OSSIER LAZIO L’INTERVENTO ..........................................9
ECONOMIA E FINANZA
Ferruccio Dardanello Paolo Buzzetti
CREDITO & IMPRESE ........................33 Francesco Bellotti Anna Gervasoni Gabriele Cappellini
PREMIO BELLISARIO.........................72 Lella Golfo Giorgina Gallo Elisabetta Tripodi
IN COPERTINA.......................................12 Aurelio Regina
IL FUTURO DELL’UNIONE................42 Alberto Quadrio Curzio
POLITICA ECONOMICA ......................18 Giancarlo Cremonesi Renata Polverini
ECONOMIA DIGITALE ........................46 Cesare Avenia Paolo Angelucci Stefano Parisi Ernesto Belisario
EVASIONE FISCALE............................78 Filippo Ritondale Alessio Rossi
PRIMO PIANO
GLI ITALIANI E LA CRISI ...................22 Giuseppe Roma IL VALORE DELL’IMPRESA.............24 Sergio Travaglia QUADRIENNALE D’ARTE ................28 Jas Gawronski Luca Beatrice
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TRASFERIMENTO TECNOLOGICO......................................57 Il ritardo italiano Davide Giacalone Cristiano Seganfreddo INDUSTRIA CINEMATOGRAFICA .........................64 Il cinema in cifre Roberto Cicutto Lionello Cerri
CONSULENZA.......................................82 Emanuele Riccobene Lorenza Morello MODELLI D’IMPRESA........................90 Mimmo Costanzo Roberto Ciambrone Fabio Andreucci Paolo Fatiga Carlo Borgia Giuseppe Bellantoni TECNOLOGIE.......................................104 Emilia Di Bernardo Elpidio Sacchi Giovanni Grechi e Vincenzo Cassese Elisabetta Montali
Sommario RICERCA E INNOVAZIONE ..............114 Mauro Pontremoli Maura Lupi SICUREZZA..........................................120 Giorgio Manicone SERVIZI ALLE IMPRESE .................124 Fabrizio Valentini COMMERCIO........................................126 Angelo ed Eleonora Sermoneta
TERRITORIO
AMBIENTE
EDILIZIA.................................................128 Amedeo Dell’Uomo Paolo Barletta Domenico Martino Mauro Ungari Enrico Basta e Franco Iannuzzi
BONIFICHE ...........................................158 Sara Borsoi
MATERIALI ...........................................144 Sergio Iani TURISMO ..............................................146 Renzo Iorio Flavia Coccia Bernabò Bocca Fortunato Giovanoni Stefano Zappalà Piero Calderoni
GIUSTIZIA DIRITTO PENALE ..............................162 Nino Marazzita Gianluca Arrighi INTERCETTAZIONI TELEFONICHE.....................................166 Leone Zeppieri
SANITÀ POLITICHE ANTIDROGA .................169 Giovanni Serpelloni TRAPIANTI............................................174 Alessandro Nanni Costa Jean De Ville De Goyet Antonio Amodeo CITTADINI E SANITÀ ........................182 Massimiliano Picardi STRUTTURE SANITARIE.................186 Andrea Grasso
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Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Xxxxx cxpknefv L’INTERVENTO
Proposte per la crescita di Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere
opo quattro anni di crisi, il tessuto produttivo del Paese appare chiaramente provato. Queste difficoltà si riflettono in maniera diretta sull’occupazione che, secondo i primi dati del sistema informativo Excelsior di Unioncamere e Ministero del Lavoro, quest’anno potrebbe ridursi di altre 130mila unità. Il quadro che emerge dalla lettura del Rapporto Unioncamere, diffuso in occasione della 10° Giornata dell’economia alla presenza del ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, mette in evidenza il fatto che le manovre di finanza pubblica, indispensabili per riportare i conti sotto controllo e riguadagnare la fiducia dell’Europa e dei mercati internazionali, quest’anno avranno un costo, in termini di recessione, molto elevato: -1,5% il calo del Pil che prevediamo quest’anno, con picchi intorno al -2% per quasi tutte le regioni meridionali. È chiaro che oggi il rigore non basta. Bisogna tornare a crescere, con interventi cantierabili nell’immediato che rilancino i consumi e attivino di nuovo la propensione all’investimento. L’aspetto che abbiamo ben presente, dopo questi anni così difficili, riguarda il fatto che i grandi mutamenti dello scenario geopolitico e le ricorrenti crisi del sistema economico-finanziario mondiale ci hanno fatti entrare in un’era nuova. Dobbiamo prenderne atto e smettere di comportarci come se tutto, tra poco, dovesse tornare com’era prima. Non succederà. Se l’impresa si riorganizza
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nel segno dell’efficienza, della qualità e dell’innovazione, anche le istituzioni - e le Camere di Commercio per prime lo sanno - devono fare lo stesso. Per questa ragione, abbiamo identificato cinque temi su cui lavorare e su questi abbiamo sviluppato le nostre proposte. Gli interventi che abbiamo ideato sono diversi e tutti privi di oneri sul bilancio dello Stato; riguardano la semplificazione, l’internazionalizzazione, gli investimenti, il credito, la diffusione delle imprese e il supporto al lavoro. Tra questi, la possibilità di ammortizzare gli investimenti aggiuntivi delle imprese in tre anni per rilanciare lo sviluppo; un patto tra governo e Camere di Commercio per portare sui mercati internazionali altre 10mila imprese nel prossimo triennio; una disciplina speciale che impedisca il fallimento delle aziende causato dai ritardi nei pagamenti della Pa, ma anche la proposta molto concreta - già affidata al Parlamento - di attribuire alle Camere di Commercio il compito di rilasciare una certificazione formale del credito tra imprese, esigibile in sede giudiziaria con tempi rapidissimi. Per sostenere la diffusione delle imprese, inoltre, proponiamo un rinvio dei pagamenti Iva e Irap per i primi due anni di attività delle nuove realtà mentre, in materia di lavoro, chiediamo di sostenere concretamente la riforma dell’apprendistato in chiave europea, realizzando un sistema stabile di certificazione delle competenze che, come in Germania, faccia perno sulle Camere di Commercio. LAZIO 2012 • DOSSIER • 9
Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Xxxxx cxpknefv L’INTERVENTO
Guardare all’edilizia come motore del rilancio di Paolo Buzzetti, presidente di Ance
l settore delle costruzioni sta pagando a caro prezzo gli effetti della crisi dei mercati finanziari. La restrizione del credito concesso dalle banche rischia ormai di paralizzare l’intera rete imprenditoriale dell’edilizia. Ma oltre a ciò, le aziende devono affrontare anche il grave problema dei ritardati pagamenti da parte della pubblica amministrazione. Si è giunti, infatti, a un tempo medio d’attesa di otto mesi, con un incremento del 40%: dai 114 giorni del maggio 2011 agli attuali 159. Senza considerare quelle situazioni limite nelle quali si sono superati i due anni. In questo modo si condannano le imprese a un inevitabile fallimento. È, invece, proprio al settore edile che bisognerebbe guardare per avviare concrete azioni anticicliche capaci di rilanciare l’economia, come avviene in altre grandi nazioni europee. L’Ance lo sostiene da tempo: la spesa pubblica produttiva, come quella delle infrastrutture, va salvata. Ogni miliardo di euro investito in edilizia genera ricadute positive per ben 3,4 miliardi. Tuttavia, negli ultimi anni, si è puntato su una politica di tagli agli investimenti piuttosto che alla spesa corrente, generando - dal 2005 a oggi - una contrazione del 44,5% del mercato dei lavori pubblici. Di certo, la decisione del Cipe dello scorso gennaio, che ha confermato l’assegnazione di fondi per le opere contro il rischio idrogeologico e per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, va letta come un primo segnale positivo. Al quale bisogna però far velocemente seguire un piano di spesa delle risorse che, dopo una prima boccata d’ossigeno, sia in grado di
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creare una reale prospettiva di sviluppo. Prospettiva che deve naturalmente coinvolgere anche il settore privato il quale, nonostante abbia evitato gli effetti nocivi di una bolla speculativa, non è in grado di rispondere a un’esigenza abitativa decisamente alta, stando alle stime sulla crescita del numero di famiglie. Sono tre gli obiettivi su cui bisognerebbe concentrare gli sforzi. In primo luogo, è necessario investire nell’edilizia sostenibile, intervenendo sulla gran parte degli edifici esistenti secondo i più moderni criteri di risparmio energetico e le attuali norme antisismiche. Importante, poi, è rendere accessibile la casa anche alle fasce medio-basse della popolazione, attraverso mutui a condizioni agevolate e incentivi fiscali mirati. Ma, soprattutto, è urgente avviare un piano città capace di realizzare una radicale riqualificazione del tessuto urbano per recuperare le periferie, riorganizzare la mobilità e rendere le nostre città motori di sviluppo economico, poli turistici di grande interesse e luoghi di sempre più elevata qualità della vita. Quest’ultimo punto è fondamentale non soltanto per il settore, ma per tutta l’economia. La città, infatti, intesa come luogo di produzione della ricchezza materiale e culturale di un paese, è destinata a essere il principale terreno del confronto futuro fra le economie mondiali. LAZIO 2012 • DOSSIER • 11
IN COPERTINA
LA RICERCA DELLA CRESCITA, UN IMPEGNO COSTANTE Attori istituzionali ed economici stanno mettendo a punto in Lazio un “accordo operativo di sviluppo”. Allo stesso modo, l’Italia necessita di un piano votato alla crescita, basato su fattori come innovazione, infrastrutture, semplificazione. Lo evidenzia Aurelio Regina, vicepresidente di Confindustria nazionale per lo Sviluppo economico Francesca Druidi
a terminato il suo quadriennio come presidente di Unindustria (Unione degli industriali e delle imprese di Roma, Frosinone, Rieti e Viterbo). Oggi Aurelio Regina è pronto ad affrontare la nuova sfida rappresentata dall’incarico nel vertice di Confindustria nazionale, dove punterà a trasferire l’approccio adottato nella sua esperienza a livello regionale. Quale eredità lascia sotto il profilo del sistema associativo avendo guidato un passaggio fondamentale come il processo di unificazione di quattro territoriali? «Il processo che ha dato origine a Unindustria ha seguito sostanzialmente due direttrici. Da un lato, si tratta di un disegno che ha portato a una riorganizzazione del sistema associativo sulla base di obiettivi quali razionalizzazione, innanzitutto dei costi, efficienza del sistema e migliore qualificazione della struttura. Connesso a questo tema, si è imposto
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un principio di visione strategica del territorio in chiave moderna e innovatrice, da area metropolitana vasta, teso a legare in maniera strategica la Capitale con le altre province della regione. Ma c’è anche un ulteriore aspetto da considerare nella costituzione di quella che è oggi la seconda associazione di Confindustria in Italia per numero di soci con circa 3.400 imprese che rappresentano 240mila dipendenti». Quale? «Unindustria si afferma come il risultato di un progetto di riorganizzazione che, per la prima volta in Italia, porta a compimento una semplificazione talmente significativa da rappresentare un benchmark nazionale. Lasciamo in eredità un modo di lavorare incentrato non solo sulla mera rappresentanza degli specifici interessi delle imprese, ma sulla capacità progettuale di intervento in molte aree di rilevanza generale. Abbiamo guardato con attenzione prima di tutto all’interesse della nostra regione con la consape-
volezza che, se si potenzia il territorio, anche le realtà produttive che vi operano ne trarranno beneficio». C’è la necessità di disegnare un nuovo modello di sviluppo economico per il Lazio. Partendo da quali presupposti e verso quali prospettive? «Partendo dalle opportunità connesse al riconoscimento legislativo di Roma Capitale, abbiamo lavorato su un’idea di sviluppo fondata sui molteplici punti di forza del territorio unificati in una modalità poliarchica, in cui ciascun elemento mette a disposizione degli altri il proprio know how e le proprie best practice. La ricerca della crescita è per noi un impegno continuo. Occorre mettere a sintesi un piano di priorità definito da tutti gli attori istituzioni, organizzazioni sindacali e imprese - e inserirlo in un accordo operativo di sviluppo, sul quale stiamo già lavorando con la presidente Polverini affinché sia attuato entro la fine di luglio. Lo scopo è affrontare gli ultimi tre anni di legi-
Moreno Maggi
Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx Aurelio Regina
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IN COPERTINA
slatura regionale con obiettivi chiari su temi dell’accesso al credito, semplificazione, assetto delle infrastrutture, utilizzo dei fondi europei, occupazione, agenda digitale, piano per il turismo». Quali sono nel medio-lungo termine le leve necessarie per sviluppare una politica regionale selettiva che difenda e potenzi i punti di forza del Lazio? «Occorre innanzitutto tutelare le eccellenze e il made in Lazio, che sostiene l’economia sul fronte dell’export. Export che, negli ultimi tre anni, ha registrato aumenti significativi, superiori alla media italiana. Il dato maggiormente interessante riguarda il contributo offerto dal polo tecnologico: Ict, settore farmaceutico e aeronautico hanno, infatti, segnato un rialzo dell’export del 14 per cento. Dobbiamo, inoltre, lavorare per rafforzare le specializzazioni manifatturiere delle province: il distretto industriale di Civita Castellana, ad esempio, ha compiuto un grande sforzo di rinnovamento attraverso investimenti in design e qualità restando, nonostante la crisi, un settore di eccellenza. Prioritari sono anche la valorizzazione del turismo e del patrimonio culturale, e il potenziamento del trasferimento dell’innovazione dai centri di ricerca circa 250 nel Lazio - alle imprese, perché nella nostra regione si fa ancora troppa ricerca senza le imprese. Il tutto va accompagnato da un piano organico di opere infrastrutturali e mobilità intelligente che realizzi un’effettiva integrazione tra Roma e il territorio; su questo punto stiamo lavorando sulla proposta di un’agenzia unica della mobilità». 14 • DOSSIER • LAZIO 2012
Lei è presidente dell’Agenzia speciale per l’internazionalizzazione della Camera di Commercio di Roma a sostegno della competitività delle imprese sui mercati esteri. Come nel concreto le imprese della regione stanno aggredendo i mercati internazionali? «L’export laziale è in buona salute, anche nel 2012. Abbiamo recuperato parte del gap storico che caratterizza la regione sul versante delle esportazioni, ma resta ancora molto da fare. La riduzione dei consumi interni e della spesa pubblica, affiancata all’esigenza di muoversi in contesti più dinamici, spingono le imprese a cercare nuovi mercati. Occorre, nello specifico, mantenere la leadership sui paesi del Mediterraneo, rivolgersi ai paesi Bric con azioni mirate e posizionarsi sulle fasce di reddito più elevato, portando all’estero un numero superiore di imprese, spendendo di più e me-
glio di quanto fatto finora. L’Agenzia per l’internazionalizzazione deve essere un’agenzia snella, efficiente e operativa che, in stretta sinergia con la struttura nazionale, mira a offrire strumenti adeguati, anche di natura finanziaria, alle aziende che si vogliono misurare sui mercati internazionali». Il credito è uno dei temi caldi. Quali strategie possono essere messe in campo per scongiurare il credit crunch? «Le imprese sono stritolate da difficoltà di acceso al credito generalizzate, da un continuo rallentamento dei pagamenti della Pa e dal calo del mercato interno: un mix micidiale che sta mettendo a dura prova la vita di migliaia di aziende. La moratoria sui prestiti, disposta lo scorso febbraio dall’accordo tra Confindustria, Abi e governo, insieme ai decreti dell’Esecutivo sulla certificazione dei crediti della Pa, costituiscono dei
Aurelio Regina
passi in avanti incoraggianti. Rimane però il nodo strutturale di come garantire, assistere e favorire le aziende per quanto riguarda l’accesso al credito. Stiamo procedendo con la Regione per declinare in maniera definitiva i principali strumenti atti a supportare le imprese: Banca Impresa Lazio, il Fondo nazionale di garanzia e il Confidi di Confindustria regionale che è il primo iscritto nell’elenco speciale degli intermediari vigilati dalla Banca d’Italia, e consente un rilascio di garanzia più efficace nell’accesso al credito in favore delle imprese». Quale la sua valutazione, fino a questo momento, dell’operato del Governo Monti? «Il governo si è mosso bene sul fronte della credibilità internazio-
nale e sui temi del rigore e della tenuta dei conti. Ora è giunto il momento di adottare misure incisive per lo sviluppo. Confindustria sosterrà quanto il governo deciderà sulla strada della crescita, chiedendo che vengano tenute in considerazione le sollecitazioni del mercato delle imprese. Ci auguriamo che il Decreto Sviluppo dia presto le risposte che ci aspettiamo sul tema della crescita, della competitività e della salvaguardia del patrimonio delle aziende. Occorrerà poi definire una politica industriale per rilanciare il settore manifatturiero, su cui siamo i secondi in Europa. Lunga è la lista delle parole chiave sulle quali intervenire: semplificazione amministrativa; politiche energetiche; sblocco delle infra-
strutture; agenda digitale per recuperare i ritardi nell’innovazione; una spending review efficace per identificare le risorse necessarie. Determinante sarà attuare una politica che ci permetta di usufruire dei fondi strutturali destinati al Sud e di incrementare ricerca e internazionalizzazione». È stato nominato vicepresidente di Confindustria nazionale con delega allo Sviluppo economico. Con quali aspettative vive questo passaggio importante? «Lo vivo con grande senso di responsabilità. L’incarico che mi ha conferito il presidente Squinzi è complesso, soprattutto in questa fase storica. Mi auguro di portare un grande pragmatismo, quello che ho adottato anche alla guida di Unindustria. Abbiamo quattro anni davanti molto impegnativi, con le incognite che potranno derivare dalla tornata elettorale del 2013. In questo contesto, dovremo - da un lato - tenere la barra dritta sulle priorità delle imprese, mettendole al centro del dibattito anche politico e istituzionale; dall’altro, dovremo essere di grande impulso. Cercherò di raggiungere questi obiettivi coordinando i diversi interessi e settori che compongono l’anima di Confindustria». Su quali priorità deve muoversi il sistema Paese? «È fondamentale tornare a crescere. Dobbiamo lavorare sulle eccellenze e sull’innovazione tecno-
Occorre tutelare le eccellenze e il made in Lazio, che sostiene l’economia sul fronte dell’export. Il dato maggiormente interessante riguarda il contributo offerto dal polo tecnologico
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IN COPERTINA
Assemblea generale di Unindustria il 10 maggio scorso
logica. Il bonus ricerca più volte annunciato nel pacchetto crescita deve diventare realtà. La ricerca è probabilmente il fattore chiave su cui si giocherà la competitività del nostro sistema imprenditoriale. Un altro aspetto è legato alle politiche per lo sviluppo delle imprese. Sviluppo che passa dalla semplificazione, da un rapporto con la Pubblica amministrazione improntato sull’efficienza; da un sistema fiscale che progressivamente alleggerisca il peso delle imposte, riducendo il cuneo fiscale sul lavoro dipendente e aumentando il potere d’acquisto delle famiglie. Abbiamo bisogno di una giustizia che renda le controversie certe in termini di tempistiche e di trasparenza delle procedure, di un sistema bancario che sappia com16 • DOSSIER • LAZIO 2012
Confindustria deve e dovrà sempre più continuare ad avere un ruolo determinante nella capacità di proposta e di determinazione dei futuri scenari del Paese
prendere il mondo dell’impresa, di una forte liberalizzazione dei servizi pubblici e privati, e di infrastrutture fisiche e digitali in linea con la modernizzazione». Se e in che modo Confindustria deve adattarsi per affrontare le sfide imposte dagli scenari globalizzati odierne e per rispondere fattivamente alle esigenze sempre più pressanti delle imprese? «Confindustria deve e dovrà sempre più continuare ad avere un ruolo determinante nella capacità di proposta e di determinazione
dei futuri scenari del Paese. Dovremo impegnarci sempre di più affinché tutte le imprese, grandi e piccole, riconoscano nell’associazione un punto di riferimento autorevole. Confindustria è la casa delle imprese italiane, e se continuerà ad esser una voce forte e stimolante - capace di guardare allo sviluppo e alla competitività delle imprese soprattutto in questo momento difficile e, allo stesso tempo, agli interessi reali del Paese - il peso del suo ruolo sarà destinato ad aumentare ancora».
POLITICA ECONOMICA
Accesso al credito, catalizzatore per la ripresa
«Senza credito non c’è sviluppo e senza sviluppo non c’è occupazione» rimarca Giancarlo Cremonesi, presidente di Unioncamere Lazio. Solo dal sostegno alle imprese sul fronte del credito e dalla ripresa della domanda interna può ripartire la crescita Francesca Druidi
l tessuto imprenditoriale romano ha mostrato, anche in questi anni difficili, importanti segnali di tenuta. «Roma è stata la prima provincia in Italia per tasso di crescita delle imprese nel 2011 e nel primo trimestre 2012, registrando anche una crescita nell’export e nel turismo», conferma Giancarlo Cremonesi, presidente di Unioncamere Lazio e della Camera di Commercio della Capitale. La forte crisi dell’area euro, e dell’Italia in particolare, ha però investito anche questa realtà territoriale. A preoccupare sono soprattutto i dati relativi al tasso di occupazione, sceso nel 2011 al 61 per cento, e al ricorso alla cassa integrazione guadagni, che nel 2011 ha raggiunto il record di oltre 45 milioni di ore autorizzate. «A essere più colpite sono state soprattutto le fasce più deboli, con la disoccupazione giovanile che ha raggiunto il 36,1 per cento». Secondo le previsioni Unioncamere-Prometeia, nel 2012 l’economia della Capitale mostrerà una contrazione molto forte. Come commenta queste previsioni? «Il 2012 sarà sicuramente un anno molto difficile per l’Italia e per Roma. Fare previsioni in questa fase
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è difficilissimo, perché molto dipenderà dalle scelte che verranno effettuate in sede europea, ma sicuramente le manovre finanziarie messe in atto per contenere il debito pubblico avranno un impatto più forte sulla città di Roma, rispetto ad altre zone del Paese». Il sistema produttivo del Lazio, nel suo complesso, continua a registrare una crescita piuttosto contenuta e notevoli elementi di criticità. Tutti i settori produttivi mostrano in uguale misura
Giancarlo Cremonesi, presidente di Unioncamere Lazio
una fase di immobilismo. Identifica situazioni maggiormente problematiche? «Il sistema produttivo del Lazio è composto, per circa il 98 per cento, da piccole e piccolissime imprese che operano prevalentemente nel terziario. In una prima fase della crisi, questa specializzazione produttiva ha permesso alla nostra realtà territoriale di affrontare meglio la difficile congiuntura economica; ora, però, anche il Lazio è in forte difficoltà. Le principali criticità che colpiscono le
Giancarlo Cremonesi
Gli istituti di credito sono restii ad accordare prestiti alle imprese e, quando lo fanno, impongono tassi di interesse insostenibili
nostre imprese sono trasversali a tutti i settori: mi riferisco, in particolare, al forte calo della domanda interna e alle difficoltà di accesso al credito. Le aziende che hanno un mercato di riferimento locale o nazionale, e sono la grande maggioranza, hanno sicuramente più difficoltà in questa fase». La Camera di Commercio di Roma è impegnata nella creazione di un nuovo fondo di garanzia per l’accesso al credito per le pmi romane. Vede, in generale, segnali di una possibile inversione di tendenza, anche per effetto dei provvedimenti presi dal governo? «La difficoltà nell’accesso al credito è il problema principale da affrontare. Senza credito non c’è sviluppo e senza sviluppo non c’è occupazione. Gli istituti di credito sono restii ad accordare prestiti alle imprese e, quando lo fanno, im-
pongono tassi di interesse insostenibili. Ciò sta avendo effetti devastanti sulla tenuta del nostro sistema imprenditoriale, che trova nel canale del credito bancario la principale forma di finanziamento per le proprie attività. È assolutamente necessario rompere questo meccanismo perverso, e occorre farlo ora, non tra qualche mese, quando potrebbe essere troppo tardi. Gli ultimi provvedimenti presi dal governo vanno nella giusta direzione, ma il mio timore è che gli effetti sul tessuto imprenditoriale si manifestino in maniera troppo diluita nel tempo». Quali altre strategie individua per affrontare il cosiddetto credit crunch? «Vi è la necessità di procedere con un adeguamento organizzativo del sistema dei Confidi, che svolge
un’azione importante a sostegno delle imprese, ma la cui efficacia risulta a volte indebolita da una mancanza di coordinamento. La Camera di Commercio di Roma è concretamente al fianco delle imprese nel cercare di risolvere le emergenze sul delicato e vasto fronte dell’accesso al credito, sia attraverso provvedimenti diretti già operativi, sia attraverso nuove misure. Il Fondo di garanzia, attualmente allo studio, dovrà essere in grado di interfacciarsi con il Fondo recentemente istituito a livello nazionale». Tra i punti deboli identificati dalle imprese della regione ci sono la limitatezza dei mercati di riferimento e l’assetto economico e finanziario, nonché l’occupazione e gli investimenti produttivi. Come intervenire con azioni strutturali e non emergenziali? «Gli interventi strutturali sono necessari ma potrebbero, purtroppo, rivelarsi inutili se, prima, non si riesce a ripristinare uno spirito di ottimismo verso il futuro. I dati sui primi mesi del 2012 sono preoccupanti. L’indagine congiunturale condotta da Unioncamere Lazio e Censis su 1200 imprese laziali evidenzia, infatti, un clima generale di preoccupazione e sfiducia. O ritroviamo entusiasmo o siamo condannati a un triste declino». LAZIO 2012 • DOSSIER • 19
POLITICA ECONOMICA
Nuove risorse per l’economia laziale Renata Polverini illustra la manovra che muoverà sull’intero territorio regionale 1,5 miliardi di euro nei vari settori del sociale. L’obiettivo è risollevare le famiglie, i lavoratori e le imprese in difficoltà Elisa Fiocchi
a proposta di legge di assestamento di bilancio per l’anno 2012 muove nel Lazio 1,5 miliardi di euro per l’intervento nei vari settori del sociale, del lavoro, della sicurezza, dell’istruzione, della cultura e dello sport. Il presidente della Regione, Renata Polverini, ne illustra le potenzialità, focalizzando l’attenzione sulle risposte immediate che questi provvedimenti assicureranno alle fasce più deboli della popolazione e al comparto produttivo. «Le nostre possibilità di manovra sul bilancio – afferma – dipendono da quanto riusciremo ad alleggerire il peso della sanità sui nostri conti ma mantenendo questo trend, possiamo contare su risorse economiche da indirizzare verso gli investimenti ed il sociale». Perchè ha definito questa manovra di consolidamento e di prospettiva? «Di consolidamento perché, nonostante il difficile quadro economico nazionale e i tagli che questa situazione ha comportato anche per la nostra regione, le previsioni fatte con la legge finanziaria del 2012 sono tutte confermate dall’andamento della spesa e degli interventi. Tanto che possiamo sbloc-
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Renata Polverini, presidente della Regione Lazio
care anche quel 30 per cento dei capitoli di bilancio dei vari assessorati che, prudentemente, avevamo congelato. Di prospettiva perché i risultati che stiamo conseguendo nell’abbattimento del disavanzo sanitario stanno andando oltre le nostre aspettative e ci consentono di guardare al futuro con maggiore fiducia». Quali saranno i principali interventi? «Voglio ricordare che 1,5 milioni di ulteriori risorse andranno a nuovi servizi di sicurezza; 5,2 milioni per il finanziamento dei percorsi sperimentali triennali per l’obbligo di istruzione; 4 milioni per la cultura e lo sport, di cui 2,8 per il bando rivolto alle associa-
zioni sportive del Lazio per la manutenzione, il miglioramento livello di sicurezza e l’acquisto di attrezzature sportive». Per l’economia regionale sono previsti due milioni di euro del Fondo Pmi per l’accesso al credito. «Si tratta di fondi che vanno a implementare il Fondo regionale che agevola e sostiene le piccole e medie imprese con difficoltà di accesso al credito. Vogliamo dare un segnale di ulteriore attenzione alle fasce in difficoltà, non solo per le pmi ma anche alle famiglie. Per questo abbiamo recuperato dalla Cassa depositi e prestiti 266 milioni, fondi ex Gescal, di cui 200 saranno immediatamente erogabili: 100 milioni per il 2012 e
Renata Polverini
Nonostante i tagli dei fondi da parte dello Stato, abbiamo salvaguardato tutte le risorse destinate alle politiche sociali
cento per il 2013, per l’edilizia sovvenzionata. Questo significa fondi già spendibili per costruire case destinate alle famiglie più disagiate». I sindacati lamentano che la manovra non pone l’attenzione sul sociale: intende aprire presto un tavolo di confronto con le parti sociali? «Tutt’altro, direi. L’assestamento di bilancio assicura cinque milioni di fondi in più per le politiche sociali e cinque milioni per gli asili nido nel 2012 e nel 2013. Il confronto con le parti sociali è già stato avviato ed è falso affermare che non c’è stata attenzione per il sociale. Già con la legge di bilancio dello scorso dicembre, nonostante i tagli dei fondi da parte dello Stato, abbiamo salvaguardato tutte le risorse destinate alle politiche sociali. Ricordo che abbiamo approvato un piano per il sociale che mette a disposizione 193 milioni di euro per la programmazione triennale e un Piano Famiglia da 60 milioni di euro che sostiene, tra le altre cose, interventi come il bonus bebè, il servizio di tagesmutter, riduzione delle tariffe degli asili, un ostello
per i genitori in difficoltà. E sono solo alcuni dei provvedimenti varati sinora». Quali nuovi strumenti saranno invece finalizzati all’inserimento e al reinserimento nel mondo del lavoro? «Con l’assestamento di bilancio abbiamo aggiunto un milione di euro per l’inserimento e il reinserimento nel mondo del lavoro, processo già avviato in questi due anni attraverso numerosi bandi, avvisi e incentivi, che hanno stimolato 15mila assunzioni e sostenuto l’avvio di 5mila nuove imprese. Il progetto per l’autoimpiego rivolto ai lavoratori precari, in particolare giovani, ha finanziato ad esempio circa 300 progetti di autoimpiego e 450 nuove assunzioni». Il tetto di cassa della Regione è pari al 44% del tetto di competenza a fronte di un rapporto medio nazionale pari al 77%: quali ricadute ciò comporta sulla distribuzione delle risorse? «Si tratta di un ulteriore elemento di criticità ereditato dal passato. Riguardo alle ricadute sulle risorse, vuole dire, di fatto, che ogni anno
si potrebbe pagare meno della metà di quanto viene impegnato. Si tratta evidentemente di un meccanismo irrazionale che stiamo cercando di contrastare in tutte le sedi istituzionali soprattutto in un momento in cui viene chiesto alle Regioni di velocizzare i tempi di pagamento». Dal giorno del suo insediamento, quali provvedimenti hanno garantito ossigeno al territorio? «I traguardi centrati sono tanti, penso al piano rifiuti, al nuovo piano casa, ai tagli a sprechi e spese superflue. Vorrei però dare risalto da una parte all’azione di risanamento dei conti, che ci vede impegnati da due anni, in particolare nella sanità, e che ha visto il disavanzo annuale scendere da 1 miliardo 490 milioni del 2010, quando siamo arrivati, ai circa 850 milioni del 2011, praticamente dimezzato. Dall’altra, il fiore all’occhiello di questa Giunta è senza dubbio il Patto regionalizzato, che ha permesso nel 2010 e nel 2011 a tutti gli enti locali di rispettare il Patto di stabilità lasciando sul territorio 300 milioni di euro nel 2010 e 450 milioni di euro nel 2011: soldi che Comuni e Province hanno potuto impiegare per servizi ai cittadini». LAZIO 2012 • DOSSIER • 21
GLI ITALIANI E LA CRISI
La sovranità fugge verso l’alto Non solo i cittadini di Paesi deboli ma anche quelli di prima fascia nell’Unione come l’Italia, avvertono una sorta di impotenza verso i poteri decisionali. Oggi sono il reddito, le condizioni di vita e di lavoro a creare incertezza Elisa Fiocchi
on la crisi economica, i mercati finanziari internazionali e le istituzioni sovranazionali hanno preso in mano il potere decisionale assoluto sulle scelte di politica economica, spostando il tradizionale concetto di sovranità più in alto rispetto allo Stato e suscitando sensazioni di impotenza e antipolitica in tutti i settori sociali. Secondo l’indagine curata dal Censis sul tema “Dove sta oggi la sovranità”, il 75% dei cittadini italiani ritiene di non avere voce in capitolo in Europa, mentre il 77% di loro sente di non avere alcun potere decisionale anche nel proprio paese. Un sentiment in linea con quello di greci e spagnoli ma di gran lunga distante rispetto alle percezioni dei tedeschi e degli olandesi, che si trovano in testa nella classifica dell’autoconsiderazione. «Ho fatto un esercizio, anche un po’ semplicistico» spiega Giuseppe Roma, direttore generale della Fondazione Censis, «provando a incrociare questo dato con un indicatore generico di sviluppo, il contestatissimo Pil pro-capite, e ne è emerso che in Danimarca il 96% dei cittadini sente che la propria opinione conta e il reddito è più del 90 per cento superiore a quello italiano». A incidere nelle valutazioni anche il de-
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bito, che in quarant’anni è lievitato a 31mila euro a persona, contro i 242 euro registrati nel 1970: motivo per cui il 55,1% degli italiani preferisce che ai vertici dello Stato ci siano persone competenti, anche se non elette dal popolo. Quali sono le principali preoccupazioni degli italiani in tempo di crisi? «I cittadini sentono di aver poca voce in capitolo, soprattutto nelle decisioni, rispetto agli altri paesi europei. Secondo Eurostat, solo in Grecia si pensa di contare ancor di meno. Di paure ne abbiamo sempre avute, ad
Giuseppe Roma, direttore generale della Fondazione Censis
esempio la criminalità in passato. Ora penso che le maggiori preoccupazioni riguardino le condizioni di vita, il reddito, il lavoro, soprattutto pensare che si potrebbe tornare indietro nei livelli di benessere. E poi c’è l’incertezza che ci tiene sotto stress perchè dobbiamo continuamente prendere micro-decisioni che possono far pendere la bilancia verso il positivo o verso il negativo». Qual è il rapporto del singolo cittadino con la moneta unica? «Abbiamo dato molte colpe alla moneta unica. Prezzi cresciuti e stipendi diminuiti. Per molti questa è stata la
Giuseppe Roma
sensazione nel passaggio all’euro. Poi però ci siamo convinti che in una crisi così dura è meglio avere una copertura europea, certo con tutti i limiti e le costrizioni che comporta, ma l’autarchia e l’isolamento non ci ha portato bene. E poi poter andare all’estero e pagare con la moneta di casa nostra, oltre a essere una comodità, ci fa sentire parte di un contesto più ampio. E come si sa siamo esterofili. C’è un dibattito fra gli economisti sui vantaggi o sull’opportunità di abbandonare l’euro, ma mi sembra un argomento da iniziati». Per quanto concerne i servizi sanitari, più di 9 milioni di italiani dichiarano di non aver potuto accedere ad alcune prestazioni sanitarie. Chi soffre di più? «In gran parte le regioni meridionali
e in generale nelle regioni dove la sanità funziona peggio o ci sono piani di rientro per una spesa eccessiva. Poi le famiglie con figli, dove si moltiplicano le necessità di accesso al servizio sanitario, come per gli anziani a più basso reddito. I soldi contano per sostituire con una prestazione privata i lunghi tempi d'attesa del servizio pubblico, ma anche per pagare quote di prestazioni o farmaci». Un giovane su quattro è dell’idea che solo una forte e importante raccomandazione permetterà di lavorare. «Raccomandazione o più semplicemente conoscenza diretta, è questa la modalità più diffusa per accedere a un lavoro. Sembra incredibile ma non esistono luoghi fisici o digitali dove incrociare domanda e offerta di
lavoro. Negli altri Paesi si richiedono curricula per ricercare il miglior elemento da inserire in azienda. Non si tollerano inefficienza e bassa produttività, nel comparto pubblico come in quello privato. Forse con la spending review ci sarà meno spesa facile nella Pa e saranno costretti a far funzionare bene i servizi». Su quali temi i cittadini italiani si dimostrano in linea con il sentiment di quelli europei? «Come gli altri europei, gli italiani pensano che l’Unione abbia sufficienti poteri per difendersi dagli attacchi esterni, soprattutto quelli della speculazione finanziaria. Ma c’è una spaccatura fra i diversi paesi sul trasferimento di ulteriori poteri a Bruxelles. E gli italiani sono abbastanza tiepidi su questo». LAZIO 2012 • DOSSIER • 23
QUADRIENNALE D’ARTE
Continuare a valorizzare il patrimonio L’annuncio della cancellazione della 16esima Quadriennale di Roma per mancanza di risorse ha destato scalpore. Il presidente della Fondazione Jas Gawronski annuncia possibili modifiche nello statuto e rilancia: «La Quadriennale non è ferma» Francesca Druidi
a presenza di cento artisti, scelti tra gli altri da Mimmo Paladino e Michelangelo Pistoletto, per offrire uno sguardo complessivo e non banale sull’arte contemporanea. Questo voleva essere il progetto cardine dalla XVI edizione della Quadriennale d’arte, prevista per ottobre nella sede del Palazzo delle Esposizioni di Roma. A fine maggio è arrivata però la doccia fredda: il presidente della Fondazione La Quadriennale, Jas Gawronski, ha dichiarato l’impossibilità di organizzare l’evento per carenza di fondi, denunciando la mancanza di un intervento da parte del Ministero per i Beni culturali. “Non abbiamo i due milioni di euro necessari a organizzare la mostra e che sarebbero dovuti arrivare dall’Arcus”, ha affermato il presidente della Fondazione. Il ministro Ornaghi ha replicato: “Il ministero non è un pozzo di San Patrizio”, sollecitando il ricorso al sostegno dei privati. Non sono poi mancate le critiche all’indirizzo di Gawronski, che fa il punto della situazione sulle prospettive future della Quadriennale. Non ci sono allo stato attuale (15 giugno, ndr) margini per pensare di organizzare la XVI Quadrien-
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nale? L’annullamento è definitivo? «No, speriamo di no, ma difficilmente sarà cantierizzabile prima di un paio di anni». Raffaele Gavarro, Claudio Libero Pisano e Cecilia Casorati hanno espresso la volontà di mettere in piedi una manifestazione a budget ridotto, invitandola di fatto a dimettersi. Come risponde alle loro dichiarazioni? «Benvenuta ogni proposta di confronto. Peccato che nessuno di loro ci abbia contattato. Le intenzioni, quando sono serie, credo intraprendano altre strade, certo diverse dalle
boutade mediatiche. Mi sembra poi che tali esternazioni rivelino una certa confusione di ruoli all’interno di un’istituzione culturale. Sicuramente, non pare abbiano chiara la distinzione tra chi ha una funzione di garanzia e indirizzo e chi ha un incarico di curatela tecnico-scientifica di una qualsivoglia iniziativa». Servirebbero due milioni di euro per realizzare l’evento. Alcuni la ritengono una cifra troppo elevata. «Le mostre temporanee sono tra le attività più dispendiose. Ne è riprova la loro drammatica riduzione nella programmazione di tutte le strutture, an-
Appuntamento del ciclo “L’arte negli anni ‘70. Le parole e le immagini” dedicato a Sandro Chia a Villa Carpegna, sede della Quadriennale
Jas Gawronski
Stiamo lavorando con i soci alla modifica dello statuto per la creazione di un collegio di partecipanti aperto ai privati
Jas Gawronski, presidente della Fondazione La Quadriennale di Roma
che museali. Nel nostro caso, si tende a dimenticare che la Quadriennale paga un handicap di partenza: non ha una propria sede espositiva e deve sempre chiedere in locazione gli spazi, almeno 3 mila metri quadrati che non ha mai avuto gratis o a costo simbolico, né dallo Stato né dal Comune che, peraltro, sono tra i suoi soci. Si tende, poi, a pensare che le opere di arte contemporanea comportino costi organizzativi inferiori. Tutt’altro. Sono opere spesso più complesse, fragili, voluminose, con componenti tra le più svariate (organiche, tecnologiche, ecc.), che richiedono monitoraggi e investimenti importanti. L’ultima edizione della Quadriennale ha cercato di favorire la presentazione di lavori ad hoc o comunque molto recenti, con uno sforzo di produzione superiore alle precedenti edizioni, il che è stato riconosciuto tra gli elementi di maggiore qualità della mostra». Quali saranno le sue prossime mosse? Resterà alla guida della
Quadriennale? «Non sono attaccato alla poltrona e neanche allo stipendio, dato che vi ho già rinunciato da subito per devolverlo in spese a disposizione della Quadriennale per esigenze di promozione e comunicazione. Ma le mie eventuali dimissioni non modificherebbero minimamente il quadro di contorno. Anzi. Credo che, in questo momento, ciascuno debba stare al suo posto e fare, se possibile, anche di più. La Quadriennale comunque non è ferma in questo periodo. Sarebbe stato forse più comodo incrociare le braccia. Non è il nostro atteggiamento. Come tutti, stiamo cercando di valorizzare il più possibile il nostro patrimonio. Non abbiamo collezioni d’arte, ma un patrimonio documentario straordinario sul Novecento e gli anni Duemila. Da qui a novembre, ad esempio, mettiamo in vetrina alcuni pezzi pregevoli in un ciclo di proiezioni e conversazioni con gli artisti sull’arte
negli anni 70. Sta, inoltre, per partire un’indagine sull’arte italiana under 40 affidata a curatori sempre under 40». Se, come sembra, il contributo dello Stato non arriverà, è impensabile ricorrere al coinvolgimento di soggetti privati? «Stiamo lavorando con i soci alla modifica dello statuto per la creazione di un collegio di partecipanti aperto ai privati e con condizioni di ingresso meno proibitive rispetto a quelle attualmente chieste. Temo, comunque, che nuovi sostenitori saranno certo utili, ma non determinanti nei bilanci di tutte le istituzioni culturali». A chi si può imputare la delicata situazione dell’arte contemporanea nella Capitale? Alle istituzioni, al governo, alla crisi? «Ciascuno ha le sue responsabilità, ma non sono risalenti all’oggi. Il depauperamento della cultura purtroppo è un processo che prosegue inesorabile da decenni». LAZIO 2012 • DOSSIER • 29
QUADRIENNALE D’ARTE
Troppo silenzio attorno all’affair Quadriennale La prevista cancellazione della Quadriennale di Roma deve far pensare all’adozione di un nuovo approccio alla gestione della cultura oggi in Italia. Razionalizzando le risorse a disposizione. L’opinione del critico d’arte e curatore Luca Beatrice Francesca Druidi
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mente, la Fondazione si era rimessa un po’ in quadro grazie alla presidenza di Gino Agnese e poi di Jas Gawronski. Una manifestazione, quindi, di tutto rispetto, la cui cancellazione lascia molto perplessi». Se dovesse essere confermata la cancellazione dell’edizione prevista per otto- Luca Beatrice, critico d’arte e curatore di mostre, cataloghi e saggi bre, che tipo di segnale rappresenterebbe per l’Italia e so- questa situazione è proprio l’assorprattutto per Roma, dove già si è dante silenzio che ruota attorno alla segnalata nei mesi scorsi la que- vicenda. Non si sono levate, infatti, stione del commissariamento del particolari voci di protesta. Anche il Maxxi? commissariamento del Maxxi, a due «Sarebbe un disastro. Innanzitutto, ci anni dalla sua apertura, è un segnale si aspetterebbe da un governo tec- devastante per l’immagine del nonico la capacità di risoluzione dei stro Paese in giro per il mondo. Nel problemi, al di là delle misure adot- bene e nel male, infatti, questo mutate finora improntate al rigore. Con seo è stato considerato a tutti gli efogni probabilità, se al posto di un fetti il centro principale per l’arte ministro di area tecnica come Orna- contemporanea in Italia; metterlo in ghi ci fosse stato un ministro poli- amministrazione controllata non tico, magari del governo precedente, rappresenta di certo un incoraggiante avrebbero parlato di attacco alla cul- indicatore rispetto all’operato, ad tura, se non peggio. L’aspetto che esempio, di Tate e Centre Pompitrovo maggiormente inquietante di dou. La Quadriennale è meno spetFoto Stefano Cerio
ondata nel 1927 per promuovere l’arte contemporanea italiana, la Fondazione La Quadriennale di Roma è ora al centro di diverse polemiche. La sua sedicesima edizione, infatti, non si terrà come previsto a ottobre per la mancanza dei soldi necessari a organizzarla. Luca Beatrice affronta la questione dal suo punto di vista di critico d’arte e di curatore di mostre. Quale importanza ha rivestito e riveste la Quadriennale nell’ambito della cultura e dell’arte italiana? «È un’istituzione storica per la cultura del nostro Paese, ha identificato l’alter ego della Biennale di Venezia in termini di valorizzazione dell’arte italiana in maniera capillare, seppure tra alti e bassi. Si ricordano edizioni molto importanti, come le prime, durante il Ventennio, quando Margherita Sarfatti aveva rilanciato il cosiddetto “Ritorno all’Ordine”, e soprattutto negli anni Sessanta la Quadriennale era stata la culla di una certa pittura romana. Recente-
Luca Beatrice
tacolare sotto il profilo della risonanza all’estero. Però per Roma, che aveva tentato strategicamente di lanciarsi o di rilanciarsi come nuova capitale dell’arte contemporanea aprendo il Maxxi e il Macro nel giro di pochi mesi, si tratta di un fallimento su quasi tutta la linea, non riuscendo a mantenere e a far decollare queste istituzioni». Di fronte alla scarsità di risorse erogate dallo Stato, s’impone più che mai una riflessione sulle possibilità di sopravvivenza e di finanziamento alternativo per le strutture culturali. È possibile mettere in pratica strategie per non dipendere esclusivamente da fondi statali?
Credit Fondazione La Quadriennale
La Quadriennale è una manifestazione di tutto rispetto, la cui cancellazione lascia molto perplessi
«Senza dubbio, il sostegno dei privati è importante, ma in generale va considerato il fatto che è finito un mondo e che, dunque, è necessario reinventarsi. Le mostre devono costare di meno e occorre arginare il più possibile gli sprechi. Non dico che bisogna smettere di investire in cultura - anzi, è stato ampiamente dimostrato come gli investimenti nel settore culturale siano capaci di generare ritorni economici e sociali importanti ma occorre prestare molta più attenzione a quanto si può spendere e, di conseguenza, a come utilizzare il budget. Impossibile oggi tenere tutto aperto, tutto funzionale, come se non fosse accaduto nulla.
Villa Carpegna, sede della Fondazione La Quadriennale di Roma
Bisogna cambiare e riscrivere le regole del gioco, ripensando in primis alle strategie di posizionamento dei vari musei». Gawronski, Alemanno e Ornaghi sono stati criticati a vario titolo per la mancata edizione della Quadriennale. Secondo lei, chi è maggiormente responsabile di questa situazione? «Al di là del discorso già fatto per il ministro Ornaghi, eviterei un discorso di questo tipo. Inoltre, quello di Gawronski è stato un atto di pura responsabilità: se i soldi per organizzare la mostra non ci sono, diventa impossibile, nella pratica, assumersi l’impegno. La Quadriennale proseguirà la sua attività ordinaria. Ma lo slittamento dell’evento non è il solo elemento preoccupante. L’aria che tira non è buona. In generale, non avverto una reale voglia di mettersi in discussione nel settore; e forse non c’è nemmeno la capacità di lavorare con budget oggi più ridotti rispetto a quelle che erano le risorse disponibili tempo fa. È un mondo che si deve reinventare». LAZIO 2012 • DOSSIER • 31
CREDITO & IMPRESE
VIE ALTERNATIVE DI SVILUPPO Diminuiscono le erogazioni alle piccole e medie imprese, anche in relazione alle difficoltà nella raccolta e, in parallelo, si riducono anche le domande per i prestiti. Potrebbe apparire un segnale di adeguamento della domanda alla situazione dell’offerta, ma è da considerarsi piuttosto un semplice riflesso della stagnazione dell’attività produttiva. A ulteriore conferma di questa situazione, sono arrivate le rilevazioni della Banca d’Italia presso le aziende, che evidenziano un aumento delle richieste di prestiti per finanziare il capitale
circolante, collegate sia al calo dell'attività economica, sia alle difficoltà di incasso dei crediti commerciali. Una situazione che coinvolge anche start-up e aziende sane che faticano ad accedere al credito e per questo non possono crescere, innovare e accettare la sfida del mercato globale. E in un contesto così complesso i fondi d’investimento attivi nel private equity e nel venture capital possono rappresentare una possibilità per quelle pmi che hanno necessità di nuova liquidità per cogliere i vantaggi della ripresa economica. LAZIO 2012 • DOSSIER • 33
CREDITO & IMPRESE
A CACCIA DI START-UP PROMETTENTI
La crisi economica continua a colpire. Le prospettive sono però più rosee per quelle aziende che godono della fiducia degli operatori di private equity, che crescono anche in tempi difficili, proprio grazie a chi ha scommesso su di loro Teresa Bellemo ifi raduna gli operatori di private equity e di venture capital e tutti i soggetti attivi sul mercato d’investimento in capitale di rischio. Quando ci sono delle imprese che hanno dei piani di sviluppo interessanti, l’associazione decide di concedere loro finanziamenti sotto forma di capitale di rischio. Non ci sostituiamo alla banca, però per quelle imprese che hanno piani di sviluppo importanti siamo un canale di riferimento». Descrive così l’Aifi Anna Gervasoni, direttore generale dell’associazione. Nel 2011 sono stati 3,6 i miliardi di euro investiti dagli operatori di private equity e venture capital attivi in Italia, un valore che mostra un incremento significativo rispetto ai 2,5 miliardi registrati l’anno precedente (+46%). Cresce anche il numero di operazioni, passato da 292 a 326 (+12%). In una situazione di incertezza e di forte
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volatilità, questi numeri sono incoraggianti, anche perché le imprese che vedono l’intervento di questo tipo di fondi presentano quasi sempre dei tassi di crescita maggiori rispetto alle altre. Quali sono i problemi principali dell’accesso al credito e come si può andare incontro alle imprese per renderlo più facile? «Ci sono due temi, uno riguarda le imprese e l’altro il mercato del credito. Molte imprese oggi sono in difficoltà per via della crisi economica e finanziaria. Ciò fa sì che queste realtà vengano escluse dai requisiti minimi per rientrare nel nuovo accordo di Basilea. Un’azienda che in passato aveva certi coefficienti oggi a causa della crisi non li ha più, quindi sostanzialmente ha un rating bancario inferiore, motivo per cui gli viene affidato con enorme fatica un eventuale finanziamento. In secondo luogo, oggi ci troviamo di fronte a una crisi di liquidità profonda, dovuta a difficoltà del sistema economico ma anche al
Anna Gervasoni, direttore generale di Aifi
fatto che le banche faticano a riavere i capitali d’impresa prestati ad aziende oggi in sofferenza. Dunque, le banche hanno difficoltà a liberare nuove risorse e a raccoglierle sui mercati perché ci sono meno soldi circolanti. Per questo oggi anche un’azienda in salute si trova a dover fare i conti con una grave stretta creditizia». Quanto conta in questa crisi il ruolo della speculazione finanziaria? «La speculazione rende i mercati molto nervosi e reattivi, dunque è ovvio che essa abbia un forte peso sugli scambi, soprattutto sull’ampliamento delle ciclicità. C’è chi specula sulle dichiarazioni della Merkel, chi sulle aspettative. Diciamo che è inevitabile, dato che esistono strumenti dichiaratamente speculativi. Queste dinamiche però riguardano chi fa di mestiere lo speculatore, non i fondi di private equity». In che modo le istituzioni possono limitare questo fenomeno? «Ogni fenomeno può essere limitato grazie a regole certe. Ci sono strumenti tecnici per limitare la speculazione, per esempio basterebbe lavorare sulle vendite di acquisto allo scoperto. Il problema principale è che oggi i mercati sono talmente interconnessi da rendere necessarie misure a livello globale, non ha senso applicare una regola a Milano e non a Shanghai». Come interagite con le aziende in crisi? «Nel caso di venture capital lavoriamo quasi sempre con start-up, ma siamo in relazione con aziende in crisi nel caso in cui le imprese che avevamo in portafoglio qualche anno fa
oggi stiano affrontando, come molte altre, la crisi dei mercati reali. Hanno però la fortuna di avere come socio un fondo di private equity che permette loro di far fronte alla crisi meglio delle aziende “sole”». I dati confermano, infatti, che le aziende con una partecipazione di capitali da parte di un’associazione di private equity hanno tassi di crescita maggiori rispetto alle altre. «ciò dipende essenzialmente da due fattori. Uno di selezione, nel senso che noi cerchiamo aziende con una marcia in più; in secondo luogo, concedendo capitali alle aziende permettiamo loro di crescere più velocemente, per far sì che ottengano performance migliori». Come detto in precedenza, vi concentrate soprattutto su start-up che hanno bisogno e possibilità di crescere. Qual è la situazione delle start-up in Italia e quali sono i settori più effervescenti? «In Italia ci sono delle energie straordinarie. Ci sono tantissime idee e progetti e la crisi ha sicuramente stimolato anche processi innovativi. Questo non dipende tanto dal settore, quanto dal business model. Serve una forte capacità innovativa e una forte componente manageriale: un’impresa che nasce oggi deve avere necessariamente una grande vocazione internazionale per crescere. Per quanto riguarda il settore, non c’è una predominanza, però si nota una maggiore effervescenza nelle aree Ict, delle scienze della vita, della medicina e del biomedicale, infine, nelle nanotecnologie». LAZIO 2012 • DOSSIER • 39
CREDITO & IMPRESE
LO SVILUPPO PASSA DAL RISCHIO Accedere al credito e ottenere finanziamenti è ancora difficile. Ma esistono modi per superare l’ostacolo, ad esempio aprire il capitale aziendale agli investitori o quotarsi in Borsa, favorendo così la crescita degli asset immateriali dell’azienda Teresa Bellemo ati alla mano, le imprese negli ultimi mesi hanno ridotto le richieste di finanziamento alle banche. Potrebbe sembrare un fattore positivo se non fosse che questo dato è riferito a quei finanziamenti rivolti all’innovazione, alla ricerca e alla ristrutturazione aziendale. Le aziende, insomma, sono soprattutto concentrate nel cercare credito per pagare spese correnti e fornitori e rischiano di arrivare alla ripresa economica, prospettata per il 2013, sostanzialmente ferme. Il Fondo italiano di investimento si rivela uno strumento che permette a quelle aziende, prevalentemente sane, di investire proprio in innovazione e sviluppo, in modo da poter crescere e rafforzarsi. Le attività del fondo negli ultimi anni si sono concentrate, infatti, nel tentativo di incentivare l’accorpamento delle innumerevoli piccole e medie aziende che a causa delle loro dimensioni risentono maggiormente della concorrenza globale e della difficoltà di penetrare i nuovi mercati. Si tratta prevalentemente di interventi di expansion capital, quindi finalizzati a sostenere le fasi di sviluppo delle aziende in cui si investe.
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Attenzione viene data anche ad operazioni di replacement e management buy-in e buy-out, in presenza di esigenze di ricambio generazionale o problemi di governance interni che rischiano di pregiudicare l’operatività dell’azienda. Oggi sono 21 le aziende nel portafoglio del fondo e 9 le società di investimento in cui si è intervenuti con l’attività indiretta. Ne parla l’amministratore delegato, Gabriele Cappellini. Come opera il Fondo italiano di investimento? «Il fondo opera attraverso due modalità di intervento. La prima è costituita dai cosiddetti “investimenti diretti”, ovvero acquisizioni di quote di capitale di imprese, che hanno ambizioni di crescita e vocazione all’internazionalizzazione. La politica del fondo esclude la possibilità di intervenire direttamente in imprese in fase di start-up, così come in quelle di turnaround, a meno che queste non siano state effettivamente superate e le imprese siano quindi pronte ad avviare una nuova fase di sviluppo. La seconda modalità di intervento riguarda, invece, gli investimenti indiretti, ovvero la sottoscrizione di quote di altri fondi di private equity aventi approccio e carat-
Gabriele Cappellini, amministratore delegato del Fondo italiano di investimento
teristiche simili a quelle definite per il Fondo italiano. In questo modo contiamo di poter raggiungere un numero ancora più ampio di aziende e, soprattutto, di aumentare la capillarità del nostro intervento». Quanto può influire il ruolo del fondo in un momento economico complesso come questo? «Il fondo è nato per supportare le imprese di piccole e medie dimensioni nel loro processo di sviluppo, operando attraverso interventi di capitalizzazione in funzione del loro sviluppo sia nazionale che internazionale. L’obiettivo è quello di ricercare aziende in possesso di validi programmi di crescita, affiancandole nelle difficili scelte industriali che spesso comportano non solo assistenza finanziaria, ma anche sostegno negli sviluppi organizzativi, commerciali e nel ricambio generazionale. Certamente questo insieme di attività può rappresentare un elemento fondamentale per le imprese che vogliono crescere, nonostante la difficoltà del contesto economico. Bisogna, al tempo stesso, tener presente che si tratta di interventi molto mirati su aziende sane, con un buon equilibrio della struttura finanziaria e, quindi, non finalizzati a recuperare situazioni di difficoltà né strutturali, né congiunturali». Quanto l’accesso al credito può diventare un freno per chi fa impresa? Quali le soluzioni per semplificarlo? «Le difficoltà di accesso al credito possono sempre costituire un freno per l’attività di impresa, considerando che il corretto utilizzo del capitale di debito rappresenta un elemento fondamentale per la costruzione di una struttura finanziaria
equilibrata. Al tempo stesso, con l’evoluzione dei sistemi economico-produttivi e lo sviluppo delle tecnologie, sta emergendo in forma sempre più netta come i fabbisogni delle imprese siano costituiti in maniera crescente da asset “intangibili”, che non si prestano a essere finanziati attraverso il capitale di debito. In questo caso, la fonte di finanziamento più appropriata non può che essere il capitale di rischio e da qui l’esigenza che le imprese, anche di minori dimensioni, siano disposte ad aprire il loro capitale a nuovi investitori, siano essi fondi, come il nostro, piuttosto che il mercato di Borsa». Il tessuto imprenditoriale italiano è fortemente caratterizzato da aziende di piccola dimensione. Quanto questa realtà indebolisce la produzione e quali possono essere le strategie per strutturarle maggiormente? «La ridotta dimensione delle imprese italiane, per anni considerato un vantaggio in termini di flessibilità organizzativa, oggi è senz’altro un limite per ciò che riguarda la loro capacità competitiva, con riferimento a mercati sempre più globali e sempre meno protetti. Proprio in questo ambito si inserisce l’attività del Fondo italiano, i cui interventi sono finalizzati ad avviare e sostenere processi di consolidamento settoriale, ovvero l’aggregazione di imprese operanti nello stesso ambito, al fine di creare dei veri e propri “medi campioni nazionali”. Molte delle aziende in cui abbiamo investito fino ad oggi hanno già iniziato questo processo, acquisendo altre realtà nazionali ed internazionali, e altre lo inizieranno a breve. È attraverso queste iniziative che vogliamo contribuire ad aumentare la competitività di alcune eccellenze del sistema Italia». LAZIO 2012 • DOSSIER • 41
ECONOMIA DIGITALE
Web e start-up digitali La cabina di regia voluta dal governo può raggiungere risultati in tempi rapidi per la crescita dell’economia digitale. «Il mercato è pronto a partire - sostiene Stefano Parisi - ma bisogna promuovere lo switch off digitale dei servizi e aumentare gli investimenti in rete» Elisa Fiocchi
no degli obiettivi prioritari di Confindustria Digitale, e contenuto nel pacchetto di proposte per la crescita che la Federazione ha presentato per fine marzo al Governo, consiste nella creazione di un mercato di venture capital in grado di sostenere lo sviluppo di numerose start-up. Sono tantissimi, infatti, i giovani che s’affacciano al web con iniziative e idee d’impresa senza trovare adeguati strumenti finanziari in loro sostegno. «Oltre a garantire una semplificazione burocratica, la cosa più importante - dichiara il presidente Stefano Parisi - sarebbe offrire un vantaggio fiscale a chi investe nello start-up o nel venture capital». La nascita di imprese innovative è quindi un passaggio fondamentale per riavviare la crescita in Italia e va sostenuto anche attraverso strumenti per la creazione di un exit market, come sgravi fiscali per le aziende che acquisiscono start-up italiane finanziate da fondi venture capital o che abbiano sponsorizzato la nascita di incubatori, piattaforme di aggregazione di idee ed iniziative imprenditoriali. Il numero uno di Confindustria Digitale spiega la direzione da percorrere: «Dall’obbligo di passaggio dalla carta al web di servizi pubblici e privati, all’aumento degli inve-
U Stefano Parisi, presidente di Confindustria Digitale
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stimenti necessari a soddisfare la crescita di domanda sulle reti fisse e mobili e realizzare le reti di nuova generazione». Come la crescita e il sostegno delle star-up può favorire l’economia digitale? «Bisogna potenziare il mercato del venture capital. In Italia, infatti, ci sono molte realtà di giovani che nascono sul web e creano servizi e nuove applicazioni, dall’e-commerce, all’alimentare, al turismo. Esistono migliaia d’iniziative promosse da ragazzi che escono dalle Università, che hanno sviluppato una tesi o un algoritmo che vogliono mettere sul web per far partire un’applicazione. Il problema è che ci sono pochi strumenti finanziari per aiutarli a crescere». Per quali ragioni il venture capital in Italia è scarsamente presente e come intervenire per cerare maggiori opportunità? «Il venture capital richiede una forte propensione al rischio e una approfondita conoscenza dei settori in cui si investe, quindi tradizionalmente ci sono poche iniziative. Oggi, tuttavia, si assiste alla nascita di nuovi fondi, a banche che hanno interesse a crescere e che guardano a queste nuove realtà: sarebbe utile favorire questo tipo d’attività per accelerare il processo di crescita del venture capital». Quali esempi di start up emergenti si fanno spazio nel nostro Paese? «Una fra le più interessanti iniziative è H-Farm, l’incubatore d'impresa nel campo di internet e dei
Stefano Parisi
media digital nella provincia di Treviso, dove sono partite tante iniziative finanziate da un fondo che offre sia la location alle imprese, sia servizi di organizzazione, contabilità e personale. Questa fattoria digitale mette a disposizione tutti gli strumenti per partire. Sono piccoli investimenti che però fanno nascere nuove imprese che si posizionano sul territorio». Nel 2011 l’e-commerce ha superato le previsioni e la crescita raggiungerà un valore complessivo di mercato pari a 8,1 miliardi di euro. Il recupero del gap digitale che separa l’Italia da altri Paesi in che modo può costituire un volano per la ripresa economica? «Inizialmente bisogna partire offrendo maggiori servizi. Negli altri Paesi avere un collegamento internet è indispensabile nei rapporti con la Pubblica Amministrazione, la scuola, l’università, il sistema sanitario. L’Italia da questo punto di vista è ancora molto indietro. Il primo passaggio da compiere, che non solo costa meno ma garantisce anche dei risparmi, è quello di mettere servizi sul web e di portare le domanda di internet laddove oggi non c’è. Questa è la base, a
Una fra le più interessanti iniziative è H-Farm, l’incubatore d'impresa nel campo di internet e dei media digital nella provincia di Treviso
fianco della quale, s’inserisce lo sviluppo di aziende capaci di offrire soluzioni innovative per le imprese della pubblica amministrazione e di far crescere internet». Con che tempi e modalità ritiene possibile raggiungere uno switch-off generalizzato delle procedure e a quali nuovi modelli bisogna fare riferimento? «Il governo ha avviato una cabina di regia digitale ed è molto importante che ci sia un coordinamento generale attorno a questi temi. Il passo successivo è avviare progetti concreti. Il pacchetto di proposte che abbiamo presentato al ministro Profumo, è molto articolato, ma contiene progetti che posè molto avanzato, articolato, ma sono progetti che possono essere attuati rapidamente solo attraverso la collaborazione tra Governo e imprese». LAZIO 2012 • DOSSIER • 53
ECONOMIA DIGITALE
Open data, trasparenza e partecipazione Per velocizzare l’accesso alle informazioni pubbliche bisogna agire su due fronti secondo Ernesto Belisario: «Quello normativo, rendendo obbligatoria la pubblicazione dei dati sul web, e quello culturale, spiegando a tutti che così facendo migliorano le nostre vite» Elisa Fiocchi
open data nasce dall’esigenza di dare una concreta attuazione al principio secondo cui i dati prodotti dalle istituzioni pubbliche nell’espletamento delle loro funzioni appartengono alla collettività e devono quindi essere resi disponibili e riutilizzabili. La prima regione italiana che si è dotata di un portale dei dati pubblici è il Piemonte, che ha adottato le linee guida per il riutilizzo del patrimonio informativo pubblico, approvando anche la prima legge regionale in materia. Ernesto Belisario, presidente dell’Associazione italiana per l’open government, che ha redatto la prima proposta di legge italiana pre-
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Ernesto Belisario, fondatore e titolare dello studio legale Belisario e presidente dell’Associazione italiana per l’open government
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sentata dal consigliere Rocco Berardo alla Regione Lazio, insiste sull’importanza di trasformare la volontà politica in realtà amministrativa sul territorio e chiede una rapida approvazione della legge, l’adozione dei necessari regolamenti attuativi che servano a mettere in piedi il portale regionale di open data e la pubblicazione del maggior numero di dati rilevanti e utili per cittadini e imprese. «L’obiettivo è di allargare i diritti dei cittadini, assicurando maggiore trasparenza, partecipazione e collaborazione alla gestione della cosa pubblica». Su quali temi di particolare interesse verte la proposta di legge? «L’intervento normativo risponde, in primo luogo, all’esigenza di trasformare la trasparenza in effettivo accesso da parte dell’intera collettività a tutte le informazioni pubbliche, secondo il paradigma della libertà di informazione dell’open data. Per questo motivo si propone di inserire norme che impongono a tutte le pubbliche amministrazioni la pubblicità delle informazioni del settore pubblico, prevedendo delle vere e proprie sanzioni per i soggetti inadempienti; disposizioni di questo tipo hanno lo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa». In Italia cresce il divario con gli altri paesi occidentali: sul portale degli Stati Uniti sono disponibili 390mila dataset, su
Ernesto Belisario
Fonte: www.dati.gov.it
Secondo il commissario europeo Neelie Kroes, il riutilizzo dei dati del settore pubblico nei 27 paesi membri potrebbe creare un indotto pari a 140 miliardi di euro in tutta l’Ue
quello francese oltre 350mila, sul britannico circa 8mila. Come si evolverà la sfida dell’open government nel nostro Paese? «Le iniziative di open data avviate in Italia e il numero di dataset rilasciati non sono ancora paragonabili a contesti più maturi come quello statunitense o britannico, ma il movimento italiano sta attualmente vivendo una fase di grande crescita. Da uno studio condotto dallo staff del portale dati.gov.it, fatto su tutte le iniziative di open data avviate in Italia e mappate sul sito, emerge un numero di dataset aperti ben più elevato rispetto ai dati catalogati al momento (circa 180); una prima stima di tutti i dataset italiani in formato aperto è di oltre 1.600 unità. Un numero incoraggiante destinato a crescere ulteriormente». L’economia dell’immateriale, quella che utilizza i dati del settore pubblico, quali benefici potrebbe ottenere in relazione al valore dei dati, al valore del riutilizzo del-
l'informazione del settore pubblico in Europa? «Secondo i dati diffusi dal commissario europeo all’Agenda digitale, Neelie Kroes, il riutilizzo dei dati del settore pubblico nei 27 paesi membri potrebbe creare un indotto pari a 140 miliardi di euro in tutta l’Ue. Ma non è tutto: grazie all’open data, i servizi on line potrebbero essere sviluppati da soggetti privati, a costo zero per l’amministrazione e il portale può essere utilizzato per la lotta alla corruzione, il cui costo, in Italia, è stimato in oltre 60 miliardi di euro». Per quali ragioni, le amministrazioni meridionali non si stanno muovendo e con quali ripercussioni? «È innegabile che le amministrazioni del centro-nord siano più ricettive alle sollecitazioni che vengono dalla rete mentre gli enti meridionali sono legati a un approccio più “burocratico”, che consiste nello stretto adempimento di quanto prevedono le norme. Anche al Sud ci sono molti enti virtuosi, che però non hanno ancora compreso che l’unica via per comunicarlo in modo corretto è essere trasparenti. Tuttavia, poiché è difficile aspettarsi un cambiamento culturale in tempi brevi, la strada dell’imposizione normativa è imprescindibile per evitare che al “divide” economico e digitale se ne aggiunga anche uno legato ai dati». LAZIO 2012 • DOSSIER • 55
TRASFERIMENTO TECNOLOGICO
Cervelli in fuga, servono regole strategiche La scarsa governabilità e la poca sinergia tra il mondo della ricerca, dell’università e dell’impresa fa scappare tantissimi ricercatori: «Tutta questa preparazione deve invece avere un ritorno in termini di crescita e di progresso del Paese» dichiara il ministro Francesco Profumo Elisa Fiocchi
ei prossimi due anni l’Italia dovrà trasformarsi in un Paese palestra, preparandosi a centrare gli obiettivi del progetto Horizon 2020, sistema di finanziamento europeo integrato destinato alle attività di ricerca e operativo dal gennaio 2014. Il nuovo programma dovrà supportare l’Unione europea nelle sfide globali e fornirà ai ricercatori e agli innovatori dei paesi membri gli strumenti necessari alla realizzazione dei propri progetti. «Una sfida», ha detto il ministro dell’Università, ricerca e istruzione, Francesco Profumo, «a cui l’Italia deve arrivare preparata e per farlo dobbiamo allenarci sul piano nazionale, rendendo i bandi aperti e trasparenti, immettendo un sistema serio di valutazione che faccia ricorso a commissari esterni e soprattutto potendo contare sulla certezza di tempi e regole». Di questo e di altri temi si è discusso in occasione della quarta edizione della Giornata nazionale dell’innovazione 2012 nel convegno “L’Italia che corre”, dove dal quadro tracciato dagli esperti del settore è emersa la forte contraddizione nel nostro Paese tra competenze e regole di mercato. Sono ben 15mila, infatti, i ricercatori nostrani che scelgono di operare negli Stati Uniti e sono tanti coloro che a fronte di un’ottima preparazione s’aggiudicano bandi di concorso organizzati dai centri di ricerca europei. I cervelli in fuga scappano da un sistema contraddistinto da scarsa governabilità e dalla poca sinergia che esiste tra il mondo della ricerca, quello dell'università e quello dell'impresa. In poche parole, l’Italia non
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è in grado di fare sistema: «Subisce un corto circuito - sottolinea il ministro - e incapaci di fare in modo che tutta questa preparazione abbia un ritorno in termini di crescita e di progresso del nostro Paese». L’evoluzione al digitale di interi comparti, come quelli dei contenuti, dei servizi e dei prodotti di intrattenimento e dei sistemi speciali ha cambiato l’approccio classico al sistema determinando un calo delle componenti tecnologiche più tradizionali. Si diffondono in particolare anche tutte quelle nate dalla convergenza sempre più stretta tra informatica e telecomunicazioni, come ad esempio il cloud computing, i servizi on line in mobilità, la dematerializzazione dei documenti e tutto quanto ruota attorno ai social network e alle smart community. Il potenziale della domanda Ict è dunque enorme, soprattutto a favore delle piccole e medie imprese, ma perchè possa avviarsi con successo non può esimersi da regole semplici ma strategiche, alcune di queste contemplate nell’Agenda digitale italiana, che metterà il Paese al passo con gli indirizzi di Europa 2020 per la modernizzazione infrastrutturale e culturale. Gli ambiti di intervento riguarderanno la diffusione della banda ultra larga, soprattutto per le imprese, condizioni favorevoli per l’e-commerce, accelerazione delle pratiche di egovernment, sviluppo delle competenze digitali, sostegno alla ricerca e all’innovazione Ict e maggiore interazione fra imprese, cittadini e pubbliche amministrazioni. LAZIO 2012 • DOSSIER • 57
TRASFERIMENTO TECNOLOGICO
Innovare abbattendo gli ostacoli del mercato Secondo Davide Giacalone, il sistema produttivo legato all’innovazione è forte, «ma lo Stato deve intervenire su quelle aziende che potrebbero avere una proiezione globale ma sono troppo deboli per affacciarsi su un mercato grande e difficile» Elisa Fiocchi
bbiamo preso in esame l’Italia che corre e ci siamo detti che non c’è ragione di nascondere la nostra forza, non dobbiamo avere paura di raccontare la potenza del nostro sistema produttivo, ma neanche dobbiamo nasconderci dalle difficoltà». Con queste parole Davide Giacalone, giornalista ed esperto di telecomunicazioni, riassume il significato della quarta edizione della Giornata nazionale dell’innovazione, dove esperti del settore hanno esaminato da una parte gli eccellenti dati economici delle aziende e dall’altra le criticità da ribaltate al più presto. «A partire da una pressione fiscale insopportabile e una pressione burocratica e amministrativa dissennata, passando poi per un mercato abbandonato all’ingiustizia e concludendo con un sistema finanziario che sembra aver dimenticato l’esigenza di fornire energia a chi produce ricchezza». Ecco perchè non servono aiuti ma occorre rimuovere gli ostacoli. Con quali premesse e interventi è possibile creare nel
«A Davide Giacalone, esperto di telecomunicazioni, giornalista e blogger
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nostro paese un sistema favorevole all’innovazione? «Attraverso la meritocrazia e senza avere paura di dire che chi è più bravo merita di più. La meritocrazia è l’opposto del classismo, anzi: è la migliore medicina per combattere le malattie croniche del privilegio e dell’immobilità sociale. Liberando fette sempre più grandi di spesa pubblica, restituendo spazio al mercato, se ne può indirizzare una parte a promuovere l’innovazione, nella quale abbiamo molte più capacità di altri. Insomma, se ci si guarda in giro si nota che i nostri giovani hanno successo ovunque fuorché in Italia. Non è una maledizione, è il frutto di società che pretendono di conservarsi sempre eguali, così corrompendosi e imbastardendosi. Vale per le istituzioni, per la politica, per le università, per le imprese, per le professioni: chi è bravo vada avanti e gli altri non siano autorizzati a sparargli alle spalle, per sentirsi anch’essi degni di considerazione». Come valuta la collaborazione tra attori pubblici e privati per facilitare gli investimenti nell’ambito dell’innovazione? «Essenziale. Anzi, per la precisione, il mercato spetta ai privati mentre lo Stato può rendersi utile laddove le imprese faticano, ma non con finanziamenti, bensì con un buon lavoro coordinato. Faccio un esempio: la ricchezza innovativa si trova spessissimo presso aziende medie, piccole e piccolissime, aziende che neanche contabilizzano la spesa per ricerca e
Davide Giacalone
L’innovazione, nella quale abbiamo molte più capacità di altri, deve essere continuamente promossa. Se ci si guarda in giro ci si accorge che i nostri giovani hanno successo ovunque fuorché in Italia
sviluppo, al punto da deprimerne il quoziente nazionale, queste aziende potrebbero avere una proiezione globale, ma sono troppo deboli per affacciarsi su un mercato così grande e difficile, lo Stato intervenga lì. “Italia degli innovatori” è stato questo: costo zero e burocrazia zero; possibilità di incontrare potenziali partner e innesco di affari». Quali ostacoli impediscono ai giovani innovatori italiani di trovare ampi spazi sul mercato? «Il nostro sistema formativo, scuola e università, è per certi aspetti fra i migliori, ma anche fra i più distanti dal mondo produttivo. Una follia. La cultura è anche saper fare, mentre il valore legale del titolo di studio è l’incorniciamento dell’ignoranza corporativizzata. Il nostro mondo del lavoro è ostile ai giovani proprio perché poco elastico, quindi
poco permeabile. I padri sono stati di grande egoismo, anche se grazie a quello mantengono i figli. Il reddito è chiuso ai giovani, perché tutto basato sulla prestazione di garanzie reali. Abbiamo bisogno di soggetti capaci di entrare nel capitale di rischio, presenti in tutto il mondo che cresce. Da noi mancano, anche perché il rischio è troppo alto, per assenza di mercato aperto, giustizia reale e fisco». In merito agli obiettivi strategici da raggiungere, l’Italia come si posiziona nel quadro europeo? «L’Italia è un Paese forte, una potenza industriale fra le prime al mondo ed è anche un mercato ricco. Oggi viviamo due crisi. La prima ha radici interne e ci porta a perdere competitività, da quindici anni. La seconda è esterna, riguarda la debolezza strutturale dell’euro, ci fa bruciare ricchezza e aggrava la prima crisi. La prima va curata aumentando la libertà del mondo produttivo e premiando il merito di imprenditori e lavoratori. Parlo di premio fiscale: le tasse sulla produzione devono scendere, altrimenti scenderà la produzione e ci avviteremo nel vedere crescere la povertà. La seconda va curata in sede europea, ricordando anche ai fratelli tedeschi che oggi godono di un vantaggio indebito, dopo essere riusciti, grazie all’Europa, a coronare un loro sogno nazionale, che era anche una ferita europea: la riunificazione. In Europa dobbiamo integrarci meglio e competere di più. Ad armi pari». LAZIO 2012 • DOSSIER • 59
TRASFERIMENTO TECNOLOGICO
Quando le idee fanno impresa Il Premio Marzotto permette ai vincitori di entrare in contatto con un ampio ventaglio di soggetti interessati. Per questo, oltre a una dotazione economica, spiega Cristiano Seganfreddo, «viene coinvolto tutto il sistema dei venture capital italiani e dei fondi di private equity» Elisa Fiocchi edicato a una nuova idea di fare impresa, il Premio Gaetano Marzotto mette a disposizione dei giovani talenti italiani un budget economico oltre a un sistema di partner e network in grado di sviluppare al meglio il proprio progetto. Il riconoscimento si propone di offrire spazio e luce alle idee in grado di cambiare l’Italia, mettendo al centro della valutazione non tanto l’area di applicazione imprenditoriale quanto la visione e la forza progettuale della loro innovazione. Una giuria internazionale seleziona ogni anno le migliori tre proposte innovative, originali, finanziariamente sostenibili e in grado di generare ritorni economici con un impatto sociale positivo sul territorio italiano. Cristiano Seganfreddo, direttore dell’Associazione Progetto Marzotto, descrive i progetti vincitori della passata edizione e analizza gli ostacoli culturali che imprigionano le nuove idee: «Il 40 per cento del Pil americano è generato da aziende che hanno meno di vent’anni, è un dato abbastanza significativo, che non può essere contemplato in Italia, dove l’apparato è vecchio e stanco». Oggi i talenti italiani hanno sufficiente mercato nell’ambito dell’innovazione per ottenerne i giusti riconoscimenti? «Il problema del talento è complesso in Italia perchè qui manca un sistema ampio con caratteristiche internazionali e siamo una taglia provinciale. C’è poi poca attenzione all’innovazione e al rischio e ciò è evidente dalla titolarità e dall’età
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A destra, Cristiano Seganfreddo, direttore dell’Associazione Progetto Marzotto
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Bisogna lavorare di più nei settori maturi cioè connettere in modo contemporaneo il patrimonio manifatturiero, storicoartistico e artigianale in cui il nostro paese fa la differenza
Cristiano Seganfreddo
media delle presenze all’interno di un consiglio di amministrazione o nell’ambito universitario. Abbiamo anche una scarsa propensione a investire in territori nuovi e un sistema formattato non verso i giovani ma verso un establishment molto consolidato. Lo scoglio più importante all’ingresso è senz’altro di tipo culturale». Quali sono gli obiettivi alla base dell’operato dell’Associazione Progetto Marzotto? «Vogliamo creare un ecosistema dell’innovazione in Italia e diventare un aggregatore più ampio, non avendo fini o sostegni commerciali. Uno dei punti critici dei premi è quello di consegnare targhe che finiscono in molti casi nelle vetrine o nei salotti delle zie e delle mamme, noi invece forniamo una dotazione economica grazie al primo premio che ammonta a 250mila euro, il secondo a centomila e il terzo che consiste di una decina di borse di studio all’interno degli incubatori più importanti del nostro paese. Questo è uno step fondamentale perchè non si fa impresa con diecimila euro ma servono molti denari e una serie di accessori come la managerialità, un tutoring e altri investimenti. Da qui l’esigenza di portare all’interno del premio i venture capital italiani e i fondi di private equity. Anche grossi imprenditori, che hanno una sensibilità di investimento, possono entrare in molti casi nel capitale stesso delle aziende che vedono passare per il premio: penso a Renzo Rosso, Federico Marchetti, Mario Moretti Polegato». Come si sono trasformate le idee vincenti premiate nella passata edizione in progetti concreti? «I due premi maggiori sono stati vinti da due donne, un segnale per noi significativo. Il primo è stato assegnato al progetto Micro4yoU, spinoff della facoltà di Agraria dell’Università di Milano, che ha ideato un sistema innovativo ed ecosostenibile di pulitura dei monumenti rovinati dalle croste nere causate dall’inquinamento atmosferico. Il secondo è andato alla cooperativa sociale Tice, con un progetto finalizzato ad aiutare le famiglie e i bambini in difficoltà nell’accesso all’educazione. Il terzo premio, che prevede alcuni piani di incubazione come H-farm,
è invece un modo per coinvolgere altri soggetti dell’innovazione in Italia e mettere in moto tante energie. Nel nostro paese non mancano, infatti, i privati disposti a investire, ciò che manca è il “matching” con le buone idee, o meglio, un mix di idee e persone competenti che sappiano guidare un’azienda». Da chi è composta la giuria tecnica e attraverso quali criteri valuta i progetti? «Abbiamo ricevuto circa ottocento domande finora e credo che per la fine del bando ne arriveranno più di mille. Valutiamo l’originalità dell’idea, la fattibilità e la sua misurabilità. Le proposte non devono appartenere solo all’ambito tecnologico, anzi riteniamo che in Italia si debba lavorare di più nei settori maturi: bisogna cioè connettere in modo contemporaneo il patrimonio manifatturiero, storico-artistico e artigianale in cui il nostro paese sa fare la differenza rispetto ad altri mercati. Da un punto di vista tecnologico, non possiamo certo pensare di confrontarci con la Silicon Valley o Berlino». LAZIO 2012 • DOSSIER • 61
INDUSTRIA CINEMATOGRAFICA
Le sfide del cinema La produzione cinematografica italiana, che nel 2011 mostrava segnali incoraggianti, deve fare i conti nel 2012 con un mercato in difficoltà e in trasformazione. Pirateria, distribuzione, ammodernamento delle sale tra i fattori da risolvere Leonardo Testi ono stati 155 i film italiani prodotti nel 2011, 13 in più rispetto al 2010, e anche l’investimento da capitali italiani è stato abbastanza stabile rispetto al 2010, toccando quota 333 milioni di euro. Sono le principali tendenze registrate dal mercato cinematografico nostrano nel 2011, in base ai dati presentati da Anica (Associazione nazionale industrie cinematografiche audiovisive e multimediali) e dalla direzione generale per il cinema. Il 2011 sarà ricordato come l’anno del cinema italiano: 38, dei poco più di
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100 milioni di biglietti venduti, secondo i dati Cinetel, sono stati staccati per film italiani, pari a una quota del 37,5 per cento. Un risultato impensabile fino a qualche anno fa, quando ci si avvicinava a quote del 10 per cento circa. Nonostante questa performance, garantita soprattutto dalle commedie, non vanno dimenticati i punti di debolezza del mercato italiano. Mercato che, purtroppo, mostra risultati negativi in termini di presenze e di incassi nei primi mesi del 2012, vuoi per l’oggettiva flessione del cinema americano,
Il cinema in cifre
vuoi per il maltempo e il terremoto in Emilia e, nel complesso, per la crisi economica che attanaglia il Paese. Per questo motivo, il presidente di Anica, Riccardo Tozzi, in occasione dell’ultima edizione del Festival di Cannes, lo scorso maggio, pronosticava scenari foschi per il prossimo futuro. Sempre sulla Croisette, il presidente dell’Anica ha lanciato l’allarme sui tagli alle produzioni cinematografiche operati da Medusa - smentiti categoricamente da Mediaset e ridimensionati dall’amministratore delegato di Medusa Giampaolo Letta - e dalla Rai. Restano sul tavolo i nodi chiave da sciogliere per il settore: innanzitutto il dilagare della pirateria on line - sempre Tozzi ha lanciato l’allarme sul rischio di “far crescere una generazione che pensa che internet sia il luogo naturale su cui vedere i film gratuitamente” e poi il rinnovamento e il processo di digitalizzazione del parco sale, in particolar modo quelle dei centri urbani. Perché, se è vero che aumenta il numero di film italiani che aspira a essere visto e magari apprezzato dal pubblico, è altrettanto vero che non vi è un numero adeguato di schermi nel nostro Paese. Inoltre, la stagione cinematografica dura di fatto sette mesi anziché dodici. Da qui, l’eccessiva concentrazione delle uscite di film italiani da ottobre a marzo. Il fatto che da aprile a settembre la quota nazionale si abbatta vertiginosamente è un elemento che va corretto, anche perché allo stato attuale le pellicole nazionali tendono a cannibalizzarsi l’un l’altra, con uscite troppo ravvicinate. A farne le spese è la visibilità delle piccole e medie opere. Un quadro che, inevitabilmente, incide anche sulle scelte di produzione. Studiare e adottare forme intelligenti per incentivare uscite più diffuse nell’arco dell’anno, e magari anche per trovare sistemi alternativi di sfruttamento per alcuni titoli, costituiscono le priorità per il cinema italiano e, in generale, per il mercato cinematografico. L’allungamento della stagione nei mesi estivi è una questione che il settore si porta dietro da anni; sono stati fatti molti tentativi in questo senso. La situazione,
Riccardo Tozzi, presidente dell’Associazione nazionale industrie cinematografiche audiovisive e multimediali; a sinistra, un’immagine del film “Reality” di Matteo Garrone
rispetto a un decennio fa, è in parte migliorata, ma non può assolutamente essere paragonata a quella delle altre stagioni e le uscite importanti si contano sulle dita di una mano. Ciò comporta delle storture non indifferenti a livello distributivo: accade, infatti, che un blockbuster d’autore come “Prometheus” di Ridley Scott sia uscito in pressoché tutto il mondo tra la fine di maggio e la metà di giugno, mentre in Italia sarà nelle sale solo a ottobre inoltrato. Facile capire come anche la pirateria, in questi casi, vada a nozze. Un altro elemento problematico è identificato dalla programmazione del cinema italiano nelle televisioni, sia generaliste che satellitari e digitali: le sole 34 prime visioni di cinema nazionale in tv nel 2011, e una quota intorno al 20 per cento di programmazione di pellicole italiane su Sky, contro il circa 40 per cento di quota nazionale in sala, sono gli aspetti critici su cui lavorare. A Cannes, in occasione della presentazione di “Italia in Luce”, la nuova struttura per la promozione del cinema, del territorio e del prodotto italiano all’estero per un valore di 5 milioni di euro a cui partecipano Istituto Luce Cinecittà, Anica e quattro ministeri (Beni culturali, Sviluppo economico, Esteri e Turismo), il ministro Ornaghi ha promesso di accelerare l’iter sulla normativa anti-pirateria e ha annunciato la stabilizzazione del tax credit con cicli di quattro anni. Da queste iniziative e dal successo del film “Reality” di Matteo Garrone all’ultimo Festival di Cannes, dove ha vinto il Gran Premio della Giuria, si può e si deve ripartire per sfruttare appieno le potenzialità del cinema italiano. LAZIO 2012 • DOSSIER • 65
INDUSTRIA CINEMATOGRAFICA
Le sale come luoghi di aggregazione Attirare più pubblico al cinema con un’offerta di film articolata e di qualità, restituendo alla sala una dimensione aggregatrice e socializzatrice. È la strada indicata da Lionello Cerri, presidente dell’Associazione nazionale esercenti cinema Francesca Druidi
incasso dei film nelle sale per quanto riguarda il 2011 ha subìto un decremento del 10 per cento, così come si è registrata una diminuzione delle presenze di circa l’8 per cento. I primi mesi del 2012 non sono stati però molto confortanti sotto questo profilo. Lionello Cerri, presidente di Anec (Associazione nazionale degli esercenti cinematografici), indica le leve necessarie per risollevare il mercato. Qual è la tendenza evidenziata nella prima parte del 2012? «I primi cinque mesi del 2012 confermano la tendenza negativa del 2011. Per quanto riguarda le presenze, ci attestiamo su un 14,80 per cento, -12 per cento per gli incassi. A incidere, in primo luogo, c’è sicuramente la crisi economica. Anche il terremoto ha, negli ultimi tempi, creato dei disagi. E si fa sentire soprattutto la questione relativa alla mancanza del prodotto, che nel nostro settore è una componente fondamentale. È mancato l’apporto di buona parte del prodotto americano, ma anche italiano. Il mercato cinematografico è costruito prevalentemente sul prodotto e questo fattore interviene in modo incisivo». Sono diverse le istanze che Anec pone sul tavolo per garantire un futuro all’esercizio cinematografico, tra cui la riattivazione dei contributi in conto capitale e in conto interesse e l’allungamento della stagione cinematografica anche nei mesi estivi. Quali le priorità individuate? «Dal punto di vista di Anec, non si può inter-
L’ A destra, Lionello Cerri, presidente di Anec
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venire soltanto sulle emergenze, bisogna trovare una formula di sviluppo e di incentivazione degli incassi. Il nostro punto di riferimento principale è il pubblico e, per aumentare il pubblico, occorre un buon prodotto, nazionale e non solo. S’impone l’esigenza di avere più tipologie di film: non solo le commedie tanto per intenderci, ma nemmeno esclusivamente i prodotti d’autore o i film di genere. Serve la somma di più elementi per accontentare e sollecitare i diversi “pubblici” di cui il cinema è composto. Rispetto a questa situazione, il cambio di passo avviene nel momento in cui esiste una forte riconoscibilità: da una parte, della sala e, dall’altra, del prodotto. Le sale cinematografiche sono e dovrebbero essere sempre più il centro di aggregazione per-
Lionello Cerri
manente di un territorio, il luogo deputato al ritrovo per divertirsi, magari anche per mangiare o leggere un libro. Sotto questo aspetto, la sala è al centro di un percorso di inserimento nel tessuto cittadino, nella grande metropoli come nel piccolo centro, e in generale di un percorso di recupero della socialità. Si tratta di due aspetti determinanti: per le sale cinematografiche, riappropriarsi di questi ruoli significa già raggiungere un risultato significativo». Quali sono le principali criticità che gli esercenti delle sale cinematografiche italiane incontrano nel processo di digitalizzazione, un passaggio obbligato considerando lo switch-off dalla pellicola nel 2014? «Una parte di questo progetto di ammodernamento ricade, in buona sostanza, sulle spalle dell’esercizio. Abbiamo finora raggiunto il 50 per cento degli schermi digitalizzati in Italia. Se, da una parte, lo Stato è intervenuto con il tax credit per il 30 per cento di credito d’imposta, dall’altra dobbiamo capire ancora come gli investimenti delle sale e il riconoscimento di una “virtual print fee” (meccanismo attraverso il quale la distribuzione dà il proprio contributo affinché gli esercenti possano recuperare l’oneroso investimento necessario per la conversione al digitale, ndr) da parte della distribuzione, possano effettivamente concorrere alla copertura di tutta la spesa».
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Non si può intervenire soltanto sulle emergenze, bisogna trovare una formula di sviluppo e di incentivazione degli incassi
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Quale effetto ha avuto il 3D nelle sale italiane, dopo il boom iniziale e l’exploit di “Avatar” di James Cameron? «Basta non abusarne: i progetti più interessanti sono quei film in cui il 3D costituisce realmente una discriminante importante nella visione. Uno degli ultimi film in cui il 3D è emerso di prepotenza è stato “Hugo Cabret” di Martin Scorsese. Non è produttivo realizzare un elevato numero di film in 3D se poi non sono all’altezza: considerando anche il costo maggiorato del biglietto d’ingresso, il pubblico si fa molto più accorto e selettivo». Come si può contrastare la pirateria? «Occorre innanzitutto promulgare un’efficace legge anti-pirateria e poi educare le persone, le giovani generazioni ma non solo, diffondendo il messaggio che il download illegale è reato. Nel momento, infatti, in cui si continua imperterriti a non riconoscere che si tratta di un vero reato, non scatta nemmeno il senso di colpa da parte della gente: un aspetto molto grave, tenuto conto delle ripercussioni della pirateria sul settore cinematografico».
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INDUSTRIA CINEMATOGRAFICA
Riflettori puntati sul cinema italiano Con “Italia in Luce” si mira a dare maggiore efficacia alla promozione del cinema nostrano oltre confine, alla ricerca di sempre nuove e migliori modalità di diffusione. Ne parla Roberto Cicutto, ad di Istituto Luce Cinecittà
Roberto Cicutto, amministratore delegato di Istituto Luce Cinecittà
Francesca Druidi
stato presentato a maggio, in occasione del Festival di Cannes, “Italia in Luce”, il programma di cooperazione realizzato da Istituto Luce Cinecittà con Anica, Mibac, ministeri dello Sviluppo economico, Esteri e Turismo, per ottimizzare la promozione all’estero del cinema italiano. «L’obiettivo – spiega Roberto Cicutto, amministratore delegato di Istituto Luce Cinecittà – è soprattutto quello di dare continuità, almeno nei territori ritenuti strategici, al nostro intervento», al di là dei “picchi” di visibilità durante festival, rassegne di cinema italiano e fiere. Quali azioni, nello specifico, porterete avanti? «Il primo obiettivo è la costituzione di quattro desk responsabili dei rapporti con gli operatori locali (distributori theatrical, piattaforme Vod, reti televisive), oltre che con omologhi soggetti delle organizzazioni partecipanti al programma, quali addetti commerciali nelle ambasciate, direttori degli istituti di cultura e rappresentanti di agenzie del turismo. I desk avranno sede a Mosca, a Hong Kong per l’Estremo Oriente, a Buenos Aires per l’America Latina e a Los Angeles per Stati Uniti e Canada. Ugualmente importante sarà la messa a disposizione di fondi o servizi - copie sottotitolate, doppiaggio, fondi
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per la comunicazione - per quei distributori di cinema italiano che abbiano già acquistato un nostro film. La scelta del tipo di contributo sarà operata dai distributori internazionali che hanno effettuato la vendita. Questo per investire nel modo ritenuto più efficace, lasciando la decisione a chi conosce quel mercato. Terzo obiettivo è il potenziamento della presenza nei quattro mercati più importanti: Berlino, Cannes, Toronto, Roma. Un banco di prova importante saranno le azioni comuni con gli altri partner di “Italia in Luce” in occasione dell’anno della cultura italiana negli Usa che sarà celebrato nel 2013». Quali le prospettive, economiche ma anche artistiche, del cinema italiano oggi? «La grande potenzialità del nostro cinema contemporaneo consiste nell’aver ritrovato la capacità di diversificare l’offerta. C’è un ritorno ai generi che ha conquistato il pubblico interno, ma che deve ancora trovare spazi adeguati all’estero. L’Italia è ancora conosciuta soprattutto per i film d’autore che vincono premi importanti ai festival. L’esperienza di questi ultimi mesi ci ha convinto che l’interesse per un cinema più “popolare” è in forte crescita. Bisogna fornirlo di strumenti adeguati di diffusione. In questo senso, importantissime saranno le scelte di alleanze con piattaforme Vod che, a prezzi accessibili
Roberto Cicutto
c Foto Pietro Coccia
Importantissime saranno le scelte di alleanze con piattaforme Vod che “fidelizzino” il pubblico straniero a film che normalmente non partecipano ai festival internazionali
e con standard di qualità elevati, “fidelizzino” il pubblico straniero a film che normalmente non partecipano ai festival internazionali». Produzione, distribuzione, pirateria, quali i principali nodi da sciogliere? «La pirateria è il vero cancro che corrode gran parte delle risorse che dovrebbero, invece, diventare fonte di reinvestimento nella produzione. In Italia c’è ancora troppa divisione nel nostro settore e troppa poca attenzione, per non dire confusione, nella politica. La lotta alla pirateria dovrebbe essere la battaglia numero uno, parallelamente all’adeguamento delle sale, soprattutto nei centri cittadini, alla loro digitalizzazione e a una politica di distribuzione che restituisca ai film “più difficili” la possibilità di crearsi un pubblico». Come si articolerà il futuro impegno di Istituto Luce Cinecittà? «Cercheremo di rispondere alla mission che la legge ci assegna, distribuire opere prime e seconde italiane, facendole vedere ma non legandole alle regole impietose del mercato. Non ho mai creduto all’equazione “più copie, migliore risultato al botteghino”. Bisogna consentire un passaggio in sala “protetto” e una riduzione delle finestre per il video on demand e l’home video. Non si può prescindere da una politica diversa delle reti televisive ge-
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Giapponesi in fila per richiedere autografi ad alcuni registi italiani durante l’ultimo Festival del Cinema italiano di Tokyo
neraliste e da obblighi di programmazione non solo di quote ma anche di fascia oraria anche per le reti pay». Cosa rappresenta la candidatura dell’Archivio storico Luce a patrimonio dell’Unesco? «Come Istituto Luce Cinecittà, ci concentriamo non solo sulla promozione e sulla conservazione del patrimonio audiovisivo, ma cerchiamo di porlo al servizio dello sviluppo dell’industria cinematografica. Un impegno che è risultato spesso meno evidente rispetto alle politiche sull’Archivio storico. Questo rappresenta la nostra prima ricchezza. L’accordo con Telecom Italia-Cubovision ci ha consentito una forte accelerazione nel processo di conservazione e digitalizzazione. A giorni saranno annunciati altri importanti accordi che aumenteranno esponenzialmente la diffusione di questo materiale. Come testimonia la candidatura a patrimonio della memoria dell’Unesco, l’Archivio deve uscire da un concetto puramente museale per diventare materia viva nella realizzazione di nuovi prodotti (film e documentari) che lo utilizzino nel modo migliore. Un accesso facile a questi materiali, una forte campagna per la promozione dei suoi contenuti in Italia e all’estero, saranno obiettivi prioritari per i prossimi anni». LAZIO 2012 • DOSSIER • 69
PREMIO BELLISARIO
L’Italia parla al femminile In un’economia che chiede performance sempre più brillanti e competitività crescente, una maggiore partecipazione femminile in tutti gli ambiti significa, secondo Lella Golfo, presidente della Fondazione Marisa Bellisario, reale crescita per il Paese Renata Gualtieri
onne: l’Italia che vogliamo” non è un semplice titolo, spiega Lella Golfo alla consegna delle Mele d’oro, ma un manifesto da riempire di progetti e traguardi. «L’Italia che vogliamo è prima di tutto il Paese in cui le quote nei Cda sono diventate legge e può dirsi quindi all’avanguardia in Europa e che la vicepresidente della Commissione europea, Viviane Reding, ha definito “un esempio da seguire”». Il progetto da cui partire è che il nostro Paese giochi un ruolo da protagonista in Europa nel processo di empowerment femminile. Quali le ambizioni e i traguardi da programmare? «Un traguardo fondamentale è avere più donne ai vertici del sistema economico. Grazie alle quote già più di 40 donne hanno fatto il loro ingresso nei board delle società, nonostante la
“D Le premiate alla XXIV edizione del Premio Marisa Bellisario
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norma non fosse ancora in vigore. La leadership femminile comincia ad affermarsi con forza e spetta a noi coltivarla e far sì che si radichi nel nostro sistema economico. Per questo, dobbiamo mettere a frutto questa mia norma e vigilare sulla sua applicazione, anche attraverso un organismo di vigilanza ad hoc che ho proposto al ministro delle Pari opportunità e spero venga istituito. Un’altra ambizione è avere più donne in Parlamento, nelle istituzioni, in politica. Abbiamo condotto con Euromedia research una ricerca che ci dice che il 64,7 per cento dei giovani è favorevole a un “partito delle donne” e vuole si presenti alle elezioni del 2013. Il nostro manifesto ha tra le sue priorità aanche una maggiore occupazione femminile e più servizi che consentano alle donne di conciliare carriera, lavoro e famiglia». Il 60 per cento di occupazione femminile previsto da Lisbona resta ancora un miraggio per il nostro Paese. Per quanto tempo si dovrà parlare ancora di “gender gap”? «Spero ancora per poco e mi auguro che la nuova riforma del lavoro possa contribuire a ridurre un gap insostenibile. Non si può chiamare civile un Paese dove su poco meno di 23 milioni di occupati le donne sono solo 9,4 milioni e le inattive sono 5.000 in più; dove, secondo l’ultimo Rapporto Istat, il 33,7 per cento delle donne tra i 25 e i 54 anni non percepisce
Lella Golfo
Sopra Lella Golfo con il Premier Mario Monti, a destra, Elisabetta Tripodi, sindaco di Rosarno e Paola Severino, ministro della Giustizia
alcun reddito e se lo percepisce è comunque, a parità di mansioni, più basso del 20 per cento rispetto a quello maschile; dove una donna su cinque è costretta a lasciare il lavoro dopo il primo figlio e il tasso di fecondità continua a scendere e ci pone in coda alle classifiche europee. Misure fiscali che rendano più vantaggiosa l’assunzione delle donne e un avvicinamento a quel 33 per cento di asili nido fissato dall’Unione europea (in Italia siamo fermi al 13 per cento del fabbisogno), potrebbero essere misure utili nella direzione di una maggiore occupazione femminile e di una riduzione di un deficit di partecipazione non più sostenibile». La forza delle donne ha un chiaro simbolo in Marisa Bellisario, cui è intitolata la Fondazione da lei presieduta. Il ricordo di una delle prime manager degli anni 80 è un messaggio ancora valido per le donne di oggi? «La modernità del messaggio e dell’esempio di Marisa Bellisario non viene mai meno. Era lei che trent’anni fa incitava le donne a intraprendere una carriera nelle nuove tecnologie, a laurearsi in materie scientifiche che avrebbero offerto loro grandi opportunità. L’esempio di una donna partita da un piccolo paesino in provincia di Cuneo che ha scalato i vertici delle più importanti aziende italiane grazie al suo impegno rimane di grandissimo valore per tutte noi, soprattutto per le più giovani. Marisa è la dimostrazione che per una donna, come lei amava dire, “fare carriera è più diffi-
cile ma più divertente” e che nessun obiettivo, anche il più ambizioso è impossibile». La cerimonia di consegna delle Mele d’oro ha messo in scena l’Italia «delle opportunità e dell’ottimismo». Cosa deve fare la politica per trasferire tutto ciò nel mondo reale? «Prima di tutto dare voce e spazio alle donne, come ha detto il premier Monti consegnando la Mela d’oro al ministro dell’Interno. Questa è stata la legislatura con più donne parlamentari di sempre. Ed è la legislatura dove una donna alla prima esperienza in Parlamento ha portato a casa una legge epocale come quella sulle quote. Significherà qualcosa? Avere più donne nelle istituzioni comporterà inevitabilmente più politiche a favore di quella componente del nostro Paese che ha talenti ed energie ancora inespresse e che devono e possono contribuire alla crescita dell’Italia. Perche “una donna in politica cambia se stessa, più donne in politica cambiano la politica”». Le donne restano sempre il vero valore dell’economia di mercato e la loro scarsa partecipazione è lo spread più grave? «È lo spread più grave e quello a più lungo termine. Nel momento più acuto della crisi, per esempio, le imprese guidate da donne sono state un vero e proprio salvagente per l’Italia. “Women mean business” dice spesso la Reding. E credo anche che, una volta sperimentati gli effetti benefici del massiccio ingresso di donne nei board, non si tornerà indietro». LAZIO 2012 • DOSSIER • 73
PREMIO BELLISARIO
Talenti italiani nel management «La leadership è un mix di qualità naturali e cultura del lavoro che si può apprendere e affinare». Giorgina Gallo è riuscita ad affermarla in l’Oréal Italia Renata Gualtieri
e premiate della XXIV edizione del Premio Marisa Bellisario rappresentano l’eccellenza femminile del Paese «che è riuscita a esprimersi e a mettere il proprio mattone – ricorda Lella Golfo, presidente della Fondazione – della grande casa che è questo Paese: un edificio che resiste ai terremoti, coeso e solidale». Sono imprenditrici, manager, donne delle istituzioni che nel loro ambito lavorano ogni giorno, e con grandi risultati, per lo sviluppo del Paese. La Mela d’oro come premio a una carriera rosa è stata assegnata all’amministratore delegato L’Oréal Italia Giorgina Gallo, per un successo maturato tappa dopo tappa in cui «ha contato molto la tenacia – sottolinea la premiata – la forza di combattere e di non mollare mai. Il mio background di marketing per la visione e l’esperienza sul campo di commerciale per la concretezza e la rapidità d’azione. È stato, inoltre, importante ascoltare sia l’esperienza dei collaboratori senior che le idee nuove dei giovani e poter contare su squadre motivate e
L Giorgina Gallo, amministratore delegato L’Oréal Italia
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creative e ho sempre cercato di privilegiare l’attenzione alle persone e “l’esempio” per creare un modello di leadership condiviso ed aziendale». Perché le donne italiane laureate e più brave delle loro colleghe europee fanno meno carriera? «In realtà le donne italiane stanno cominciando a contare davvero a livello mondiale. Nella nostra azienda il management femminile italiano - e anche quello maschile - è molto apprezzato. Tanto che la nazionalità italiana nel management è la più rappresentata dopo la francese. Il che è un evidente riconoscimento del nostro talento e della nostra preparazione. È vero invece che nel nostro Paese le donne hanno ancora meno spazio nei posti di responsabilità. Questo dipende in gran parte, come dicono indagini della Commissione europea, dalla crescita di carriera inferiore che le donne subiscono tra i 25 e i 35 anni, a causa della necessità di integrare le scelte personali con quelle professionali. Inol-
Giorgina Gallo
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Grazie a “L’Oréal Italia per le donne e la scienza” molte premiate continuano a progredire in un campo di ricerca che avrebbero dovuto abbandonare per mancanza di fondi
tre, i problemi dell’economia italiana non favoriscono certo le carriere, soprattutto quelle femminili. Un ritorno alla crescita può essere un’importante spinta anche alla soluzione di questo problema». L’accesso alla carriera continua a essere più facile in una multinazionale che in una società italiana? «Nelle multinazionali ci sono più opportunità e maggiori possibilità di confronto. L’ambiente internazionale favorisce l’esempio e la cultura d’impresa. È quindi più facile, per una persona con le giuste capacità, avere riconoscimenti. La struttura delle aziende italiane è spesso basata sulle piccole dimensioni e, frequentemente, su geniali e coese famiglie di gestori. Sempre più spesso capita che il manager sia la donna. Che anche nell’impresa assume il ruolo di perno che nella famiglia ha sempre avuto. Nelle aziende medio-grandi, invece, è la stessa necessità di internazionalizzazione che spinge a cercare anche donne al top per poter avere talenti sufficienti. Vedo molto talento
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femminile attivo in Italia. Ma non dobbiamo mai abbassare la guardia né smettere di chiedere con forza che i meriti femminili vengano riconosciuti». Cosa fa l’Oreal Italia per sostenere la ricerca in rosa? «Noi crediamo molto in questo tema, che mette insieme argomenti a cui teniamo molto come la valorizzazione del talento femminile e la ricerca scientifica. Nato nel 1998 su iniziativa di L’Oréal e Unesco, “For women in science” è stato il primo premio internazionale dedicato alle donne che operano nel settore scientifico. Fin dalla sua nascita, il programma “For women in science” premia cinque candidate, una per ciascuno dei cinque continenti. Oltre ai premi alle cinque laureate, sono attribuite ogni anno quindici borse internazionali a giovani ricercatrici. Dal 1998 a oggi sono state sostenute nel loro percorso di carriera ben 1.300 scienziate. In Italia il programma “L’Oréal Italia per le donne e la scienza”, declinazione locale del progetto mondiale, è giunto alla sua decima edizione. Ogni anno assegna cinque borse di studio, a cura di un’autorevole giuria presieduta dal professor Umberto Veronesi. Finora sono state assegnate cinquanta borse di studio ad altrettante scienziate. Molte di loro grazie al premio hanno avuto la possibilità di poter progredire in un campo di ricerca che altrimenti avrebbero abbandonato per mancanza di fondi. Questo è senza dubbio uno dei progetti di cui sono più orgogliosa».
A sinistra la premiazione di “For women in science”, premio che vede la collaborazione di L’Oréal e Unesco
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PREMIO BELLISARIO
Il cambiamento parte dalle donne «Restare nella propria terra significa mettersi in gioco in prima linea e non delegare agli altri le proprie responsabilità». Elisabetta Tripodi ha fatto la scelta di scendere in campo come sindaco, anche se dissuasa da molti, per il riscatto della sua Rosarno Renata Gualtieri
l Premio Marisa Bellisario fa di lei il simbolo di un possibile cambiamento in una “terra di confine”. Elisabetta Tripodi, sindaco di Rosarno, si dice lusingata per il riconoscimento ricevuto, che non fa che accrescere la responsabilità di amministrare un comune che per la rivolta dei migranti del 2010 è stato conosciuto dai media internazionali come un esempio negativo. «Vorrei dimostrare che la mia città ha un’enorme voglia di riscatto morale e culturale - rivela - e che un cambiamento è possibile solo se i cittadini ci crederanno». Come pensa di “trascinare” Rosarno e i suoi concittadini nell’ambiziosa impresa di contrastare la ‘ndrangheta? «Non mi sento né un simbolo né una paladina dell’antimafia. Credo che la ‘ndrangheta vada combattuta con comportamenti personali non inclini al compromesso, alla collusione o alla compiacenza verso un potere criminale che è sempre più pericoloso quando si nutre di consenso sociale. Bisogna portare avanti il rispetto delle regole, uguale per tutti, ed essere liberi da condizionamenti. Ma la ‘ndrangheta perderà il suo potere solo quando sarà risolto il problema della mancanza di lavoro in Calabria, e quando si capirà che la criminalità distrugge il territorio impoverendolo sempre più».
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Il sindaco di Rosarno Elisabetta Tripodi
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Quanto la preoccupano le intimidazioni ricevute? «Le intimidazioni le avevo già messe in conto nel momento in cui ho fatto delle scelte che mi avrebbero esposta. Non pensavo però che tutto sarebbe avvenuto così velocemente dopo la mia elezione e che la mia vita ne sarebbe uscita stravolta dall’assegnazione di una tutela personale. È ovvio che il mio primo pensiero sia sempre la sicurezza della mia famiglia. Non ho paura per me stessa ma per loro». “Sentieri di carta” può disegnare una nuova politica culturale del territorio? «Penso che la riscoperta delle radici culturali di una città sia essenziale per il suo sviluppo, la conoscenza del passato coniugato a un presente non sempre all’altezza delle aspettative. Il sapere in tutte le sue forme è la medicina necessaria per aprire le menti e sottrarle al richiamo della criminalità. Solo attraverso un sistema scolastico che riesca ad aiutare i ragazzi deboli, per contesto familiare e sociale, sottraendoli all’emarginazione culturale, si potrà sconfiggere il substrato sociale in cui si fonda la ‘ndrangheta». Nel suo programma amministrativo c’è spazio per la parità di genere e per le quote rosa? «Abbiamo già compiuto una piccola rivoluzione. In consiglio comunale vi sono, oltre me, quattro donne, tra maggioranza e opposizione, su ventuno consiglieri. Non era mai accaduto in passato. Stiamo pensando con le consigliere del Pd di proporre per l’anno prossimo un bilancio di genere e di far decollare la consulta delle donne».
EVASIONE FISCALE
Operazioni all’estero e verifiche mirate L’evasione fiscale è uno dei temi principali su cui si concentra l’attenzione delle istituzioni e sul quale è focalizzato anche l’impegno della Guardia di Finanza del Lazio. Il comandante Filippo Ritondale illustra le strategie adottate e i risultati raggiunti Nicolò Mulas Marcello
n un momento di forti tensioni legate alla crisi economica, la Guardia di Finanza, quale organo di polizia economico-finanziaria, è intervenuta attivamente nel contrasto all’evasione fiscale. «Come in tutta la nazione – spiega Filippo Ritondale, comandante della Guardia di Finanza del Lazio – anche nel territorio laziale questa instabile situazione economico-finanziaria ha portato a un decremento della produzione, con una possibile conseguente espansione della fenomenologia evasiva». In ragione di ciò si sono intensificati i controlli negli ultimi mesi per quanto riguarda esercizi commerciali e imprese in regione? «Negli ultimi mesi si è provveduto, da un lato, a orientare gli interventi ispettivi nei confronti degli obiettivi che risultavano idonei, per macroscopica incoerenza con l’austerità del momento e con l’esigenza del rispetto delle regole, a coadiuvare l’azione governativa di rinnovamento della “coscienza morale”. Dall’altro, abbiamo predisposto e attuato una serie di operazioni volte al contrasto e alla preven-
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zione degli illeciti connessi alla mancata certificazione dei corrispettivi e all’abusivismo commerciale, inclusa la minuta vendita di merci contraffatte, con il duplice obiettivo di diffondere il messaggio che il fisco colpisce sì chi non assolve ai propri obblighi ma aiuta anche chi, nel rispetto dei propri doveri, si vede leso da forme abusive di concorrenza sleale». In che modo operate? «Merita di essere menzionato il complesso “piano straordinario di controllo economico del territorio” organizzato dal dipendente comando provinciale di Roma che, impiegando 250 finanzieri, ha provveduto a constatare, a fronte di 405 controlli, 190 violazioni per mancata o irregolare emissione di scontrini o ricevute fiscali, e, parallelamente, a sequestrare quasi 500.000 articoli contraffatti, denunciando quindici persone di varia nazionalità. Devo, infine, annoverare, in questo ambito, le numerose aziende e professionisti sottoposti a verifica fiscale, modulo ispettivo che permette, anche attraverso la cooperazione con gli altri uffici finanziari, di acquisire e reperire tutti gli elementi utili ai fini dell’emersione delle situazioni fiscali più significative relative a un determinato contribuente». La sinergia con Agenzia delle Entrate e Regione Lazio ha dato frutti nell’arginare il danno erariale? «Al fine di pervenire alla redazione di processi verbali di constatazione inattaccabili e “resistenti” al vaglio degli uffici in sede di accertamento, non-
Filippo Ritondale
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Nel corso del 2011 sono stati effettuati oltre 5mila accertamenti ai fini delle imposte sui redditi che hanno dato luogo a maggiori imposte accertate per circa 2,2 miliari di euro
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ché nell’eventuale fase contenziosa dinanzi alle commissioni tributarie di 1° e 2° grado, sono state predisposte forme strutturate di coordinamento prima di addivenire alla formulazione di rilievi nei casi dubbi, connotati da incertezza normativa, ovvero fondati su interpretazioni di norme o su disconoscimenti di effetti fiscali di operazioni ritenute elusive o abusive, nell’ottica di pervenire, caso per caso, a soluzioni condivise. Qualora nel confronto localmente esperito, emergano differenti opinioni in ordine alla regolarità o alla irregolarità di certe situazioni o operazioni, specie con riferimento a profili ermeneutici di particolare complessità o novità, è previsto ora l’interessamento della linea gerarchica fino a livello regionale per il coordinamento con la direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate. Nel corso del 2011 sono stati effettuati oltre 5mila accertamenti ai fini delle imposte sui redditi, dell’Iva e dell’Irap collegati a processi verbali redatti dalla Guardia di Finanza, che hanno dato luogo a maggiori imposte accertate per circa 2,2 miliari di euro». Sul fronte dell’evasione internazionale sono stati fatti passi avanti? «Sono stati completati e sono in corso numerosi filoni investigativi nei confronti di soggetti sospettati di detenere attività finanziarie o investimenti all’estero non dichiarati, in gran parte inseriti in “liste” acquisite nel corso di attività di polizia giudiziaria, di cooperazione internazionale, di intelligence e di controllo economico del territorio. Su questo versante, grazie anche al
prezioso supporto della rete di ufficiali del corpo distaccati in sede estera e dei molteplici rapporti di collaborazione interistituzionale con le omologhe autorità degli altri Paesi, è migliorata l’analisi dei fenomeni di illeciti transnazionali aventi riflessi fiscali, allo scopo di individuare fenomeni di esterovestizione, manovre elusive connesse a rapporti con imprese ubicate in paradisi fiscali e casi di occultamento di capitali in Paesi a fiscalità privilegiata. In questo contesto, è emerso l’utilizzo strumentale di trust, società fiduciarie o altri schermi societari, il coinvolgimento di professionisti, il ricorso a prodotti finanziari nonché mediante soluzioni d’investimento e forme di pianificazione fiscale che, in realtà, nascondono tecniche di evasione particolarmente sofisticate». Quali risultati avete ottenuto negli ultimi anni? «A Roma da oltre due anni è in corso una campagna ispettiva a cura del Nucleo di Polizia tributaria nei confronti di persone fisiche iscritte all’anagrafe italiani residenti all’estero del Comune di Roma. L’attenta disamina delle singole posizioni economico-patrimoniali, effettuata al termine del preliminare contraddittorio, unitamente alle risultanze delle indagini finanziarie, ha permesso di individuare, per ciascun contribuente verificato, il luogo di radicamento dei propri interessi economici, sociali e familiari, rilevante ai fini della determinazione della residenza ai fini fiscali, sulla base degli orientamenti giurisprudenziali e di prassi. Allo stato, è stato proposto ai competenti uffici locali dell’Agenzia delle Entrate il recupero a tassazione, per gli anni di imposta dal 2003 al 2008, di materia imponibile, pari a oltre 9 milioni e mezzo di euro ai fini delle imposte sui redditi, ed al deferimento, alla competente all’autorità giudiziaria, dei soggetti responsabili del reato di omessa presentazione della dichiarazione annuale».
A sinistra, Filippo Ritondale, comandante della Guardia di Finanza del Lazio
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EVASIONE FISCALE
Maggiore attenzione al rispetto delle regole «Le nuove generazioni di imprenditori stanno crescendo con un approccio alla legalità diverso da quello dei loro padri». Ne parla Alessio Rossi, presidente dei giovani imprenditori di Unindustria Lazio Nicolò Mulas Marcello
iù attenti al rispetto delle regole e anche all’importanza della legalità fiscale, i giovani sembrano dare il buon esempio. Il commento del presidente dei giovani imprenditori di Unindustria Lazio, Alessio Rossi. Sta crescendo secondo lei una cultura della legalità tra gli imprenditori laziali per quanto riguarda la lotta all’evasione fiscale? «La cultura della legalità sta crescendo secondo me in tutto il paese. Non è una cultura che deve riguardare solo gli imprenditori perché è una questione che riguarda tutti ma gli imprenditori si stanno rendendo conto dell’importanza del rispetto delle regole perché i primi che ne beneficiano sono proprio loro. Questa cultura si sta diffondendo sempre di più soprattutto tra i giovani. Le nuove generazioni di imprenditori stanno crescendo con un approccio alla legalità diverso da quello dei loro padri». Per quanto riguarda la pressione fiscale sugli imprenditori, dalla Regione c’è stato
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Alessio Rossi, presidente Unindustria Giovani Lazio
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un primo passo con il taglio dell’Irap. Cosa occorre fare in più in questa direzione secondo lei? «Questa è sicuramente la direzione giusta, l’Irap è una tassa che andrebbe completamente abolita perché va a gravare proprio sulle aziende produttive, su quelle che hanno personale. In un momento in cui la disoccupazione aumenta, andare a tassare aziende che assumono a tempo indeterminato mi pare una follia. A livello nazionale andrebbe rivista tutta la tassazione d’impresa». Quali sono le politiche di supporto ai giovani industriali da parte di Unindustria Lazio? «Da parte di Unindustria viene offerta tutta la disponibilità di quei servizi che occorrono per gestire un’azienda. Il sistema di Unindustria è molto vicino agli imprenditori di prima generazione, cercando di non farli mai sentire soli, offrendo vari servizi che vanno dalla gestione del personale, alle trattative sindacali ma anche servizi per sviluppare la cultura d’impresa. Abbiamo recentemente realizzato un corso sulla cultura bancaria per far conoscere come le banche approcciano e valutano le aziende. Questo sia per cercare di creare un rapporto con le banche in termini di accesso al credito ma anche e soprattutto per aumentare la cultura bancaria dei giovani imprenditori».
CONSULENZA
Nuovi advisor, per infrastrutture ed energia Sono loro a prendere in esame, per conto di banche ed Enti pubblici, progetti e cantieri delle più importanti opere edili ed energetiche. Nuove figure di advisor tecnici indipendenti. Il caso della Eos Consulting dalle parole di Emanuele Riccobene Andrea Moscariello
n un Paese drammaticamente ingessato sul fronte degli investimenti, cresce l’insofferenza sul mercato delle infrastrutture e delle grandi opere. Il modello del project financing, oramai ampiamente riconosciuto come tra i più idonei per favorire l’allentamento della stretta creditizia – per il solido sistema di garanzie che lo contraddistingue – e agevolare la messa in opera dei cantieri, deve fare i conti con l’aumento, molto significativo, dei tassi di finanziamento. Secondo Emanuele Riccobene, direttore generale della Eos Consulting di Roma, realtà di spicco sul panorama dell’advisory tecnica, «il 2012 segna un momento di particolare crisi congiunturale dei mercati. In un tale contesto la figura del consulente tecnico, legale, assicurativo e finanziario opera cercando di mantenere e ampliare i livelli di servizi, per adattarli alle mutate condizioni operative». Per Riccobene, il cui gruppo ha acquisito notorietà anche grazie all’incarico di project monitor sul progetto City Life, la prudenza generalizzata nella scelta degli investimenti più solidi, che ha caratterizzato il recente orientamento bancario, «si deve confrontare con la nuova sfida che il Paese deve affrontare». A cosa si riferisce? «Allo sviluppo delle infrastrutture, agli aumenti
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Emanuele Riccobene, direttore generale di Eos Consulting Srl, Roma. Nelle altre immagini, render e cantiere del progetto City Life (Milano)
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Emanuele Riccobene
L’analisi sui grandi progetti Dal progetto City Life alle rinnovabili. Ecco dove Eos Consulting si è imposta come protagonista sui mercati infrastrutturale ed energetico Le attività su cui Eos Consulting si concentra ruotano attorno a due ambiti: infrastrutturale ed energetico. Settori che presentano opportunità strategiche determinate dalla continua evoluzione delle possibilità imprenditoriali di aggredire nuovi mercati e entrare in nuovi business. Nel corso dell’ultimo biennio, Eos Consulting è stata incaricata, in qualità di project monitor, di seguire due importanti commesse. La prima, su mandato EuroHypo (Gruppo Commerzbank), riguarda l’intervento denominato Citylife, uno dei maggiori investimenti immobiliari attualmente in corso in Europa. Tale intervento prevede la riqualificazione dell’area ex fiera di Milano, attraverso lo sviluppo di nuove residenze, uffici e immobili ad uso commerciale e terziario, e si avvale della presenza delle più grandi firme dell’architettura contemporanea quali Isozaki, Hadid e Libeskind. La seconda, su mandato di Accademia SGR, prevede lo sviluppo di vari interventi di natura commerciale, industriale e logistica nell’area di Milano. Non è da meno l’ambito delle energie rinnovabili: negli ultimi quattro anni Eos ha ricevuto incarichi di Advisory tecnica di circa 800 impianti alimentati di fonti rinnovabili per un totale di oltre 2.500 MW, curando le analisi e le valutazioni tecnico-amministrative propedeutiche alla finanziarizzazione e, per i progetti avviati, tutte le successive fasi di monitoraggio e collaudo. www.eosroma.com
occupazionali, al rilancio della produttività delle imprese nei settori edile ed energetico. Un circolo virtuoso, questo, nel quale il mondo della consulenza costituisce il giusto tramite fra le banche e le imprese, cercando di conciliare le rispettive – legittime – necessità di rendimento e tutela del capitale investito, contribuendo a determinare le condizioni migliori per il nuovo avvio del processo di crescita». La società di cui è a capo, Eos Consulting, come si sta ponendo? «Siamo sempre più attivi nello sviluppo di prestazioni professionali, servizi tecnici e gestionali per la realizzazione di opere e infrastrutture, al servizio del settore edilizio e industriale. Il ruolo del consulente tecnico, caratterizzato in termini di supporto e assistenza agli istituti di credito per l’analisi di “bancabilità” dei progetti di investimento, deve diventare – valorizzando le esperienze acquisite – sempre più proattivo, per cercare di indirizzare, fin dalle fasi di sviluppo, progetti che siano in grado di alimentare la crescita di un settore vitale per lo sviluppo del nostro Paese». Il 2011 è stato un anno estremamente critico per i mercati. Voi come avete reagito? «Malgrado le difficoltà congiunturali, nel 2011 LAZIO 2012 • DOSSIER • 83
CONSULENZA
Eos Consulting ha confermato i risultati econo-
Da sinistra, un impianto fotovoltaico, la sede della Microsoft a Peschiera Borromeo (Milano) e il parcheggio dell’ospedale di Bergamo
mici rispetto agli anni precedenti, sia sul fronte delle infrastrutture, sia su quello delle energie rinnovabili, che rappresenta l’altro nostro core business. Anche il primo semestre 2012 ha segnato una confortante stabilità di fatturato rispetto al primo semestre 2011. Tutto sta nell’aver puntato su settori dalle enormi potenzialità, sia da un punto di vista economico che occupazionale, approcciando ai progetti in modo attivo e propositivo. La scelta operata nell’ultimo triennio di scommettere su un percorso di crescita professionale, organizzativo ed economico, si è rivelata qualificante. In tale maniera siamo divenuti uno tra i technical advisor maggiormente attivi in favore degli istituti di credito». Settori come real estate e rinnovabili, però, sono minacciati su più fronti, a cominciare proprio da quello finanziario. «Lo vediamo benissimo, anche perché il nostro compito, per conto delle banche e dei fondi di investimento, è quello di esercitare una verifica sul progetto e un monitoraggio sull’esecuzione dei lavori, sempre nell’ambito di iniziative di project financing. È nota l’attuale situazione dei finanziamenti bancari, caratterizzati da tassi elevati divenuti particolarmente onerosi per gli investimenti. Anche per questo, nell’ultimo triennio abbiamo intensificato le attività a servizio di fondi immobiliari relativi a progetti real estate a sviluppo e a reddito; ma anche a servizio di fondi immobiliari attivi negli investimenti su energie rinnovabili, per operazioni di M&A sul mercato secondario, a favore di un processo di
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raccolta ed ordinata aggregazione di interventi già operativi. In tal senso, per conto delle Società di Gestione e Risparmio (SGR), svolgiamo un’attività di monitoraggio tecnico economico sullo stato di attuazione degli interventi sugli immobili a sviluppo e sullo stato di manutenzione degli immobili a reddito». A breve otterrete l’accreditamento per la qualifica di controlli tecnici su lavori di ingegneria edile. Cosa implica? «Per raggiungere questo obiettivo la struttura organizzativa della società si è dotata di una nuova divisione “Controllo tecnico”. La sua funzione è quella di svolgere servizi di ispezione nel campo delle opere edili e di ingegneria civile, in accordo alla normativa Uni 10721:2008. Si tratta di specifici controlli finalizzati a garantire adeguati livelli di qualità degli interventi, per i quali si richiede al soggetto indipendente il possesso di determinati requisiti di competenza, indipendenza e organizzazione». Passando al fronte dell’energia, la normativa ha ridimensionato gli incentivi verso fotovoltaico ed eolico. «Per quanto riguarda in particolare il settore fotovoltaico, nel corso del 2011 e fino alla circolazione delle prime bozze del V Conto Energia, nuovi progetti fotovoltaici, in particolare su tetti, hanno continuato a rappresentare una nicchia di stabilità e sicurezza, grazie anche al progressivo abbassamento dei costi degli investimenti. Di contro, le recenti evoluzioni normative, che ad oggi - incredibilmente - ancora non hanno trovato un assetto definitivo, hanno indotto una nuova fase di standby dei progetti, implicando una brusca interruzione di importanti idee di investimento che il mercato – anche grazie all’azione di operatori internazio-
Emanuele Riccobene
Nonostante la riduzione degli incentivi, i nuovi progetti di energie rinnovabili continuano a rappresentare una nicchia di stabilità e sicurezza dai risultati a medio e lungo termine
nali – stava sviluppando. Tale condizione, oggettivamente di nuova crisi per il settore, ha rappresentato per la Eos una fase di stimolato e riflessione, che ha condotto a rivedere – nuovamente – l’orientamento delle attività: affiancato al ruolo “tipico” di advisory in favore delle Banche su progetti “coadiuvati” dallo Stato, abbiamo individuato la necessità di iniziare ad affiancare operatori privati, di respiro internazionale, che potessero essere interessati ad approcciare al mercato dell’energia fotovoltaica in grid parity». In definitiva cosa offre la vostra divisione energy? «Fornisce servizi di verifica, ispezione, monitoraggio e valutazione tecnico economica di iniziative nel campo delle rinnovabili, sia fotovoltaico che eolico, in favore di banche e fondi di investimento. Anche in questo caso, siamo chiamati a effettuare le verifiche sul progetto e sull’esecuzione dei lavori: l’analisi è finalizzata a rappresentare alla banca gli elementi di complessità e criticità e le relative forme di mitigazione, al fine di valutare la fattibilità del progetto stesso. In fase di esecuzione, l’attività è finalizzata a verificare il rispetto delle obbliga-
zioni contrattuali e gli standard di qualità, ai fini della collaudabilità finale dell’opera stessa». Da pochi anni avete anche una divisione “Finanza e Sviluppo”. Su quali prerogative è nata? «La divisione è nata nel 2009, ed è dedicata principalmente alla verifica di studi di fattibilità e di business plan per la creazione, lo sviluppo, il consolidamento e la ristrutturazione di iniziative imprenditoriali, anche mediante il ricorso alla finanza agevolata, in sostegno ad aziende operanti nel settore immobiliare, infrastrutturale, agricolo e industriale. Oltre che in favore delle imprese, la divisione svolge la propria attività di verifica in favore degli organismi a cui i Ministeri o le Regioni affidano la gestione dei vari strumenti legislativi di finanza agevolata. Principalmente banche, Enti locali e società concessionarie. È un’attività di verifica che riguarda sia la fase di valutazione che quella di attuazione dei progetti presentati per l’ottenimento delle diverse agevolazioni. In tal senso è fortemente qualificante la sinergia esistente tra le diverse unità operative che ci consente di svolgere sia le attività istruttorie che le successive verifiche tecniche di monitoraggio e collaudo». LAZIO 2012 • DOSSIER • 85
CONSULENZA
Advisor: è finita l’era dei “tuttologi” La rappresentante dei mediatori italiani, Lorenza Morello, annuncia l’apertura di una nuova realtà al servizio delle imprese. Una struttura che si pone l’obiettivo di incrementare la competitività delle aziende italiane nel mondo Andrea Moscariello
na nuova strategica avventura professionale dopo anni al fianco dei protagonisti del nostro tessuto produttivo. Lorenza Morello, già presidente nazionale dell’associazione Avvocati per la Mediazione (APM) e socio fondatore di Formamed, ha annunciato la nascita di una struttura che punta a conquistare ampi spazi sul mercato dell’advisoring italiano. Nasce infatti Morello Consulting, un’iniziativa che, a detta della sua fondatrice, «è il frutto di un’esperienza pluriennale di confronto con le diverse realtà giuridiche e commerciali internazionali». Un confronto avvenuto a più livelli, dal piccolo privato alla multinazionale. «La spinta è arrivata anche dalla necessità, sempre più pressante e manifestata dai nostri interlocutori, di combattere questo momento di difficoltà cercando nuovi spazi, senza però fuggire dal Paese» sottolinea Lorenza Morello. Dal suo punto di osservazione di cosa necessitano, oggi, gli imprenditori? «Chi è a capo di un’azienda palesa la volontà di non volersi arrendere agli andamenti altalenanti dei mercati. Molti italiani stanno reagendo con coraggio e umiltà. Vediamo ogni giorno professionisti affermati costretti, per la crisi, a ripartire da zero, magari in un settore nuovo, reinventandosi. Quello che posso dire è che in un simile scenario le imprese necessitano di un servizio di consulenza specializzato. Il primo consiglio che mi sento di dare è proprio quello di diffidare dai “tuttologi”».
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Lorenza Morello, fondatrice della Morello Consulting e socio di Formamed Srl www.miconsulting.it www.formamed.it
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Dunque ognuno resti nel suo campo. «Ogni professionista ha le sue prerogative. Io, personalmente, ho una formazione specifica, ho accumulato anni di esperienza sul campo della mediazione e dei contratti, argomenti che ho studiato e insegnato per anni in diverse università italiane ed estere, pubbliche e private, facendo tutta la trafila dall’assistente al professore a contratto, e mi sono diplomata in Diritto Comparato presso l’Università Schuman di Strasburgo. Ci tengo a sottolinearlo perché, nella propria materia, ogni professionista deve essere esperto conoscitore dei differenti sistemi normativi, politici, economici e sociali in cui un può trovarsi a operare. Al tempo stesso deve poter contare su altre figure professionali cui affiancare la propria azione per una tutela a tutto campo del cliente». La sua squadra affianca le aziende a 360 gradi. Questo cosa comporta a livello organizzativo e gestionale? «Sicuramente il nostro non è un lavoro privo di problematiche, è necessario essere pronti all’imprevisto. Da un momento all’altro può palesarsi l’esigenza di salire su un aereo per raggiungere un proprio assistito all’estero ma,
Lorenza Morello
allo stesso tempo, occorre mantenere fede agli impegni presi in precedenza. Un modus operandi perseguibile solo con l’avvallo di una squadra affiatata e dinamica. Si tratta di un elemento imprescindibile». Il suo ricorda il modello consulenziale americano. Questo quanto incide nel favorire la competitività all’estero delle aziende da voi affiancate? «Ha una comprovata incidenza. Quando un imprenditore si rivolge alla nostra struttura per aprire un nuovo mercato, partiamo subito con lo studio del prodotto o dell’idea da esportare. L’analisi è fondamentale per capire come e in quali tempi aggredire il mercato. La competitività si calcola sotto più aspetti, non soltanto attraverso la comparazione con altri prodotti di pari gamma e categoria, ma anche calcolando il livello di resistenza che un determinato mercato può presentare dinanzi a una nuova proposta. Ogni qualvolta si propone un nuovo prodotto, occorre farlo ben consapevoli dei gusti e delle necessità del bacino di acquirenti cui ci si rivolge, e qui mi affiancano gli esperti di business development e start up. Le mie
Quando un imprenditore si rivolge alla nostra struttura per aprire un nuovo mercato, partiamo subito con lo studio del prodotto o dell’idea da esportare
conoscenze specifiche subentrano invece nella fase di studio, trattativa e redazione del contratto e tutto ciò che vi ruota attorno». Il suo settore vede protagoniste sempre più le donne. La crisi economica e istituzionale crede possa, in un certo senso, stimolare una ripresa della componente femminile all’interno delle realtà professionali e della classe dirigente? «Come ho già avuto modo di dichiarare, la vera vittoria si avrà quando una donna che assume una posizione di rilievo non farà più scalpore». Quali sono le sue aspettative per il futuro? «I prossimi mesi mi vedranno concentrata soprattutto nello sviluppo della Morello Consulting. Ogni nuovo progetto, per me, è come un figlio, da seguire passo passo fino a quando non sarà in grado di camminare con le proprie gambe, a schiena dritta». LAZIO 2012 • DOSSIER • 87
MODELLI D’IMPRESA
La crescita passa attraverso fiducia e responsabilità Mimmo Costanzo, tra i più affermati imprenditori del Mezzogiorno nell’ambito delle opere infrastrutturali, pone l’accento sul valore sociale d’impresa, troppe volte “ignorato” in favore di un modello economico oggi in crisi Aldo Mosca
siste una correlazione tra la crisi economica e la perdita del senso sociale dell’impresa? Secondo Mimmo Costanzo, affermato imprenditore siciliano del settore infrastrutture ed energia, non vi sono dubbi, questa correlazione esiste eccome. La storia di Costanzo, di recente balzato alle cronache per aver denunciato un tentativo di estorsione ai danni di un cantiere sulla Statale Ionica, affidato alla sua Cogip Infrastrutture Spa, è oggi vista come un esempio da seguire. Specie in un Mezzogiorno il cui tessuto produttivo, quello sano, chiede a gran voce un rinnovo della cultura d’impresa, ma anche della società stessa. «La crisi ha mostrato che esiste uno scollamento della finanza dai processi produttivi reali sottolinea Mimmo Costanzo -. L’innalzamento esasperato e artificioso dei bisogni, un consumismo senza limiti e una mancanza di responsabilità sul concetto di sostenibilità nel lungo termine, a favore di una focalizzazione nel brevissimo termine, hanno dimostrato il fallimento del modello economico che è stato protagonista dell’ultimo secolo».
E Mimmo Costanzo, amministratore delegato Cogip Holding, Catania (CT) www.cogip.it
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Dunque l’economia va cambiata alla base? «Ritengo vi sia la necessità di ritrovare nuovi modelli d’impresa. Si parla di un capitalismo più umano, di un ritorno a bisogni comuni, della capacità d’intendere il concetto della reciprocità. Giungendo, finalmente, alla reale valorizzazione della responsabilità sociale dell’impresa». Anche lei crede, come alcuni suoi colleghi, che occorra rinsaldare questo valore? «Certamente, deve essere intimamente acquisito nel dna degli imprenditori. Non deve essere solo un solo valore di facciata. Tra l’altro, se si assume consapevolezza di quanto sia importante, si noterà che l’azienda ne trae un beneficio nella sostenibilità, nel lungo termine, nella reputazione, nella crescita delle sue risorse umane». La classe dirigente italiana deve fare i conti con un passato in cui il valore della meritocrazia è stato fin troppo ignorato. Anche nell’ambito delle imprese, incluse le Pmi, ritiene vada riposto sul tavolo il tema meritocratico? «Il tema della meritocrazia è stato fin troppo ignorato, anzi, in Italia si tratta di un valore addirittura combattuto. A volte dico che in questo Paese esiste la “meritofobia”, l’orrore verso il merito, la decisione spietata di combatterlo in tutti i settori». Ma la crisi, almeno, è effettivamente servita da filtro, lasciando sul mercato soltanto gli operatori più virtuosi e lungimiranti? «Non è andata proprio così. È chiaro che sono in
Mimmo Costanzo
difficoltà anche alcuni imprenditori virtuosi, ritrovatisi a fare i conti con una realtà ingigantita da un cambiamento di strategia da parte degli istituti finanziari. Va detto, comunque, che da ogni cambiamento nasce poi un processo selettivo. Ci sarà un percorso evolutivo, e di selezione, così come è avvenuto in passato in periodi di grande crisi». Per l’edilizia, oggi, virtuosismo è anche rispetto dell’ambiente. Quale politica ha assunto, in tal senso, la società da lei presieduta? «Siamo particolarmente interessati al tema dell’uso dei materiali, della loro lavorazione e della loro compatibilità con l’ambiente. Dobbiamo seguire tutti i percorsi di scelta, utilizzo e smaltimento, soprattutto per la realizzazione di opere che abbiano una capacità d’integrazione e che siano volute dal territorio. Siamo anche attenti a tutto ciò che riguarda l’efficienza energetica, che è un altro dei grandi temi del futuro su cui le im-
prese saranno tenute a rispondere». Il Governo ha annunciato lo sblocco di una prima tranche di liquidi per pagare una parte dei debiti con le imprese. Il suo settore, quello delle infrastrutture, è tra quelli che vantano i crediti più alti con lo Stato. Che opinione si è fatto a proposito? «Finalmente c’è un’attenzione, e lo dico da imprenditore che sa bene come le dinamiche finanziarie vadano al di là dei percorsi strategici dei processi economici, mettendo spesso in ginocchio le imprese, soprattutto per le asimmetrie tra pagamenti e riscossioni. Mi pare che finalmente questo sia diventato oggetto di attenzione da parte del Governo e l’annuncio del Premier non può che rendermi più sereno». Quali interventi auspica affinché si possano agevolare maggiormente gli investimenti in infrastrutture? «Lo Stato deve creare le condizioni affinché gli imprenditori possano tornare ad avere fiducia nel sistema Paese. Devono tornare a credere in quello che fanno: nel progetto, nella possibilità di cambiare le cose, di coinvolgere tutti gli attori e i lavoratori. La grande maggioranza delle aziende sono disponibili e impegnate nel dare sostegno al Paese, mettendo al primo posto il valore della legalità e del rispetto delle regole, ma è importante che lo Stato ci aiuti a rinsaldare questo patto di fiducia che credo sia necessario». LAZIO 2012 • DOSSIER • 91
Creatività in scena Un laboratorio che è anche una fabbrica di idee, all’interno della quale prendono forma spettacolari allestimenti. Con Roberto Ciambrone alla scoperta del mondo della scenografia Guido Puopolo
li allestimenti scenografici che fanno da sfondo a programmi televisivi, rappresentazioni teatrali o a eventi di varia natura, somigliano sempre di più a vere e proprie opere d’arte, e spesso costituiscono un elemento di fondamentale importanza per il successo di spettacoli e manifestazioni di questo tipo. Ma come nascono queste creazioni? Ce lo spiega Roberto Ciambrone, titolare e direttore artistico della Scenografia International, azienda romana che da più di vent’anni opera proprio nel campo dell’allestimento scenografico. «Per realizzare una scenografia servono abilità e competenze paragonabili a quelle di un designer o di un architetto. I nostri interventi, ad esempio, sono il frutto di un lungo lavoro progettuale, che si compone di diverse fasi. In primo luogo provvediamo a costruire un bozzetto o un plastico, attraverso il quale possiamo farci un’idea di come potrebbe essere l’opera finale. A questo segue l’attività di laboratorio, dove vengono costruite le strutture portanti, che solitamente sono realizzate in legno o in ferro.
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Per ultimo, infine, vengono assemblate le rifiniture che vanno a formare l’involucro esterno della scenografia». La disponibilità di un gruppo di lavoro composto da architetti, scenografi, pittori, scultori, grafici, tecnici e decoratori, con la possibilità di svolgere l’intero processo produttivo completamente all’interno dello stabilimento aziendale, rappresenta la vera forza della Scenografia International, che è così in grado di assicurare ai propri committenti massima rapidità nei tempi di realizzazione e un’immediata risoluzione di qualsiasi tipo di problema si dovesse verificare. «Il nostro lavoro – spiega Ciambrone – nasce dal desiderio di concepire e realizzare la scenografia in modo originale e innovativo, cercando di uscire dai canoni tradizionali, preferendo un approccio alla progettazione da inventare giorno per giorno, che scaturisca da una moderna visione della scena e, di conseguenza, del modo in cui allestirla». Una scenografia, infatti, non ha il solo compito di descrivere lo spazio e il tempo in cui si consuma l’evento, ma deve interagire con l’evento stesso. «Potremmo quasi dire – prosegue Ciambrone –
Roberto Ciambrone La Scenografia International srl si trova a Roma - www.scenografiainternational.it
Il nostro lavoro nasce dal desiderio di concepire e realizzare la scenografia in modo originale e innovativo, cercando di uscire dai canoni tradizionali
che lo spettatore viene trasportato dentro l’azione e reso protagonista. Si può raggiungere questo risultato solo attraverso la realizzazione di produzione di alto livello per creatività, tecnologia e professionalità, lasciando ogni elemento in armonioso accordo con l’insieme. In questo modo si crea un autentico strumento di comunicazione a tre dimensioni». E non è un caso se ogni anno all’interno del laboratorio della Scenografia International vengono allestite le scene di decine di spettacoli, con una particolare predilezione per il mondo della televisione. «Disponiamo di attrezzature e macchinari tecnologicamente all’avanguardia, indispensabili per assicurarsi standard eccellenti e flessibilità operativa. Solo per fare un esempio, ultimamente abbiamo realizzato le scenografie per trasmissioni come Centocinquantanni, Ballarò e Ballando con le Stelle». La formazione “sul campo” è fondamentale per maturare l’esperienza necessaria per operare in questo particolare settore. Per questo Ciambrone ha deciso di impegnarsi in prima persona per sostenere e incoraggiare le inclinazioni artistiche dei fu-
turi progettisti di elementi scenografici: «Collaboriamo con scuole e accademie, ospitando i loro studenti, a cui offriamo la possibilità di fare una diretta esperienza lavorativa. Così facendo li vogliamo stimolare, verificando, tramite un intervento diretto, le loro capacità di percezione e organizzazione dello spazio scenico, attraverso uno specifico percorso operativo». In tale ottica, Ciambrone ha fondato un’associazione senza scopo di lucro denominata “Cultura è…”, con l’intento di diffondere e promuovere tutte le forme di arte, in particolare, quelle legate al mondo della televisione, del cinema, del teatro e della musica, attraverso l’organizzazione di convegni, concerti, manifestazioni, stage, e corsi di aggiornamento. «Il nostro progetto può considerarsi un naturale collegamento tra cultura e pratica lavorativa. Stare a diretto contatto con le giovani leve ha rappresentato uno stimolo anche per noi: ci ha, infatti, arricchito di nuove esperienze, facendoci diventare un vero e proprio laboratorio di progettualità teorica e pratica partecipata». LAZIO 2012 • DOSSIER • 93
Pagamenti certi per sostenere il rilancio I ritardi nei pagamenti da parte della Pa pesano come macigni sulle spalle delle aziende. Lo sa bene Paolo Fatiga, che da quasi cinquant’anni lavora nel settore dell’impiantistica, al fianco di grandi società ed enti pubblici Guido Puopolo
«L
a nostra società potrebbe raggiungere dimensioni molto maggiori e dare occupazione a nuove maestranze se i lavori eseguiti ci venissero pagati con tempestività». Quello sollevato dal commendator Paolo Fatiga, fondatore e presidente della Fatigappalti di Roma è, purtroppo, un problema che accomuna moltissime aziende italiane. Questo vale, a maggior ragione, per tutte quelle realtà che lavorano a stretto contatto con la Pubblica amministrazione, proprio come la Fatigappalti, presente sul mercato dell’impiantistica fin dal 1963 e specializzata nei lavori di gestione e manutenzione di impianti tecnologici, civili e industriali. Quali conseguenze sta producendo questa situazione sulla vostra attività? «Dobbiamo fare i salti mortali per riuscire a 96 • DOSSIER • LAZIO 2012
A fianco Paolo Fatiga, fondatore e presidente della Fatigappalti Spa di Roma www.fatigappalti.it
Paolo Fatiga
Abbiamo enormi difficoltà nel programmare nuovi investimenti, anche per importanti progetti di ricerca e innovazione
rispettare gli impegni assunti ma, soprattutto, abbiamo enormi difficoltà nel programmare nuovi investimenti, anche per importanti progetti di ricerca e innovazione che stiamo cercando di sviluppare nel settore delle energie alternative. A livello generale questi investimenti sono ostacolati anche dalla mancanza di fondi, visto che, come ben noto, una tassazione elevata e l’alto costo del denaro annullano quasi completamente l’utile aziendale, portando le imprese a rallentare e, nei casi più gravi, a esaurire completamente ogni tipo di attività». Manca, quindi, anche un supporto adeguato da parte degli istituti di credito? «Certamente. Per quanto riguarda l’accesso al credito le banche di piccole e medie dimensioni hanno completamente chiuso i “rubinetti”, mentre le grandi banche nazionali hanno di molto ristretto il loro sostegno finanziario alle Pmi. Come accennato in prece-
denza questo ha prodotto un crollo verticale degli investimenti, con la conseguente impossibilità di impiegare nuove unità lavorative». Come è riuscita la Fatigappalti, pur in un contesto del genere, a mantenere e consolidare la propria posizione all’interno di un mercato così complesso come quello dell’impiantistica? «Per competere e resistere sul mercato è fondamentale, in primo luogo, poter disporre di mano d’opera qualificata, con un alto livello di preparazione e costantemente aggiornata, anche da un punto di vista delle innovazioni tecnologiche. La nostra forza è rappresentata dalla qualità e dall’affidabilità dei servizi offerti, che ci permettono di realizzare lavori a “regola d’arte”. Poniamo inoltre grande attenzione alla sicurezza sul lavoro e al rispetto dell’ambiente, due argomenti oggi molto sentiti anche da parte dell’opinione pubblica. La Fatigappalti è un’azienda di tipo familiare, ed è proprio gra- LAZIO 2012 • DOSSIER • 97
MODELLI D’IMPRESA
zie all’impegno di tutta la famiglia che riu- intercontinentale Leonardo da Vinci di Fiusciamo a portare avanti il nostro progetto». Quali sono, nello specifico, le vostre specializzazioni nell’ambito dell’impiantistica generale? «La nostra attività comprende la progettazione, la costruzione e l’installazione di impianti civili e industriali, termici, di condizionamento, climatizzazione, ventilazione, elettrici, speciali, idraulici, antincendio, meccanici, gas tecnici e medicali. Abbiamo avuto modo di raggiungere questo insieme di competenze differenti grazie alla possibilità di lavorare in contesti fra loro eterogenei, come ad esempio, solo per citare alcuni interventi, negli ospedali romani San Camillo e Santa Lucia, nella Stazione Termini e nell’Aeroporto
Per resistere sul mercato è fondamentale poter disporre di mano d’opera qualificata e costantemente aggiornata
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micino. Ci occupiamo anche di edilizia, con la realizzazione, la manutenzione e la ristrutturazione di opere sia civili che industriali, oltre che di beni sottoposti a tutela». Di quali abilitazioni e certificazioni vi siete dovuti dotare per poter svolgere il vostro lavoro? «Siamo certificati ai sensi della norma Uni En Iso 9001:2008 e Uni En Iso 14001:2004, oltre che Ohsas 18001:2007. Siamo in possesso dell’attestazione per l’esecuzione dei lavori pubblici con la certificazione rilasciata dalla Axsoa. Siamo infine abilitati per l’esecuzione di lavori di igiene ambientale come pulizia, sanificazione, disinfezione, disinfestazione, derattizzazione per edifici e impianti civili e industriali; lavori di pulizia e di sterilizzazione di condotte per il condizionamento dell’aria; e lavori di depurazione dell’aria e trattamenti ambientali». Su quali ambiti operativi siete al momento impegnati? «Attualmente la società sta lavorando su progetti di ampio respiro, per grandi aziende ed enti, non soltanto pubblici ma anche privati. Purtroppo però devo dire che siamo costretti a sostenere spese molto elevate, determinate soprattutto dall’elevata tassazione, dall’aumento del prezzo del carburante e dei costi bancari, tali a volte che l’utile ricavato dal lavoro non riesce a coprire le spese stesse». Cosa auspicate, infine, per il futuro dell’azienda? «Speriamo che la situazione generale possa migliorare, al fine di continuare a lavorare con maggiore serenità. Oggi lavorano con noi circa 150 dipendenti. L’obiettivo è quello di continuare a rappresentare un punto di riferimento importante per il nostro territorio, assicurando stabilità economica e il mantenimento dei posti di lavoro a tutti i nostri collaboratori».
MODELLI D’IMPRESA
Ripartire dalla formazione Investire sulla conoscenza e sull’esperienza pratica, per competere su un mercato fortemente vocato all’internazionalizzazione e caratterizzato da una concorrenza sempre più serrata, come quello energetico. Il punto di Giuseppe Bellantoni Guido Puopolo
algrado l’onda d’urto della crisi economica e finanziaria abbia colpito anche il mondo energetico, il settore Oil & Gas è alla continua ricerca di figure altamente professionali. Tuttavia i profili qualificati scarseggiano. Servono quindi spazi formativi adeguati, volti a colmare il gap tra domanda e offerta. Lo sa bene Giuseppe Bellantoni, Managing Director di ISS International, società di Roma che dal 2005 offre soluzioni integrate per tutte le attività nell’ambito di impianti gas-petroliferi. «Siamo in un’epoca di ricostruzione, e per ricostruire non si può prescindere da due fondamentali elementi: formazione e spirito collaborativo». Crede che in Italia le aziende del settore dispongano degli strumenti e delle competenze necessarie per affrontare un mercato in continua evoluzione, come quello energetico? «In Italia abbiamo i migliori ingegneri del mondo, che devono essere però adeguatamente valorizzati. La ISS International, ad esempio, è composta per la maggior parte da ragazzi preparati e desiderosi di crescere e migliorare. Conoscono più lingue, si confrontano tutti i giorni con culture, mentalità, standard e procedure internazionali, effettuano periodi di training e Giuseppe Bellantoni, Managing Director della ISS partecipano allo Start-up delle International Spa di Roma nostre branch all’estero, come www.iss-international.it
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quelle di Abu Dhabi e Doha». E infatti ISS, attraverso un apposito Training Center, è costantemente impegnata in attività di formazione e trasferimento di know how tecnico per gli operatori del settore. Da dove è nata l’idea di creare un Centro di Formazione interno alla vostra società? «Abbiamo avvertito l’esigenza di creare un Training Center che fosse a disposizione di tutti quei giovani che avessero voglia di avvicinarsi al settore dell’Oil & Gas da un punto di vista più pratico e professionalizzante. Infatti, se a livello teorico le facoltà italiane di ingegneria rappresentano l’eccellenza, il lato pratico è completamente sconosciuto. Sembra una contraddizione, ma fatichiamo a trovare specialisti del settore sotto una certa soglia d’età, perché i grandi player e le università non hanno come core business questo tipo di formazione». A chi si rivolge principalmente la vostra offerta formativa? «Come accennato in precedenza il nostro punto di riferimento sono i giovani, laureati e non. A loro diamo l’opportunità di assistere a docenze di manager e tecnici specializzati e di partecipare, attraverso sofisticati simulatori d’impianto, alla realizzazione di progetti di ampio respiro; offriamo stage remunerati presso importanti società del comparto, insegniamo un lavoro reale e non inflazionato che, nonostante l’alta specializzazione richiesta, può garantire sbocchi impensabili e duraturi. A dispetto di chi afferma che il petrolio è agli sgoccioli, infatti, non possiamo dimenticare che le riserve conosciute dureranno almeno altri “cento” anni, per non parlare di
Xxxxxxx Giuseppe Xxxxxxxxxxx Bellantoni
SPECIALISTI
3000 SONO I TECNICI FORMATI DA ISS INTERNATIONAL ALL’INTERNO DEL PROGETTO MLE, IN ALGERIA
quelle ancora da scoprire». Come è strutturato, nello specifico, il vostro Training Center? «Il Training Center di ISS International non è soltanto una scuola professionalizzante riconosciuta dagli organi amministrativi italiani (siamo accreditati presso la regione Lazio e numerosi enti bilaterali), ma è un’“idea”: la competenza, l’elevato standard di qualità, la multidisciplinarietà e l’approccio internazionale che caratterizza i nostri metodi di addestramento e di trasferimento del know how hanno trovato apprezzamento soprattutto presso clienti esteri che, a partire dalla formazione prettamente tecnico-specialistica, in alcuni casi - come quello dell’azienda Kazaka KazMunaiGaz - ci hanno persino chiesto di insegnare loro la nostra Metodologia di Management. A Menzel, in Algeria, all’interno del progetto MLE, ci siamo invece occupati della formazione di oltre 3000 tecnici internazionali sugli Standard di Salute, Sicurezza, Ambiente e Qualità, una materia che rappresenta uno dei fiori all’occhiello del nostro centro».
ISS International è oggi una realtà leader a livello internazionale nell’offerta di servizi integrati per tutte le attività nell’ambito degli impianti gas-petroliferi. Quali sono le prospettive per il futuro della società? «Lavoriamo a 360 gradi, fornendo servizi che vanno dagli studi di fattibilità di un impianto allo start-up, fino ad attività di Operation & Maintenance. Nell’immediato futuro abbiamo in mente di protendere all’estero altri tre rami del nostro piccolo “albero”: apriremo una filiale in Kazakistan, dove operiamo indirettamente già da molti anni, una filiale in Algeria e, infine, una filiale in Ghana. Qui siamo stati invitati dal governo locale a implementare un progetto formativo di “know-how transfer”, tramite la costituzione del West Africa Educational Center di cui ISS, speriamo, sarà uno dei principali attori». LAZIO 2012 • DOSSIER • 103
TECNOLOGIE
Un software salverà gli antichi manoscritti Per salvaguardare l’immenso patrimonio culturale conservato all’interno dei nostri archivi e delle biblioteche storiche esistono strumenti innovativi e assolutamente efficaci. Li illustra Emilia Di Bernardo Guido Puopolo
on il termine Fits - Flexible Image Transport System - si indica un particolare formato di file standard, utilizzato soprattutto per la memorizzazione di immagini e dati in astronomia e astrofisica spaziale. Sviluppato dalla Nasa a partire dagli anni 70 ma reso pubblico solo nel 1981, proprio per assicurare lo scambio dei dati tra le varie istituzioni scientifiche e garantire così la conservazione a lungo termine degli elementi raccolti, questo sistema open source, negli ultimi anni, sta conoscendo nuove e significative applicazioni. Basti pensare alle grandi biblioteche e agli archivi storici, che si trovano periodicamente a dover fare i conti con l’esigenza di conservare in maniera adeguata immagini e testi che, col passare del tempo, rischierebbero di danneggiarsi in maniera irreparabile, comportando gravi perdite per il nostro patrimonio culturale. Si inserisce proprio in quest’ambito il progetto portato avanti dalla Seret Art in Technology, società di Roma specializzata nella fornitura di pacchetti software e di sistemi informativi e nella progettazione e fornitura di sistemi di identificazione e sicurezza ambientale mediante tecnologia a radiofrequenza (Rfid). «Grazie alle particolari caratteristiche del formato Fits – afferma la dottoressa Emilia Di Bernardo, amministratore unico dell’azienda
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- è possibile archiviare qualsiasi tipo di dato, e renderlo così leggibile e fruibile anche negli anni a venire, al contrario di quanto avviene con i formati proprietari, che per la loro natura si rendono chiaramente inadatti a garantire l’accedibilità a lungo termine». Seret, a testimonianza della spinta all’innovazione che anima la sua attività, è infatti la prima azienda italiana ad aver avviato un programma di sviluppo di plug-in e servizi su questo formato, in collaborazione con la Biblioteca Apostolica Vaticana, proprio con l’obiettivo di favorirne la diffusione nel settore documentale. «Il percorso intrapreso è sicuramente impegnativo – spiega Di Bernardo - ma siamo convinti che sia indispensabile maturare le necessarie competenze e professionalità, per poter offrire servizi qualificati a tutte quelle realtà interessate alla costituzione di archivi di grande affidabilità».
Emilia Di Bernardo, amministratore unico della Seret Art in Technology di Roma www.seretat.com
Emilia Di Bernardo
Grazie alle particolari caratteristiche del formato Fits è possibile archiviare qualsiasi tipo di dato, e renderlo così leggibile e fruibile anche negli anni a venire
Proprio la Biblioteca Vaticana sarà l’organizzatrice della sessione speciale presente al convegno dell’European Week of Astronomy and Space Science – Ewass, manifestazione che si svolgerà a Roma dall’1 al 6 luglio prossimi e che vede Seret tra gli sponsor principali. «Nel corso del convegno si terrà un incontro dedicato proprio a questo nuovo formato, che a breve siamo sicuri sarà riconosciuto come una tangibile testimonianza. La speranza è che si possa dare avvio a un percorso di sviluppo concreto, che possa rendere il Fits uno standard di fatto per la conservazione di contenuti digitali». In un’ottica di continuo sviluppo tecnologico Seret, ormai affermatasi come partner e system integrator di alcuni tra i più importanti player internazionali del settore ICT, sempre nel campo documentale ha inoltre
iniziato a collaborare alla sperimentazione di un nuovo sistema, per il riconoscimento di testo in immagini digitali di documenti manoscritti e a stampa. «Il prototipo, realizzato congiuntamente con Dabimus, spin off dell’Università di Bari Aldo Moro, è stato denominato ICRPad. Tale strumento è in grado di interpretare testi redatti a mano con funzionalità di Icr, Iwr e Ocr. Attraverso questa soluzione ci poniamo l’obiettivo di risolvere una tra le problematiche più complesse nel mondo documentale digitale, in particolare per ciò che concerne documenti antichi e manoscritti, che proprio in virtù delle loro caratteristiche presentano notevoli difficoltà nell’interpretazione automatica da parte degli elaboratori». La struttura algoritmica elaborata per il sistema, come sottolinea la dottoressa Di Bernardo, consente due fon-
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TECNOLOGIA
Collaborazioni di prestigio La Seret Art in Technology opera da 15 anni nel mercato dell’Ict, e oltre alla sede di Roma, è presente con due filiali ad Anagni e Milano. Fondata da professionisti con alle spalle significative esperienze nell’ambito dell’implementazione di tecnologie informatiche, è oggi una realtà di livello internazionale nella fornitura di servizi e soluzioni ad alto contenuto tecnologico. Negli anni l’azienda ha sviluppato servizi di document management per i principali istituti bancari italiani, per Fondi previdenziali, aziende petrolifere italiane, istituti pubblici e privati, oltre che per l’ISTAT e per le Poste Italiane. La Seret, sfruttando le potenzialità della tecnologia RFID, sviluppa, sin dal 2002, soluzioni e servizi finalizzati ai processi di automazione e controllo della movimentazione di beni librari in stretta collaborazione con gli specialisti della Biblioteca Apostolica Vaticana. Il sistema Qualità della Seret è garantito dal possesso dalle certificazioni CISQ e Iqnet, conformemente alla norma Uni En Iso 9001:2008 e Uni Iso 27001:2005 per progettazione e sviluppo software e sistemi Rfid, acquisizione ottica e digitalizzazione dei documenti, servizi di inserimento dati, archiviazione e gestione fisica della documentazione cartacea.
damentali livelli di utilizzo, peraltro appli-
cabili contestualmente: «Il primo permette all’utente di effettuare ricerche all’interno del documento, senza necessità di indicizzazione dell’intero contenuto testuale. Una volta che il documento viene immesso all’interno della banca dati con opzioni di ricerca per parole chiave, l’utente può effet-
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tuare tutte le ricerche a suo piacimento, con una restituzione immediata del testo». I riscontri altamente positivi ottenuti sino ad oggi dai test sono tali da prevedere, fin d’ora, che le ulteriori implementazioni cui è attualmente sottoposto ICRPad apriranno nuove possibilità di ricerca, studio e fruizione interattiva delle digital libraries di documenti, garantendo un livello di accessibilità ai documenti digitali a oggi non ancora raggiunto da sistemi analoghi. «Questa, ad esempio, è una soluzione che si pone come fondamentale risorsa anche in tutti i processi di automazione che riguardano le aziende», conclude l’amministratore. «Non vanno dimenticati, inoltre, i benefici che potrebbe trarne la Pubblica amministrazione, soprattutto per quel che riguarda la semplificazione nell’archiviazione e nel recupero documentale che da più parti viene invocata, ma che al momento è stata tradotta in pratica solo marginalmente».
TECNOLOGIE
Il rilancio del fleet management passa dall’Ict ome registrato dall’Undicesimo rapporto Aniasa (Associazione Nazionale Industria dell’Autonoleggio e Servizi Automobilistici), il 2011, in Italia, è stato un anno negativo per il fleet management. A fronte di un incremento del 2 per cento nel numero complessivo dei veicoli gestiti in outsourcing per conto della Pa e delle aziende private, a livello di fatturato il calo è stato del 25 per cento, confermando così la sottodimensione del settore rispetto allo sviluppo che ha nel resto dei paesi europei. Se infatti dal confronto con il 2010 risulta cresciuto il numero dei veicoli gestiti, il fatturato medio per veicolo è passato da 631 a 464 euro (meno 26,5 per cento), consegnando a fine anno al settore un fatturato di 60 milioni di euro contro gli 80 del 2010. Le cause? E le soluzioni? Ne parliamo con Elpidio Sacchi, titolare di Safo, gruppo di società con presenza in Italia, nel Regno Unito e in Romania: «Durate lo scorso anno, l’inasprirsi degli effetti della crisi economica
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Elpidio Sacchi, amministratore del Safo Group di Roma www.safogroup.it
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L’ultimo anno ha registrato una flessione nel settore delle flotte aziendali, della Pa e del noleggio. Elpidio Sacchi illustra le cause e indica le soluzioni praticabili per portare il mercato in linea ai livelli europei Luca Cavera
e il contemporaneo aumento dei prezzi dei carburanti hanno fortemente penalizzato il mercato italiano. A questo si è poi sommato il ritardo dei pagamenti da parte della Pa e il disincentivo all’investimento determinato dalla stretta sul credito». Quali sono le strategie praticabili per invertire questa tendenza? «Com’è stato indicato già dal rapporto Aniasa, il settore potrebbe compiere un salto di qualità potenziando l’applicazione delle tecnologie informatiche e approfittando dei meccanismi di outsourcing su componenti di servizio che non siano direttamente parte del core business. Noi, ad esempio, siamo una società che è specializzata da oltre trent’anni nella fornitura di servizi specialistici. Il nostro approccio prevede che ci assumiamo la responsabilità in outsourcing su processi che, rispetto al core business delle società di noleggio sono marginali e ne facciamo il nostro core business. Ciò determina che, operando su volumi più ampi di veicoli rispetto alla singola società di noleggio, attuiamo una suddivisione degli oneri di investimento per i noleggiatori e costruiamo elementi di eccellenza. La conseguenza è una rilevante riduzione dei costi e un significativo miglioramento dei servizi che i nostri clienti possono offrire ai locatari. Grazie a questo approccio, stiamo dando una mano ai nostri clienti per resistere
Elpidio Sacchi
L’obiettivo è offrire soluzioni che garantiscano l’accesso alle informazioni in qualunque momento e in totale mobilità
alla generale tendenza alla crisi e, allo stesso tempo, conseguiamo una significativa crescita nelle nostre attività». I vostri servizi quali aree di gestione coprono? «L’offerta del nostro gruppo è articolata su tre linee di business principali: servizi specialistici per l’automotive, general back office e soluzioni Ict. Queste tre linee, poi, combinate, contribuiscono a migliorare l’offerta complessiva. I nostri servizi specialistici comprendono tutte le procedure amministrative per la gestione di grandi flotte e coprono l’intero ciclo di vita del veicolo e dell’attività di noleggio professionale, dalla fase di quotation al remarketing. Per quanto riguarda il general back office, i nostri servizi prevedono le attività di document management, recupero crediti, Crm e data entry. Infine, per l’Ict, facciamo consulenza, progettazione e sviluppo di soluzioni software, direttamente presso le nostre factory di Roma e Bucarest».
Quali sono le ultime novità a livello di Sw development? «Le nostre maggiori competenze ed esperienze sono state maturate nella realizzazione di soluzioni di tipo datawarehousing e Cpm. Oggi ci stiamo concentrando soprattutto sullo sviluppo di soluzioni per le nuove piattaforme mobili. Abbiamo investito e stiamo continuando a investire risorse in questa direzione, costituendo anche una divisione specifica e dedicata esclusivamente alla realizzazione di applicazioni per le piattaforme iOS e Android. Il nostro obiettivo è quello di offrire nuove soluzioni di business, utilizzando sistemi di comunicazione all’avanguardia che garantiscano l’accessibilità alle informazioni in qualunque momento e in totale mobilità». Quali sono gli obiettivi per il 2012? «L’attuale politica di sviluppo del gruppo si basa sulla ferma volontà di garantire ai nostri partner la massima disponibilità e flessibilità attraverso una struttura competente e affidabile rispetto alle esigenze del mercato, accompagnate da un processo continuo di innovazione ed evoluzione e con una vision europea. Per questo motivo il gruppo sta insistendo su una strategia di espansione all’estero, per la costituzione di nuove partnership. Già entro il 2012, contiamo di insediarci anche in altri paesi europei». LAZIO 2012 • DOSSIER • 109
TECNOLOGIE
L’informatizzazione, motore di sviluppo entre all’estero, nel complesso, il 2011 è stato un anno di crescita per l’Information Technology, il mercato italiano ha chiuso in negativo. Il rapporto Assinform ha registrato un complessivo meno 4,1 per cento. Le cause? A pesare è stata la restrizione della spesa della Pubblica amministrazione – la cui informatizzazione massiccia è ancora da venire –, ma soprattutto il calo di investimenti dell’impresa privata, che rappresenta il 90 per cento della domanda di informatizzazione e che, l’anno scorso, ha diminuito la destinazione di risorse per almeno il 4,3 per cento. In questo scenario di crisi si sono distinte alcune eccezioni, come quella della ComTel, system integrator che anche nel 2011 è riuscito a centrare l’obiettivo crescita, segnando a bilancio una crescita di fatturato del 17,5 per cento rispetto al 2010, attestandosi così a quota 47 milioni di euro. Per spiegare le ragioni del successo in controtendenza intervengono Giovanni Grechi, presidente e amministratore delegato della società, e Vincenzo Cassese, suo direttore generale. A fronte di un settore in difficoltà, qual è
M
Giovanni Grechi, presidente e ad della ComTel Spa di Milano, insieme al direttore generale Vincenzo Cassese www.comtelitalia.it
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Gli scenari dell’Information and Communication Technologies per il 2012. Le soluzioni, le visioni e la capacità di intercettare le esigenze di una platea variegata di soggetti e utenti. Ne parliamo con Giovanni Grechi e Vincenzo Cassese Valerio Germanico
stata la leva che ha permesso di proseguire nello sviluppo? Giovanni Grechi: «Alla base della nostra performance di successo continua a giocare il suo ruolo fondamentale la nostra strategia di innovazione tecnologica. A questo, nello specifico, si è aggiunto, come determinante fattore di crescita, l’apertura ai mercati internazionali. Infatti, siamo ormai presenti in 130 paesi nel mondo, grazie a un network di system integrator stranieri. Questo significa che ComTel, attraverso il proprio sistema tecnico e organizzativo, può fare da focal point per tutte le problematiche tecniche e di sviluppo di soluzioni Ict per qualsiasi azienda italiana presente all’estero con sedi, filiali o uffici». Quali sono state, in concreto, i prodotti e i servizi che hanno fatto da traino? Vincenzo Cassese: «L’azienda è cresciuta perché ha saputo evolvere specializzandosi nell’offerta di soluzioni che vanno dal cablaggio fisico al networking, dal VoIP ai sistemi di video intelligence, video conference e applicativi. Inoltre, grazie al nostro Network Operation Center (NOC), attivo 24 ore su 24, possiamo affrontare e risolvere in tempo reale qualsiasi problema tecnico che dovesse interessare i sistemi dei nostri clienti. Questi sono rappresentati da piccole, medie e grandi imprese, compresa la
Giovanni Grechi e Vincenzo Cassese
Le aziende guardano alla tecnologia come fattore strategico. Noi le accompagniamo nell’implementazione
pubblica amministrazione. La nostra forza è anche quella di saper rispondere alle esigenze diversificate di una schiera così varia di attori economici». Com’è organizzata internamente ComTel? G.G.: «Abbiamo due divisioni: Reti ed Enterprise. La prima è attiva sui mercati carrier, svolge attività di installazione, collaudo e manutenzione di apparati di telecomunicazione per gli operatori Tlc che erogano servizi locali, a lunga distanza o ad alto valore aggiunto. Invece, la divisione Enterprise, con una capillare distribuzione sul territorio nazionale e internazionale, si rivolge a una clientela business, proponendo soluzioni per reti voce, dati e convergenti, in grado di rispondere alle esigenze di sempre maggiore efficienza delle aziende di oggi». Quali sono le vostre previsioni sull’andamento del mercato nel 2012 e quali le strategie per affrontarlo? V.C.: «Per raggiungere l’affermazione in un mercato globale e competitivo, le aziende guardano alla tecnologia come fattore strategico. Però, alle reti e ai sistemi non chiedono più soltanto l’efficienza e l’affidabilità, bensì anche la capacità di integrarsi con una visione più ampia dei processi di business, che permettano di supportarne nuove strategie, applicativi e servizi.
FATTURATO
47 mln LA CIFRA REALIZZATA NEL 2011 DA COMTEL SPA, SOCIETÀ DEL SETTORE ICT
Oltre che rispondere alle attese crescenti di una nuova generazione di utenti. Per assecondare questa richiesta – certo frenata a livello di investimenti dalla crisi, ma tuttora attuale per lo sviluppo del nostro paese –, stiamo proseguendo nella nostra politica di destinazione di risorse nell’aggiornamento, nell’adeguamento delle strutture e delle risorse e nella ricerca e sviluppo di servizi e prodotti in linea con gli scenari del futuro. Fra questi, nel 2012, la sfida maggiore sarà rappresentata dal cloud». LAZIO 2012 • DOSSIER • 111
TECNOLOGIE
Il mercato Ict alla svolta ambientale Tenere il passo con i tempi permettendo alle aziende di ridurre tanto i costi energetici quanto l’impatto ambientale delle dotazioni informatiche. Una rivoluzione descritta da Elisabetta Montali, amministratore di Irce Andrea Moscariello
«C
Elisabetta Montali, amministratore unico di Irce Spa, Roma www.ircespa.it
iò che si sta verificando sul mercato Ict rappresenta una svolta epocale». Questa l’impressione di Elisabetta Montali, al vertice di Irce Spa, tra le società italiane più affermate sul fronte dell’informatica e delle telecomunicazioni, attiva da oltre trent’anni. Secondo l’amministratore unico, il cambiamento è da leggere nella rivoluzione scaturita dall’esplosione dei social network e del mobility, ambiti su cui Irce ha iniziato a investire in maniera sistematica sin dal 2008. Ma è certamente nella razionalizzazione dei costi e nell’efficientamento dei sistemi che si trovano i nodi più importanti da sciogliere. Su cosa avete investito negli ultimi anni? «Abbiamo riposto molte risorse per migliorare il nostro livello di competenza e professionalità, specie sulle nuove tematiche protagoniste del settore. In primis sul Cloud oltre che sulla virtualizzazione delle applicazioni e delle postazioni di lavoro». Nonostante il boom di questi sistemi, anche il mondo Ict sta affrontando la crisi. «Non solo. Il nostro settore, in Italia, paga lo scotto di un’arretratezza infrastrutturale ormai insostenibile. Pensiamo solo alla banda larga. E questo non aiuta certamente il tessuto produttivo. Oggi le imprese hanno esigenza di avere soluzioni informatiche efficienti e poco costose,
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non solo in termini di acquisto ma di manutenzione e gestione». Soprattutto chi si rivolge a Irce? «Ci rivolgiamo a un target di enti e aziende di grandi dimensioni. Tutte realtà che necessitano di migliorare il loro servizio clienti pur ottimizzando i costi di gestione. Anche per questo il servizio post vendita è sempre stato un nostro obiettivo. Per mantenere una committenza è importante dimostrarsi flessibili ed essere presenti per tutto quello che avviene dopo l’acquisto». Uno dei vostri progetti è stato concepito al fine di ridurre l’impatto ambientale. Come nasce Green It? «Negli ultimi dieci anni, soprattutto grazie al diffondersi di sistemi dal costo relativamente basso e al proliferare di applicazioni di ogni genere, il numero di macchine installate nelle aziende è cresciuto significativamente. L'insieme di queste tecnologie e i loro impieghi ovviamente impattano sul fabbisogno energetico. Il proliferare delle server farm, secondo un modello che tendeva a prevedere un server per ogni applicazione, ha condotto a una distribuzione delle risorse elaborative diseguale e, in generale, a un loro
Elisabetta Montali
sottoimpiego. In secondo luogo, la crescita dei dati generati e la loro gestione hanno portato a un costante ampliamento del fabbisogno di spazio per la memorizzazione». Dunque si può lavorare per ridurre i costi energetici che queste voci implicano? «Oggi si stima che il consumo energetico dell'ICT raggiunga il 3 per cento del consumo totale. La produzione di CO2 è comparabile a quella del traffico aereo, o a un quarto delle emissioni causate dal parco automobili mondiale. A tal proposito, il nostro progetto propone molteplici soluzioni, che vanno dalla riduzione dei consumi delle componenti hardware alla capacità dei sistemi operativi, fino ad applicazioni che regolano la potenza elaborativa in base al carico di lavoro previsto. Queste forme di adattabilità sono ancora distribuite in maniera diseguale nell’ambito delle tecnologie impiegate e richiedono un continuo presidio al fine di impattare positivamente la bolletta energetica». Quanto incide la crisi sul livello di attenzione che le aziende ripongono su queste tematiche? «Dopo anni di crescita rapida, e spesso poco organica, dei propri investimenti in Ict, le aziende si sono trovate periodicamente a fronteggiare momenti di rallentamento o di recessione. Così hanno dovuto fare i conti con i costi della tec-
Le aziende devono fare i conti con i costi della tecnologia e con il ritorno sugli investimenti effettuati
nologia, con il ritorno sugli investimenti e con la necessità di migliorare la propria capacità di scegliere i progetti da lanciare. Al tempo stesso è aumentato progressivamente il costo del mantenimento in vita di quanto era stato precedentemente realizzato. Si stima che oggi, nelle aziende, una percentuale che può arrivare all’80 per cento del budget annuo venga destinata alla manutenzione. In questo scenario si inserisce la problematica dell’impatto ambientale, che in assenza di una strategia di sviluppo dell’Ict che ne tenga conto porta inevitabilmente a un iniziale aggravio di costi in cambio di successivi recuperi di efficienza». Qual è la soluzione più richiesta dalle imprese? «Probabilmente la virtualizzazione, che consente il consolidamento delle risorse riducendo il numero di macchine impiegate. In generale le tecniche applicate alle varie tecnologie mirano a costruire insiemi di risorse e a condividerli in modo più efficiente. Le soluzioni più sofisticate tendono ad aggiustare l’allocazione delle risorse in modo dinamico, così da rispondere ai picchi di richieste di servizio e ridurre i consumi quando l’attività diminuisce».
LAZIO 2012 • DOSSIER • 113
Nuove prospettive per la ricerca Con Horizon 2020 si prospetta una nuova fase per le politiche mirate a incentivare la ricerca e l’innovazione, aspetti fondamentali per la crescita dell’Europa. E si sposta l’attenzione dalla ricerca all’effettiva innovazione. Il punto di Mauro Pontremoli del CSM di Roma Eugenia Campo di Costa
ecentemente approvato dai ministri dello Sviluppo e della Ricerca europei, il programma Horizon 2020 prevede un finanziamento di 87 miliardi di euro destinati alla ricerca e all’innovazione per il settennio 2014 - 2020. Secondo il ministro del Miur Francesco Profumo «Horizon 2020 sarà l’unica occasione per il nostro Paese per rilanciare il sistema della ricerca e dell’innovazione». Il programma è stato accolto con favore dai tanti attori del settore: «Horizon 2020 richiede una crescente consapevolezza del fatto che le politiche su scala nazionale e regionale inerenti ricerca e innovazione debbano essere sempre più integrate a quelle europee» afferma Mauro Pontremoli, amministratore delegato del CSM – Centro Sviluppo Materiali, centro di ricerche industriale privato con sede principale a Roma e partecipato da grandi gruppi nazionali
R Mauro Pontremoli, amministratore delegato del CSM di Roma. Nelle altre immagini momenti di ricerca all’interno del centro www.c-s-m.it
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Mauro Pontremoli
FINANZIAMENTI
FATTURATO
87 mld
31 mln
È LA CIFRA IN EURO PREVISTA DA HORIZON 2020 PER FINANZIARE LA RICERCA E L’INNOVAZIONE IN SETTE ANNI, DAL 2014 AL 2020
È IL VALORE REGISTRATO DAL CSM NEL 2011. IL PIANO AZIENDALE PREVEDE RICAVI STABILI PER I PROSSIMI TRE ANNI ATTORNO A QUESTO LIVELLO
e internazionali quali Thyssen Krupp Acciai Speciali Terni, il Gruppo Tenaris, Acea, Fincantieri, Acciaieria Arvedi, AMA, il Gruppo Finmeccanica, Saipem (gruppo Eni) e la Società per il Polo Tecnologico Industriale Romano. Csm è una realtà di primissimo piano nel panorama della ricerca industriale a livello mondiale, un partner indispensabile per lo sviluppo tecnologico non solo delle grandi aziende, ma anche delle piccole e medie imprese. Quali sono le novità più significative introdotte da Horizon 2020? «Di fondamentale importanza è lo spostamento dell’enfasi dalla ricerca all’innovazione. Con Horizon 2020 si pone cioè maggiore attenzione all’impatto della ricerca sul sistema produttivo, quindi all’effettivo trasferimento dell’innovazione alle imprese e alla società. Trovo che questo sia un pilastro del piano che non potrà che
condizionare le politiche nazionali e regionali che fino a ora tendevano a privilegiare la fase più a monte del sistema di creazione dell’innovazione». Questo “passaggio” dalla ricerca all’innovazione sposta l’attenzione sulle realtà come la vostra, elementi chiave della catena di innovazione. «Il CSM fa parte di quelli che in Europa vengono chiamati Rto, Research Technological Organisation. Gli Rto, come il CSM, non sono numerosi in Italia. Si tratta di centri di ricerca industriali, che hanno cioè un’impronta e una cultura d’azienda e fanno ricerca focalizzata sulla futura applicazione al sistema industriale e di innovazione di mercato. Dalla ricerca di base alla ricerca industriale applicata al sistema produttivo, l’anello intermedio è rappresentato appunto dagli Rto. Tale anello, significativamente presente in LAZIO 2012 • DOSSIER • 115
RICERCA E INNOVAZIONE
Europa, è invece molto debole in Italia no-
nostante la sua importanza fondamentale nel tradurre la ricerca in innovazione reale». Qual è la situazione in Italia nello specifico? «Nel nostro paese vi sono numerosi soggetti che si pongono come intermediari tra il sistema che produce ricerca di base, cioè i centri di ricerca pubblici e le Università, e gli utilizzatori finali che in Italia sono costituiti, oltre ad un ristretto numero di grandi imprese, principalmente di piccole e medie imprese. In molti casi questi intermediari non fanno direttamente ricerca e ciò contribuisce alle evidenti difficoltà che il nostro Paese ha nell’incentivare l’innovazione applicata, specie alle piccole e medie imprese».
Il credito di imposta è lo strumento fondamentale e prioritario per un’incentivazione nella ricerca, soprattutto per quella orientata al mercato
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Un gap che potrebbe essere colmato dagli Rto? «Gli Rto sono strutture in grado di fare realmente ricerca, non solo di fungere da punto di contatto tra gli enti e le imprese. Tale ruolo è particolarmente significativo per superare la difficoltà di mettere in collegamento il mondo universitario, fortemente ancorato alla tradizione accademica, con il mondo delle imprese, specialmente quelle piccole e medie che strutturalmente sono poco orientate alla ricerca, sia per l’insufficiente disponibilità finanziaria che per la scarsa capacità di progettare innovazione di alto livello». Quali cambiamenti auspica per la ricerca in Italia? «Mi auguro che gli Rto vengano valorizzati adeguatamente, dal momento che sono organi estremamente importanti per garantire che la ricerca destinata all’innovazione del sistema industriale venga poi effettivamente messa in pratica. Per quanto riguarda i sostegni finanziari alla ricerca, ho trovato estremamente interessante la prima bozza del Decreto Sviluppo fatta dal ministro Passera». Il decreto del ministro Passera insisteva sul credito d’imposta. «Il credito di imposta è lo strumento fondamentale e prioritario per un’incentivazione nella ricerca, soprattutto per quella orientata al mercato. Trovo sia molto efficace soprattutto per la sua impostazione di fondo: non definisce centralmente le priorità, lascia che sia il sistema a decidere quali sono le esigenze primarie della ricerca, quindi dà un aiuto fiscale che viene poi gestito a seconda delle esigenze. Questa logica è completamente diversa dagli altri interventi di incentivazione che invece definiscono a priori linee di attività, settori, oggetti dei bandi ai quali sono destinate le risorse. La certezza delle incentivazioni per la ricerca a medio e lungo termine costituisce infine un elemento decisivo per la loro efficacia in quanto consente alle aziende di dare adeguata prospettiva ai loro piani di sviluppo».
INNOVAZIONE
Tecnologia clad per i sistemi elettronici Importanti collaborazioni con il comparto difesa hanno permesso alla Cs di Roma di stipulare partnership con India, Germania e Spagna. Il punto di Maura Lupi Marco Tedeschi
el 2011 l’attività economica del Lazio ha ristagnato. Al rallentamento degli investimenti delle imprese si è affiancata la debolezza dei consumi delle famiglie. La lieve espansione dei primi tre trimestri è stata seguita da una brusca contrazione del prodotto, in connessione con le turbolenze finanziarie e con l’indebolimento del ciclo economico internazionale. Le tendenze recessive dell’economia della regione sono proseguite nei primi mesi del 2012, in linea con le altre aree geografiche del Paese. Nell’industria del Lazio i livelli produttivi sono lievemente cresciuti nel 2011, mantenendosi comunque ampiamente inferiori a quelli precedenti alla crisi
N C.S. Circuiti Stampati ha la sede a Roma www.csroma.com
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del 2008. Le esportazioni hanno continuato a fornire un impulso, favorite da una specializzazione regionale basata su settori a media e alta tecnologia. Le indagini della Banca d’Italia sembrano fornire uno scenario decisamente in linea con quanto esposto da Maura Lupi, amministratore della Cs, azienda romana che dal 1985 si occupa della realizzazione di circuiti stampati e che sta sempre di più investendo su una tecnologia di nicchia che ha aperto le porte a preziose collaborazioni internazionali. «La nostra azienda, - spiega Maura Lupi-, si occupa di costruzione di schede elettroniche, ovvero i circuiti stampati, una sorta di cuore del sistema elettronico. Nel corso degli anni siamo passati dalla realizzazione di circuiti monofacciali a quelli bi-facciali, fino al circuito multi-strato. Un’innovazione considerevole per la nostra azienda riguarda l’utilizzo del clad, che rappresenta una vera e propria novità tecnologica. Questa viene utilizzata soprattutto dai progettisti di apparati a microonde. Tali materiali trovano un'eccellente applicazione laddove viene richiesta una notevole dissipazione del calore, come per esempio nei trasmettitori ad alta potenza, per i quali è necessario disporre di una grande massa termicamente conduttiva, per unità di superficie e con caratteristiche di affidabilità garantite nel tempo. Attraverso questa tecnologia il circuito non è più solo supporto e conduttore ma è dotato di un’antenna che riceve e trasmette. È ri-
Maura Lupi
Nel comparto difesa collaboriamo con l’India, la Spagna e la Germania per antenne per radar e navi. Un settore molto specifico che necessita di qualità e precisione
volta inoltre a tutti quelli che vogliono utilizzare una tecnologia senza fili elettrici». Per quanto riguarda le fasi della produzione dei circuiti stampati, queste necessitano di una minuziosa preparazione e di molta precisione. «Le fasi sono moltissime. Ci sono 5 reparti. Il fotografico, il meccanico, il chimico, dei controlli e infine il serigrafico. Ogni reparto vede al lavoro circa due operatori. Di tutti questi reparti sicuramente quello meccanico ha bisogno dei maggiori adeguamenti e investimenti sotto il profilo tecnologico dato che è supportato da una meccanica di precisione con i controlli numerici. Anche nel controllo finale, in ogni caso, dobbiamo portare avanti un forte adeguamento tecnologico». All’interno dell’industrializzazione la Cs lavora a stretto contatto con il cliente che fornisce il disegno. «Poi – prosegue Lupi - sta a noi creare il master. Nel nostro settore noi collaboriamo molto con il comparto militare, aerospaziale e professionale. Gli altri comparti con cui lavoravamo precedentemente, ovvero quello degli antifurti, delle telecomunicazioni e dell’elettromedicale, stanno infatti attraversando delle grandi difficoltà. Solo il Gruppo Finmeccanica e le aziende militari continuano a collaborare con noi». Una partnership che si è spinta anche fuori dai confini nazionali. «Soprattutto
nella difesa e spazio. Abbiamo infatti delle collaborazioni con l’India, la Spagna e la Germania. Antenne per radar e navi. Un settore molto specifico che necessita di una qualità e di una precisione assolutamente elevata. Per questo è importante che questi circuiti vengano realizzati da realtà come la nostra, con esperienza». I circuiti stampati stanno inoltre sbarcando anche nel mondo delle applicazioni. Verrà infatti lanciata a breve un’app gratuita che consentirà di realizzare circuiti stampati. Una notizia che però non preoccupa più di tanto la Cs. «Non conosco quest’applicazione, in ogni caso c’è da dire che tutto quello che è consumer, con noi non è in concorrenza. Fortunatamente nella tecnologia clad e nei circuiti misti con materiali resistivi possiamo contare su un primato, siamo gli unici ad utilizzarla. Anche una delegazione indiana è venuta a farci visita per riuscire a “coglierne i segreti” ma finora non sono riusciti a svilupparla». Questo permette di guardare positivamente anche in prospettiva futura. «Puntiamo soprattutto su queste nuova tecnologie e su queste nicchie di mercato perché per gli altri settori non c’è concorrenza. – Conclude Maura Lupi -. Il 2011 è stato buono e anche il 2012 sembra essere caratterizzato da una certa flessione. Restiamo qui, a vedere cosa succederà». LAZIO 2012 • DOSSIER • 119
SICUREZZA
Le novità nel settore sicurezza Il rinnovamento del corpus normativo ha innescato un processo di ristrutturazione delle aziende di sicurezza privata, il cui mercato sta attraversando una fase particolarmente delicata. Giorgio Manicone fa il punto su questi aspetti Amedeo Longhi
Alcune fasi dell’attività della Sipro di Roma www.grupposipro.it
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l decreto ministeriale 269/2010 ha l’obiettivo di fornire al settore della sicurezza privata un insieme organico di norme, volto a regolare compiutamente ogni aspetto e a fissare con precisione i requisiti minimi, soggettivi e strutturali, di cui le aziende dovranno essere in possesso per operare a partire dal mese di settembre. Giorgio Manicone è responsabile della divisione vigilanza della Sipro, istituto romano che opera dal 1992. «Per adeguarci alle nuove esigenze – spiega – il nostro assetto societario è stato riorganizzato attraverso la costituzione di una holding di partecipazioni, alla quale fa capo una holding operativa che detiene quote in tutte le aziende appartenenti delle tre divisioni da cui è formata la Sipro. Fino a ieri i nostri istituti di vigilanza erano rappresentati da ragioni sociali
I
Giorgio Manicone
diverse; in ottemperanza al decreto 269, la prima operazione portata a termine nel nostro gruppo è stata la concentrazione, attraverso la fusione per incorporazione, dei diversi istituti di vigilanza operanti in Lombardia, Veneto, Toscana, Lazio, Sardegna, Abruzzo e Molise in un unico soggetto giuridico. Ogni due settimane si tiene inoltre una riunione fra i vari reparti per aggiornamenti sullo stato di avanzamento delle azioni intraprese per adeguare le strutture alle prescrizioni del decreto; ma, visti gli importanti investimenti già effettuati, tali adeguamenti delle nostre sedi non sono di entità rilevante». Le tre divisioni sopracitate si occupano rispettivamente di vigilanza, servizi e sistemi: «La prima, da me attualmente diretta, coordina operativamente e commercialmente tutte le filiali che erogano servizi di vigilanza, il nostro core business. A capo delle altre divisioni ci sono due manager giovani ma già esperti, un valido supporto alla proprietà fresca di passaggio generazionale. La caratteristica che ha sempre contraddistinto il gruppo è la capacità di integrazione dell’offerta: con le nostre tre divisioni costituiamo un interlocutore unico per ogni esigenza di sicurezza. La divisione Servizi Italia organizza, coordina e controlla servizi di sicurezza e di facilities su tutto il territorio na-
GLI ISTITUTI DI VIGILANZA
22,4% DIMOSTRANO DI CONOSCERE PIENAMENTE I CONTENUTI DEL DECRETO MINISTERIALE 269/2010 (FONTE FORMAT RESEARCH)
zionale, mentre la divisione Sistemi rappresenta un vero e proprio system integrator in grado di progettare, realizzare e manutenere sistemi di sicurezza integrati, utilizzando e customizzando le migliori tecnologie; in questo è supportata dalla Neulos, reparto dedicato a ricerca e sviluppo». I dati del settore parlano però di un mercato saturo, fatturati stazionari e occupazione in calo. «Questa analisi è assolutamente coerente con la realtà – osserva Manicone –. È recentemente stato presentato il rapporto 2012 di Federsicurezza, la nostra associazione di categoria, che registra questa tendenza. Negli ultimi anni abbiamo visto migrare una parte significativa degli addetti alla vigilanza privata verso i cosiddetti operatori non armati, per assecondare una logica di saving dei clienti spesso assecondata a dispetto delle normative vigenti in termini di sicurezza sul lavoro, obblighi contributivi e fiscali, nonché LAZIO 2012 • DOSSIER • 121
SICUREZZA
del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicu- scita e continuità al settore: «Sono fondamenrezza. Noi rispondiamo seguendo coerentemente la strada che ci ha sempre differenziato dalla maggior parte dei nostri competitor, puntando su qualità, investimenti, innovazione e diversificazione. Crediamo infatti che il futuro sia riservato a chi si è attrezzato per fornire quei servizi, di cui il mercato non potrà fare a meno: quelli di tipo “tradizionale”, come i servizi di presidio fisso, ma ad alto contenuto professionale e di notevole livello qualitativo, come la protezione delle infrastrutture critiche o i servizi di controllo dei passeggeri e dei bagagli presso sedimi portuali e aeroportuali». Anche altri aspetti, secondo Manicone, non devono essere trascurati, al fine di garantire cre-
In ottemperanza al decreto 269, la prima operazione nel nostro gruppo è stata la concentrazione dei diversi istituti di vigilanza in un unico soggetto giuridico
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tali gli investimenti strutturali, per esempio in un altro dei settori tradizionali della vigilanza, ovverosia nel trasporto, nel trattamento e nella custodia dei valori, non solo monetari. La nuova sede del gruppo ospita nei suoi piani interrati un centro valori privato che non ha eguali in Italia per capacità e dotazioni tecnologiche. Anche innovazione e diversificazione dell’offerta di sicurezza vanno coltivate: a questo proposito, da un lato abbiamo focalizzato l’attenzione su ricerca e sviluppo di nuovi prodotti e tecnologie mettendo a punto, attraverso la Neulos, un sistema di analisi della scena basato sullo sviluppo delle reti neurali, che crediamo possa costituire un punto di riferimento tra i sistemi di video analisi del futuro, utilizzabile non solo nel settore della sicurezza. Dall’altro lato, abbiamo diversificato la nostra offerta con servizi di disaster recovery e business continuity, grazie alla progettazione e realizzazione del nuovo building che ci ospita, secondo canoni che potessero soddisfare i più elevati requisiti normativi per le attività di housing. E proprio nel “tradizionale” settore della protezione delle agenzie bancarie abbiamo sviluppato e realizzato progetti fortemente innovativi mediante l’integrazione tra uomini e tecnologie, progetti che hanno consentito di aumentare il livello di sicurezza e ridurre i costi d’esercizio.». Va infine modificato il rapporto con la committenza, che deve essere reso più flessibile e collaborativo: «In questo momento l’esigenza – conclude Manicone – è quella di fare saving, anche a costo di diminuire il livello di sicurezza».
SERVIZI ALLE IMPRESE
La sicurezza si attua con servizi su misura Enti e imprese necessitano sempre più spesso di servizi legati alla reception e alla sicurezza. E richiedono soluzioni studiate e realizzate in base alle particolari esigenze. Per questo, secondo Fabrizio Valentini, è necessario un costante investimento sulla formazione del personale Lucrezia Gennari
contraccolpi della recessione, per quanto concerne le imprese che offrono servizi, riguardano in particolar modo il rischio di mancati pagamenti da parte delle aziende o degli enti cui prestano servizi. «Al fine di ridurre al minimo questo rischio, purtroppo oggi molto frequente nel nostro settore, stiamo puntando soprattutto sui clienti storici, con i quali abbiamo instaurato da anni un rapporto di fiducia reciproca». A parlare è Fabrizio Valentini, amministratore della Sogest di Roma, società specializzata in servizi di sicurezza e
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La Sogest Srl ha sede a Roma, ma opera in tutta Italia - amministrazione.sogestroma@itanet.biz
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di controllo accessi, reception e guardiania non armata. «Questa strategia fino ad oggi ci ha premiato: l’azienda quest’anno ha incrementato il fatturato rispetto all’anno precedente, a fronte dell’introduzione di nuovi appalti per lo più sviluppati su quelli già esistenti. Molti degli enti con cui già lavoravamo, infatti, hanno ampliato la gamma dei servizi affidandoci nuovi incarichi e nuove mansioni. Naturalmente questa è una grande soddisfazione, non solo in termini economici, ma anche e soprattutto per quanto riguarda il rapporto con il cliente che evidentemente ha piena fiducia nelle nostre attività: chi si affida a realtà come la nostra, mette in mano a terzi servizi delicati, come il controllo degli accessi e la reception della propria azienda e deve fidarsi assolutamente del proprio interlocutore». Nello specifico, le attività della Sogest riguardano, oltre a portierato, guardiania non armata, gestione centralino e al reception service - che rappresentano senza dubbio il core business della società - il controllo accessi con pass e transito ospiti/visitatori/dipendenti, la gestione chiavi, la gestione e la custodia dei parcheggi, la gestione degli ingressi, i servizi di prevenzione incendi, i servizi al piano con fattorini/autista per ritiro e smistamento corrispondenza. L’ampia gamma dei servizi offerti permette
Fabrizio Valentini
La nostra formazione prevede affiancamenti completamente a nostro carico e disponiamo di una struttura di controllo che monitorizza costantemente tutta l’attività
alla Sogest di interfacciarsi con qualsiasi tipologia di azienda, appartenente a ogni categoria merceologica e con qualsiasi ente, pubblico o privato. Come specifica Valentini: «Qualunque struttura che ha la necessità di gestire un servizio di portineria si può avvalere della collaborazione della nostra società. Il nostro target principale è quello delle aziende private, piccole, medie e grandi, ma anche enti pubblici che necessitano dei servizi di controllo e gestione degli accessi». Sogest da sempre punta tantissimo sulla formazione del personale. «La nostra organizzazione è un’attività di “Global Service”, operativa su tutto il territorio nazionale, che ha conseguito la certificazione di qualità Uni En Iso 9001:2008 n° 329886, nel rispetto delle leggi sull’occupazione e con una specifica formazione, pertanto il nostro personale è particolarmente formato grazie anche ai corsi di primo soccorso, antincendio nei luoghi di lavoro e sicurezza sui rischi della mansione specifica. La nostra formazione prevede affiancamenti completamente a nostro carico e disponiamo inoltre di una struttura di controllo che monitorizza costantemente tutta l’attività». L’estrema cura del servizio e della formazione del personale sono tratti che distinguono Sogest da altre realtà simili che non investono così tanto nella cura di ogni dettaglio; non a
caso i clienti dell’azienda rientrano in un target piuttosto alto, che pretende una certa qualità nel servizio. «Al di là degli investimenti effettuati, cerchiamo di mantenere comunque dei costi competitivi, senza però rinunciare mai all’alta qualità della nostra attività e prendendo sempre in considerazione le esigenze del nostro committente. Inoltre, pur nel rispetto delle normative che regolano il mercato del lavoro, la Sogest ha stipulato con una primaria società di assicurazioni, polizze per la copertura dei rischi Rct e di eventuali danni recati dal nostro personale con un massimale di tre milioni di euro, proprio per offrire al cliente una totale garanzia sui servizi da noi prestati» precisa Fabrizio Valentini. Ma quali prospettive intravede la Sogest per il prossimo futuro? «Speriamo di chiudere l’anno mantenendo gli standard di lavoro attuali, infatti stiamo lavorando con il nostro ufficio commerciale, che è impegnato su tutto il territorio nazionale, proponendo anche soluzioni e servizi innovativi. Punto fermo della nostra filosofia – conclude Valentini – rimane comunque l’attenzione alla risorsa umana: proprio per preservare posti di lavoro preferiamo, anche laddove alcune attività potrebbero essere effettuate in remoto o automatizzate, gestire le stesse con risorse umane, sempre appositamente formate». LAZIO 2012 • DOSSIER • 125
COMMERCIO
Strategie di vendita per le boutique l mercato del lusso non conosce crisi”. Questa affermazione, vera a livello globale e sostenuta soprattutto dalle performance che i luxury brand realizzano in Cina, Stati Uniti e India, non trova però riscontro in mercati maturi come quello spagnolo, giapponese e italiano. Se il nostro paese resta protagonista per la produzione e l’esportazione, le vendite interne di prodotti di lusso hanno certamente registrato un decremento, sull’onda del complessivo calo di consumi di beni, durevoli e non, che sta segnando l’economia italiana almeno dal 2011. Se quindi gli stilisti e gli amministratori delegati dei grandi marchi possono affermare di avere bilanci in netto attivo, in che situazione si trovano i rivenditori? A delineare un quadro della situazione Angelo ed Eleonora Sermo-
“I
Angelo ed Eleonora Sermoneta, titolari del gruppo Sermoneta di Roma. Nella pagina accanto, da sinistra, le boutique Eleonora, Brunello Cucinelli e, in basso, Herve Leger - info@amministrazionesermoneta.it
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Nuove iniziative nel mondo capitolino della moda e del fashion di lusso. Per Angelo ed Eleonora Sermoneta la migliore risposta alla crisi dei consumi che ha scalfito anche il top della gamma è continuare a credere e investire nella città eterna Manlio Teodoro
neta, compagni nella vita e negli affari e titolari delle più importanti boutique di alta moda della capitale, sia in franchising che multibrand. «Nel 2011 – spiega Angelo Sermoneta – alcuni dei nostri negozi hanno registrato delle vendite in crescita, nel complesso però anche noi abbiamo risentito della crisi internazionale e italiana. Il gruppo, complessivamente, nel 2011, ha perso fra il 5 e il 10 per cento del fatturato. Tuttavia siamo ancora un’azienda sana. I marchi che proponiamo sono fra quelli più affermati in questo momento e la loro forza è stata anche la nostra, che ci ha permesso di tenere il mercato nonostante le difficoltà. Naturalmente il 2012 è ancora pieno di incertezze, ma la nostra strategia è quella di rispondere alla crisi proponendo nuove iniziative imprenditoriali». Oltre allo storico multibrand Eleonora, a Pure dedicato alla moda bambino, ai franchising Ermanno Scervino e Brunello Cucinelli – presente anche a Forte dei Marmi –, il gruppo Sermoneta ha recentemente portato a Roma anche Herve Leger. «Abbiamo preso – aggiunge Angelo Sermoneta – un intero isolato in Via Borgognona, tutti i negozi dell’Hotel D’Inghilterra dove realizzeremo le nuove boutique. Inoltre, stiamo perfezionando dei con-
Angelo ed Eleonora Sermoneta
È proprio in questo momento di difficoltà del mercato che bisogna prestare ancora più attenzione al servizio, alla gentilezza e alla proposta di novità
tratti in franchising con un grande marchio del cachemire e un grande marchio di dolciumi. Questa scelta di diversificare, sempre restando però all’interno del circuito del lusso, ha certamente una componente di immagine, ma contiamo che possa trasformarsi in un business. Anche perché crediamo che a Roma ci sia una richiesta di novità per quanto riguarda l’offerta di prodotti di fascia alta. Noi abbiamo sempre messo tutto il nostro coraggio nel seguire le strade non ancora praticate, dimostrando di saper anche anticipare le tendenze». Tutti i negozi del gruppo Sermoneta, anche quando fanno riferimento a marchi specifici, sono organizzati su una stessa idea di vendita. «La nostra filosofia – dice Sermoneta – è sempre stata quella di offrire non solo un prodotto, bensì un servizio, in modo da rendere preferibile per il consumatore la scelta della nostra boutique piuttosto che un’altra dove può trovare lo stesso prodotto. Ed è proprio in questo momento di difficoltà del mercato che bisogna prestare ancora più attenzione al ser-
vizio, alla gentilezza e alla proposta di novità». Questa strategia vale anche per la clientela straniera. Infatti, all’interno del tour del visitatore straniero è sempre più presente qualche tappa nei negozi delle grandi griffe italiane. «Nel complesso, il fatturato dei nostri negozi – prosegue Angelo Sermoneta – deriva per metà dalle vendite ai turisti e per metà dai clienti italiani – con punte anche del 60 per cento di italiani nel settore baby. La volontà di intercettare anche il consumo turistico ha dettato anche la nostra scelta dell’apertura di un franchising Brunello Cucinelli anche a Forte dei Marmi». L’esperienza di Angelo ed Eleonora Sermoneta è stata raccolta dai tre figli Massimiliano, Michèle e Alberto, che hanno scelto anche loro di inserirsi nel settore dell’abbigliamento di fascia alta, sia affiancando i genitori nei diversi punti vendita sia con store gestiti in autonomia, rilanciando così la tradizione di famiglia con una spinta in più verso l’innovazione e le nuove tendenze del mercato. LAZIO 2012 • DOSSIER • 127
Le imprese edili chiedono più tutele La ripresa del settore edile non può prescindere dal ruolo delle banche e dall’entrata in vigore di regole in grado di tutelare le imprese, sempre più in difficoltà nel riscuotere i crediti. Ne parla Amedeo Dell’Uomo Guido Puopolo
un quadro a tinte fosche quello dipinto dalla Cna di Roma nel suo notiziario trimestrale Eco – Economia, Costruzioni e Occupazioni, che analizza l’andamento del mercato delle costruzioni nel Lazio. La crisi del settore, infatti, non sembra intenzionata ad arrestarsi, se è vero che negli ultimi sei anni sono diminuiti gli investimenti (-22 per cento), le
È
Qui sopra i fratelli Amedeo, Giancarlo e Sisto Dell’Uomo, soci fondatori della Edil 2000 Fratelli Dell’Uomo Srl di Anagni (FR) - edil2000.delluomo@libero.it
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nuove volumetrie ultimate (-52 per cento) e le transazioni residenziali (-24 per cento), insieme alla percentuale di imprese attive nei cantieri (-13 per cento negli ultimi tre anni e mezzo). «La crisi in corso, però, non è mai stata, né di fatto né per definizione, una crisi di mercato. Questa nostra convinzione è motivata dal fatto che non sono mai cessate le visite ai cantieri da parte di potenziali acquirenti. Il problema è legato alla quasi totale impossibilità, per le persone, di accedere ai mutui indispensabili per l’acquisto di un immobile. Se gli istituti di credito non ricominceranno a sostenere le famiglie, sarà molto difficile poter vedere una ripresa del mercato». Ne è convinto Amedeo Del-
l’Uomo, amministratore della Edil 2000, azienda edile di Anagni da lui fondata insieme ai fratelli Giancarlo e Sisto nei primi anni Sessanta, e affermatasi come una delle realtà più importanti su scala regionale. Un altro enorme problema è rappresentato dalla difficoltà, per le imprese, di riscuotere i crediti spettanti. «Assolutamente. Da questo punto di vista la situazione sta diventando veramente insostenibile, soprattutto per le aziende di piccole dimensioni. Purtroppo spiace constatare come l’attuale legislazione in vigore, nonostante stabilisca la “responsabilità solidale” delle stazioni appaltanti nei confronti delle aziende incaricate di eseguire i lavori, difficilmente trova applicazione nella pratica».
Amedeo Dell’Uomo
INVESTIMENTI
-22% È QUANTO HA PERSO IL MERCATO EDILE LAZIALE NEGLI ULTIMI SEI ANNI SECONDO UN RECENTE RAPPORTO DELLA CNA DI ROMA
A cosa si riferisce? «Al fatto che la legge sembra tutelare di più i debitori rispetto ai creditori. I committenti, infatti, sono consapevoli che solo in casi estremi il creditore ha la possibilità di ricorrere a un’azione legale nei confronti dei debitori stessi, con un procedimento che il più delle volte è destinato a trascinarsi per anni. Questo però dà origine a un meccanismo perverso che si ripercuote su tutto il sistema, coinvolgendo a ruota, oltre all’appaltatore, anche gli eventuali subappaltatori a cui possono essere affidati specifici lavori. Le drammatiche conseguenze di questa situazione sono sotto gli occhi di tutti». Come fare allora per far fronte a questa situazione? «Dopo la manifestazione del 14 aprile 2012 “Stati Generali delle Costruzioni nella Provincia di Frosinone” Ance Frosinone, in collaborazione con le altre associazioni di categoria
della Provincia e con le organizzazioni sindacali, è riuscita a ottenere un tavolo di contrattazione con l’ABI regionale e i comuni del nostro territorio. L’obiettivo è quello di “responsabilizzare” proprio le banche, obbligandole a un maggior controllo nei confronti degli “immobiliaristi” e dei costruttori a cui concedono finanziamenti. Crediamo infatti che il credito debba essere concesso solo in presenza del rispetto di determinate condizioni, come già accade nel resto d’Europa. Per capirci, se una stazione appaltante riceve da una banca un “mutuo edilizio” per la realizzazione di un determinato intervento, la banca deve vigilare affinché questa somma di denaro venga utilizzata esclusivamente per pagare le opere eseguite da appaltatori e maestranze all’interno del cantiere in questione, e non per effettuare operazioni “speculative”, come invece spesso accade».
Quali risposte avete ottenuto? «Al momento abbiamo svolto solo un paio di incontri preliminari, ma le sensazioni sono buone. La speranza è che questa trattativa possa portare a una soluzione condivisa, che contribuisca al rilancio dell’intero comparto». Per quel che riguarda nello specifico l’attività di Edil 2000, quale bilancio è possibile trarre dagli ultimi dodici mesi di attività? «Pur con grandi sacrifici, siamo riusciti a mantenere la nostra posizione sul mercato, assicurando al contempo la massima puntualità nei pagamenti a fornitori e maestranze. Questa è una cosa di cui siamo orgogliosi, soprattutto in relazione alla situazione sopra descritta». Edil 2000, pur avendo raggiunto dimensioni piuttosto importanti, continua a caratterizzarsi per un’impostazione tipicamente familiare. Quale valore aggiunto credete LAZIO 2012 • DOSSIER • 129
EDILIZIA
possa garantirvi questo tipo di organizzazione nel vostro lavoro? «Siamo molto attaccati alla nostra “creatura”, che oggi si avvale anche dell’apporto delle nuove generazioni, tanto che difficilmente riusciremmo a trasmettere a terzi un tale sentimento. Al di là del lato affettivo, comunque, l’essere presenti in prima persona sul campo operativo, oltre che direzionale, fa si che la clientela possa avere risposte immediate alle proprie richieste, qualunque esse siano. Questo rappresenta un elemento importantissimo nel nostro lavoro, in quanto ci permette di risolvere in tempo reale tutte le eventuali problematiche che quotidianamente possono presentarsi in cantiere». Centrale, nella storia della vostra società, è l’attenzione riposta nei confronti delle nuove tecniche costruttive.
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Quali sono, attualmente, le evoluzioni più significative che meglio contribuiscono a una progressione del vostro operato? «Abbiamo sempre cercato di rimanere al passo con i cambiamenti che hanno caratterizzato il settore, e questo aspetto è stato fondamentale nella nostra crescita. Negli anni sono cambiate le modalità di lavorazione, le tecnologie e le attrezzature a disposizione, che hanno contribuito a migliorare non soltanto la qualità delle costruzioni ma anche la qualità del lavoro di chi ogni giorno calca il suolo dei cantieri. Grazie all’utilizzo di strumenti sempre all’avanguardia e all’industrializzazione di alcune lavorazioni siamo così riusciti a ridurre i costi aumentando la produzione, a tutto vantaggio dell’utente finale». A questo proposito, quanto investite annualmente nel rin-
novo dei mezzi e dei supporti tecnici? «Non abbiamo mai stanziato budget fissi da utilizzare per il rinnovo di mezzi, supporti tecnici o quant’altro. Diciamo che questi investimenti sono stati sempre sostenuti sulla base delle specifiche necessità del momento storico. Sicuramente abbiamo sempre dato importanza primaria a ciò che migliora la produttività». In particolare, oggi l’edilizia è chiamata a rispondere a importanti esigenze di risparmio energetico e riduzione dell’impatto ambientale. Quanta attenzione riponete a queste tematiche? «La qualità rappresenta la discriminante che deve caratterizzare i prodotti che oggi si propongono al mercato. Negli ultimi anni sono state affinate tecniche e metodologie che permettono di avere un risparmio energetico so-
Amedeo Dell’Uomo
Spiace constatare come l’attuale legislazione sembri tutelare di più i debitori rispetto ai creditori
stanziale, con enormi benefici non soltanto ambientali ma anche economici. Crediamo che il futuro delle costruzioni andrà inevitabilmente in questa direzione: di conseguenza è di primaria importanza recepire al meglio le normative in materia e, soprattutto applicarle in maniera maniacale. Questa è una delle peculiarità della Edil 2000, cosa che è sempre stata riconosciuta e premiata anche dal mercato». Molti attori del vostro settore spingono sulla necessità di rallentare il “nuovo” in favore di un’ampia opera di intervento per la rivalorizzazione e ristrutturazione dell’esistente. Qual è il suo punto di vista in merito? «Le nuove costruzioni garantiscono degli standard abitativi di gran lunga superiori rispetto a quelle realizzate nel passato, ol-
tre che, ancora più importante, delle strutture più avanzate e più sicure. La modernizzazione delle nostre città passa anche dai nuovi edifici. Non è un caso se la legislazione in vigore sia stata pensato per incentivare la demolizione di vecchi edifici e la ricostruzione di nuovi sul sito». A livello geografico su quali territori operate prevalentemente? «Il nostro raggio d’azione è stato sempre orientato verso le provincie di Frosinone e Latina, oltre che verso il mercato di Roma. In quest’ultimo quinquennio abbiamo però allargato gli orizzonti, prima con la realizzazione di alcune opere nella provincia de L’Aquila e successivamente a Milano». Su quali progetti siete impegnati al momento? «Nell’ultimo periodo abbiamo dato inizio alla costruzione di edifici residenziali di proprietà
del gruppo, dove applicheremo al meglio le ultime normative in materia antisismica e di risparmio energetico. Altrettanto importante, in un’ottica di ulteriore miglioramento delle nostre performance, è stata la realizzazione della nuova sede aziendale, oggi racchiusa all’interno di struttura moderna e adeguata alle nostre mutate esigenze produttive». Quali sono gli obiettivi per il prossimo futuro della Edil 2000? «L’imperativo è quello di continuare a essere presenti in maniera strutturata sul mercato. Come ribadito in precedenza, inoltre, lavoriamo per cercare di sensibilizzare, nel nostro piccolo, le associazioni di settore sulla necessità di avere una legislazione che regolamenti i rapporti economici tra le parti, perché solo così l’edilizia potrà tornare a crescere». LAZIO 2012 • DOSSIER • 131
EDILIZIA
Come cambia l’edilizia nell’hinterland della capitale Costruzioni Barletta coniuga da più di cinquant’anni materiali e ricerca estetica. Cercando sempre di integrare l’abitazione nel paesaggio. Anche perché «costruire bene e costruire male costa la stessa cifra». Ne parliamo con Paolo Barletta Nicoletta Bucciarelli
«C
he non sia un momento facile è chiaro a tutti». Paolo Barletta, oggi a capo della storica impresa romana Costruzioni Barletta, che da oltre cinquant’anni si occupa di edilizia, introduce deciso la situazione generale in cui verte il settore. «Purtroppo stiamo attraversando un momento di particolare crisi dovuto soprattutto al terrorismo mediatico che ogni giorno ci affligge». Il mattone infatti, secondo Barletta, ha da sempre costituito un rifugio sicuro. «Le svalutazioni momentanee non hanno mai predominato e la curva immobiliare ha continuato e continuerà la sua salita. Oggi più che in altri momenti valgono le due regole fondamentali di questo lavoro: location e taglio. Di case in location strategiche ci sarà sempre bisogno e nessuno 132 • DOSSIER • LAZIO 2012
vorrà mai farne a meno. Comprare in una buona zona garantisce l’investimento. In secondo luogo la casa grande ha meno mercato. Difficile da acquistare se si tratta d’investimento e di più difficile gestione se si tratta della propria abitazione. Come gruppo non possiamo segnalare un andamento negativo, anzi, le operazioni che abbiamo in corso di realizzazione o vendita riscontrano un alto interesse e i nostri listini non hanno subito tagli». I servizi che vengono offerti riguardano piuttosto l’assistenza finanziaria «per far si che si possa stare tranquilli e vendere senza fretta e senza deprezzare i propri immobili». Quando Raffaele Barletta, iniziò l’avventura imprenditoriale, le grandi città e le periferie, erano nel pieno dello sviluppo. «Noi, - prosegue il figlio Paolo -, siamo stati da subito presenti nel capoluogo
laziale e nell’hinterland della capitale anche se il gruppo lavorava in tutta Italia con cantieri aperti in Toscana, Basilicata, Calabria e Puglia. Con l’espansione del mercato abbiamo radicato parte della nostra presenza nella provincia di Latina consegnando oltre 2700 appartamenti. Iniziando la costruzione di nuovi quartieri che oggi hanno espanso i loro confini. Anche questa, secondo me, è stata la lungimiranza di mio padre». Gli interventi realizzati da Costruzioni Barletta sono molteplici. «I Palazzi Barletta, a Latina, sono forse una delle opere più conosciute nel capoluogo pontino. Punto di riferimento per Latina e provincia, i Palazzi Barletta del 1969, si ergono in via Isonzo. Uno dei primi esempi di architettura residenziale dall’altezza oltre il limite conosciuto al tempo. Tutt’oggi portano questo nome. Un altro esem-
Paolo Barletta
ALLOGGI
2700 SONO GLI APPARTAMENTI CONSEGNATI DA COSTRUZIONI BARLETTA NEL LAZIO
pio realizzato da Costruzioni Barletta sorge invece in una delle cornici più belle e importanti dei Castelli Romani; si tratta del complesso residenziale “Borgo San Rocco, 33” a Frascati, 24 lussuosi appartamenti che coniugano all’innovazione tecnologica la fisionomia storica propria di un quartiere antico. Recuperare edifici abbattuti durante la seconda guerra mondiale e terminare un progetto di recupero iniziato negli anni 60 è stata una sfida. Un ulteriore esempio di edificio che si sposa con il paesaggio è l’intervento che abbiamo effettuato in Via Cupa, ad Anzio; un interessante progetto di recupero nel cuore di una delle città costiere più glamour e affascinanti della nostra re-
In apertura, Paolo Barletta, titolare del Gruppo Barletta di Roma - www.costruzionibarletta.com
gione. Il palazzo rende omaggio al sontuoso movimento delle onde del mare grazie alle sue forme sinuose. I balconi a sbalzo permettono un contatto con il paesaggio marino, visibile da ogni lato del palazzo e, affacciandosi da uno dei balconi, si ha la sensazione di non avere solo una casa al mare, ma la casa nel mare». La costruzione è cambiata molto nel corso degli anni. «Oggi anche grazie a molte leggi che hanno regolamentato un mercato un po’ selvaggio, il risparmio energetico, i materiali eco sostenibili
e l’antisismica sono realtà diffuse. Il cartongesso rinforzato e le nuove coibentazioni permettono l’edificazione di strutture snelle, modulari, esteticamente piacevoli e soprattutto i tempi di realizzazione sono molto più contenuti. La conquista più importante però è proprio sul risparmio energetico e l’antisismica». Trasformazioni che in ogni caso hanno interessato anche il lato estetico. «I casermoni che a volte si vedono nelle città degradano più di altri fattori. - Spiega Paolo Barletta -. Mio padre LAZIO 2012 • DOSSIER • 133
EDILIZIA
I 24 lussuosi appartamenti del complesso “Borgo San Rocco, 33” a Frascati coniugano all’innovazione tecnologica la fisionomia storica propria di un quartiere antico
ha sempre sostenuto che co- «Anche se rimane sempre il nostruire bene e costruire male costa la stessa cifra. La progettazione è uno step importantissimo ma molti costruttori lo danno per scontato. Aggraziare un fabbricato è molto semplice. È sufficiente il movimento di finestre o balconi e qualche elemento estetico come le fioriere o la cortina». L’elemento più importante resta la vivibilità degli spazi. «Oggi grazie ai nuovi materiali è possibile realizzare strutture modulari che sfruttino al meglio ogni spazio. Elementi irrinunciabili sono camere vivibili, tanta luminosità e balconi ampi e spaziosi. La casa non deve per forza essere grande, ma quando si abita non deve sembrare piccola». Costruzioni Barletta non si occupa solo di edilizia residenziale.
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stro core business. – Precisa Barletta - Oggi il gruppo oltre all’attività edilizia è presente nel settore turistico ricettivo, un grande valore aggiunto di questo paese e purtroppo, per la miopia della classe politica, un enorme serbatoio quasi del tutto inutilizzato». L’azienda di costruzioni è anche molto impegnata sotto “l’aspetto sociale”. «Nel corso degli anni sono state realizzate aule scolastiche, chiese poi interamente donate alle amministrazioni o alle attività ecclesiastiche. Abbiamo contribuito alla realizzazione di opere caritatevoli che hanno permesso lo sviluppo di aree degradate o emarginate. Inoltre siamo in prima linea per contribuire alle spese di ricerca medica contro il cancro e la fibrosi cistica. L’infanzia e la cul-
tura sono inoltre attività che spesso contribuiamo a supportare. Il sociale, in ogni caso, è anche l’aiuto diretto del territorio. In ogni nostro intervento abbiamo imparato a entrare in simbiosi con le comunità che ci ospitano. È per questa ragione che cerchiamo di assumere lavoratori del luogo e di lavorare con le aziende e i fornitori di zona supportando così i territori a noi limitrofi. Se ognuno contribuisse a migliorare i 50 metri intorno a lui la nostra società potrebbe quasi essere autosufficiente». La fiducia che viene riposta dai committenti continua ad essere per Costruzioni Barletta fondamentale. «Una fiducia, - conclude paolo Barletta -, che non deve mai essere data per scontata. Nei momenti di euforia è facile definirsi costruttori o “immobiliaristi”, ma poter superare le difficoltà che anche in questo campo spesso accadono è forse la miglior gratificazione e testimonianza che la serietà e il duro lavoro pagano».
EDILIZIA
Bilanci e prospettive per l’edilizia capitolina Mentre decrescono gli investimenti nelle costruzioni, cresce l’attenzione delle imprese nel selezionare i progetti in base alla solidità finanziaria e alle garanzie di pagamento dei committenti. Domenico Martino traccia un quadro del mondo del mattone a Roma e nel Lazio. Un settore in crisi, ma con imprese capaci di reagire Luca Cavera
Ance Lazio ha reso pubblici gli ultimi dati sugli investimenti nel settore delle costruzioni. Nel 2011 il totale degli investimenti in regione è stato di 11 miliardi e 856 milioni di euro. A confronto con il 2007, incipit dell’attuale situazione di crisi, il calo, al
L’
Domenico Martino, amministratore della Stiledile Srl di Roma stiledilesrl@gmail.com
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netto dell’inflazione, è stato del 19,4 per cento. E le stime realizzate dal Cresme per il 2012 prospettano un anno ancora al ribasso, con una contrazione del 3,8 per cento, quasi doppia di quella stimata a livello nazionale. La scarsità di risorse finanziarie ha portato alla chiusura molte imprese. A dicembre 2011 nelle Casse edili laziali erano iscritte il 10 per cento in meno di imprese rispetto al 2010: ciò vuol dire che in un anno 1.200 aziende sono uscite dal mercato. Come lo affrontano quelle che hanno avuto la forza di resistere e come stanno reagendo? Ne parliamo con Domenico Martino, amministratore della Stiledile, una giovane impresa di fornitura di ceramiche e materiali edili che Martino gestisce insieme al socio Aulo Micheli. Com’è cambiato l’approccio nei confronti del mercato
e quali sono stati i risultati dell’ultimo biennio? «Siamo riusciti ad acquisire quote di mercato importanti. Ma soprattutto abbiamo realizzato quello che era il nostro progetto iniziale: creare un’azienda nel settore del commercio edile e ceramico che potesse rappresentare un punto di riferimento per il territorio di Roma Nord. Tuttavia, anche noi abbiamo risentito della crisi. Per cercare di limitare al minimo i danni, la nostra strategia è stata quella di porre una maggiore attenzione al sistema di pagamento del committente e alla sua solidità finanziaria. Il settore delle costruzioni, per sua natura, è sempre stato caratterizzato da tempi di pagamento con scadenze molto lunghe. Oggi però non è più possibile fare “salti nel buio” ed è necessario avere delle garanzie sui pagamenti futuri. Purtroppo
Domenico Martino
veniamo da una tradizione in cui i tempi lunghi per il saldo dei crediti erano considerati la norma e forse sarebbe necessario introdurre delle regole certe per riuscire a invertire questa che si è rivelata un’abitudine disastrosa per l’esistenza di molte aziende». La vostra azienda quindi ha un forte radicamento territoriale. C’è spazio anche per l’export? «Recentemente abbiamo effettuato delle forniture e poi eseguito delle realizzazioni importanti sia fuori dalla nostra regione che fuori dai confini nazionali. Abbiamo lavorato a Trieste e Udine per la realizzazione di complessi residenziali caratterizzati da uno stile più ricercato ri-
spetto a quello delle classiche costruzioni. Inoltre, abbiamo fatto delle forniture anche in Austria, per la ristrutturazione completa di un albergo importante, lavoro per il quale abbiamo effettuato la fornitura completa. Sul nostro fatturato l’export rappresenta una quota del 5-6 per cento, quindi certamente non determinante. Però consideriamo con attenzione l’interesse mostrato dal mercato russo e dai mercati dell’Est europeo per la ceramica di lavorazione italiana». A questo proposito, con quali criteri selezionate i vostri fornitori per le ceramiche? «Dal punto di vista della
Intendiamo potenziare la nostra offerta per il settore dei materiali edili, cercando di completare l’intera gamma dei prodotti richiesti dal mercato
qualità del prodotto cerchiamo di mantenerci su un livello medio-alto. Oltre a questo però siamo molto selettivi anche sotto il profilo della serietà e delle garanzie che ci offre ogni fornitore. Cerchiamo di sviluppare accordi che permettano una lavorabilità sul campo, soprattutto perché i margini in
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EDILIZIA
questo settore sono sempre rami dell’azienda e creare grandi: quella di avere un più ristretti e quindi l’atteggiamento del fornitore è fondamentale». Verso quale direzione si orienteranno i vostri prossimi sforzi e investimenti? «Stiamo curando una riorganizzazione della nostra società, per avere una struttura più flessibile e capace di adattarsi all’attuale scenario di mercato. Abbiamo anche deciso di suddividere i diversi
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delle sotto-società, in modo da raggiungere un maggior controllo dei nostri settori di vendita. Inoltre intendiamo potenziare la nostra offerta per il settore dei materiali edili, cercando di completare l’intera gamma dei prodotti richiesti dal mercato. Questa scelta è dettata da una domanda emergente nel nostro target di riferimento, che è quello delle imprese medio-
unico fornitore per tutte le tipologie di materiale. Per questo, oltre alla parte di prodotto grezzo, stiamo acquisendo, per esempio, i prodotti per le finiture, le pitture, l’idraulica». Quali sono le altre esigenze del mercato attuale? «Oltre al fatto che moltissime aziende cercando di avere un fornitore unico, per acquisire maggiori quote di mercato – dato che la competizione è altissima e i margini sono bassissimi – non è possibile limitarsi all’ampiezza di gamma. Bisogna puntare anche al servizio, alla tempistica nelle consegne e in generale a un trattamento che appaghi il cliente anche al di là della qualità del prodotto che gli forniamo e al rapporto migliore fra qualità e prezzo». Oggi c’è una crescente attenzione sulla scelta di materiali con un basso impatto
Domenico Martino
ambientale. Che riscontri hanno sul mercato queste tendenze che animano l’opinione pubblica? «In seguito all’introduzione delle nuove normative che regolano i materiali sotto il profilo del rispetto ambientale, la nostra azienda si è messa subito al passo, cercando prima di tutto di informarsi, seguendo anche dei corsi formativi presso i nostri fornitori, in modo da poter mettere a disposizione dei committenti una competenza strutturata nel momento della scelta della soluzione migliore. Purtroppo negli ultimi anni a pesare nelle scelte dei materiali sono state soprattutto le esigenze economiche». Facendo una riflessione sulla capitale, dal suo punto di vista, quali sono le prospettive per il mercato delle costruzioni nei prossimi mesi? «Certamente per quanto riguarda le nuove edificazioni esistono pochissime possibilità, dato che sotto questo profilo il mercato è fermo da moltissimo tempo. Inoltre, all’interno delle recenti realizzazioni esiste una consistente quota di invenduto, che ha contribuito a mettere in difficoltà le imprese che
A sostenere il mercato, a Roma, restano le ristrutturazioni, che infatti rappresentano la parte maggiore del nostro fatturato
vi avevano investito. In assenza di un atteggiamento diverso da parte delle banche, non solo nel fornire credito alle imprese, ma anche a erogare mutui alle famiglie che intendono acquistare casa, difficilmente sarà possibile rimettere in moto la parte del residenziale. A sostenere il mercato, a Roma, restano le ristrutturazioni, che infatti rappresentano la parte maggiore del nostro fatturato». Al di là di quello che ci si auspica faranno le istituzioni per risollevare un settore strategico come quello dell’edilizia, quali sono gli strumenti sui quali le imprese potrebbero fare leva per atte-
nuare gli effetti della crisi? «Uno dei nostri problemi, se non il principale, è la mancanza di relazione. Naturalmente le imprese fra loro si guardano come competitor, ma questo non dovrebbe impedire di parlarci, scambiarci delle idee e delle opinioni su quelli che sono, di fatto, dei problemi comuni. Bisognerebbe fare più sistema fra le imprese. Certamente questo ci permetterebbe anche di avanzare maggiori richieste a chi ci governa, dimostrando che non siamo solo dei questuanti, bensì dei soggetti attivi dell’economia che sanno fare la prima mossa e non attendono immobili di essere “salvati” dallo Stato».
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TURISMO
Stranieri, calano arrivi e spesa L’Osservatorio della Banca d’Italia evidenzia un calo della spesa turistica di italiani e stranieri nel primo trimestre 2012. Per rilanciarla, serve pianificare e incentivare l’intera offerta nazionale Teresa Bellemo
nche il turismo, come tutti i settori economici, nel 2012 mostra il fianco. Uno degli asset del nostro Paese che dovrebbe essere una delle risorse principali, paga la contrazione dei consumi e delle disponibilità economiche delle famiglie. In questo è evidente non soltanto la riduzione del turismo nostrano, ma anche di quello estero, che ha ridotto notevolmente la sua disponibilità nella spesa. L’indagine campionaria mensile sul turismo internazionale italiano, condotta dalla Banca d’Italia, ha infatti rilevato per il mese di marzo 2012 un saldo netto positivo di 535 milioni di euro ma in calo di circa il 20% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Escludendo i mesi di febbraio e dicembre 2011, le entrate da turismo internazionale nel nostro Paese non avevano mai subito cali chiudendo comunque l’anno con un
A
In alto, Fortunato Giovannoni, presidente di Fiavet, la federazione che unisce le associazioni delle imprese viaggi e turismo
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buon risultato (+5,6%). La diminuzione è appunto riconducibile al calo della spesa sostenuta dai viaggiatori stranieri in visita nel nostro Paese che, nel mese di marzo, ha fatto registrare una diminuzione del 7,7% rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Le difficoltà economiche e un clima non proprio favorevole hanno penalizzato le imprese ricettive italiane nel corso del primo trimestre 2012, come sottolinea Fortunato Giovannoni, presidente di Fiavet. Le potenzialità del nostro patrimonio turistico sono enormi, ma risentono delle scarse capacità di pianificazione a livello organico e della situazione lacunosa delle infrastrutture, soprattutto nel sud Italia, che rende complesso raggiungere alcune destinazioni turistiche. Qual è la situazione del turismo in Italia? «Il settore sta attraversando un momento di difficoltà.
Registriamo infatti diminuzioni significative degli arrivi, con picchi in alcune destinazioni dove, a causa di altri fattori contingenti, il calo raggiunge numeri a doppia cifra. Altre località, invece, soffrono meno soprattutto grazie ai flussi turistici provenienti dall’estero. Infatti, è il turismo interno che, in questa fase, registra la maggiore contrazione». L’Italia è riconosciuta da tutto il mondo come uno dei paesi con il patrimonio culturale, storico e artistico più importante. Nonostante ciò, risulta al quarto posto dei paesi più visitati del 2011, preceduta da Francia, Usa e Spagna. Come mai? «Oggi il turismo è cambiato e il turista è un viaggiatore consapevole, che sceglie una destinazione in base non solo alle sue bellezze storiche, artistiche o naturalistiche ma anche in base ad altri elementi importanti, come l’ac-
Fortunato Giovanoni
cessibilità, la qualità dei servizi, un giusto rapporto qualità-prezzo. Purtroppo l’Italia paga il dazio di alcune carenze, come la difficile accessibilità di alcune destinazioni, soprattutto del Meridione d’Italia e nelle isole, la mancanza di politiche di incentivazione del turismo, come quelle per favorire la destagionalizzazione o i Buoni vacanza, infine una politica di promozione del territorio frammentata». Quali sono le iniziative di Fiavet per rendere l’Italia più competitiva nel mercato turistico internazionale? «Fiavet sta lavorando attivamente insieme alle altre associazioni di categoria di agenzie di viaggio e tour operator europei ed internazionali per stringere accordi di collaborazione, al fine di promuovere le destinazioni
Oggi i viaggiatori sono alla ricerca di un migliore rapporto qualità-prezzo ed emerge la diminuzione dei giorni di permanenza e la concentrazione delle vacanze in un unico viaggio
italiane presso gli operatori esteri. Inoltre, sta sviluppando i rapporti anche con gli enti del turismo esteri: l’ente del turismo croato e quello tunisino hanno già confermato la loro adesione in qualità di membri aggregati alla nostra Federazione e anche l’ente del turismo messicano farà richiesta a breve di ammissione». Quali sono i principali punti di sofferenza per il comparto turistico italiano? «I trasporti rappresentano uno degli elementi di maggiore criticità. Ma a ciò si aggiunge anche, soprattutto in alcune destinazioni turistiche, un rapporto qualitàprezzo meno vantaggioso di
quello di altre destinazioni del Mediterraneo, anche a causa di una politica fiscale che non agevola il contenimento dei costi da parte degli operatori». Come è cambiato l’identikit del turista italiano ed estero a causa della crisi economica? «I viaggiatori sono oggi alla ricerca di un migliore rapporto qualità-prezzo. Inoltre, emerge la diminuzione dei giorni di permanenza: prima, oltre al periodo di vacanza principale, venivano fatte più vacanze, anche brevi, nel corso dell’anno; oggi, a causa della minore disponibilità economica, ci si sposta molto meno». LAZIO 2012 • DOSSIER • 153
TURISMO
Lazio, museo a cielo aperto da scoprire Numeri da record ma tempi di permanenza ridotti. È tentando di coinvolgere l’intera regione che l’assessorato al turismo intende offrire un prodotto che non significhi solo Roma, ma che sfrutti tutte le potenzialità del territorio Teresa Bellemo
ettere insieme competenze e capacità. È questa la soluzione per rilanciare il turismo in tutto il Lazio. Troppo spesso, infatti, chi arriva nella regione si ritrova a conoscere e visitare soltanto Roma, che con i suoi oltre 28 milioni di presenze nel 2011 è stata la dodicesima città più visitata al mondo. Per quanto riguarda l’andamento dei flussi turistici, da gennaio a novembre 2011 la nazionalità che più è cresciuta è quella brasiliana (+18,20 per cento), seguita dalla russa con +17,33 per cento, e da quella cinese con +13,24 per cento. Su questi valori l’assessorato regionale al turismo cerca di coinvolgere i visitatori della città eterna in un’esperienza
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Sopra, Stefano Zappalà, assessore al Turismo della Regione Lazio
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d’insieme che tenga conto di tutte le attrattive presenti nella regione. La creazione del sito e del marchio “Il mio Lazio” punta proprio a questa finalità: mettere insieme le varie attrattive, che spaziano dal mare alla montagna, fino ai siti culturali e artistici, in modo da unire anche le strutture ricettive, dando un’offerta completa al visitatore. Dopo la chiusura delle Apt di competenza provinciale, è stata la Regione a gestire l’aspetto turistico del Lazio, grazie alla struttura dell’Agenzia regionale del turismo. A questo proposito l’assessore al turismo Stefano Zappalà esprime la sua soddisfazione: «C’è stata una fase iniziale difficile, ma oggi l’Agenzia sta entrando nel pieno delle sue
azioni, ed è ormai totalmente operativa». Qual è la situazione del turismo regionale? «Il Lazio è, come ho detto sempre, un museo a cielo aperto, un bellissimo museo che si conosce poco, che non aveva mai avuto una sua identità. Noi abbiamo cercato di creare un’immagine del Lazio come un valore aggiunto rispetto a Roma. Il marchio “Il mio Lazio” con il logo che ha stilizzato l’acquedotto romano è la visualizzazione di questo concetto: Roma ha bisogno delle risorse del Lazio e il Lazio ha Roma come riferimento. Su questo abbiamo lavorato in questi mesi e i risultati ci sono. Nella nostra regione sono cresciuti sia gli arrivi sia le presenze, ma dobbiamo fare ancora molto. Il
Stefano Zappalà
turismo è la vera grande industria del Lazio. Non basta avere bellezze uniche, ai turisti dobbiamo offrire qualità della vita e servizi». Si può parlare di turismo a due velocità tra Roma e il resto della regione? «Roma è una grande capitale europea, capitale di due stati, ma ha bisogno della regione che gli sta intorno. Abbiamo tanti visitatori a Roma, ma ci rimangono poco. Dobbiamo allungare i tempi di permanenza e per far questo dobbiamo proporre ai nostri ospiti la ricchezza ambientale, culturale e ricreativa del Lazio. Non vedo le due velocità, vedo le opportunità dell’integrazione dell’offerta turistica. Del resto le nuove opportunità turistiche vengono da iniziative come la nuvola di Fuksas, dall’acquario di Roma, ma anche dal parco tematico di Valmontone, da quello sul cinema a Castel Romano, dallo Zoomarine. Il Lazio sta crescendo nel suo insieme». Quali possono essere le modalità per rilanciare un turismo più omogeneo? «Dobbiamo promuovere il Lazio, lo dobbiamo fare in maniera innovativa: abbiamo attivato un portale (ilmiola-
Il Lazio è, come ho detto sempre, un bellissimo museo che si conosce poco, che non aveva mai avuto una sua identità
zio.it) che ha registrato, in meno di un anno di lavoro effettivo, oltre 700mila accessi. Abbiamo cercato di puntare su mercati in forte crescita come la Cina e per fare questo abbiamo pianificato educational tour per far conoscere la regione anche a giornalisti e operatori internazionali. Ci rendiamo conto che dobbiamo investire anche nella qualità dei servizi, per questo abbiamo sostenuto investimenti che migliorassero l’offerta alberghiera e la formazione. Sfide importanti, sfide che stiamo portando avanti di concerto con gli operatori». Come state gestito il Pua, il piano di utilizzo degli arenili regionale? «Il Pua regionale, considerata la sua importanza, è stato ab-
biamo redatto consultandoci con circa 600 operatori del settore ed è stato oggetto di un lavoro complesso durato circa due anni; la Giunta lo ha approvato da tempo ed è in attesa di essere discusso in Consiglio regionale». Quali sono le finalità della Carta del turista? «Trasparenza e attenzione per gli ospiti. Un tempo si diceva che l’ospite è sacro, noi nella carta abbiamo messo per iscritto la nostra cortesia, il suo rispetto. La Carta del turista è una sfida di qualità per il sistema Lazio. Noi mettiamo nero su bianco i diritti dei turisti e ci impegniamo a rispettarli. Crediamo che la sfida nella competizione turistica mondiale sarà tutta giocata sulla qualità, e noi siamo pronti ad accettarla». LAZIO 2012 • DOSSIER • 155
Eliminare l’amianto è una priorità Liberare il territorio laziale dall’amianto sarà un’impresa “titanica”, viste le enormi quantità di questo materiale ancora presenti. Gli operatori del settore, però, sono pronti alla sfida. Ne parliamo con Sara Borsoi della Ecoservizi Diego Bandini
vent’anni esatti dalla sua messa al bando, l’amianto continua a rappresentare una seria minaccia per la salute delle persone. Basti pensare che, secondo quanto emerso dal dossier presentato lo scorso maggio a conclusione della “Campagna di Educazione e Sensibilizzazione alla Legalità Ambientale”, organizzata dall’Osservatorio Ambiente e Legalità di Legambiente Lazio, solo in questa regione sono ancora presenti tra le 360.000 e le 700.000 tonnellate di tetti e coperture in cemento-amianto. «L’amianto si può trovare praticamente ovunque, dalle tettoie ai serbatoi idrici, dalle guarni-
A Nella pagina a fianco, Sara Borsoi, legale rappresentante della Ecoservizi Srl di Pontinia (LT) eco.servizisrl@tiscali.it
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zioni delle flange ai discendenti. Diciamo che, per chi opera nel campo della bonifica, il lavoro non manca». A parlare è Sara Borsoi, legale rappresentante della Ecoservizi Srl, società di Pontinia specializzata nella fornitura di tecnologie, servizi e materiali innovativi per la tutela dell’ambiente, la minimizzazione della produzione di rifiuti e per lo smaltimento a norma di legge. E infatti il core business di Ecoservizi è rappresentato proprio dalle bonifiche di siti contenenti amianto. Quali sono i rischi a cui è ancora esposta la popolazione? «Bisogna distinguere tra amianto compatto e friabile. Il
primo, utilizzato principalmente per ricoprire tettoie e grandi superfici, ha una notevole resistenza, ma diventa pericoloso se non viene mantenuto in un ottimo stato di conservazione. Molto più “subdolo”, invece, risulta essere l’amianto friabile, che per la sua particolare composizione ha una maggiore tendenza a frantumarsi e a disperdere quindi le sue fibre nell’ambiente». Quanto sono importanti nel vostro lavoro la formazione e l’aggiornamento, anche da un punto di vista normativo, e quale politica è stata adottata da Ecoservizi a questo proposito? «La normativa è in continua
Sara Borsoi
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L’amianto friabile, per la sua particolare composizione, ha una maggiore tendenza a frantumarsi e a disperdere le sue fibre nell’ambiente
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evoluzione, ed è quindi fondamentale riuscire a rimanere al passo con questi cambiamenti. Per quel che ci riguarda operiamo a stretto contatto con diverse società del settore, che periodicamente ci aggiornano sulle novità legislative e ci consigliano sui corsi di formazione più idonei per il nostro personale dipendente, che deve essere messo in condizione di lavorare in piena sicurezza». Quali sono soprattutto le realtà che richiedono i vostri servizi? «Collaboriamo con privati, aziende ed enti pubblici, ubicati principalmente al centro sud, anche se siamo in grado di intervenire su tutto il territorio nazionale. Siamo dotati di tutte le certificazioni del caso, e in questi anni hanno usufruito dei nostri servizi, tra gli altri, il Ministero della Difesa, il Comune di Roma, la Guardia di Finanza, Ama Spa e la CMC Cooperativa Muratori e Cementisti di Ravenna». Ecoservizi tra le sue attività effettua anche il trasporto di rifiuti speciali ed è quindi direttamente coinvolta dall’en-
trata in vigore del Sistri, il nuovo Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti che dovrebbe permettere un contrasto più efficace alle cosiddette “ecomafie”. Come la vostra azienda si sta preparando all’utilizzo del Sistri? «Dopo una lunga fase di incertezza, iniziata tre anni fa e caratterizzata da proroghe, pareri, annunci, test e tante ore di vano lavoro, proprio di recente il Ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera ha annunciato la sospensione del Sistri. La decisione è stata presa dal Governo per consentire ulteriori verifiche sulla reale funzionalità di questo sistema, messa ora in discussione anche dalla Digitpa (Ente nazionale per la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione) al quale il Ministero dell’Ambiente, allora sotto la guida di Stefania Prestigiacomo, si era rivolto per un parere tecnico. Attendiamo quindi di vedere come evolverà la situazione, anche se al momento non è stato ancora possibile valutare “sul campo” l’effettiva funzionalità del nuovo sistema».
Quale bilancio può trarre dall’ultimo anno di attività e quali saranno i prossimi obiettivi di Ecoservizi? «Non possiamo negare che la crisi si sia fatta sentire. Ecoservizi è però una società solida, e grazie anche al lavoro portato avanti dal nostro direttore tecnico, Antonio Mascaro, siamo riusciti a consolidare la nostra posizione sul mercato. Oggi possiamo così guardare al futuro con ottimismo, con l’obiettivo di offrire un servizio sempre più all’avanguardia, a tutela delle persone e della loro salute». LAZIO 2012 • DOSSIER • 159
DIRITTO PENALE
Occorrono processi più equi e veloci
ono molti i casi giudiziari le cui sentenze hanno spesso messo in dubbio l’efficacia delle pene del nostro ordinamento. E non sono in pochi a pensare che la durata media delle condanne è ben di- «Quando i politici parlano di inasprire le pene vuol stante dalle massime punizioni previste dal codire che non hanno approfondito i problemi». dice per quei reati. «Il problema – spiega l’avvocato Nino Marazzita – consiste nel fatto che Nino Marazzita, ripercorrendo la sua carriera, spiega non sono coordinate tutte le norme che riguarcome è cambiata la giustizia penale nel nostro paese dano il momento di espiazione della pena e di Nicolò Mulas Marcello reintegro nella società civile». Esistono secondo lei norme inadeguate nel nostro ordinamento per quanto riguarda le pene? «Sicuramente è così, anche perché il nostro codice penale, ovvero il Codice Rocco, ha ormai 70 anni di vita. Inoltre, il nuovo codice di procedura penale che ha introdotto i riti alternativi, L’avvocato Nino Marazzita quindi la possibilità di riduzione di un terzo o il patteggiamento, anche esso offre pene inadeguate. Proprio a tal proposito il legislatore non si era accorto che con la riduzione di un terzo della pena dell’ergastolo si eliminava proprio l’ergastolo, quindi in concreto chi veniva condannato all’ergastolo avrebbe automaticamente visto la propria pena scendere a 30 anni di carcere. Questo è un atto di illegittimità costituzionale. Si sono dovuti trovare poi vari espedienti per limitare l’utilizzo del rito abbreviato». Spesso in ambito penale si parla di inasprimento della pena. Ma è veramente indispensabile renderla più dura o talvolta basterebbe solo la certezza della pena? «Quando i politici parlano di inasprire le pene vuol dire che non hanno approfondito i problemi. L’inasprimento della pena tradotto in termini di ragionevolezza legislativa e normativa significa fare processi equi e veloci. Il problema consiste nel fatto che non sono coordinate tutte le norme che riguardano il momento di espiazione della pena e di reintegro nella società civile. In Italia non funzionano quei meccanismi che dovrebbero far sì che chi ha commesso un reato poi si redima. Per questo la gente sente il
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Nino Marazzita
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Tutti quei meccanismi che dovrebbero far sì che chi ha commesso un reato poi si redima non funzionano
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bisogno di una pena inasprita. A Roma negli anni 70 si è verificata una serie di sequestri di persona. In particolare, ci fu un caso di sequestro di un industriale del caffè, questa persona fu uccisa immediatamente ma fu conservata in una cella frigorifera dai suoi aguzzini allo scopo di effettuare successive foto facendo credere che l’uomo fosse ancora vivo. Allora il legislatore non inasprì le pene ma le ridusse a due livelli: impunità a chi si pentiva nel corso del sequestro e faceva in modo che l’ostaggio si salvasse e venissero arrestati i colpevoli. E poi una pena non molto elevata a chi contribuiva a scoprire il meccanismo di fondo del sequestro. Ebbene il reato di sequestro di persona negli anni 70 a Roma fu praticamente vanificato». Nella sua carriera lei ha difeso vari serial killer. Qual è in questi casi il ruolo dell’avvocato? Può raccontare un caso che le è rimasto impresso?
«Io ho affrontato molti casi di questo tipo, Donato Bilancia, Michele Profeta e Alivebi Hasani, il pastore macedone noto come il mostro della Maiella. Non mi faccio condizionare emotivamente dal caso, ma mi interessa molto indagare nella mente di queste persone che hanno avuto dei comportamenti terrificanti. Per esempio scoprii con molto stupore che Bilancia sveniva alla vista del sangue. Ma il caso che mi è rimasto più impresso è quello di Alivebi Hasani perché quando andai a trovarlo in carcere non potevo chiedergli niente perché non rispondeva, era disarticolato e non si capiva. Anche al processo non riusciva a esprimersi. Dopo due mesi di carcere, tornai a trovarlo ed è stato come se quell’ambiente gli avesse conferito una connotazione di civiltà che prima non aveva. Il reato era terribile, aveva violentato due ragazze e poi le aveva uccise, e una terza ragazza era sfuggita al tentativo. Io difendo l’uomo e non il reato, e ho capito che quest’uomo non aveva potuto acquisire una coscienza». Nella sua esperienza quali sono i processi più eclatanti che secondo lei possono essere stati condizionati dall’ingerenza dei media? «Personalmente direi il caso del mostro di Firenze. Io ho difeso Pacciani in secondo grado e poi è stato assolto, ma il condizionamento è avvenuto successivamente, ovvero quando si sono seguite le varie piste. Questo delitto non doveva restare impunito e si doveva trovare a ogni costo un colpevole. In quel caso il paradosso è che sono stati condannati gli esecutori mentre i loro mandanti sono stati tutti assolti. Un altro processo condizionato dai media, al quale però non ho partecipato come legale, è stato quello dell’omicidio di Marta Russo, a mio avviso Ferraro e Scattone non c’entrano niente con l’omicidio ma l’accanimento mediatico ha condizionato la vicenda processuale». LAZIO 2012 • DOSSIER • 163
DIRITTO PENALE
Il fascino della cronaca nera pesso la realtà supera la finzione e proprio a essa Gianluca Arrighi, avvocato del Foro di Roma, si è ispirato per romanzare i casi giudiziari che hanno contraddistinto la sua carriera. Un modo per svelare il lato umano degli imputati: «Nei casi giudiziari che ho seguito – spiega Arrighi – gli imputati erano spesso personaggi straordinari e rappresentativi della più varia umanità capitolina. Per questa ragione i “miei” processi erano molto seguiti dai media, soprattutto dalla cronaca di Roma». Perché secondo lei il crimine ha sempre affascinato i lettori? «Perché anche il migliore degli esseri umani ha dentro di sé una parte oscura e, quindi, percepiamo il crimine come un pezzo possibile della nostra vita. Cerchiamo di tenerlo lontano da noi, ma al tempo stesso ne subiamo il fascino perverso e seduttivo ogni volta che lo vediamo impossessarsi di un nostro simile. In qualche modo è come se, guardando il crimine, percepissimo una visione astratta di un qualcosa che, in modo latente, è presente nella nostra anima. Il fascino che il crimine esercita sui lettori è un tipico esempio di catarsi: vediamo qualcun altro realizzare ciò che noi non faremmo mai, riuscendo così a scaricare la tensione prodotta da quelle parti di noi che potrebbero compiere qualche gesto malvagio». La spettacolarizzazione dei casi giudiziari è pane quotidiano dei media, quanto incide l’accanimento mediatico sulla sorte delle sentenze? «Quello che accade ogni giorno nei tribunali penali, la giustizia reale e quotidiana che si occupa di reati comuni è ancora, fortunatamente, svincolata dai media. Quando però ci si imbatte nei
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Gianluca Arrighi, avvocato e scrittore
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«È proprio quando cerchiamo di cancellare il male dalla nostra vita che rischiamo di esserne posseduti». Gianluca Arrighi indaga la natura umana attraverso i suoi libri ispirati a casi giudiziarii Nicolò Mulas Marcello
processi “mediatici” - che rappresentano, comunque, una percentuale irrisoria rispetto al carico giudiziario - tutto cambia. In questi casi può capitare che magistrati, avvocati, imputati, persone offese e testimoni si trasformino in attori e questo ruolo “cozza” indubbiamente con quello loro attribuito dal codice di procedura penale. Non dimentichiamo che gli amministratori della giustizia sono uomini come tutti altri e, di conseguenza, non può escludersi che possano subire anche loro gli effetti perversi dell’accanimento mediatico». Nel suo ultimo romanzo dal titolo “Vincolo di sangue” parla di una madre che uccide la figlia per gelosia. In questo libro lei dice: «È proprio quando cerchiamo di cancellare il male dalla nostra vita che rischiamo di esserne posseduti». Questo significa che non si può sfuggire alla spirale del male una volta entrati? «Gli esseri umani sono complessi e contraddittori e negare il male può rivelarsi un’impresa pericolosa. Siamo uomini e, quindi, fallibili e incoerenti per definizione. E quando tentiamo, scioccamente, di essere perfetti, ci trasformiamo in ciò che prima odiavamo. Spesso senza neppure rendercene conto. Per questo non bisogna negare il male. Bisogna invece comprenderne le ragioni e domandarsi cosa può indurre persone assolutamente normali a commettere delitti tanto efferati».
RUBRICA SULLA PREVENZIONE DELL’USO DI DROGHE
LIBERI DI ESSERE LIBERI
POLITICHE ANTIDROGA
Una comunità scientifica contro le dipendenze Si chiama Scientific Community on Addiction ed è il network internazionale voluto da Giovanni Serpelloni, capo del Dipartimento politiche antidroga, per il contrasto alla droga. L’intento è quello di mettere in rete le best practice provenienti da tutto il mondo per lo studio e l’applicazione di nuovi strumenti Fiorella Calò
E Giovanni Serpelloni, capo del Dipartimento per le Politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri
ra ormai tempo di innovazione nel campo dell’analisi del fenomeno droga, bisognava creare una piattaforma di confronto e condivisione di esperienze scientifiche riconosciute sia a livello nazionale che estero, facendo emergere professionalità giovanili. Una piattaforma scevra da qualsiasi altro scopo, se non quello di mettere a disposizione dei tecnici del settore delle tossicodipendenze strumenti di studio, istituzionalmente accreditati, altamente qua-
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lificati, a titolo completamente gratuito. È nata così la Scientific Community on Addiction, voluta e ideata dal professor Giovanni Serpelloni, capo del Dipartimento delle Politiche Antidroga, per creare un network tra le professionalità del settore e le istituzioni nazionali e regionali con l’obiettivo di condividere tutte le conoscenze e le scoperte della ricerca. La comunità scientifica mira, inoltre, a rappresentare uno strumento di coordinamento e allineamento tecnico-scientifico a livello internazionale grazie anche alle indicazioni e agli indirizzi provenienti dalle realtà europee e d’oltreoceano, analizzando la tematica in tutte le sue sfaccettature, dando una nuova visione e un nuovo orientamento alle dipendenze, a partire dalle evidenze scientifiche nell’ambito delle neuroscienze, con un approccio multidisciplinare che tenga conto sia degli aspetti neurobiologici che di quelli medici, psicologici, sociali nonché economici, che l’uso di sostanze stupefacenti comporta. La compenetrazione delle conoscenze di base con quelle cliniche, oltre a quelle sociali ed economiche, promuove una visione olistica del fenomeno che utilizza anche dei contributi internazionali provenienti da realtà scientifiche avanzate che collaborano costantemente col nostro paese, nonché l'acquisizione di nuovi stimoli scientifici, di iniziative di ag-
Giovanni Serpelloni
La newsletter Droganews viene distribuita mensilmente per via telematica a tutte le strutture nazionali operanti nel campo delle dipendenze
giornamento professionale, continuo e accreditato. L’approccio multidisciplinare, l’apertura ai contributi nazionali e stranieri, la messa in rete delle conoscenze, delle esperienze e delle “best practice” mirano, in generale, a raggiungere l’obiettivo di un modello integrato di servizi comune e omogeneo che tenga presenti, al contempo, le diversità dei contesti in cui i professionisti del settore operano quotidianamente e le loro differenti esigenze. Cinque sono i pilastri che sostengono la piattaforma della Italian Scientific Community on Addiction: la Scientific Community, l’Italian Journal on Addiction, la newsletter Droganews, la National School on Addiction e gli International Groups. La Scientific Community è una società scientifica innovativa che offre ai propri iscritti l’opportunità di partecipare alla definizione di linee di indirizzo, nazionali e regionali, volte a migliorare il sistema italiano di prevenzione, cura e riabilitazione delle tossicodipendenze, e consente ai professionisti del settore di costituire network specifici per lo scambio di informazioni e buone pratiche. Italian Journal on Addiction e newsletter Droganews sono, invece, le due realtà editoriali della community. Il primo è un bimestrale specialistico, consultabile anche online, pub-
blicato in collaborazione con l’Istituto delle Nazioni Unite per la ricerca sul crimine e la giustizia (Unicri) e il Ministero della Salute e dedicato a tutti gli operatori del settore ai quali, secondo il concetto ispiratore dell’intero progetto Community, offre un approccio multidisciplinare al fenomeno droga. Oltre che lettori, gli utenti della Community hanno Sopra, a sinistra, la possibilità di essere autori degli articoli che un convegno della National school possono essere pubblicati sul Journal sotto on addiction. A destra, forma di contributi originali, editoriali, studi lo staff di Droganews clinici, rassegne critiche della letteratura scientifica. La newsletter Droganews viene distribuita mensilmente per via telematica a tutte le strutture nazionali operanti nel campo delle dipendenze. La pubblicazione compendia gli articoli pubblicati nel mese precedente sull’omonimo portale www.droganews.it e ne rispecchia la suddivisione in otto contenitori tematici: aspetti psico-socio educativi, diagnosi cliniche e terapia, epidemiologia, farmacologia e tossicologia, neuroscienze, prevenzione, strategie e management, tecniche analitiche. La National School on Addiction - Programma di formazione multidisciplinare sulle dipendenze - è una scuola di alta formazione LAZIO 2012 • DOSSIER • 171
POLITICHE ANTIDROGA
I pilastri della piattaforma Italian scientific community on addiction sono la Scientific community, l’Italian journal on addiction, Droganews, la National school on addiction e gli International groups
nel campo delle dipendenze, istituzional- mento nazionale e delle Regioni e Province au-
Sopra, la presentazione del progetto Italian Scientific Community on Addiction
mente accreditata dal Dipartimento per le Politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con sede a Roma e gestita, con uno specifico programma didattico, dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione (Sspa), in collaborazione anche con il Ministero della Salute, il Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca e il Ministero dell’Interno. Nata con l’obiettivo di proporre nuovi modelli e nuovi stimoli e di offrire un percorso di studi orientato alla multidisciplinarietà, privilegiando la trasmissione di conoscenze scientifiche e aspetti tecnici legati al funzionamento del sistema nazionale e dei sistemi regionali di prevenzione, cura e riabilitazione delle tossicodipendenze, la scuola ha già concluso il primo ciclo di lezioni registrando un’elevata frequenza e un forte gradimento da parte degli iscritti. Nove i moduli ai quali hanno partecipato i circa cento allievi, dedicati inizialmente all’inquadramento generale multidisciplinare delle dipendenze per poi passare al processo di cura e riabilitazione, alla prevenzione, al monitoraggio e al sistema di allerta, ai rapporti internazionali e alla legislazione e al contrasto, al coordina-
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tonome. Un modulo speciale è stato dedicato all’incontro e confronto degli allievi con i ricercatori dello statunitense National Institute on Drug Abuse (Nida), ente col quale il Dpa collabora costantemente; mentre l’ultimo incontro è stato dedicato alla valutazione finale. I gruppi internazionali, infine, sono stati pensati con l’obiettivo di promuovere e creare una rete di collaborazioni e scambi di esperienze e culture professionali a livello sovranazionale, con i paesi del Mediterraneo oltre che con Gli Stati Uniti, la Cina, la Russia, e di favorire (come nel caso del modulo speciale dedicato al Nida, nel primo ciclo di lezioni della Scuola) l’incontro e lo scambio tra professionisti dei più importanti istituti di ricerca del mondo, primi fra tutti il Nida, il Substance Abuse and Mental Health Servici Administration (Samhsa). L’obiettivo ultimo che anima questa ampia e articolata iniziativa del Dpa è quello di facilitare il dialogo tra le diverse discipline e tra i professionisti del settore e consentire la rapida trasformazione delle scoperte della ricerca in applicazioni scientifiche pratiche e in azioni concrete.
TRAPIANTI
Trapianti pediatrici, rene e fegato i più donati In ambiente trapiantologico, accorciare la distanza fra la domanda e l’offerta significa porsi come obiettivo prioritario l’aumento del numero dei donatori di organi viventi. Il punto di Alessandro Nanni Costa Giacomo Govoni
onatori viventi in aumento e tasso di opposizione in frenata. Predominano le luci nel documento preliminare sull’attività di donazione e trapianto in Italia relativo al quadrimestre gennaio-aprile 2012. Curato dal Centro nazionale trapianti, il report registra anche un incremento del numero assoluto degli interventi, con punte di crescita massima toccate dai trapianti di rene, passati nel periodo di riferimento da 1.542 a 1.688 e di fegato, da 1.019 a 1.071. «Per quanto riguarda i pazienti pediatrici – sottolinea Alessandro Nanni Costa, presidente del Cnt – la donazione da vivente di
D Alessandro Nanni Costa, direttore del Centro nazionale trapianti
questi due organi rappresenta un’opzione terapeutica concreta». In riferimento alla fascia infantile, a che punto sono le lista d’attesa nazionali e per quali organi la richiesta è in crescita? «Per i trapianti pediatrici in Italia c’è una lista unica, caratterizzata da una gestione trasparente e consolidata. L’istituzione di una lista nazionale consente di equiparare con assoluta precisione i bimbi in tutta Italia, garantendo piena equità. Inoltre, il programma nazionale pediatrico prevede l’attribuzione prioritaria ai pazienti in lista di tutti gli organi prelevati da donatori con età inferiore ai 15 anni. I dati al 31 dicembre 2011 dicono che le maggiori richieste di trapianto sono per il rene, seguono cuore e fegato. I tempi di attesa per i piccoli pazienti sono ridotti rispetto all’adulto: stando ai dati aggiornati al 31 dicembre 2011, i tempi medi di attesa sono 1,72 anni per il rene, 1,8 per il cuore e 1 anno per il fegato». In merito al recente impianto di cuore artificiale al bambino di 16 mesi al Bambin Gesù, qualcuno ha parlato di momento rivoluzionario: che ne pensa? «I risultati raggiunti dalla scienza e dalla tecnologia nel campo medico hanno senza dubbio rivoluzionato anche il settore dei trapianti, cinquant’anni fa considerato a sua volta un’avanguardia chirurgica. Le diverse tipologie di dispositivi di assistenza meccanica, così come il cuore artificiale, permettono di mantenere in
Alessandro Nanni Costa
Il programma nazionale pediatrico prevede l’attribuzione prioritaria ai pazienti in lista di tutti gli organi prelevati da donatori con età inferiore ai 15 anni
buone condizioni fisiche il paziente in attesa di ricevere un trapianto o addirittura prevedono l’impianto di un device a permanenza. Il nostro Paese non è certamente rimasto indietro nel campo dell’innovazione tecnologica e il trapianto di cuore artificiale su un piccolissimo paziente al Bambino Gesù ne è la testimonianza». Com’è cambiato negli ultimi anni il tempo medio di attesa al trapianto per ogni organo? «Negli ultimi anni abbiamo registrato una certa stabilità delle liste di attesa. I dati di fine 2011 indicano che i pazienti iscritti e in attesa di ricevere un trapianto sono 8.731, di cui 6.542 sono in attesa di un trapianto di rene, 1.000 per il fegato, 733 per il cuore, 382 per il polmone, 236 per il pancreas e 23 per l’intestino. I tempi medi di attesa in lista sono 2,8 anni per il rene, 2,1 anni per il fegato, 2,5 anni per il cuore, 2,12 per il polmone e 3,58 per il pancreas. Siamo riusciti a mantenere costante il tempo di attesa, nonostante l’aumento dell’età media dei donatori influisca sul numero complessivo di organi idonei al trapianto». Sebbene il numero dei trapianti in Italia sia complessivamente in aumento, non mancano le opposizioni alla donazione: dove vanno ricercate le cause e come limitare questo trend? «È sempre molto difficile indagare i motivi profondi di un rifiuto alla donazione. Da alcune in-
dagini conoscitive relative alle fasi della comunicazione della morte e della proposta di donazione, è emerso che la difficoltà di spiegazione della morte cerebrale e le incomprensioni nella relazione tra medici curanti e familiari del paziente sono tra le principali cause di opposizione. Proprio per questo, il Centro nazionale trapianti ha puntato molto sulla formazione degli operatori impegnati nel processo di donazione e sulla cura della comunicazione tra medico e familiari del donatore». Dal punto normativo, quali strumenti hanno contribuito o potrebbero incentivare l’attitudine alla donazione? «In Italia a ogni cittadino maggiorenne è offerta la possibilità di dichiarare il proprio consenso o diniego alla donazione di organi e tessuti dopo la morte. Infatti, nel nostro Paese vige il principio del consenso o dissenso esplicito mentre quello del cosiddetto silenzio-assenso non ha trovato attuazione. È possibile dichiarare la proprio volontà registrandola presso l’Asl di appartenenza, firmando e conservando il tesserino blu inviato dal Ministero della salute nel 2000 oppure una delle donor-card di associazioni di donatori e pazienti. Il recente progetto sperimentale per la registrazione di volontà presso gli uffici dell’anagrafe nei comuni di Perugia e Terni rappresenta un’utile e importante possibilità per invitare i cittadini a dichiarare la propria volontà». LAZIO 2012 • DOSSIER • 175
TRAPIANTI
Nuovi organi per nuove terapie Sia come “bridge” che come terapia definitiva, spiega Jean De Ville De Goyet, il trapianto d’organo costituisce «una grande opportunità di miglioramento della qualità di vita». Non di meno per i piccoli pazienti che, a livello di trapiantologia addominale, trovano nel Bambino Gesù un istituto all’avanguardia Giacomo Govoni
oro unanime di sì quello che lo scorso 8 maggio, alla Camera dei deputati, ha sancito l’approvazione delle nuove norme in materia di trapianti fra vivi. Polmone, pancreas e intestino sono i nuovi organi che vanno ad aggiungersi a reni e fegato e che d’ora in avanti si potranno donare a chi ne manifesta il bisogno. Un provvedimento che va ad ampliare il ventaglio delle possibilità terapeutiche a disposizione dei pazienti italiani e implementerà l’attività dei nostri centri di eccellenza sul fronte della trapiantologia. «Al Bambino Gesù per esempio –
C Jean De Ville De Goyet, direttore del Dipartimento chirurgia e Centro Trapianti del Bambino Gesù
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osserva Jean De Ville De Goyet, direttore del Dipartimento chirurgia e centro trapianti – nell’ultimo anno si è registrata una percentuale di trapianti di reni da vivente del 40%, rispetto all’11% della media nazionale». Sul piano della ricerca scientifica e del progresso della medicina, quali sono le prossime frontiere legate al tema dei trapianti? «I punti più importanti su cui si articola e si articolerà la discussione sui trapianti d’organo sono la disponibilità di organi per trapianto, le possibilità di dialisi epatica, tecnica attualmente allo stato sperimentale che favorisce l’eliminazione di sostanze tossiche dal fegato nelle patologie gravi, e il trapianto di epatociti, terapia cellulare sostitutiva. Gli studi attuali si incentrano inoltre sulla prevenzione delle recidive di malattie virali come l’epatite B e C, nell’adulto e in particolare per ciò che riguarda i pazienti pediatrici, la prevenzione, sia nel medio che nel lungo termine, della fibrosi e della steatosi cronica del graft». Nel trattamento delle malattie rare, in che misura il trapianto d’organo può costituire una soluzione terapeutica “vincente”? «Il trapianto rappresenta una possibile terapia quando viene considerato come soluzione ponte in attesa che altri approcci o terapie siano sviluppati: è il caso della terapia cellulare/genetica. Inoltre, allo stato attuale va detto che il trapianto rappresenta per molti pazienti affetti da malattie rare un’opportunità molto importante
Jean De Ville De Goyet
Esistono report di trapianto di rene in laparoscopia, ma attualmente si trovano a livello di sperimentazione clinica e vengono applicati all’ambito della chirurgia degli adulti
di miglioramento della qualità di vita». Sul versante della trapiantologia, quali prerogative - professionali e tecnologiche - il Bambino Gesù può mettere in campo? «L’ospedale pediatrico Bambino Gesù mette a disposizione sia dei piccoli pazienti, sia dei medici trapiantatori, una vasta expertise con casistiche tra le prime in Europa e differenti competenze specialistiche, tutte specificamente pediatriche. Il tutto associato a una visione globale del bambino come paziente. Questo consente l’utilizzo di equipe multidisciplinari, di fondamentale importanza per esempio nei casi di trapianti combinati. L’ospedale offre, inoltre, uno strumentario all’avanguardia e un supporto logistico avanzati per quanto riguarda il trapianto di cellule, di organi e tessuti. Grazie a tutto ciò, i risultati sul piano dell’outcome sono ottimi: l’istituto vanta per esempio il più alto numero in Italia di trapianti pediatrici di cuore e rene. Questi ultimi, unitamente a quelli di fegato, registrano inoltre il più alto tasso di sopravvivenza nel lungo termine su scala nazionale». Quali sono oggi le tecniche trapiantologiche che rispondono all’esigenza di “minima invasività per massima efficacia”? «Per definizione, il trapianto d’organo richiede un approccio chirurgico convenzionale (tora-
cotomia, laparotomia) e al momento sono ancora minime le indicazioni laparoscopiche. Esistono report di trapianto di rene in laparoscopia, ma attualmente si trovano a livello di “sperimentazione clinica” e vengono applicati all’ambito della chirurgia degli adulti. In pratica, nel trapianto tradizionale, potremmo parlare di “mini-invasività” nel ricevente in questi termini: ottimizzare la selezione del graft e le tecnica chirurgica in corso di trapianto in modo da ridurre al minimo i rischi di complicanze e di disfunzione del graft, la durata del ricovero in terapia intensiva e il numero di eventuali ulteriori interventi. Tutti fattori che vanno a incidere direttamente sulle aspettative e sulla qualità della vita del piccolo trapiantato». E dal punto di vista del donatore, le tecniche di espianto che genere di garanzie offrono? «In termini di interventi mini-invasivi, il prelievo di un organo, come ad esempio un rene o il fegato, può essere invece realizzato con tecniche laparoscopiche nel donatore vivente. Questo permette di incoraggiare il ricorso a tale metodica che è una valida alternativa al classico trapianto da donatore cadavere, con tutti i vantaggi in termini di maggiore sopravvivenza dell’organo e conseguente miglioramento della qualità di vita del trapiantato». LAZIO 2012 • DOSSIER • 177
TRAPIANTI
Il cuore in miniatura che salva la vita on si è ancora spenta l’eco prodotta dall’eccezionale intervento cardiaco che alcune settimane fa ha attirato i riflettori della scena della medicina internazionale sul Bambino Gesù. Il noto ospedale pediatrico romano, infatti, ha fatto da cornice lo scorso marzo al trapianto del più piccolo cuore artificiale mai impiantato su un essere umano. A riceverlo è stato un bimbo di soli 16 mesi, affetto da miocardiopatia dilatativa con una grave infezione del sistema di assistenza ventricolare. L’apparecchio, applicato in extremis e ancora in fase di sperimentazione nell’ambito di un programma di ricerca del National Institutes health, ha necessitato di un apposito permesso per il suo primo impiego da parte della Food and drug administration e del ministero della Salute. «Tentare di salvare la vita di un bambino che altrimenti non avrebbe avuto alcuna possibilità di sopravvivenza – spiega Antonio Amodeo, responsabile dell’Unità di progetto assistenza meccanica del Bambino Gesù – è stata l’unica motivazione che ci ha spinto
N
Antonio Amodeo (il secondo da sinistra) in sala operatoria assieme alla sua equipe
Il trapianto cardiaco da record compiuto lo scorso marzo al Bambino Gesù su un paziente di neppure un anno e mezzo, sposta ulteriormente in avanti la frontiera della cardiochirurgia pediatrica. Ne parla il professor Antonio Amodeo Giacomo Govoni
a provare un intervento senza precedenti». Rimasto in funzione per 13 giorni, il dispositivo si è rivelato provvidenziale per eliminare l’infezione e attendere un trapianto di cuore compatibile da donatore. E oggi, a distanza di tre mesi, il bambino sta bene. Quali sono state le fasi più delicate dell’operazione? «La fase sicuramente più delicata è stata l’impianto del cuore artificiale, trattandosi di un prototipo non sapevamo se avrebbe funzionato e per quanto tempo. L’altro momento difficile è sopraggiunto quando, dopo due settimane di fun-
Antonio Amodeo
La turbina impiantata ha una velocità di 24.000 giri al minuto e l’impatto di questa velocità sul sangue era del tutto imprevedibile
zionamento, il cuore artificiale miniaturizzato ha avuto un problema elettrico. Nonostante le possibilità di successo fossero in quel momento scarse, abbiamo deciso di continuare ad assistere il bambino sperando in un trapianto poi eseguito con successo». Quali sono le caratteristiche del dispositivo impiantato? «Si tratta di una turbina in titanio alimentata da batterie al litio. Il cuore pesa soltanto 11 grammi e ha uno spessore di un centimetro. La caratteristica è che è completamente impiantabile all’interno del cuore con il cavo di alimentazione che viene tunnellizato e fatto uscire dall’addome, dove poi viene connesso alla batteria, ognuna delle quali dura dalle 8 alle 10 ore. Il grande vantaggio di questo dispositivo è che il bambino non è attaccato a una consolle come gli altri cuori artificiali, ma può muoversi liberamente avendo solo il cavo di alimentazione che fuoriesce dall’addome». Quali problematiche ha presentato il decorso operatorio e come le avete gestite? «Il decorso operatorio è stato molto delicato in quanto non essendo mai stata inserita una turbina cosi piccola in un essere umano, non sapevamo come avrebbero reagito gli organi interessati. Basti pensare che la turbina ha una velocità di 24.000 giri al minuto e l’impatto di questa velocità sul sangue era del tutto imprevedibile. La stessa scoagulazione che è mandatoria in questi casi è stata difficile da ottenere. Dopo una fase iniziale di scompenso generalizzato durata tre giorni, tutti gli altri organi hanno ripreso a funzionare normalmente adattandosi al nuovo dispositivo». Alla luce di questo intervento, che prospettive terapeutiche si delineano nel panorama della cardiochirurgia infantile? «Senza dubbio l’impianto di questo cuore minia-
turizzato completamente impiantabile apre uno scenario del tutto nuovo. La possibilità di inserire turbine di peso cosi piccolo permetterà in un prossimo futuro di dimettere questi bambini dall’ospedale. I bambini potranno quindi aspettare a casa, nell’ambiente familiare, l’arrivo di un cuore per il trapianto cardiaco. Purtroppo attualmente questo è impossibile in quanto l’unico dispositivo disponibile per bambini di basso peso è quello di un “cuore paracorporeo” connesso a una consolle esterna vicino al letto del paziente». Poco più di un anno fa sempre lei ha impiantato un cuore artificiale permanente a un 15enne. È realistico pensare che, a mediolungo termine, si possa arrivare a dispositivi permanenti anche per bambini nei primi anni di vita? «All’inizio del 2013 inizieremo il trial clinico per il cuore artificiale pediatrico impiantabile che potrà essere impiantato su bambini a partire dai tre anni. Soltanto più tardi nel 2014 sarà possibile iniziare un analogo trial per i neonati. Purtroppo questi dispositivi non saranno pronti per l’uso clinico prima di due/tre anni». Quanto la qualità della dotazione professionale e infrastrutturale in forza al Bambino Gesù, ha contribuito alla buona riuscita dell’intervento? «Il successo dell’impianto di un cuore artificiale miniaturizzato, che attualmente rappresenta il massimo della tecnologia, è il risultato di un lavoro di gruppo. Solo la possibilità di avere competenze multidisciplinari permette il successo di queste iniziative. Competenze multidisciplinari che un grande ospedale come il Bambino Gesù ha la possibilità di esprimere». LAZIO 2012 • DOSSIER • 179
CITTADINI E SANITÀ
Il nuovo portale della comunicazione sanitaria Il ruolo delle nuove tecnologie informatiche e social per il miglioramento dei rapporti fra cittadini e istituzioni sanitarie. Massimiliano Picardi illustra l’importanza dei nuovi mezzi. Che non escludono però quelli tradizionali. L’obiettivo è raggiungere il cittadino integrando tutti gli strumenti di comunicazione Luca Cavera
rientare positivamente le scelte per la salute dei cittadini. È questo l’obiettivo più importante della comunicazione socio-sanitaria. Attraverso il quale passano però nodi di non semplice soluzione, come quello dell’influenza sulle future decisioni in materia di politica sanitaria e di contenimento dei disagi dell’utenza. Il punto di partenza però non può che essere quello di fornire al cittadino una comunicazione capillare, proponendo una socializzazione degli obiettivi, attraverso un potenziamento mediatico sui servizi d’eccellenza e un’informazione corretta e chiara, che umanizzi il più possibile il processo, riducendo le distanze tra le istituzioni e le persone. Questo è quello che si propone il Progetto Archimede, portale sviluppato da Medilife, società che offre soluzioni strategiche nel panorama dei servizi alle imprese e che si è specializzata nella comunicazione in ambito sanitario. Con Massimiliano Picardi, presidente del Cda della società, parliamo dei temi più attuali del marketing socio-sanitario e dei nuovi strumenti per raggiungere il cittadino. Internet e i social network hanno aperto la strada a moltissime iniziative di comunicazione sociale. Nel vostro caso quale variabile rappresenta il web?
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Massimiliano Picardi, presidente del Cda di Medilife Spa di Roma www.progettoarchimede.com - www.medilifegroup.com
«Oggi non è più pensabile accostarsi alla comunicazione sociale e sanitaria senza l’uso del web e dei social network. Poiché la nostra priorità è informare il cittadino, non possiamo certo trascurare i canali di informazione che privilegia e quindi è inconcepibile restare fuori dalle logiche della Rete. Internet però non può essere uno strumento che esclude gli altri, per questo ci proponiamo di utilizzare tutte le risorse a nostra disposizione, comprese le news mensili sanitarie in formato cartaceo, che raggiungono i cittadini delle varie Asl con una distribuzione il più capillare possibile. Lo scopo resta quello di aiu-
Massimiliano Picardi
C’è ancora troppa distanza tra le istituzioni e il cittadino. E poca informazione sociale
tare i cittadini a considerare le strutture sanitarie come soggetto di immediata e pratica utilità sociale, destinato a tutti senza distinzioni. E per raggiungere questo scopo è necessario integrare tutti gli strumenti e i mezzi di comunicazione». Quali sono stati i risultati più importanti conseguiti dal Progetto Archimede nel corso dell’ultimo anno? «Abbiamo lavorato con successo sul fronte della comunicazione per aumentare la visibilità e migliorare la reputazione del Progetto Archimede, investendo sui canali web e mobile. Stiamo lavorando per ottimizzare il sito internet dedicato al progetto, in modo da poter offrire maggiori funzionalità, pur garantendo la semplicità d’uso, e creare un ambiente virtuale nel quale offrire agli utenti informazioni sulle attività e i servizi promossi dalle Asl sul territorio, in modo da migliorare i processi di accesso e fruibilità dei servizi aziendali e sanitari. In vista del potenziamento di questi aspetti e incoraggiati anche dagli ottimi riscontri ottenuti dai cittadini, abbiamo previsto per il 2013 nuovi investimenti sul progetto».
I cittadini, spesso, si fidano di una struttura sanitaria o di un determinato professionista affidandosi al passaparola o ai titoli. Non trova che, culturalmente, la popolazione debba compiere un passo in avanti circa i criteri di scelta dei medici e delle strutture? «Il cittadino poco informato pensa che il primario della capitale sia più bravo del primario di provincia. Purtroppo lo stesso cittadino ignora che lo stesso primario della capitale è stato medico o responsabile in ospedali di provincia. La disinformazione è spesso causa della mobilità passiva da un territorio a un altro. Noi cerchiamo di arginarla informando l’utente sui servizi offerti nel proprio territorio dai privati, sulle équipe sanitarie, sui LAZIO 2012 • DOSSIER • 183
CITTADINI E SANITÀ
Umanizzare i servizi socio-sanitari S
econdo l’approccio di Medilife, umanizzare i servizi significa accorciare le distanze fra le istituzioni e il cittadino. Come riassume Massimiliano Picardi, presidente del Cda di Medilife: «Di fronte a un problema sanitario, non esistono distinzioni: siamo tutti allo stesso livello». È su questa filosofia dell’umanizzazione che è strutturato il Progetto Archimede, la cui essenza è il riconoscimento della tutela della salute come diritto del cittadino, e la facilitazione, al contempo, del complesso percorso di creazione di fiducia fra medico e paziente. «Bisogna educare l’individuo a una maggiore tutela del proprio stato di salute, attraverso un approccio personale che porti a una maggiore prevenzione e a un graduale processo di consapevolezza, sia del cittadino sano che del paziente». Il marketing socio-sanitario, così inteso, mira dunque a modificare quei comportamenti che, pur avendo una certa diffusione fra la collettività, sono valutati negativamente o contrari al senso etico comune, perché devianti rispetto alle regole consolidate di convivenza, oppure perché suscettibili di arrecare gravi costi alla comunità.
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nuovi reparti, sulle nuove tecnologie, sugli investimenti delle aziende sanitarie locali. Ci piacerebbe pubblicare sulle nostre news le foto di medici, infermieri, del personale sanitario, perché credo che vedere anche in foto le persone, leggere i loro curriculum, faciliti un processo di umanizzazione e di trasparenza. Inoltre, sicuramente andrebbero potenziate le attività degli uffici per le relazioni con il pubblico, spostando l’azione verso il territorio e coinvolgendo i municipi e tutte le strutture sanitarie presenti. C’è ancora troppa distanza tra le istituzioni e il cittadino e poca informazione sociale. Pochi privati partecipano al processo di trasformazione nella sanità, almeno nel Lazio». Quanto la vostra azione può incidere sull’efficientamento dei servizi socio-sanitari e su quali aspetti, in particolare, è possibile fare leva? «Quando si parla di efficientamento dei servizi socio-sanitari mi viene in mente il ruolo svolto dalla nostra controllata Meditral, che
Massimiliano Picardi
Oggi non è più pensabile accostarsi alla comunicazione sociale e sanitaria senza l’uso del web e dei social network
effettua il trasposto disabili e dializzati in gran parte delle Asl del Lazio. Questo delicato servizio ci rende orgogliosi di risolvere ogni giorno problemi pratici a famiglie che vivono difficoltà reali. E ciò è possibile anche grazie alle istituzioni, che ci informano sulle realtà dove è urgente intervenire. All’interno del Progetto Archimede, la Meditral è la componente sociale del gruppo, sulla quale abbiamo sempre investito, perché l’imprenditore che opera in sanità deve avere chiaro che non può solo fare impresa, redditività e basta. Bensì deve avere una spinta, una predisposizione verso i problemi socio-sanitari e cercare il punto di equilibrio tra etica e impresa, fattori che in questo contesto devono necessariamente convivere. Le istituzioni, attraverso un protocollo predeterminato, dovrebbero individuare gli imprenditori più propensi a partecipare e dare il proprio contributo al processo di trasformazione del sistema sanitario, con particolare attenzione ai servizi socio-sanitari».
Quali risultati, a livello di società Medilife, avete raggiunto nell’arco dell’ultimo anno e quali sono le prospettive per il futuro? «Medilife, nell’ultimo anno, ha raccolto i suoi frutti migliori su due fronti distinti, ma ugualmente importanti. Da una parte, infatti, abbiamo acquisito nuovi partner anche al di fuori del mercato sanitario, sia nel Lazio che nelle Marche, con il valore aggiunto di applicativi specifici di supporto alle attività. Dall’altra, ci siamo consolidati sotto l’aspetto finanziario, con investimenti funzionali all’attività. Fra questi è stata acquistata una nuova struttura logistica. Guardando al futuro, abbiamo già avviato l’assunzione di risorse specializzate nel settore dell’Ict e nello specifico del work flow documentale, applicativi nel print on demand e nei settori di smaterializzazione e informatizzazione della cartella clinica sanitaria. Inoltre, il nuovo accordo regionale sui pagamenti ci permette di avere flussi finanziari regolari, che ci danno la possibilità di programmare e investire sempre nelle nostre attività. Ritengo che l’imprenditoria che rappresenta la Pmi del Lazio sia in grado di affrontare il difficile periodo cui andiamo incontro con serietà. È necessario però che gli imprenditori si sforzino di dotarsi di un’ottima struttura organizzativa e di guardare in prospettiva».
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STRUTTURE SANITARIE
Cliniche private, la strada è la specializzazione quattro anni dalla riorganizzazione sanitaria voluta dall’allora presidente della Regione Piero Marrazzo, che ha portato nel 2008 a un taglio di 1.953 posti letto – taglio che ha riguardato sia le cliniche sotto i 90 posti letto sia gli ospedali “a bassa percentuale di utilizzo” –, qual è oggi lo scenario dell’offerta sanitaria laziale? Ne parliamo con Andrea Grasso, medico chirurgo specializzato in ortopedia e responsabile della casa di cura Villa Valeria di Roma, una delle 21 strutture che in base alla prima stesura del provvedimento erano destinate alla chiusura, salvo poi venire riconvertita da centro polispecialistico a monospecialistico. «L’effetto maggiore di questa riconversione imposta dall’alto è rilevabile nel fatto che oggi Villa Valeria è un centro di alta specialità ortopedica. Infatti, mentre prima avevamo 64 posti letto polispecialistici accreditati con la Regione, il decreto li ha ridotti a 25, ma solo per l’ortopedia. Naturalmente gli altri letti sono rimasti disponibili per tutte le altre specialità – fra le quali chirurgia generale, endoscopia, oculistica, urologia, ginecologia –, però solo in regime privatistico». Come valuta i risultati di questo processo di specializzazione? «Da una parte, per una struttura di piccole dimensioni, la specializzazione è quasi una necessità, che risponde sia a esigenze di bilancio sia alla qualità dell’offerta sanitaria e delle prestazioni. Infatti, la concentrazione del personale medico e paramedico su un numero ristretto di patologie e di tipologie di intervento non può che accresce la competenza specialistica e rappresenta una garanzia per il paziente. Non a
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Andrea Grasso, medico chirurgo specializzato in ortopedia e responsabile della casa di cura Villa Valeria di Roma, struttura associata all’AIOP (Associazione Italiana Ospedalità Privata) www.villavaleria.it
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Il punto sulla sanità privata romana a quattro anni dai pesanti tagli ai posti letto decisi dall’amministrazione Marrazzo. Il dottor Andrea Grasso spiega qual è stato il destino della casa di cura Villa Valeria Luca Cavera
caso, a livello mondiale, i centri vengono valutati in base al numero di esecuzioni di un certo tipo di intervento. La specializzazione consente anche di ridurre i costi per l’acquisto di protesi e farmaci. Però, dall’altra parte, è inevitabile che vengano penalizzate tutte le altre specialità, anche perché essendo queste limitate al regime privatistico, diventa meno frequente che il paziente si rivolga a noi, per esempio, per un problema di chirurgia generale». Quali sono le patologie che maggiormente accedono ai posti letto in convenzione? «La nostra politica è quella di dare priorità ai pa-
Andrea Grasso
GLI INTERVENTI
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zienti socialmente più deboli, cioè agli anziani con fratture al femore o bisognosi di interventi per l’impianto di protesi. Questi sono gli interventi più costosi a livello privato, ai quali la maggior parte di questi pazienti difficilmente potrebbe accedere senza il sostegno economico statale. Dunque la nostra volontà è quella di mantenere in convenzione la chirurgia socialmente più importante e proporre invece, per quella di benessere necessaria per la qualità della vita, l’accesso alle cure tramite una copertura assicurativa – economicamente sostenibile grazie ai nostri accordi con una delle principali compagnie nazionali. A questa categoria di pazienti abbiamo dedicato il nostro Trauma Sport Center». Avete introdotto delle tecniche chirurgiche innovative per la cura di particolari patologie? «Attualmente siamo uno dei pochi centri di riferimento, in Italia, per l’intervento artroscopico della spalla, una tecnica chiamata Latarjet. È un intervento necessario nei casi di spalla instabile che determina ripetute lussazioni e che prevede il posizionamento di una porzione di osso sulla scapola. La particolarità della tecnica Latarjet – che è un esempio della chirurgia del futuro – è la sua bassa invasività. Mentre in tutto il mondo questo tipo di intervento viene ancora eseguito a “cielo aperto”, cioè con incisione chirurgica, noi lo eseguiamo in maniera endoscopica e senza aprire l’articolazione. Inoltre, stiamo per adottare la tecnica della chirurgia di protesi al ginocchio “personalizzata”, un’innovazione assoluta in tutto il mondo». Può descriverla in breve? «Si tratta di ricostruire tridimensionalmente, pre-
via acquisizione dell’arto del paziente tramite Tac, l’esatta condizioni anatomia del ginocchio del paziente stesso e di conseguenza progettare l’intervento su misura per ogni singolo ginocchio, così da soddisfare le volontà del chirurgo e le esigenze del paziente. Per il corretto inserimento della protesi è necessario eseguire dei tagli ossei del femore e della tibia, per i quali ci si avvale di adeguate maschere che guidano il chirurgo. Nel nostro caso le maschere vengono personalizzate tramite lo studio Tac maschere permettendo di ridurre a zero la possibilità di errore nel dimensionamento, nella rotazione o nell’allineamento, diminuiscono i tempi di intervento, inducono minore perdita ematica e i tempi di ripresa del paziente sono molto più veloci». I vostri pazienti fanno riferimento soltanto all’area romana? «Essendo il nostro uno dei centri di chirurgia della spalla e del ginocchio più avanzati di tutto il centro Sud, oltre a quelli del nostro territorio, accogliamo moltissimi pazienti provenienti dalla Calabria, dalla Campania e da tutte le regioni meridionali. Per quanto riguarda però nello specifico l’area del IV municipio di Roma, qui abbiamo avuto la possibilità di avviare numero iniziative e campagne di prevenzione. Negli ultimi tre anni abbiamo portato avanti la campagna “Stare bene prevenendo”. L’abbiamo realizzata col patrocinio del Comune e dell’Asl e ha previsto sia delle nostre visite presso i centri per anziani, sia incontri organizzati all’interno di Villa Valeria». LAZIO 2012 • DOSSIER • 187