EDITORIALE
Tuteliamo il Belpaese col buon turismo di Michela Vittoria Brambilla Ministro del Turismo
e città d’arte e le coste italiane rappresentano i nostri settori di eccellenza. Ma è opportuno programmare meglio, facendo leva su più adeguate sinergie, il sistema d’offerta in modo che i nostri musei possano praticare una politica di prezzi che vada maggiormente incontro alle esigenze dei giovani, come degli anziani. Ad esempio, penso che sarebbe utile, come si fa sulle nostre montagne con lo skipass, ideare una “card” che consentisse al turista che soggiorna in una determinata città di visitare un gran numero di musei e di aree culturali a prezzi ridotti. E devo dire che il nostro ministro per i Beni culturali, Sandro Bondi, sta già assumendo importanti iniziative. Nel 2008 si è riscontrata una flessione di presenze, ma non certo maggiore di quella che hanno avuto gli altri Paesi europei. È chiaro, però, che occorre adottare terapie d’urto alle quali, inOccorre una più efficace sieme con le Regioni e le amprogrammazione del ministrazioni locali, stiamo lavorando. Gli obiettivi sistema d’offerta già sono diversi. Una promoturistica ed è importante zione più aggressiva e sempre che Stato e Regioni di più ancorata ad un sistema abbiano cominciato ad d’offerta che, per qualità e operare in stretto prezzi, sia il più possibile vanpoi una maggiore coordinamento tra loro taggioso; attenzione al settore crocieristico, l’unico che oggi non sembra risentire della crisi; in-
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fine pressanti interventi sul sistema bancario perché, in una fase di crisi come quella che oggi stiamo vivendo, non faccia mancare sufficienti linee di credito alle centinaia di migliaia di piccole e medie imprese che operano in questo settore e che, anzi, costituiscono il fulcro del nostro sistema turistico. Occorre una più efficace programmazione di tutto il nostro sistema d’offerta ed è importante che, per la realizzazione di questo obiettivo, Stato e Regioni oggi abbiano cominciato ad operare in stretto coordinamento tra loro. Sia per la domanda interna che per quella estera occorre mettere mano a pacchetti integrati che diano modo al singolo turista, come a quei tour operator che gestiscono i grandi flussi, di poter valutare un tipo di offerta che, proprio perché onnicomprensiva, può rappresentare maggiori vantaggi. Il che vuol dire proporre itinerari che non solo siano particolarmente attrattivi sotto il profilo culturale e paesaggistico ma diano anche garanzie per quanto riguarda affidabilità di servizi e di reti di trasporto. Non è più possibile pensare ad un settore così ricco di risorse e di potenzialità senza gli strumenti necessari per poter affrontare un mercato che ormai sposta 900 milioni di turisti l’anno. 2009 • DOSSIER • 9
IN COPERTINA
QUELLA SERENITÀ CHE CAMBIA IL MONDO Un «semplice, umile lavoratore nella vigna del Signore». Una vigna ereditata da Giovanni Paolo II e che, in perfetta continuità con l’«amico fidato e amato», Benedetto XVI cura sin dal primo momento con testarda dedizione e premurosa cura. Non risparmia giudizi severi sul mondo e sulla Chiesa ma poi cita i fiori della gioia e dell’amicizia e ve li pone sopra. Karol il Grande ha lasciato il posto a “Benedetto il Bambino” e questo è un altro modo di essere grande di Renato Farina
Benedetto XVI
i siamo abituati a papa Ratzinger. È diventato come una presenza costante, una nota di sottofondo, dolce e candida, che non entra mai in casa nostra con passo deciso, non sfonda il muro della nostra coscienza indifferente facendo chiasso. Uno stile borghese nel senso più alto e sereno che esiste. Con una lieve vanità che ce lo fa somigliare. Quel copricapo bianco e rosso, di ermellino e seta, che era dismesso dai tempi di Giovanni XXIII, il camauro, e le scarpe rosse firmate Prada anche se lui non sa, non ha tempo di saperlo, chi sia Prada. Benedetto XVI non si è mai curato di essere troppo differente dal predecessore. Ma lo sa benissimo. Si accetta così. Tant’è che ai ragazzi africani di Luanda, in Angola, disse il 21 marzo del 2009: «Con lineamenti un po’ diversi, ma con lo stesso amore nel cuore, ecco davanti a voi l’attuale Successore di Pietro, che vi abbraccia tutti in Gesù Cristo, che è lo stesso ieri, oggi e per sempre». A papa Wojtyla non ci si abituava mai. Il Grande Polacco era un po’ come Cesare secondo la definizione che ne diede Lucano nella “Farsaglia”: «Piegò il Fato e s’impose al Destino». Giovanni Paolo II incombeva sulla scena della storia con una forza senza paragone nell’età contemporanea. Invece Ratzinger cambierà il mondo per osmosi, con la sua maniera di essere razionale e infantile nello stesso tempo. Permettete un ricordo. Piazza della Città Leonina numero 3. Avevo appreso dove abitasse dall’Annuario Pontificio. Erano i primi anni Ottanta. Imparai a fargli la posta prima delle 8 del mattino. Non c’erano motivi. Stavo in un albergo vicino e de-
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sideravo vedere il volto candido della fede nell’uomo in uno degli uomini più intelligenti del mondo. Lo salutavo, rispondeva “buonciorno”. Teneva la borsa nera con la destra e andava a passo spedito verso il suo (santo) uffizio. Cinquecento metri. Non è che osassi stargli al fianco. Facevo trenta passi con lui, poi lo guardavo allontanarsi perso nei suoi pensieri. Quando volevo capirci qualcosa, gli facevo una domandina. Rispondeva sempre. Posso dirlo: in quegli anni mi fece da maestro ambulante di teologia. Lui amava Il Sabato, soprattutto aveva una vera devozione per don Giussani, trattando bene me, era come desse una carezza a lui. Ogni tanto osavo portargli anche i saluti di Hans Urs von Balthasar, suo collega in teologia, al quale telefonavo apposta alle cinque del mattino a Basilea, per chiedergliene il permesso. Verso Balthasar, Ratzinger aveva soggezione intellettuale, verso Karol Wojtyla aveva un misto di totale amore e lieve rimprovero. Da quattro anni e passa è Papa ed è rimasto se stesso. Ci sono stati alcuni giorni in cui il vestito era troppo largo, e pensava che il suo corpo e la sua anima dovessero adattarsi a queste nuove dimensioni immense. Ma poi ha capito che era lui che lo Spirito Santo voleva, lui così com’era. Imbranato con la gente, docile, proprio «un umile operaio della vigna del Signore». Come disse la sera di aprile per la prima volta in bianche vesti, ma con la maglietta di lana nera che spuntava da sotto. Un Papa minimo. La più grande intelligenza (mi azzardo, ma so di non sbagliare) in un carattere fanciullo, in un temperamento di bambino che non è capace neanche di giocare a calcio, e si nasconde al momento in cui nel campetto del seminario si formavano
Sotto, Papa Benedetto XVI al Seminario Maggiore di Bressanone (dove ha trascorso ogni tre anni le sue vacanze) insieme al rettore don Ivo Muser. Più in basso, Renato Farina
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IN COPERTINA
le squadre per non danneggiare nessuno. Lo racconta lui stesso nell’autobiografia La mia vita: una biografia scritta per dire che era una vituccia e lui povera cosa. Ratzinger ha insegnato tre cose da teologo. La fede è bellezza, somiglia alla musica. La fede è razionale. Gesù è il culmine della bellezza e della razionalità. In lui ragione e bellezza si palesano come unità dell’essere che è una persona, lui, Gesù di Nazaret, «mio amato Signore, mio Salvatore». Nel volume scritto da pontefice proprio intitolato Gesù di Nazaret tutti i commentatori hanno elogiato che ab-
bia dichiarato di accettare di essere contraddetto. Ma come si fa? Si sente Gesù parlare, pregare, lo si vede camminare. Adesso! Per un teologo è il massimo: fare il cronista, il ritrattista, il fotografo, l’amico di uno che muore per noi, e morirgli dietro come un innamorato, come Pietro, come Papa. La razionalità nel pensatore di Monaco ha il suo culmine nel porsi la questione di Dio. La razionalità di Ratzinger è incantevole, senza fronzoli, eppure barocca. Bach e Mozart insieme. Come cardinale e prima da sacerdote, questo prete bavarese ha insegnato che tutto questo accade in
un incontro. E bisogna obbedire. Senza mai mettere tra parentesi l’intelligenza. Quello che Karol attingeva con l’intuizione della poesia, e svolgeva a cerchi concentrici, Joseph dava rigore geometrico, sistemando gli archi, consolidando le guglie del magistero petrino. Che amasse il Papa lo si vede dalle foto. Io lo intuii nel 1987, quando nel maggio lo vidi accucciarsi accanto a lui in aereo, come un bambino che si fa coccolare da suo papà. Aveva chiesto il permesso di lasciare la casa paterna, Joseph. Era diventato grande, aveva 75 anni. Aveva sistemato una casetta in Baviera, con i gatti, i libri e il pianoforte, con i fiori sul davanzale, il fiume e i boschi. Giovanni Paolo II gli ha detto: «Resti, la prego, signor cardinale». Glielo disse in tedesco. Si salutarono in tedesco, il giorno della morte di Wojtyla. Joseph ricevette il suo grazie, e qualche parola che non sappiamo. Ci sono stati due momenti in cui ho imparato da lui che cosa significa l’amore tra un padre e un figlio, ma anche l’amore tra due amici. E di che cosa vuol dire obbedienza. La prima è stata per i venticinque anni di pontificato del Papa polacco. Ratzinger era il decano del Sacro Collegio, toccava a lui il discorso di circostanza. Nella basilica di San Pietro tutto sembrava pronto per la noia di una retorica celebrativa. Invece siamo stati trasferiti sulle rive del lago di Tiberiade. Lì Gesù è risorto, ma ha il costato bucato, il cuore trafitto di un uomo ferito. Chiama Simon Pietro: «Mi ami tu?». Wojtyla udì quella domanda ogni giorno. Il suo amico più caro, in quell’ottobre del 2003, pieno di guerra, lo rassicurò con tenerezza romantica. Era in grado di testimoniare che aveva detto di sì: «Lei ha badato ai suoi fi-
Benedetto XVI
Ci sono stati due momenti in cui ho imparato da Benedetto XVI che cosa significa l’amore tra un padre e un figlio, ma anche l’amore tra due amici. E di che cosa vuol dire obbedienza
gli come una madre. Non ha offerto solo il Vangelo, ma la sua stessa vita al mondo, facendo crollare i muri dell’odio. Si è lasciato ferire dalla croce, si è lasciato consumare». In questa società dei consumi vacui, un uomo si è lasciato consumare come una bibita in lattina per dare un po’ d’acqua buona. Il Papa, dalla sua sedia semovente rispose così al suo «collaboratore e fidato amico»: «Dio, pur consapevole della mia umana fragilità, mi incoraggia a rispondere con fiducia. Io ho piena fiducia, Cristo, nella tua misericordia». Ratzinger pareva l’apostolo Giovanni mentre il Mae-
stro sudava sangue. Presentiva che poi sarebbe toccato anche a lui, il Papa gliel’aveva predetto, ma Joseph non voleva. La seconda volta è stato il giorno dei funerali di Wojtyla. Era venerdì 8 aprile 2005 e in piazza il vento biblico scompigliava il Vangelo sulla bara di quello che Ratzinger chiamò il «nostro amato Papa». Ratzinger non ne poteva più di seppellire amici. Il 24 febbraio, don Giussani nel Duomo di Milano, ora Wojtyla. Guardo gli appunti di quelle ore sotto un cielo scosceso. «Alle 13 e 47, la folla non vuole che il suo corpo vada via. Sventola il fazzoletto bianco, agita la mano a Piazza san Pietro, ma anche davanti ai maxischermi di Santa Maria Maggiore e dovunque. Piange e applaude. Non crede sia morto davvero, ma è morto davvero. Salvo un’ipotesi che offro qui: e che cioè Wojtyla abbia detto la verità. E che la morte sia un transito “di vita in vita”. Ma non è così semplice da sopportare senza confondersi, è una lacerazione tremenda. Vorrei chiedere al cardinale Joseph Ratzinger: lo so che sei certo, lo hai detto. “Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice”. Hai proprio usato questa formula, tu sei sicuro della tua speranza. Una cosa fisica, carnale. Hai mosso il dito verso il cielo. Ma allora perché hai gli occhi rossi, perché piangi?». Wojtyla gliel’aveva predetto, aveva consigliato i porporati a lui più vicini, di votare Ratzinger. Lui non voleva. Ha fatto di tutto per sconsigliare i cardinali e Dio con essi. Aveva contro tutti i giornali. Le voci lo davano in discesa, ed erano state abilmente sparse. Posso dirlo con certezza: la Comunità di Sant’Egidio aveva dispiegato tutta la sua famosa 2009 • DOSSIER • 15
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potenza diplomatica per spingere Dionigi Tettamanzi, cardinale di Milano. Secondo me, il porporato bavarese si era accordato con loro per evitarsi questo incarico che lui riteneva inadeguato a se stesso. Ero in San Pietro al momento della Missa pro eligendo Pontifice, ore 10 di lunedì 18
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aprile. È il rito che precede l’ingresso dei cardinali in Conclave. L’omelia toccò a Ratzinger. Fu durissima, spietata. Un modo per distogliere da se stesso i voti dei timidi e di quanti volessero un Papa tenero con il mondo, abbordabile per i mediatori di teologie e di dialoghi interreligiosi. Disse
che il Signore è buono, ma non è uno zio tonto. «La misericordia di Dio non è una grazia a buon mercato». Ancora: «La fede non segue le onde della moda». Nessuno mai aveva parlato così male della Chiesa negli ultimi decenni. L’ha descritta come una “piccola barca sbattuta”. Inesplicabilmente ha pronunciato due strane parole “amicizia” e “gioia”. Com’è possibile? Un giudizio duro sul mondo e sulla Chiesa, e poi ha posato questi fiori sulla melma. Gioia e amicizia. Ora che gli anni passano, e Benedetto XVI regna nei tumulti con serenità capisco di più. Ci crede. Ha il sorriso di un cherubino e le maniche nere di un pullover dei vecchi che hanno freddo. E questo – secondo alcuni – sarebbe il Grande Inquisitore? Lo avevano descritto così. Un uomo quadrato e gelido. Invece da quel momento e ad multos annos riempirà il mondo di musica, il Vangelo sarà pronunciato con semplicità, sì sì, no no, la parola gioia tornerà spesso insieme a un’altra: verità. Passava per un Torquemada, ma il suo linguaggio è di fidanzato: «Innamorarsi della bellezza, storia d’amore con Gesù». In un mondo dove «c’è la dittatura del relativismo… il limite del male è la misericordia». Sì, la «piccola barca è sballottata», ma «attraversate le valli oscure» sarà possibile «tornare alle origini». E l’origine è lo «sguardo di Cristo, come al giovane ricco». Lui in questi anni è stato l’operaio che viene dopo il conquistatore dei continenti. Giovanni Paolo II ha abbattuto i muri, lui ripara la vigna, cura le piante avvizzite. La perfetta continuità con l’«amico fidato e amato». Ma un altro stile. Siamo passati da Karol il Grande, a Benedetto il Bambino. Che è un altro modo di essere grande.
L’ABRUZZO POST TERREMOTO
La rinascita dopo il dramma e L’Aquila torna a volare La ricostruzione dell’Abruzzo «è il vero modello del fare». Gianni Chiodi plaude al governo e alla Protezione civile per essere stati presenti «sin dal primo momento». La strada per la rinascita è lunga. Ma il governatore ne è convinto: «La ricostruzione, se ben gestita, può portare alla ripresa» Giusi Brega
ono passati otto mesi da quella terribile notte che ha scosso le fondamenta dell’Aquila, lasciando uno scenario di desolazione, morte, dolore. Ma la gente d’Abruzzo non si è lasciata abbattere. Anzi. Ha alzato la testa. Si è rimboccata le maniche e ha dato il via all’opera di ricostruzione. «Abbiamo dimostrato innanzitutto a noi stessi – sottolinea con una punta di orgoglio il presidente della Re-
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gione Gianni Chiodi – che era possibile in pochi mesi riattivare quegli elementi di base che qualificano la vita di una comunità: case, scuole e università». Sono, infatti, queste, le vere priorità economiche del nostro territorio. L’Aquila e i comuni del cratere sono stati trasformati in un cantiere aperto per dare casa e servizi a una popolazione duramente colpita. «Adesso – continua Chiodi – possiamo finalmente dare il via anche
Gianni Chiodi, presidente della Regione e nella pagina a fianco, le prime case antisismiche costruite dopo il terremoto
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alla fase che prevede i lavori per le case classificate A, B e C e la riparazione degli edifici pubblici primari. Una fase importante per ri-conquistare luoghi e riappropriarci dei nostri ricordi». Come giudica l’operato del governo e della Protezione civile dal momento della tragedia del terremoto fino a oggi? «Governo e Protezione civile hanno dimostrato di essere all’altezza di un compito difficilissimo facendo registrare record assoluti di tempestività ed efficienza. Il governo, attraverso il grande lavoro svolto dalla Protezione civile, ha affrontato con sollecitudine l’emergenza assicurando pronta assistenza alle persone sfollate. Nella fase dell’emergenza immediata si è provveduto al soccorso e alla gestione dei primi bisogni; nell’emergenza ordinaria, invece, c’è stata la necessità di risolvere il problema abitativo in pochi mesi, prima dell’arrivo dell’inverno; ora, la terza fase è quella della ricostruzione definitiva che impegnerà governo ed enti locali negli anni a venire. Il 7 aprile scorso nessuno avrebbe creduto in tutto questo.
Gianni Chiodi
Governo e Protezione civile hanno dimostrato di essere all’altezza di un compito difficilissimo facendo registrare record assoluti di tempestività ed efficienza
Tuttavia le difficoltà di gestione in una fase così critica non sono mancate, ma lo Stato è stato presente fin dal primo minuto, non ha lasciato solo nessuno. Abbiamo lavorato tutti insieme per agevolare un percorso ancora lungo che richiede impegno, determinazione e coraggio. Dobbiamo mettere in conto ancora giorni e giorni di lavoro senza badare alla fatica e alla stanchezza dei giorni che verranno per far nascere il futuro di questa città». Qual è stata la percezione della popolazione colpita, di fronte all’azione di ricostruzione portata avanti dal governo? «La ricostruzione dell’Abruzzo è il vero modello del fare, la speranza
che rinasce per decine di migliaia di terremotati. Anche loro hanno capito che se tutto si sviluppa in maniera corale e con uno spirito di collaborazione tra le istituzioni, la strada da percorrere è più breve e meno irta di ostacoli. È stata la sinergia col go-
verno Berlusconi a rendere l’Abruzzo più forte, sia pure in un momento difficile come il post-terremoto. L’esecutivo ha mantenuto tutti gli impegni. Un segno di ripresa che ci infonde speranza e ottimismo, ma che non deve farci dimenticare che il percorso di ricostruzione post terremoto è ancora lunghissimo e che non deve farci illudere che tutto possa essere risanato nel corso di pochi mesi». All’indomani del sisma, lei ha parlato della nascita del “sistema Abruzzo”, una ricostruzione basata sull’ottimizzazione delle risorse immateriali che avete a disposizione, dunque la conoscenza, il sapere. Come state agendo in tal 2009 • DOSSIER • 23
L’ABRUZZO POST TERREMOTO senso? «Dobbiamo definire nuove strategie per intraprendere la strada di uno sviluppo economico e sociale di tutta la nostra regione. È giunto ormai il tempo di abbandonare l’emergenza e occuparci della rinascita. Una prospettiva credibile per il futuro regionale. La conoscenza ci suggerisce di investire nella scuola, sulla formazione dei nostri ragazzi. La conoscenza ci informa delle possibilità concrete che possiamo cogliere se saremo in grado di raccogliere la sfida della contemporaneità. Infine la conoscenza ci suggerisce di scommet-
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tere sui nostri giovani, che sono certo il futuro, ma sono soprattutto il nostro presente. Concordo pienamente con chi ritiene che la conoscenza rappresenti l’unico prodotto durevole capace di assicurare il benessere nel futuro scenario. La ricostruzione porterà nuove conoscenze in una nuova dimensione economica. Queste opportunità possono diventare eccellenze ed essere parte di una nuova strategia di sviluppo regionale». In che modo vi siete attivando per rilanciare il tessuto socio-economico della regione? «La fase che prevede il rilancio del
tessuto socio-economico è finalizzata innanzitutto alla ripresa delle imprese e delle attività connesse. Dobbiamo guardare alla ricostituzione del tessuto produttivo ed infrastrutturale come occasione di sviluppo dell’area. Quando anche questa fase sarà avviata potremo cominciare a guardare al futuro con maggiore serenità. La scommessa dell’Università è sostanzialmente vinta, quella che definiamo la vera rinascita della città a livello economico e culturale. Come Commissario per la ricostruzione degli edifici pubblici ho avuto modo poi di seguire da vicino il grande tema della riapertura delle scuole. Ne sono state riattivate 59. Oltre 16.800 gli studenti, tra l’Aquila e gli altri comuni colpiti dal terremoto che hanno ripreso le attività didattiche decidendo così di restare nel loro territorio. Siamo riusciti a spendere in modo efficiente oltre 130 milioni di euro per la costruzione di moduli scolastici e per la ristrutturazione e la messa in sicurezza di quelle scuole non danneggiate in modo irreparabile. Con un risultato importante per la città, che ha visto, grazie a questi interventi, rientrare in classe la totalità degli studenti. Per gestire la situazione di emergenza e di difficoltà causata dal sisma sono state previste risorse per oltre 170 milioni di euro. Sono quelle che derivano dai fondi nazionali ed europei che necessitano di una programmazione e che non trovano definizione negli schemi del bilancio della Regione. Tali risorse sono aggiuntive rispetto a quelle stanziate dal governo nazionale previste dal Decreto Abruzzo». Come immagina l’Abruzzo di domani? «La rinascita dell’Abruzzo e dell’Aquila è per noi un pensiero costante e il cuore di tutte le nostre ri-
Gianni Chiodi
flessioni. Il terremoto dell’Aquila ha inferto un colpo drammatico all’economia locale e di tutto il territorio abruzzese. L’Aquila, già prima del terremoto, aveva degli indicatori economici verso una lenta caduta ma la ricostruzione, sono sicuro, catalizzerà opportunità importanti che dobbiamo saper cogliere. Sono convinto che la ricostruzione, se ben gestita, può portare alla ripresa. Il terremoto ha accentuato la crisi, ma può essere un’occasione di rinascita per la città e per l’Abruzzo. Stiamo progettando un nuovo futuro per il capoluogo e per l’intera regione. Si tratta di intuire e cogliere una grande opportunità: costruire una direttrice di sviluppo che, a partire dall’emergenza del terremoto, impegni di nuovo crea-
tivamente tutte le risorse territoriali, economiche, sociali e culturali del territorio. Quella che ci attende, insomma, è una missione difficilissima ma con grande possibilità di successo. L’obiettivo deve essere quello di creare le condizioni per stimolare ed esaltare l’attività economica del territorio, attraendo nuove imprese ed investimenti orientati alla qualificazione dell’apparato produttivo attuale e attraverso politiche che favoriscano l’insediamento e di conseguenza, l’occupazione. Dobbiamo rimettere in moto l’economia. Gli aiuti statali, europei e internazionali, la disponibilità di imprese a investire nel territorio rappresentano delle opportunità uniche per rimettersi in piedi, tornare a volare con ali spiegate».
Dobbiamo definire nuove strategie per intraprendere la strada di uno sviluppo economico e sociale di tutta la nostra regione. È giunto ormai il tempo di abbandonare l’emergenza e occuparci della rinascita
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LAVORO/1
Contrattazione decentrata e più detassazione per aumentare i salari Illiberali e causa di divisioni sociali. Così il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, bolla le gabbie salariali. Meglio la contrattazione decentrata, che porrà il territorio al centro dell’attività sindacale Federica Gieri
uello siglato è il primo accordo interconfederale dopo 15 anni. Non potevamo perdere altro tempo, rispetto a chi non vuole mai sottoscrivere un accordo soprattutto nei momenti di crisi. È bene che in un momento come questo ci sia un nuovo modello contrattuale di natura partecipativa». Così, all’indomani della firma dell’accordo interconfederale dello scorso aprile, Raffaele Bonanni commentava la riforma degli assetti contrattuali italiani. I punti salienti dell’intesa, come noto, riguardano la durata triennale dei contratti, l’eliminazione dell’inflazione programmata per il calcolo degli aumenti salariali e l’incentivazione della contrattazione di secondo livello. Soprattutto quest’ultimo aspetto assume particolare importanza per il segretario generale della Cisl, perché «pone il territorio al centro dell’attività sindacale». Quali sono i vantaggi della contrattazione decentrata? «La contrattazione decentrata è in-
© Paolo Tre A3 / CONTRASTO
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Raffaele Bonanni, dal 2006 segretario nazionale della Cisl
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dice di dinamicità e attivismo delle parti sociali. Il nuovo sistema contrattuale cambierà struttura e funzioni del sindacato, ponendo il territorio al centro dell’attività sindacale e trasformando le federazioni nel vero motore di sviluppo delle politiche contrattuali. Il baricentro della contrattazione e delle relazioni sindacali si sposterà nelle aziende e nei territori per migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi sia nelle aree più dinamiche del Nord sia in quelle più depresse del Mezzogiorno». Tempo fa si era tornati a parlare di gabbie salariali. Si tratta di uno strumento che potrebbe avere collocazione in questo nuovo scenario della contrattazione salariale? «Non direi. Il salario non può essere definito per legge, ma è il risultato di un negoziato tra datori di lavoro e sindacato. Questo è scritto sulla Costituzione. Si deve favorire una libera contrattazione, nel privato e nel pubblico, con l’obiettivo di migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi. Solo così si eviterà un dannoso e contro-
Raffaele Bonanni
La contrattazione decentrata è uno dei punti di forza della riforma appena sottoscritta
producente spirito di divisione tra gli italiani e si permetterà ai lavoratori e alle imprese di rispondere meglio alle sfide del mercato e della competitività. Flessibilità sì, gabbie no». Le gabbie rischiano di riproporre a livello regionale le stesse difficoltà create dalla contrattazione unica? «Di sicuro renderebbero la situazione economica e sociale del Paese ancora più difficile, alimentando conflittua-
lità e malessere generale. Finirebbero con l’imporre un folle ritorno al dirigismo e allo statalismo a cui la Cisl, sempre contraria all’invasione di campo della legge, si opporrà fermamente. Siamo contrari ad ingabbiare i salari. Al contempo, ammesse le difficoltà create dalla contrattazione unica, stiamo incentivando la diffusione dei contratti di secondo livello, puntando su produttività e modello 2009 • DOSSIER • 37
LAVORO/1
Si deve favorire una libera contrattazione, nel privato e nel pubblico, con l’obiettivo di migliorare la qualità dei prodotti e dei servizi. Solo così si eviterà un dannoso e contro producente spirito di divisione tra gli italiani
partecipativo. Con coerenza, ricono-
sciamo i problemi che creerebbero le gabbie e i limiti del contratto unico. Analogamente ci opponiamo alle prime e cerchiamo di rimediare agli errori del secondo, puntando maggiormente sulla contrattazione decentrata». Incentivare la contrattazione decentrata potrebbe essere la strada per aumentare i salari? «La strada per aumentare i salari è quella di favorire la contrattazione aziendale attraverso una maggiore detassazione. Le gabbie salariali non hanno senso. La contrattazione decentrata, invece, è reale, è uno dei punti di forza della riforma appena sottoscritta. È il risultato di un lungo lavoro in cui tutti abbiamo creduto e che ora ci vede fiduciosi. È su questo che dobbiamo ragionare e attivarci al meglio, mettendo da parte proposte astratte». In che modo potrebbero essere risolte le disparità tra Nord e Sud? «La Banca d’Italia ha dimostrato che,
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negli ultimi anni, il costo della vita e i prezzi sono aumentati più al Sud che al Nord. E poi c’è da considerare i costi dei servizi che nel Sud sono scadenti. Ecco perché chiediamo un grande patto unitario e nazionale tra tutti i soggetti istituzionali e politici, di maggioranza e d’opposizione, insieme al contributo responsabile delle parti sociali. La Cisl si è impegnata per superare il divario Nord-Sud, sostenendo la qualificazione della spesa e l’adozione di misure di vantaggio per la crescita economica e sociale nel
Meridione attraverso la politica di concertazione tra le parti sociali, le istituzioni locali e gli enti finanziari. Inoltre, ci stiamo attivando affinché si arrivi ad offrire alle regioni meridionali un piano di politica industriale che produca sviluppo attraverso fiscalità di vantaggio, incentivi alle imprese, creazione di reti infrastrutturali, ricerca e innovazione, scuola e formazione, politiche per il lavoro, energia, buon utilizzo dei fondi europei e nazionali destinati alle aree sottosviluppate».
OBIETTIVO MARE NOSTRUM
Il rilancio dell’Europa passa dal Mediterraneo Il Mediterraneo come luogo dell’anima e del commercio. Nuovi progetti in cui la logistica avrà un ruolo sempre più strategico. Giancarlo Elia Valori sottolinea la funzione fondamentale del Mare Nostrum, naturale porta d’accesso verso l’Atlantico Giusi Brega
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ell’area mediterranea si sta vivendo una stagione di rinnovato interesse a seguito della riacquistata centralità del Mare Nostrum nello scenario del commercio internazionale. Crescono i progetti e le iniziative di carattere politico, culturale, imprenditoriale e associativo per la gestione dei traffici marittimi connessi al consolidamento di scambi o a supporto di reciproci interessi. Quaranta miliardi di euro è la stima calcolata per la realizzazione di ferrovie ad Alta velocità, autostrade e interporti. Sono i lavori in corso d’opera lungo la sponda Sud del Mediterraneo, quelli che accresceranno la logistica rendendo più funzionali ed efficienti gli scambi commerciali, e quindi l’integrazione con i paesi della sponda Nord. «Sono convinto che l’area mediterranea possa diventare una regione pacificata e coesa con obiettivi comuni, in cui europei, arabi e israeliani possano vivere e prosperare insieme» sottolinea Giancarlo Elia Valori, presidente di Sviluppo Lazio che, in questa prospettiva, è sicuro che «gli scambi commerciali e finanziari possano giocare un ruolo niente affatto marginale e superfluo». Nel quadro del commercio internazionale, perché Roma, ma ancor più l’Italia, devono considerarsi centri nevralgici? «Per la prima volta dalla scoperta dell’America, il Mediterraneo è ritornato ad essere non solo lo snodo fondamentale dei flussi tra l’Europa e il Far East ma la naturale “porta d’accesso” del Sud verso l’Atlantico. Inoltre, il suo vasto patrimonio di storie e confluenze, di trasformazioni e cambiamenti, di culture e tradizioni non si è mai intaccato nel tempo. Esso appartiene soprattutto all’Italia, regina indiscussa del Mare Nostrum, con la sua geografia bifronte tra Tirreno e Adria-
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Giancarlo Elia Valori
tico, tra Europa e Oriente. E, ancor più, con il suo asse longitudinale che collega le Alpi Carniche a Lampedusa, l’Europa all’Africa. Sono collegamenti astratti che mettono in chiara evidenza la posizione strategico-geografica del nostro Paese. E, in particolare, la centralità geografica di Roma e del suo hinterland. La cui area vasta è situata al centro di una immaginaria croce tracciata da Nord a Sud, da Est a Ovest del Mediterraneo. Questa macrodinamica, che vedo in prospettiva futura sul piano nazionale, ritaglia un ruolo importante e speciale per l’inserimento di Roma nelle grandi reti di comunicazione. Un nuovo ruolo, dunque, si profila per Roma come crocevia tra Oriente e Occidente. La città eterna si candida ad essere polo attrattivo internazionale, punto di raccordo tra Nord e Sud, “regione” di riferimento strategico per tutta l’area euromediterranea». Quali opportunità per l’Italia sottendono questo progetto?
In apertura, il presidente di Sviluppo Lazio Giancarlo Elia Valori. Sopra il porto di Ancona al tramonto
«Tale idea permetterebbe al sistema Italia di trasformarsi, dalla Capitale verso il Sud, in “regione” di forti cooperazioni marittime internazionali con la possibilità di spingere al potenziamento dei porti e delle città rivierasche e di facilitare la realizzazione di una rete regionale euromediterranea di infrastrutture, fondamentale per dare forza e dimensione a una fase nuova di competitività basata sia sulla capacità di attrazione e sviluppo, sia su progetti di qualità elevata. Il vasto territorio romano è quindi il punto d’incontro naturale tra l’Europa continentale e il Mediterraneo, nonché il ponte tra Est e Ovest del mondo. In tal senso va letta anche la dimensione cosmopolita di Roma. Una città che considero la vera e unica capitale dell’Unione del Mediterraneo: un ruolo che essa può legittimamente rivendicare non solo per la posizione geografica del suo territorio ma anche per la straordinaria storia millenaria che ne ha fatto l’indiscusso faro del mondo antico per secoli e se- 2009 • DOSSIER • 51
OBIETTIVO MARE NOSTRUM
coli crocevia del diritto, della cultura, dell’arte e
Sopra, Giancarlo Elia Valori con Simon Peres e, più in alto, tracciato del Corridoio 5
dell’economia. La Roma antica era il centro della civiltà che irradiava ben oltre i già ampi confini del Mediterraneo. E nel momento di massimo fulgore di Roma tutti i popoli del grande bacino hanno vissuto un periodo di progresso, in un clima di pace e tolleranza. Questo è il grande patrimonio di valori di quella civiltà che oggi dobbiamo recuperare. L’esigenza di riconquistare questi valori appare davvero impellente se guardiamo soprattutto al Nord Africa, che investe 40 miliardi per potenziare la logistica verso il Sud dell’Europa, con ferrovie, autostrade e ammodernamento dei porti». Questo recuperato ruolo dell’Italia nella dimensione mediterranea quali implicazioni avrà? «Il ruolo dell’Italia ha aperto una grande prospettiva di rilancio, ma esige adeguate politiche condivise su cui dovrà svilupparsi un confronto
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concertativo aperto a tutti gli attori territoriali. La mia proposta progettuale prevede l’ammodernamento del porto di Civitavecchia, il cui hub è ritenuto un approdo più vantaggioso rispetto ad altri hub del Nord Europa, perché consente alle merci provenienti dall’Asia di guadagnare 5-6 giorni di navigazione. Oggi, tra l’altro, Civitavecchia è uno degli esempi più concreti di lungimiranti iniziative di grande progettualità e di ammodernamento destinate ad ottimizzare le filiere logistiche e trasportistiche per il rilancio nelle cooperazioni marittime nazionali e internazionali, attraverso un forte coordinamento strategico degli organismi politici centrali e locali, responsabili della programmazione degli interventi, nonché di qualificate forze economico-finanziarie e di strutture tecniche chiamate a realizzarli. In tale quadro assume grande rilevanza strategica una mia proposta relativa alla realizzazione della diagonale mediterranea Civitavecchia-Tangeri. La cui iniziativa, opportunamente raccordata nel Nord Italia al Corridoio 5, rappresenterebbe un valido esempio di autostrada del mare transnazionale e, con il suo prolungamento fino al Marocco, consentirebbe l’inserimento dell’area africana nord-occidentale all’interno di un collegamento stabile con l’Europa occidentale e orientale. Per completare e arricchire quella funzione di centralità che oggi il nostro Paese sta assumendo nell’ambito di una politica integrata dei trasporti e della logistica euromediterranea, a mio avviso è necessario anche il rilancio di altri due progetti: la ferrovia dei due mari e la trasversale stradale Civitavecchia-Ancona per il collegamento di questi due terminali marittimi e logistici, che consentirebbero inoltre la connessione naturale al Corridoio 8 e al Mar Nero, quale via d’accesso per l’Europa Orientale, la Russia, la Turchia e fino al cuore dell’Eurasia. Ritorna quindi di grande attualità anche la logica della “Via della seta” e dei collegamenti con l’estremo Oriente, già delineata nel passato. Se si volesse utilizzare uno slogan del tutto nuovo, si dovrebbe dire che la nuova “Via della seta” raggiunge il Mediterraneo attraverso i porti di Civitavecchia e Ancona».
INNOVARE PER COMPETERE
L’opportunità dietro la crisi L La crisi economica «ha rivelato le grandi capacità imprenditoriali di molte nostre aziende». Ne è convinto Francesco Casoli imprenditore marchigiano e senatore del Pdl. Ora gli imprenditori devono imparare a ragionare in termini globali. Perché «non si può restare piccoli se si vuole competere»
Giusi Brega
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a congiuntura economica ha amplificato una difficoltà strutturale già esistente nel nostro sistema, ma contemporaneamente ha rafforzato la posizione di chi già da qualche tempo si era organizzato per essere competitivo in un mercato ormai globalizzato. La crisi ha rivelato la grande capacità imprenditoriale di buona parte della nostra classe economica. Tutte le aziende hanno sofferto, alcune non ce l’hanno fatta, ma molte sono riuscite a resistere alle difficoltà, meglio ancora quelle che non hanno rinunciato, anche con grandi sacrifici, ad investire. «È questo l’atteggiamento giusto da assumere» sottolinea deciso Francesco Casoli, imprenditore marchigiano e parlamentare. Per misurarsi nei mercati del mondo bisogna rinnovarsi continuamente, «perché tutto è accelerato» e i parametri di riferimento cambiano costantemente. «Certo, la di-
A destra, il senatore Francesco Casoli, presidente del gruppo industriale Elica, prima azienda italiana nella classifica Best Workplaces 2010
Francesco Casoli
mensione fa la differenza e la crisi ha confermato, una volta ancora, che non si può restare piccoli, se si vuole competere». Ci sono strumenti «messi a disposizione dal governo che favoriscono alleanze e aggregazioni e molto sta agli stessi piccoli imprenditori superare le resistenze dovute ad una tendenza all’individualismo tipica della piccola imprenditoria». Outsourcing, internazionalizzazione, investimenti in nuove tecnologie. Che significato hanno assunto dopo la crisi? «Hanno rafforzato quello che avevano già da prima. Ritorna il concetto già noto: occorre ragionare in termini globali, che non consentono di sottrarsi a certi processi. Possiamo dire, però, che la crisi ha sicuramente accresciuto la necessità di battersi per l’uguaglianza delle regole, altrimenti la sfida diventa impari, qualsiasi analisi perde di valore». All’indomani della congiuntura economica, le dinamiche dei mercati sono mutate? «Le dinamiche non sono cambiate, c’è stato un rallentamento nella crescita che ha coinvolto tutti, anche i Paesi che avevano registrato negli ultimi anni uno sviluppo esponenziale, ma in questi una ripresa, anche lenta, sarà comunque molto superiore a quella dei Paesi occidentali. Per questo i Paesi dell’Est asiatico continuano ad essere un’opportunità da cogliere».
Un sistema nuovo richiede regole nuove, se non si vuole rischiare di irrigidire il mercato a danno della crescita economica e quindi della stessa occupazione
101,4 RIPRESA
L’indice Ocse relativo al mese di novembre per l’Italia. Si rafforzano dunque i segnali della ripresa economica a livello globale e il nostro Paese si conferma in cima alla classifica
54%
INVESTIMENTI L’aumento degli investimenti è una priorità per il 54% dei dirigenti italiani, il 30% manterrà gli attuali livelli di spesa, l’11% li ridurrà, il 4% li taglierà e solo un 2% non sa ancora come lavorerà in futuro
Quali sono i provvedimenti che auspica, da imprenditore, da parte del governo al fine di riagganciare la ripresa economica? «Il governo ha già fatto molto per attutire gli effetti della grave crisi mondiale. Importantissima la politica messa in atto sul piano energetico per la riduzione dei costi, la tutela del made in Italy, la facilitazione alle aggregazioni e alle alleanze di cui ho fatto cenno sopra, il pagamento dell’Iva all’incasso, sono solo alcune delle misure adottate e di grandissima utilità. Dal momento che abbiamo tutti capito l’importanza di fare sistema per competere, ciò che auspico come imprenditore è la riduzione dei tempi e dei costi che derivano dalla burocrazia, che sia statale o degli enti locali, nel rapporto con le imprese». C’è chi sostiene che la crisi abbia insegnato che l’economia va guidata secondo principi di crescita non semplicemente materiale ma anche umana, intellettuale ed etica. In che modo è possibile rimettere il valore del lavoro al centro dell’attenzione anche delle linee politiche dei partiti? «Credo che questo sia un processo naturale, perché la politica è fatta dagli uomini per gli uomini e qualsiasi decisione politica non può prescindere dalla centralità del lavoro nella vita delle persone e nella società. Che sia così lo dimostrano anche i tanti provvedimenti, presi ora come in passato, che hanno come obiettivo le politiche del lavoro. Ogni decisione politica sarà tanto più efficace quanto più sarà condivisa, superando pregiudizi e strumentalizzazioni ideologiche. Dico questo riferendomi alle resistenze di certi sindacati o di certi partiti che vorrebbero adeguare le politiche del lavoro ad un sistema che non è più lo stesso di alcuni anni fa. Un sistema nuovo richiede regole nuove, se non si vuole rischiare di irrigidire il mercato a danno della crescita economica e quindi della stessa occupazione». 2009 • DOSSIER • 59
INNOVARE PER COMPETERE
La carta vince la sfida con il digitale La carta nonostante l’avvento del digitale, continua a ricoprire un ruolo di primo piano nella società. Ma occorre «rinnovare continuamente i prodotti per tenersi al passo con i tempi» sottolinea Alessandro Fedrigoni delle Cartiere Miliani Fabriano Nike Giurlani
e Cartiere Miliani Fabriano, da sempre, sanno unire la tradizione alle esigenze del mercato. Dal 2002 è entrata a far parte del gruppo Fedrigoni di Verona, il secondo produttore in Europa nel campo delle carte ad alto valore aggiunto. Al centro dell’attività produttiva del gruppo Fedrigoni ci sono sicuramente le tematiche ambientali. «In ogni fase della produzione, utilizziamo in modo sostenibile le risorse naturali idriche, forestali ed energetiche e realizziamo prodotti che assicurino una prestazione ecologica per il loro intero ciclo di utilizzo» sottolinea Alessandro Fedrigoni, presidente del Gruppo. La carta ha una tradizione millenaria e a lungo è stata uno dei veicoli più importanti della trasmissione culturale. Nell’era digitale, quale ruolo riveste questo prezioso strumento? «La carta ha rappresentato per secoli l’unico veicolo di trasmissione del sapere, ancora oggi e nel prevedibile futuro, la carta mantiene
L
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Dida In alto alcuni scorci degli stabilimenti Cartiere Miliani Fabriano. A destra, Alessandro Fedrigoni, presidente di Fedrigoni Group
una funzione predominante nel campo della cultura e dell’informazione, ma il ruolo non è più esclusivo perché da diversi anni si trova a competere con media istantanei e immateriali. Al momento però il digitale si è semplicemente affiancato all’uso della carta». Quanto conta nel vostro settore l’innovazione del prodotto? «Rinnovare continuamente i nostri prodotti per tenersi al passo con i tempi è fondamentale. L’esperienza secolare del Gruppo ci ha permesso di seguire l'evoluzione delle tecni-
Cartiere di Fabriano
che di stampa e di riproduzione, dei vari usi industriali, dei nuovi gusti e dei sempre più sofisticati sistemi di sicurezza. Inoltre siamo sempre alla ricerca di finiture innovative ed esteticamente accattivanti. L’offerta è sempre stata arricchita e aggiornata con caratteristiche tecniche, colori, trattamenti superficiali e finissaggi innovativi». Il rispetto dell’ambiente è sempre più importante, soprattutto nella produzione cartaria. Come si concilia, oggi, la produzione di carta e il rispetto dell’ambiente? «Il nostro Gruppo è impegnato a favorire tutte le attività utili per la sicurezza e per la tutela dell’ambiente in ogni fase della produzione, utilizzando in modo sostenibile le risorse naturali idriche, forestali ed energetiche e realizzando prodotti che assicurino una prestazione ecologica per il loro intero ciclo di utilizzo. L’acqua, elemento primario per l’industria della carta, è un bene prezioso verso il quale il gruppo si impegna costantemente affinché il controllo e l’utilizzo siano sempre improntati al risparmio e alla tutela. In particolare, oltre il 70% dei nostri prodotti ha ottenuto la certificazione di Chain of Custody FSC (Forest Stewardship Council) e sono numerosi quelli con il selettivo marchio Ecolabel».
30% ROTAIA
La percentuale del trasporto delle cellulose dirottato dalla strada alla ferrovia, con una diminuzione dell’emissione di Co2 di quasi 2000 tonnellate l’anno
70% ECOLABEL
Dei prodotti ha ottenuto la certificazione di Chain of Custody Fsc (Forest Stewardship Council) e sono numerosi quelli con il selettivo marchio Ecolabel
Cosa fa il vostro gruppo in concreto per rispettare dell’ambiente? «Il settore cartario è un forte consumatore di energia e in Italia è penalizzato da costi superiori alla media europea. Non è quindi solo per motivi ambientali, ma anche per concrete ragioni economiche che siamo impegnati a ridurre e ottimizzare i consumi energetici. I nostri impianti di cogenerazione, alimentati a gas metano, consentono l’autoproduzione di energia elettrica e termica in forma associata e riducono la quantità di combustibile impiegato, diminuendo anche e in modo drastico l’emissione di ceneri e di polveri sottili. In quasi tutti gli stabilimenti del Gruppo produciamo e utilizziamo l’energia idroelettrica. Inoltre selezioniamo attentamente i nostri fornitori solo tra chi garantisce l’attuazione di politiche ambientali responsabili ed è stato possibile attuare una politica di riutilizzo degli scarti tecnici che si producono lungo la filiera interna di lavorazione. Un’ultima, ma altrettanto importante azione di miglioramento dell’impatto ambientale, è stata quella di dirottare il trasporto delle cellulose dalla strada alla ferrovia per oltre il 30%, con una diminuzione dell’emissione di Co2 di quasi 2000 tonnellate all’anno». Avete rilevato le Cartiere Miliani Fabriano conservando la produzione a Verona. Quale le principali differenze tra le due cartiere? «La tecnologia di base per la produzione della carta è, più o meno la stessa in tutto il settore, ma le singole macchine, il know how e le specializzazioni produttive sono diversificate. La produzione di Fedrigoni Cartiere, si rivolge soprattutto all’impiego grafico, al packaging e all’editoria. Gli stabilimenti delle Cartiere Miliani Fabriano sono specializzati nelle carte per usi ufficio, cartamoneta, cartevalori, carte per disegno scolastico e per belle arti. Naturalmente la diversa specializzazione coinvolge non solo l’aspetto produttivo, ma anche quello commerciale e la rete distributiva. Le due realtà sono complementari e ben diversificate e ciò ha reso più interessante l’acquisizione». 2009 • DOSSIER • 61
INNOVARE PER COMPETERE
onosciuta in tutto il mondo, l’azienda Grivel è sinonimo d’innovazione e di materiali all’avanguardia. E se da quasi duecento anni continua a essere un punto di riferimento per gli amanti dell’alpinismo, dell’arrampicata e dell’outdoor un motivo ci sarà. Tutti i prodotti di sicurezza, piccozze, ramponi, chiodi, caschi, sono rigorosamente made in Italy e l’azienda esporta in ben 26 paesi. Grivel era anche alle Olimpiadi di Pechino 2009. Gli atleti che hanno portato la fiamma in cima all’Everest hanno utilizzato, infatti, le loro attrezzature. La sfida del futuro? «È quella che stiamo già vivendo e si chiama leggerezza», come afferma Gioacchino Gobbi, presidente di Grivel. La piccozza Futura è stata premiata alla fiera mondiale dell’outdoor svoltasi a luglio a Friedrichshafen in Germania. Quanto conta stare al passo con i tempi e quindi con le tecnologie e le innovazioni? «Non basta stare al passo con i tempi, altrimenti si rimane nella media. Bisogna saper approfittare di questo delicato momento economico per fare uno scatto che possa far crescere le aziende. Innovare ed essere i primi a farlo, questo è il segreto. Nessun problema nella vita si risolve utilizzando le stesse soluzioni che hanno creato quel problema». La Grivel è stata chiamata a rappresentare il design italiano dell’alpinismo e dell’arrampicata alla mostra “Sport & Design” che si è tenuta a Toronto. Qual è il vostro motto per battere la concorrenza? «Occorre fornire al consumatore una motivazione per fargli acquistare un certo prodotto, nonostante ne abbia altri simili. Prima di lanciare un nuovo articolo bisogna chiedersi se effettivamente il consumatore è in grado di apprezzarlo, se ne sente l’esigenza o se ne percepisce la novità». Quali sono i materiali più all’avanguardia nel vostro settore?
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L’alpinismo del futuro «Non basta stare al passo con i tempi, bisogna essere i primi a proporre delle novità». Questa la filosofia di Gioacchino Gobbi, presidente dell’azienda Grivel, specializzata in attrezzature ed equipaggiamenti per alpinismo, arrampicata e outdoor Nike Giurlani
A sinistra il presidente di Grivel, Gioacchino Gobbi. In alto, la sede dell’azienda a Courmayeur
Gioacchino Gobbi
PER UNA SCALATA SICURA La piccozza "Futura" è uno dei prodotti di punta della nuova collezione Grivel. L’alta qualità con cui è stata realizzata la piccozza è stata apprezzata anche in Germania. A Friedrichshafen, il prodotto innovativo di Grivel, si è infatti aggiudicato un importante premio nel corso della fiera mondiale dell’outdoor che si è svolta a luglio. Questa fiera è considerata la più importante vetrina per i produttori di materiale e abbigliamento alpinistico e outdoor. La piccozza Futura è stata apprezzata per la varietà di materiale con cui è stata realizzata (lega leggera, acciaio, plastica) e perché è in grado di rispondere brillantemente alle esigenze richieste ad una piccozza, come l’ergonomia dell’impugnatura, l’isolamento dal freddo e il peso contenuto
«Le nostre esigenze sono abbastanza simili a quelle aerospaziali, quindi, i nostri prodotti devono resistere alle basse temperature e devono essere di una affidabilità assoluta. In questo momento stiamo puntando in particolare sulle fibre di carbonio perché sono in grado di garantire un’ottima resistenza, mentre per l’aspetto tessile, come fettucce e corde, preferiamo utilizzare le fibre aramidiche. Le leghe leggere, impiegate per esempio nel settore dell’aeronautica, sono fondamentali per realizzare prodotti ultraleggeri, proprio quelli che servono a noi. Inoltre non possiamo dimenticare il titanio che è insensibile alla temperatura. Siamo poi sempre molto attenti alle ultime novità prodotte dall’industria della plastica che
160 ANNI
L’azienda è stata fondata nel 1818 a Courmayeur dalla famiglia Grivel. Nel 1982 è stata rilevata da un gruppo di appassionati riuniti attorno a Gioacchino Gobbi
continua a fornire prodotti interessanti». È possibile unire prodotti tecnologicamente avanzati e prezzi competitivi? «È indispensabile. I livelli di prezzo dei prodotti esistono e continueranno ad esistere. Oggi però il mercato chiede di avere la stessa coerenza e la stessa impeccabilità in tutti i livelli. Grazie alla tecnologia si può arrivare a delle semplificazioni importanti, con l’avvento della Cina, per esempio, siamo stati costretti a trovare delle soluzioni nuove grazie alle quali a volte i prezzi si sono abbassati. Chi e perché sceglie di acquistare un vostro prodotto? «Chiunque sia interessato alla montagna e all’arrampicata. Chi sceglie i nostri prodotti lo fa per la nostra lunga storia, che dura da quasi duecento anni. Inoltre non abbiamo mai smesso di essere sempre tra i primi a proporre innovazioni e prodotti tecnologicamente competitivi. I prodotti realizzati da Grivel sono conosciuti in tutto il mondo e, infatti, i mercati esteri rappresentano il 92% della nostra produzione. In tutti i negozi del mondo che trattano prodotti di alpinismo il nostro marchio è presente e l’anno scorso per le Olimpiadi di Pechino gli atleti che hanno portato la fiaccola in cima all’Everest hanno utilizzato i nostri prodotti». 2009 • DOSSIER • 63
INNOVARE PER COMPETERE
Genio creativo, una risorsa senza tempo «La tecnologia ricoprirà sempre un ruolo di primo piano, ma occorre investire prima di tutto nella creatività delle persone». Ne è convinto Brunello Cucinelli, fondatore dell’omonima griffe di cachemire e appena eletto “Imprenditore Olivettiano 2009” Nike Giurlani
a sua filosofia aziendale è stata definita “capitalismo etico”, la sua concezione di gestire l’impresa “umanistica”. Ma l’obiettivo di Brunello Cucinelli era prima di tutto creare un ambiente di lavoro che fosse diverso da quello in cui lavorava suo padre. In Umbria, nel borgo medievale di Solomeo, dal 1985, ha dato vita a una nuova dimensione imprenditoriale improntata sulla lavorazione del cachemire, oggi famosa in tutto il mondo. Il suo motto è «investire sulla creatività» ridando «dignità economica e morale ai lavori manuali». Quest’anno si è aggiudicato il premio “Imprenditore Olivettiano 2009”. Qual è l’identikit dell’imprenditore del futuro? «Secondo me l’imprenditore, oggi come in futuro, deve essere preoccupato prima di tutto della dignità dell’uomo. E quello che deve migliorare è il livello di trasparenza all’interno dell’azienda. Solo così i dipendenti possono sentirsi parte integrante di una realtà produttiva». La sua filosofia aziendale è stata definita “Capitalismo etico”, un’ “Impresa umanistica”. Ma all’interno di questa ideologia quanto conta l’operato dell’uomo e quanto invece quello della tecnologia e dell’innovazione?
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DATI BILANCIO CONSOLIDATO DEL GRUPPO CUCINELLI FAT TURATO
mln di euro
Anno
Euro
Incremento
2007 2008 2009
91,18 143,86 154,00
+32,34 +19,21 +7,04
INVESTIMENTI
mln di euro
Anno
Euro
2007 2008 2009
6,56 8,19 3,50
Brunello Cucinelli
In apertura, Brunello Cucinelli, fondatore dell’omonima griffe del cachemire. A lato, il borgo di Solomeo dove sorge l’azienda di Brunello Cucinelli
«La tecnologia ricoprirà sempre un ruolo di primo piano, ma, per me, occorre investire sulla creatività delle persone. La creatività è alta quando l’atmosfera nell’ambiente di lavoro è speciale, quando un dipendente può lavorare in un contesto dove il suo animo è disteso, non viene offeso, pressato o umiliato. Io mi sono quindi limitato a creare un posto di lavoro che purtroppo non ha avuto mio padre, che al contrario doveva sottostare a condizioni molto dure. Sono fermamente convinto che ogni essere umano ha una quantità di genio. Ovviamente di diversa natura e di diversa intensità. L’imprenditore ha il compito di farla emergere, perché non bisogna mai dimenticare che la mente che muove tutto è sempre quella umana». Si può conciliare innovazione-tecnologia e rispetto dell’ambiente e della natura? «Certamente, noi abbiamo cercato di farlo nel paese. C’è un grande parco, ci sono i frutteti, nelle nostre mense vengono serviti cibi sani e ge-
1985
FONDAZIONE Anno di fondazione dell’azienda nel borgo di Solomeo. Cucinelli è convinto che l’ambiente sereno e la bellezza dei luoghi esaltino la creatività umana
2009 PREMIO
Quest’anno Cucinelli si è aggiudicato il premio “Imprenditore Olivettiano” per il suo impegno nella ricerca, nell’innovazione e nella cultura
nuini ed anche con le lavorazioni e i macchinari cerchiamo sempre di rispettare la natura che ci circonda». Secondo lei quando si può davvero parlare di progresso costruttivo? «Quando il nostro lavoro può aiutarci a costruire un mondo migliore. E questo è proprio il nostro obiettivo. Grazie alla collaborazione dei miei dipendenti, alla loro professionalità, siamo riusciti a far aumentare i nostri fatturati. Questo ci ha permesso di investire in progetti di riqualificazione storica-artistica, così per esempio è nato il teatro di Solomeo». Innovazione di prodotto, di mercato, investimenti in R&S e sulle risorse umane. Ci sono tanti tipi di innovazione in azienda. Ma su quali aspetti occorre puntare, in questo momento, per agganciare la ripresa? «Per me l’uomo è al centro di ogni interesse. La mia è un’azienda che punta molto sull’aspetto artigianale e non può fare assolutamente a meno di mani esperte, capaci e sapienti. Però un altro nostro punto di forza sono i mercati internazionali. Noi esportiamo infatti il 64% dei nostri prodotti ed il primo mercato è l’America. Tre anni fa i nuovi mercati (Cina, India, Russia e Sud America) rappresentavano il 3% del nostro fatturato. Quest’anno abbiamo raggiunto il 10% e questo mi fa ben sperare che tra due o tre anni potremo arrivare al 13-15 %. Credo quindi che nel futuro questi nuovi mercati ci riserveranno piacevoli sorprese». Che significa per lei portare il suo marchio fuori dai confini italiani? «Significa far conoscere la nostra cultura, le nostre tradizioni, alimentando la fantasia e la curiosità degli stranieri sul nostro Paese. Mi piace l’idea che in un negozio di New York si respiri, grazie ai miei prodotti, un’atmosfera italiana. In quest’ultimo anno, ho notato che all’estero, si è rafforzata molto l’idea che made in Italy significa qualità. Ma per far questo occorre puntare molto sull’artigianalità, ridando dignità economica e morale ai lavori manuali». 2009 • DOSSIER • 65
CONFINDUSTRIA La situazione economica italiana ha messo a rischio l’equilibrio finanziario di molte imprese. Ma, grazie alla voglia di uscire da questa situazione, le associazioni provinciali di Confindustria si sono mobilitate e hanno lanciato dei progetti e delle iniziative per una ripresa il più imminente possibile
L’impegno degli industriali
Roma capitale europea della banda larga oma sarà la prima città metropolitana d’Europa a essere cablata con rete a banda larga di ultima generazione. Entro i prossimi cinque anni, sotto gli 8mila km di strade della capitale si snoderà un reticolo di nuovi cavi ottici (4mila km) che permetterà di accedere alle reti fisse e mobili con una velocità fino a cinque volte superiore a quella attuale. Oltretutto, a costo zero per il Campidoglio, essendo un progetto interamente finanziato dalle imprese coinvolte. L’iniziativa è stata promossa dall’Unione degli industriali e delle imprese di Roma il cui presidente Aurelio Regina ha affidato la
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Aurelio Regina, presidente dell’Unione degli industriali e delle imprese di Roma
Un progetto innovativo, che porterà nel sottosuolo della città oltre quattro chilometri di cavi ottici, per servizi di telecomunicazione finalmente all’avanguardia. Roma città digitale è il nuovo grande progetto dell’Unione degli industriali, realizzato in partnership con le imprese dell’Ict Amelia Piana
delega del progetto al vicepresidente, Stefano Pileri, direttore generale technology di Telecom Italia. «Con “Roma città digitale” – spiega Regina – abbiamo saputo mettere d’accordo tutti gli operatori per presentare all’amministrazione capitolina, un progetto unico che potrà essere d’esempio per altre città. È il primo grande progetto di modernizzazione del nostro territorio per rendere più vivibile la capitale, una rivoluzione resa possibile dal sistema delle imprese italiane che vuole dare al territorio un grandissimo sviluppo». Un’accelerazione tecnologica che permetterà il potenziamento di sistemi per la gestione della sicurezza, applicazioni a supporto della mobilità e del turismo, nuovi servizi per le imprese (gestione digitalizzata della documentazione, e-learning e videoconferencing) e per i cittadini (sviluppo dell’e-government della Pa, teleassistenza e telemedicina). «La banda larga – osserva il presidente – cambierà radicalmente la città nei prossimi anni, ma anche il rapporto che i cittadini hanno con le imprese e la
Pubblica amministrazione. È un primo passo fondamentale per rendere Roma una città del futuro, anche in vista dell’Expo 2015, di cui Roma è capofila per le imprese del Centro-Sud, e per le ambite Olimpiadi 2020, se la capitale verrà scelta». Per il 2014, dunque, i romani potranno godere non solo di una rete di nuova generazione in fibra ottica per servizi “ultra-broadband” su rete fissa sino a 100 Mbit/s, ma anche del miglioramento della rete mobile così da navigare alla velocità di 28 Mbit/s. Un investimento di oltre 600 milioni di euro, tutti appunto capitali privati. In una prima fase, dal 2009 al 2011, sono previsti interventi per 300 milioni di euro (il 75% in quota a Telecom Italia). Successivamente, in base alle indicazioni dell’Authority delle telecomunicazioni, i singoli operatori si accorderanno sui finanziamenti dei lavori nelle varie zone. I lavori saranno effettuati con tecnologie innovative a basso impatto ambientale e di rapida esecuzione. Con l’effetto di limitare i disagi sulla viabilità e ai cittadini. 2009 • DOSSIER • 69
CONFINDUSTRIA
Hospitality Milano eventi tutto l’anno per rilanciare il turismo Il Gruppo terziario turistico di Assolombarda, la voce delle imprese legate all’accoglienza nel capoluogo lombardo ha lanciato l’iniziativa Hospitality Milano. Obiettivo: migliorare l’incoming e l’attrazione turistica, per garantire un turismo d’affari, congressuale e culturale tutto l’anno Nera Samoggia
Giorgio de Pascale, presidente del Gruppo terziario turistico di Assolombarda, che racchiude le imprese legate all’accoglienza e alla promozione del territorio 70 • DOSSIER • 2009
llungare la stagione, destagionalizzando la domanda e applicando politiche di pricing convenienti. Così da sfruttare la capacità ricettiva degli alberghi per tutto l’anno, anche in estate, quando gli eventi culturali, all’ombra della Madonnina, non mancano. È l’idea alla base di Hospitality Milano, iniziativa del Gruppo terziario turistico di Assolombarda destinata a diventare un servizio alle imprese, migliorando al contempo l’incoming su Milano e la sua attrazione turistica. Per arrivare a Hospitality Milano, la voce del terziario turistico in Assolombarda (105 aziende, 5.277 dipendenti, 70 alberghi di fascia alta e media, 30 fra tour operator, agenzie di viaggio e imprese del settore) è partita da una constatazione. «Ogni anno – osserva Giorgio de Pascale, presidente del Gruppo terziario turistico – si crea una destagionalizzazione molto forte. Milano fino al 20 gennaio ha un bassissimo utilizzo degli alberghi. La stessa situazione si ripete ad aprile e
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da luglio a settembre. Il problema era, quindi, di intervenire per “spostare” le presenze». Di qui la decisione di costruire Hospitality Milano. «Milano ha uno sviluppo turistico basato per lo più sul business, sugli eventi, sul congressuale e sulle fiere. Negli ultimi anni, si è però registrata una contrazione della presenza del turismo business. Quest’ultimo infatti può avvalersi anche di altre forme di collegamento legate allo sviluppo telematico e dei trasporti». Ciò implica una crescita del turismo culturale? «Su questo Milano ha delle potenzialità tutte da sfruttare. Anche quest’anno, però, non si è fatta sufficiente attività di promozione. Per questo siamo scesi in campo, coinvolgendo le oltre 6mila aziende di Assolombarda». Come vi siete mossi per dare voce al settore? «Abbiamo mandato una comunicazione a queste aziende, mettendo a loro disposizione uno sportello turismo per informare fornitori ed enti sulle opportunità offerte da Milano.
L’impegno degli industriali
LA RINASCITA DELL’ECONOMIA SICILIANA La situazione economica palermitana è in linea con l’andamento nazionale: negativo. «Occorre fare sistema». Questa la soluzione del presidente di Assindustria Palermo Antonino Salerno econdo i dati di Bankitalia, in provincia di Palermo sono calati i depositi bancari, non sono aumentati i consumi, le commesse sono in calo e il mercato delle case è fermo ormai da mesi. Nessuno riesce ormai a fare deposito, sottolinea il presidente di Confindustria del capoluogo siciliano Antonino Salerno (nella foto). Ma la soluzione è possibile. «Occorre che chi ci governa e chi ci rappresenta smetta di litigare e programmi in maniera chiara e seria lo sviluppo dell’isola». Come si possono difendere le imprese palermitane per superare le difficoltà senza troppe lesioni? «Ritengo che sia vitale, per un’impresa, poter attingere a forme di finanziamento di-
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Si promuove una presenza più frequente, sfruttando gli eventi culturali». Hospitality Milano sarà attivo tutto l’anno? «Volendo integrare il turismo d’affari con quello congressuale e culturale, è chiaro che il progetto andrà portato avanti tutto l’anno. Per questo vogliamo intrecciare una forte collaborazione con le istituzioni». Quali vantaggi offre alla città la vostra iniziativa? «Non solo gli alberghi potrebbero lavorare di più, anche in bassa stagione, magari proponendo pacchetti promozionali. Ma ci sarà un beneficio per la filiera delle aziende collegate al turismo. La città stessa si avvantaggerà. Dagli esercizi com-
verse dal credito ordinario, che da sempre è stata la formula tradizionale usata per dare ossigeno alle attività economiche in Sicilia. Occorre privilegiare i rapporti con i consorzi fidi e modificare l’approccio e il dialogo con gli istituti di credito. Inoltre serve collaborazione tra impresa e istituti di credito, nel senso che va completamente modificato il rapporto tradizionale che c’è stato finora tra i due attori dello sviluppo. Nel concreto penso che esistano strumenti come il consolidamento del debito, che possono dare una valida mano d’aiuto. È ormai attestato che Basilea 2 con i suoi parametri non va, bisogna cambiarla. Le norme sono obsolete rispetto al regime attuale, così come alcune misure mettono le imprese
merciali ai musei». L’indagine trimestrale sul settore alberghiero milanese di fascia alta, condotta da Assolombarda, indica che il trend negativo si è arrestato. «Prima però vanno considerati gli eventi concomitanti. C’è stata la fiera del mobile che ha dato un contributo. Non leggerei, quindi, i dati con un occhiale molto positivo. In realtà, già a giugno, il trend è negativo. Il processo non si è arrestato. Anzi bisogna far sì che rallenti». Milano è una città capace di accogliere, anche nella prospettiva dell’Expo? «Se ci riferiamo all’offerta di camere, lo è. E comunque credo che un forte sviluppo di nuovi alberghi, nell’ottica del-
nella condizione di paralisi». Quali sono i punti di forza su cui intendete investire per tornare a un segno positivo? «L’imperativo categorico è uno: bisogna investire nell’innovazione. Occorre che chi ci governa e chi ci rappresenta smetta di litigare e programmi in maniera chiara e seria lo sviluppo dell’isola».
6 mila ADESIONI
Le aziende di Assolombarda coinvolte nel progetto Hospitality Milano, nato per garantire un turismo d’affari, congressuale e culturale tutto l’anno
l’Expo, possa essere positivo, ma entro certi limiti. Il rischio è di inflazionare l’offerta. Ciò implica una rivisitazione del progetto di gestione di città e zone limitrofe». Milano è una meta turistica? «Si può fare di più. Il problema è di rilanciare la sua immagine di città attraente che può offrire numerose opportunità di turismo. È un impegno che dobbiamo portare avanti, sviluppando una comunicazione adeguata. A livello internazionale, invece, Milano Congressi in due anni si è posizionata tra le prime fiere congressuali in Europa. E questo grazie a una integrazione molto forte con le componenti turistiche della città». 2009 • DOSSIER • 71
CONFINDUSTRIA
Genova chiede alle banche più attenzione per le imprese Un’indagine degli industriali genovesi rileva una flessione nelle richieste di finanziamento bancario per progetti di investimento. «Sembra – spiega il presidente Calvini – che le aziende stiano riconsiderando la propria struttura finanziaria, attuando una politica di revisione dei costi bancari» Amelia Piana
onfindustria Genova ha avviato un’indagine per approfondire gli effetti della crisi finanziaria sull’operatività delle aziende. Nel mirino sono finiti la riduzione e la revoca degli affidamenti, i tempi di istruttoria per il rinnovo o la concessione di nuovi affidamenti, la variazione dello spread, il costo effettivo medio del credito bancario a breve. «Se da un lato – osserva Giovanni Calvini, presidente di Confindustria Genova – confortano la modesta denuncia di casi di credit crunch e risposte più pronte da parte delle banche alla richiesta di rinnovi o di nuovi affidamenti; dall’altro dobbiamo registrare la sensibile crescita della percentuale di spread a fronte del minor costo del denaro. Stiamo assistendo a una fase di flessione
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delle richieste di finanziamento bancario per progetti d’investimento e lo stesso accade rispetto ai consorzi di garanzia: sembra che le aziende stiano riconsiderando la propria struttura finanziaria, attuando anche una politica di revisione dei costi bancari con annesse garanzie». Questo, per gli industriali genovesi, si presta a una duplice lettura: positiva, se si ipotizza un più ragionato ricorso all’indebitamento e un più ampio utilizzo delle proprie risorse, indice di un sistema che nel complesso sta tenendo; negativa, invece, se rappresenta una semplice scrematura di costi e una minore propensione al rischio. La piccola dimensione della maggior parte delle imprese genovesi e la modesta capitalizzazione di molte costituiscono elementi di criticità nel delicato rap-
porto con le banche. L’aggravarsi dello stato di liquidità delle aziende, dovuto anche a insostenibili ritardi nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione e di alcune grandi realtà industriali, ha reso ancora più evidente tale criticità. «La nostra associazione – dichiara Calvini – ha per questo aumentato il proprio impegno in Fidimpresa Liguria, consorzio fidi al quale fanno riferimento le aziende industriali liguri, e in Capitalimpresa, una sorta di piccola merchant bank partecipata anche da Confindustria Genova, che ha tra i propri scopi anche quello di assistere le imprese nell’ottimizzazione dei rapporti
Giovanni Calvini, presidente degli industriali di Genova
L’impegno degli industriali
FONDI EUROPEI AL MOLISE Il Molise ha chiesto e ottenuto dall’Unione europea nei mesi scorsi, di riprogrammare e destinare più fondi alle misure di sostegno per la crisi
ornare ai livelli di produzione e occupazione precedenti alla crisi non sarà facile, nonostante si colgano anche in Molise i primi segnali della ripresa». Il presidente di Assindustria Molise Michele Scasserra (nella foto) è fiducioso: «dopo la crisi, che sembra in via di conclusione, e anche se persisteranno per le nostre imprese difficoltà di accesso al credito e problemi per l’occupazione, è necessario intervenire per quanto riguarda le criticità finanziarie». Esiste comunque la disponibilità degli istituti bancari e della Finmolise ad avviare le pratiche, anche se persistono problematiche di ordine procedurale e burocratico che oggi impediscono alle misure di decollare e 161 domande di piccole e piccolissime imprese, cioè quelle che maggiormente avvertono la crisi, prenotate presso la Finmolise, non sono ancora state istruite. «In passato ci siamo espressi favorevolmente sulle misure anticrisi adottate dalla regione, spiega Scasserra, ma abbiamo al tempo stesso segnalato l’importanza di ridurne al minimo i tempi di attuazione. A circa due mesi di distanza dalla pubblicazione delle delibere regionali, ancora siamo fermi al palo. Mi impegnerò personalmente affinché la situazione si sblocchi, anche perché su queste misure abbiamo condiviso la decisione di dirottare importanti risorse europee, sottraendole ad altri obiettivi di sviluppo».
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con le banche e le istituzioni finanziarie». In ogni caso, «l’indagine sulla crisi finanziaria, che ripeteremo a fine anno – prosegue il presidente –, ci dirà se queste iniziative, unitamente agli accordi sottoscritti con alcune banche, avranno dato i frutti attesi. Ovvero una maggiore trasparenza nella definizione dei criteri per l’assegnazione del rating e l’effettiva applicazione delle varie iniziative pensate per allentare la pressione creditizia sulle imprese, in primis la moratoria sul credito concordata tra Abi e le associazioni di categoria, compresa Confindustria». Ed è proprio alla moratoria sul credito che le imprese guardano con interesse e curiosità. «Le operazioni di sospensione e di allungamento delle scadenze del credito a breve termine possono rappresentare un “polmone” di grande utilità – continua –. Le aziende da subito si
sono rivolte alla nostra associazione per i particolari dell’accordo e alle banche di riferimento per conoscerne i dettagli. Alcuni istituti bancari si sono mossi in anticipo sul tema e hanno contattato direttamente i clienti potenziali e hanno già posto in essere diverse operazioni. Altre banche, nell’attesa di perfezionare i propri regolamenti in materia, hanno comunque invitato i propri clienti a presentare domanda. La preoccupazione delle aziende, però, è che l’accesso alla moratoria con una banca possa comportare in futuro la richiesta di Banca d’Italia di segnalazione in centrale rischi, creando difficoltà di gestione del rapporto di affidamento delle aziende con tutte le altre banche». Calvini si augura che «le banche guardino al passato delle imprese per valutare meglio la capacità di sviluppo dei progetti per il futuro». 2009 • DOSSIER • 73
CONFINDUSTRIA
L’economia valdostana punta sui giovani «Tocca alle aziende aprire nuovi orizzonti ed esplorare nuove strade. Tocca a noi investire in ricerca, innovare, essere curiosi, accettare di rimettere in discussione i nostri assetti». Confindustria Valle d’Aosta pensa ai giovani e al sostegno alle imprese e punta all’export, come spiega il presidente Monica Pirovano Alessia Marchi
ostegno alle imprese e sviluppo del sistema produttivo valdostano. Queste le priorità da affrontare per Monica Pirovano, presidente di Confindustria Valle d’Aosta. «Anche se la crisi finanziaria dello scorso anno, non ancora passata, ha messo a dura prova l’economia valdostana, con un effetto domino in tutti i settori, negli ultimi mesi ci sono stati segnali di ripresa in modo disomogeneo tra le varie aree e tra i diversi comparti», spiega il presidente. Quali sono le priorità che avete affrontato per sostenere le Pmi? «La gestione del rapporto con gli istituti di credito costituisce, non da oggi, un momento fondamentale per garantirsi un’equilibrata operatività e per migliorare la propria struttura finanziaria. Abbiamo aperto a luglio lo “sportello per il credito” che prevede l’erogazione di una consulenza gra-
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Monica Pirovano presidente Confindustria Valle d’Aosta
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tuita di informazione e assistenza personalizzata in materia creditizia a favore delle imprese associate, finalizzata a fornire agli imprenditori gli strumenti per migliorare le competenze necessarie nella gestione dei rapporti con gli istituti bancari, per rappresentare efficacemente lo stato di salute finanziaria dell’azienda, dalla stesura del bilancio, a un piano finanziario, ad altre informazioni che fotografino la sua attività». Anche per la vostra stessa posizione di confine, le aziende del territorio hanno spiccati interessi con l’estero. Quali supporti avete fornito alle aziende in tema di export? «Le imprese interessate a sviluppare i propri interessi sui paesi esteri hanno necessità di conoscere i finanziamenti esistenti e le modalità operative più corrette con cui eseguire l’azione di internazionalizzazione. Nel 2010
L’impegno degli industriali
ANDAMENTO DEGLI ORDINI PER LE AZIENDE VALDOSTANE Indagine previsionale trimestrale - 4° trimestre 2009 Dati Confindustria Valle d’Aosta
Nuovi ordini
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intendiamo quindi offrire un servizio gratuito di primo orientamento alle imprese associate. Si tratta di uno sportello che può essere utile sia per le imprese che, avendo effettuato una missione commerciale, hanno l’esigenza di iniziare a operare su un mercato estero, sia per coloro che hanno incontrato una maggiore difficoltà nello sviluppo sui mercati esteri e, in generale, in tutti i casi in cui l’azienda non dispone internamente di uno staff operativo e preparato per agire in continuità sul mercato estero individuato o da individuare». Come avete sviluppato la competitività della realtà industriale valdostana?
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«C’è un’importante realtà industriale valdostana che per svilupparsi ed essere competitiva ha bisogno di giovani capaci e specializzati, in modo da offrire opportunità di crescita professionali al suo interno. Oggi assistiamo purtroppo a un disinteresse dei giovani verso gli istituti tecnici, ma c’è anche uno spirito imprenditoriale poco diffuso, c’è poca voglia di mettersi in gioco, di avviare attività imprenditoriali, c’è ancora la corsa al posto fisso e sicuro. Bisogna dunque favorire la diffusione della cultura scientifica e tecnologica tra i giovani partendo proprio dalla scuola». Cosa avete pensato di fare per sviluppare di più l’inte-
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C’è una importante realtà industriale valdostana che per svilupparsi ed essere competitiva ha bisogno di giovani capaci e specializzati
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resse dei giovani nei confronti dell’imprenditoria? «Per questo intendiamo attivare un progetto tipo “Fabbriche aperte” per mettere a contatto diretto studenti e insegnanti con il mondo dell’industria e del lavoro, sia per far conoscere le realtà produttive ai giovani che devono scegliere il loro percorso scolastico e formativo, sia coinvolgendo i docenti». 2009 • DOSSIER • 75
CONFINDUSTRIA
Ancona guarda avanti e riscopre la forza di fare impresa vero, molti indicatori ci dicono che siamo nella fase finale della crisi, ma non possiamo illuderci perché alcune nostre criticità competitive rimangono «strutturali e gravate da una tassazione oppressiva, una burocrazia asfissiante, tempi della giustizia infiniti, infrastrutture gravemente sottodimensionate e un mercato del lavoro inefficiente», spiega Giuseppe Casali. Quali sono dunque le priorità che affronterete il prossimo anno? «La grande sfida sarà quella
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«Il 2009 è stato un anno straordinariamente complesso e difficile, ma non è nella natura di noi imprenditori guardare indietro; nostro dovere è proiettarci in avanti con positività e coraggio». Così si esprime il presidente di Confindustria Ancona, Giuseppe Casali Alessia Marchi
dell’occupazione: in questi ultimi lunghi e difficili mesi le aziende sono state costrette ad adottare strumenti a volte dolorosi. Certo è che il tema degli ammortizzatori sociali sarà ancora più cruciale nel prossimo anno: occorrerà ragionare sulla loro revisione anche per rafforzarne la va-
lenza che hanno insita come strumenti a tutela della pace sociale». Anche imprese che solo pochi anni fa apparivano invulnerabili, hanno subito pesanti ripercussioni. Quali allora gli errori da evitare per il futuro? «Non esistono modelli d’impresa perfetti, ma è sempre più inevitabile l’esigenza di fare integrazione tra le molte realtà di piccole e medie dimensioni. Integrarsi significa mettersi in rete, condividere funzioni aziendali, fare ricerca e sviluppo in modo congiunto, proporsi sul mercato in modo unitario. Abbiamo anche imparato che deve cambiare il rapporto tra grandi e piccole imprese. Oggi più che mai la grande azienda locale ha il dovere di sostenere le filiere dei propri
A sinistra, il presidente di Confindustria Ancona Giuseppe Casali. Nella pagina a fianco, dipendenti al lavoro
L’impegno degli industriali
INNOVAZIONE E AGGREGAZIONE PER GLI INDUSTRIALI DI PESCARA Le linee d’intervento di Confindustria Pescara segnano un passaggio importante. Nuove risposte a nuovi bisogni na sfida che porta l’innovazione a coniugarsi con nuove interessanti forme di aggregazione. Da un lato l’esigenza di un sistema produttivo composto in prevalenza da Pmi che si approccia all’innovazione non strutturata e occasionale; dall’altro, la possibilità di ottimizzare gli interventi e le sinergie attraverso processi di aggregazione di imprese che condividono investimenti frazionandone, oltre ai costi, anche il rischio. «L’Unione degli industriali pescaresi ha lanciato alcuni progetti strategici mirati a costituire una leva competitiva proprio sui fattori di sviluppo delle Pmi», spiega Luigi Di Giosaffatte (nella foto) direttore di Confindustria Pescara. «L’approccio operativo è stato effettuato in una logica di bottom-up. Abbiamo rilevato i punti di forza del sistema imprenditoriale della provincia, insieme abbiamo individuato le aree geograficamente strategiche e le vocazioni competitive delle stesse, ci siamo soffermati sulla promozione dei contenuti progettuali che potessero definire i nuovi paradigmi del nostro territorio in un’analisi degli asset a forte valore aggiunto, rispetto all’economia del globo e non di un mercato nazionale o europeo. Tutto questo partendo dall’assunto che non ci può essere competitività dell’impresa se non vi è competitività del territorio. Inoltre, ogni territorio deve gestire i fattori critici controllandoli e non subirli passivamente». Per il direttore di Confindustria i grandi temi non possono non comprendere la classe imprenditoriale, e in quest’ottica, anche le grandi infrastrutture sono fondamentali, dunque «se il porto o l’aeroporto sono ben organizzati, facilitano il processo di acceso ai mercati internazionali, così come la definizione di un piano industriale non può non tener conto dell’incidenza dei costi delle procedure amministrative e della semplificazione in genere. In questi casi, l’unione fa la forza».
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fornitori: sarebbe miope trasferire su di loro i costi di questa crisi; ne determinerebbe la fine con il rischio assai evidente che, una volta finita la crisi e ripresi i livelli di domanda del passato, le aziende più grandi si troverebbero prive di partner affidabili e conosciuti». Quale ruolo devono avere le Pmi? «Per contro la piccola e media impresa ha il dovere di crescere patrimonialmente e tecnologicamente, evolvendo il proprio know-how da terzista in vero e proprio specialista. Se dalla crisi non si esce da soli, abbiamo bisogno della collaborazione e del supporto di tutti gli altri attori fondamentali della scena economica, prime fra tutti le banche. Sostenere le imprese e favorirne l’accesso al credito è tra le priorità in questi mesi». Qual è stato il vostro impegno a questo proposito? «È questo l’impegno che Con-
findustria Ancona sta portando avanti, incontrando i principali istituti di credito in provincia, per verificare la possibilità d’interventi mirati a sostegno dell’industria locale. Da parte delle banche serve complessivamente una maggiore sensibilità nei confronti delle aziende, anche di quelle che, affrontando forti crisi, devono fronteggiare ristrutturazioni societarie forti e dolorose. In questo momento occorre la massima attenzione: non sostenere piani di ristrutturazione aziendale, può significare chiusure delle imprese, personale senza lavoro e danni irreparabili per un’intera filiera produttiva. Gli istituti di credito dovrebbero valorizzare i progetti industriali, l’imprenditore e le sue storie di successo. È chiaro che il tutto dovrebbe essere fatto nel rispetto dei ruoli, del libero mercato e della concorrenza fra imprese. Alle banche dunque chiediamo collaborazione, non beneficenza».
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CONSUMI
Lo shopping natalizio fa ripartire S i consumi Qualcosa si muove, rileva il presidente di Confesercenti Marco Venturi. Servono, però, interventi «per dare impulso, un’iniezione di fiducia e così sostenere questa fase». Sul tavolo, la detassazione delle tredicesime, il prolungamento della moratoria sul credito e l’incremento della deducibilità dell’Irap Federica Gieri
otto l’Albero, un po’ meno pessimismo. «Qualcosa si muove», osserva con massima prudenza Marco Venturi, presidente nazionale della Confesercenti, squadernando i dati del sondaggio commissionato all’Swg. Certo la crisi resta un convitato di pietra che spinge a privilegiare ancora il risparmio. Ma comunque sia, per il 51% delle famiglie, questo sarà un Natale improntato alla speranza (+7% rispetto al 2008) e di rilancio per il 7% (+2%). In calo di due punti rispetto all’anno scorso, invece, chi pensa a feste austere (14%) e di 5 punti chi lo prevede difficile (16%). Insomma, nonostante il burrascoso 2009, la maggioranza degli italiani (53%) non vede grandi differenze in peggio rispetto alla fine del 2008. In un effetto bilancia: aumenta dal 21% al 25% il pronostico di un Natale migliore e cala dal 29% al 22% quello a tinte scure. In tasca, quest’anno, ci sono quasi 40 miliardi di tredicesime per acquisti e spese intelligenti. In media, sette i regali in programma per lo più a familiari. E la maggioranza punta allo shopping natalizio senza intaccare i risparmi. Perché la casa e il mutuo da pagare sono in cima ad un’ideale classifica. «I consumatori sono diventati estremamente selettivi. E comunque, malgrado le difficoltà frenino ancora, in giro c’è tanta voglia di liberarsi della morsa della crisi – rileva Venturi –. Ci vorrebbe un
Malgrado le difficoltà frenino ancora, in giro c’è tanta voglia di liberarsi della morsa della crisi. Ci vorrebbe un colpo di reni, vale a dire scelte economiche in grado di accelerare il ritorno alla crescita
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Marco Venturi
colpo di reni, vale a dire scelte economiche in grado di accelerare il ritorno alla crescita. Il Paese vuole ripartire e respinge pessimismo e sfiducia. Governo e forze politiche sapranno allora interpretare al meglio questa aspirazione di imprese e lavoratori? Se riusciranno a cavalcarla positivamente, la fine del tunnel della crisi non potrebbe che essere vicina». La crisi, comunque, non è svanita nel nulla tanto che, fra i fattori che ostacolano le spese natalizie, emerge la preoccupazione per il posto di lavoro che coinvolge circa 5 milioni di persone (passa dal 10 al 13%) per lo più giovani fra i 25 e i 34 anni. Resta invariato il condizionamento derivante dalla peggiore situazione economica, inchiodato al 21% del campione negli ultimi due anni. Nel 2008 l’avvio della crisi aveva spinto il 65% degli italiani a dichiarare che avrebbero fatto meno acquisti di Natale dell’anno precedente. Dopo un anno di recessione, la percentuale scende al 48%. Altro cauto se-
53% ITALIANI
Gli ottimisti, che non vedono grandi differenze in peggio rispetto al Natale 2008. Per il 51% sarà un Natale improntato alla speranza e per il 7% di rilancio
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TREDICESIME Saranno destinate ad acquisti e spese intelligenti. In media, sette i regali in programma per lo più a familiari
gnale di un’atmosfera sociale meno tesa, convalidato in qualche modo anche da quel 49% (30% nel 2008) deciso a mantenere inalterato – crisi o non crisi – il proprio volume di spese. Fatto significativo: il 57% non avrà bisogno di intaccare i propri risparmi, mentre solo il 2% dovrà indebitarsi. Un altro 36% inoltre utilizzerà risparmi accumulati in corso d’anno. Secondo il campione intervistato, cibi e vino svetteranno in testa alla lista degli acquisti natalizi, trascinando verso l’alto anche prodotti tipici e il made in Italy: verso cui si orienta quasi un terzo degli italiani. Un altro 21% dirigerà buona parte del budget sull’abbigliamento, il 20% punterà sui libri, il 17% sui giocattoli. Sugli acquisti di Natale peserà anche il fattore età. Ad esempio, i 35-44enni compreranno soprattutto giocattoli e gioielli (pensando a coniuge e figli). I 45-54enni si orienteranno di preferenza su libri e abbigliamento. E ancora: i laureati preferiranno 2009 • DOSSIER • 93
CONSUMI
Il Paese vuole ripartire e respinge pessimismo e sfiducia. Governo e forze politiche sapranno allora interpretare al meglio questa aspirazione di imprese e lavoratori? Se riusciranno a cavalcarla positivamente, la fine del tunnel della crisi non potrebbe che essere vicina
prodotti tecnologici e viaggi, elettrodomestici e mobili stanno in cima ai pensieri di impiegati e quadri. Gli studenti faranno rotta sull’abbigliamento. E fra i beni tecnologici (circa il 16%) spiccano laptop e accessori per computer, seguiti da decoder digitale terrestre, televisore a schermo piatto o ad alta definizione. Ottimismo cauto, dunque. «Passiamo da un anno di buio profondo a un anno fermo – avverte Venturi –. Sulle spalle il 2009 peserà, non sparisce. Il 2010 non appare quindi come un anno di ripresa importante, ma di azzeramento delle perdite». Inevitabile bussare, quindi, alla porta del governo. «Insieme a Confcommercio e alle associazioni degli artigiani – rivela il presidente di Confcommercio – abbiamo intenzione di sviluppare quella collaborazione che ha portato al cosiddetto “Patto Capranica” per dare più forza al protagonismo delle Pmi». C’è, dunque, una positiva ricerca di convergenze sempre più incisive. In questo periodo sul tavolo c’era la richiesta, 94 • DOSSIER • 2009
53%
PREVIDENTI Per lo shopping natalizio, oltre la metà degli italiani non avrà bisogno di intaccare i propri risparmi, mentre solo il 2% dovrà indebitarsi
peraltro già respinta, di detassare le tredicesime «per dare impulso, un’iniezione di fiducia e così sostenere questa fase». Come pure la moratoria sul credito di cui «chiediamo una proroga. Sarebbe importantissimo visto che il 2010 non si prospetta come un anno felicissimo». Bisogna anche «aumentare la quota di deducibilità dell’Irap per dare risposte alle nostre imprese. Occorre, quindi, una politica diversa per creare condizioni di sviluppo, innovazione, aiutando anche i confidi».
Natale senza sprint
Le luci delle feste illuminano il commercio Non c’è luogo che non cambi volto durante le festività natalizie. Centri cittadini allestiti con alberi e mercatini, presepi tradizionali alternati a nuovi stili, prelibatezze culinarie rigorosamente italiane. E, per la prima volta, lo spumante italiano supera le bollicine francesi Adriana Zuccaro
i rincorrono, riflettono atmosfere quasi magiche, amplificano incantesimi popolari e ne sussurrano i segreti. Le luci a Natale danno respiro a ogni luogo, riverberano la sacralità della festa più attesa dell’anno, in un mondo, per questo, da sempre globalizzato. Ogni città, ogni borgo e paese, un po’ dimentica e un po’ affronta la crisi per gioire della ricorrenza che l’economia non può travolgere nel turbinio della dimenticanza. Non mancheranno regali e festeggiamenti, ma si aggiungerà attenzione al portafoglio. Dalle recenti indagini della Coldiretti, emerge, infatti, che il 62 per cento degli italiani, in un rapporto di quasi due su tre, spenderà la stessa cifra registrata durante il periodo natalizio dello scorso anno; e vi è anche un 16 per cento che ha addirittura previsto di superare la soglia d’acquisto del 2008 contro un 22 che è invece costretta a ridurla. Se gli outlet o eBay non saranno a portata di mano, basterà fare una passeggiata in piazza o tra le strade delle
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nostre città per lasciarsi invogliare dalle fantasticherie dei mercatini di Natale. Ad attrarre centinaia di migliaia di visitatori come mai visto prima, quest’anno è il mercatino di Bolzano in cui nulla è stato lasciato al caso: le casette allestite nelle piazze principali, espongono ogni varietà di oggetti e prelibatezze enogastronomiche, il profumo di vin brulé accompagna fino alla vetrina “pasticMILIONI cera” mentre il suono dei corni o le voci dei Sono i visitatori dei cantastorie regalano dolci ipnosi. Fino al 7 di mercatini di Natale gennaio sarà possibile visitare anche il mersparsi in ogni città d’Italia previsti per catino di Natale di Aosta, il Marché Vert periodo delle Noël, in cui uno straordinario allestimento l’interofestività scenografico ricostruisce un villaggio alpino di chalet di maestri artigiani della cera, del legno, della ceramica e dell’antiquariato; quindi candele, saponi, oggetti e accessori d’abbigliamento in lana cotta e feltro, canapa e pizzi. Ispirato alla tradizione nordeuropea e dislocato ai piedi di un palcoscenico naturale, con giostre, cavalli e trenini, il mercatino di Natale di Pordenone è invece un
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CONSUMI
Il Natale veste ogni città di alberi e mercatini, disegna vetrine con piatti speciali, riempie le case di musica e auguri ed espone presepi di magnifiche maestranze artistiche
In queste pagine, le immagini ritraggono: particolare del mercatino di Natale di Bolzano; stili differenti dei presepi di Napoli; lungocanale di Cesenatico illuminato dalle luci natalizie; spumante, pandoro e panettone: i simboli d’eccellenza della tavola italiana durante il periodo di festività
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tripudio di gioiosità per i bambini. Un percorso serpeggiante illuminato, alterna luoghi di ristoro in cui poter degustare bevande e piatti caldi, a luoghi di danza e musica dove la magia del Natale si insinua tra note di gospel, jazz e rhythm and blues. La festa esplode anche tra le vie del centro storico di Perugia, tra la Rocca Paolina e piazza Italia: dentro i giardini della cinquecentesca fortezza sono state allestite bancarelle di artigianato artistico, mentre nelle antiche e suggestive stanze della Rocca, quelle dei prodotti enogastronomici. Tutti i mercatini italiani, ognuno con prodotti tipici e tradizioni locali, rappresentano uno svago e una “preghiera” natalizia: è stata prevista un’affluenza di 18 milioni di persone. Il Natale veste ogni città di alberi e mercatini, disegna vetrine con piatti speciali, riempie le case di musica e auguri ed espone presepi di magnifiche maestranze artistiche: nelle sale del Bramante della basilica di Santa Maria del Popolo, Roma ospita infatti la trentaquattresima edizione dell’esposizione internazionale “Cento Presepi”, oltre 160 eccellenze artistiche provenienti da tutta l’Italia ma anche dall’estero. Nel vicino comune di Valmontone, a poca distanza dall’Aquila, la gente si abbraccia invece intorno a un presepe vivente, icona di speranza, dolcezza, impegno ma anche simbolo di riscatto dalle macerie su cui è stato infatti allestito. Su altri versanti, guardare agli spettacoli offerti dai presepi italiani, non può non chiamare in causa la millenaria tradizione napoletana: pastori e pecorelle rea-
Natale senza sprint
lizzati con tecniche di raffinata precisione; strutture abitative arredate di ogni “umano” dettaglio; fiumi e ruscelli motorizzati per lo scorrere continuo dell’acqua; la stalla della Natività studiata in ogni minuzia e decorata con toni di assordante realismo. Ma è negli ultimi tre secoli però che la tradizione partenopea è uscita dai luoghi di culto per invadere le case, dapprima patrizie, e poi conquistare il cuore di tutti, grandi e piccini, ricchi e plebei. Le statuine si sono evolute dalle figure classiche fino ad arrivare a includere personaggi attuali: dalla politica allo spettacolo, dalla musica allo sport, nei presepi di Napoli c’è posto per tutti; in prima linea, naturalmente, Totò e Maradona. Risalendo lo Stivale verso oriente, un panorama natalizio ugualmente insolito è riscontrabile nella splendida cornice del lungocanale di Cesenatico illuminato dalle mille luci del Presepe della Marineria: barche, vele, pontili e luci tutt’intorno, rendono il Natale e il Capodanno esperienze uniche, feste da celebrare e per cui brindare. Saranno infatti 140 milioni le bottiglie di spumante italiano che verranno stappate per le festività natalizie: per la prima volta nella storia, le bollicine made in Italy supereranno quelle dello champagne francese le cui esportazioni sono quest’anno crollate del 41 per cento. Ma ad anticipare i “cin cin” saranno le prelibatezze culinarie che imbandiranno le tavole italiane con prodotti rigorosamente nazionali, tradizionali ma sempre più gettonati. Si stima infatti un aumento del 3 per cento della spesa
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Sono le bottiglie di spumante italiano che verranno stappate per le festività natalizie insieme ai 110 milioni tra pandori e panettoni che andranno consumati tra Natale e Capodanno
destinata ai prodotti alimentari di prima portata cui zamponi e cotechini ritornano in vetta: ne verranno consumati circa 8 milioni di cui il 95 per cento è di produzione italiana. E ancora: la statistica sui più di 110 milioni di pandori e panettoni nostrani, dei quali poco più del 10 per cento con metodo artigianale, conferma la passione tutta italiana per pranzi, cenoni e ceste natalizie. In Italia, il Natale 2009 consacrerà un momento di autentica convivialità perché ai viaggi esotici e ai regali hi-tech, la grande maggioranza rimarrà dentro confine per fare acquisti utili per se stessi e gli altri. Si brinderà al Natale e a un 2010 di rinascita e successi. 2009 • DOSSIER • 97
CULTURA DELLA SICUREZZA
È anche questione di tecnica In tema di tutela della salute e della sicurezza, è indispensabile prevenire il rischio. E per farlo, sono necessari modelli di gestione e prevenzione efficaci, che aziende e lavoratori devono far propri. Come spiega Umberto Sacerdote, direttore generale dell’Ispesl Sarah Sagripanti
mianto e incidenti nei cantieri, ma anche argomenti meno “appariscenti”, ma altrettanto gravi, come stress da lavoro, lavori usuranti e rumore ambientale. Sono tanti i temi legati alla salute e alla sicurezza sul lavoro. In questo ambito, è fondamentale implementare sistemi di monitoraggio sempre più efficienti, utili per prevenire il rischio. «Occorre potenziare soprattutto i sistemi di sorveglianza per la conoscenza delle modalità di accadimento e diffondere presso le imprese adeguati modelli di analisi degli eventi meno gravi che possono costituire episodi sentinella», spiega Umberto Sacerdote, direttore generale dell’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro. Tra i suoi compiti, l’ente è impegnato nella produzione di strumenti applicativi a supporto delle aziende che contribuiscono a creare una sempre più consapevole “cultura tecnica” della sicurezza. Ma, avverte Sacerdote, occorre non esagerare: «La tecnologia permette il miglioramento dei processi, ma non li rende sicuri a prescindere. Al contrario può provocare false certezze e rassicurazioni che inducono a una minore attenzione nella scelta di sicure modalità di lavoro».
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Quanto conta la ricerca di nuovi metodi e tecnologie nella sicurezza sul lavoro, se non esiste una cultura della sicurezza? «Credo che la questione può essere affrontata in modo diverso, ovvero: la ricerca di nuovi metodi e 130 • DOSSIER • 2009
tecnologie possono raggiungere gli obiettivi di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, senza che essa si accompagni a percorsi formativi per far crescere la percezione del rischio? La cultura della sicurezza così come oggi la si intende fa ancora riferimento a un processo conoscitivo generalista che, pur diffondendo conoscenza, in realtà non ha indotto modifiche sostanziali nei comportamenti. Occorre invece che i processi educazionali e formativi tengano conto delle analisi sulle modalità di accadimento degli eventi infortunistici e sulle motivazioni che in-
In alto, Umberto Sacerdote, direttore generale dell’Ispesl
Ispesl
tante; per la prima volta, infatti, disegna un sistema istituzionale di supporto al sistema delle imprese e dei lavoratori, ne definisce puntualmente gli strumenti e gli ambiti delle relazioni, pone al centro la realizzazione di un sistema informativo che permette di orientare le scelte di pianificazione e programmazione delle azioni per la tutela della salute e sicurezza del lavoro. Naturalmente vi è ancora molto lavoro da fare sul piano normativo attraverso l’emanazione dei numerosi decreti delegati applicativi, anche e soprattutto in merito agli strumenti previsti per favorire i cambiamenti nel tessuto produttivo. Procedure standardizzate, modelli di gestione, sistema di qualificazione delle imprese e modelli di buone pratiche rappresentano uno strumentario tecnico di grande rilievo, ora è necessario che organismi come la Commissione consultiva permanente prevista dal Testo li realizzino rapidamente con il concorso di enti tecnici come Ispesl. Attualmente è disponibile un patrimonio tecnico di grande rilievo che origina dalle migliori esperienze e che necessita di essere adeguatamente valorizzato».
Verso quali frontiere si sta muovendo la ricerca in ambito di sicurezza sul lavoro? «Le tematiche su cui oggi la ricerca si muove sono estremamente diversificate anche se possiamo tentare di riassumerle in alcuni grandi ambiti di rischio che vedono coinvolta la popolazione lavorativa dei paesi più avanzati: quello dei rischi psicosociali legati a fattori organizzativi come lo stress, i disturbi muscoloscheletrici con particolare attenzione a quelli derivanti da movimenti ripetuti; e quello dei rischi chimici, fisici, biologici e cancerogeni, visti anche attraverso un’ottica di genere. Di straordinaria importanza è anche la ricerca di sistemi di sorveglianza epidemiologica e l’implementazione di banche dati che perducono a condotte errate. I percorsi formativi deb- mettano di migliorare la conoscenza dei fenomeni al bono ormai essere strettamente mirati e specialistici, fine di individuare soluzioni appropriate per la geaccompagnando l’introduzione di nuovi metodi e stione dei rischi. Ma è altrettanto necessaria, alla luce tecnologie per evitare che l’errore di procedura co- di quanto si diceva, sviluppare ricerche per la costituisca ancora il fattore determinante l’infortunio». struzione di idonei percorsi formativi in grado di inL’anno scorso è stato introdotto il Testo durre la modifica dei comportamenti errati. È imunico sulla sicurezza sul lavoro. In che modo portante, inoltre, che i risultati della ricerca vengano questo testo ha inciso concretamente sull’at- tradotti in strumenti operativi, il che significa invetività delle imprese italiane? stire in trasferimento al sistema delle imprese, attra«Il decreto 81/08, dal punto di vista del legislatore, verso la realizzazione di prodotti immediatamente e costituisce un avanzamento estremamente impor- facilmente utilizzabili». 2009 • DOSSIER • 131
IL VALORE DEL NOTARIATO
Al fianco del cittadino per guardare al futuro Continuare a dialogare con la politica, le amministrazioni, la società civile. Ma conservando intatte le prerogative del proprio ruolo: quello di custodi della certezza del diritto. Il presidente del Consiglio nazionale del notariato Paolo Piccoli, al termine del secondo mandato, valuta la strada percorsa. E quella ancora da affrontare Daniela Panosetti
Nella foto, Paolo Piccoli è stato eletto presidente del Consiglio nazionale del notariato nel 2004 e successivamente riconfermato per il triennio 2007-2010 Nella pagina a fianco un momento del 44° Congresso nazionale del Notariato, tenutosi a Venezia dal 21 al 24 ottobre.
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n detto molto appropriato ricorda che bisogna operare nel proprio luogo, ma pensare nel mondo. Per questo il notariato non può accontentarsi di “registrare” i cambiamenti o limitarsi all’impegno quotidiano individuale, pur essenziale, ma deve contribuire al bene comune avanzando proposte concrete a chi ha il dovere di decidere». Così il presidente Paolo Piccoli, durante l’ultimo convegno nazionale della categoria, intitolato, non a caso, “Accompagnando la società che cambia”, ha introdotto le “dieci proposte per la modernizzazione del Paese” elaborate dai notai. Solo l’ultimo passo di una presidenza durata due mandati, di cui oggi Piccoli tira le fila, in attesa di passare il testimone al suo successore. Al quale lascia soprattutto un auspicio: quello di non dare le spalle al futuro, ma di accompagnarlo nel suo percorso, anche quando è difficile. A febbraio concluderà il suo secondo mandato. Quale bilancio si sente di fare? «Sono stati sei anni intensi, durante i quali il Consiglio nazionale ha profuso tutte le sue energie per un notariato che fosse all’altezza dei suoi compiti, che potesse essere migliore, nella fedeltà alle sue secolari radici di fiducia e di garanzia della sicurezza giuridica. È stato, quello trascorso, uno dei periodi più difficili della storia della professione, un momento di grandi cambiamenti storici, economici e giuridici, nel quale due sistemi, civil law e common law, sono venuti a confronto, anche aspro, portando ciascuno grande fecondità di idee e utilità, ma creando anche sommovimenti di grande portata. Durante questo non agevole tragitto, il faro nel quale abbiamo sempre confidato è stato quello della pubblica funzione, che garantisce la certezza generale dei diritti, sempre più rilevante in un’epoca che vede la tecnologia accrescere rapidità ed efficienza, ma anche i rischi e le insidie, soprattutto per i soggetti più deboli». Quali sono in sintesi i principali obiettivi raggiunti in questi otto anni? «Molti, tanto che risulta difficile elencarli senza escluderne alcuni. Abbiamo sviluppato sempre più gli studi civilisti e societari, quella “cultura notarile” che ci è riconosciuta e invidiata in molte sedi. Sono stati sviluppati gli aspetti tecnologici applicati
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Paolo Piccoli
È stato, quello trascorso, uno dei periodi più difficili della storia della professione, un momento di grandi cambiamenti storici, economici e giuridici, nel quale due sistemi, civil law e common law, sono venuti a confronto, anche aspro, portando ciascuno grande fecondità di idee e utilità
alla professione, investendo oltre 14 milioni di euro nella Rete unitaria del notariato e nelle sue applicazioni. Per i giovani abbiamo ripetutamente chiesto concorsi annuali, ottenuto norme di modifica del concorso, abolito la preselezione, rafforzato l’attività delle scuole, attivato borse di studio, nella convinzione che sia necessario favorire la mobilità sociale, non l’abbassamento della selettività». Uno degli obiettivi dichiarati era di intensificare le relazioni esterne del notariato. Quali passi sono stati fatti in questo senso? «In primo luogo abbiamo rafforzato la comunicazione e i rapporti con i nostri interlocutori pubblici e privati, anche attraverso l’informazione gratuita in decine e decine di Comuni italiani. Ci siamo impegnati nei rapporti legislativi col mondo politico, non tanto per difendere posizioni di parte, ma per far comprendere i rischi di scelte che potrebbero essere esiziali per il Paese nell’indebolimento delle certezze giuridiche. Abbiamo rafforzato i rapporti con le associazioni dei consumatori e di categoria, col sistema bancario e soprattutto con la Pa, grazie al progetto “Reti amiche”. Ma abbiamo anche anticipato alcuni 2009 • DOSSIER • 161
IL VALORE DEL NOTARIATO
grandi temi sociali, come il testamento biologico, e collaborato
Da sinistra, l’inaugurazione del Salone della Giustizia di Rimini il 3 dicembre scorso con il ministro della Giustizia Angelino Alfano; il senatore Filippo Berselli; il presidente del Consiglio nazionale del notariato Paolo Piccoli
Compito del nuovo Consiglio sarà di portare tutta la categoria puntuale agli appuntamenti della storia, ad anticipare i tempi nuovi, a sentire il vento che soffia dal futuro
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con grande disponibilità alla repressione della criminalità, diventando il primo ordine professionale italiano ad assumere il ruolo e la responsabilità di interposizione in materia di antiriciclaggio». Lei si è trovato a guidare il Consiglio durante la più grave crisi economica degli ultimi trent’anni. Quali riflessioni ha tratto il notariato da questa esperienza? «Per parte nostra, è dall’inizio del mandato, in tempi non sospetti, che continuiamo ad ammonire che l’economia, soprattutto quella finanziaria, lasciata a se stessa rischia di generare mostri, poiché ha interesse al profitto mordi e fuggi, non al bene della persona e della comunità. E siamo stati i primi anche a parlare di economia sociale di mercato, di necessità di evitare la divaricazione tra economia reale e finanza speculativa, rivendicando una concezione umanistica, tipicamente europea, dell’economia, capace di occuparsi anche delle categorie socialmente più minacciate. Ora, dopo il disastro americano, sentiamo da più parti voci autorevoli dire alto e forte che non ci può essere sviluppo sostenibile senza etica, che “il mercato non è tutto”». Quali sfide rimangono aperte? Che augurio e auspicio lascia al suo successore? «Una nuova consigliatura è alle porte. Per parte nostra ci accingiamo, nonostante le difficoltà affrontate, a riconsegnare con orgoglio un notariato forte per uomini, donne, idee, programmi e prerogative. L’ultimo anno ha permesso di verificare che la politica della fedeltà alle istituzioni, della dedizione al bene comune, del dialogo costante ha creato un clima di maggiore serenità. Quello che conta, ed è così, è che il passaggio di testimone avverrà con un notariato intatto nelle sue istituzioni, le sue competenze essenziali e le sue possibilità di sviluppo. Certo i tempi sono difficili, la vigilanza deve essere costante e la nostra presenza deve continuare sul solco del binomio fecondo di tradizione e innovazione, senza lasciare indietro nessuno. Compito del nuovo Consiglio sarà di portare tutta la categoria puntuale agli appuntamenti della storia, ad anticipare i tempi nuovi, a sentire il vento che soffia dal futuro, avvalendoci della straordinaria opportunità di adattamento che la professione ci dà, pur preservando la funzione. Guai a noi se come l’Angelus Novus di Paul Klee che Walter Benjamin aveva nel suo studio andremo verso il futuro con lo sguardo verso il passato, volgendogli le spalle».
IL VALORE DEL NOTARIATO
Ordinamenti a confronto nella realtà globale Da un lato un sistema basato su regole scritte, imperanti. Dall’altro un modello che regge principalmente sull’interpretazione dei giudici. Ma è oggettivamente possibile giudicare quale, tra civil e common law, rappresenti la soluzione migliore? L’analisi di Maria Luisa Sperandeo Carlo Sergi
pinto da uno sviluppo politico ed economico sempre più internazionale, il confronto tra i due modelli di ordinamento giuridico alla base dei Paesi maggiormente industrializzati è, oggi, più che mai al centro del dibattito mondiale. E, in particolare, sono le figure garanti di giustizia a essere interpellate in un’analisi dal contenuto e dalla dialettica tanto vasta quanto complessa. Il notariato, in questo, deve rappresentare una guida. A parlarne è il notaio Maria Luisa Sperandeo. Il notaio illustra le peculiarità di civil e common law, analizzandone procedure, vantaggi e incongruenze. Cosa caratterizza il civil law? «In questo modello emerge l'importanza fondamentale del diritto scritto di creazione parlamentare, che costituisce un vincolo per tutti, compresi i giudici che devono fondare le proprie sentenze sui principi di carattere generale che tali norme esprimono adattandoli al caso concreto. Prevale una visione sociale di tutela delle parti socialmente più deboli, tutela che viene attuata mediante l'introduzione di norme imperative e la previsione di un controllo qualificato e imparziale delle contrattazioni. Nel giudizio prevale la prova scritta documentale, tra le quali l'atto pubblico notarile ha valore vincolato facendo pubblica fede fino a querela di falso». Mentre il common law si basa su un pre?
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supposto del tutto differente. «Esatto. Fonda sulle decisioni concrete dei giudici. Dal caso particolare si trae la regola. I giudici sono vincolati dalle decisioni di altri giudici gerarchicamente superiori ed esistono raccolte giurisprudenziali che evidenziano le norme, ma è difficile prevedere se la stessa regola verrà applicata in un altro caso, perché se questo presenta alcuni elementi fattuali diversi va applicata una regola diversa. Prevale una visione individualistica dei rapporti contrattuali che sono
Il notaio Maria Luisa Sperandeo all’interno del suo studio di Azzano decimo, in provincia di Pordenone adempimenti@notaiosperandeo.it
Modelli di riferimento
sottratti a interferenza dello Stato, ma anche privi di tutela preventiva». Un confronto oggettivo risulta difficile. «Sarebbe presuntuoso e non realistico sostenere aprioristicamente la maggiore bontà di un sistema piuttosto che di un altro. Il sistema di "civil law" garantisce una maggiore prevedibilità e certezza dei diritti, ma comporta una modificabilità più lenta. Viceversa il sistema di "common law" è più flessibile e consente al giudice di rispondere più rapidamente a istanze economiche, ma ciò comporta anche un’imprevedibilità delle decisioni giurisprudenziali». La mancanza della figura notarile nei Paesi anglosassoni è causa di minori tutele giuridiche? «Il notaio latino svolge un intervento fondamentale nella genesi del rapporto giuridico-economico. Da un lato egli è un consulente legale che raccoglie la volontà delle parti, dall'altro è un pubblico ufficiale con potere di certificazione della provenienza e di controllo della conformità degli accordi alla legge, nonché di rendere legalmente affidabili i dati contrattuali che il notaio stesso inserisce nei pubblici registri. Nel mondo anglosassone non esiste questo controllo ex ante». Cosa accade allora, in ambito contrattuale? «In Inghilterra e Stati Uniti il contratto è una partita privata che le parti giocano avvalendosi
ciascuno del proprio professionista, quindi secondo le proprie possibilità economiche, in un'ottica "adversarial", dove il giudice deve accertare che siano garantite la correttezza nell'esecuzione degli accordi contrattuali e il rispetto delle regole del giudizio. I pubblici registri sono in genere su base volontaria e i relativi dati necessitano di una verifica legale che viene svolta da un avvocato. Il "public notary" del mondo anglosassone non deve avere preparazione giuridica avendo solo funzione di certificazione dell'identità delle parti». Nella realtà globale quali prerogative deve mantenere la sua categoria? «La globalizzazione ha creato legami di interdipendenza, abbattendo confini e creando un nuovo modo di lavorare e di competere. Il notariato dovrà essere in grado di coniugare la rapidità e l’efficienza economica con il rispetto delle regole senza le quali, come dimostrano le recenti vicende internazionali e nazionali, non è neppure possibile fondare un reale sviluppo. È auspicabile un maggior avvicinamento dei vari sistemi giuridici con l'elaborazione di norme comuni nei settori di maggiore rilevanza non solo economica, ma anche sociale e politica, quali la tutela dell'ambiente, le possibili implicazioni delle conoscenze scientifiche e la sicurezza internazionale». 2009 • DOSSIER • 165
LE VIE DEL PROGRESSO
Innovazione e sviluppo per volare alto Un sistema diffuso ma debole. Con una qualità dei servizi spesso insoddisfacente. È il quadro che emerge dall’indagine conoscitiva sul settore aeroportuale italiano. Il presidente della Commissione trasporti della Camera, Mario Valducci reclama per il Paese strutture «competitive, efficienti e più grandi». E avverte «la proliferazione di aeroporti è costosa, insostenibile e dannosa» Alessandro Cana
l sistema aeroportuale italiano è costituito da circa cento aeroporti, di cui 47 registrano traffico commerciale con voli di linea. Sulla base dei dati relativi al 2008, i primi 20 aeroporti coprono il 94,76 per cento del traffico di passeggeri. Ancora più significativo è il fatto che soltanto 7 aeroporti hanno un volume di traffico superiore a 5 milioni di passeggeri l’anno e i primi 8 aeroporti (i 7 a rilevanza comunitaria e Ciampino) coprono, sempre sulla base dei dati riferiti al 2008, circa il 70 per cento del traffico passeggeri del Paese. «È evidente che l’Italia, nella situazione attuale, si trova ad avere un numero forse ec-
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cessivo di aeroporti aperti al traffico commerciale» osserva Mario Valducci, presidente della Commissione trasporti della Camera che mette in evidenza come, al tempo stesso, pur avendo una dimensione economica paragonabile a quella di Germania, Francia e Gran Bretagna, l’Italia non ha aeroporti di dimensioni analoghe a quelle degli aeroporti di LondraHeathrow, o di Parigi-Charles de Gaulle o di Francoforte-Meno, e neppure a quelle dell’aeroporto di Madrid-Barajas o di AmsterdamSchiphol. «Verrebbe da dire che, oltre a essere il Paese delle cento città siamo anche quello dei cento aeroporti».
State terminando l’indagine conoscitiva nel settore aeroportuale. Qual è il quadro che ne risulta? «Abbiamo un sistema aeroportuale diffuso, ma debole e scarsamente idoneo a fronteggiare le potenzialità di crescita del traffico aereo che rischia di essere impetuoso, anche per effetto delle compagnie low cost. Il traffico aereo che interessa l’Italia aumenterà da circa 130 a 230 milioni di passeggeri entro il 2020 o il 2025. Dobbiamo, dunque, evitare una proliferazione di aeroporti costosa, insostenibile e dannosa e recuperare la capacità di una programmazione nazionale della rete aeroportuale: non si può aprire un aeroporto solo per-
Mario Valducci
Nella foto, Mario Valducci, presidente della IX Commissione trasporti poste e telecomunicazioni
ché lo decide un ente locale perché alla fine a pagare siamo tutti. Occorre concentrare gli investimenti per l’intermodalità che è un altro problema italiano. Basti un dato: soltanto 6 aeroporti hanno collegamenti con la rete ferroviaria e nessun aeroporto ha collegamenti con la rete ferroviaria ad alta velocità; se si considerano gli studi e i progetti in corso soltanto due aeroporti potranno essere collegati con la rete ad alta velocità. Occorre quindi ripensare gli investimenti per le infrastrutture aeroportuali e il loro finanziamento». C’è poi la questione della qualità dei servizi negli aeroporti, non sempre adeguata.
«Occorre promuovere una migliore qualità, sia mediante opportune misure gestionali, ovvero sedi di confronto regolare tra tutti i soggetti che operano nell’aeroporto, sia mediante interventi legislativi mirati a semplificare gli adempimenti, a garantire pari condizioni per gli operatori e un’effettiva concorrenza, a ridurre i costi per i passeggeri. Dall’indagine è emersa la necessità di definire meglio le competenze dell’Enac, per il quale vi è la necessità di un ruolo più incisivo sia per i rapporti tra società di gestione degli aeroporti e compagnie aeree, sia per la qualità dei servizi per i passeggeri». Le infrastrutture rappresentano
una delle leve fondamentali per il rilancio del Paese. Quali sono i passi più urgenti a tal proposito? «Su questo il governo ha le idee molto chiare e la maggioranza è forte e coesa nel sostenere il programma delle grandi opere. Ovviamente la priorità è completare il programma previsto che include interventi che porteranno l’Italia ad essere più moderna e competitiva. Recentemente il Cipe ha sbloccato i fondi per la realizzazione di opere fondamentali, tra cui l’asse stradale Pedemontana Lombarda, le metropolitane M4 e M5 di Milano, il primo lotto del tratto dell’alta velocità noto come terzo valico dei Giovi che unirà Ge- 2009 • DOSSIER • 167
LE VIE DEL PROGRESSO
La maggioranza è forte e coesa nel sostenere il programma delle grandi opere. La priorità è completare il programma di interventi previsto che porteranno l’Italia a essere più moderna e competitiva
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nova a Milano e i primi lavori per il ponte sullo Stretto. Queste opere sono tra le prime che verranno realizzate del piano che prevede investimenti per complessivi 16,6 miliardi di euro, con infrastrutture fondamentali come la ferrovia MessinaCatania che va raddoppiata o la costruzione della terza corsia sulla Salerno-Reggio Calabria. C’è poi l’alta velocità, che ormai è una realtà nel Paese e, a oggi, riguarda circa 18 milioni di nostri concittadini». In che misura le telecomunicazioni possono dare, concretamente, un supporto significativo alla crescita dell’economia? «La vecchia ricetta keynesiana di investimenti pubblici in infrastrutture per rilanciare l’economia è sempre valida, soprattutto in una fase appena “post-recessiva” come l’attuale. Uno
studio del governo giapponese, come ha fatto notare il presidente Agcom Corrado Calabrò nella sua relazione al Parlamento del 2008, prevede che, a fronte di un investimento di 50 miliardi di dollari nel progetto di cablatura in fibra ottica dell’intero Paese, vi sia un incremento netto del prodotto interno lordo pari a circa 1.500 miliardi di dollari. Applicando la stessa strategia in Italia, può calcolarsi che la crescita del Pil legata allo sviluppo della larga banda possa arrivare all’1,5%-2%. Da uno studio del 2006 del dipartimento Commercio degli Stati Uniti emerge che le comunità in cui è presente la banda larga hanno avuto una crescita maggiore nella creazione di nuovi posti di lavoro. Sono quindi ormai chiari ed evidenti i benefici in termini economici della banda larga».
LE VIE DEL PROGRESSO
L’Italia dei cento aeroporti Ogni città uno scalo Valerio Catullo, Galileo Galilei e l’Aeroporto d’Abruzzo: tre aeroporti diversi, ognuno con la sua identità. Tra low cost, charter e voli di linea. Aziende in crescita, come spiegano il direttore generale veronese Massimo Soppani, il presidente abruzzese Vittorio Di Carlo e l’amministratore delegato di Pisa Gina Giani Federica Gieri
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aese che vai, piste che trovi. Sono poco meno di un centinaio gli scali piccoli, medi o grandi che punteggiano lo Stivale. Ognuno con la propria identità. Al Valerio Catullo di Verona rullano charter (35%) e voli di linea (50%), i low cost si attestano sul 15% con graduale espansione fino al 40%; a Pisa, al Galileo Galilei, i low cost sono l’80% insieme a quelli
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“normali” e a Pescara, all’aeroporto d’Abruzzo, regnano i low cost, che raggiungono quota 70%. Un campanilismo che, per Massimo Soppani, direttore generale della società Aeroporto Valerio Catullo di Verona, «non sembra giovare a nessuno. Gli aeroporti, oggi più che mai, si devono confrontare con le esigenze specifiche del proprio bacino di riferimento e con l’of-
Gli aeroporti d’Italia
ferta degli scali limitrofi, strutturandosi sempre più secondo una logica di specializzazione». Cambia prospettiva, invece, Vittorio Di Carlo, presidente Saga, società che gestisce l’Aeroporto d’Abruzzo: «È legittimo che le amministrazioni locali, nell’interesse dei cittadini, della mobilità necessaria alle aziende e del turismo, favoriscano e sostengano gli aeroporti del territorio di riferi-
mento. La penalizzazione, piuttosto, è dovuta a una mancanza di programmazione a livello centrale che dovrebbe far sì che il divario tra le diverse aree del paese sia progressivamente ridotto affinché tutti i cittadini abbiano le medesime opportunità di accesso ai servizi». Valerio Catullo, Galileo Galilei e Aeroporto d’Abruzzo: realtà industriali differenti. A cominciare dai bacini. Verona pesca nel Nord Est e, in particolare, nelle province di Verona, Trento, Mantova, Brescia, Vicenza e Bolzano. Un potenziale di circa 6 milioni di abitanti e 650 mila imprese. Al centro, Pescara copre Abruzzo, Molise, il Sud delle Marche e il Nord della Puglia (2,5 milioni
In queste pagine, da sinistra, l’aeroporto Valerio Catullo di Verona, il Galileo Galilei di Pisa e l’Aeroporto d’Abruzzo di Pescara
di abitanti). Mentre Pisa, grazie alle strategia del Reverse Marketing, evidenzia Gina Giani, amministratore delegato e direttore generale Sat, società di gestione dello scalo, «promuove e sviluppa il traffico, oltre che sul bacino di traffico regionale (outgoing), soprattutto su quello europeo (incoming), collegando le diverse città europee con la Toscana. Ad oggi, il 75% del traffico passeggeri è rappresentato da passeggeri incoming. In pratica il bacino di traffico si estende ben oltre l’area della costa e del centro Toscana (2.5 milioni di abitanti) e s’identifica con gli abitanti delle metropoli europee e non solo». Robusti gli indotti, a sei zeri, generati dai tre scali. «Tra di- 2009 • DOSSIER • 171
LE VIE DEL PROGRESSO
Di Carlo «È legittimo che le amministrazioni locali sostengano gli aeroporti del territorio. La penalizzazione, piuttosto, è dovuta ad una mancanza di programmazione a livello centrale che dovrebbe far sì che il divario tra le diverse aree del paese sia ridotto»
Qui sopra, dall’alto, Massimo Soppani, direttore generale della società Aeroporto Valerio Catullo di Verona; Vittorio Di Carlo, presidente Saga, società che gestisce l’Aeroporto d’Abruzzo; Gina Giani, amministratore delegato e direttore generale di Sat, società che gestisce l’aeroporto Galileo Galilei di Pisa
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pendenti diretti e indiretti – rivela Di Carlo – l’indotto lavorativo è stimabile in circa 450 unità. La ricaduta economica generata sull’economia regionale è stimata in circa 50 milioni di euro all’anno, considerando il solo indotto sul comparto turistico-ricettivo regionale». Un peso specifico pesante che, ricorda Giani, a Pisa «nel 2008, a fronte di 55 milioni di ricavi, l’impatto sul territorio è stimato nell’ordine di 960 milioni. Dal 1998, l’impatto economico complessivo è cresciuto del 231,4% in linea con il traffico. Considerando poi che il 75% dei nostri passeggeri viene da fuori Toscana, le ricadute sul territorio sono assai superiori». Matematica l’operazione di Verona. Circa mille gli occupati dell’aeroporto «ogni milione di passeggeri – calcola il direttore generale del Catullo –. E noi, quest’anno, chiuderemo con circa 3 milioni di passeggeri». Verona, Pisa e Pescara: aziende pubbliche (la maggioranza è in mano agli enti locali) che crescono anche in un momento non prosperoso. «Negli ultimi anni – spiega il presidente di Saga - i passeggeri sono au-
mentati del 26%. Contiamo di chiudere il 2009 a quota 410mila, dimostrando una continuità nella crescita. Ciò dimostra la vivacità della nostra azienda e del territorio che, nonostante la crisi a e gli eventi drammatici che hanno colpito la nostra regione, esprime potenzialità di crescita». Un diagramma con curve che puntano in alto anche quello registrato dallo scalo pisano. «Siamo passati dai 1.982.897 passeggeri nel 2003 ai 3.963.717 nel 2008 – quantifica l’ad del Galilei –. Il numero delle destinazioni servite è cresciuto da 21 nel 2003 a 62 nel 2009 e le frequenze settimanali sono passate da 272 a 419. Quest’anno, l’aeroporto cresce del 2,1%». Più altalenante, invece, la situazione veronese. «Quelli del nuovo millennio – osserva il direttore generale della società veronese – sono stati anni di grande crescita in termini di passeggeri, passati dai 2,6 milioni del 2004 ai 3,5 milioni del 2007. Trend di crescita non confermato nei due anni successivi, a causa della contrazione dei consumi provocata dalla recessione globale. Verona
Gli aeroporti d’Italia
ha risentito in modo particolare della crisi per la forte componente charter che caratterizza il traffico dello scalo (Verona è il secondo aeroporto charter d’Italia). Negli ultimi mesi 2009, però, si sono intravisti i primi segnali di ripresa con un inversione positiva nell’andamento del traffico passeggeri di novembre». Insomma si sale e si scende di più dagli aerei. Con mete a medio e lungo raggio. Ciò spinge le tre società a mettere in bilancio risorse per espandersi. A Pescara, Saga, annuncia Di Carlo, «ha messo a punto un piano di investimenti del valore di circa 60 milioni di euro, tra finanziamenti pubblici ed autofinanziamento, da realizzarsi da adesso al 2030, quando si prevede che i passeggeri su-
perino il milione l’anno». Stessa prospettiva sviluppo anche per il Galileo Galilei. Crescendo i viaggiatori, «anche la struttura ricettiva dell’aeroporto è stata ampliata – rende noto Giani –. Sono stati realizzati investimenti importanti per 45 milioni nel 2007–2009. Quest’anno abbiamo realizzato l’ampliamento sala partenza di 800 metri quadrati con un incremento di circa 300 per nuovi spazi commerciali e abbiamo ingrandito il nuovo parcheggio low cost con ulteriori 550 posti auto per un totale di 1.050 posti auto low cost complessivi. In fase di completamento, l’adeguamento della pista secondaria. Per l’estate 2010 sarà ultimato il nuovo Cargo Village. Nel triennio 20102012 Sat prevede di investire
50 mln INDOTTO
A tanto ammontano le ricadute sul territorio generate dall’Aeroporto d’Abruzzo; 960 milioni quelli attribuibili a Pisa
6 mln ABITANTI
È il bacino di potenziali viaggiatori dell’aeroporto di Verona; 2,5 milioni quelli che possono usufruire dello scalo di Pescara o di quello di Pisa
ulteriori 60 milioni». Non è da meno, «il Catullo che ha ottenuto la categoria IIIB per gli atterraggi in bassa visibilità – spiega Soppani –, effettuato un prolungamento della pista, realizzato un hangar per la manutenzione degli aeromobili e inaugurato il nuovo terminal arrivi. Contestualmente è iniziata la ristrutturazione del corpo originale dell’aerostazione per convertirlo in una più ampia e funzionale area dedicata interamente alle partenze. A ciò si aggiunge il rifacimento della viabilità aeroportuale con l’incremento dei posti auto a disposizione dei passeggeri. I prossimi investimenti si concentreranno nell’incremento degli spazi commerciali e delle aree parcheggio». 2009 • DOSSIER • 173
LE VIE DEL PROGRESSO
L’Europa ci chiede di potenziare la logistica Intermodalità e logistica. Sono i due obiettivi dell’Interporto Centro Ingrosso di Pordenone, una delle piattaforme logistica di riferimento del Friuli Venezia Giulia. Ne parla l’ad Gerardo Ciriani che afferma: «Puntiamo a creare un Sistema Piattaforma Regione insieme a Venezia, Monfalcone e Trieste per attrarre traffici nell’area dell’Alto Adriatico» Martina Genova
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l Friuli Venezia Giulia è un’area-snodo fondamentale nel nuovo scenario economico e politico che si è delineato in seguito al dissolvimento del blocco orientale e al graduale allargamento del mercato unico verso l’Europa dell’Est. La regione è, infatti, attraversata dal Corridoio paneuropeo 5 Barcellona-Kiev, il nuovo asse plurimodale che collegherà le economie e le società del Sud Europa in un asse ideale tra Est e Ovest, attraverso le regioni che si affacciano sul Mediterraneo. «Sotto questo profilo, l’Interporto – Centro Ingrosso di Pordenone – spiega Gerardo Ciriani, ad della società – rappresenta una delle piattaforme logistiche di riferimento». Com’è cambiata la strategia di sviluppo dell’Interporto nel nuovo scenario politico ed economico europeo? «Vivere in maniera propositiva la felice collocazione che ci caratterizza. Nella pratica questa strategia si traduce nello sviluppo e nel potenziamento delle infrastrutture per la logistica e l’intermodalità finalizzata alla crescita sinergica del sistema economico della provincia di Pordenone, accompagnata da un miglioramento della qualità
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Gerardo Ciriani è amministratore delegato di Interporto Centro Ingrosso di Pordenone Spa. In alto, l’ingresso della struttura. Sotto, una visuale dell’interporto e intermodale dall’alto www.interportocentroingrosso.com
del territorio legata alla razionalizzazione e al trasferimento di quote di traffico merci dalla strada alla ferrovia e alla capacità che essa ha di creare opportunità anche sotto il profilo occupazionale». Intermodalità e logistica. Sono queste le parole d’ordine per l’Interporto. Qual è l’obiettivo dei recenti investimenti infrastrutturali?
730mila MQ
Su cui si estende l’Interporto Centro Ingrosso di Pordenone. Di questi, 530mila mq sono destinati alla logistica e 200mila mq al commercio all’ingrosso
«Gli investimenti sono indirizzati a dare risposte concrete all’intermodalità e alla logistica e alle crescenti richieste degli operatori del settore e delle attività produttive. La strada intrapresa è quella dello sviluppo e del potenziamento dell’area come centro logistico, centro intermodale di scambio gomma-rotaia per il trasporto delle merci e di favorire un gene-
rale innalzamento competitivo dei sistemi economici e produttivi locali, Pmi, aziende distrettuali e grandi imprese». In che modo l’Interporto si coordina con i porti di Trieste, Monfalcone e Venezia? «Si tratta di tre nodi fondamentali di una rete per la definizione di un moderno e adeguato sistema logistico. Perché sia un sistema efficace ed efficiente si dovrà sviluppare un dialogo reciproco con azioni comuni a livello organizzativo e di marketing per attirare maggiori flussi di traffico. Ciò sarà possibile solo se potremo disporre di una rete infrastrutturale, in particolare ferroviaria, adeguata alle necessità, all’efficienza e alle capacità che i nuovi mercati globali richiedono a chi svolge in questo contesto un ruolo di primo piano. L’obiettivo è creare un Sistema Piattaforma Regione che attragga i traffici nell’area dell’Alto Adriatico». 2009 • DOSSIER • 175
EDILIZIA MILITARE
Un patrimonio di straordinario valore Caserme, arsenali, forti. Il patrimonio del Ministero della Difesa è immenso ma non sempre adeguato alle esigenze. Per questo si è deciso di metterne in vendita una parte. Come spiega il sottosegretario Guido Crosetto «per ridare fiato all’economia e creare nuovi posti di lavoro» Giusi Brega
l patrimonio immobiliare del ministero della Difesa italiano comprende una vastissima tipologia di edifici, sparsi su tutto il territorio nazionale. Caserme, depositi, forti e arsenali. Molti di questi risalgono al periodo della seconda guerra mondiale se non addirittura a epoche precedenti. Dal punto di vista funzionale, buona parte di queste infrastrutture non è più in linea con le attuali esigenze della Difesa. «È stato già avviato il processo di individuazione di tutti i possedimenti demaniali che, in relazione alle loro caratteristiche strutturali, di posizione e di possibile utilizzazione commerciale potrebbero essere posti sul mercato» conferma il sottosegretario alla
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Difesa Guido Crosetto facendo riferimento in particolare alle costruzioni riconvertibili ad usi civili in specifici settori di interesse, quali quello propriamente residenziale o professionale, quello industriale comprendente depositi e arsenali, e quello turistico-alberghiero. Proprio per annunciare questa iniziativa, il ministero della Difesa italiano ha partecipato al salone mondiale Mipim 2009 di Cannes, presentando un considerevole repertorio fotografico dei siti di cui già si prospetta l’alienazione e, quindi, la conseguente immissione sul mercato immobiliare. Una volta che il patrimonio immobiliare del ministero della Difesa sarà reso accessibile alla fruizione dell’imprenditoria
del settore, si rivelerà una novità di assoluto interesse poiché «la maggior parte degli insediamenti militari nel nostro Paese rappresentano un valore storico, architettonico e paesaggistico di inestimabile valore». A quanto ammonta il patrimonio immobiliare del
Il ministero della Difesa sta “tesorizzando” i propri beni. Si tratta di un’opportunità straordinaria per ridare fiato all’economia e creare, laddove possibile, anche nuovi posti di lavoro
Guido Crosetto
UNA RISORSA O UNA SCOMODA EREDITÀ? ndubbiamente i numeri sono impressionanti. In Italia, il demanio militare occupa 783 chilometri quadrati, e il Veneto è in testa alla classifica con i suoi 102 chilometri quadrati, più di due volte e mezzo la superficie di Pordenone. Secondo un’indagine della Procura militare di Padova, in Friuli Venezia Giulia attualmente ci sono 407 beni tra ex caserme, arsenali, depositi, ospedali, basi, poligoni, polveriere e alloggi dell’esercito lasciati abbandonati. Non mancano, però, esempi di riconversione avviati in regione, tra i quali l’ex caserma Luigi Sbaiz di Visco, insediata su quello che fu un campo di concentramento, sito che il Comune vorrebbe vendere ma che molti chiedono sia trasformato in un Museo del Confine che promuova progetti e attività di educazione alla pace; l’ex caserma Bevilacqua di Spilimbergo, già riconvertita e, oggi, Corte Europa con spazi per le imprese, espositivi e parcheggi; l’ex caserma di Gradisca, centro di permanenza temporanea. Emblematica la situazione di Chieti. Tre le strutture militari: l’ex ospedale militare, il distretto militare e la Caserma Berardi. Proprio quest’ultima è sede del 123mo reggimento dell’esercito che accoglie appena 400 volontari. Centinaia di metri quadrati completamente inutilizzati tenuti in stato di abbandono, mentre proprio a Chieti l’esigenza di tali spazi è oramai urgente e inderogabile come più volte segnalato dal sindaco della città alle autorità militari.
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ministero della Difesa? «Il patrimonio del ministero della Difesa è immenso e assolutamente variegato. Va, infatti, da siti di interesse storico e culturale, ai fari, ai poligoni militari, a strutture poste nel centro delle città. Per comprendere la vastità di questo patrimonio è sufficiente che ci si soffermi a pensare agli edifici e alle strutture della Difesa presenti nei propri comuni e che li moltiplichi, anche genericamente, per ogni comune italiano. Il dato che balzerà subito nelle menti di ciascuno è di una straordinaria molteplicità di beni che, laddove non più di interesse specifico, possono essere destinati alle più disparate funzioni, incluse quelle sociali, in cambio di nuove risorse da
destinare all’ammodernamento di quelle strutture che permangono alla Difesa o alla creazione di nuovi alloggi per il personale». Quali sono le iniziative che il ministero ha intrapreso per valorizzare e razionalizzare il proprio patrimonio immobiliare? «La Difesa grazie al disposto di cui all’articolo 14 bis della legge 133/2008, sta “tesorizzando” i propri beni procedendo direttamente a dismettere quelli ritenuti in esubero e non più funzionali alle proprie esigenze e coinvolgendo in questa operazione, che definirei epocale, gli enti locali. Questi ultimi hanno recepito In apertura, il sottosegretaria alla Difesa Guido Crosetto. con immediatezza la bontà In alto, la Caserma La Marmora a Torino dell’operazione e quotidianamente si rivolgono al sotto-
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EDILIZIA MILITARE
A fianco, dall’alto, ex Caserma della Guardia di Finanza località Cave del Predil, Tarvisio, ex caserma capitano vecchi, Cremona
La Difesa aliena un bene che avrebbe continuato a costituire una spesa inutile, l’acquirente entra in possesso di un bene che gli interessa ed i comuni oltre a ricavarne un 15% dall’alienazione hanno il vantaggio di avere nel proprio territorio un sito utilizzato al posto di uno abbandonato e vetusto
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scritto e agli uffici competenti al fine di valutare l’ipotesi di accordi e programmi di intesa volti all’acquisizione, da parte di terzi, dei beni non più di interesse della Difesa. Si tratta di un’opportunità straordinaria per ridare fiato all’economia e creare, laddove possibile, anche nuovi posti di lavoro». In che modo sarà gestita la vendita? «La vendita sarà gestita dagli organi tecnici del ministero, Geniodife, previa la valorizzazione dei beni e il cambio di destinazione d’uso da parte dei comuni interessati, che in forza delle normative vigenti avranno diritto al 15% delle plusvalenze ricavate dall’alienazione dei beni. Il vantaggio dall’effettuazione di queste operazioni per ogni parte interessata è assolutamente evidente: la Difesa aliena un bene non più di interesse e che avrebbe continuato a costituire una spesa inutile, l’acquirente entra in possesso di un bene che gli interessa ed i comuni oltre a ricavarne un 15% dall’alienazione hanno altresì il vantaggio di avere nel proprio territorio un sito finalmente utilizzato in luogo di un sito abbandonato e vetusto». Si parla anche dell’eventualità di pervenire a un federalismo patrimoniale che, se dovesse passare, riguarde-
rebbe anche il patrimonio della Difesa. Quali sono gli eventuali vantaggi o svantaggi derivanti da questa operazione per i cittadini e come vede il ministero tale operazione? «Sono sempre stato contrario alla “dote” come principio, ma ancor di più ai regali tra istituzioni. Per cui non vedo, in un Paese come l’Italia, con un debito pubblico a livelli record, come possa immaginarsi di trasferire gratuitamente, sia pure ad altre amministrazioni pubbliche, l’unica risorsa disponibile in grado di ridimensionare il deficit. A meno che, insieme al patrimonio, si decida di ripartire in proporzione anche una quota di debito. Non è infatti possibile pensare ad uno Stato che si tiene tutti i debiti e trasferisce tutto il patrimonio. Sarebbe un bell’esempio di bancarotta fraudolenta. La Difesa il suo contributo al risanamento dei conti pubblici l’ha già versato, in anticipo. Proprio lo scorso dicembre è stato siglato con l’Agenzia del demanio l’ultimo dei tre accordi previsti dalla Finanziaria 2007 con il quale abbiamo ceduto gli ultimi 40 immobili, per un totale di diverse centinaia ed un valore di mercato di miliardi di euro, senza che il Dicastero ne abbia tratto alcun vantaggio».
EDILIZIA Difficoltà del sistema
Normative da “ristrutturare” I costruttori sono fermi. E con loro si è fermato l’indotto. Il Piano Casa è un concreto tentativo di rilanciare l’edilizia. Ma si scontra con le difficoltà delle realtà locali e con la rigidità della normativa. Giulio Comani della Mizar fa il punto sul settore Adriano Cestari
l settore vive un momento di grande difficoltà. Anche se il prodotto che offriamo è un bene durevole, sentiamo fortemente la riduzione della liquidità circolante». A parlare è Giulio Comani, titolare della Mizar Srl di Pescara, il quale sottolinea come la perduta sicurezza sul lavoro e la vacillante fiducia nella possibilità di mantenere il proprio reddito ha indotto molti ad attendere gli sviluppi futuri della crisi economica mondiale, per decidere se e quando impegnarsi
I Una realizzazione della Mizar Srl di Pescara www.mizarimmobiliare.it
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nell’acquisto di una casa. Qual è la situazione del settore edile? «Molti costruttori sono stati costretti a fermarsi. E con loro si è fermato l’indotto, generando una spirale negativa che si dovrebbe tentare di fermare con misure di natura economica e finanziaria, ma anche, e soprattutto, di fiducia nella nostra capacità di risolvere i problemi». Come giudica la normativa di riferimento? «Tutte le norme sono migliorabili. Quelle tecniche sono, inoltre, soggette a cambiamenti per
adeguarsi al progredire delle tecnologie. Quelle che più di altre hanno comportato una rivisitazione del modo di progettare sono le norme relative all’isolamento termico e acustico degli edifici. Un miglioramento potrebbe arrivare da un coordinamento tra le diverse sezioni tecniche: accade spesso che la soluzione che consente di rispettare un parametro comporti di eccedere i limiti di un altro». Crede che il Piano Casa del governo rilancerà il settore? «Il Piano Casa dimostra che il governo ha ben presente l’importanza del settore per il Paese ed è un concreto tentativo di ridare slancio all’edilizia. Buone intenzioni che si scontano però con le difficoltà delle realtà locali e la rigidità delle normative». Quali altri strumenti potrebbero essere adottati? «Il settore soffre dell’appesantimento della burocrazia e di una normativa che sembra fatta apposta per ostacolarci. Va dato atto al governo del tentativo di ridurre i tempi delle procedure. Il prossimo passo potrebbe essere un riassetto più ampio dell’intera normativa in un’ottica moderna e trasparente».
PATRIMONIO ITALIA
Basta con i soliti luoghi comuni È l’arte, bellezza Le bellezze naturali, la cultura, le tradizioni. Ma fuori dal turismo tradizionale e abitudinario. «Perché l’Italia è un’opera d’arte» sottolinea Vittorio Sgarbi. E ci sono luoghi «imprevedibilmente seducenti» che meritano «lo stesso interesse e la stessa attenzione di quelli più conosciuti» Giusi Brega
Italia è terra di grandi bellezze, naturali e culturali. E viaggiare da nord a sud della Penisola è scoprire sempre nuove emozioni. Ma, al di fuori dei luoghi di turismo tradizionali, mete affezionate dei turisti più consuetudinari, ci sono posti di toccante bellezza spesso trascurati o ritenuti, a torto, secondari. Inseguendo un’idea, un sogno, un’intuizione si scoprono le insospettate seduzioni di città, campagne, siti archeologici o naturalistici. Luoghi letterari, religiosi, aspri, romantici. «Un patrimonio inestimabile – sottolinea Vittorio Sgarbi – che gli italiani hanno la fortuna di avere, ogni giorno sotto gli occhi. E che tutto il mondo ci invidia». Se dovesse tracciare un percorso ideale di bellezze
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Vittorio Sgarbi storico e critico d’arte. Nell’altra pagina, La Rotonda di Palladio, a Vicenza
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Vittorio Sgarbi
Edifici di grande valore storico e architettonico devono essere considerati alla stregua di una poesia del Pascoli. Non è possibile pensare di distruggerli
da nord a sud del nostro Paese, cosa suggerirebbe? «Partendo da nord ovest non esiterei a iniziare dal Sacro Monte di Varallo, un complesso monumentale formato da 43 cappelle distribuite lungo un percorso che si dipana nel verde della collina sopra Varallo. Sono luoghi af-
fascinanti, ai quali recentemente mia sorella Elisabetta ha dato spazio con dei film che raccontano le storie di Cristo, mostrando sotto una luce inedita questo tesoro dove si raccolgono le opere di maestri della pittura e della scultura italiana imprescindibili come Gaudenzio Ferrari, Tanzio da Varallo, Pier Francesco Mazzucchelli detto “il Morazzone” e Gherardini. Andando oltre e toccando altri “Sacri Monti”, arriverei a Biella, al Santuario della Madonna Nera di Oropa che sorge a 1.200 metri di altitudine ed è il più celebre luogo
di pellegrinaggio del Piemonte, uno dei più importanti d’Italia e forse il più antico santuario mariano dell’occidente, in un bellissimo scenario naturale. A Cerveno, c’è la via Crucis realizzata da Beniamino Simoni: 198 statue a grandezza naturale, in legno e stucco, che rappresentano la passione di Gesù, dal momento della condanna, fino alla sepoltura. Le statue sono distribuite in 14 cappelle, disposte lungo una gradinata a cui si accede dalla chiesa parrocchiale. Andando verso est, sempre rimanendo a nord, non posso 2009 • DOSSIER • 189
PATRIMONIO ITALIA
non citare due meraviglie nel provincia di Belluno». bellunese, la Certosa di Vedana, immersa nel Parco delle Dolomiti bellunesi, in un luogo di grande fascino, tra prati e boschi. La struttura originaria era un ospizio, poi tramutato in Certosa nel 1456 e quindi accresciuto di edifici e del grande chiostro. Da qui, mi sposterei verso l’Abbazia di Santa Maria a Follina vicino a Treviso e assolutamente ad Aquileia, per visitare la Basilica che possiede uno dei mosaici più grandi e più antichi. E poi, sicuramente a Cividale. Innumerevoli meraviglie si possono trovare scendendo verso Verona. Penso alle ville palladiane, o alle opere del Boccaccino, che ne ha lasciata una bellissima vicino a Tribano in
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Alcune grandi città italiane, come Torino, hanno saputo recuperare grazie alla cultura un ruolo di primo piano, che le ha messe a pari merito con altre città di più lunga “tradizione culturale”. Operazioni di questo tipo possono essere riproponibili in territori più “defilati” e in città di più piccole dimensioni? «Le grandi città sono maggiormente predisposte in termini di opportunità di accoglienza di grandi flussi turistici, aspetto che rende più semplice il rilancio di tutto il settore culturale. Tuttavia, ci sono anche città dalle dimensioni più contenute che hanno saputo puntare sulla
Ferrara, Siena e Lucca sono città dalle dimensioni più contenute che hanno saputo puntare sulla sfida culturale, e hanno vinto
sfida culturale, e hanno vinto. Mi vengono in mente Ferrara, Siena e Lucca con le loro attività, i festival, i luoghi espositivi dedicati e la creazione di musei di arte contemporanea. Tutte iniziative che hanno permesso a questi luoghi di essere, in un certo senso, “rivisti”». Spesso il fascino di certi luoghi viene scoperto prima dagli “stranieri”, che dalle persone che lo abitano. È possibile allenare la mente a riscoprire, o scoprire per la
Nella foto sopra, il complesso della basilica di Aquileia. Nella pagina accanto, in alto, la cappella del Peccato originale o di Adamo ed Eva presso il Sacro Monte di Varallo. A destra, Palazzo dei Diamanti a Ferrara, sede di importanti mostre d’arte
Vittorio Sgarbi
prima volta, la bellezza anche nei luoghi familiari, che sono quotidianamente sotto gli occhi? «È una condizione tipica italiana quello di vivere immersi nella bellezza. Ma sono sicuro che è sicuramente possibile allenarsi a riscoprire le meraviglie che ci sono nel nostro Paese e che tutto il mondo ci invidia». Uno dei punti deboli dell’Italia è la capacità di tutelare il patrimonio culturale. In linea generale, quali dovrebbero essere le linee strategiche da seguire per raggiungere questo obiettivo? «Il governo vigila sulla tutela del patrimonio culturale attraverso le Soprintendenze che molto spesso sono di-
stratte e permettono degli scempi deprecabili. Solo per fare un esempio, tempo fa a Morazzone, vicino a Varese, è stata permessa la distruzione di villa Bianchi, risalente agli anni Venti. Un edificio liberty così ben conservato da non avere neanche bisogno di restauro. Queste cose non dovrebbero mai succedere. Un edificio di quel valore storico e architettonico deve essere considerato alla stregua di una poesia del Pascoli. Non è possibile pensare di distruggerlo. In Italia non mancano gli strumenti per la salvaguardia dei beni architettonici. Il problema è che vengono applicati in modo distratto e inadeguato». 2009 • DOSSIER • 191
PATRIMONIO ITALIA
Non è solo una ricchezza da proteggere «Quello nella cultura è il miglior investimento che si possa fare: non solo per il rilancio civile e culturale del Paese, ma anche per promuoverne lo sviluppo economico». Parola di Sandro Bondi, ministro per i Beni e le attività culturali Alessandro Cana
a cultura può essere uno strumento di crescita e di promozione dell’Italia nel mondo, se si riesce a valorizzarla attraverso progetti qualificanti che coinvolgano pubblico e privato. Il nodo della questione secondo Sandro Bondi, ministro per i Beni e le attività culturali, sta proprio qui: nel saper coinvolgere anche finanziatori privati. Perché, spiega il ministro, le risorse pubbliche «non devono essere l’unico sostegno dell’impresa culturale» e non bisogna aver paura di «lasciare il campo all’iniziativa privata». Pubblico e privato insieme, dunque. Al lavoro per trasformare la cultura italiana in un volano per l’economia. Quali sono le strategie da mettere in campo per sostenere economicamente la con-
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servazione e la promozione dei beni culturali? «Credo che sia arrivato il momento di pensare a sistemi di finanziamento indiretti a sostegno della cultura, come la defiscalizzazione degli investimenti. Questo non solo aumenterebbe le risorse ma libererebbe energie, rendendo autenticamente libera la produzione culturale. Anche se ritengo che un sostegno pubblico vada sempre riconosciuto alla cultura, tuttavia occorre trovare forme di controllo improntate alla migliore efficienza nell’impiego di risorse statali». Qual è la sua opinione in merito alle fondazioni pubblico-private come soggetto incaricato di gestire e promuovere la cultura italiana? «Le fondazioni sono uno strumento fondamentale a cui
dobbiamo ricorre per coinvolgere i privati in una più stretta collaborazione per la valorizzazione del nostro patrimonio culturale. In questo senso abbiamo già siglato un accordo con il presidente di tutte le fondazioni bancarie, il professor Guzzetti. Siamo già operativi con un gruppo di lavoro comune, finalizzato al finan-
Sandro Bondi, ministro per i Beni e le attività culturali. Alle sue spalle Narciso di Caravaggio (Roma, Galleria nazionale d’arte antica)
Sandro Bondi
ziamento di grandi progetti nel campo della cultura e dei beni culturali, tra i quali anche quello della Grande Brera a Milano. Importante, dal punto di vista del ministero della Cultura, è ottenere il contributo delle fondazioni sui grandi progetti qualificanti, specialmente per quanto riguarda i musei e le grandi aree
archeologiche di cui l’Italia è ricca». La cultura italiana può e deve diventare una sorta di “industria” in grado di trainare l’economia del Paese? «Sono convinto che la cultura e lo sviluppo siano destinati a camminare sempre più fianco a fianco. A fine settembre si svolgerà presso la Villa Reale di
Monza il Forum annuale Unesco per la cultura e le industrie culturali. È un evento unico nel suo genere cui parteciperanno esponenti istituzionali, imprese, attori pubblici e privati, accomunati dalla volontà di valorizzare il sicuro apporto delle industrie culturali alla crescita economica. Durante il Forum Paesi emergenti e Paesi 2009 • DOSSIER • 193
PATRIMONIO ITALIA
in via di sviluppo potranno at- e restauratori danno alla con- tutti gli uomini di cultura che tingere a un bacino di expertise ed esperienze maturate dal nostro e da altre nazioni nel settore delle industrie culturali, comparto strategico per il rilancio del turismo, per la creazione di posti di lavoro, per il rilancio delle esportazioni di prodotti tipici, espressioni delle diverse identità locali». Quanto l’Italia può dare in termini di conoscenze, competenze e innovazione per la conservazione del patrimonio culturale anche ad altri Paesi? «L’Italia può fare molto per la cultura, non tanto perché detiene un patrimonio storico e artistico senza pari, ma soprattutto grazie al contributo che i suoi archeologi, storici dell’arte
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servazione e valorizzazione di fondamentali testimonianze delle civiltà di tutto il mondo. Grazie a ciò, il nostro Paese sarà sempre più in grado di dispiegare nel teatro mondiale un’azione efficace di “diplomazia culturale” che è uno strumento di cruciale importanza nelle attuali relazioni internazionali poiché collegato ai temi dell’identità e del dialogo tra le diverse civiltà». Expo 2015. Qual è il contributo che il mondo della cultura può dare alla città in vista del grande appuntamento? «L’Expo è un grande progetto civile, economico e politico ma non può essere solo questo. Dovranno essere coinvolti
hanno a cuore Milano. Sarà una grande opportunità per la città. Come ministero dei Beni culturali vorremmo promuovere tre grandi progetti per Milano. In primis la creazione della Grande Brera, un’ampia pinacoteca che accorpi l’accademia e la caserma di via Mascheroni, per farla diventare uno dei più grandi musei in Europa, alla stregua del Louvre. Poi, il completamento del restauro della Villa Reale di Monza. Terzo e ultimo progetto, la realizzazione della biblioteca europea di Milano. Credo che queste tre iniziative qualificherebbero la città facendola diventare la capitale economica e morale d’Italia».
PATRIMONIO ITALIA
I luoghi della fede. Fra antichi richiami e moderne strutture L’identikit del viaggiatore religioso è cambiato. Non più interessato solo a pratiche devozionali, ma all’insieme culturale e folkloristico che vi ruota intorno. Un nuovo fattore di attrattività per le mete classiche del pellegrinaggio moderno, di cui l’Italia, da Loreto ad Assisi, si conferma capofila Francesca Druidi
l turismo religioso rappresenta una peculiare forma di turismo che racchiude in sé due “anime”: quella antica del pellegrinaggio, che mantiene una specifica connessione rispetto al sentire religioso, e quella moderna del turismo. Nel corso degli ultimi anni, i viaggi verso i luoghi di fede hanno registrato una costante crescita. Lo evidenziano i risultati dell’ultimo biennio, che mostrano in Italia tassi d’incremento superiori anche a quelli del Giubileo del 2000. Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale del turismo, i “viaggiatori religiosi” nel mondo nel 2008 hanno raggiunto una quota di 300-330 milioni l’anno, generando un fatturato di 18 miliardi di dollari, di cui 4,5 prodotti solo
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dall’Italia. Si parla, per quanto riguarda il nostro Paese, di 40 milioni di viaggiatori verso luoghi della fede, per oltre 19 milioni di pernottamenti e una spesa media di 104 euro a testa: una cifra riportata nella ricerca “Viaggiare verso i luoghi della fede”, effettuata da Istur e sponsorizzata da Bit 2009 ed Enit. Nel dato sono compresi sia gli escursionisti, corrispondenti a più di tre quarti del totale, sia i turisti pernottanti, anche se resta aperto il problema della fonte delle informazioni, mancando un meccanismo di rilevazione quantitativo e qualitativo degli arrivi. I numeri diffusi in occasione della presentazione di Aurea 2009, la settima edizione della Borsa del turismo religioso e delle Aree protette
In apertura il santuario della Santa Casa di Loreto (An), in alto a destra la nuova chiesa di Padre Pio a San Giovanni Rotondo (Fg), sopra, piazza San Pietro a Roma. Nella pagina successiva, la basilica di San Francesco ad Assisi (Pg)
Turismo religioso
I PELLEGRINI Santuario della Santa Casa Loreto
4 milioni * Santuario di Padre Pio San Giovanni Rotondo
4 milioni * Basilica di San Francesco Assisi
3 milioni * Basilica di San Pietro Roma
7 milioni ** Visitatori annuali * Dati Istur 2008 ** Dati Trademark Italia 2007
Oggi il turismo religioso si presenta, dal punto di vista della fruizione, come un fenomeno multiforme, che associa alla pratica devozionale visite culturali, momenti di socializzazione e aspetti folkloristici
tenutasi dal 26 al 28 novembre presso la Fiera di Foggia, confermano il trend positivo: il turismo religioso è in aumento, rispetto al 2008, del 20% sul mercato domestico, rappresentando il 6% del totale del fatturato italiano relativo al comparto turistico. La Segreteria Pellegrinaggi Italiani (Spi) segnala, tra i luoghi della fede cattolica più frequentati, la Santa Casa di Loreto, i santuari di San Giovanni Ro-
tondo, Pompei e Padova con 4 milioni di visitatori ciascuno e la Basilica di San Francesco d’Assisi con 3 milioni. Senza dimenticare la Basilica di San Pietro a Roma che, in base ai dati Trademark del 2007, veleggia sui 7 milioni di visitatori l’anno. Sempre la ricerca Istur riporta come FutureBrand, la multinazionale che studia i trend emergenti nel comparto turistico, abbia identificato nel turismo religioso un segmento 2009 • DOSSIER • 197
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I “viaggiatori religiosi” nel mondo nel 2008 hanno raggiunto i 330 milioni, con un fatturato di 18 miliardi di dollari, di cui 4,5 prodotti dall’Italia
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dalle prospettive favorevoli, grazie a una domanda particolarmente rigida, legata a motivazioni forti e destinata a incrementarsi grazie all’influsso di altri elementi attrattivi, come eventi, cerimonie e anniversari. Del resto, come ha affermato il ministro del Turismo Michela Brambilla durante la presentazione a fine novembre del progetto di recupero della via Francigena, è ferma intenzione del governo quella di sostenere e promuovere il turismo dello spirito come volano del settore. Molto può essere ancora fatto nei luoghi di culto italiani per incentivare un segmento turistico predisposto alla crescita. Un primo fattore da tenere in considerazione in prospettiva futura è che le destinazioni reli-
giose non interessano più solo i pellegrini in senso classico, che pure costituiscono il 53% dei viaggiatori, ma un bacino più vasto di utenti. Oggi il turismo religioso si presenta, infatti, dal punto di vista della fruizione, come un fenomeno multiforme che associa alla pratica devozionale visite culturali, momenti di socializzazione e aspetti folkloristici. Altri elementi da prendere in considerazione sono l’ampio ventaglio d’età dei viaggiatori e l’estensione dell’area laica profit nel settore dei pellegrinaggi, orientata soprattutto a offrire pacchetti viaggio. Un’area che va ad affiancarsi alla componente non profit dell’offerta, rappresentata dalla gerarchia ecclesiastica, dalla rete di parrocchie e associazioni religiose.
PROGETTI
Una rinascita ecosostenibile e sicura Realizzata in pochi mesi, la Casa dello studente dell’Aquila San Carlo Borromeo è il simbolo della nuova vita della città. Che si discosta dal precedente edificio per l’organizzazione funzionale degli spazi, i servizi che offre e le caratteristiche costruttive. Con particolare attenzione all’aspetto fondamentale dell’antisismicità Carlo Gherardini
Abruzzo rinasce. In tempi record. È già stata inaugurata la struttura simbolo della rinascita post terremoto, la nuova Casa dello studente. Primo edificio pubblico realizzato dopo il disastro del 6 aprile, la nuova Casa dello studente non poteva essere solo un luogo di residenza per gli studenti, bensì uno spazio di vita e di incontro per il mondo universitario aquilano, che ha bisogno di ritrovare i luoghi della propria quotidianità. La nuova struttura si fonda su tre principi fondamentali: leggerezza, sicurezza e sostenibilità. «Leggerezza intesa sia in senso fisico, attraverso l’uso pervasivo del legno, sia in senso figura-
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tivo con il gioco delle trasparenze che sottolinea gli spazi comuni – spiega il progettista, l’architetto Lamberto Rossi – . La sicurezza è affidata a soluzioni tecniche innovative ma anche a una domesticità rassicurante per i ragazzi che la abitano. La sostenibilità è nell’architettura emblematica di un diverso modo di costruire, attento al paesaggio, al risparmio energetico, ai materiali ecocompatibili». Come siete riusciti a realizzare il progetto in tempi così brevi? «In due momenti. Il primo, ideativo, affidato da Infrastrutture Lombarde alla Lamberto Rossi Associati che, forte dell’esperienza in residenze e campus universitari,
ha redatto il progetto in meno di venti giorni. Il secondo, attuativo, dopo l’aggiudicazione dell’appalto al consorzio altoatesino Rubner Objectbau e alla New Engineering di Trento coordinata da Luca Oss Emer che ha sviluppato il progetto definitivo e l’esecu-
In apertura, l’architetto Lamberto Rossi. In alto la nuova struttura della Casa dello studente dell’Aquila. A destra, un disegno del progetto
La Casa dello studente
tivo in tempi altrettanto rapidi, grazie alla consolidata esperienza nella prefabbricazione in legno e negli edifici a basso consumo energetico. Il tutto coordinato quotidianamente dal team di Infrastrutture Lombarde guidato da Vittorio Peruzzi». Come avete curato il fondamentale aspetto di antisismicità della struttura?
«Il complesso, peraltro estremamente leggero in quanto realizzato in legno, è formato da tre corpi di due piani, giuntati, ciascuno su isolatori sismici che consentono traslazioni bidirezionali di 26 centrimetri». Quali caratteristiche presentano le strutture prefabbricate come questa, in termini di vivibilità degli
spazi? «Nella realizzazione degli spazi sono stati rispettati tutti i requisiti previsti dalla recente legge che regola le residenze universitarie, senza ricorrere ad alcuna deroga nel nome dell’emergenza. La tipologia è “ad albergo” con 58 camere doppie e 6 singole. A ogni piano sono assicurati soggiorni-studio e cucine. Le camere sono di 16,9 metri quadrati con armadi a muro integrati e bagni». Il nuovo edificio rispecchia alcune caratteristiche del precedente o si diversifica completamente dalla ex Casa dello studente? «Si diversifica totalmente dalla ex Casa dello studente sia per l’organizzazione funzionale, sia per la presenza di servizi comuni, dalla biblioteca, alle sale studio e internet, da una sala fitness a una polifunzionale, sia, soprattutto per le caratteristiche antisismiche e costruttive». 2009 • DOSSIER • 207
ARCHITETTURA
Città policentriche e a misura d’uomo Nel rispetto del territorio e dell’ambiente, mediante il corretto rapporto tra costruito e non, l’architettura urbana può conferire un plus qualitativo che alle nostre città purtroppo manca. Le riflessioni dell’architetto Giuseppe Visciola, amministratore di Fidia Cantieri Adriana Zuccaro
L’architetto Giuseppe Visciola è amministratore dell’azienda Fidia Cantieri di Pescara www.fidia.org
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er la concreta valorizzazione del territorio ogni infrastruttura, ogni pianificazione edilizia, ogni oggetto architettonico, deve amalgamarsi al contesto urbano di riferimento. «Le città si costruiscono su stratificazioni storiche, ampliamenti e tipizzazioni che, nell’ultimo secolo, hanno però generato la smisurata crescita di agglomerati e periferie urbane, spesso, senza un congruo disegno». Il disappunto dall’architetto Giuseppe Visciola, amministratore dell’azienda Fidia di Pescara, si amplifica fin verso l’inerzia dimostrata dalle istituzioni di riferimento. «Gli strumenti tecnico-legislativi della pianificazione urbanistica non sono stati sufficientemente utilizzati per garantire la qualità costruttiva delle città; privilegiando l’aspetto quantitativo, non è stata mai contemplata una vera e propria legge sull’architettura promotrice di qualità urbana come invece è avvenuto in altri Paesi europei». Gli addetti alla pianificazione urbana, che siano intesi quali operatori economici, ideatori, progettisti o architetti, dovrebbero non perdere mai di vista gli aspetti qualificanti di un dato piano urbanistico e, «nel concepire la buona
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architettura come la sintesi di aspetti non solo formali e funzionali ma anche tecnico-economici, dovrebbero sottendere alla progettazione e alla costruzione di aree urbane, l’edificazione di opere che rispondano ai principi di vivibilità e adeguatezza». In accordo alle considerazioni dell’architetto Visciola, è difficile tacere sugli improduttivi interventi di riqualificazione urbana cui assistiamo di recente: «spesso ci ritroviamo a osservare architetture che, pur imponendosi con la loro presenza, difficilmente riescono a essere strumenti di riqualificazione. L’attenzione ai processi di rivalorizzazione urbana dovrebbe essere intesa nel duplice rispetto del territorio e dell’ambiente perché è solo mediante il corretto rapporto tra costruito e non, che l’architettura può giungere a esprimere l’adeguatezza dell’artificio nel contesto ambientale che lo accoglie». Purtroppo però, sembra che le amministrazioni comunali non dispongano degli strumenti adatti a promuovere i necessari processi di recupero urbano, di riqualificazione delle periferie e delle ampie aree degradate delle nostre città e, «a esclusione di poche amministrazioni “illuminate” – interviene Visciola –, guardano
Valorizzare il territorio
In alto, render del nuovo complesso residenziale “Afrodite”, a Pescara Ovest, in costruzione. Sotto, panoramica dell’edificio “Artemide”, Pescara Colli, realizzato nel 2009 da Fidia Cantieri
addirittura con sospetto, le innovative proposte di iniziativa privata definendola come urbanistica contrattata. Vi sono comuni che premiano l’operatore economico che promuove tali programmi anche con incentivi volumetrici in funzione della bioedilizia e del ri-
sparmio energetico, e comuni invece, che dimostrano assoluta non curanza». È fondamentale comprendere quanto i processi di riqualificazione urbana, se ben progettati, possano concedere non solo il conseguimento di una concreta qualità architettonica delle
città, ma anche l’interazione di tutti quei settori che, partecipando, producono sostenibilità ambientale e sviluppo economico. «La scarsa o nulla dotazione di infrastrutture, di spazi verdi, piazze, viali, edifici pubblici e rappresentativi, e ancora, il traffico veicolare, l’assenza di parcheggi, la scarsa dotazione di trasporti urbani, contribuiscono a umiliare ancor di più sia il centro che le periferie delle città. Bisognerebbe quindi pensare a una città policentrica, con più aree o poli urbani che –spiega Visciola –, con la loro funzione, con la loro capacità di attrazione e le loro qualità formali, possano generare sviluppo e mettere in moto quelle sinergie di azioni coordinate per una migliore qualità urbana e una vivibilità delle periferie». 2009 • DOSSIER • 215
PROGETTAZIONE
Nella fattibilità risiede la vera innovazione Prevenire, individuare e stimolare le esigenze del mercato edilizio, percorrendo nuovi sentieri, anche nella progettazione. Per la società landBAU si può intervenire in maniera efficace sulla valorizzazione del paesaggio con l’ausilio dei finanziamenti privati Sabrina Paoletti
In alto, da sinistra, sistema ettometrico, collegamento pedonale Terminal-L.go Barbella, Chieti 2009; Centro Nuoto San Pietro in Casale, progetto di finanza 2009; Nido d'infanzia comunale "Il Gabbiano", Pescara 2004-2007. In basso, Stadio Adriatico Tribuna Majella restyling, Pescara 2008-2009. Foto e visualizzazioni realizzati dalla società landBAU Srl info@landbau.it www.landbau.it
alorizzare le risorse del territorio significa intervenire con la logica di tutelare il preesistente e operare seguendo i principi di uno sviluppo sostenibile. Riuscire a esprimere la complessità e la polisemia del paesaggio vuol dire agire con la necessaria capacità e sensibilità attraverso uno studio di fattibilità dell’intervento, un valido progetto del paesaggio e un efficace recupero dell’esistente, ma spesso non si hanno gli strumenti per potere mettere in atto tali creazioni.
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Lo Stato, ad esempio, non è più in grado di finanziare tutti gli interventi necessari per la realizzazione delle opere funzionali allo svolgimento dei servizi pubblici, che devono essere efficienti, efficaci e competitivi. E il project financing rappresenta lo strumento più innovativo introdotto dalla legislazione degli ultimi anni «Interventi strutturali di rilevante interesse per la collettività, individuati sulla base di un elenco di priorità definito dalla Pubblica Amministrazione, diventano possibili grazie a un progetto che utilizza
le risorse private – spiegano gli architetti Gianluca Mezzanotte e Marco Berardinucci - che trovano ristoro dal cash flow». Esso è generato dalle tariffe dovute alla erogazione dei servizi che dette opere sono in grado di fornire. In quest'ottica landBAU srl è diventata dal 2009 partner del consorzio stabile BAIAS, società consortile creata per operare nel campo del Project Financing. La multidisciplinarità delle competenze professionali e la capacità di promuovere e stimolare partnership pubblico-privato ai di-
Sviluppo sostenibile
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Gli interventi strutturali di rilevante interesse per la collettività, individuati dalla Pubblica amministrazione, diventano possibili grazie alle risorse private versi livelli amministrativi, pongono BAIAS come partner ideale per lo studio, l’esecuzione e la finalizzazione del progetto offerto. «Il centro nuoto di San Pietro in Casale è un esempio di applicazione della procedura di
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progetto di finanza – continuano gli architetti -. L’Amministrazione a fronte di un interesse manifestato attraverso pubblicazione di bando di gara, nel giugno 2009 ha giudicato di pubblico interesse il progetto
presentato dal consorzio BAIAS per la progettazione, realizzazione e gestione del Centro Nuoto. L’ubicazione dell’intervento è nell’area della provincia Bolognese, nel territorio di S.Pietro in Casale. Il complesso è articolato in due corpi principali, uno di essi denominato “corpo sala piscine” sarà adibito prevalentemente ad attività natatorie, e il “corpo servizi”, posto in adiacenza alle piscine. L’edificio si sviluppa su un unico livello, con la sola eccezione dei locali tecnici interrati». Tra le sfide vinte dagli architetti menzioniamo anche la progettazione del Nido d’infanzia di Pescara, la cui architettura richiama gli elementi di una città portuale quale è Pescara; lo Stadio Adriatico di Pescara, restyiling realizzato per i Giochi del Mediterraneo e il sistema ettometrico - collegamento pedonale Terminal L.go Barbella a Chieti, un esempio di mobilità alternativa in corso di costruzione. 2009 • DOSSIER • 217
ENERGIA
Le fonti rinnovabili hanno bisogno di norme chiare Per un efficace sviluppo della produzione di energia da fonti rinnovabili, è prima di tutto necessaria una normativa semplice e definita. Questa l’opinione di Marco Pigni, direttore dell’Associazione nazionale dei produttori energia da fonti rinnovabili Bianca Benedetti
l futuro è nell’energia rinnovabile, mancano però le linee guida nazionali per lo svolgimento del procedimento per il rilascio dell’autorizzazione unica, che da cinque anni i produttori di energia da fonti rinnovabili attendono». Le linee guida costituirebbero un importante strumento per rendere omogeneo, trasparente e obiettivo, su tutto il territorio nazionale, il procedimento di autorizzazione, superando la frammentazione scaturita dalle discipline regionali, come spiega il direttore di Aper Marco Pigni. Quali sono le problematiche maggiori nello sviluppo delle produzione di energia da fonti rinnovabili? «Finalmente si è compreso a livello mondiale come il sostenere lo sviluppo delle fonti di
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energia rinnovabili non solo sia un modo di migliorare l’ambiente, ma rappresenti anche un’opportunità di crescita tecnologica, di sviluppo economico, di competitività e, soprattutto di riduzione della dipendenza strategica nella politica degli approvvigionamenti energetici. Tuttavia, la mancanza di una politica chiara di promozione e sostegno, che operi a favore del riequilibrio del mix energetico italiano, ha contribuito a generare una serie di distorsioni del sistema energetico nazionale». Negli ultimi anni quali sono i tipi di energia rinnovabile che vengono preferiti in Italia e perché? «Senza dubbio l’eolico italiano si è distinto a livello europeo registrando un’eccellente performance in termini
MW DAL SOLE
La potenza installata degli impianti fotovoltaici italiani. Le centrali solari sono oltre 56mila, in massima parte piccole installazioni domestiche. Il Veneto è al terzo posto dopo Lombardia e Emilia Romagna come numero di impianti installati (5.166) Dati Gse
di Mw installati in un anno. È da segnalare anche il boom del fotovoltaico che, sebbene abbia ancora una quota molto piccola in termini relativi, nell’ultimo anno ha quadruplicato la potenza complessivamente installata. Le bioenergie infine confermano il loro trend costante di crescita». Qual è il ruolo e l’importanza degli incentivi fiscali? «Gli sgravi fiscali si sono dimostrati fondamentali per avviare il processo di efficienza delle abitazioni, poiché sono
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riusciti a stimolare il settore del termico e a portare i dettami dell’efficienza energetica in tutte le case. In quest’ottica ci auguriamo che tali detrazioni vengano confermate anche per i prossimi anni, è fondamentale per sensibilizzare le persone ad adottare i nuovi sistemi di energia rinnovabile». Gli incentivi sono sufficienti? Cosa si potrebbe fare di più? «In Europa l’Italia si attesta tra i Paesi che hanno applicato alla produzione elettrica dalle fonti di energia rinnovabile uno dei
In alto Marco Pigni direttore di Aper, Associazione produttori energia rinnovabile
sistemi di incentivazione più favorevole. Esistono tuttavia degli ostacoli, cosiddetti extracosti del sistema, anomalie come gli oneri compensativi, la “sindrome Nimby”, l’incertezza nei tempi e nelle procedure degli iter autorizzativi, costi di allacciamento alla rete, sovracanoni ai bacini imbrifero montani, che se non ridotti, rischiano addirittura di inficiare lo stimolo economico dell’incentivo. Sarebbe opportuno pertanto inserire sgravi fiscali anche sulla produzione, in modo da consentire la ridu-
zione delle tariffe incentivanti, e di conseguenza alleggerire la bolletta elettrica degli italiani». Un investimento in produzione di energia rinnovabile è un investimento sicuro? «Sicuramente è un investimento promettente, anche alla luce degli obiettivi assunti dall’Italia a livello europeo di aumentare la produzione di energia da fonti rinnovabili entro il 2020. Ovviamente, come in ogni attività imprenditoriale, esistono dei rischi: un quadro normativo complesso ed articolato, con ancora numerose zone d’ombra, contribuisce a creare incertezza sia sul fronte degli incentivi, sia sul versante delle autorizzazioni. Si delinea quindi una situazione che non sembra offrire tanta stabilità quanta ne richiedono gli operatori e gli investitori». 2009 • DOSSIER • 227
ENERGIA
Verso una pianificazione energetica Soluzioni a basso impatto ambientale. Risparmio energetico. Incentivazione delle fonti rinnovabili. Solo così sarà possibile raggiungere gli obiettivi fissati a livello europeo. L’ingegnere Mauro Moroni dell’omonimo studio di progettazione fa il quadro della situazione marchigiana Alessandra Salvini
a Regione Marche ha approvato nel 2005 il Piano energetico ambientale regionale (Pear), «strumento di pianificazione energetica che ha contribuito notevolmente alla crescita di una coscienza ecologica sul territorio e alla realizzazione di numerosi impianti pilota». A parlare è l’ingegnere Mauro Moroni, titolare dell’omonimo studio di progettazione, che da cinque anni contribuisce a far autorizzare, finanziare, progettare e dirigere lavori per numerosi impianti innovativi. «Abbiamo progettato l’impianto fotovoltaico a servizio della torre di controllo dell’Aeroporto di Ancona la prima in Europa a essere dotata di un sistema di questo tipo – spiega Moroni – e il primo impianto di cogenerazione a olio vegetale alimentato da una filiera energetica “corta”». La mission dello studio è, infatti, la consulenza energetica per aziende, enti pubblici e privati, sia sul mercato nazionale che internazionale. Che cosa si intende per consulenza energe-
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tica integrata? «Si tratta di una consulenza che prevede l’analisi delle diverse fasi che caratterizzano un intervento di risparmio energetico attraverso l’uso di fonti rinnovabili: dagli aspetti tecnici a quelli legislativi legati alle autorizzazioni necessarie all’installazione di un impianto fino all’ottenimento di incentivi». In che modo è possibile abbattere i consumi? «Per incrementare l’efficienza negli usi finali bisogna scattare una fotografia della situazione esistente, analizzando modalità di utilizzo dell’energia, tipologia di utenza, utilizzo degli impianti installati, monitoraggio attraverso misurazioni sul campo per realizzare quello che in gergo tecnico viene definito “audit energetico”. In seguito, vengono sviluppate le diverse soluzioni tecniche per un utilizzo razionale dell’energia e la valutazione dell’introduzione di fonti rinnovabili per il soddisfacimento dei fab-
L’ingegnere Mauro Moroni, titolare dell’omonimo studio di progettazione attivo da cinque anni nel settore della consulenza energetica. In alto e a destra, due impianti realizzati da Moroni www.studiotecnicomoroni.it
Strumenti di pianificazione
bisogni, fornendo una “diagnosi energetica”. Ogni possibile scenario sarà accompagnato da un’analisi tecnico-economica e ambientale, valutata sulla base della normativa vigente e dell’utilizzo delle diverse forme incentivazione». Come giudica la normativa relativa al mercato fotovoltaico? «Complessa per ciò che riguarda l’iter da seguire dall’autorizzazione all’accesso alle tariffe incentivanti. Vero è che gli incentivi, dal Conto Energia ai certificati verdi, hanno consentito lo sviluppo di un mercato ricco di nuovi operatori. Speriamo che il Conto Energia che verrà sia di più semplice interpretazione, soprattutto per l’integrazione architettonica degli impianti». Quali difficoltà incontra chi decide di installare un impianto fotovoltaico? «La prima è senza dubbio riuscire a trovare figure professionali o aziende con una comprovata esperienza che possano soddisfare le sue esigenze. Si tratta di un mercato giovane e in forte espansione, in cui spesso ci si imbatte in soggetti con bassi livelli di conoscenza tecnica e normativa. Il consiglio è, quindi, verificare che gli operatori abbiano frequentato gli opportuni corsi di specializzazione e che svolgano l’attività da al-
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Risparmio energetico e rinnovabili, se opportunamente sostenute, garantiranno nell’arco dei prossimi cento anni la sostituzione completa delle fonti fossili e fissili
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meno un anno. Un altro problema è l’installazione di impianti in siti o edifici con vincoli paesaggistici o delle belle arti. Per questi casi, in futuro sarebbe opportuno che produttori di moduli fotovoltaici e organi tecnici statali si unissero per valutare soluzioni progettuali idonee». Le imprese sono disposte a investire in tecnologie che favoriscano il risparmio energetico? «In questo momento, le aziende sono comprensibilmente concentrate a limitare le perdite. Investire nelle nuove tecnologie può essere un mezzo per ridurre le spese e un’opportunità per essere competitivi sul mercato globale quando arriverà la ripresa». Crede che l’Italia riuscirà a raggiungere gli obiettivi fissati a livello europeo e che il nucleare sia una valida soluzione? «Per raggiungere gli obiettivi europei serve una corretta pianificazione energetica a medio/lungo termine. La parola chiave è “risparmio energetico” per ridurre il consumo di energia primaria. Sappiamo, infatti, che il potenziale stimato per le fonti rinnovabili da solo non basta a raggiungere il risultato auspicato. Rispetto alla questione “nucleare”, credo si debba investire in soluzioni a più basso impatto ambientale anziché in impianti con ancora troppi nodi da risolvere. Risparmio energetico e rinnovabili, se opportunamente sostenute, garantiranno nell’arco dei prossimi cento anni la sostituzione completa delle fonti fossili e fissili». 2009 • DOSSIER • 229