stiamo prevedendo campagne di informazione e interventi legislativi concreti, che prevedano anche la defiscalizzazione di alcune attività, per aumentare i livelli del risparmio di energia e della differenziazione della raccolta degli scarti. Il complesso delle leggi e dei regolamenti in termini di ambiente è enorme, e deve fare i conti con il recepimento di un’altrettanto lunga serie di direttive europee. È bene mettere mano al Codice ambientale e semplificare, sburocratizzare, facilitare gli adempimenti laddove è possibile. Un lavoro lungo e faticoso che attende tutta la struttura amministrativa per rimodellare la macchina statale». Tra gli appuntamenti in tema ambientale si avvicina quello del 2012, data ultima per rientrare nei parametri di riduzione dei gas serra fissati dal protocollo di Kyoto. Dall’inizio del 2008 il mancato rispetto degli accordi ha portato un debito per l’Italia di oltre 4 milioni di euro al giorno. Che cosa conta di fare il governo? «Negoziazione serrata con i partner europei. Le soglie fissate in passato si sono rivelate penalizzanti per il nostro Paese e sono state frutto di un accordo politico che non teneva ade-
guatamente conto delle caratteristiche del nostro sistema produttivo. In questi anni, invece di diminuire le emissioni, le abbiamo aumentate e non poteva non essere così, vista la grande fame di energia registrata. Sta a noi guidare una migliore gestione della prospettiva di Kyoto, facendo rispettare tempi e modi di strade già segnate. Ma ci sono in vista altri accordi, ancora più impegnativi per gli Stati europei, che riguardano il 2020. Occorrerà chiarire a tutti i livelli internazionali i criteri e i livelli di partecipazione dell’Italia a questo sforzo congiunto, che deve riguardare i Paesi più “energivori” come gli Usa ma anche le economie in poderosa crescita come India e Cina. Per mettere le carte in tavola sarà fondamentale il G8 Ambiente del 2009, che si svolgerà proprio nel nostro Paese». Un altro tema dibattuto è il nucleare. Quale sarà il ruolo del ministero dell’Ambiente nel percorso dell’Italia verso il ritorno all’energia dell’atomo? «Il ministero è chiaramente impegnato nella direzione decisa dal governo. Il nostro compito sarà quello di valutare qualsiasi tipo di rischio per l’ambiente e le persone, stabilire i livelli e le procedure di sicurezza, farli rispettare inflessibilmente».
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Nucleare significa meno gas serra e meno costi in bolletta. Ma il problema più spinoso resta quello dello smaltimento delle scorie. Come sarà gestito? «Lo smaltimento delle scorie è solo la fase finale di un ciclo produttivo che deve essere rispettato dall’inizio alla fine. Peraltro il problema delle scorie è comune a molti altri Paesi e credo che sarebbe opportuno e necessario individuare soluzioni a livello internazionale». Nel quadro di una nuova politica energetica, come si potrebbe incentivare l’utilizzo di energie da fonti rinnovabili? «La via maestra è quella della defiscalizzazione, che ha già dato importanti risultati in campi come il fotovoltaico. È il modo migliore per permettere alle imprese di reinvestire utili nella ricerca, diminuire i costi, arricchire la produzione e la sistemazione di impianti di fonti rinnovabili alternative ai combustibili fossili. Questo spinge le imprese a fare sistema, i territori a credere nei progetti, i cittadini a fidarsi scongiurando la sindrome “Nimby” (not in my back yard,
«IN QUESTI ANNI ABBIAMO AUMENTATO LE EMISSIONI. STA A NOI GUIDARE UNA MIGLIORE GESTIONE DELLA PROSPETTIVA DI KYOTO»
n.d.r.), il famigerato “dappertutto, ma non nel mio giardino”». In tema di smaltimento dei rifiuti, uno dei maggiori problemi riguarda le discariche abusive di rifiuti tossici e pericolosi. Dopo l’accordo di programma strategico per le compensazioni ambientali in Campania, il governo si muoverà anche per contrastare questo fenomeno? «Il Consiglio dei ministri ha varato in agosto un disegno di legge contro le eco-mafie, che di questo traffico sono le principali responsabili. Puntiamo a bonificare i siti inquinati anche nel caso i proprietari siano irrintracciabili, come spesso accade quando i clan utilizzano aree per smaltire rifiuti tossici e nocivi. Tali terreni saranno occupati dai Comuni e bonificati dallo Stato. Sul fronte delle infrastrutture, stiamo velocizzando l’iter delle Via per la realizzazione di piattaforme per lo
smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi, già bloccate da troppo tempo». A proposito di Via, per quale motivo avete scelto di riformare la Commissione? «C’era la paralisi totale, con 159 importanti progetti bloccati, alcuni da tre, altri da sei anni. La mancanza della valutazione di impatto ambientale non ferma soltanto la produzione, anzi per quella si trova sempre lo spazio per una deroga. Ma blocca soprattutto l’innovazione, la miglioria tecnologica, il salto di qualità. Mi sembra incredibile che qualcuno si sia stracciato le vesti perché abbiamo dato una sterzata. Adesso la Commissione lavora a pieno regime. A fine luglio scorso ho firmato i primi quindici decreti per progetti che riguardano opere energetiche e di smaltimento dei rifiuti. Entro la fine dell’anno sarà fatto il resto». SICILIA 2008 | DOSSIER
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